ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO-DISTRUTTIVE DI …giovanni.gigante/Lavori/Analisi non... · 1...

14
1 ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO-DISTRUTTIVE DI PATINE PRESENTI SU MONETE DI EPOCA ROMANA IN LEGHE A BASE DI RAME. M. Alesiani 1 , A. C. Felici 1 , D. Ferro 2 , G. E. Gigante 1 , G. Pardini 3 , M.Piacentini 1 , L. Pronti 1 , M. L. Santarelli 4 , O. Tarquini 5 1 Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l'Ingegneria, Sapienza Università di Roma 2 CNR-ISMN, Roma 3 Dipartimento di Scienze dell'Antichità, Sapienza Università di Roma 4 Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente, Sapienza Università di Roma 5 Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma SOMMARIO Lo scopo di questa ricerca è stato quello di valutare varie metodologie d'indagine non distruttive o micro-distruttive (microscopia ottica, XRF, XRD, SEM-EDS, FTIR-ATR) per analizzare la natura delle patine di corrosione formatesi in ambiente ipogeo sulla superficie di monete di epoca romana in lega a base di rame rinvenute nel sito archeologico di Pompei e per studiare l’avanzamento del fenomeno corrosivo. Le patine sono il risultato dell’interazione tra il manufatto e l’ambiente in cui esso è rimasto sepolto per lungo tempo e sono costituite prevalentemente da composti del rame, a volte mescolati a quelli degli altri alliganti, ad esempio stagno e piombo. Il colore delle patine, l’analisi elementale con XRF e SEM-EDS, e l'analisi composizionale con XRD e FTIR-ATR permettono di identificare i composti sia amorfi che cristallini di cui sono formate le patine. Mediante l’XRF si evidenzia il fenomeno della decuprificazione e l’arricchimento in superficie degli elementi alliganti. Il rapporto tra le intensità delle righe di fluorescenza L e K dello stagno (M e L del piombo) può essere utilizzato per verificare l’avanzamento del fenomeno corrosivo, poiché dipende sia dallo spessore degli strati di corrosione che dall’arricchimento superficiale di questi elementi. La presenza del cloro nelle patine verdi, rivelabile con l’XRF, ed alcuni aspetti morfologici osservabili al microscopio consentono di palesare il fenomeno del "cancro del bronzo. Infine è stato riscontrato che monete di lega simile, rinvenute nella stessa unità stratigrafica, non presentano gli stessi prodotti di corrosione, la cui formazione probabilmente è stata influenzata da microambienti differenti. INTRODUZIONE Uno degli obiettivi delle indagini sui beni culturali è quello di dare informazioni quanto più possibile complete sulla tecnologia di realizzazione del manufatto e sui fenomeni degradativi subiti. La scelta delle metodologie di indagine deve essere guidata dalla necessità di danneggiare quanto meno possibile il manufatto in esame o prelevando campioni piccolissimi da analizzare o, preferibilmente, senza effettuare alcun prelievo. L’identificazione dei prodotti di corrosione sui reperti archeologici in bronzo interrati è stato oggetto di studio da oltre 180 anni [1]. Solo nei tempi più recenti sono state applicate numerose metodologie chimiche e/o fisiche per riconoscere la composizione chimica e quella strutturale delle patine formatesi in un contesto archeologico [2-11]. Nel periodo di interramento i manufatti metallici subiscono delle trasformazioni che coinvolgono la

Transcript of ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO-DISTRUTTIVE DI …giovanni.gigante/Lavori/Analisi non... · 1...

1

ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO-DISTRUTTIVE DI PATINE PRESENTI SU

MONETE DI EPOCA ROMANA IN LEGHE A BASE DI RAME.

M. Alesiani1, A. C. Felici

1, D. Ferro

2, G. E. Gigante

1, G. Pardini

3, M.Piacentini

1, L. Pronti

1, M. L.

Santarelli4, O. Tarquini

5

1 Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l'Ingegneria, Sapienza Università di Roma

2 CNR-ISMN, Roma

3 Dipartimento di Scienze dell'Antichità, Sapienza Università di Roma

4 Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente, Sapienza Università di Roma

5 Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma

SOMMARIO

Lo scopo di questa ricerca è stato quello di valutare varie metodologie d'indagine non distruttive o

micro-distruttive (microscopia ottica, XRF, XRD, SEM-EDS, FTIR-ATR) per analizzare la natura

delle patine di corrosione formatesi in ambiente ipogeo sulla superficie di monete di epoca romana

in lega a base di rame rinvenute nel sito archeologico di Pompei e per studiare l’avanzamento del

fenomeno corrosivo. Le patine sono il risultato dell’interazione tra il manufatto e l’ambiente in cui

esso è rimasto sepolto per lungo tempo e sono costituite prevalentemente da composti del rame, a

volte mescolati a quelli degli altri alliganti, ad esempio stagno e piombo. Il colore delle patine,

l’analisi elementale con XRF e SEM-EDS, e l'analisi composizionale con XRD e FTIR-ATR

permettono di identificare i composti sia amorfi che cristallini di cui sono formate le patine.

