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UNA INTIMA CONOSCENZA, / DI CUI HO ASCOLTATO VOCI CHE GIUNGONO / DAL TEMPO PASSATO. / COSÌ VICINA ALLA CULLA NATIA / EPPUR MAI VISSUTA. / GIUNGE INASPETTATA. / UNA SORPRESA NELL’ERRARE FLUTTUANTE, / AMNIOTICA RICERCA IN ESSERE / CHE SFOCIA IN UNA CREATURA MAGICA. / UN COACERVO DI ENTUSIASMO, / COLORI CHE TRASMUTANO IN ARTE E GIOIA. / UMANE SENSIBILITÀ, ARTIGIANE AZIONI / DI IMMENSA QUALITÀ. / LUOGHI CHE GENERANO L’INCANTO. / E COSÌ ACCADE IL PICCOLO MIRACOLO, / A CUI TUTTI HANNO CONTRIBUITO, / AFFINCHÉ TUTTO SIA PRONTO… / AFFINCHÉ SIA STORIA DI UNA RINASCITA / CHE VIVA OLTRE LE PERSONE / E DIA UNA NUOVA LUCE CHE SIA / LA STELLA DI OGNI NAVE VAGABONDA, / UN FARO FISSO CHE SUPERA OGNI TEMPESTA, / PER L’APPRODO AL COMUNE BENE, / IN SINCERA COMUNIONE / IN CUI POSSANO DIMORARE, / IN PACE, TUTTI I BENI INDIVIDUALI / AL SERVIZIO DEL BENE COLLETTIVO. / E SE SIA, E SÌ SIA, CHE SIA ETERNA POESIA! AN INTIMATE KNOWLEDGE, / FROM WHICH I HEARD VOICES COMING / FROM THE ANCIENT TIME. / SO CLOSE TO THE NATIVE CRADLE / YET NEVER LIVED. / IT COMES UNEXPECTEDLY. / A SURPRISE FLOATING WANDERING, / AMNIOTIC RESEARCH IN BEING / THAT LEADS TO A MAGICAL CREATURE. / A JUMBLE OF ENTHUSIASM, / COLORS TRANSMUTED INTO ART AND JOY. / HUMAN SENSITIVITY, ARTISAN ACTIONS / OF IMMENSE QUALITY. / PLACES GENERATING CHARM. / AND SO THE LITTLE MIRACLE OCCURS, / TO WHICH EVERYONE CONTRIBUTED, / SO THAT EVERYTHING IS READY... / SO THAT IT IS STORY OF A REBIRTH / WHO LIVES OVER PEOPLE / AND GIVE A NEW LIGHT THAT IS / STAR OF EVERY WANDERING SHIP, / A FIXED BEACON THAT EXCEEDS EVERY STORM, / FOR BERTHING TO THE COMMON GOOD, / IN SINCERE COMMUNION / WHERE THEY DWELL, / IN PEACE, ALL THE INDIVIDUAL GOODS / SERVING THE COLLECTIVE GOOD. / AND IF IT IS, SO BE IT, LET ETERNAL POETRY BE! [PIERGIUSEPPE FRANCIONE, POETA FLUTTUANTE FLOATING POET]

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UNA INTIMA CONOSCENZA, / DI CUI HO ASCOLTATO VOCI CHE GIUNGONO / DAL TEMPO PASSATO. / COSÌ VICINA ALLA CULLA NATIA / EPPUR MAI VISSUTA. / GIUNGE INASPETTATA. / UNA SORPRESA NELL’ERRARE FLUTTUANTE, / AMNIOTICA RICERCA IN ESSERE / CHE SFOCIA IN UNA CREATURA MAGICA. / UN COACERVO DI ENTUSIASMO, / COLORI CHE TRASMUTANO IN ARTE E GIOIA. / UMANE SENSIBILITÀ, ARTIGIANE AZIONI / DI IMMENSA QUALITÀ. / LUOGHI CHE GENERANO L’INCANTO. / E COSÌ ACCADE IL PICCOLO MIRACOLO, / A CUI TUTTI HANNO CONTRIBUITO, / AFFINCHÉ TUTTO SIA PRONTO… / AFFINCHÉ SIA STORIA DI UNA RINASCITA / CHE VIVA OLTRE LE PERSONE / E DIA UNA NUOVA LUCE CHE SIA / LA STELLA DI OGNI NAVE VAGABONDA, / UN FARO FISSO CHE SUPERA OGNI TEMPESTA, / PER L’APPRODO AL COMUNE BENE, / IN SINCERA COMUNIONE / IN CUI POSSANO DIMORARE, / IN PACE, TUTTI I BENI INDIVIDUALI / AL SERVIZIO DEL BENE COLLETTIVO. / E SE SIA, E SÌ SIA, CHE SIA ETERNA POESIA!

AN INTIMATE KNOWLEDGE, / FROM WHICH I HEARD VOICES COMING / FROM THE ANCIENT

TIME. / SO CLOSE TO THE NATIVE CRADLE / YET NEVER LIVED. / IT COMES UNEXPECTEDLY.

/ A SURPRISE FLOATING WANDERING, / AMNIOTIC RESEARCH IN BEING / THAT LEADS TO A

MAGICAL CREATURE. / A JUMBLE OF ENTHUSIASM, / COLORS TRANSMUTED INTO ART AND

JOY. / HUMAN SENSITIVITY, ARTISAN ACTIONS / OF IMMENSE QUALITY. / PLACES GENERATING

CHARM. / AND SO THE LITTLE MIRACLE OCCURS, / TO WHICH EVERYONE CONTRIBUTED, /

SO THAT EVERYTHING IS READY... / SO THAT IT IS STORY OF A REBIRTH / WHO LIVES OVER

PEOPLE / AND GIVE A NEW LIGHT THAT IS / STAR OF EVERY WANDERING SHIP, / A FIXED

BEACON THAT EXCEEDS EVERY STORM, / FOR BERTHING TO THE COMMON GOOD, / IN

SINCERE COMMUNION / WHERE THEY DWELL, / IN PEACE, ALL THE INDIVIDUAL GOODS /

SERVING THE COLLECTIVE GOOD. / AND IF IT IS, SO BE IT, LET ETERNAL POETRY BE!

[PIERGIUSEPPE FRANCIONE, POETA FLUTTUANTE FLOATING POET]

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finanziamento

progetto Integrato di Comunicazione per

l’incentivazione delle attività turistiche del

Comune di San Potito Sannitico.

PSR Campania 2007/2013 – Misura 3.1.3

Progetto Integrato Rurale per le Aree

Protette (PIRAP) presentato dal Parco

Regionale del Matese.

D.I.C.A. prot. 0370078 del 29/05/2014 del

dirigente del U.O.D. del servizio territoriale

provinciale di Caserta della Regione

Campania

patrocinio

Mi.B.A.C. (CICI Film Festival)

Comune di San Potito Sannitico

catalogo

a cura di Mario Festa, Giuliana Conte

progetto grafico e impaginazione

Vincenzo Antonio Grillo

progetto editoriale e redazionale

Mario Festa, Antonio M. Cruz Afonso

contributi scritti

Valentina Anzoise, Federica Belmonte,

Monica Carmen, Giuliana Conte, Paolo

De Falco, Mario Festa, Luciano Ricigliano,

Ass. Vaghe Stelle

foto

Giuliana Conte, Piera Riccio

traduzioni

Alesssio Della Paolera

Gianmaria Della Paolera

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ALCUNE RIFLESSIONI SOME THOUGHTS

Francesco Biondi Assessore alla Cultura di San Potito SanniticoHead of Culture of San Potito Sannitico

LE AREE INTERNE E I BENEFICI DI UN’ECOLOGIA ECONOMICATHE INLAND AREAS AND THE BENEFITS

OF ECONOMIC ECOLOGY

Associazione Ru.De.Ri

NUOVI PAESAGGI CULTURALINEW CULTURAL LANDSCAPES

Monica Carmen

SAN POTITO SANNITICO Luciano Ricigliano

FATE FESTIVALGiuliana Conte, Federica Belmonte

LABORATORIWORKSHOP

ARTE PUBBLICAPUBLIC ART

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102

106

SO

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YCICI FILM FESTIVAL

I GIARDINI IN MOVIMENTO DI SAN POTITO GARDEN IN MOTION

IN SAN POTITO

CONTRIBUTICONTRIBUTIONS

Paolo De Falco

Vaghe Stelle

Federica Belmonte

Valentina Anzoise

BIOGRAFIEBIOGRAPHIES

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Piccolo paese, paesino, paesello. Qui da noi anche il lessico

non rischia la grandezza. Il visitatore meno attento del solito

si lascia coinvolgere senza troppe resistenze dalla facile ideo-

logia del piccolo è bello: un moderato entusiasmo corredato

dalle aggettivazioni di carino, grazioso, caratteristico, tipico...

Apparentemente una rappresentazione di umiltà, sobrietà, di

misura - non a caso, si parla di “borghi” come luoghi a misura

d’uomo - che in realtà cela una profonda tensione a ridur-

re tutto ai minimi termini, verso un mare senza increspature,

piatto ed immobile che non raggiunge la sponda dell’ammi-

razione. Un piccolo paese alla fine è piccolo, punto. Un gioco

al risparmio, avido di energie e di parole.

Ma con l’edizione 2015 del FateFestival, il paese ha giocato

allo scoperto, guardandosi allo specchio e non ritrovando piú

i soliti combattuti difetti: anche le rughe di un muro di cinta

possono acquistare nuovo vigore dipinte da colori interna-

zionali; i giardini privati aperti al “pubblico incanto” diventano

agorà itinerante di nuovo umanesimo; davanti ad una video-

camera il cittadino “comune” è “protagonista” delle attenzioni

e dell’affetto del proprio paese.

Il risultato è il confronto tra le generazioni, tra le culture, il

dinamismo, lo sviluppo. Ma qui non si sta

parlando semplicisticamente di un proclamato “sviluppo del

turismo” nei termini da Bignami del politico locale, ma di una

mobilitazione cognitiva - attingendo dal dizionario politico

dell’ex ministro Barca - tra il fare arte ed un luogo, tra artisti e

cittadini/politica. Un raro slancio di energie fisiche ed intellet-

tuali che esulano dalla ordinaria amministrazione.

È evidente tra l’altro che innanzitutto senza una programma-

zione di governo sensibile alle aree interne e quindi senza una

pianificazione statale dell’occupazione e di misure di welfare

state equivalenti ogni sviluppo economico (turismo, cultura...)

arranca nel buio della solitudine tra i buoni propositi e le belle

idee.

Ma San Potito intanto ha trovato una propria ragionata reazio-

ne alla manutenzione della fine a cui sembrano destinati tanti

luoghi marginali della penisola. C’è il Fate Festival, il festival

del fare, del creare, del costriuire, un fare differente dal fare

purchè si faccia qualcosa - “governo del fare” - ma un fare che

non teme il soffermarsi, l’osservazione, l’ammirazione. “Come

Victor Hugo, nenche i giardinieri erranti oserebbero dire che il

profumo del biancospino è inutile alle costellazioni...”.

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reSmall town, little town, village. Here, even the lexicon does

not risk largeness. The least careful visitor usually gets in-

volved without too much resistance by the easy ideology

“small is beautiful”: a moderate enthusiasm accompanied by

adjectives of cute, charming, quaint, typical...

Apparently a representation of humility, sobriety, measuring

- not surprisingly, “villages” are thought as places on a hu-

man scale - that actually conceals a deep tension to reduce

everything to a minimum, to a sea without ripples, flat and still

which doesn’t reach the shore of admiration. A small town at

the end is small, period. A game of saving, hungry of energy

and words.

But with the 2015 edition of FateFestival, the country has

played with cards uncovered, looking in the mirror and with-

out finding the usual defects anymore: even the wrinkles of

a wall can gain new vigor if painted by international color;

private gardens open to the “public auction” become like itin-

erant agora of a new humanism; in front of a video camera

the “common” citizen becomes “protagonist” of his town’s

attention and affection.

The result is a comparison between generations, between

cultures, the dynamism, the development. But here We are

not simplistically speaking of a proclaimed “tourism develop-

ment” which aims to a mass affluence, but a cognitive mobi-

lization - drawing from the political dictionary of the former

minister Barca - between making art and a place among art-

ists and citizens / politics. A rare burst of physical and intel-

lectual energies that are outside the ordinary administration.

It is obvious by the way that first of all without programming a

government sensitive to the inland areas and therefore with-

out state planning employment and equivalent welfare meas-

ures, each economic development (tourism, culture...) limps

into the darkness of loneliness among the good intentions

and good ideas.

But San Potito meanwhile has found its own rational reaction

to the end’s maintenance order to which many marginal plac-

es of the peninsula seem to be set. There is the Fate Festival,

the festival of doing, creating, building, a different doing from

“doing as long as you do something” - “government of doing”

– but a doing which does not fear the dwelling, observation,

admiration. “As Victor Hugo, not even the wandering garden-

ers would dare to say that the scent of the hawthorn is useless

to the constellations...”.

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“Il mondo contemporaneo è chiamato a realizzare un nuovo

progetto paesaggistico in sintonia con la sensibilità e lo spirito

del tempo e superare, valorizzandola, con il gioco dell’imma-

ginazione, la memoria in esso presente. Le caratteristiche del

sito non derivano soltanto dalle sue peculiarità, ma dal suo

rapporto con il tempo e lo spazio, dal passato ripensato in

vista del futuro... Oggi la configurazione del paesaggio inte-

ressa soprattutto la città, il tessuto urbano, così come quello

extraurbano... Si profila il recupero del significato attivo della

contemplazione e la proposta di un’etica che non si fermi solo

all’azione di salvaguardia e tutela, ma si rivolga ad interrogare

la storia nella sua evoluzione, a formulare il progetto per il fu-

turo con l’occhio rivolto al paesaggio come luogo complessi-

vo della vita umana, nelle sue trasformazioni legate agli eventi

contemporanei, creatori di nuovi miti e nuove legittimazioni. Il

progetto considera quindi il carattere etico-normativo proprio

della funzione del mito, connessa con le forme di vita e le isti-

tuzioni sociali, che prevedono ora ambiti pluriculturali e spazi

della tolleranza. I nuovi paesaggi vengono da qui”.

M.Venturi Ferriolo, Etiche del Paesaggio.

Il progetto del mondo umano, 2003

Nonostante le forti contraddizioni del mercato globale, il

pensiero economico contemporaneo sta transitando da un

modello di economia incentrata sullo sfruttamento di risorse

primarie che ha generato (e genera ancora) materie di scar-

to non rinnovabili, ad un'economia fondata su produzioni in

grado di essere generate, utilizzate, riconvertite o riassorbi-

te dal sistema primario. Quello che le politiche comunitarie

e nazionali più avanzate cercano di promuovere, è un ciclo

economico che collabori al mantenimento delle funzioni e

dei servizi ecosistemici naturali, generalmente ignorati e privi

di un valore di mercato nell'economia tradizionale, ma che

necessitano invece di nuovi criteri di valutazione in un'ottica

di ecologia economica.

Con la progressiva consapevolezza della limitatezza e vul-

nerabilità delle risorse naturali, il “Capitale Naturale” assume

rilevanza strategica e rimette al centro delle politiche co-

munitarie il valore del paesaggio, della singolarità e identità

dei territori, in particolare di quelli non ancora intaccati dallo

sfruttamento massiccio di risorse primarie e che detengono

un alto livello di biodiversità.

Sono queste le aree - drammaticamente impoverite e pri-

vate di ingenti risorse umane a causa dello sviluppo econo-

mico-industriale che si sono “salvate” da alcuni degli effetti

degenerativi di tale sviluppo, e che oggi rappresentano la

grande scommessa per il futuro, in un’ottica di mercato

inclusiva e riferita a nuovi parametri economici (tra cui: il

valore economico del paesaggio, degli ecosistemi e della

biodiversità).

Una scommessa che per concretizzarsi, necessita di una

grande sforzo di reinvenzione culturale, di riorganizzazione

produttiva e ricollocazione geografica del singolo territorio

all'interno di una "cartografia più ampia” in grado di connet-

tere gli aspetti fisici, orografici, geografici con gli aspetti pro-

duttivi, sociali e culturali.

Da parecchi anni ormai mutevolezza e ibridità caratterizzano la

formazione degli spazi contemporanei, siano essi urbani, pe-

riferici, naturali. La divisione dello spazio in queste "categorie"

appare molto labile. Sembra si stia inaugurando una nuova

urbanità che potremmo definire "ecosistemica", la quale si

esprime in modo differente a seconda delle relazioni che ri-

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esce a tessere all'interno di un sistema globale che sta per-

dendo "il centro" e si sta trasformando in una "rete", ossia in

un sistema che relaziona molteplicità di agenti, eventi, infor-

mazioni e storie.

L'urbanità ecosistemica non si caratterizza quindi per la con-

centrazione di risorse pesanti, nè per l'edificazione intensiva.

I "luoghi" di questa urbanità si generano nei "nodi" dove av-

viene lo scambio culturale, il rafforzamento dei legami tra

sistemi produttivi locali e mercati nazionali e internazionali,

dove linnesto di nuove tecnologie di comunicazione genera

reti collaborative di sostegno e di scambi, attività ed econo-

mie innovative e dove la relazione tra Capitale Naturale e Ca-

pitale Antropico, assume un valore culturale ed economico

rilevante, sia nella gestione del territorio che nella produzione

di beni e servizi.

aree interne nuovi generatori di paesaggio, vivibilità, economia

Niente, per esempio, ci impedisce di concepire qualcosa che

non sia né città né campagna (né periferia), o dei corridoi di

metropolitana che siano al tempo stesso giardini. Niente ci im-

pedisce di immaginare un metrò in aperta campagna.”

”Perec (1974) “Espèces d’espaces”

La domanda di paesaggio che si avverte nella società con-

temporanea riflette, pur tra molte contraddizioni, il bisogno di

riprendere il contatto con i luoghi e di ri-abitare la terra, risco-

prendone i valori identitari (naturali e culturali), rispettandone

e valorizzandone le diversità.

Anche l’urgenza di un riordino della vita umana a partire dal

soddisfacimento di bisogni fondamentali (quali ad esempio

la tutela della salute, il benessere psicologico, la sicurezza

alimentare e ambientale, la necessità di generare nuovi am-

biti occupazionali) sostiene la “domanda di paesaggio” che

si avverte nella società contemporanea. Domanda che può

pericolosamente declinare verso rigurgiti nostalgici e sfidu-

cia nel futuro oppure rappresentare un’opportunità unica per

una reinvenzione culturale e riorganizzazione produttiva della

città di area vasta.

Per vivibilità invece intendiamo le diverse modalità di emer-

sione di un equilibrio sostenibile tra uomo, ambiente e risorse

economiche e culturali.

