ANALECTA ROMANA · 2013. 2. 1. · bel Djemâa24 o del Djebel Bou Kornine,25 pare utilizzato in...

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ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI OFFPRINT XXXIII 2008 ROMAE MMVIII

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  • ANALECTA ROMANA

    INSTITUTI DANICI

    OFFPRINT

    XXXIII

    2008

    ROMAE MMVIII

  • ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI XXXIIIAccademia di Danimarca Via Omero, 18 - 00197 Rome© 2008 Accademia di Danimarca

    Analecta Romana Instituti Danici. — Vol. I (1960) — . Copenhagen: Munksgaard. From 1985: Rome, «L’ERMA» di Bretschneider. From 2007 (online): Accademia di DanimarcaISSN 2035-2506

    Redaktionskomité/scientific BoaRd/comitato scientifico

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    Contents

    antonella mezzolani: I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine

    gitte lønstRup: Constructing Myths: The Foundation of Roma Christiana on 29 June

    Jens viggo nielsen: ”L’Esistenzialismo non è un umanesimo” La dialettica come approccio all’esistenzialismo di Luigi Pareyson

    lise Bek: Innocence Lost. Symbolism to Rhetoric in Architecture and the Renais-sance Concept of Invention

  • IntroduzioneUna breve annotazione di Plinio sull’uso del tufo a Cartagine come materiale da costruzio-ne1 pare l’unica registrazione di un preciso litotipo impiegato negli edifici della metro-poli nordafricana, a fronte di una sostanziale indifferenza di altri autori che hanno trattato della città; un riscontro a tale atteggiamento si rileva anche nelle pubblicazioni moderne, che fino a tempi recenti non sembrano aver mai prestato grande attenzione ai differenti tipi di materiale lapideo dei complessi edili-zi cartaginesi di fase preromana, nonostante qualche tentativo di esaminare più analiti-camente le varietà di pietre utilizzate nelle

    costruzioni di epoca punica e neopunica in Tunisia,2 accanto a lavori di carattere più spiccatamente geologico che hanno preso in considerazione le potenzialità dei giacimen-ti litici più o meno pregiati della regione in antico.3

    La pietra, per la sua durata nel tempo e la sua qualità statica, risulta la componen-te strutturale più consistentemente attestata nelle indagini archeologiche, ma la generi-cità delle definizioni non sempre consente di stabilire il tipo litico e, di conseguenza, rischia di fornire un quadro omogeneamente indistinto di materiali lapidei, minimizzan-do differenze che, al contrario, possono ri-

    I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica

    a Cartagine

    di antonella mezzolani

    Abstract. The aim of the article is to provide a general survey of the various types of building stone used in the construction of Carthage in the Phoenician and Punic period, devoting particular attention not only to the contexts in which they are found but also to the quarries exploited by the North African metropolis.

    The extensive use of sandstone is attested since the earliest phases in the history of the city. Yet this usage is characterized by some diversification of quarrying sites depending on the particular function to which it was put as building material. The evidence shows that sandstone was quarried in peri-urban areas of Carthage (quarry of Amilcar) for stones of irregular size used in the construction of rubble walls, whereas the quarries of Cape Bon (the peninsula in northeastern Tunisia pointing towards Sicily) seem to have been exploited for more imposing blocks. A further differentiation can be deduced from the use of coloured limestone. This type of stone comes from more remote quarries than those ascertained for sandstone; its use, moreover, was limited to decorative elements; and the chronological period in which it was mainly used is once again the late-Punic phase. The use of limestone, and the location of the quarries from which it was extracted, show that the metropolis during this period was able to draw on the resources of a more extensive hinterland and develop greater refinement in the carving of decorative elements. Apart from the types of stone used and the quarries exploited, the author also devotes a rapid survey to how quarries were organized and how connected with operations on building sites, which, unfortunately, remain for the most part unknown, in the absence of more detailed literary or epigraphic evidence.

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    sultare utili per verificare moduli di gestio-ne e sfruttamento delle risorse territoriali e comprendere al meglio il fenomeno edili-zio. Ugualmente poco consistenti sono, per l’epoca punica, le indicazioni relative ai me-todi di estrazione dei materiali litici, all’or-ganizzazione del lavoro nelle cave, alla loro condizione giuridica e amministrativa, al ruolo delle maestranze e delle committen-ze, ma con questa nota, che si basa sostan-zialmente su dati pubblicati e non ha potuto usufruire di analisi petrologiche specifiche in grado di connettere i materiali edilizi rin-venuti a Cartagine con cave ben individuate, analisi che d’altronde non sono mai state ef-fettuate sistematicamente,4 si tenterà quanto meno di definire i contorni della questione e di individuare eventuali linee di ricerca da sviluppare.

    Litotipi e attestazioni archeologicheIn base ai dati provenienti dagli scavi ef-fettuati a Cartagine, appare subito evidente come l’arenaria, per le sue caratteristiche di duttilità al taglio e per la facile reperibilità nei territori limitrofi al sito, sia stata uno dei materiali lapidei impiegati con più frequen-za in epoca punica nelle costruzioni, siano esse domestiche o pubbliche: la realtà che emerge dai dati di scavo, però, presenta un panorama più variegato rispetto al quadro proposto da J. Cintas5 e soprattutto non con-sente di collegare in maniera univoca un tipo litico ad una precisa funzionalità della strut-tura, soprattutto per il consistente fenomeno del reimpiego e delle ricostruzioni, che muta la funzionalità strutturale e svincola il mate-

    riale litico dalla sua originaria impostazione. A Cartagine, dunque, si può rilevare la pre-senza di vari tipi di arenaria, come ad esem-pio un tipo locale, di vario colore, che ancor oggi si vede sulla costa di Amilcar, tra Car-tagine e Sidi Bou Said:6 la pietra provenien-te da questa zona, di costo non eccessivo per la facile reperibilità e la vicinanza alla città, di agevole lavorazione, ma di resa indub-biamente non elevata, risulta impiegata per conci non lavorati, che formavano in genere i paramenti d’intervallo fra gli ortostati di maggiori dimensioni nell’opus africanum e che in grande quantità si sono rinvenuti nel-lo strato di crollo del quartiere di Byrsa o, anche, negli edifici del settore costiero;7 dal-la crosta calcarea di Capo Gammarth, area sempre molto vicina alla città, sembrano provenire, invece, le pietre malamente sboz-zate impiegate negli apparati delle abitazio-ni arcaiche sottostanti al grande edificio pu-nico in rue Ibn Chabâat.8

    Di maggiore impegno economico e nel contempo garante di maggiore stabilità strut-turale era invece l’arenaria di El Haouaria9 e, più genericamente, del Capo Bon,10 utiliz-zata soprattutto per ricavare blocchi regolari di grandi dimensioni oppure lastre: l’impie-go di arenaria di El Haouaria è confermato in tutti i settori di scavo che nella metropoli cartaginese hanno interessato livelli fenici e punici.