Mediante l’XRF si evidenzia il fenomeno della decuprificazione e l’arricchimento in superficie

degli elementi alliganti. Il rapporto tra le intensità delle righe di fluorescenza L e K dello stagno (M

e L del piombo) può essere utilizzato per verificare l’avanzamento del fenomeno corrosivo, poiché

dipende sia dallo spessore degli strati di corrosione che dall’arricchimento superficiale di questi

elementi. La presenza del cloro nelle patine verdi, rivelabile con l’XRF, ed alcuni aspetti

morfologici osservabili al microscopio consentono di palesare il fenomeno del "cancro del bronzo”.

Infine è stato riscontrato che monete di lega simile, rinvenute nella stessa unità stratigrafica, non

presentano gli stessi prodotti di corrosione, la cui formazione probabilmente è stata influenzata da

microambienti differenti.

INTRODUZIONE

Uno degli obiettivi delle indagini sui beni culturali è quello di dare informazioni quanto più

possibile complete sulla tecnologia di realizzazione del manufatto e sui fenomeni degradativi subiti.

La scelta delle metodologie di indagine deve essere guidata dalla necessità di danneggiare quanto

meno possibile il manufatto in esame o prelevando campioni piccolissimi da analizzare o,

preferibilmente, senza effettuare alcun prelievo. L’identificazione dei prodotti di corrosione sui

reperti archeologici in bronzo interrati è stato oggetto di studio da oltre 180 anni [1]. Solo nei tempi

più recenti sono state applicate numerose metodologie chimiche e/o fisiche per riconoscere la

composizione chimica e quella strutturale delle patine formatesi in un contesto archeologico [2-11].

Nel periodo di interramento i manufatti metallici subiscono delle trasformazioni che coinvolgono la

2

composizione chimica della lega, la forma e la superficie dell’oggetto e le sue caratteristiche

meccaniche; tali modificazione sono influenzate da fattori di natura biologica (organismi che

rilasciano agenti aggressivi), chimica (pH, potenziale di ossido-riduzione, ecc...) e fisica (resistività

del suolo, UR, granulometria, ecc...).

La corrosione è facilmente individuabile sulla superficie dei manufatti per la formazione di

composti dalle colorazioni caratteristiche. Nel caso del bronzo si possono sviluppare strati

passivanti, come per esempio la cuprite, o altri che invece si autogenerano, portando tutto il metallo

alla completa mineralizzazione, come accade con il fenomeno del "cancro del bronzo". Molti autori

si sono occupati della riproduzione in laboratorio di questo fenomeno particolarmente aggressivo

[12-17], producendo dei provini ad hoc di leghe a base di rame con le stesse caratteristiche di quelle

antiche, e interrandoli in ambienti ipogei specifici, con lo scopo di far sviluppare gli stessi prodotti

di corrosione che si formano in ambienti naturali, di individuarli, di studiarne le caratteristiche e le

varie fasi del loro sviluppo. Le prove eseguite sui provini interrati in diversi tipi di suoli hanno

dimostrato che la velocità dell’attacco corrosivo, in un ambiente ipogeo mediamente aggressivo,

tende ad azzerarsi con il passare del tempo e che la patina si forma in un periodo breve rispetto alla

durata dell’interramento; è proprio per questo motivo che oggetti dell’età del Bronzo mantengono

ancora il metallo vivo [18].

Lo studio di campioni realizzati in laboratorio nasce dall’esigenza di dover mantenere integro e

leggibile il reperto da analizzare, trovato durante uno scavo archeologico, sul quale possono essere

condotte solo indagini non distruttive. Scaturisce, quindi, la necessità di determinare un iter

diagnostico basato su metodologie completamente non distruttive o che prevedano dei micro-

prelievi; la scelta delle metodologie deve rispondere allo scopo dello studio e alla complementarietà

delle informazioni che si possono ottenere con le singole tecniche. In questo lavoro si è studiato lo

stato di degrado di monete in leghe a base di rame di epoca romana rinvenute nel sito archeologico

di Pompei nella Regio VIII, Insula 7.1-15, vicino a Porta Stabia [19-22] mediante microscopia

ottica (MO), fluorescenza dei raggi X (XRF), diffrazione dei raggi X (XRD), microscopia

elettronica a scansione (SEM-EDS) e spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (FTIR-ATR).

Le monete presentano patine di corrosione eterogenee sia per colorazione che per composizione

chimica a causa dei diversi luoghi di giacitura e delle differenze nella composizione della lega.