Protagoniste e fondamentale sostegno delle città di area va-

sta in quanto espressioni di vivibilità, sono le aree interne, con

il loro potenziale di creazione, ad esempio, di filiere integrate

per la produzione agricola e alimentare, per la produzione di

alcune materie prime e la loro trasformazione in oggetti do-

tati di senso contemporaneo, ossia di nuova carica simbolica

ed estetica, nonché per la realizzazione di un nuovo design di

servizi connessi all’accoglienza turistica e culturale, alla ma-

nutenzione e rigenerazione urbana e rurale del territorio.

Domanda di paesaggio, equilibrio sostenibile, vivibilità, sono i

fondamenti per lo sviluppo di un nuovo concetto di “valore del

territorio rurale”. Proprio perché il rispetto di tali fondamen-

ti in parte non è negoziabile, ne consegue un nuovo poten-

ziale “valore”, percepibile anche dalle economie di mercato

tradizionali. Azioni d’investimento e valorizzazione possono

muovere, infatti, sia dalla consapevolezza della “limitatezza

delle risorse” naturali, sia dal significato simbolico e cultura-

le che collettività e pensiero globale riconoscono a specifici

contesti, sia dalla capacità dei singoli territori di rispondere,

diffondendo e rendendo produttivo il Capitale Naturale ed il

Capitale Antropico di cui sono sia detentori che fautori.

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verso una nuova ruralità

Si sta delineando un nuovo scenario di ruralità, quello che

molti autori definiscono ‘ruralità post-industriale o ruralità

post-moderna’. Un cambiamento dovuto in primo luogo al

nuovo ruolo che la società sta chiedendo di svolgere alle aree

rurali. La società non chiede solo servizi ma rivendica la ne-

cessità di un modello di vita più sano e sostenibile. Le rivendi-

cazioni verso un’alimentazione più sana, le campagne ecolo-

giche di recupero dell’ambiente e delle produzioni di piccola

scala, portano ad un movimento di recupero e valorizzazione

della cultura e della società locale e alla riorganizzazione del-

le politiche di sussidio agricolo volte alla produzione di ali-

menti, ma anche di paesaggio.

Si assiste così ad una nuova ruralità ad una rinascita del ru-

rale che non scaturisce dai modelli urbani ma piuttosto sulla

costituzione di nuove forme economiche e sociali, un rurale

caratterizzato dalla dimensione territoriale e non più settoria-

le. E'un mondo rurale in cui l’agricoltore è uno degli attori, un

protagonista che contribuisce a dare la sua impronta al pa-

esaggio rurale di cui tutti beneficiano, offrendo alla popola-

zione cittadina altri servizi come quelli del turismo, del loisir e

dell’artigianato. In questo contesto vengono elaborate nuovi

immagini dell’ambiente agricolo. Si osserva una valorizzazio-

ne del rurale non solo come spazio di produzione di beni ma-

teriali ma come fonte di beni simbolici, che alimentano una

nuova domanda economica e sociale. La natura, principale

fondatrice dei segni di questo ambiente, diventa la base su

cui si fonda la nuova nozione rurale. Quest’ultimo non viene

più considerato solo come ambiente di produzione, ma viene

messo in valore per le sue caratteristiche immateriali. In que-

sto contesto, la trasformazione degli scambi tra mondo rurale

e mondo urbano e la loro integrazione sociale ed econo-

mica crescente, conducono ad una ridefinzione dell’oppo-

sizione città-campagna: lo spazio urbano e lo spazio rurale

vengono visti come pratiche sociali e modelli culturali che

si relazionano.

In questa visione un nuovo ruolo lo acquista l’agricoltura che

ci avvicina in modo semplice con il senso profondo dei beni

comuni, perché il contatto diretto con la natura ci costringe

ad avere a che fare allo stesso tempo con la generosità e con

la fragilità dell’ecosistema che consente la vita sulla Terra. Il

coltivare nella sua accezione più ampia di gestione del ter-

ritorio come patrimonio comune e di mezzo di sussistenza

dell’umanità merita un’attenzione particolare.

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“The contemporary world is to achieve a new landscap-

ing project along with the sensibility and the spirit of time

to overcome, enhancing it, with a game of imagination, the

memory it contains. The site’s features not only derive from

its peculiarities, but his relationship with time and space, from

the past rethought towards the future... Today, the configu-

ration of the landscape concerns mostly the city, the urban

fabric, as well as the out of town’s one... What we can see

is the recovery of the active meaning of contemplation and

the proposal of an ethic that does not only stop to the action

of preservation and protection, but that also asks story as it

evolves, that formulates the plan for the future with an eye

towards the landscape as an overall place of human life, in

its transformations linked to current events, creators of new

myths and new legitimacy. The project, therefore, considers

the ethical and legal nature of the function of myth, con-

nected with the forms of life and social institutions which

now specify multicultural areas and spaces of tolerance. New

landscapes come from here. “

M.Venturi Ferriolo, Ethical Landscape.

The design of the human world, 2003

Despite the strong contradictions of the global market, the

contemporary economic thought is transiting from an eco-

nomic model focused on the exploitation of primary re-

sources that generated (and still generates) waste materials

not renewable, to an economy based on production which

can be produced, reconverted or absorbed by the primary

system. What the more advanced national and communi-

ty policies seek to promote, is an economic cycle that col-

laborates to maintain the natural ecosystem’s functions and

services, generally ignored and without a market value in the

traditional economy, but which are in need of a new evalua-

tion criteria with a view to economic ecology.

With the growing awareness of limitation and vulnerability of

natural resources, the “Natural Capital” gains strategic rele-

vance and puts the focus of the community policies on the

value of the landscape, the singularity and identity of terri-

tories, especially on those not yet affected by the massive

exploitation of primary resources and those which also hold

a high level of biodiversity.

These are the areas - dramatically impoverished and de-

prived of huge human resources due to the economic and

industrial development - which are “saved” from some of

the degenerative effects of this development, and nowadays

They represent the greatest scope for the future, with an in-

clusive market view, referred to new economic parameters

(including: the economic value of the landscape, ecosys-

tems and biodiversity).

A bet that to be materialized, needs a great deal of cultur-

al reinvention, production reorganization and geographical

relocation of individual territory within a“ wider cartography

“able to connect the physical, orographic, and geographical

aspects to productive, social and cultural ones.

For several years now mutability and hybridity have charac-

terized the formation of the contemporary spaces, wheth-

er urban, peripheral, natural. The division of space in these

“categories” appears very weak. There seems to be inaugu-

rating a new urbanity that could be called “ecosystemic”,

which is expressed differently depending on the relation-

ships which it manages to weave in a global system that is

losing “the core” and it’s turning into a “ network “, ie a sys-

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tem that relates the multiplicity of agents, events, informa-

tion and stories.

Urbanity ecosystem is not characterized by the heavy con-

centration of resources, nor by intensive building.

The “places” of this urbanity are generated in the “nodes”

where cultural exchange, strengthening the links between

local production systems and national and international

markets take place, where the addition of new communica-

tion technologies creates collaborative networks of support

and exchanges, activities and innovative economies and

where the relationship between Capital and Natural Capi-

tal Anthropic assumes a significant cultural and economic

value, both in land management and in goods and services

production.

inland areas, new landscape generators, livability, economy

nothing, for example, prevents us from conceiving some-

thing which is neither city nor country (or suburbs), or Met-

ro’s corridors being gardens at the same time. Nothing pre-

vents us to imagine a subway in the countryside.

“Perec (1974)” Espèces d’espaces “

The demand of landscape that is perceived in contempo-

rary society reflects, despite many contradictions, the need

to reconnect with the places and to re-inhabit the land and

to rediscover the identity values (natural and cultural), while

respecting and valuing diversity. Even the urgency of a reor-

ganization of human life from the satisfaction of basic needs

(such as the protection of health, psychological well-being,

food and the environmental security, the need to generate

new areas of employment) supports the “demand of land-

scape “that is felt in contemporary society. Demand that

may decline to dangerously nostalgic resurgence and stag-

nation in the future or could represent a unique opportunity

for a cultural reinvention and a production reorganization in

wide area cities.

For livability rather we mean the different modes of emer-

gence of a sustainable balance between man, the environ-

ment and economic and cultural resources.

Protagonists and fundamental support of wide area cities,

as expressions of livability, are the inland areas, with their

potential to create, for example, integrated supply chains for

agricultural and food production, for the production of cer-

tain raw materials and their transformation into objects with

contemporary sense, that is of new symbolic and aesthetic

charge, as well as for the construction of a new design of

services related to the accommodation of tourism and cul-

ture, the maintenance and regeneration of urban and rural

land.

Demand for landscape, sustainable balance, livability, are

the foundations for the development of a new concept of

“value of rural land.” Because compliance with these funda-

mentals is partly non-negotiable, it follows a new potential

“value”, perceptible even by traditional market economies.

Acts of investment and improvement can make people

change their minds both from the awareness of the “limited

natural resources”, from the symbolic and cultural meaning

which community and global thinking recognize in specif-

ic contexts, and on the capacity of individual territories to

respond, spreading and making the Natural capital and the

Anthropic capital, of which They are both proponents and

holders, productive.

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toward a new rurality

A new rurality landscape is shaping, one that many authors

define ‘post-industrial rurality or post-modern rurality’. A

change primarily due to the new role that society is asking

to carry out to the rural areas. Society does not ask only

services but claims the need for a lifestyle healthier and sus-

tainable. The demands for healthier food, ecological cam-

paigns to save the environment and small-scale production,

leading to a movement of restoration and enhancement of

culture and local society and reorganization of agricultur-

al subsidy policies aimed at food production, but also the

landscape.

We are thus witnessing a new rurality, to a rebirth of the

country, that does not come from urban models, rather

from the creation of new of economic and social forms, a

rurality characterized by territorial dimension rather than

sectoral. It’s a rural retreat where the farmer is one of the

actors, a character who helps to give his stamp of the rural

landscape from which everyone benefits, offering to city’s

population other services such as tourism, leisure and craft-

ing. In this context, new agricultural environment images

are processed. We can observe the enhancement of rural

not only as a space for the production of material goods

but as a source of symbolic goods, fueling a new econom-

ic and social demand. The nature, the main founder of the

signs of this environment, becomes the basis on which the

new rural notion is founded. The latter is no longer consid-

ered only as a production environment, but is considered

for its nonmaterial traits. In this context, the transformation

of trade between rural and urban world and their growing

social and economic integration, leading to a redefinition of

the urban-rural opposition: urban space and the countryside

are seen as social practices and cultural models that relate.

In this vision agriculture acquires a new role which brings

us closer, in a simple way, to the deep meaning of common

good, because direct contact with nature forces us to have

to deal simultaneously with the generosity and the fragility

of the ecosystem that allows life on Earth. Cultivating, in its

broadest sense of land management as a common heritage

and livelihood of mankind, deserves special attention.

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SAN POTITO SANNITICO È FISICAMENTE PICCOLO, E SA DI ESSERLO. MA SAN POTITO È ANCHE, E SOPRATTUTTO, INFINITO, E QUESTO NON SOLO LO SA, MA LO HA DIMOSTRATO E LO CONFERMA DI ANNO IN ANNO, CON VOCE SEMPRE PIÙ FORTE. È IL PUNTO DI INCROCIO DI TUTTI I MONDI POSSIBILI, DA QUELLI DELLA MERAVIGLIA PIÙ TRAVOLGENTE A QUELLI DEL PIANTO PIÙ FORTE. IN UN GIORNO PENSI DI AVERLO VISTO TUTTO E IL GIORNO DOPO RICOMINCI DACCAPO. E DACCAPO RICOMINCI A VEDERE ANCHE TE STESSO, MOLTO PROBABILMENTE DAVANTI A UN’OPERA D’ARTE: È FORTUNATO CHI SI PERDE A SAN POTITO.[DANIELA MARCHITTO, FILOSOFA PASSANTE]

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SAN POTITO SANNITICO IS PHYSICALLY SMALL, AND HE

KNOWS IT. SAN POTITO IS ALSO, AND ESPECIALLY, INFINITE,

AND THIS IT DOESN’T KNOW, BUT IT HAS PROVED AND

CONFIRMED IT YEAR AFTER YEAR, WITH LOUDER AND

LOUDER VOICE. IT IS THE CROSSING POINT OF ALL

POSSIBLE WORLDS, FROM THOSE MADE OF THE MOST

OVERWHELMING WONDER TO THOSE OF THE LOUDEST

CRIES. YOU THINK YOU CAN SEE ALL OF IT IN ONE DAY,

BUT THE FOLLOWING DAY IT STARTS ALL OVER AGAIN.

AND ALL OVER AGAIN,YOU BEGIN TO SEE YOURSELF, MOST

LIKELY BEFORE A WORK OF ART: IT IS LUCKY WHO GETS

LOST IN SAN POTITO.

[DANIELA MARCHITTO, PASSING PHILOSOPHER]

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Recentemente l’artista libanese Akram Zaatari ha suggerito

che il paesaggio è l’ultimo archivio. È qui che le memorie, e

non solamente quelle umane, sono sedimentate e custodi-

te. Un archivio non sempre facile da leggere e interpretare

ma che contiene informazioni fondamentali a supporto della

nostra esistenza. A partire da questa prospettiva possiamo ri-

scrivere la nostra storia e il nostro rapporto con il territorio.

Non si tratta di tornare ad una nozione romantica di radici ed

autenticità ma di rielaborare in modo radicale le circostanze

e le condizioni attuali per fare emergere una connotazione

diversa anche dell’idea di paesaggio rurale. Non più luogo di-

staccato dalla città. Gli spazi rurali, anche nel profondo sud

del mondo, sono tracciati nelle mappe elettromagnetiche

delle reti telefoniche e digitali e partecipano alla dimensio-

ne globale della metropoli diffusa. Non più, neppure, luogo

da abbordare e colonizzare in quanto proiezione subordinata

della città. Il paesaggio rurale come manifestazione vivente

di quell’”archivio” fatto di strati di memorie e conoscenze, di

“specie” e biodiversità, diventa strumento per la creazione di

saperi, di nuove produzioni materiali ed immateriali1.

Nel ripensare il paesaggio da queste prospettive, il concet-

to di “Rural City” invita ad accogliere la complessità ambigua

del territorio facendo decadere la dicotomia rurale-urbano e

suggerendo allo stesso tempo un approccio operativo con

cui ridisegnare e abitare il nostro ambiente a partire dalla cen-

tralità della produzione agricola.

In questo caso il territorio diventa un laboratorio culturale dove

diventa possibile immaginare e praticare un’economia politica

diversa. Nuovi elementi entrano a per fa parte di questo sistema

non come forza esterna destabilizzante ma tramite un nuovo

assemblaggio di pratiche e possibilità che sono già in circola-

zione. Tramite lo smontaggio del concetto di ruralità ereditato

da una visione economico-capitalistica dello sviluppo, il lavoro

critico consiste nel ricollegare i dati e le informazioni per cucire

un tessuto politico e culturale diverso. La grammatica critica si

sposta da un senso puramente strumentale dell’economia ad

una prospettiva ecologica che sostiene una sfida complessa,

tale da investire perfino i progetti e le prospettive urbane.

interculturalità

Rivalorizzare il territorio implica nuove modalità di lettura e

interpretazione delle realtà che lo compongono e rappresen-

tano. Per ogni luogo, città, territorio, esiste una mappa “reale”

sia essa geografica, economica, demografica e una mappa

”ideale”, delle emozioni, delle esperienze e dei valori che in

minima parte corrisponde a quella cosiddetta reale.

Nella vita quotidiana di ogni persona più condizionante è, in

genere, la seconda. Lei ci dice dove andare, dove stazionare,

cosa cercare, influenza anche i nostri sensi quali il tatto, il gu-

sto, e guida la percezione estetica del mondo. Così possiamo

dire che noi non solo abitiamo gli spazi ma che gli spazi ci

abitano e condizionano i nostri pensieri, le nostre traiettorie

il nostro sguardo. Gli spazi e le “cose”, come ha mirabilmen-

te descritto Bruno Latour2 nella lezione “l’umanità dei non

umani” incorporano ideali, incidono sulla vita e sulle scelte

che solo apparentemente stanno sotto il loro controllo. Dove

abitiamo, con chi abitiamo significa chiedersi quale esperien-

za, quale parte del nostro immaginario occupa un territorio,

come ce lo raccontiamo o come ci viene raccontato. Ecco

perchè la creazione di nuove mappe genera nuove configu-

razioni di senso, apre ad interrogazioni e percorsi critici che

si traducono poi in nuove politiche, produzioni ed economie.

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A San Potito, si fa riferimento a una lettura del territorio

come “architettura naturale e relazionale articolata sul tema

di fondo della biodiversità”. Una mappa multidimensionale

con il suo sistema di giardini murati, di specie, di corridoi

ecologici, di infrastrutture naturali (montagne, fiumi, pianu-

re), antropiche, tecnologiche e con il suo sistema di “flussi”

socioculturali e socioeconomici. Questa mappa è connes-

sa alla percezione del movimento di specie, di persone, di

merci che attraversano incessantemente i luoghi.

In questo modo il passaggio dal paese alla città, imposto

dalla presunta linearità del tempo del progresso, viene

spezzato e ricomposto in una serie di possibilità multilate-

rali che creano nodi ed intrecci inaspettati i cui effetti sono

prodotti nuovi, ibridazioni e innovazioni che però hanno il

gusto della tradizione e mantengono traccia dell’origine.

Da questo punto di vista le produzioni agricole di pregio

rappresentano una delle realtà produttive che meglio in-

terpreta la percezione dinamica del territorio perché per

sua natura, si fonda sull’intreccio dei saperi, è radicata nella

comunità ed è aperta ad assimilare nuove interazioni cultu-

rali e gastronomiche come naturale arricchimento dei suoi

contenuti, della sua qualità e della sua immagine.

Ibridazione (come intreccio di pratiche e saperi) produzioni

orticole di pregio (come prodotti di eccellenza il cui sapo-

re è influenzato anche da pratiche narrative e dalla memo-

ria) comunità (come produzione di filiera e integrazione di

competenze) sono state le parole chiave degli interventi re-

alizzati dagli artisti dell’arte pubblica, dai cortometraggi dei

giovani venuti da ogni dove, dai giardinieri erranti nell’ambi-

to della manifestazione “Fate Festival” promossa dal comu-

ne di San Potito e dalla locale Pro Loco.

Al centro dell’azione una rivalutazione dei concetti chiave

come quello di “trasformazione”, “territorio” e di “identità”, per

poter riconfigurare il nostro senso della storia e della cultura

produttiva come processi aperti, in atto, e non oggetti stabili

e preconfezionati nelle loro interpretazioni.

La capacità di innovare non coincide con la capacità di creare

qualcosa dal nulla quanto piuttosto con la capacità di ibridare

ciò che già esiste con nuove istanze, contenuti, infrastrutture

e strumenti.