    Sin dalle fasi arcaiche, lastre di questo materiale risultano utilizzate nella costru-zione di tombe, sia del tipo costruito, sia di quello a cassone,11 mentre nelle abitazioni, in genere, risulta menzionata la presenza di

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    apparati in opus africanum, senza ulteriori specificazioni sul tipo litico dei ritti vertica-li,12 benché una individuazione più precisa di arenaria di El Haouaria sia stata proposta per frammenti di dimensioni non ridotte in un riempimento connesso alla fase di un edi-ficio abitativo dell’ultimo quarto del VII sec. a.C.;13 infine, lastre in arenaria di El Haou-aria sono state impiegate per il rivestimento di un pozzo nel settore delle abitazioni ar-caiche scoperte in rue Ibn Chabâat.14

    Nelle fasi successive, l’impiego di que-sta arenaria trova documentazione anche in costruzioni monumentali, come il muro ma-rittimo indagato dalla missione tedesca,15 il grande edificio pubblico, interpretato come tempio, di rue Ibn Chabâat,16 o le darse-ne del porto circolare,17 nella sistemazione dell’impianto stradale,18 nelle strutture abi-tative per gli ortostati delle murature in opus africanum19 e sotto forma di blocchi per pie-dritti d’ingresso, nelle infrastrutture idrauli-che20 e, soprattutto, in elementi architettoni-ci isolati e rifiniti in stucco, come basi e fusti di colonne, pilastri, capitelli e cornici a gola egizia o a becco di civetta.21 Oltre a ciò, i blocchi già tagliati di El Haouaria furono di sovente reimpiegati in fase tardo-punica nel-la ristrutturazione delle aree residenziali.22

    Se l’arenaria, dunque, pare essere il ma-teriale litico più largamente impiegato a Cartagine punica, diverso risulta invece l’impatto dei calcari,23 generalmente più im-pegnativi per operazioni di taglio, attestati in maniera assai sporadica nelle murature e utilizzati, piuttosto, per soglie, vere di pozzo o elementi di decorazione architettonica.

    Un calcare grigio, talvolta con venature verdi e rosse, ritenuto originario o del Dje-bel Djemâa24 o del Djebel Bou Kornine,25 pare utilizzato in soglie e puteali individuati nel Quartier Hannibal26 e nell’abitazione tardo-punica in rue Astarté27 alle pendici della collina di Byrsa, così come nel settore indagato dall’Università di Amburgo28 e nel Quartier de Magon.29

    Quanto ad altri calcari colorati (sub-mar-mi) o marmi, componenti architettoniche e decorative in tali materiali30 si sono ritrova-ti, sebbene in misura ridotta, nelle ville del settore residenziale costiero e nell’area del grande edificio pubblico in rue Ibn Chabâat: sono tornate alla luce, dunque, basi di colon-ne, zoccoli modanati e profili in marmo nero di Thala31 e in marmo giallognolo del Djebel Ichkeul,32 così come una base di colonna in marmo grigio-rosa.33

    Infine, altre attestazioni di calcare sotto forma di schegge o tessere si rinvengono in manifestazioni al tempo stesso funzionali e decorative, come i piani pavimentali:34 così pavimenti in cementizio (c.d. opus signi-num), a schegge litiche (o terrazzo alla ve-neziana), a tessere fittili poste in piano (c.d. opus figlinum) e, ancora, tessellati per lo più monocromi, ma talvolta con semplici deco-razioni policrome, sono ravvivati dall’inser-zione di elementi in calcari colorati. Il cal-care/marmo più attestato per le inserzioni di schegge o tessere e per i mosaici pavimentali è quello di colore bianco,35 ma non mancano esempi di calcare rosato,36 forse originario del Djebel Rouass37 e, soprattutto, di calca-re nero,38 per lo più proveniente dal Djebel

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    Aziz,39 nei pressi di Thuburbo Maius, o in alternativa attribuibile al giacimento di Ain el-Ksir, nei pressi delle più famose cave di Chemtou.40 Schegge in calcare nero si sono individuate in pavimenti a terrazzo del Quar-tier Magon,41 mentre tessere regolari dello stesso colore compaiono come elemento de-corativo in lacerti pavimentali di tessellati bianchi provenienti sempre dallo stesso set-tore residenziale.42 Ancora, tessere in calcare nero ravvivano l’ordito di una soglia a fon-do bianco nell’abitazione C4, del Quartier Hannibal,43 così come una combinazione in cubetti neri, bianchi e rossi costituisce la de-corazione a triangoli dentellati nel pannello di soglia tra due vani, presumibilmente adi-biti a sala da bagno, dell’abitazione tardo-punica di rue Astarté.44 Sempre calcare nero compare nella fascia a scacchiera bicolore che delimita un pavimento in tessere fittili nell’abitazione indagata da J. Renault,45 men-tre una banda in tessere bianche, rosse e nere sottolinea un lacerto pavimentale, anch’esso in tessere fittili, esposto al Musée National de Carthage.46 Infine, tessere in calcare nero si alternano a tessere bianche in un picco-lo riquadro a scacchiera, posto al centro di un pavimento in cementizio, rinvenuto nel corso degli scavi a Bir Massouda e ancora inedito, mentre un quadrato in tessere calca-ree nere costituisce il centro dell’emblema geometrico in posizione centrale all’interno di un pavimento in tessere fittili nello scavo sul Decumanus Maximus dell’Università di Amburgo.47

    Due manufatti singolari sono stati recu-perati nel Quartier Magon, nello strato di

    pianificazione augustea (RBPS) e anch’essi testimoniano l’impiego di calcare nero: si tratta di un disco con solchi concentrici in cui sono inserite tessere marmoree bianche48 e di un frammento di lithostroton, in cui un nucleo spezzato di marmo nero del Djebel Aziz, con altri framenti litici, si compone in una superficie estremamente lucida.49

    Le cave: sistemi di estrazione e organizza-zione del lavoroSe, a Cartagine, il materiale litico per ap-parati murari a conci grossolani è reperito nelle immediate vicinanze del sito (Amilcar, Gammarth), per blocchi di arenaria di mag-giore impegno volumetrico o per elementi decorativi di supporto ci si è rivolti, come si è visto, a giacimenti non sempre immediata-mente limitrofi, come nel caso delle cave di El Haouaria.