LE MONETE

Per questo studio sono state selezionate varie monete di epoca romana in rame e in bronzo; alcune

monete di bronzo presentano un alto tenore di piombo. La scelta è stata dettata dalla necessità di

ottenere un quadro generale dei prodotti di corrosione che si formano su leghe di diversa natura. Le

monete, di diversa tipologia, sono state rinvenute tutte nello stesso sito archeologico identificato

come Regio VIII, Insula 7.1-15, vicino a Porta Stabia, Pompei [19-22], in diverse campagne di

scavo eseguite dal 2005 al 2009 e in unità stratigrafiche differenti. Questo gruppo eterogeneo di

monete può fornire informazioni sul comportamento del processo di corrosione in ambienti di

interramento diversi e in funzione delle caratteristiche intrinseche dell’oggetto. Solo due gruppi di

monete provengono dalla stessa unità stratigrafica e sono della stessa tipologia1: gli assi

repubblicani C1-9, C1-41 e C1-12, che provengono dall’unità 1028, e gli assi repubblicani C19-40 e

C19-51, che provengono dall’unità 19022. In Tabella 1 sono indicate le monete analizzate, l’unità

stratigrafica e l’anno di ritrovamento e la composizione della loro lega.

1 Le monete sono identificate con una sigla che corrisponde al numero d'inventario dato loro durante gli scavi.

3

Moneta1 Tipologia Unità stratigrafica Anno di scavo

Composizione

della lega

C1-9 Asse repubblicano 1028 2005 Cu-Sn-Pb

C1-41 Asse repubblicano 1028 2005 Cu-Sn-Pb

C1-12 Asse repubblicano 1028 2005 Cu-Sn-Pb

C1-38 Ebusus o pseudo-ebusus 1042 2005 Cu-Sn-Pb

C7-12 Quadrante imperiale

(Caligola 31-41d.C) 1044 2006 Cu

C5-1 Tipologia sconosciuta 5027 2006 Cu-Sn-Pb

C11-11 Zecca magno-greca

(III-II sec.a..) 11058 2007 Cu-Sn

C11-12 Asse repubblicano

(II-I sec.a.C.) 11101 2007 Cu-Sn-Pb

C11-56 Ebusus o pseudo-ebusus 11116 2007 Cu-Sn-Pb

C14-15 Quadrante imperiale 14303 2007 Cu

C14-6 Tipologia sconosciuta 14311 2007 Cu-Sn-Pb

C18-9 Asse imperiale (fine I

sec.a.C- inizio I sec. d.C.) 18028 2008 Cu

C19-40 Asse repubblicano 19022 2008 Cu-Sn-Pb

C19-51 Asse repubblicano

(II-I sec. a. C.) 19022 2008 Cu-Sn-Pb

C24-31 Massalia o pseudo-massalia 24016 2009 Cu-Sn-Pb

C27-9 Massalia o pseudo-massalia 27094 2009 Cu-Sn-Pb

Tab.1: Elenco delle monete analizzate.

METODOLOGIA D’INDAGINE

L’individuazione delle patine non prescinde da una prima osservazione al microscopio ottico, che

permette di riconoscere alcune morfologie caratteristiche e di distinguere la presenza di

stratificazioni dei prodotti di corrosione quando gli strati di corrosione non sono completamente

sovrapposti. Per questo studio si è utilizzato lo stereomicroscopio EUROMEX con la possibilità di

ingrandire da 7x a 45x.

Una volta individuate le aree di interesse, su di esse sono state condotte analisi XRF per

determinare gli elementi presenti usando uno strumento portatile costituito da una sorgente di raggi

X con anodo di palladio della EIS srl (35 kV – 0.4 mA); un rivelatore a stato solido raffreddato

Peltier (Amptek Si-PIN XR-100CR) con il suo alimentatore/amplificatore lineare PX2T/CR e la

scheda multicanale Amptek MC8000. Questa strumentazione permette di rivelare tutti gli elementi

con numero atomico superiore a 16 (zolfo) poiché l'aria presente tra il campione ed il rivelatore

assorbe i raggi X di più bassa energia.

4

Alcune patine che mostravano particolari problemi sono state osservate al Microscopio elettronico a

scansione accoppiato all’EDS, sia utilizzando gli elettroni retro diffusi che eseguendo una

mappatura degli elementi. Il microscopio elettronico a scansione usato è il SEM LEO 1450 VP della

ASSING associato al sistema EDS INCA 300. L’analisi SEM-EDS, eseguita sotto vuoto, ha

permesso di ottenere anche gli elementi a basso numero atomico.