(nuove) logiche identitarie

A ridosso dell’Europa delle grandi città quindi, negli enclaves

rurali e montani convivono oggi realtà opposte: tecnologia

e tradizione, inerzia e desiderio di innovazione, ambienti ri-

masti immutati e intrusioni di nuovi oggetti, manufatti, tec-

nologie. Ma anche il desiderio di un nuovo decoro, la costru-

zione di nuova comunità, innovazione sociale e produttiva. Il

fenomeno coinvolge vaste aree montane e rurali dell’Europa:

ecosistemi fragili e con una struttura economica incerta per-

seguono una mutazione radicale all’ombra dell’attenzione

mediatica concentrata sulle città o della loro percezione ro-

mantica quali luoghi “incantati”. Sono questi spazi che oggi

“chiamano” e inducono a un mutamento culturale che passi

per un ripensamento del concetto di natura e porti in primo

piano il ruolo del paesaggio e il senso dell’abitare.

In questa nuova configurazione aperta alle storie, alle memo-

rie alle possibilità che arrivano dall’altrove ed emergono tra

di noi, l’identità non può essere vissuta come qualcosa di già

dato e realizzato ma diventa invece un’apertura, una continua

elaborazione verso l’avvenire.

Il Matese quindi, come molte altre realtà europee, ma anche

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del sud del mondo, più o meno “decentrate” rispetto alle cit-

tà, vive una fase di ricerca di sé, dei suoi requisiti e valori che

inciderà sull’immaginario collettivo e che, nel concreto, si

giocherà attraverso scelte politiche e amministrative dirette a

sostenere o meno l’apertura che si è costituita. Premettiamo

che questa volontà di ri-definizione o meglio, “aspirazione

ad essere”, qualificandosi e distinguendosi, non è un feno-

meno che riguarda solo certi ambiti territoriali. Al contrario

è un fenomeno generalmente diffuso che riguarda, anzi, è

partito proprio dalle città. Barbara Czarniawska3 definisce

l’immagine della città un oggetto sfuggente e mai unico, che

varia a seconda di chi interroghiamo. Nel suo libro “A tale of

three cities”, sottolinea che le tradizioni sono compilate come

elementi di un repertorio esistente, combinati in una visione

coerente finalizzata a organizzare, legittimare, ri-inquadrare.

“Ri-inquadrare” significa in particolare non considerare un’i-

dentità come scontata ed inalterabile, ma porsi ciclicamente

di fronte alla realtà in evoluzione e riconsiderarne obiettivi e

senso. Paradossalmente per affrontare o tentare di risponde-

re alle questioni e ai problemi del locale è necessario scardi-

nare i confini di un luogo e connettersi ad altri sistemi.

Il senso delle città, dei centri storici oggi si stempera nel pa-

esaggio, uno spazio che a differenza di quello della città, con

le sue strade, piazze, corti ecc. non ha rimandi così immediati

a specifiche forme del passato. È uno spazio mentale ed ur-

banistico nuovo.

Il paesaggio da veduta, da fatto privato, nato dallo sguardo

di un pittore, fotografo o viaggiatore sta acquistando una di-

mensione pubblica. Tale condizione, sostiene Piero Zanini4,

per essere significativa presuppone la consapevolezza che

qualsiasi luogo non è circoscritto ma inserito in un ambiente

più vasto di cui fa parte. Significa quindi che qualsiasi luogo

non è più “al centro” ma dentro o “in mezzo” a uno spazio, il

quale non è vuoto ma denso e comunque sempre abitato.

Così, quello che per un certo tempo, è stato uno spazio neu-

tro, grigio tra due punti, due città, o anche due idee, adesso

diviene potenzialmente visibile, potenzialmente interessante.

Queste aspirazioni tuttavia per essere praticabili non possono

astenersi dalla ricerca di un futuro condivisibile che parta dalla

scoperta di una vocazione locale (e quindi di un proprio so-

gno) non incentrato “solo” sul turismo e in grado di riunire i di-

versi attori, le diverse forze, reali e potenziali di un luogo. Una

aspirazione che soprattutto nel mondo rurale per trasformarsi

in prassi, dovrebbe indurre a una sapiente interazione tra ri-

cerche sul campo, competenze esterne in grado di introdurre

elementi critici e operativi nuovi e competenze locali.

1 Un particolare ringraziamento va al no-

stro amico Iain Chambers, che dal suo

testo sulla Ruralità Critica, scritto in oc-

casione dell’incontro del 26 aprile 2014 a

Guardia Sanframondi, ci ha ispirato e sol-

lecitato per la redazione di questo scritto.

2 Bruno Latour “L’umanità dei non-umani”,

Modena, Festival Filosofia, 2007.

3 Barbara Czarniawska “A tale of three ci-

ties: Or the Glocalization of City Manage-

men”, Gothenburg University, 2002.

4 Piero Zanini “Significati del confine. I li-

miti naturali, storici, mentali”, Milano, Bruno

Mondadori, 2000.

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Recently the Lebanese artist Akram Zaatari has suggested that

the landscape is the ”ultimate archive”. Here memories, and

not just human ones, are sedimented and preserved. An ar-

chive which is not always easy to read and interpret but which

contains essential informations in support of our existence.

From this perspective, we can rewrite our history and our re-

lationship with the land.

It’s not about returning to a romantic notion of roots and au-

thenticity, but it’s about radically reworking the circumstanc-

es and the current conditions to make a different connota-

tion also ‘idea of rural landscape emerge. No more a place

detached from the city. Rural areas, even in the deep south

of the world, are plotted on telephone networks and digital

electromagnetic maps and participate in the global dimen-

sion of the sprawling metropolis. No longer, either, a place

to board and colonize as a projection subjected to the city.

The rural landscape as a living manifestation of that “archive”,

made of layers of memories and knowledge, “species” and

a biodiversity, becomes an instrument for the creation of

knowledge, new tangible and intangible assets 1.

Rethinking the landscape from these perspectives, the con-

cept of “Rural City” invites to accept the ambiguous complex-

ity of the territory letting the rural-urban dichotomy decay

and suggesting, at the same time, an operational approach

with which to live and reshape our environment from a cen-

tral importance of agricultural production.

In this case, the territory becomes a cultural workshop where

it becomes possible to imagine and practice a different eco-

nomic policy. New elements come in to be part of this sys-

tem, not as destabilizing external force, but by a new assem-

bly of practices and possibilities that are already in available.

By removing the concept of rurality inherited from a capital-

istic economic vision of development, the critical work is to

reconnect the data and informations to sew a fabric politically

and culturally different. Grammar critical moves from a purely

instrumental sense of economy to an ecological perspective

that supports a complex challenge, such to invest even pro-

jects and urban perspectives.

interculturality

Revaluating the territory implies new reading and interpreta-

tion modes of the realities that compose it and represent it.

For each place, city, territory, there is a map “real”, geographi-

cal, economic, demographic and an “ideal” map, about emo-

tions, experiences and values, that minimally corresponds to

the so-called real one.

In the daily life of each person the most conditioning one is

usually the second map. It tell us where to go, where to stand,

what to look for, it also affects our senses such as touch,

taste, and it guides the aesthetic perception of the world. So

we can say that we do not only inhabit the spaces but the

spaces inhabit us and influence our thoughts, our paths, our

gaze. Spaces and “things”, as has Bruno Latour2 admirably de-

scribed in Lesson “the ‘humanity of non-humans”, embody

ideals, affect life and choices that apparently are under their

control. Where we live, who we live with is to ask which ex-

perience, which part of our imagination occupies a territory,

as we tell it or as it is told. That is why it the creation of new

maps generates new configurations of meaning, open ques-

tions and critical paths that are translated into new policies,

productions and economies.

In San Potito, reference to a reading of the territory as “natural

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architecture and relational articulated on the underlying theme

of a biodiversity” is made. A multi-dimensional map with its

system of walled gardens, species, ecological corridors, of

natural infrastructure (mountains, rivers, plains), man-made,

technological and with its system of socio-cultural and so-

cio-economic “flows”. This map is linked to the perception of

the movement of species, of people, of goods crossing places

incessantly.

In this way, the transition from city to country, imposed by the

time of progress'alleged linearity, is broken and reassembled

in a series of multilateral possibilities that create unexpected

knots and weaves whose effects are new products, hybridi-

zations and innovations which have the taste of tradition and

keep track of the origin.

From this point of view the valuable agricultural productions

represent one of the productive realities that best interprets

the dynamic perception of the area because, thank to its very

nature, it’s based on interweaving of knowledge, it’s rooted

in the community and is open to assimilate new cultural and

gastronomic interactions as a natural enrichment of its con-

tent, its quality and its image.

Hybridization (like web of practices and knowledge) horticul-

tural products of value (like excellent products whose taste

is also influenced by narrative practices and memory) com-

munity (as a production chain and skills integration) were the

keywords of the interventions realized by the artists of pub-

lic art, short films by young people come from everywhere,

by the Wandering Gardeners during the “Fate Festival” event

sponsored by the City of San Potito and the local Pro Loco.

At the center of the action there is a revaluation of the key

concepts such as “transformation”, “territory” and “identity”,

in order to reconfigure our sense of productive history and

culture as open processes, in act, and not stable and prepack-

aged objects in their interpretations.

The ability to innovate does not coincide with a capacity to

create something out of nothing but rather with the ability

to hybridize what already exists with new instances, content,

infrastructure and tools.

(new) identity logics

Right off Europe and off large cities, in rural and mountain

enclaves coexist today opposite realities: technology and

tradition, inertia and desire for innovation, environment re-

mained unchanged and intrusion of new objects, artifacts,

technologies. But also the desire for a new decoration, the

construction of a new community, social and productive in-

novation. The phenomenon involves vast rural and moun-

tainous area of Europe: fragile ecosystems with an uncertain

economic structure pursue a radical change in the shadow

of media attention focused on the cities or in the shadow

of their perception of romantic places such as “enchanted

scenes”. These are the spaces that today “call” and lead to a

cultural change that steps through a rethinking of the con-

cept of nature and bring to the fore the role of the landscape

and the sense of living.

In this new configuration, open to the stories, to memories,

to chances coming from “elsewhere” and emerge between

us, the identity cannot be lived as something already given

and realized, but instead it becomes an opening, ongoing de-

velopment towards future.

The Matese then, like many others European realities, but

also southern hemisphere’s ones, more or less “decentral-

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ized” compared to the city, it’s going through a phase of

searching for itself, of its requirements and values that will

affect the collective imaginary and that, in practice, will be

played through political and administrative decisions aimed

at supporting, or not, the opening that has been made.

Placed before that this willingness to re-define or, better, “as-

piration to be”, being qualified and being distinguished, is not

a phenomenon that affects only certain territorial contexts.

On the contrary it is a generally widespread phenomenon

that concerns, or even better, started from cities themself.

Barbara Czarniawska3 defines the image of a city an object

elusive and never unique, that varies depending on who we

question. In her book “A tale of three cities”, she points out

that traditions are compiled as part of an existing repertoire,

combined into a coherent vision aimed to organize, to legit-

imize, to re-frame.

“Re-framing” means in particular not to consider an identity

as a foregone and unalterable, but putting yourself cyclically

before the changing reality and reconsidering its objectives

and its sense. Paradoxically, to address or to try to respond

to issues and problems of the local, you must undermine the

borders of a place and getting connected to other systems.

The sense of cities, of the historic centers, nowadays, is dis-

solving in the landscape, a space that unlike that of a city, with

its streets, squares, courts etc., does not immediately refer to

specific forms of the past. It is a new mental and urban space.

The view of a landscape, created by a private, born from

the look of a painter, photographer or traveler is acquiring a

public dimension. This condition, Piero Zanini claims 4, to be

meaningful presupposes the awareness that any place is not

limited, but placed in an wider environment to which it be-

longs. Therefore it means that any location is no more”at the

center” but inside or “in the middle” of a space, which is not

empty but dense and always inhabited.

So, what for some time was a neutral space, gray between

two points, two cities or even two ideas, now becomes po-

tentially visible, potentially interesting.

However, these aspirations, to be viable, cannot refrain from

looking for a sharable future that starts with the discovery of

a local vocation (and therefore of its own dream) not focused

“only” on tourism and able to bring together different actors,

different forces, actual and potential, of a site. A suction, es-

pecially in the rural world, to turn into practice, should lead to

a clever interplay between field research, external expertise

which can introduce new critical and operating elements and

local expertises.

1 A special thanks goes to our friend Iain

Chambers, from his text about Critic Rural-

ity, written at the ‘meeting of April 26, 2014

Guard Sanframondi, inspired us and called

for the preparation of this paper.

2 Bruno Latour “The humanity of a non-hu-

man”, Modena, Philosophy Festival, 2007.

3 Barbara Czarniawska “A tale of three cit-

ies: Or the “Glocalization of City Manage-

men”, Gothenburg University, 2002.

4 Piero Zanini “Significati del confine. limi-

ti naturali, storici, mentali.”, Milan, Bruno

Mondadori, 2000.

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“Formazione, creativita'e ricerca saranno occasione per creare

un contesto sociale da cui far nascere, sperimentare e divulga-

re un nuovo modello culturale senza confini etnici nè sociali,

senza collera nè invidia, senza conflitti nè prevaricazioni”.

Fabrizio Caròla

San Potito Sannitico, 1950 abitanti, 2283 ettari di superficie

per la maggior parte ricoperta da bosco, case sparse e un

centro abitato nato a m. 280 s.l.m. intorno a sorgenti pe-

demontane. Il territorio del Comune è in parte montano,

in parte pedemontano e rientra per buona parte (la zona

montana e l’intero centro storico) nel Parco Regionale del

Matese.

Il centro storico è di origine antica: Casale Longobardo non

fortificato è cresciuto nel corso dei secoli per aggregazione

spontanea.

La struttura urbana costituisce un sistema di edilizia “mi-

nore” abbastanza omogeneo caratterizzato dal susseguirsi

delle stradine delimitate da cortine edilizie compatte e de-

gli slarghi che si aprono in corrispondenza dei fabbricati di

maggiore importanza dai prospetti riccamente decorati con

stucchi afferenti agli stili del XVII e XVIII secolo.

San Potito Sannitico, come tanti dei 3.644 comuni italiani

con meno di 2000 abitanti caratterizzati da un patrimonio

edilizio scarsamente utilizzato e povero, strutture ricettive

poche utilizzate, forte dipendenza occupazionale dal set-

tore pubblico, pochi laureati 1.5% (3,6% nel resto d’Italia) e

pochi diplomati 11% (Italia 17%), e ancora, da un deficit im-

prenditoriale, scarsi servizi pubblici, territori poco frequen-

tati dove vivono 33 abitanti per kmq con un forte disagio

economico.

Considerando queste condizioni diventa fondamentale adot-

tare una politica di sviluppo che susciti interesse e curiosità,

per generare nuove economie, rinforzando  i caratteri iden-

titari permanenti del territorio interfacciandoli con le istanze

culturali  provenienti da tutto il mondo, in un’ottica di sviluppo

glocal attraverso progetti finalizzati allo sviluppo locale trami-

te la cultura, l’arte, la storia, l’agricoltura e l’ambiente.

In quest’ottica l’Amministrazione Comunale di San Potito San-

nitico sta promuovendo, da diversi anni, un’idea di sviluppo del

territorio basata principalmente sulla promozione della cultura

e del turismo attraverso progetti  materiali e immateriali.

In particolare il progetto San Potito Arte punta al restauro ed

alla riqualificazione totale degli spazi urbani trasformando il

paese in un vero e proprio museo a cielo aperto in cui le opere

d’arte s’integrano e dialogano con le case e le piazze del luo-

go. Il contenitore coincide con il paese stesso che si predispo-

ne all’accoglienza del contenuto (le opere d’arte) e dei fruitori.

Si realizza cosi, un sistema virtuoso in grado di aumentare in

maniera esponenziale, da un lato la visibilità e la notorietà di

San Potito nei circuiti nazionali e internazionali della cultura e

dall’altro la capacità di accoglienza del paese.

Il primo passo in questa direzione, è stato compiuto nel 2000,

anno in cui l’architetto Fabrizio Carola, cittadino onorario dal

2009, ha presentato all’amministrazione comunale l’idea pro-

getto per la realizzazione di un villaggio sperimentale per la

ricerca e la creatività, denominato “Neagorà 7 Piazze”. Obiet-

tivo è la formazione di giovani europei ed extracomunitari alle

diverse attività di arte, architettura, tecniche di costruzione e

di comunicazione.

Nello stesso periodo è iniziato un impegnativo lavoro di re-

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cupero dei fabbricati e quindi degli spazi urbani, in partico-

lare del centro storico, attraverso l’uso dei fondi comunitari

- POR Campania 2000/2006 - e la conseguente creazione di

una corposa offerta turistica (500 posti mensa e 320 posti let-

to). Tutto ciò permette oggi di intercettare e organizzare eventi

culturali che implementano le attività delle imprese turistiche

locali, e al tempo stesso diventano carattere distintivo del ter-

ritorio, favorendone la riconoscibilità e quindi, la promozione

in un contesto il più possibile allargato. 

Inoltre, con i fondi 2007/13, è stato finanziato un progetto per

la realizzazione di un Centro Polifunzionale delle Arti com-

prendente spazi espositivi e di rappresentanza, locali per la

formazione e laboratori di ricerca e comunicazione per lo svi-

luppo del territorio.

A seguire sono stati realizzati diversi interventi di natura pretta-

mente artistica, nel 2008 il fotografo argentino Ernesto Mora-

les, in collaborazione con PachaProject ha realizzato una serie

di scatti fotografici raccolti in un catalogo dal titolo “Sguardi

Sostenibili”. Quasi un catalogo del brutto, poiché, attraverso lo

sguardo esterno, l’artista ha messo in risalto alcuni spazi che,

secondo lui, caratterizzano il paese, ma sono poco o per nien-

te curati. 

Contemporaneamente, un gruppo di giovani dello YAP (youth

action for peace), provenienti da diverse nazionalità, hanno

invece individuato le peculiarità del paese, rappresentandole

sottoforma di fotografie, dipinti, piccoli plastici di terracotta e

guide in lingua, oggi in mostra presso la sede della proloco.

Nell’estate 2009, è nata un’interessante collaborazione tra il

Comune e il Centro d’Arte Contemporanea La Regenta delle

Isole Canarie. L’Ente Canaria Crea, del Governo delle Isole Ca-

narie, co-finanzia, ogni due anni, i lavori di artisti canari che,

durante il Fatefestival, partecipano alla riqualificazione e allo

sviluppo del paese attraverso istallazioni temporanee e per-

manenti negli spazi pubblici.

collaborazioni esterne

N:EA - Napoli: EuropaAfrica, è un’associazione senza scopo

di lucro (Onlus) che agisce e lavora nel settore della coopera-

zione internazionale e dello sviluppo umano, riconosciuta dal

2002 come Organizzazione Non Governativa (ONG) dal Mini-

stero degli Affari Esteri e dall’Unione Europea. Nasce a Napoli

nel 1987 dalla lunga esperienza di lavoro in Africa dell’archi-

tetto Fabrizio Caròla (vincitore nel 1995 dell’Aga Khan Award

for Architecture) per contribuire all’incremento di un nuovo

dialogo fra l’Europa e l’Africa basato su uno scambievole rico-

noscimento dei rispettivi valori e qualità

PACHA Project - è un’organizzazione dal respiro internazio-

nale che conduce una ricerca culturalmente attiva nell’ambito

dell’arte e dell’architettura contemporanea rapportandosi alle

problematiche di uno sviluppo globale sostenibile..