    Queste ultime, cui probabilmente si rife-riscono i laconici accenni topografici del-le fonti classiche,50 trovano collocazione in un’ampia formazione würmiana litoranea, sfruttata sistematicamente in antico, fino a quando l’evoluzione del litorale, con conse-guente arretramento della costa, non ha im-pedito la possibilità di estrazione sul fronte di cava (Fig. 1). Sebbene tutta la costa del Capo Bon sia interessata da giacimenti di arenaria, a partire da Menzel Temime fino a Sidi Daoud,51 ciò che pare distinguere le cave di El-Haouaria, individuate più preci-samente nella località di Rhar el-Kebir, è la tecnica estrattiva applicata al giacimento, sfruttato non secondo il più usuale sistema “a cielo aperto”, bensì attraverso una colti-

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    vazione sotterranea: grandi camere ipogei-che, accessibili attraverso pozzi a sezione quadrangolare, s’incuneavano in profondità nel giacimento litico, inizialmente senza

    comunicazione reciproca.52 Sebbene siano rimasti in loco anche bloc-

    chi sommariamente sbozzati e non distaccati in maniera definitiva, non sembra possibile

    Fig. 1. Carta delle formazioni quaternarie e delle cave litoranee antiche della Tunisia (da Paskoff & Trousset 1995, 57 fig. 1)

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    datare l’epoca di abbandono delle cave, che doveva corrispondere anche in questo caso, come avviene frequentemente per le cave li-toranee, al mutamento della linea di costa; allo stesso modo, l’ipotesi di uno sfrutta-mento in epoca punica di questi giacimenti sembra avvalorato non tanto dagli elementi desumibili dal sito di estrazione, quanto dal rinvenimento di componenti afferenti a que-sta formazione litica a Cartagine in strutture indubbiamente puniche.53 La menzione di Diodoro sullo sbarco di Agatocle “nei pressi delle cosiddette Latomie”, poi, pare avvalo-rare l’ipotesi di un’attività di cava in que-sta zona quanto meno dalla fine del IV sec. a.C.

    Ovviamente le incertezze nell’ attribuzio-ne cronologica non consentono di stabilire se lo sfruttamento intensivo si sia verificato già in fase punica o sia un portato della suc-cessiva epoca romana, ma rimane comun-que da sottolineare il fatto che il sistema di estrazione attraverso escavazione di camere sotterranee non comunicanti,54 con distanza regolare dei pozzi d’accesso, da cui entrava-no gli addetti55 e venivano asportati i blocchi già tagliati, ha indotto a pensare ad una or-ganizzazione programmata e utile alla mi-gliore resa possibile, ad un più agevole con-trollo dei gruppi di lavoro e, non ultimo, ad una maggiore stabilità del tetto di cava.56 La coltivazione di cava in camere sotterranee non pare la più diffusa e trova confronto, nella regione, solo a Sidi Salem, nei pressi di Menzel Temime, dove sono state individuate gallerie sotterranee di estrazione, vicine ad una necropoli punica ipogeica;57 molto più

    diffuso il sistema di estrazione a cielo aper-to, che si vede impiegato nella stessa area di El Haouaria, ma anche nei rilievi costieri vicini a Korbous.58

    Allo stesso modo, uno sfruttamento a cielo aperto è adottato per le cave del Dje-bel Aziz59 e del Djebel Ichkeul,60 quantome-no per l’epoca romana, anche se da tali siti sembrano provenire i sub-marmi policromi utilizzati nelle case tardo-puniche di Carta-gine per elementi decorativi o schegge pavi-mentali; in entrambi i casi sono ancora ben visibili i gradini di taglio, da cui venivano asportati i blocchi. L’estrazione da cave po-teva avvenire sfruttando le linee naturali di diaclasi delle vene litiche, soprattutto quan-do non si necessitava di blocchi regolarmen-te sbozzati, ma di conci o lastre grossolane; i manufatti migliori, cioè i blocchi sbozzati regolarmente, però, si ottenevano con la la-vorazione del banco roccioso, secondo pia-ni orizzontali. In tutte le cave sopra citate si sono trovate ampie tracce di lavorazione, cioè i solchi d’incisione, che determinavano la forma del blocco, oppure i segni dei cunei innestati per distaccare i blocchi;61 le tracce lasciate dai solchi di incisione e dai gradi-ni, che rivelano l’altezza media di un’assisa di blocchi, possono consentire un approccio metrologico, in cui il dato più interessante è la prevalenza di moduli di 0.50/0.52 m e 0.45/0.46 m per l’altezza dei blocchi,62 mi-sure che corrispondono ai due tipi di cubi-to impiegati più frequentemente nel mondo punico63 e con vitale persistenza nel Nord Africa di piena epoca romana.64

    In questo panorama alquanto indefinito

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    per quanto riguarda le attestazioni puniche, un altro interrogativo che ci si può porre ri-guarda il trattamento dei blocchi, una volta che fossero distaccati dal piano di coltiva-zione: non ci sono elementi sufficienti per comprendere se i blocchi venissero rifiniti o meno e se ciò avvenisse nel luogo di estra-zione, oppure al momento del loro impiego nella costruzione. Di fatto, non pare, sulla base dei rinvenimenti in contesti punici, che il materiale da costruzione lapideo fosse og-getto di particolare finitura, tanto più che nella maggior parte dei casi la superficie era uniformemente ricoperta da intonaci bian-chi o policromi; per quanto riguarda, poi, gli elementi architettonici decorativi in calcare policromo ritrovati nelle ville puniche di Cartagine, la loro presumibile provenienza da cave sfruttate ampiamente anche in epo-ca successiva non consente alcuna conclu-sione.