L’analisi XRD, eseguita con il diffrattometro a quattro cerchi EXCALIBUR della Oxford

Instruments, equipaggiato con una sorgente di raggi X che emette la riga Kα del molibdeno e con un

rivelatore a CCD, ha permesso di riconoscere le fasi cristalline presenti sulle superfici corrose. Per

queste analisi è stato necessario eseguire dei micro-prelievi, dell’ordine di 0,3 mm, sotto la lente di

un microscopio ottico. Questo metodo di campionamento nasce dall’esigenza di ottenere un

prelievo quanto più possibile omogeneo di materiale raccolto su superfici estremamente eterogenee.

Alcuni spettri di diffrazione hanno mostrato un segnale diffuso particolarmente intenso, che

lasciava supporre la presenza di materiale amorfo. Per questo motivo, del materiale è stato prelevato

dalla stessa zona ed analizzato mediante spettroscopia infrarossa per determinare la composizione

delle fasi amorfe. Per queste analisi si è usato lo spettrometro FTIR-ATR Vertex 70 della Bruker,

che assorbe nella regione del medio infrarosso (400-4000 cm-1

) e fornito di un diamante per le

misure in riflessione totale attenuata (ATR).

RISULTATI E DISCUSSIONE

Le analisi XRF e SEM-EDS eseguite sulle patine chiaramente non consentono di ricavare la

composizione della lega di cui sono fatte le monete; tuttavia possono fornire delle indicazioni

qualitative sugli elementi presenti nella lega in percentuali rilevanti. Così si è potuto verificare che

le monete di epoca imperiale C18-9, C7-12 e C14-15 sono di rame; gli assi repubblicani (C1-9, C1-

41, C1-12, C19-40 e C19,51), le monete di Ebusus o pseudo-ebusus (C1-38 e C11-56) , quelle di

Massalia o pseudo-massalia (C24-31 e C27-9) e le due monete non classificate (C5-1 e C14-6) sono

di bronzo (Cu-Sn-Pb) ad alto contenuto di piombo, e la moneta di zecca magno - greca (C11-11) è

di rame e stagno soltanto. Nelle monete che presentano un altro tenore di piombo sono state

riscontrate anche piccole quantità di arsenico, antimonio e ferro, che potrebbero essere elementi

associati ai minerali dai quali si estraggono il rame e il piombo [7]. Inoltre, alcuni elementi

individuati negli spettri XRF o SEM-EDS, e precisamente Si, P, Al, C, O, K, Ca, Fe, Sr, Ti e Mn,

con molta probabilità si trovano in particelle della terra di sepoltura rimaste sulle monete dopo la

loro pulizia o inglobate nelle patine di corrosione.

Numerosi autori si sono occupati dell’identificazione dei prodotti di corrosione delle leghe a base di

rame [1-3, 5-11, 18, 23-29]. I composti più diffusi sono la cuprite, la malachite e l’azzurrite, tutti e

tre minerali di rame. Si formano altri prodotti di corrosione quando il rame è in lega ( es. Cu-Sn,

Cu-Zn, Cu-Pb, ecc…) e in relazione alle caratteristiche del suolo in cui l’oggetto è stato per lungo

tempo interrato [7, 8, 30, 31]. Anche il meccanismo di formazione dei composti di corrosione in

ambiente archeologico è stato largamente studiato [2, 4, 7, 8, 11, 12, 18, 24, 25] e deriva dalla

migrazione degli ioni di rame dalla lega verso l’ambiente che ospita il manufatto, arricchendo la

superficie degli altri elementi alliganti. Questo processo è definito “decuprificazione”.

Nel seguito discuteremo le patine e i risultati trovati suddividendole in base al loro colore.

Patina rossa: La patina rossa è stata identificata come cuprite, Cu2O. Essa è localizzata al di sotto

delle altre patine, probabilmente a contatto con la lega della moneta [7, 18, 25, 26].

5

Patina verde: La patina verde è attribuita generalmente ai prodotti di corrosione del rame. Vi sono

diversi composti che possono essere responsabili delle patine verdi. Inoltre vi sono varie gradazioni

di tonalità, a volte frutto del mescolamento di più composti non solo del rame, ma anche degli

alliganti. In alcune patine si è individuata la malachite, Cu2CO3(OH)2, che si forma sia come strato

compatto che sottoforma di sferette presentate in fig.1.

Fig.1: Moneta C1-41 - alto: fronte e retro. I punti neri indicano le posizioni dove sono state eseguite

le misure di XRF. Basso: Osservazione al microscopio ottico dell’area racchiusa nella linea

tratteggiata. La patina bianca si sovrappone a quella verde, la quale è caratterizzata da

microsferette di malachite.

A partire dall’osservazione macroscopica e microscopica di alcune patine di colore verde chiaro,

ben localizzate sulla superficie, dall’aspetto pulverulento e spesso accompagnate dalla formazione

di piccoli crateri (pitting), si è ipotizzato il fenomeno del “cancro del bronzo” (Fig. 2).