YAP - youth action for peace, è una onlus internazionale che

realizza progetti di volontariato in tutto il mondo con lo scopo

di promuovere la pace attraverso la conoscenza.

Istituto Filosofico - realizzazione di seminari inerenti la filoso-

fia nei palazzi storici.

CanariaCrea - Ente del Governo delle Canarie che si occupa

della promozione dell’arte canaria in Spagna e all’estero.

Ass. Cult. Fratelli De Rege - organizza corsi di teatro per bam-

bini e adulti durante tutto l’anno.

Ass. “Le Streghe” - organizzazione del Matese Cup - tappa ita-

liana della coppa del mondo di parapendio, che si svolge a San

Potito la prima settimana di luglio.

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Fabrizio Carola, ritratto realizzato da Tono Crz / B-lee

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“Education, Creativity And Research will be an opportunity to

create a social environment from which to give birth, test and

share a new cultural model without ethnic borders nor social,

nor anger, without envy, without conflicts nor prevarication”.

Fabrizio Caròla

San Potito Sannitico, 1,950 inhabitants, 2,283 hectares, most-

ly covered in woods, scattered houses and a town born on

280m. above the sea level. around foothill sources. The Mu-

nicipality is partially mountainous, partially foothills and most-

ly (the mountain area and the entire historic center) in the

Matese Regional Park. The old town is of ancient origin: unfor-

tified Casale Longobardo grew over the centuries by sponta-

neous aggregation. The urban structure is a system of “minor”

building fairly homogeneous, characterized by a succession

of narrow streets lined by compact building facades and open

spaces that open up in correspondence to buildings of greater

importance with richly decorated prospects with stucco dat-

ing to the seventeenth and eighteenth centuries styles.

San Potito Sannitico, like many of the 3,644 Italian municipali-

ties with fewer than 2,000 inhabitants, characterized by a poor

and hardly ever used housing stock, few used accomodations,

high dependence on public sector’s employment, few gradu-

ated people, 1.5% (3.6% in the rest of Italy) and few high school

graduated people,11% (Italy 17%), and yet, on an entrepreneur-

ial deficit, on poor public services, on unfrequented areas in

which 33 inhabitants per square km with a strong economic

hardship live.

Given these conditions, it becomes essential to adopt a policy

of development that arouses interest and curiosity, to gener-

ate new economies, strengthening the permanent identify-

ing characteristics of the territory, interfacing them with cul-

tural issues from all over the world, in a global development

perspective through projects aimed to local development

through culture, art, history, agriculture and the environment.

In this light, the municipality of San Potito Sannitico has been

promoting, for several years, an idea of land development,

based primarily on promotion of culture and tourism, through

material and immaterial projects. In particular, the San Potito

Art project aims to restoration and upgrading of the total ur-

ban spaces, turning the country into a real open air museum,

where works of art are integrated and interact with houses and

squares of the place. The container coincides with the town

itself which gets prepared to the reception of the content and

of the users. It follows, thus, a virtuous system which can ex-

ponentially increase, on the one hand, San Potito’s visibility

and notoriety in national and international circuits of culture,

and on the other hand, the reception capacity of the town.

The first step in this direction was taken in 2000, when the

architect Fabrizio Caròla, honorary citizen since 2009, pre-

sented to the municipal administration, the project idea for

the construction of an experimental village for research and

creativity called “Neagorà 7 Squares”. The goal is the educa-

tion of young European and immigrants to the various ac-

tivities of art, architecture, construction and communication

technique At the same time, a challenging work of recovery of

the buildings began and, then, of the urban spaces, especially

belonging to the old town, through the use of EU funds - POR

Campania 2000/2006 - and the consequent creation of an

extensive tourist offer (500 canteen places and 320 beds). This

allows, today, to intercept and to organize cultural events that

implement the activities of local tourism businesses, and at

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the same time, they become the distinctive character of the

territory, favoring the recognition and, therefore, promotion

in a wider as possible context. In addition, with 2007/13 funds,

a project for the construction of a Multipurpose Center of the

Arts including exhibition and representation, education build-

ings and research laboratories and communication for the de-

velopment of the territory was financed. Later, several purely

artistic interventions were made, in 2008 the Argentine pho-

tographer Ernesto Morales, in collaboration with PachaPro-

ject, has created a series of photographs arranged in a cata-

log entitled “ Sustainable Glimpses“. Almost a catalog of ugly,

because, through a stranger’s eyes, the artist has highlighted

some areas that, according to him, characterize the country,

but they are little or not treated.

At the same time, a group of young people from the YAP (Youth

Action for Peace), from different nationalities, have, instead,

identified the town’s peculiarities, representing them in the

form of photographs, paintings, small clay scale-models and

in language guides, now on display at Pro Loco’s headquar-

ters. In summer 2009, an interesting collaboration between

the town and the Center of Contemporary Art, La Regenta,

in Canary Islands was born. The foundation “Canaria Cre-

ates”, of Canary Islands Government, co-finances every two

years the works of Canarian artists participating in the re-

generation and development of the town, through perma-

nent and temporary installations in public spaces, while the

Fate Festival, a urban regeneration festival that takes place

every year in the town. The latest born collaborations are

with the Cultural Center of Copenhagen, the Association

“Vaghe Stelle”, Rural Design, and the Association CICI, with

which the CICI Film Festival is organized.

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C’era una volta,

nel paese di San Potito Sannitico (CE), nel parco regionale del

Matese, il quartiere Fate...

C’era una volta e adesso non più, o forse c’è ancora ma nes-

suno sa esattamente dove; chi lo ricorda in un rione, chi in un

altro, ma certezza non ce n’è. Proprio come le creature dei

boschi il quartiere è presente, ma ben nascosto. Ogni tanto

però sembra riapparire fra giardini antichi e scorci mozzafiato

del centro storico.

Ma “fate” è anche un verbo che sottintende partecipazione:

fate voi, fate fest! Un gioco di parole che mescola magia a

condivisione. Durante il Fate Festival - il festival dei giardini,

del cinema e dell’arte pubblica, l’intero paese è stato oggetto

di una specie di incantesimo che ha fatto sì che artisti, esperti

di urban gardening e giovani filmaker, a quattro mani con gli

abitanti, rigenerassero un intero borgo. L’intera kermesse si

potrebbe definire un vero e proprio esperimento di arte par-

tecipata e rigenerazione urbana dove tutti: artisti, architetti,

registi e abitanti sono stati invitati a prendere parte all’espe-

rienza. E così, fra installazioni rural design con l’associazione

RU.DE.RI, reading e concerti serali negli incredibili giardini

dei palazzi storici accessibili per l’occasione, laboratori di se-

rigrafia e fiabe per i più piccoli al lavatoio comunale, ha preso

vita il Fate Festival.

Inoltre durante i giorni del Fest San Potito Sannitico si è tra-

sformata in vero e proprio set cinematografico. Il Fate ha

infatti ospitato, in gemellaggio con Castellamare del Golfo

(TP), il C.I.C.I. (Città Internazionale Cinema Indipendente)

film festival-concorso di cortometraggi che ha coinvolto 10

registi in erba nella realizzazione di filmati con un tema co-

municato poco prima dell’inizio della competizione.

L’obiettivo del Fate Festival è sempre stato quello di dare un

respiro internazionale al paese, di spezzare la routine quo-

tidiana con qualcosa di nuovo e inusuale, utilizzando diver-

se arti e tecniche. Per questo il festival non ha una formula

ben precisa, ma si rinnova, ogni anno, in base alle necessità.

Quest’anno abbiamo sentito la necessità di utilizzare l’arte

pubblica, il cinema e i giardini, come elementi principali e di

contatto.

Il Fate Festival ha anche l’obiettivo di promuovere turistica-

mente il territorio. Promuoverlo non con una semplice visita

ai monumenti, che in realtà sono ben pochi, ma attraverso

la partecipazione attiva del territorio, degli abitanti, e auto-

maticamente dei visitanti, che sono stati attratti proprio dalla

voglia partecipata e condivisa. Il visitante, così come il resi-

dente, è stato completamente assorbito nello spazio, e tra-

sformato da semplice spettatore a protagonista.

Da qui la scelta del tema: la trasformazione. Rivelato, ai registi

in concorso, per il CICI Film Festival, solo all’arrivo. La scelta

del tema è stata molta indicativa per tutto il festival, poiché

la trasformazione è stata l’obiettivo sia materiale sia immate-

riale del tutto.

Gli artisti, giardinieri e registi invitati sono stati tanti e diversi,

tutti scelti con un criterio ben preciso, creare partecipazione,

e non realizzare un’opera calata dall’alto, senza una connes-

sione, se pur minima, con lo spazio intervenuto, e o utilizzato.

Le provenienze sono state le più disparate, dalla Polonia,

passando per Singapore e Iran, anche se la predominanza

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è stata quella latina, poiché crediamo che l’arte, soprattutto

latino-americana, sia la più tendente al sociale, e per que-

sto più interessante per il nostro progetto, e per lo sviluppo

di progetti futuri, che abbiano la capacità di autoalimentarsi

continuamente.

Attualmente sono coinvolti circa trenta ragazzi, ma indiretta-

mente molti di più. Una ventina, dai 15 ai 24 anni, sono l’anima

del Festival, sono coloro che hanno reso possibile la riuscita

dell’ultima edizione, grazie alla loro curiosità e alla voglia di

mettersi in gioco. Ma tante altre persone, non solo ragazzi,

sono state coinvolte nel festival e l’hanno reso possibile, con

un dolce, un colore, e un semplice sorriso di accoglienza.

Il festival nasce dalla voglia di creare partecipazione, dalla

voglia di fare, da cui il nome, e quale miglior riuscita se non la

partecipazione attiva degli abitanti e partecipanti tutti?

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Once upon a time,

in the village of San Potito Sannitico (CE), in the Regional Park

of Matese, the neighborhood “Fate”...

Once upon a time and now no more, or maybe there is still

no one knows exactly where; who remembers him in a ward,

and someone else in another, but there is no certainty. Just

like the creatures of the woods, neighborhood is present but

well hidden. Occasionally, however, it seems to reappear in

old gardens and breathtaking views of the old town.

But "Fate" is also a verb that implies participation: you do, you

do Fest! A word game that mixes magic to share. During the

Fate Festival - the festival of gardens, cinema and art public

- the entire village has come under some sort of spell that

has meant that artists, experts of urban gardening and young

filmmakers, along with the inhabitants, brought back to life

an entire village. The whole event could be called a “genu-

ine experiment in participatory art and urban regeneration”

where everyone, artists, architects, filmmakers and peo-

ple were invited to take part in the experience. And so, be-

tween rural design installations, with the association RU.DE.

RI, reading and evening concerts in the amazing gardens of

historic buildings, accessible for the occasion, screen labo-

ratories and fairy tales for children at the municipal washing,

took the life Fate Festival.

Also during the days of the Fest, San Potito Sannitico became

a real movie set. The Fate has indeed hosted, in partnership

with Castellammare del Golfo (TP), the CICI (City International

Independent Cinema) film festival-competition of short films

that involved 10 budding filmmakers into creating movies with

a theme announced shortly before the competition.

The objective of Fate Festival has always been to give an interna-

tional flavor to thevillage, to break the daily routine with some-

thing new and unusual, using different arts and techniques. So,

the festival has no exact formula, but is renewed every year,

whether needed. This year we felt the need to use public art,

cinema and the gardens, as key and contact elements.

The Fate Festival also aims to promote the area for tourism. Not

promoting it with a simple visit to the monuments, which are

actually very few, but through the active participation of the

territory, of the inhabitants, and automatically of visitors, who

were attracted by participated and shared desire. The visitor, as

well as the resident, was completely absorbed in the space, and

transformed from a mere spectator to protagonist.

Hence the choice of the theme: transformation. Revealed to

the directors in competition for the CICI Film Festival, only on

their arrival. The choice of the theme was very indicative for

the entire festival, since the transformation was either tangible

or intangible goal of all.

The invited artists, gardeners and directors were many and var-

ious, all chosen with a specific criteria: to create participation,

and not create a work imposed from above, without a connec-

tion, albeit minimal, with space at their disposal or used.

The backgrounds were very diverse, from Poland, via Singa-

pore and Iran, although the prevalence was Latin, because we

believe that art, especially Latin American, is the most condu-

cive to the social and, therefore, the most interesting for our

project, and for the development of future projects, which

have the capacity to feed itself continuously.

Currently, about thirty boys are involved, but, indirectly, many

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more. About 20 between 15 and 24 years of age, are the soul

of the Festival, are those who have made possible the success

of the last edition, thanks to their curiosity and desire to get

involved. But many other people, not only young people, were

involved in the festival and made it possible, with a sweet, a

color, and a smile of welcome.

The festival aims to create participation, to create the enthu-

siasm “to do”, hence the name, and what better success if not

the active participation of the inhabitants and all participants?

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Despedirnos de SanPotito Sannitico, ha sido el adios mas dificil

que hemos tenido, por un momento te das cuenta que lo que

has vivido ha dejado una raiz profunda,con un sentimiento de

carigno muy grande, hecha de una participacion activa de su

gente,de sus sonrisas, de emociones compartidas, de colores,

pinceles, brochas, muros, afectos que nacieron espontanea-

mente, una generosidad que iba mas allà de sus necesidades,

un sur que nos dio el corazon. Gracias pueblo maravilloso!

Agradecemos FateFestival, la hermosa oportunidad que nos

donó, una familia, un intercambio entre artistas de todo el mun-

do, que no conoce fronteras, ni lenguaje, con la unica meta de

compartir para dar luz y esperanza donde el muro era gris.

Alejandro Mono Gonzalez (artista Chileno)

Marianela Vega (asistente artista Chile-Ital)

Il progetto San Potito Arte nasce dal desiderio di accogliere,

opere di artisti e collettivi di fama internazionale, ed emer-

genti, affinché il paese diventi un fertile terreno di scambio

culturale.

Un progetto che tiene conto delle esigenze della gente del

luogo, gente da coinvolgere come parte integrante del pro-

cesso stesso, gente il cui contributo rimarrà come segno della

sua presenza e identità.

Arte che abbia una funzione sociale di attivazione della parte-

cipazione, non definibile con una formula né con un metodo,

bensì capace di adeguarsi e trovare, di volta in volta, la sua

formula nel coinvolgimento attivo e vivo.

Arte pubblica come dispositivo di dialogo continuo, capace di

far scaturire, realizzare e accompagnare nuovi progetti nelle

diverse fasi. Un lavoro tra l’antropologico, l’artistico, il sociale

e l’urbanistico, fatto in collaborazione con gli abitanti, gli arti-

sti e gli uffici comunali specifici.

Il paese così diventa un vero e proprio laboratorio creativo,

all’interno di un museo a cielo aperto, dove le opere d’arte si

integrano e dialogano con le case e le piazze del luogo. Un

Museo è costituito da un contenitore, la struttura che ospita,

conserva e rende fruibili le opere d’arte, e dal contenuto, le

opere d’arte custodite al suo interno. Nel museo a cielo aper-

to il contenitore coincide con il paese stesso, il quale deve

essere predisposto all’accoglienza delle opere. Il contenitore

non deve essere inteso come una semplice struttura anoni-

ma e asettica ma rappresenta il luogo ideale di sintesi della

conoscenza, dove architettura, arti figurative, arti applicate e

antropologia s’incontrano e interagiscono tra loro con il fine

di rendere la struttura stessa, un’opera d’arte.

Realizzare istallazioni artistiche nel paese, non significa sem-

plicemente abbellire con qualcosa di bello un determinato

luogo ma significa, soprattutto, accogliere i pensieri e le idee

dell’artista, che rappresentano un prezioso arricchimento

culturale per l’utente. L’opera d’arte contemporanea è essen-

zialmente una riflessione, un’idea, che va aldilà della tecnica

e dei materiali utilizzati per realizzarla.

Naturalmente, in un contesto di arte pubblica, il dialogo

con il luogo, che accoglie l’opera, è fondamentale. Così ci

si propone di creare un sistema virtuoso che, attraverso il

potenziamento della capacità di accoglienza del paese, di

tutto ciò che è cultura, arte e sperimentazione, aumenti in

modo esponenziale la visibilità e la notorietà di San Potito nei

circuiti della cultura nazionali e internazionali ottenendo, di

ritorno, un sempre maggiore interesse per questi territori e

quindi un sempre maggiore numero di visitatori e di persone

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interessate a vivere un’esperienza artistica, di lavoro o cono-

scenza, in questi luoghi.

I laboratori di arte partecipata, realizzati durante il festival, han-

no creato diverse opere, tutte diverse tra loro, ma con un unico

obbiettivo: creare e indurre alla partecipazione. Dando un’im-

pronta, assolutamente collettiva, all’opera d’arte.

Lo vediamo, in particolare, nell’opera del Mono Gonzalez,

l’artista Cileno che ha vissuto tutta la dittatura di Pinochet in

clandestinità, senza mai andare via dal suo paese e senza mai

perdere di vista il suo obbiettivo: costruire e promuovere, attra-

verso l’arte, nuovi mondi possibili.

Come lui stesso ripete spesso: il muro è come un quaderno

da colorare, anche senza conoscere il metodo, chiunque puo

farlo, l’ importante è lasciarsi andare, perchè troppo spesso, a

causa dei media, in particolare della televisione, siamo inibi-

ti all’azione, al fare, a sporcarci le mani e il pensiero di nuovi

colori.

Lo spirito corale si ritrova anche nel lavoro di Mademoisel-

le Maurice. L’artista francese, insieme ai ragazzi del posto, ha

“tessuto” il muro con mattonelle di riuso creando un motivo

geometrico multicolore che però della freddezza matematica

non ha nulla, anzi. Sembra piuttosto ricordare le trame delle

coperte, dei tappeti, del calore di casa.

I temi cardine, l’immigrazione e l’incontro fra i popoli, e l’aspet-

to partecipativo della manifestazione fanno sì che questi lavori

sembrino essere sempre stati lì; e così perdendo lo sguardo fra

le valigie dell’opera Transumanza di Bifido, i merletti di Nespo-

on, l’espressione malinconica della giovane migrante ritratta da

Bosoletti, ci sembra di ascoltare una storia che è quella di San

Potito Sannitico, ma che potrebbe essere quella di tanti altri

piccoli centri da cui si partiva per cercare fortuna fuori, in terre

lontane.

Questo aspetto rende i lavori ancora più validi; forse perché

un murales, affinché sia davvero di tutti, richiede che tutti par-

tecipino all’esperienza, forse solo così un muro può davvero

raccontare una storia. E a quanto pare l’esperimento è riuscito

visto che il lavoro di Malakkai me lo illustra orgogliosa la signo-

ra proprietaria del muro dalla finestra di casa sua: “vedi, queste

sono due etnie diverse che si incontrano…”, mi dice.