    Ancora più incerta è la ricostruzione rela-tiva alla gestione delle cave in epoca punica, soprattutto in relazione al carattere pubblico o privato di queste attività di sfruttamento: in una epigrafe da Gozo, che rientra nella serie di iscrizioni che si riferiscono a costru-zioni pubbliche,65 si menziona un “ispettore/sorvegliante delle cave”,66 senza però for-nire chiare indicazioni su un eventuale ruo-lo pubblico o privato del personaggio. Per quanto riguarda i tagliatori di pietra, poi, è difficile comprendere le differenze semanti-che di una serie di denominazioni che po-trebbero interessare anche questo mestiere, ma che più genericamente potrebbero rife-rirsi anche a lapicidi, scultori, incisori.67

    Al problema della gestione produttiva delle cave di estrazione si connette la pre-senza di marchi di cava, che servivano pro-babilmente per conteggiare e identificare la provenienza dei blocchi, anche in previsio-ne del trattamento finanziario; questi marchi di cava, distinti dai segni di assemblaggio per una differente finalità, non avevano una collocazione fissa sulle diverse facce dei blocchi e dovevano risultare visibili solo fino al momento del pagamento. I marchi individuati nei blocchi di Cartagine sono in genere semplici lettere o simboli e risultano incisi o dipinti, ma è difficile comprendere eventuali diversità nell’uso delle prime o degli altri, così come non si riesce a coglie-re una possibile differenziazione tra marchi incisi o dipinti. Certo è che una distinzione tra marchi di cava, marchi dell’eventuale impresario che si occupava della costruzio-ne e segni di assemblaggio, che, almeno nei casi più monumentali, dovevano guidare le operazioni di montaggio, doveva esistere e la stessa coesistenza di più simboli e lettere, a pittura e ad incisione, sul medesimo bloc-co pare indiziare una differenza nella loro funzione: Sulla scorta di quanto si è verifi-cato per alcuni monumenti greci si potreb-be pensare che le lettere, specialmente se accoppiate, indicassero le coordinate per il posizionamento del blocco, mentre i simboli potevano essere più consoni ad un sempli-ce conteggio dei blocchi al momento della consegna;68 in ambito punico e neopunico, le lettere incise sui blocchi sono state inter-pretate sia come indicatori di assemblaggio sia come contrassegni di cava, ad esempio

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    nel caso delle mura difensive di Erice,69 Li-libeo70 e Palermo,71 o a Leptis Magna in vari edifici del Foro vecchio e del porto,72 ma anche nell’area del Mercato augusteo e nel perimetro di una domus sulla costa.73

    L’individuazione di tracce di lettere pu-niche dipinte in rosso sulla finitura in stucco bianco di un blocco reimpiegato nell’abi-tazione 4 dell’isolato C,74 induce a pensare che, almeno in questo caso, si possa trattare di una indicazione relativa all’assemblaggio all’interno dell’apparato, senza per questo concludere che tutti i simboli e lettere dipin-ti espletassero la stessa funzione. Tra i se-gni dipinti possiamo annoverare il simbolo di Tanit, i quarti di cerchio, in genere posi-zionati negli angoli, la palma e la croce di Sant’Andrea,75 oltre alle lettere,76 mentre tra quelli realizzati ad incisione compaiono le lettere puniche, spesso accoppiate, le stelle a sei/otto bracci, la croce inserita in un cerchio e la bipenne.77

    Una volta preparati e, probabilmente, marcati i blocchi dovevano essere trasporta-ti nei cantieri di costruzione; proprio per po-terli caricare su carri o, nel caso di trasporto marittimo o fluviale, su imbarcazioni, molte delle cave presentavano piani inclinati su cui si trascinavano i blocchi già preparati.78

    La nostra conoscenza sull’ organizza-zione del trasporto è, come per molti altri aspetti, del tutto carente, così che della pie-tra estratta pare perdersi ogni traccia fino al momento della sua utilizzazione negli appa-rati murari, quando una serie di epigrafi ci informano sulle costruzioni, sui diversi ruoli del personale addetto alle opere edilizie e

    sulle possibili committenze.79

    ConclusioniQuesta rassegna di attestazioni a Cartagine offre il destro per una riflessione sui sistemi di sfruttamento dei giacimenti geologici e sulle dinamiche di approvvigionamento del materiale litico: dal preliminare approccio della raccolta in superficie di pietre, o me-glio, di frammenti litici derivati dalla fran-tumazione dei banchi rocciosi ad opera di agenti atmosferici, è naturale presumere il passaggio ad uno sfruttamento organico del patrimonio litologico presente nel territorio, per un utilizzo dinamico delle risorse, in cui si rivela una capacità tecnica e gestionale che supera di gran lunga la semplice raccol-ta di superficie. Il problema di fondo, però, consiste nella difficoltà di individuare cave attive in antico, visto che il loro sfruttamen-to si è protratto fino ai giorni nostri, e, so-prattutto, nel qualificare cronologicamente, secondo fasi distinte, le tracce di estrazione antica. A ciò si aggiunga il fatto che, come si diceva nella premessa, solo in casi sporadici si sono effettuate analisi petrografiche accu-rate dei materiali da costruzione rinvenuti in contesto archeologico cronologicamente definito, con successivo confronto con cam-pioni presi dalle aree di cava presumibil-mente pertinenti, una linea d’indagine, che, al contrario, andrebbe ampliata e rafforzata, perché in grado di fornire maggiori certezze nella trattazione delle strutture già evidenti, nuove indicazioni per lo sfruttamento terri-toriale e per la cognizione tecnica e possibili acquisizioni finalizzate ad operazioni di

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    restauro.Come si è visto dai dati sopra riportati,

    pare possibile rilevare una differenza tra funzione strutturale e funzione decorati-va espletate dal materiale litico impiegato: infatti, se per apparati semplici e non par-ticolarmente monumentali si sono ricercati giacimenti geologici di facile sfruttamento e, soprattutto, vicini al sito in cui saranno utilizzati, l’approvvigionamento di materiali più pregiati o, forse, semplicemente più ap-prezzati per apparati decorativi si è indiriz-zato anche verso aree territoriali più distanti (Fig. 2), con un conseguente impegno anche dal punto finanziario, se non altro per que-stioni di trasporto.