Generalmente il “cancro del bronzo” si sviluppa nell’interfaccia lega-strato di cuprite, ma in

presenza di microfratture o in assenza di una patina passivante, compare anche in superficie; è un

fenomeno ciclico che si manifesta quando i cloruri rameosi, presenti negli strati di corrosione del

manufatto archeologico e originatesi dall’interazione con gli ioni cloro del suolo, si trovano ad

essere esposti all’umidità dell’aria [1, 19, 29, 32]. Le analisi XRF e SEM-EDS hanno confermato la

presenza di cloro in queste aree. In particolare sulla moneta C7-12 è stata effettuata una mappatura

degli elementi tramite il SEM-EDS in cui si è evidenziata la localizzazione del fenomeno, come

mostrato in figura 3. L’immagine in alto della fig. 3, presa con il microscopio ottico, corrisponde

6

alla zona caratterizzata dal fenomeno del “cancro del bronzo”, in cui si distingue chiaramente la

colorazione verde chiaro. La stessa area è stata indagata al SEM-EDS, acquisendo l’immagine

relativa agli elettroni retrodiffusi e quelle relative alla mappe di concentrazione degli elementi Cl,

Fig. 2: A) Foto della moneta C18-9; B) Ingrandimento della zona pulverulenta verde chiara

inquadrata nel rettangolo della foto A; C) Foto della moneta C11-12; D) Ingrandimento del

particolare riquadrato nella foto C, che mostra un esempio di “pitting”.

Cu, Ca, Sn e Pb. Si evidenzia la presenza soprattutto del rame e del cloro. Inoltre si nota che le aree,

in cui è maggiormente presente il cloro, sono quelle più chiare nell’immagine con elettroni

retrodiffusi e quelle verde chiaro dell’immagine al microscopio ottico. Per quanto riguarda il rame,

è evidente che tutta la zona indagata ne è ricca, mentre si assiste alla scarsità dello stagno ed alla

quasi totale assenza del piombo. Il calcio è presente in tracce ed è debolmente concentrato nelle

aree terrigene che si distinguono al microscopio ottico. Infine si nota che il “cancro del bronzo” sta

7

portando alla completa distruzione dell’impronta del conio (fig.3A) e questo porterà

all’impossibilità di lettura archeologica del reperto. Per avere conferma della presenza del “cancro

del bronzo” si sono determinati i composti caratteristici di questo fenomeno. In un microprelievo di

colore verde pallido (fig.2 B) eseguito sulla moneta C18-9, è stata identificata la nantochite, CuCl.

Da un prelievo eseguito nella zona pulverulenta del “pitting” della moneta C11-12 (fig. 2D) è stato

individuato un cloruro basico di rame Cu2Cl(OH)3, probabilmente atacamite o paratacamite.

Queste due fasi cristalline sono molto difficili da discriminare poiché i picchi di diffrazione sono

molto ravvicinati, per cui lo spettro risulta poco risolto. Tuttavia esiste anche la possibilità che siano

compresenti nello stesso reperto poiché sono fasi cristalline che, insieme anche alla nantochite, si

trasformano nella fase più stabile in determinate condizioni di potenziale e pH [26].

Fig. 3: Immagine in alto: fotografia al microscopio ottico di un particolare della moneta C7-12;

dall’alto in basso e da sinistra a destra: immagine al SEM (elettroni retro diffusi); mappe di

distribuzione del cloro, del rame, del calcio, dello stagno e del piombo.

8

Patina bianca. Nell’osservazione al microscopio ottico si nota che le patine bianche sono spesso

stratificate al di sopra delle patine verdi e/o rosse, un cui esempio è mostrato in fig.1. Con l’XRF si

vede che, mentre gli strati inferiori sono caratterizzati dalla presenza di rame, le patine bianche sono

tutte caratterizzate da un alto tenore di piombo e/o di stagno. Questo appare evidente nell’esempio

della figura 4, che mostra l’intensità delle righe di fluorescenza del rame, dello stagno e del piombo,

misurate in vari punti della superficie della moneta C1-41, la cui fotografia al microscopio ottico è

stata presentata in fig. 1. Invece, nel caso della moneta C11-11, le zone con la patina bianca

mostrano alte percentuali di stagno. Inoltre, sia nelle zone bianche che in quelle verde chiaro si

misura una elevata intensità anche delle righe L dello stagno e ciò è un’indicazione

dell’arricchimento in superficie di questo elemento.

Fig. 4: Istogramma delle intensità (unità arbitrarie) delle righe di fluorescenza Cu Kα, Sn Kα, e Pb

Lα misurate in vari punti delle patine di colore diverso della moneta C1-41, mostrata nella

fotografia di figura 1.