Al lavatoio Porta Agricola, Mariana Palomino (una dei due artisti

in residenza presso il Centro d’Arte La Regenta delle Canarie

insieme a Chris Tadeo ospiti al Fate) ha ritratto Antonietta, don-

na del luogo, mentre arriva con la tinozza piena di panni da la-

vare in testa, come si faceva una volta, e chissà che Antonietta

un domani non ci porti i nipoti a vedere il suo ritratto al lavatoio.

Le memorie vengono infatti tramandate, come quando si

guarda una vecchia foto, come quando guardiamo il lavoro

di Tono Cruz dove due bambini di tanti anni fa, sguardo fiero

e posa adulta, vanno a diventare grandi in un altro paese, in

un’altra storia.

Sempre di Tono Cruz il bel ritratto di Fabrizio Caròla; l'architetto

napoletano è infatti cittadino onorario di San Potito Sannitico

dove ha portato avanti un progetto di autocostruzione, utiliz-

zando un vecchio compasso che proviene dall’antico Egitto.

Caròla ha fondato la sua lunga e brillante ricerca, soprattut-

to nel continente africano, sul recupero delle tecniche di co-

struzione e strumenti primitivi come il compasso ligneo e lo

studio delle forme naturali come curve e cupole. Tecniche di

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costruzione spontanea dove la progettualità consiste nel fare,

costruire, “fate”.

“La calma è la virtù dei forti”, è questa la scritta che campeggia

fra i colori vitaminici del murales dei Boamistura ed è partico-

larmente vero se penso che il Fate è all’11° edizione, anni di

lavoro, idee, proposte, coinvolgimento, il cosiddetto “lavoro sul

territorio” che la Proloco e il comune svolgono assiduamente.

Insomma, pare che l’ingrediente segreto per fare le cose bene

sia proprio la calma, la sostenibilità, il tempo …

Tempo che scorre come l’acqua dell’altro lavatoio, quello Au-

lecine, dove campeggia il ritratto di una splendida donna opera

di Caktus e Maria, straordinario duo di artisti pugliesi.

Le donne sono protagoniste anche del lavoro di Hyuro; l'ar-

tista Argentina nell’opera “Espacios de empoderamiento” ne

ritrae un gruppo riunito in cerchio. Un tono intimista, quasi

uno scatto rubato ad un momento quotidiano, quello della

chiacchierata fra donne, che si ripete fedele nei secoli.

La stesso senso di sospensione ma con toni più cupi si ritrova

nel lavoro di Milu Correch presente al Fest con l’opera Las

Moiras.

Mariela Arjas sembra indagare l’estetica anni 50 e l’inserimen-

to della figura umana in uno spazio geometrico simile ad un

cono di luce, un apparente bivio, quasi una metafora di infinite

possibilità.

Si conclude così il nostro viaggio virtuale. Il mio racconto non

potrà purtroppo restituirvi i sorrisi, i piccoli momenti spensie-

rati e l’allegria dei giorni del Fest, ma spero che valga come

invito a fare un giro fra le mura di San Potito Sannitico, a per-

dervi nel quartiere Fate.

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Despedirnos de SanPotito Sannitico, ha sido el adios mas di-

ficil que hemos tenido, por un momento te das cuenta que lo

que has vivido ha dejado una raiz profunda,con un sentimien-

to de carigno muy grande, hecha de una participacion acti-

va de su gente,de sus sonrisas, de emociones compartidas,

de colores, pinceles, brochas, muros, afectos que nacieron

espontaneamente, una generosidad que iba mas allà de sus

necesidades, un sur que nos dio el corazon. Gracias pueblo

maravilloso!

Agradecemos FateFestival, la hermosa oportunidad que nos

donó, una familia, un intercambio entre artistas de todo el mun-

do, que no conoce fronteras, ni lenguaje, con la unica meta de

compartir para dar luz y esperanza donde el muro era gris.

Alejandro Mono Gonzalez (artista Chileno)

Marianela Vega (asistente artista Chile-Ital)

The San Potito Art project was born from the desire to

welcome artists and collectives works internationally re-

nowned and emerging ones, in order for the village to be-

come a fertile ground for cultural exchange. A project that

takes into account the needs of local people, people to be

involved as an integrant part of the process itself, people

whose contribution will remain as a sign of their presence

and identity. Art which has a social function of participa-

tion’s activation, not definable with a formula nor with a

method, but able to adapt and find, from time to time, its

formula in the active and alive involvement. Public Art as a

device of continuous dialogue, able to spring, implement

and accompany new projects in different phases. A work

between the anthropological, the artistic, the social and the

urban, made in collaboration with the residents, the artists

and the specific municipal offices. The village thus becomes

a real creative laboratory, in an open-air museum, where

works of art are integrated and dialogue with houses and

squares of the place. A museum consists of a container, the

structure that houses, preserves and makes the works of art

accessible, and of a content, the works of art housed in-

side. In the open-air museum, the container coincides with

the village itself, which has to be arranged to welcome the

works. The container should not be conceived as a sim-

ple structure, anonymous and aseptic, but it represents the

ideal place to synthesize knowledge, where architecture,

visual arts, applied arts and anthropology meet and inter-

act with each other with the purpose of making the struc-

ture itself, an artwork. Achieving artistic installations in the

village, does not simply mean to adorn a particular place

with something beautiful, but it means, above all, accepting

the thoughts and ideas of the artist, which represent a val-

uable cultural enrichment for the user. The contemporary

work of art is essentially a pondering action, an idea that

goes beyond the technique and materials used to make it.

Of course, in a context of public art, the dialogue with the

place, which houses the work, is crucial. So, the aim is to

create a virtuous system that, through the strengthening of

the village’s welcoming ability, of all that is culture, art and

experimentation, increases exponentially the visibility and

notoriety of San Potito in the circuits of national and In-

ternational culture, getting, in return, a growing interest in

these territories and, then, an increasing number of visitors

and people interested to live an artistic, working or knowl-

edge experience in these places.

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The laboratories of participatory art, done during the festi-

val, have created several works, all of them different, but with

the focus on the same objective: creating and encouraging

participation. Giving the work of art an impression absolutely

collective.

We find it, in particular, in Mono Gonzalez’s work, the Chilean

artist who has lived all the Pinochet’s dictatorship in clandes-

tinity, never leaving his country and never losing sight of his

goal: to build and to promote new possible worlds through

art, As he himself often says: the wall is like a book to be

colored, even without knowing the method, anyone can do

it, the important thing is to let yourself go, because too often,

due to media, especially television, we are all inhibited to-

wards action, towards doing, towards getting our hands dirty

and towards the thought of new colors. And it is precisely this

spirit that characterizes the work done with the people here

in San Potito; rediscover the game, the action, the pleasure of

doing together.

The collective spirit can also be found in Mademoiselle Mau-

rice’s work. The French artist, along with the local boys, has

“woven” a wall with reused tiles by creating a multicolored ge-

ometric pattern which has nothing to do with the mathemat-

ics coldness, on the contrary. It seems rather to remind the

weft from blankets, from carpets, from the warmth of home.

The main topics, immigration and the encounter between

peoples, and the participatory aspect of the event, make it

so that these works seem to have always been there; and so,

losing gaze between the work’s bags, Transumanza by Bifido,

Nespoon’s laceworks, the young migrant’s melancholic ex-

pression portrayed by Bosoletti, we seem to hear a story that

belongs to San Potito Sannitico, but which could be belonging

to many other small towns from which you set off to seek

your fortune, elsewhere, in distant lands. This aspect makes

the works even more valid; perhaps because a mural, in order

to really belong to everybody, requires that everybody takes

part in the experience, maybe, only in this way, a wall can real-

ly tell a story. And apparently the experiment worked since the

work of Malakkai is proudly illustrated to me by the lady owner

of the wall from the window of her house: “See, these are two

different ethnic groups that come together...”, she says.

To the Porta Agricola wash-house, Mariana Palomino (one of

the two artists in residence at the Art Center of La Regenta

delle Canarie,with Chris Tadeo, guests to Fate) portrayed An-

tonietta, a local woman, coming with the tub full of clothes

to wash balanced on the head, as the elders used to do, and

who knows if, one day, Antonietta will take her grandchil-

dren to see her picture at the wash-house. The memory is in

fact handed down, like when you look at an old picture, like

when we look at the Tono Cruz’s work, in which two children,

from many years ago, with a proud gaze and grown up pose,

leave to become adult in another village, in another story.

Also made by Tono Cruz, the fine portrait of Fabrizio Caròla;

the Neapolitan architect is in fact an honorary citizen of San

Potito Sannitico where he carried out a project of self-con-

struction, using an old compass that from the ancient Egypt.

Caròla founded his long and brilliant research, particularly in

Africa, on the recovery of construction techniques and prim-

itive tools such as wooden compass and on the study of nat-

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ural forms like curves and domes. Spontaneous construction

techniques where design is to make, build, “you do”.

“The calm is a virtue”, these are the words that stand between

the vitaminic colors of the murals of Boamistura and it is es-

pecially true if you think that Fate is at its 11th edition, years

of work, ideas, proposals, involvement, the so-called “work

on the ground” that the Proloco and the municipality held

assiduously. In short, it seems that the secret ingredient to

make things right are just calmness, sustainability, time... Time

flowing like water from the other wash-house, the Aulecine

one, where there is a portrait of a beautiful woman by Caktus

and Mary, an extraordinary duo of artists from Puglia..

Women are also the protagonists of Hyuro’s work; the Argen-

tine artist in the work “Espacios de empoderamiento” portrays

a group gathered in circle. An intimate tone, almost a picture

stolen from a daily moment, the one of the chat between

women, which is repeated faithfully over the centuries.

The same sense of suspension, but with darker tones, can

be found in the Milu Correch’s work, present at Fest with

the work Las Moiras. Mariela Arjas seems to investigate the

50’s aesthetics and the insertion of the human figure in a ge-

ometric space similar to a cone of light, an apparent junc-

tion, almost a metaphor of infinite possibilities. So our virtual

trip comes to an end. My story cannot unfortunately give you

back the smiles, the little moments of joy and carefree days of

the Fest, but I hope it’s worth as an invitation for a tour within

the walls of San Potito Sannitico, to get lost in the Fate district.

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CIC

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Nel 1947 grazie alla grande intuizione di Antonio Iannitto, nac-

que a lato della Piazza, dove una volta c’erano l’orto e il pollaio,

il primo cinema di San Potito: Il Cinema Aurora.

Durante molti anni, a San Potito, come nella maggior parte dei

piccoli paesi italiani, il cinema, insieme al teatro, era l’unico di-

vertimento possibile.

Poi a partire dagli anni ’50, con la diffusione della tv, i bar, le

sezioni di partito e le case dei propri vicini diventarono i luoghi

prediletti per le visioni di gruppo, che poi piano piano, sono

diventate individuali perdendo così ogni spirito di condivisione.

Sin dai suoi inizi il cinema ha sempre rappresentato un luo-

go d’incontro, un luogo dove i nostri nonni, si ritrovavano per

stabilire gli orari e le paghe della giornata dei campi e si perde-

vano a chiacchierare nelle nuvole di fumo di tabacco appena

essiccato.

Il cinema quale luogo d’incontro, aggregazione e comunica-

zione è sempre stato uno strumento universale, capace di rac-

contare storie e culture di luoghi, vicini e lontani, specchio in cui

guardarsi e riconoscersi stimolando al tempo stesso spunti di ri-

flessione, trasmissione di affetti e comunicazione di esperienze.

Attualmente l’esercito cinematografico va distinto in due cate-

gorie, l’esercito delle multisale, interessato ai soli prodotti com-

merciali, e quello delle piccole e grandi realtà indipendenti.

Riportare il cinema in un piccolo paese come San Potito, rap-

presenta essere in linea con la seconda tendenza, quella di

voler promuovere un cinema indipendente, libero e condiviso.

Con il Festival Cinemadamare prima e da quest’anno con l’As-

sociazione CICI, proponiamo un cinema laboratorio costante-

mente in progress, dove il luogo d’incontro si estende all’intero

paese, e gli abitanti diventano i veri protagonisti delle storie.

Cinema come motore di riappropriazione dello spazio comu-

ne, come strumento di aggregazione e partecipazione alla vita

pubblica del paese.

Il Cici film festival, è una rassegna cinematografica organizza-

ta dall’omonima associazione nata nel 2009, nell’ambito del

laboratorio creativo “Progetto terremoto”, di Oliviero Toscani.

Per il momento si svolge in due località diverse, in Campania,

a San Potito Sannitico e in Sicilia, a Castellamare del Golfo, ma

l’idea è di renderlo itinerante, in Italia e all’estero.

La formula del CICI prevede che una selezione di giovani regi-

sti, scelti tramite open call, realizzino un cortometraggio, della

durata massima di dieci minuti, su un tema svelato solo all’ar-

rivo.

Per una settimana il paese si trasforma in un unico grande set

cinematografico. Visitanti e residenti, per un giorno, diventano

attori, scenografi, figuranti, fonici, traduttori, tecnici della foto-

grafia, protagonisti e spettatori della propria storia, raccontata

dagli occhi nuovi di registi provenienti dai paesi più disparati,

che viaggiano tra le strade, i vicoli, le piazze e le case per co-

noscere e far vivere con la propria telecamera una San Potito

sconosciuta, viva e ricca di storia.

Quest’anno il tema del CICI, a San potito, è stato La Trasforma-

zione e il premio della giuria è stato dato a Luigi on the rocks

della giovane regista di Singapore, Ashleigh Goh, con la se-

guente motivazione: “è un film intenso, misterioso, capace di

coniugare un attraversamento autentico della realtà con una

narrazione metaforica e simbolica affascinante. Nel suono ma-

gico e ipnotico del film, nel ritmo lento ma vivo di una narrazio-

ne straordinariamente consapevole per dei giovani autori, nel

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volto del protagonista che trasmette insieme carattere e fertile

sospensione, alla giuria è sembrato di vedere l’anima di San Po-

tito, un luogo statico e sospeso insieme, dolce e desideroso ma

anche spaventato dalla trasformazione”.

Mentre una menzione speciale è stata data a Fuori di Claudia

Calcara “per la costruzione drammaturgica che ha permes-

so di raccontare con estrema sensibilità la capacità di uscire

dall’ isolamento e da una condizione di chiusura del corpo e

dell’anima. La sapiente scelta d’inquadrature e movimenti con-

sente allo spettatore di entrare in empatia con i personaggi e

trasmettere la voglia di trasformazione che da qualche anno

sta animando la comunità di San Potito Sannitico”.

www.associazionecici.com

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In 1947, thanks to the great intuition of Iannitto Antonio, was

born on the side of the square, where once there were a

vegetable garden and a chicken coop, the first cinema in San

Potito: The Aurora Cinema.

During many years, San Potito, as in the majority of the ital-

ian small towns, cinemas, along with the theater, was the

only possible way of entertainmen.

Then, from the 50s on, with the spread of television, bars,

party sections and the neighbors'houses became the fa-

vorite places for the group visions, which then, slowly, have

become individual thus losing any sharing spirit.

From its beginnings, the cinema has always been a meeting

place, a place where our grandparents, met to determine the

hours and wages of the days in the fields and were they got

lost in chatting within clouds of just dried tobacco smoke.

The cinema, as a meeting place, gathering and communica-

tion, has always been a universal tool, able to tell stories and

cultures of places, near and far, the mirror in which to look

and recognize yourself while stimulating hint for thought,

transmission of affections and communication experienc-

es. Currently the cinema army has to be divided into two

categories, the multiplex army, interested in mere commer-

cial products, and the small and large independents realities

one. Bringing the movie back in a small town like San Potito,

is in line with the second trend, the one inclined to promote

an independent cinema, free and shared.

With the Festival Cinemadamare, in the first place, and with

the Association CICI, from this year one, we propose a cin-

ema laboratory constantly in progress, where the meeting

place covers the whole town, and the people become the

protagonists of the stories. Cinema as engine re-appropria-

tion of the common space, as an instrument of aggregation

and participation to the town’s public life.

The Cici Film Festival, is a film festival organized by the ho-

monymous association founded in 2009, as part of the crea-

tive workshop “Project Earthquake,” by Oliviero Toscani.

For the moment,it takes place in two different locations, in

Campania, in San Potito Sannitico and in Sicily, Castellam-

mare del Golfo, but the idea is to make it traveling through

Italy and abroad.

The formula of the CICI provides a selection of young film-

makers, chosen through open call, to realize a short film,

lasting up to ten minutes, about a theme revealed only on

their arrival.

For a week, the village turns into one big movie set. Visitors

and residents, for one day, become actors, set designers,

appearances, sound engineers, translators, photography

technicians, actors and spectators of their own story, told

through the eyes of new directors from many different cities,

traveling through the streets, alleys, squares and homes to

learn and to make others live with their camera an unknown

San Potito, alive and full of history.

This year, the CICI’s theme, in San Potito, was the transfor-

mation and the jury prize was given to “Luigi on the rocks” by

the young director from Singapore, Ashleigh Goh, with the

following motivation: “ it’s an intense movie, mysterious, ca-

pable of combining an authentic reality crossing with a fas-

cinating metaphoric and symbolic narrative. In the movie’s

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magical and hypnotic sound, in the slow but bright pace of

an extraordinarily conscious narrative for young authors, in

the face of the protagonist who communicates both char-

acter and fertile suspension, the jury thought to admire the

soul of St. Potito, a place both static and suspended, sweet

and eager, but also scared of the transformation. “

While special mention was given to “Fuori” by Claudia Cal-

cara “for the dramaturgical construction that allowed to tell,

with extreme sensitivity, the ability to emerge from isola-

tion and from a body and soul closed condition. The wise

choice of camera angles and movements allows the viewer

to empathize with the characters and convey the desire of

transformation that for some years has been animating the

community of San Potito Sannitico.“.

www.associazionecici.com

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SAN POTITO SANNITICO È UNA PITTORESCA E BELLA PICCOLA CITTADINA, CHE SEMBRA CALMA E PLACIDA LA PRIMA VOLTA CHE CI SI ARRIVA; L'ARIA È FRESCA DI MONTAGNA E AMICHEVOLI CANI RANDAGI PASSEGGIANO LUNGO I SENTIERI DI CIOTTOLI. / TUTTI SONO CORDIALI E SALUTANO CON UN SORRISO, MA CI SI RENDERÀ CONTO VELOCEMENTE CHE OLTRE L’ESTERIORITÀ VI È QUALCOSA DI ANCORA PIÙ SORPRENDENTE. ARTE. GIOVENTÙ. ENERGIA. LA CITTÀ, APPARENTEMENTE RILASSATA POSSIEDE IL DESIDERIO DI ABBRACCIARE IL NUOVO E IL COLORATO, L’AUTO-ESPRESSIONE ESPLODE IN MIRIADI DI SFUMATURE SU TUTTI I MURI DI QUESTA PICCOLA CITTÀ, IN LUOGHI DOVE MENO TE LO ASPETTI. SI TRATTA DI UNA RIUNIONE DI ENERGIE DEL MONDO. HA DATO VITA A UNA NUOVA ERA DI PICCOLE CITTÀ IN ITALIA.