    A conclusione di questa breve annotazio-ne basata sui dati a nostra disposizione in relazione all’impiego della pietra all’interno delle realizzazioni strutturali di Cartagine, si possono proporre due rapide considerazioni: nella metropoli punica, il tipo litico che pare predominare è l’arenaria, che pur con le dif-ferenze di taglio e trattamento derivate dalle peculiarità litologiche di ciascun giacimen-to, compare costantemente nelle murature e fornisce la base per elementi architettonici decorativi come colonne, pilastri o capitelli, rifiniti in stucco bianco o, talvolta, policro-mo; i vari tipi di calcare, invece, sembrano trovare un’applicazione minore nelle rea-lizzazioni murarie, essendo riservati per la fattura di componenti accessorie come le soglie o le vere di pozzo e, nel caso di cal-cari colorati o marmi, di elementi decorativi e inserzioni pavimentali. Dal punto di vista cronologico, mentre l’arenaria, anche pro-

    veniente da cave non esattamente vicine a Cartagine, compare sin dalle fasi più anti-che, i calcari colorati sono generalmente ri-feribili a manufatti di epoca tardo-punica; su questa base si potrebbe presumere che l’intenso utilizzo di arenaria abbia condotto ad uno sfruttamento dei giacimenti di gran-de impatto sul contesto geomorfologico, mentre la quantità assai limitata dei calcari potrebbe indiziare un’attività circoscritta e non ancora costante di estrazione, quasi un primo stadio d’intervento sulle risorse li-tologiche di un territorio, che si configura, però, arealmente più ampio rispetto a quello interessato dalle cave di arenaria. In maniera ipotetica, si potrebbe legare questa differen-ziazione sia alla questione del rapporto col territorio (nelle fasi più antiche connessione più stretta con aree limitrofe quali il Capo Bon, nelle fasi tarde ampliamento dei baci-ni di approvvigionamento fino alla regione di Thuburbo Maius, forse conseguenza di un controllo diretto da parte della metropoli punica di tali territori), sia alla prospettiva di una elaborazione del gusto architettonico più incline a modelli ellenistici.

    La seconda annotazione, infine, riguarda l’aspetto tecnico e, al contempo, economi-co, che presiede all’attività estrattiva: se le cave stesse possono indicare l’approccio allo sfruttamento del patrimonio geologico di una regione, è da sottolineare il principio di eco-nomia e qualità che sembra determinare la scelta dei materiali.80

    La facilità di reperimento e un costo cer-to minore facevano prediligere pietre rela-tivamente morbide e non necessariamente

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    Fig. 2. Carta dei giacimenti di calcari colorati (sub-marbles) in territorio cartaginese (da Bullard 1978, fig. 1. Copyright Kelsey Museum, University of Michigan).

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    sbozzate per apparati murari, che spesso, però, richiedevano ortostati, catene d’ango-lo o montanti di soglie più solidi, costituiti generalmente da blocchi regolarmente sboz-zati e di maggiore impegno volumetrico, per ottenere i quali, staticamente più solidi an-che se di maggior prezzo, ci si rivolgeva a cave anche non immediatamente adiacenti, come nel caso di El Haouaria. Non si è in grado di comprendere come la costruzione fosse programmata, cioè, in questo caso, chi scegliesse i materiali per le strutture murarie e attraverso quali tramiti li si potesse otte-nere; certo è che un circuito commerciale e organizzativo doveva connettere le cave di

    estrazione, gli addetti al trasporto e i com-ponenti del cantiere di costruzione. Di tutto questo percorso, purtroppo, a noi sono note solo alcune tappe, cioè l’attività estrattiva e la realizzazione edilizia, mentre ci sfugge del tutto, almeno per ora, l’organizzazione amministrativa delle cave, i meccanismi di vendita e trasporto del materiale, il ruolo delle maestranze e delle committenze nella realizzazione strutturale.

    Antonella Mezzolani, Dott.ssaVia E. De Nicola, 3

    I-61100 [email protected]

    BIBLIOGRAPHY

    Le abbreviazioni utilizzate per le riviste periodiche sono conformi alla lista proposta da Hermann, W. et al., Archäologische Bibliographie 1993 (Deutsches Archäologisches Institut) Berlin 1994.

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    NOTE

    1 Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 166: “E reliqua multitudinem lapidum tofus aedificiis inutilis est mortalitate, mol-litia. Quaedam tamen loca non alium habent, sicuti Carthago in Africa. Exestur halitu maris, friatur vento, euer-beratur imbri. Sed cura tuentur picando parietes, quoniam et tectorii calce eroditur, sciteque dictum est ad tecta eos pice, ad uina calce uti, quoniam sic musta condiunt” (ed. Les Belles Lettres 1981).

    2 Per i materiali utilizzati a Cartagine e per le risorse geologiche nelle immediate vicinanze della città, cf. Cintas 1959, 137-139; Bullard 1978, 3-25.

    3 Ad esempio per le cave litoranee Slim et al. 2004, 258-263, mentre per le potenzialità odierne di sfruttamento dei giacimenti di marmo Gaied et al. 2000.

    4 Un progetto FIRB su “Marmi antichi dell’Africa Proconsolare e della Mauretania: studi archeometrici archeo-logici e storici”, recentemente attivato e coordinato da P. Pensabene Perez, vede impegnati il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza” di Roma, il Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi del Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università Iuav di Venezia, l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del C.N.R. Sebbene le linee di ricerca del progetto siano più indirizzate alla fase romana di estrazione e utilizzo dei marmi, è plausibile (e auspicabile) che anche la precedente epoca punica venga presa in esame.

    5 Nel corso di uno studio preliminare J. Cintas ha proposto una distinzione nell’impiego di pietre diverse come materiali di costruzione a Cartagin, supponendo che in epoca punica il tufo venisse utilizzato per opere ordina-rie, l’arenaria conchiglifera per edifici pubblici, porte cittadine e opere difensive e il calcare bianco come sup-porto per iscrizioni: Cintas 1959, 139

    6 Per questi giacimenti, Bullard 1978, 4-10; Rakob 1984, 15-16.7 Le menzioni di conci non lavorati in arenaria sono numerosissime, ma non si trova mai una precisa identificazi-

    one del giacimento litico: per questo motivo, l’attribuzione al giacimento di Amilcar può essere solo ipotizzata, vista la poca distanza di questo giacimento da Cartagine. Per le costruzioni sulla collina di Byrsa, cf., a titolo esemplificativo, Lancel & Thuillier 1979, 226-228; anche nel settore delle ville sulla costa manca una precisa identificazione del litotipo cui riferire conci di dimensioni ridotte e poco lavorati.

    8 Rakob 1995, 437.9 Si impiega la definizione di “arenaria”, che in qualche caso è definita “à ciment calcaire” (Slim et al. 2004,

    258), anche se, talvolta, il materiale proveniente da El Haouaria è definito Foraminiferkalk o calcaire à fora-minifères.