Non potendo isolare la patina bianca dalla moneta C11-11, l’analisi XRD è stata eseguita su un

prelievo verde chiaro e si è individuata solo la fase cristallina della malachite. Il diffrattogramma,

mostrato in figura 5, si presenta non ben risolto e con un segnale di fondo alto, indicando la

presenza di un composto amorfo (fig.5). L’analisi FTIR-ATR eseguita sullo stesso prelievo ha

individuato la compresenza della malachite e di un ossido di stagno (fig.6) che presumibilmente è

amorfo. Questo composto è termicamente stabile entro un ambio intervallo di pH e di potenziali

[18]. Le analisi XRF condotte sulle patine bianche di altre monete hanno riscontrato la presenza non

solo dello stagno ma anche del piombo (fig.4). I composti individuati con le analisi XRD sono la

cerussite, PbCO3, e la plumbonacrite, Pb5O(CO3)3(OH)2, entrambi presenti negli stessi

microprelievi.

9

Fig. 5: Analisi XRD del prelievo verde chiaro eseguito sulla moneta C11-11

F:\LUCILLAFTIR_2\C11-11-B2_32 scan.0 C11-11-B2_32 scan P-ATR V70 13/12/2010

340

0.6

4

332

3.5

5

149

2.5

2

139

2.3

6

109

7.9

3104

4.1

9

876

.03

818

.33

750

.25

571

.36

520

.61

503

.23

426

.61

374

.21

SnO2

500100015002000250030003500

Wavenumber cm-1

0.0

50

.10

0.1

50

.20

Ab

so

rba

nce

Un

its

Page 1/1

Fig.6: Analisi FTIR-ATR del prelievo verde chiaro.

Patina azzurra-blu: Le patine blu che più comunemente si trovano sui reperti archeologici sono

prodotti di corrosione del rame, in particolare l’azzurrite, Cu3(CO3)2(OH)2, che è stata individuata

nella maggior parte dei prelievi. In alcuni prelievi eseguiti da aree dove sono presenti il cloro e alti

tenori di piombo è stata riscontrata anche la diaboliete, CuPb2Cl2(OH)4, di un colore blu intenso,

che spesso si presenta sottoforma di macchie blu scure sulla patina di malachite (fotografia di

sinistra della fig.7) [6, 26].

Patina grigia: La patina grigia, presente in monete ad alto contenuto di piombo, è di aspetto

incoerente e si trova generalmente sotto gli altri strati di corrosione; è inoltre caratterizzata da

macchie bianche (cerussite e/o plumbonacrite) come mostrato nella fotografia a destra della fig. 7,

10

ed è stata identificata come plattnerite, PbO2. Nelle monete in cui non è presente il piombo, non è

stato possibile eseguire prelievi per via dell’aspetto metallico e compatto della patina che

probabilmente è dovuto all’ossidazione della lega.

Fig.7: Sinistra: Foto al microscopio ottico della patina blu della moneta C19-40. Destra: Foto al

microscopio ottico della patina grigia della moneta C1-12.

CONCLUSIONI

La metodologia di indagine si è rivelata efficace per caratterizzare il fenomeno della corrosione.

Eccettuata la patina rossa, che è univocamente determinata come formata da cuprite, tutte le altre

patine di colore vario (verde chiaro, verde scuro, bianche, azzurre e grigie) risultano costituite da

vari minerali, la cui formazione ed identificazione richiede più di una tecnica.

L’XRF si rivela un ottima tecnica non solo per ottenere informazioni sugli elementi presenti, ma

anche un metodo per definire l’arricchimento in superficie dello stagno (del piombo) e

l’avanzamento del degrado attraverso il diverso assorbimento delle sue righe di fluorescenza a

causa degli strati di corrosione. Infatti, l’intensità delle righe L dello stagno, di bassa energia, è

attenuata molto più rapidamente di quella delle righe K dallo strato di patine, se il segnale di

fluorescenza si forma nella lega della moneta. Pertanto, il rapporto SnL/SnK dipende dallo spessore

della patina e questa caratteristica può essere usata per valutare l’avanzamento del degrado e quindi

l’aumento di spessore di una patina; in alcuni campioni tale rapporto è risultato completamente

azzerato. Invece, in altre aree analizzate, in particolare sia in corrispondenza di alcune patine

bianche che in quelle grigie, questo rapporto è alto, confrontabile con il valore misurato sullo stagno

metallico, indicando che la patina superficiale è arricchita di stagno. Come esempio, tali

comportamenti sono mostrati in figura 8, dove si riporta la variazione del rapporto delle intensità

delle righe L sulle righe K dello stagno relativo all’analisi XRF sulla moneta C1-41, mostrata in

fig.1. Le patine e, quindi anche i punti analizzati, sono gli stessi dell’istogramma di fig.4.