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SAN POTITO SANNITICO IS A QUIET, BEAUTIFUL LITTLE

TOWN THAT SEEMS CALM AND PLACID WHEN YOU FIRST

ARRIVE; THE AIR IS FRESH OF THE MOUNTAINS AND

FRIENDLY STRAY DOGS TROT ALONG THE COBBLESTONE

PATHS. EVERYBODY IS FRIENDLY AND GREETS WITH A

SMILE, BUT YOU WILL BE QUICK TO REALIZE THAT PAST

THAT EXTERIOR SOMETHING EVEN MORE AMAZING LIES.

ART. YOUTH. ENERGY. THE SEEMINGLY LAID-BACK TOWN

POSSESSES AN EAGERNESS TO EMBRACE THE NEW AND

THE COLORFUL, SELF-EXPRESSION EXPLODES IN MYRIADS

OF SHADES ALL OVER THE WALLS OF THIS LITTLE TOWN IN

PLACES WHERE YOU LEAST EXPECT IT. IT’S A CONGREGATION

OF THE ENERGIES OF THE WORLD. IT HAS GIVEN BIRTH TO

A NEW AGE OF SMALL TOWNS IN ITALY.

[ASHLEIGH GOH CICI FILM FESTIVAL 2015]

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“Ogni frammento di spazio antropizzato può essere consi-

derato come un palinsesto su cui si incidono e si sovrap-

pongono le grandi visioni del mondo. Bisogna favorire una

presa di coscienza superiore, definite dall’interazione degli

esseri viventi ma anche dei loro sistemi culturali: un siste-

ma eco-etnologico plurale e unitario, allo stesso tempo. Un

grande giardino, un pianeta piccolo. Il giardino planetario

deriva dalla combinazione tra l’osservazione nomade e un’i-

potesi: si può considerare la terra come un unico giardino? E

le si possono applicare i precetti del giardino in movimento?

Il giardino planetario è un principio, e il suo giardiniere è l’u-

manità intera?” Gilles Clément

“I giardini in movimento di San Potito”, è un laboratorio, a

cura dall’Associazione Ru.De.Ri._Rural Design per la Rige-

nerazione dei Territori, realizzato nell’ambito del “Fate Fe-

stival 2015”, con un chiaro riferimento al libro “Il giardino in

movimento” di Gilles Clément, noto paesaggista francese.

Il laboratorio - di fatto è una trama di micro-eventi disse-

minati in tutto il paese, distribuiti nei diversi giardini e per

tutta la durata del Festival -, oltre che essere un omaggio

al suo teorico, vuole essere un’azione volta a contribuire ad

elaborare - prendendo spunto dalle peculiarità naturali e

culturali del contesto locale - il tema della sostenibilità, a

prendere posizione sulla questione ambientale che significa

esprimere un punto di vista, esplicito o implicito, sul ruolo

dell’essere umano nella Natura, sull’idea di responsabilità,

sull’etica e l’estetica, nonché sulla dimensione ecosistemica

del vivere.

Lo straordinario interesse per i temi della natura e del terri-

torio, indotti soprattutto dalle attuali emergenze ambientali,

è un fenomeno recente che non ha precedenti nella storia

della cultura occidentale. Negli ultimi due tre decenni i temi

della natura in generale, e della qualità della vita nei luoghi

in particolare, hanno subito un’improvvisa quanto imprevi-

sta valorizzazione, anche in un’ottica economica.

Nell’immaginario comune per molto tempo ha prevalso

una visione della relazione tra uomo e natura, come rap-

porto tra soggetto e oggetto in cui il secondo non ha alcuna

influenza sul primo, ma può essere da questo opportuna-

mente manipolato.

Per ricostruire una definizione adeguata, multidisciplinare

e complessa di sostenibilità è necessario, per inquadrare in

questa prospettiva il legame tra gli esseri viventi che si ot-

tiene attraverso il recupero del soggetto che, fonda la sua

esistenza nel fatto che pensa e quindi assume su di sé il

principio e il fondamento della sua stessa esistenza. In que-

sta prospettiva è diventato indispensabile il riconoscimento

della Natura come soggettività che è alla base di ogni di-

scorso e dialogo con la Natura.

Allora, come spazio simbolico destinato al colloquio tra

uomo e natura, il giardino costituisce in questa luce un tema

progettuale centrale e innovativo, e giustamente diventa

elemento di riferimento relazione all’interno del corrente

dibattito sulle modalità degli interventi di riqualificazione

dei paesaggi urbani e periurbani.

Infatti nella filosofia di Gilles Clément, il giardino planetario

“propone una relazione tra uomo e natura in cui l’attore pri-

vilegiato - il giardiniere, cioè il cittadino planetario - agisce

localmente nel nome e nella coscienza dell’intero pianeta”.

Osservare i comportamenti che si svolgono dentro que-

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sti spazi, e gli esseri che vi trovano cittadinanza, significa

allora per l’uomo assumersi nuove responsabilità nei con-

fronti della natura. E questa nuova responsabilità si coniuga

in Clément con il suo fondamentale concetto: “Il Giardino

planetario”, che altro non è se non una rappresentazione

del pianeta come un “giardino”.

Tutto il pianeta è giardino: con questo enunciato, si fa ap-

pello ad un principio di responsabilità individuale, fondata su

una comune coscienza ecologica, che dovrebbe orientare

ogni azione di trasformazione. Ritornare al giardino, come

categoria ideale, porta a riconoscere il valore di “coltivare il

pensiero sulla natura”, ma anche la necessità, intrinseca alla

condizione umana, di costruire spazi ecologici in cui vivere.

“Elemento della natura, l’uomo ha bisogno del suo giardino

per vivere in un ambiente idoneo, luogo della vita umana as-

sociata, spazio etico della comunicazione e della vita attiva.”

(Gilles Clèment). E così, nel recupero dell’Arte dei giardini

come disciplina di riferimento per il progetto contempora-

neo del “verde urbano”, e nella riconsiderazione dell’impor-

tanza del ritorno del giardino nella città contemporanea,

paiono esplicitarsi due istanze culturali: la ricostruzione di

un senso etico della natura e per la natura e il riconosci-

mento della valenza degli aspetti percettivi, simbolici e po-

etici nella progettazione degli spazi aperti d’uso pubblico.

Il recupero dell’idea di giardino risulta centrale anche ri-

spetto ad uno dei temi più importanti del progetto paesag-

gistico contemporaneo: quello della riqualificazione delle

aree dismesse, della bonifica dei siti contaminati, della rifi-

gurazione di nuovi paesaggi anche ai fini della creazione di

nuovi luoghi dell’abitare, in cui ospitare le altrettanto nuove

ritualità sociali e pubbliche della cultura contemporanea.

L’associazione Ru.De.Ri ha quindi scelto il giardino per il suo

intervento su San Potito, in quanto patrimonio condiviso di

una comunità che da sempre esprime la sua cura su questi

spazi, in quanto il giardino è simbolo, dell’abitare, metafora

dell’arcaico rapporto tra uomo e natura, e di come questa

relazione, diventata ormai conflittuale, possa sviluppare altri

modi, altre relazioni, nuove forme e nuove espressioni per

ri-abitare il territorio. La poetica del giardino, è una poe-

tica in divenire, ossia “un formare come fare (poieìn) …che,

mentre fa inventa il modo di fare”, un fare che re-inventa

il mondo. “Un giardino non è né definitivo, né effimero, è

provvisorio” (J. L. Brisson).

Attraverso l’intervento sui diversi giardini (in essere e po-

tenziali) di San Potito, Ru.De.Ri ha cercato di modificare ed

espandere la percezione sia dei luoghi noti, ad esempio i

giardini delle ville nobili o quelli di alcuni abitanti, che di

molti luoghi meno noti, se non dimenticati, presenti nello

spazio urbano di San Potito (si veda ad esempio il laboratorio

nel giardino Francomacaro). La serie di micro-eventi, labo-

ratori, esplorazioni proposte durante tutto il Festival è stata

quindi fondamentalmente un’azione di ricucitura e insieme

di trasformazione di tutti questi spazi in una rete di giardini

accessibile al pubblico: giardini privati e pubblici ma anche

spazi vuoti tra le costruzioni, inospitali cortili interni, ruderi

impraticabili abbandonati e dimesse superfici erbose pos-

sono trasformarsi, con il contributo degli abitanti del paese

e dagli ospiti che verranno, dando luogo a nuove visioni del

proprio ambiente quotidiano. In una sorta di catarsi, il pro-

cesso di esplorazione di questi luoghi e quindi della loro ri-

progettazione e costruzione coinvolge le persone, non solo

nella trasformazione degli spazi, ma anche di loro stessi.

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Quando su una superficie in rovina e abbandonata improv-

visamente nasce un giardino, gli abitanti iniziano un nuovo

rapporto con quel luogo. Ne prendono possesso, comincia-

no a occuparsene e così facendo, si prendono cura anche di

loro stessi e degli altri.

“Le piante viaggiano. Le erbe, soprattutto. Si spostano in si-

lenzio, come i venti. Non si può nulla, contro il vento. Se si

mietessero le nuvole, si sarebbe sorpresi di raccogliere se-

menti imprevedibili mescolate al loess, polveri fertili. Già nel

cielo si disegnano paesaggi impensabili…”

Clément, 2010

il giardino è un eco-sistema

La piena considerazione della diversità paesistica, l’attenzio-

ne per la ricchezza e la diffusione del patrimonio culturale e

delle reti storiche di relazioni, la consapevolezza della densità

delle soggiacenti dinamiche economiche, sociali e culturali

che plasmano il territorio, hanno da tempo indotto a parlare

di sistemi di connessioni bio-culturali, di reti di reti o, con una

metafora per certi versi ardita, di una vera e propria infrastrut-

tura ambientale intesa come una infrastruttura di base che,

anteponendosi a quelle correntemente frequentate (come le

infrastrutture dei trasporti o dell’ energia) tenda ad assicurare

su tutto il territorio le condizioni di uno sviluppo ambiental-

mente sostenibile.

L’importanza della funzione ecologica si sostanzia nella pos-

sibilità di mitigare la presenza di una forte antropizzazione

con elementi naturali. La dimensione degli spazi verdi e la loro

forma, infatti, sono in grado di offrire stabilità agli ecosistemi

che si possono sviluppare al loro interno.

Gli interventi di rigenerazione urbana, oggi, devono necessa-

riamente tenere insieme temi e obiettivi ambientali e sociali.

Un possibile approccio alle problematiche esposte è quel-

lo eco-sistemico che, considerando città e territorio come

l’insieme di più ecosistemi, pone in primo piano le leggi che

regolano gli equilibri naturali, identificandoli quali elementi

fondamentali per la vita degli spazi aperti.

San Potito è forse uno dei pochi paesi dell’area Matesina e

oltre, se non l’ultimo, che - pur trovandosi in contesti rurali e

ambientali come quelli del parco del Matese -, ha preservato

l’immenso patrimonio dei giardini urbani. Fino a qualche de-

cennio fa, infatti, quello dei giardino era un patrimonio che

connotava i centri storici di molti di questi paesi, prima che

la colata di cemento si abbattesse su di essi. A San Potito è

ancora evidente come il sistema dei giardini murati, i corri-

doi e le cinture verdi, insieme ai vuoti urbani, costituiscano,

ancora oggi, degli elementi importanti all’interno di un tes-

suto urbano fortemente costruito.

Diversi studi dimostrano come il mantenimento della coe-

renza ecologica degli ecosistemi sia alla base dei nuovi mo-

delli di sostenibilità ambientale della pianificazione urbani-

stica.

Insieme a questi principi, anche il concetto di infrastruttura

verde si va diffondendo nell’ambito delle iniziative e degli

studi avviati in Inghilterra con la valutazione del carattere del

paesaggio.

L’idea è ancora allo stato embrionale, ma si sta rapidamen-

te sviluppando, arricchendosi di casi di studio che, sebbene

non la rappresentino compiutamente, ne fanno intravedere

le possibili, seppur ancora parziali, realizzazioni. Se però, fi-

nora l’infrastruttura verde si riferiva soltanto agli spazi ex-

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traurbani, la ricerca attuale sembra estendersi anche all’in-

terno delle città in ragione degli evidenti benefici che essa

può arrecare all’ambiente urbano.

Se una città ingloba al proprio interno aree verdi di apprez-

zabile dimensione, non v’è dubbio che queste possano

svolgere anche una funzione ecologica di accrescimento

del grado di naturalità dell’ambiente urbano. Tuttavia, nel

concetto d’infrastruttura è insita anche la nozione di rete;

per cui, per avere un’infrastruttura verde urbana, non basta

solo un sistema di giardini, ma occorre che vi sia una rete di

spazi verdi di connessione. Nel caso di San Potito, che già

ospita una rete ecologica di giardini, basterebbe rafforzare la

connessione con il sistema montano del Parco del Matese.

Le infrastrutture verdi, secondo la definizione comunitaria,

sono “reti di aree naturali e seminaturali, pianificate a livello

strategico con altri elementi ambientali, progettate e gestite

in maniera da fornire un ampio spettro di servizi ecosistemi-

ci“ (dalla Direttiva europea sulle infrastrutture verdi).

Il crescente interesse europeo per le infrastrutture verdi è

motivato dalla ormai riconosciuta importanza di pianifica-

re, programmare, realizzare reti connesse di aree naturali,

ma anche seminaturali (aree per esempio agricole o peri-

urbane), per assicurare, mantenere e sviluppare una serie di

servizi ecosistemici. Tali servizi, forniti dalla natura, sono di

vari tipi: di approvvigionamento (cibo, acqua, legname ecc.),

di regolazione (del clima, del ciclo delle acque, delle preci-

pitazioni etc.), di supporto (la fotosintesi, la formazione del

suolo, la depurazione dell’aria e delle acque ecc.), di benes-

sere (di attività culturali, educative, ricreative ecc.). Crescenti

e insostenibili pressioni antropiche – inquinamento, prelie-

vi, consumo di suolo che stanno intaccando e riducendo i

servizi ecosistemici, depauperando la biodiversità, compro-

mettendo la resilienza.

Progettare e realizzare infrastrutture verdi si rende necessa-

rio sia per fermarne il degrado, sia per sviluppare e valoriz-

zare i servizi ecosistemici.

In questa loro duplice funzione, le infrastrutture verdi assu-

mono un ruolo strategico per un’ economia verde che punta

su un’elevata qualità ecologica e sulla ricostituzione e va-

lorizzazione del capitale naturale, basi indispensabili per il

benessere e per un durevole sviluppo economico.

“Il tempo, di cui l’ecologia necessita, modifica i progetti

dell’artista come pure i gesti del giardiniere, minacciando

seriamente la perennità delle forme. La dimensione archi-

tettonica dell’opera sembra, così, essere sul punto di essere

relegata, dall’ecologia applicata al giardino, ad un posto che

non ha mai occupato: lo sfondo. Il giardino ecologico non

può che essere un giardino di trasformazione continua, per-

ché il regno dei viventi non tollera forme rigide”

Clément 2012

riferimenti bibliografici

Clément G. (2011), Il giardino in movimen-

to, Quodlibet, Macerata

Clément G. (2010), Elogio delle vagabon-

de. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del

mondo, DeriveApprodi, Roma

Clément G. (2012), Breve storia del giardi-

no, Quodlibet, Macerata

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“Every piece of man-made space can be considered as a pal-

impsest on which the great visions of the world overlap and

affect. We must foster an higher awareness, defined by the

interaction of living beings but also of their cultural systems:

an ethnological eco system, plural and united, at the same

time. A large garden, a small planet. The planetary garden

comes from the combination between nomadic observa-

tion and an hypothesis: can you consider the world as a

unique garden? Can the precepts of the garden in motion be

applied to it? The planetary garden is a principle, and is the

whole humanity its gardener?“

Gilles Clément

“The gardens in motion of San Potito “, is a workshop, or-

ganized by the Association Ru.De.Ri._Rural Design for the

Regeneration of the Territories, implemented under the

“Fate Festival 2015”, a clear reference to the book “The gar-

den in motion” by Gilles Clement, famous French landscape

painter.

The lab - in fact a web of micro-events scattered across the

country, distributed in different places throughout the dura-

tion of the Festival - as well as a tribute to his theorist, wants

to be an action to help develop - inspired by the natural and

cultural peculiarities of the local context - the theme of sus-

tainability, to take a stand on the question of the environ-

ment which is to express a point of view, express or implied,

about the role of humans in Nature, the idea of responsi-

bility, ethics and aesthetics, as well as the ecosystemic size

of the living.

The extraordinary interest in the themes of nature and terri-

tory, caused mainly by current environmental emergencies,

is a recent phenomenon that is unprecedented in the histo-

ry of Western culture. In the last two or three decades, the

themes of nature in general, and the quality of life in the

places in particular, have suffered a sudden unexpected as

enhancement, also in economical way.

In common imaginary has long prevailed a vision of the re-

lationship between man and nature, as the relationship be-

tween subject and object in which the latter has no influ-

ence on the first, but it can be opportunely manipulated.

To rebuild an adequate, multidisciplinary and complex defi-

nition of sustainability it’s necessary to frame in this per-

spective the link between living things that you get through

the recovery of the subject that bases its existence in the

fact that it is sentient and therefore takes upon himself the

principle and foundation of its own existence. In this per-

spective recognition of Nature as subjectivity that underlies

all talk and dialogue with Nature has become essential.

Then, as symbolic space for the interview between man and

nature, the garden is, in this regard, a central and innovative

design theme, and rightly becomes a reference point in the

current debate about the report mode of redevelopment of

urban and peri-urban landscapes.

In fact, in the philosophy of Gilles Clément, the planetary

garden “suggests a relationship between man and nature in

which the privileged actor - the gardener, that is, the plane-

tary citizen - acts locally in the nemae and in the conscious-

ness of the entire planet.”

Observing behaviors that take place in these spaces, and

the beings that find citizenship in it, then, means to humans

take on new responsibilities towards nature. And this new

responsibility is combined with Clément in his fundamental

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concept: “The Planetary Garden”, which is nothing but a

representation of the planet as a “garden”.

All the planet’s garden: this statement appeals to a principle

of individual responsibility, based on a common ecological

awareness, which should guide every action of transfor-

mation. Back to the garden, as an ideal category brings to

recognition the value of “cultivating the thought about the

nature”, but also the need, intrinsic to the human condition,

to build ecological spaces in which to live.

“Element of nature, the man needs his garden to live in a

suitable environment, location of cooperative human life,

ethical space of communication and active life.” (Gilles Clé-

ment). And so, in the recovery of the Art of gardens as a dis-

cipline of reference for the contemporary project of “urban

green”, and the reconsideration of the importance of the

return of the garden in the contemporary city, two cultural

issues seem to explicate: the reconstruction of a sense of

ethics of nature and for nature and the recognition of the

importance of the aspects of perception, symbolic and po-

etic in the design of the open spaces of public use.

Recovering the idea of the garden is central also compared

to one of the most important issues of contemporary land-

scape design: the redevelopment of brownfield sites, the

remediation of contaminated sites, the refiguration of new

landscapes including for the creation of new places of living,

where to host the equally new social and public rituals of

contemporary culture.