    10 Arenaria del Capo Bon (forse dalle alture litoranee del Korbous) viene citata per i blocchi di notevoli dimensioni delle fondazioni del muro marittimo e per i muri perimetrali delle insulae del quartiere costiero di Cartagine: Rakob 1984,16.

    11 Per la copertura delle tombe a fossa erano utilizzate, secondo H. Benichou-Safar, pietre locali, come il teffaz dell’istmo, il tufo della Soukra e l’arenaria conchiglifera di El Haouaria: Benichou-Safar 1982, 98. Nella ne-cropoli rinvenuta sotto il Quartier Hannibal sulla collina di Byrsa, si è segnalato un grande apparato in lastre di arenaria di El Haouaria probabilmente pertinente ad una grande tomba costruita (Lancel 1982c, 148), mentre lo stesso materiale pare utilizzato anche per tombe a cassone, tutte della metà del VII sec. a.C. circa (A. 194; A. 195 e 196; forse A. 128): Lancel & Thuillier 1979, 191-192; Lancel 1982d, 298-300, 301. Sempre sulla collina di Byrsa, vicino alla cattedrale di Saint-Louis, è stata individuata una tomba a camera in blocchi di El Haouaria attribuibile all’incirca all’ultimo quarto del VI sec. a.C.: Morel 2001, 241-245. Nell’area di Bordj Djedid, per alcune tombe a cassone di età punica risultano impiegate lastre in pietra di El Haouaria: cf. Vernaz 1887, 153.

    12 Cf., ad esempio, Niemeyer et al. 1993, 201-244. 13 Fase IVa della casa I: Docter et al. 2006, 88, Abb. 25 (Schicht IVa, 4). 14 Rakob 1991a, 55.15 Hurst 1994a, 48; Rakob 1984, 10; Rakob 1987, 335-336; Stanzl 1991b, 211.

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    16 Blocchi crollati degli apparati murari del grande edificio e lastre per la pavimentazione del cortile, oltre a vari elementi architettonici per i quali si daranno indicazioni in seguito: Rakob 1989, 174, 184; Rakob 1991a, 57, 58, 64, 68; Rakob 1995, 438.

    17 Hurst 1975, 19; Hurst 1979, 26, 30; Hurst 1994a, 33, 48.18 Per esempio nei gradini della rue II del Quartier Hannibal (Lancel 1982a, 32) o nel lastricato che copriva la

    Weststraße nel settore residenziale sotto il Decumanus Maximus: Docter et al. 2006, 160.19 Per il Quartier Magon, Stanzl 1991b, 211-212. Per il Quartier Hannibal, sulla collina di Byrsa, non si sono

    trovate precise indicazioni di arenaria di El Haouaria utilizzata per ortostati della muratura in opus africanum, ma è molto probabile che questi, ancor oggi visibili, siano stato tagliati in tale pietra, o, più genericamente, in arenaria del Capo Bon. Anche nell’abitazione tardopunica di rue Astarté alcune murature hanno usufruito di ritti verticali in arenaria conchiglifera di El Haouaria: Chelbi 1980, 33, 37.

    20 Lastre di arenaria da El Haouaria eramo impiegate per le coperture delle cisterne: si veda, ad esempio, Schmidt 2006, 211.

    21 Blocchi di grande apparato e elementi architettonici in arenaria di El Haouaria nel settore B dello scavo della missione francese a Byrsa, probabilmente riferibili ad uno o più edifici monumentali, distrutti sistematicamente forse durante la pianificazione augustea: Morel 1982, 182-89. Un altro ammasso di blocchi ed elementi architet-tonici in arenaria di El Haouaria sono stati individuati nell’area libera (strada o piazza) ad est degli isolati C ed E: Thuillier 1982b, 159, 160 fig. 197. Infine, altri elementi architettonici, come basi, pilatri e colonne, capitelli dorici, ionici, ed eolici angolari, gole egizie e cornici a becco di civetta sono stati recuperati in vari settori della città, in particolare dal Quartier Hannibal e dall’edificio tardopunico di rue Ibn Chabâat, oltre che da rinveni-menti sporadici. Per un’analisi architettonica e per i riferimenti bibliografici precedenti si rimanda a Ferchiou 1989, 65-66, 77-82 (capitelli dorici); 83, 94 (capitelli eolici); 119, 124-127, 139 (capitelli eolici). Per elementi architettonici con nucleo in arenaria di El Haouaria dall’area del porto, cf. Merlin 1912, 283; Hurst 1994b, 291.

    22 Per il reimpiego di blocchi afferenti al muro marittimo e utilizzati per la limitazione delle insulae del II sec. a.C., Rakob 1984, 10. Anche nel quartiere di abitazioni puniche della collina di Byrsa si potrebbe ipotizzare un fenomeno di reimpiego di blocchi pertinenti a costruzioni architettonicamente più imponenti: cf. Ferron & Pinard 1960-1961, 97, dove si menziona la possibilità di blocchi reimpiegati nell’isolato C, alcuni dei quali con tracce di lettere puniche dipinte in rosso e marchi di cava (bipenne?).

    23 Per definire lo stesso tipo di pietra si utilizzano sia il termine “calcare” sia quello di “marmo”, il che ha origine nel fatto che alcuni dei calcari utilizzati, una volta lucidati, per la loro forte percentuale cristallina, possono assumere un aspetto simile a quello del marmo. La definizione di sub-marble è applicata ad alcuni calcari che trovano attestazione anche in epoca punica a Cartagine da Bullard 1978, pp.18-21

    24 Lancel & Thuillier 1979, 231 nota 28, per una soglia ed una vera di pozzo (isolato C, unità abitativa 4) in calcare grogio venato per il quale si propone ipoteticamente un’origine dalle cave del Djebel Djemaâ, in epoca punica utilizzato di preferenza per le stele: Ferron 1975, 70.

    25 Rakob 1991b, 225.26 Oltre alla soglia e al puteale nell’abitazione 4, isolato C, già menzionati, in calcare grigio è la soglia d’ingresso

    dell’abitazione E1, mentre, nella stessa unità abitativa, un altro tipo di calcare, bianco e a grana fine, è stato impiegato in una soglia monolitica interna: Lancel 1982b, 125. Di un calcare bianco a grana fine scrive anche J. Cintas, ma riferendosi in particolare ad uno sfruttamento di epoca romana e attribuendo per l’epoca punica a questo tipo litico la funzione di supporto di iscrizioni nelle stele del tofet: cf. Cintas 1959, 138-39.