Le tecniche XRF, SEM-EDS, XRD e FTIR permettono di individuare le patine archeologiche

presenti poiché sono tecniche complementari: l’XRF e il SEM-EDS sono in grado di identificare gli

elementi presenti, anche quelli di bassa energia di fluorescenza, l’XRD distingue le fasi cristalline

presenti ed è compensata dalla tecnica FTIR-ATR che riesce ad individuare anche le sostanze

amorfe. Le patine di corrosione individuate sulle monete studiate sono quelle che tipicamente si

riscontrano in condizioni ipogee, quali cuprite, malachite, azzurrite, nantochite, atacamite e/o

paratacamite e i prodotti di corrosione degli alliganti del rame, come gli ossidi di stagno amorfi,

11

cerussite, plumbonacrite e plattnerite. Infine si è individuato un prodotto di corrosione raro, la

diaboleite, che si sviluppa in presenza di piombo e cloro.

Fig.8: Istogramma del rapporto tra le intensità delle righe L sulle righe K dello stagno relativo

all’analisi XRF sulla moneta C1-41. Le patine e, quindi anche i punti analizzati, sono gli stessi

dell’istogramma di fig.4.

L’osservazione macroscopica e microscopica della superficie di tutte le monete suggerisce che la

formazione dei prodotti di corrosione è piuttosto eterogenea. Questa caratteristica si manifesta

anche in monete di simile composizione chimica e provenienti dalla stessa unità stratigrafica, come

le monete C1-9, C1-41 e C1-12. Possiamo quindi affermare che a parità di composizione chimica

della lega, non sempre si verifica la corrispondenza univoca tra stesso ambiente di interramento e

stessi prodotti di corrosione, probabilmente a causa di microambienti differenti che hanno

influenzato i meccanismi di formazione.

RINGRAZIAMENTI

Questo lavoro è stato svolto con un finanziamento ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione

PRIN 2007 “Tecniche innovative per la definizione dello stato di degrado nei metalli”.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] J. Davy, “Observation on the changes which have taken place in some ancient alloys of

copper”, Phil. Trans. Royal Soc. London, Vol. 116 nr.2, p. 55-59 (1826).

[2] M. C. Bernard, S. Joiret, “Understanding corrosion of ancient metals for the conservation of

cultural heritage”, Electrochim. Acta, Vol. 54, pp. 5199-5205 (2009).

12

[3] M. Bouchard, D. C. Smith, “Catalogue of 45 reference Raman spectra of minerals

concerning research in art history on archaeology, especially on corroded metals and coloured

glass”, Spectrochim. Acta A, Vol. 59, pp. 2247-2266 (2003).

[4] E. Figueiredo, P. Valério, M. F. Araùjo, J. C. Senna-Martinez, “Micro-EDXRF surface

analyses of bronze spear head: Lead content in metal and corrosion layers”, Nucl. Instr. Meth. Phys.

Res. A, Vol. 580, pp. 725-727 (2007).

[5] R. L. Frost, “Raman spectroscopy of selected copper minerals of significance in corrosion”,

Spectrochim. Acta A, Vol. 59, pp. 1195-1204 (2003).

[6] R. L. Frost, P. A. Williams, “Raman spectroscopy of some basic chloride containing

minerals of lead and copper”, Spectrochim. Acta A, Vol. 60, pp. 2071-2077 (2004).

[7] G. M. Ingo, T. De Caro, C. Ricucci, E. Angelini, S. Grassini, S. Balbi, P. Bernardini, P.

Salvi, P. Bousselmi, A. Çilingiroğlu, A. Gerner, V. K. Gouda, O. Al Jarrah, S. Khosroff, Z.

Mahdjoub, Z. Al Saad, W. El-Saddik, P. Vassiliou, “Large scale investigation of chemical

composition, strutture and corrosion mechanism of bronze archeological artefacts from

Mediterranean basin”, Appl. Phys. A, Vol. 83, pp.513-520 (2006).

[8] G. M. Ingo, T. De Caro, C. Ricucci, S. Khosroff, “Uncommon corrosion phenomena of

archaeological bronze alloy”, Appl. Phys. A., Vol. 83, pp. 581-588 (2006).

[9] I. D. MacLeod, “Identification of corrosion products on non-ferrous metal artifacts

recovered from shipwrecks”, Studies in Conservation, Vol. 36,pp. 222–34 (1991).

[10] A. L. Mata, A. Carneiro, M. M. M. Neto, L. A. Proença, M. M. L. Salta, M. H. Mendonça, I.

T. E. Fonseca, “Characterization of five coins from the archaeological heritage of Portugal”, J.

Solid State Electrochem. (2009).

[11] L. Campanella, O. Colacicchi Alessandri, M. Ferretti, S.H. Plattner, “The effect of tin on

dezincification of archaeological copper alloys”, Corrosion Science Vol. 51, pp. 2183-2191 (2009).