The association Ru.De.Ri therefore chose the garden for its

intervention in San Potito, as shared heritage of a community

that has always expressed its care about these spaces (v. Fig.

XXX), as the garden is a symbol, of living, metaphor of the

archaic relationship between man and nature, and of how

this relationship, which has become conflict, can develop

other ways, other relationships, new forms and expressions

to re-inhabit the territory. The poetry of the garden, is a po-

etic in the making, or “how to make a form (poiein)... that,

while doing, it invents the way to do,” a make that re-invents

the world. “A garden is neither definitive nor ephemeral, is

provisional” (JL Brisson).Through the intervention of sev-

eral gardens (existing and potential)in San Potito, Ru.De.Ri

sought to modify and expand the perception of both known

places, such as the gardens of noble villas or those of some

residents, and many lesser known places, if not forgotten,

in the urban space of San Potito (for example the workshop

in the Francomacaro garden). The series of micro-events,

workshops, explorations proposed during the whole Fes-

tival was thus fundamentally an action of mending and, at

the same time, processing of all these spaces in a network

of gardens accessible to the public: private and public gar-

dens but also gaps between buildings, inhospitable interior

courtyards, abandoned impassable ruins and disused grass

can be transformed, with the help of the villagers and guests

to come, resulting in new visions of their everyday environ-

ment. In a kind of catharsis, the process of exploration of

these places, and redesign and construction, involves peo-

ple, not only in the transformation of the spaces, but also of

themselves.

When on an area abandoned and in ruins, suddenly a gar-

den rises, people begin a new relationship with that place.

Taking possession of it, they start to deal with it and, in doing

so, they take care also of themselves and of others.

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“The plants are traveling. Herbs, mostly. They move in silence,

like the winds. You cannot do anything against the wind. If

you harvested clouds, you would be surprised to collect un-

predictable seeds mixed with loess, fertile dusts. Already in

sky unthinkable landscapes are being drawn...“Clement, 2010

the garden is an eco-system

Full esteem of the diversity of landscape, attention to the

richness and dissemination of cultural heritage and historic

networks of relationships, awareness of the density of the

underlying dynamics, social and cultural, of economy that

shape the territory, have long led to talk about systems of

bio-cultural connections, networks of networks or,met-

aphorically speaking, a real environmental infrastructure

understood as a basic infrastructure that, standing against

those currently popular (such as transport or energy infra-

structure) tends to ensure throughout the territory, condi-

tions of a development environmentally sustainable.

The importance of ecological function is embodied in the

ability to mitigate the presence of a strong human presence

and natural elements. The size of the green spaces and their

shape, in fact, are able to offer stability to ecosystems that

can develop to their interiors.

Interventions of urban regeneration, nowadays, must nec-

essarily hold together themes and environmental and social

objectives.

One possible approach to the exposed problems is the

eco-logical one which, considering the city and the territory

as a set of more ecosystems, gives prominence to the laws

that regulate the balance of nature, identifying them as key

elements for the life of the open spaces.

San Potito is perhaps one of the few villages of the Matese

area and beyond, if not the last, that - despite being all of

them in rural and environmental contexts such as the Park

of Matese’s - has preserved the immense wealth of the ur-

ban gardens. Until a few decades ago, in fact, the garden’s

was a heritage that connoted the historic centers of many of

these countries, before the pouring of concrete came upon

them. In San Potito it is still evident that the system of walled

gardens, corridors and green belts, along with urban spaces,

constitute, even today, important elements within a strongly

built urban fabric.

Several studies show that the maintenance of the ecologi-

cal coherence of ecosystems is the foundation of the new

models of environmental urban planning.Along whit these

principles, the concept of green infrastructure is spreading

within the initiatives and studies undertaken in England with

the assessment of the landscape’s feature.This idea is still in

its infancy, but it’s rapidly developing, enriched with study

cases which, though not fully represent it, make it possible

to glimpse, albeit still partial, realizations. If, however, so far

the green infrastructure was referring only to the suburban

areas, current research seems to extend even within cities

because of the obvious benefits it can bring to the urban

environment. If a city incorporates an internal green areas of

appreciable size, there is no doubt that they can also play an

ecological function of growth of the degree of naturalness

of the urban environment. However, in the concept of infra-

structure is inherent the notion of the network; whereby, to

obtain a green Urban infrastructure, not just a system of gar-

dens is not enough, but there should be a network of green

spaces of connection. In San Potito, which already hosts

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an ecological network of gardens, it would be enough to

strengthen the connection with the mountain system of the

Matese Park. Green infrastructures, according to the Com-

munity definition, are “networks of natural and semi-natural

areas, strategically planned with other environmental ele-

ments, designed and operated so as to provide a wide range

of ecosystem services” (European directive on green infra-

structure).

The growing European interest in Green Infrastructures is

motivated by the now recognized importance of planning,

schedule, implement connected networks of natural areas,

as well as semi-natural ones (agricultural or peri-urban ar-

eas for example), to ensure, maintain and develop a set of

ecosystem services. These services, provided by nature, are

of various types: supply (food, water, timber etc.), regulating

(climate, water cycle, precipitation, etc.), support (photosyn-

thesis, the formation of the soil, air purification and water

etc.), welfare (of cultural, educational, recreational activities

etc..). Increasing and unsustainable human pressure - pol-

lution, withdrawals, land use - are attacking and reducing

ecosystem services, impoverishing biodiversity, compro-

mising resilience.

Designing and implementing green infrastructures is need-

ed both to halt the degradation and to develop and exploit

the ecosystem services.

In their dual function, green infrastructures play a strategic

role for a ‘green economy that relies on a high ecological

quality and on the recovery and enhancement of natural

capital, indispensable foundations for the well-being and for

a durable economic development.

“The time, of which the ecology needs, modifies the artist’s

projects as well as the gardener’s gestures, seriously threat-

ening the survival of forms. The architectural dimension of

the work seem to be on the verge of being relegated, from

ecology applied to the garden, to a place that has never oc-

cupied: the background. The ecological garden can only be

a garden of continuous transformation, for the kingdom of

the living does not tolerate rigid forms“

Clément 2012

references

Clement G. (2011), The garden in motion,

Quodlibet, Macerata

Clement G. (2010), In Praise of wandering.

Herbs, shrubs and flowers to conquer the

world, DeriveApprodi, Rome

Clement G. (2012), A Brief History of the

garden, Quodlibet, Macerata

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Di notte, nel silenzio di un paese, quando i suoi abitanti dor-

mono e riposano in letti caldi, l’acqua scorre. Invisibile, nei tubi

come tra le pietre, passa sotto le case, sotto la terra, come se

dovesse lavorare per qualcosa, non potesse perdere tempo a

rimanere ferma.

Non importa che non si aprano i rubinetti, essa scorre, conti-

nua a farlo senza sosta, incessante, inudibile.

Può, l’acqua, cambiare un paesaggio, un giardino, un paese? E

può farlo senza che gli uomini se ne accorgano o quantomeno

ci prestino la dovuta attenzione?

A San Potito l’acqua scorre generosa e fresca, abbondante e

limpida. E lo fa giù, nelle viscere underground, ma anche all’a-

ria aperta sotto il cielo, visibile in fontane, canali, lavatoi, che

appartengono alla collettività e da essa sono usati in vari modi.

L’acqua è anche visibile nell’abbondanza di verde, piante, fiori,

alberi, giardini che rendono il paese un luogo ameno, dolce,

sognante.

Di notte, nel silenzio di un paese, passeggiando tra le strade,

puoi sentire con più forza il mistero della vita dietro le fine-

stre delle case. Che le luci siano accese, magari fievolmente,

o siano state spente, senza alcun dubbio, e i muri, per questo,

sembrino contenere solo un silenzio bloccato, un’assenza ap-

parentemente insondabile, poco importa. Lo sguardo, il corpo

di un essere che cammina non può non immaginare, anche

solo per un attimo. E immaginando si varca una soglia, una

frontiera difficile da definire ma che ha una funzione vitale per

la nostra “umanità”.

L’acqua ha a che fare con l’immaginazione. Forse perché scor-

re, porta altrove…

I limiti che essa incontra o che l’uomo gli costruisce provando

a dirigerla, a contenerla, a usarla, a sprecarla, non bastano a

fermare il suo potere.

Naturalmente l’acqua non conosce il problema della libertà. Ha

in se la facoltà o la volontà di muoversi e questo basta a chiu-

dere la questione.

A San Potito il suono dell’acqua è costante e, come tutte le

cose familiari, è diventato, probabilmente impercettibile.

L’immaginazione ha bisogno del silenzio, funziona meglio

quando il mondo dei suoni si sospende, per invitare con più

decisione a varcare la soglia.

Eppure i suoni sono come l’acqua, scorrono e vengono da più

direzioni, desiderosi di arrivare a noi, ma anche totalmente in-

differenti alle nostre orecchie.

E contengono richiami, dettagli, suggerimenti preziosi per la

nostra umanità.

L’ACQUA

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Da molti anni lavoro sui luoghi. Con il teatro, la danza e poi con

il cinema, con la musica, non cambia per me: l’importanza e

l’intensità ispirativa che traggo dall’incontro con luoghi sempre

diversi è il fuoco centrale della mia ricerca artistica.

Non ho, dunque, mai amato i contenitori e specialmente

quelli deputati all’offerta culturale, come i teatri, i cinema, i

musei etc…

E oggi più che mai, essi mi appaiono morti. Naturalmente,

non è loro la responsabilità di questo “stato” in cui si trovano e

spesso essi sono pieni di possibilità interessanti.

Tuttavia mi sembra di poter dire senza pensare di esagera-

re che questi luoghi “specializzati”, in accordo con la “vanità”

dei comportamenti che attirano, riducono il potere dell’acqua

che scorre.

Da anni ci sono iniziative che portano l’arte nelle strade, nei

vicoli, nelle piazze, perfino nelle case. E sono nati tanti fe-

stival: in Italia sembra essercene ormai uno per ogni piccolo

paese.

Nondimeno, spesso, i luoghi restano fuori da questa prati-

ca, da questa tendenza che ha, del resto, una sua logica na-

turale, necessaria… E anche le strade, i vicoli etc. diventano

solo uno sfondo, un paesaggio cristallizzato, dunque inerme,

compresso sotto il gioco del marketing territoriale, delle pigre

abitudini, ridotto a una funzione di servizio marginale quan-

do, invece, essi potrebbero divenire dei motori creativi, do-

vrebbero diventare la scena sui cui provare a scrivere, a fare

incontrare il mondo.

Se il mondo non s’incontra, infatti, diventa un luogo di luoghi

senza… acqua.

A San Potito è accaduto qualcosa. Ho partecipato a un evento.

Ho visto artisti di varie parti del mondo chiudersi con il volto

verso un muro ma restituire delle figure evocative, provocato-

rie, destabilizzanti che sono restate come dei tatuaggi sul cor-

po del paese.

Nell’oscenità del corpo pubblico.

Ho visto dei piccoli film girati tutti qui da giovani filmaker ap-

passionati, che hanno impressionato i suoni, i volti, le case,

andando, in alcuni casi, anche a esplorare o intercettare la

memoria di San Potito o il suo carattere segreto, le sue intime

inclinazioni.

E ho creato una performance, di notte, in un andirivieni tra

il “pubblico” e il “privato”, provando a nascondere qualcosa

nell’acqua. O a riposizionarla dove sempre… sta.

Il futuro è un enigma. E ci spaventa, specie ora. È naturale chiu-

dersi, ritirarsi di fronte alla paura. Tuttavia la vita scorre e finché

scorre, l’infinita possibilità può agire, avere il suo territorio per

esprimersi.

Non ho proclami, né certezze. Ho un po'di esperienza e ancora

una sete che mi sorprende.

A San Potito ho finalmente bevuto, dopo una lunga arsura.

Forse ci tornerò. Se saprò seguire la corrente…

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A SAN POTITO C’È ACQUA. DI GIORNO, DI NOTTE, DAPPERTUTTO. SI SENTE NELL’ARIA E NELLE ORECCHIE. È IN MONTAGNA MA GALLEGGIA, SCORRE LENTO MA CONTINUAMENTE.NIENTE STA FERMO ANCHE QUANDO TUTTO APPARE IMMOBILE. È PICCOLO MA HA SPAZIO PER OGNI COSA. QUANDO VAI VIA CI LASCI QUALCOSA E TE NE PORTI UN PEZZO. CON IL FATE FESTIVAL SI RIEMPIE DI ANIMALI ESOTICI E LA FAUNA LOCALE BRULICA E SI AGITA. TUTTO SI MISCHIA E S’ILLUMINA. IL CINEMA, L’ARTE, I GIARDINI, LE PERSONE, I MURI CAMBIANO DI FORMA E DIVENTANO RICONOSCIMENTO ED ESTRANEAZIONE, PARTECIPAZIONE E OSSERVAZIONE, PENSIERO E AZIONE. [CAROLA CI, HA FATTO QUALCOSA AL FATE FESTIVAL E HA MANGIATO A CASA DI QUASI TUTTI

GLI ABITANTI DI SAN POTITO]

IN SAN POTITO THERE IS WATER IN THE DAYTIME, AT NIGHT, EVERYWHERE. YOU CAN FEEL

IT IN THE AIR AND IN THE EARS. IT IS ON A MOUNTAIN BUT IT FLOATS, FLOWS SLOWLY BUT

STEADY. NOTHING STANDS STILL EVEN WHEN EVERYTHING APPEARS MOTIONLESS. IT IS SMALL

BUT HAS ROOM FOR EVERYTHING. WHEN YOU GO AWAY YOU LEAVE SOMETHING THERE

TAKING A PIECE FROM IT. DURING THE FATE FESTIVAL IT IS FILLED WITH EXOTIC ANIMALS AND

THE LOCAL WILDLIFE TEEMS AND SHAKES. EVERYTHING IS MIXED AND LIGHTED. CINEMA,

ART, GARDENS, PEOPLE, WALLS, THEY CHANGE IN SHAPE AND BECOME RECOGNITION AND

ALIENATION, PARTICIPATION AND OBSERVATION, THOUGHT AND ACTION.

[CAROLA CI DID SOMETHING DURING THE FATE FESTIVAL AND ATE AT THE HOME OF MOST OF THE INHABITANTS OF SAN POTITO]

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At night, in the silence of a village, when its inhabitants sleep

and rest in warm beds, water flows. Invisible, in pipes as be-

tween stones, it passes underneath houses, under the earth,

as if it must work for something, as if it could not waste time

staying still.

It doesn’t care that the taps aren’t on, it flows, continues to

do so restlessly, incessantly, unnoticed.

Can water can change a landscape, a garden, a country?

And can it do so without mankind noticing it or at least giv-

ing it its due?

In San Potito the water flows generously and fresh, abun-

dant and pristine. And it does so below, in the underground

bowels, yet also in the open air beneath the sky, seen in

fountains, canals, wash houses which are part of the com-

munity and from the community are used in various ways.

Water is also visible in the abundance of green, plants, flow-

ers, trees, gardens which render the village an agreeable

place, sweet and dreamy.

At night, in the silence of a village, walking through the

streets, you can sense with more intensity

the mystery of life behind the windows of the houses.

Whether the lights are on, even dimly, or they have been

put out, without a doubt, and the walls, for this, seem to

contain only an arrested silence, an apparently unfathoma-

ble absence, of little significance. The glance, the body of a

being which walks one cannot not imagine, even for a mo-

ment. And imagining it crosses a threshold, a border which

is difficult to define but which has a vital function for our

“humanity”.

Water deals with imagination. Maybe because it flows, it

takes elsewhere...

The limits that it encounters or that man constructs at-

tempting to direct it, to contain it, to use it, to waste it, are

not enough to halt its strength.

Naturally water doesn’t know the problem of liberty. It has in

itself the means or the desire to move and this is enough to

put an end to the question.

In San Potito the sound of water is constant and, like all fa-

miliar things, has probably become imperceptible.

The imagination requires silence, it works better when the

world of sounds is suspended to invite with more decision

to cross the threshold.

And yet sounds are like water, they flow and come from

many directions, desirous of reaching us, but also totally in-

different to our ears.

WATER

Pa

olo

De

Fa

lco

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And they contain references, details and precious sugges-

tions for our humanity.

For many years I have worked on places. With the theatre,

dance and then with cinema, with music, it doesn’t matter

change for me: the importance and enlightened intensity

that I take from the encounter with forever varied places is

the central fire of my artistic research.

I have never, therefore, loved the containers and especially

those appointed to the cultural offerings,

like the theaters, cinemas (and) museums etc...

And today more than ever, they appear meaningless to me.

Of course, the responsability of this “state” in which they find

themselves is not theirs and often they are full of interesting

possibilities.

Nevertheless I feel able to say without exaggerating that

these “specialized” places, in agreement with the “vanity” of

the behavior which they attract, reduces the power of water

which flows. For years there have been events that bring art

into the streets, into the allies, into the piazzas, even into

houses. And many festivals have been created: in Italy it

seems that there is one for every small village.

Nevertheless, often, the places remain outside of this prac-

tice, from this tendency that has, its own natural, neces-

sary logic...The streets and allies etc. also become a mere

background, a crystallized landscape, therefore defenceless,

compressed beneath the territorial marketing game of lazy

habits, reduced to a function of marginal service when, ac-

tually they could become creative motors, they should be-

come the scene upon which to attempt to write, to make the

world meet.

If the world doesn’t meet, actually, it becomes a place of

places without...water.

Something has happened in San Potito. I took part in an

event. I saw artists from various parts of the world close

themselves with the faces toward a wall yet giving back

evocative, provocative, destabilizing figures that remained

like tattoos on the body of the village. In the obscenity of

the public body.

I saw feature films all made here by young, passionate film-

makers, that have exposed sounds, faces, houses, and, in

some cases, even going to explore or intercept the memory

of San Potito or its secret character, its intimate inclinations.

And I created a performance, at night, in a coming and going

between “public” and “private” trying to hide something in

water. Or to re-position it where it always...is.

The future is an enigma. And it frightens us, especially now.

It’s natural to close oneself, to withdraw in the face of fear.

However life flows and as long as it flows, infinite possibility

can act, have its own territory to express itself.

I don’t have declarations, nor certainties. I have a bit of ex-

perience and an existing thirst which surprises me.

In San Potito I finally drank, after a long burning thirst.

Maybe I will go back. If I manage to follow the current...

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Proveniente da Matera, via Aliano, una delegazione del grup-

po vicentino Vaghe stelle è stata invitata e calorosamente

accolta dalla straordinaria comunità di San Potito Sannitico.

Presentandoci come giardinieri erranti, e partendo dalle

suggestione del giardino in movimento di Gilles Clement, ci

siamo posti l’ambizioso e stimolante obiettivo di riuscire ad

individuare un itinerario, all’interno degli ecosistemi di San

Potito, che potesse delineare una sorta di viaggio interplane-

tario, fedeli a quella celebre frase di Victor Hugo quando dice

che “l’algebra si applica alle nubi; le irradiazioni dell’astro

giovano alla rosa; e nessun pensatore oserebbe dire che  il

profumo del biancospino è indifferente alle costellazioni”.