    27 Soglia, larga 1,90 m, con, in posto, gli occhi di bandella in rame e una serie di incassi per le barre verticali di chiusura: Chelbi 1980, 30.

    28 Kunze & Niemeyer 2006, 255, n° 1007.29 Rheidt 1991, 226.30 Nell’area abitativa tardopunica sita sulle pendici della collina di Byrsa si è rinvenuto anche un elemento architet-

    tonico non ricavato dalla consueta arenaria: si tratta di una base ionizzante in schisto grigio-blu, estremamente frammentaria e reimpiegata in un apparato murario: Ferron & Pinard, 1960-1961, 129, n° 320, pl. LI; Ferchiou

  • i mateRiali lapidei nelle costRuzioni di età fenicia e punica a caRtagine 23

    1989, 28 (N° I. II. A3).31 Nell’area del Quartier Magon, si sono recuperati tre frammenti di una base in calcare nero venato di giallo-

    arancio e attribuito alle cave di Thala: Stanzl 1991a, 47. Altre basi in marmo nero, attribuito alle cave di Thala, sono state recuperate anche nel settore di rue Ibn Chabâat: Rakob 1989, 183; Rakob 1995, 432 Taf. 119, 3. Per cave di Thala si è inteso, forse, il giacimento del Djebel Boulahnèche, che ancor oggi fornisce un calcare nero con venature bianche e/o rosse e che viene identificato commercialmente come Thala noir: Gaied 2000, 38. Occorre anche dire che questo marmo non differisce molto, almeno ad un esame macroscopico dal calcare nero del giacimento di Ain El Ksir, nei pressi di Chemtou, quindi non si può escludere la provenienza da questa regione, fondamentale snodo viario da verso Hippo Regius e Tabarka: Rakob 1991b, 225. Per il giacimento di Ain El Ksir: Röder 1993, 52-53.

    32 Un frammento di zoccolo profilato e di una base ionico-attica sono stati recuperati nello strato di pianificazione augustea sovrapposto al Quartier Magon: Rakob 1991b, 225, Abb. 48, 49; Rakob 1995, 430, in particolare nota 52, in cui si sostiene che in base al materiale ceramico tale giacimento era presumibilmente sfruttato già in epoca tardopunica. Per le cave del Djebel Ichkeul e la varietà di marmi ivi reperibile, cf. Ferchiou 1980, 130-35; Röder 1993, 18-19. Il marmo estratto da queste cave è cromaticamente assai vicino al famoso marmor numidicum di Chemtou, il cui sfruttamento inizierà solo nella seconda metà del II sec. a.C.

    33 La base è stata ritrovata in un’area abitativa di carattere apparentemente modesto, contestualmente a più usuali elementi architettonici in arenaria di El Haouaria, rivestiti da stucco bianco: Rakob 1987, 9.

    34 “Pavimenta Poenica marmore Numidico constrata”, così Festo spiega ai suoi lettori che cosa debba intendersi per pavimenti punici, riportando un’invettiva di Catone contro il lusso delle ville romane piene di decorazioni “maximo opere citro atque ebore atque pavimentis poenicis”. Per l’esame filologico del passo si rinvia alle osservazioni di Bruneau 1982, 639-655 e Gaggiotti 1988, 215-228, sottolineando come quest’ultimo autore ab-bia letto nel brano una possibile conferma di uno sfruttamento delle cave di Chemtou in epoca cartaginese, in consonanza con quanto già proposto da Gsell 1972, 50. Di diversa opinione Moscati 1972, 490-491; Dunbabin 1978, 180 nota 25; Bruneau 1982, 649-51.

    35 La provenienza di questo marmo bianco impiegato per i tessellati non è mai stata provata, ma, secondo Rakob, sulla base della tessitura macrocristallina si potrebbe pensare ad una importazione dal Mediterraneo orientale, per quanto esista in territorio algerino una vasta area di cave di marmo bianco a grana fine, nel Djebel Filfila: Rakob 1991b, 225. Filoni bianchi superficiali si trovano anche accanto a cave di calcari colorati, ma non ne è provato lo sfruttamento in epoca così antica.

    36 Rakob 1991b, 222, 225.37 Bullard 1978, 18.38 Per alcuni calcari di colore nero in Tunisia, denominati neri antichi, si veda ora Fornaseri et al. 1995, 238-39;

    Agus et al. 2006; Lazzarini et al. 2006. 39 Sulle cave antiche del Djebel Aziz, cf. Ferchiou 1973, 633-42. Per la composizione e le caratteristiche di questo

    calcare (sub-marmo), cf. Bullard 1978, 18-19. 40 Röder 1993, 52-53. 41 Rakob 1991b, 221-222.42 Rakob 1991b, Farbtaf. 70, 21: esempio di tessellato bianco con tessere in calcare nero disposte in ordine sparso,

    dalla casa III. 43 Lancel & Thuiller 1979, 235 nota 4244 Chelbi 1980, 32-3345 Renault 1912, 364.46 Chelbi 1985, 82-84: il pavimento sigilla uno strato di IV sec. a.C.47 Il pannello geometrico, in cui ad un quadrato centrale in tessere nere, segue una fascia in bianco, circondata da

    una banda a scacchiera bianca e rossa, a sua volta rifinita da un’alta fascia bianca, appartiene alla stanza E della casa Isud, fase VIII (circa 250-146 a.C.): Schmidt 2006, 207-209.

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    48 Rakob 1991b, 223, Abb. 47, Taf. 53 d-g. 49 Rakob 1981, 129, Taf. 62, 6; Rakob 1991b, 222. 50 Diodoro XX, 6, 3; Strabone Xvii, 3, 16.51 Tutta la costa del Capo Bon, in cui si localizzano anche le cave di El Haouaria, rientra nelle formazioni eoliche

    würmiane che forniscono un’arenaria a cemento calcareo, di grana più o meno grossolana, di colore che va dall’ocra al giallastro, con forte percentuale di residui conchigliferi, dalla cui alterazione deriva il caratteristico aspetto vacuolare: per le formazioni quaternarie litoranee in Tunisia e per la cave di sfruttamento in antico, Paskoff & Trousset 1995, 57-66; Slim et al. 2004, 258-263.