[12] I. Constantinides, A. Adriaens, F. Adams, “Surface characterization of articifial corrosion

layers on copper alloy reference materials”, Appl. Surf. Sci. Vol. 189, pp. 90-101 (2002).

[13] S. F. Afonso, M. M. M. Noto, M. H. Mendonça, G. Pimenta, L. Proença, I. T. E. Fonseca,

“Copper corrosion in soil: influence of chloride contents, aeration and humidity”, J. Solid State

Electrochem, Vol. 13, pp. 1757-1765 (2009).

[14] M. P. Casaletto, T. De Caro, G. M. Ingo, C. Ricucci, “Production of reference ancient Cu-

based alloys and their accelerated degradation methods”, Appl. Phys A, Vol. 83, pp. 617-622

(2006).

[15] H. Hassairi, L. Bousselmi, E. Triki, “Bronze degradation process in simulating

archaeological soil media”, J. Solid State Electrochem. (2009).

[16] W. Gerwin, R. Baumhauer, “Effect of soil parameters on the corrosion of archaeological

metal find”, Geoderma Vol. 96, pp. 63-80 (2000).

13

[17] A. G. Nord, E. Mattsson, K. Tronner, “Factors influencing the long-term corrosion of bronze

artefacts in soil” Protection of Metals, vol.41, pp. 309-316 (2005).

[18] L. Robbiola, J.-M. Blengino, C. Fiaud, “Morphology and mechanisms of formation of

natural patinas on archaeological Cu-Sn alloys”, Corrosion Science Vol. 40, pp. 2083–2111 (1998).

[19] G. Devore, S. J. R. Ellis, "New Excavation at VIII.7.1-15, Pompeii: A brief synthesis of

results from the 2005 season", J. Fasti Online (2005).

[20] G. Devore, S. J. R. Ellis, "Towards an understanding of the shape of space at VIII-7.1-15,

Pompeii: preliminary results from the 2006 season", J. Fasti Online (2006).

[21] G. Devore, S. J. R. Ellis, " The third season of excavation at VII.7.1-15 and Porta Stabia at

Pompeii: preliminary report", J. Fasti Online (2008).

[22] G. Devore, S. J. R. Ellis, "The fourth season of excavation at VIII.7.1-15 and the Porta

Stabia at Pompeii: preliminary report", J. Fasti Online (2009).

[23] M. Quaranta, I. Sandu, “Micro-stratigraphy of copper-based archaeological objects:

description of degradation mechanisms by means of an integrated approach”, Proc. 9th

Int. Conf.

NDT of Art, pp. 1-8 (2008).

[24] M. Serghini-Idrissi, M. C. Bernard, F. Z. Harrif, S. Joiret, K. Rahmouni, A. Srhiri, H.

Takenouti, V. Vivier, M. Ziani, “Electrochemical and spectroscopic characterizations of patinas

formed on an archaeological bronze coin”, Electrochim. Acta Vol. 50, pp. 4699-4709 (2005).

[25] L. Robbiola, R. Portier, “A global approach to the authentication of ancient bronzes based

on the characterization of the alloy –patina –environment system”, J. of Cultural Heritage Vol.7,

pp. 1-12 (2006).

[26] D. A. Scott, “Copper and bronze in art: Corrosion, Colorants, Conservation”, Getty

Publication, p. 532 (2002).

[27] D. A. Scott, “Copper compound in Metals and Colorants: Oxides and Hydroxides”, Studies

in Conservation, Vol. 42, pp. 93-100 (1997).

[28] D. A. Scott, “A Review of Copper Chlorides and Related Salts in Bronze Corrosion and as

Panting Pigments”, Studies in Conservation, vol.45, pp. 39-53 (2000).

[29] P. Tiano, C. Pardini, “Le Patine. Genesi, significato, conservazione”, Atti del Workshop

promosso da Mauro Matteini( Nardini Editore), pp. 29-43 (2005).

[30] W. T. Chase, M. Notis, A. D. Pelton, “New Eh-pH (Pourbaix) diagrams of the copper-tin

system”, Use of Electrochem. Tech. in Metal Conservation, vol. 3 (2007).

[31] A. M. Pollard, R. G. Thomas, P. A. Williams, “The copper chloride system and corrosion: a

complex interplay of kinetic and thermodynamic factors” in Dialogue/89: The Conservazion of

Bronze Sculpture in the Outdoor Environmental, (ed. T. Drayman-Weisser, National Association of

Corrosion Engineers, Texas), pp. 123-133 (1992).

14

[32] V. F. Lucey, “Developments leading to the present understanding of the mechanism of

pitting corrosion of copper”, British Corr. J. Vol. 7, pp. 36-41 (1972).

[33] D.A. Scott, “Bronze disease: a review of some chemical problems and the rule of relative

humidity”, J. Am. Ist. Conservation Vol. 8, pp. 1-9 (1990).