    52 Cf. Rakob 1984, pl. 14-16. 53 In via ipotetica J. Röder ha indicato come possibile l’epoca tardo-punica per lo sfruttamento di queste cave, più

    intensamente utilizzate nei periodi successivi: “Zur Altersfrage geben die brüche auf Anhieb wenig her. Sie gle-ichen sehr den Brüchen der Mareotis. Doch machen sie im allgemeinen einen urtümlicheren Eindruck. Ich halte bei allem Vorbehalt, der bei solchen noch nicht Denkmälern angebracht ist, ein punisches bis frührömisches Alter für möglich”: Rakob 1984, 22 nota 46. Secondo Guérin, la somiglianza tra queste cave sotterranee e instal-lazioni simili da lui osservate in Palestina poteva costituire un indizio per l’ipotesi di un loro funzionamento in epoca punica: cf. Guérin 1862, 226-228.

    54 Cf. Rakob 1984, pl. 14-16.55 Delle tacche incise sulle pareti perpendicolari dei pozzetti d’ingresso alle camere sotterranee dovevano servire

    per l’ingresso e l’uscita dei cavatori e rievocano sistemi simili visibili nei pozzi d’attingimento idrico, così come nei pozzi di discesa alle tombe: cf. Rakob 1986, fig. 27.

    56 Per quanto riguarda la quantità totale che si può presumere estratta dalle cave di El Haouaria, unificando sia quelle sotterranee sia quelle a cielo aperto circostanti, si è parlato di 250.000 mc circa: Rakob 1984, 19.

    57 Fantar 1984, 287.58 Cf. Rakob 1984, 22.59 Ferchiou 1973; il giacimento di marmi grigio-chiaro e nero sembra sfruttato in maniera intensiva in età romana

    per manufatti che si sono localizzati a Thuburbo Maius, Uthina, Mactar, Dougga e Cartagine.60 Ferchiou 1980, 130-35. I marmi estraibili da questa area sono bianco-grigi e policromi. Lo sfruttamento in

    antico è sicuro solo per le vene policrome, mentre per quelle bianco-grigie c’è solo l’apporto della tradizione orale.

    61 Generalmente il blocco veniva definito su tre lati da un solco inciso a piccone; una volta che i blocchi erano così inquadrati si procedeva al distacco dal piano di fondo o con l’incisione di un solco inferiore o con l’inserzione di un cuneo che, in seguito ad un colpo ben assestato, procurava la frattura in piano. In alcuni casi venivano impiegati cunei di legno, conficcati a distanza regolare sulle linee di definizione del blocco e, poi, bagnati, in modo tale che l’espansione del legno inumidito provocasse il distacco del manufatto: Kozelj 1988, 39. In tutte le cave in esame, fossero esse a cielo aperto o in galleria sotterranea, si sono trovate tracce dei solchi d’incisione e/o dei cunei: cf. Rakob 1984, 18-19, 21 Abb. 3 (El Haouaria); Ferchiou 1973, 642 (Djebel Aziz).

    62 Cf. Ferchiou 1973, 642; Paskoff & Trousset 1995, 63.63 Cf. Jodin 1975; Acquaro 1991, 549-58. Per mensa mensuraria da Leptis Magna, in cui compare il cubito di

    51,55, attribuito alla cultura fenicia e punica, in correlazione con il piede greco-romano e il braccio tolemaico: Joppolo 1967, 89-98.

    64 Per la continuità d’impiego dei moduli metrici punici in Nord Africa in epoca romana imperiale: Barresi 1991, 479-502.

    65 Sznycer 1991, 71; Sznycer 1995, 20.66 Cf. C.I.S. I, 1327; Amadasi Guzzo 1967, Malta 6, 23-25. 67 Bonnet 1990, 118-121.68 Martin 1965, 222-224.

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    69 Cf., da ultimo, Zirone 2003, 1358 nota 7, 1370.70 Di Stefano 1993, 22, 54 tav. I, 2.71 Di Stefano 1998, 87 fig. 4, 88.72 Romanelli 1925, 77; Joppolo 1967, 89, 91 fig. 2, 96 fig. 573 Tomasello & De Simone 2005, 331-342.74 Ferron & Pinard 1960-1961, 97, pl. VIII fig. 1; altri blocchi, sempre reimpiegati nella stessa struttura, hanno

    mostrato invece marchi di cava incisi (dalla nota parrebbe di comprendere che si tratti di bipenne).75 Merlin 1912, 281-82.76 Morel 1991, 38 per una lettera punica incisa e due dipinte che compaiono sullo stesso blocco.77 Merlin 1912, 281-283 (lettere puniche incise); Thuillier 1982a, 74 nota 37 (stella inscritta in un cerchio); Morel

    1982, 184, 187 fig. 284 (cerchio e croce inscritta ad incisione); Thuillier 1982a, 79 nota 56 (ascia bipenne); Mo-rel 1982, 189 fig. 236a (blocco di trabeazione a becco di civetta, con vari segni incisi sul retro, tra cui un’ascia bipenne). Per la presenza di una figurazione di ascia bipenne a Leptis Magna, Tomasello & De Simone 2005, 341.

    78 Nel caso di cave in camere sotterranee, come quelle di El Haouaria, i blocchi erano prima sollevati all’esterno, probabilmente con l’ausilio di una capra a verricello, poi trascinati verso la riva, da dove erano caricati su im-barcazioni: Rakob 1984, 22. Il sistema che utilizza cammini di evacuazione in pendío sembra comune a tutte le cave litoranee della costa tunisina: Paskoff & Trousset 1995, 61-63.

    79 Sui testi relativi a costruzioni pubbliche, in cui sono indicati i ruoli delle maestranze, Sznycer 1991, 69-81.80 L’adattamento delle tecniche edilizie ai materiali locali sembra un principio irrinunciabile nelle regioni nord-af-

    ricane in epoca preromana e, d’altronde, è fortemente sottolineato anche nelle prescrizioni di Vitruvio, De Arch., I, V, 8: “De ipso autem muro, e qua materia struatur aut perficiatur, ideo non est praefiniendum, quod in omnibus locis, quas optamus copias, eas non possumus habere. Sed ubi sunt saxa quadrata siue silex seu caementum aut coctus later siue crudus, his erit utendum... sic item possunt omnes regiones sui locorum proprietates habere tanta eiusdem generis utilitates, uti ex his comparationibus ab aeternitatem perfectus habeatur sine uitio muro”.