Provenendo dal paese dei calanchi, inoltre, abbiamo rac-

colto lungo la strada una poesia di Franco Arminio che ci è

sembrata un ulteriore prezioso indizio: La Lucania comincia

ad aprile e finisce ad ottobre./ Non è una regione/ ma un

riassunto del sistema solare:/ c’è la luna ad Aliano nei calan-

chi/ saturno sotto il Vulture/ marte a Pietrapertosa/ e giove

sul Pollino.

In Breve storia del giardino lo stesso Clement dedica un ca-

pitolo al giardino degli astri dove, senza scomodare l’agri-

coltura biodinamica, dice che noi, animali e piante, creature

gonfie d’acqua, non possiamo “fare astrazione da una mac-

china celeste capace di generare maree oceaniche”.

Se Clement annuncia la figura di quel giardiniere planetario

che, pur operando in un piccolo fazzoletto di terra, è mosso

dal sentimento e dalla consapevolezza ecologica che l’inte-

ro pianeta sia in fondo un unico grande giardino, a noi piace

pensare che il Piccolo Principe di Saint-Exupéry sia stato un

nostro precursore: col suo gesto di cura, nei confronti di un

fiore con le spine di cui forse esiste un solo esemplare in

milioni e milioni di stelle e a mille miglia da una qualsiasi

regione abitata, si merita sicuramente il riconoscimento di

giardiniere interplanetario. Ritornato sulla Terra dopo aver

esplorato diversi pianeti il Piccolo Principe incontra una vol-

pe che gli insegnerà il mistero del verbo addomesticare (che

significa creare dei legami) e il valore dell’invisibilità: che si

tratti di una casa, una stella, un deserto - ma aggiungiamo

noi un fiore, una pianta, un giardino, una relazione -, ciò che

fa la loro bellezza è invisibile.

Nella nostra particolarissima missione di riuscire a costruire

un percorso ideale che tenesse insieme i giardini e gli astri, la

nostra prospettiva di foresti e la condizione di chi conosce,

vive e abita il paese, ci siamo trovati come a tessere una rete

fatta di nodi in movimento, da prendere al volo, a ricamare

l’invisibile che sta in fondo ad ogni bellezza, da cogliere nel

fluire, nelle sue piccole e grandi trasformazioni.

Muovendoci tra le pietre degli alti muri, infilandoci in angoli

ombrosi, alzando lo sguardo come per carpire una trama

Va

gh

e S

telle

GIARDINIERI ERRANTI VIAGGIO INTERPLANETARIO TRA GLI ECOSISTEMI DI SAN POTITO

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segreta che, da dentro, non si vede, abbiamo sperimentato il

fascino di perderci, ma senza frustrazioni e con la piacevole

scoperta di ritrovarsi. Come quando siamo giunti in un giar-

dino incastrato tra la casa e i muri: un piccolo spazio conclu-

so e al tempo stesso aperto al passante. Pieno di fiori, verde

di piante, rorido di una freschezza vegetale che sembra pul-

sare da ogni pietra, da ogni finestra e da ogni gradino… e ci

siamo sentiti di casa.

Attraverso discrete e rispettose esplorazioni in punta di pie-

di capiamo che i giardini sono la chiave per comprendere

la segreta bellezza di San Potito, sono la rete che unisce, il

tessuto che connette. Sontuosi o minimi, nascosti o evidenti;

spesso così puntiformi da far diventare giardino anche una

finestra, una nicchia; talvolta, solo collane di vasi allineati.

Vorremmo definirne le maglie, le connessioni, ma possiamo

solo indovinarli, mentre qualcuno racconta di “penne” d’ac-

qua, di terme romane, di tombe antichissime.

Quando provi a dargli una forma, San Potito ti risponde con

un suono: quello di vene d’acqua che corrono fresche nei

giardini, tra un terrazzo e un frutteto, sospesi come in un

mezzanino; richiamano dei piccoli Alhambra, dei Generalife

in miniatura. L’olivo centenario che convive con l’uva bianca

e il giallo limone splendente danno un canto comune che

risuona con l’acqua e con questa zampilla.

Del giardino arabo hanno l’utile e il bello insieme, mischiati

come in una magica mistura.

Nel nostro errare incontriamo poi i lavatoi, luogo d’incontro

e inno alla vita, dove l’acqua può raccontare storie magiche

a chi sappia ascoltare con il cuore, mentre il sole gioca con

le sue pareti, ingentilite da mano d’artista. Le ombre lumino-

se saltano, ondeggiano, proiettando luci abbaglianti che ci

trasportano in luoghi lontani.

Un po'alla volta lasciamo il centro abitato del paese. Spesso

si crede di avere chiara la distinzione tra aree coltivate, ma-

nu-tenute, organizzate e quelle sottratte all’azione dell’uo-

mo; ma la verità è che anche la più disciplinata delle porzioni

di suolo può mutarsi in breve tempo in un lembo residuale,

guadagnare indecisione e apparente disordine. Sono fram-

menti di “terzo paesaggio”, terreni ai margini, ibridi, sospesi

tra diversi cicli di vita, apparentemente disordinati ma capaci

in realtà di una bellezza inedita.

More di rovo, ombrelle di fiori sfuggiti allo sfalcio, ulivi non

curati. Un tiglio in piazzetta, ora vetusto tra l’asfalto, ma che

qualcuno ricorda dai tempi dell’infanzia. Foglie d’olmo, co-

lori sottili che ci invitano a tornare d’autunno, a rubare le

fugaci e fragili armonie del pioppo, il giallo della robinia “in-

festante”.

Frugando nelle crepe dei muri troviamo aneliti ed esplosio-

ni vegetali, sono piante pioniere che insinuano e un po'alla

volta sgretolano anche il cemento, esprimendo resistenza e

coraggio, un vigore e un colore che potremmo e dovremmo

invidiare.

Sullo sfondo abbiamo la montagna del Matese, una presen-

za discreta e costante che non ti lusinga con cime aguzze e

rocce da scalare, ma dialoga dolcemente con la sua coltre

verde che tutto avvolge e mimetizza. Il nostro itinerario ci

porta proprio tra il Matese, che spinge fin qui il suo gobbone

boscoso, e la strada, più in basso; adagiati in quella frangia

silenziosa e sublime che è il limitare di un paese, dal lato del

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ponente. Lino è qui custode discreto e sensibile di una sorta

di eden domestico che, da un certo momento, ha aperto a

quelli che di solito si chiamano clienti, ma che qui dovreb-

bero chiamarsi ospiti, o meglio, gaudenti. Chi viene qui per

la pizza o per la cena condivide quest’angolo e si inebria di

frutti, colori e di un senso di freschezza. Il Matese poi, per

uno strano caso – quasi scherzoso – ha fatto germogliare

qui dei piccoli faggi delle alte montagne. Lino ci aveva rico-

nosciuto – in quanto avventori della sua pizzeria e giardinieri

erranti – e fermato per strada per chiederci una consulen-

za sul prato del suo giardino che vorrebbe rifare. Abbiamo

così inserito nel nostro itinerario una tappa anche da lui: un

confronto sulla gestione del verde, arricchito dalla presenza

insospettabile di appassionati ed esperti, in cui si è osservato

il contesto e parlato di microrganismi e di pratiche dolci, ma

anche di cos’è bello e cos’è brutto, di tempistiche ed esigen-

ze da coniugare. Fatto sta che il nostro Lino alla fine non era

più così convinto di voler rifare quel prato che per quindici

anni aveva resistito così bene.

Abbiamo concluso il nostro itinerario all’interno del Parco

di San Potito, che è ancora in larga parte un progetto solo

sulla carta. Si può riconoscere un’infrastruttura ecosistemi-

ca nell’ossatura di un corpo, nel dorso di una montagna da

cui si dipartono mille sentieri possibili o nell’associazione

simbiotica tra piante diverse. Oggi il parco di San Potito è

un’infrastruttura potenziale: bisogna che nelle “penne” - di

inchiostro e d’acqua - scorra quella linfa vitale fatta di  in-

terdipendenza nell’apertura, che “tendini” allenati tengano il

tutto insieme in modo organico e che un tocco di impreve-

dibilità dia sostanza oltre che forma. Si consigliano, inoltre,

pillole di fantasia e una costante concimazione partecipativa

a lenta cessione, per rinvigorire la fertilità delle idee. Che

si chiamino a raccolta gli  abitanti-giardinieri  di San Potito!

Servono le loro mani premurose, la loro conoscenza, tacita

e spesso inconscia, di sementi, suoli, acqua e aria tramandati

di generazione in generazione. Servono i loro sogni per cin-

gere il cuore della comunità, e per coltivare semi in cui essa

possa rivelarsi e riconoscersi.

“Le piante viaggiano. Soprattutto le erbe”: dovremmo tes-

sere l’elogio e imparare da queste vagabonde, dice Gilles

Clement. Noi abbiamo viaggiato e vagabondato attraverso

le strade, i giardini e i sentieri di San Potito, raccogliendo e

seminando, incontrando la socio-diversità di questo discre-

to ma incredibile paese dell’Italia interna. San Potito è stato

per noi un paese-giardino-in-movimento: chi lo  abita  e le

sue idee - anche quando mette radici - si lascia volentieri

trasportare sulle ali del vento o sul dorso di qualche animale,

e sa accogliere gli abitanti di altri mondi. San Potito è quin-

di  in ogni angolo dell’universo che offre un buon ricovero

agli uomini, alle piante e ai loro sogni.

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WANDERING GARDENERSINTERPLANETARY TRIP THROUGH SAN POTITO’S ECOSYSTEMS

Coming from Matera, through Aliano, a delegation from

Vicenza’s group, Vaghe stelle, has been invited and warm-

ly welcomed by San Potito’s extraordinary community. In-

troducing ourselves as wandering gardeners, starting from

Moving garden’s suggestion by Gilles Clement, We have set

the ambitious and stimulating goal of succeeding to find an

itinerary, within San Potito’s ecosystem, which could draw

some sort of interplanetary trip, loyal to that famous Victor

Hugo’s statement :”Algebra is applied to clouds; the star’s

irradiations benefit the rose; and no thinker would dare to

say that the hawthorn scent is apathetic to constellations”.

Coming from the city of gullies, moreover, We’ve come

across a poem by Franco Arminio which seemed one more

precious hint to us :”Lucania starts in April and ends in Octo-

ber. / It’s not a region, but a summary of the solar system: /

the moon is in Aliano within gullies / Saturn underneath the

Vulture / Mars in Pietrapertosa / and Jupiter on the Pollino

In Garden’s short story, Clement himself dedicates a whole

chapter to the star’s garden where, whithout bothering bi-

odynamic agriculture, claims that We, animals and plants,

water inflated creatures, can’t “make abstractions from a ce-

lestial machine capable of generating ocean floods”.

If Clement announces the figure of that planetary gardener

who, despite working in a little piece of land, is moved by the

sentiment and the ecological awareness of the entire planet

being, at the end, one big garden, We like to think that the

Little prince by Saint-Exupéry was our forerunner: with his

act of care, towards a thorned flower of which maybe one

only exemplar exists within millions and millions of stars and

thousands of miles away from any inhabitated region, He

surely deserves the avowal of interplanetary gardener. Back

to Earth after exploring different planets, the Little Prince

meets a fox that will teach him the mistery of taming (which

means creating bonds) and the value of invisibility: regarding

a house, a star, a desert – but we add a flower, a plant, a gar-

den, a relationship -,what makes them beautiful is invisible.

In our very peculiar quest to succed in creating an ideal path

to link together gardens and stars, our foreign perspective

and the condition of those who know live and inhabit the

town, we found ourselves in weaving a net made of moving

knots, capturing them, finding the invisible that sits in every

beauties depth, to catch in flowing in its transformation, big

and small.

Moving through the stones of the high walls, slipping in

shady corners, looking up to snatch a secret plot which,

from the inside, You cannot see, We experienced the charm

of getting lost, with no frustration and the pleasant discov-

ery of finding ourselves again. Just like the time when We

came across a garden enclosed between a house and the

Va

gh

e S

telle

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walls: a shut, but at the same time open, little space to the

passer-by.

Full of flowers, coloured green by the plants, made humid

by vegetal freshness which seems to pulse form every stone,

every window, every step …and we felt at home.

Through discreet and respectful tiptoe explorations We un-

derstand that gardens are the key to comprehend the secret

beauty in San Potito, are the linking chain, the tissue which

connects. Lavish or minimal, hidden or highlighted; often

times so punctiform to make even a window, a niche like a

garden; sometimes, only vases in line.

Defining their weft, their connections, but We can only

guess them, meanwhile somebody talks about trickles of

water, Roman thermae, ancient tombs.

When You try to shape it, San Potito answers with a sound:

those of water streams running fresh through the gardens,

between a porch and an orchard, floating like a mezzanine;

recalling little Alhambras, some Generalife in miniature. The

centenarian olive tree that lives with white grape and the

shiny yellow lemon, they give a mutual sound ringing out

with water and squirts with it. They have the usefulness and

the beauty of the Arabic garden, mixed like in a magic mix-

ture.

In our wandering We meet wash-houses, rendezvous and

anthem to life, where water can tell magic tales to those

who can listen with their heart, while the sun plays with their

walls, polished by the hands of an artist. The shiny shad-

ows jump, undulate, flashing blinding lights which take us to

places far away.

Step by step, We leave the uninhabitated part of the town.

Sometimes You think that the distinction between culti-

vated areas, hand-worked, organized e those taken from

man’s action is clear; but truth is that even the most disci-

plined portion of soil can mutate in a short amount of time,

in a residual flapper, gain indecision and seeming disorder.

They are pieces of a “third landscape”, ground on the edge,

hybrids, floating within different circles of life, apparently

messy but, in reality, capable of an unspoiled beauty.

Prickly shrub’s blackberries, umbrella fled from the scythe,

untreated olive trees. A phloem in the square, now very old

within the asphalt, but someone remembers it from their

childhood. Elm’s leaves, slight colours which invite us to

come back in Fall, steal the poplar’s fleeting and fragile har-

monies, the locust tree’s yellow.

Searching through the wall’s cleft we find yearnings and

vegetal outbursts, They are pathfinder plants which settle

and slowly crumble even the concrete, showing endurance

and core, such vigor and colour that We could and should

envy.

In the background We can see the Matese mountain range,

a discreet and constant presence which does not flatter You

with pointed mountain tops and rock to climb, but gently

speaks with its green pall which shrouds and camouflag-

es everything. Our itinerary leads us right between Matese,

which extends its bosky hunch, and the street, lower down;

laid down in that silent and sublime fringe, which is the town

border, on the west side. Lino is a fair and sensitive keeper

of a sort of domestic Eden which, from a certain moment

on, has been opened to those who are usually called cus-

tomers, but should be called guests or revelers. Those who

come here for a pizza or to dine share this corner and get

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inebriated with fruits, colours and a sense of freshness. Ma-

tese, moreover, for a strange case – almost jocular – made

beeches from high mountains sprout here. Lino recognized

us – customers of his pizzeria and wandering gardeners –

and stopped us on the street to ask for an advice about his to

be restored lawn. So we added to our itinerary a stop to his

place: a confrontation about the management of the green,

enriched by the unsuspected presence of fans and experts,

in which the context has been observed and it’s been spo-

ken of microorganisms and sweet acts, but also of what is

beautiful and what is not, of timing and need to be com-

bined. Anyway, our dear Lino in the end, wasn’t so inclined,

after all, about restoring that lawn which had endured well

for the past fifteen years.

We ended our itinerary inside San Potito’s Park, which is

mostly a project on paper. You can recognize an ecosystem

infrastructure in a body skeleton, in a mountain back from

which a thousand possible paths spread or in the symbiot-

ic association between different plants. To date San Potito’s

Park is a potential infrastructure: in those trickles – made of

ink and water – that lifeblood made of interdependence in

the opening is needed to flow, trained tendons have to keep

everything together organically and a pinch of unpredictabil-

ity needs to donate essence rather than form. Moreover, pills

of fantasy and a slow and constant fertilization are needed

to refresh idea’s fertility. Let the inhabitants-gardeners from

San Potito gather! Their careful, their knowledge, silent and

often unconscious, about seeds, soil, water and air handed

down from a generation to another are needed. We need

their dreams to gird the hearts of the community, to grow

seeds in which people can reveal and recognize themselves.

“Plants travel. Especially herbs”: We should praise them and

learn from these vagabonds, Gilles Clement says. We have

wandered and roamed through the streets, the gardens and

paths in San Potito, collecting and sowing, meeting social

diversity in this discreet but amazing village in inner Italy. San

Potito was a village-garden in motion to us: the ones who

live there and their ideas – even when they take root – let

the wind’s wing or some animal’s back carry them, They can

welcome people from other worlds. San Potito is situated in

any corner of the universe which can offer a good shelter to

men, plants and their dreams.

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Da qualche anno mi interesso di Street Art, Arte Pubblica e

più in generale di linguaggi urbani. La mia passione mi ha

portato a viaggiare molto alla ricerca di murales, graffiti,

stencil, segni talvolta criptici di un’espressione libera e sel-

vaggia tatuata su un muro, una panchina, una strada. Luo-

ghi accessibili a tutti in cui forme di arte prendono vita in

modo spontaneo. In questi anni la Street Art si è evoluta,

ufficializzata, passando dall’illegalità a grandi lavori realiz-

zati in concerto con le istituzioni. Spesso però il risultato

appariva deludente, quasi come se, autorizzandola, la for-

za comunicativa e dirompente di quest’arte, pruriginosa e

provocatoria, fosse svilita dal senso del “decoro”, dal perbe-

nismo di progettualità poco lungimiranti. Fare arte è già di

per sé una grande responsabilità, dipingere un murales lo è

ancor di più; un muro non si può nascondere, è una superfi-

cie esposta al giudizio di chi la osserva e se la società non si

riconosce in ciò che vede, l’arte ha fallito. Poi ho capito che

il problema non erano le autorizzazioni, il problema era far

sì che alla base di un progetto pubblico ci fosse un discor-

so critico che partisse da lontano; dal coinvolgimento attivo

della comunità che avrebbe adottato quel muro, quell’ope-

ra. Un murales, affinché possa dirsi di tutti, deve essere di

tutti e tutti devono partecipare all’esperienza, direttamente

o indirettamente. Ebbene, questo è un piccolo miracolo che

si è manifestato nei giorni del FateFest; ho visto infatti un’in-

tera comunità coinvolta nel fare arte, sporcandosi le mani e

la faccia di colore, creando bellezza, arricchendo il territorio

e sé stessi sotto la sapiente guida di artisti immensi come El

Mono Gonzalez.

Il balzo da Arte Pubblica, dove l’artista è individuo, ad Arte

Partecipata, dove l’artista si fonde con la comunità, compor-

ta un rischio, ma che vale la pena correre se i risultati sono di

questo livello. A San Potito Sannitico il dono dell’arte è sta-

to accolto e ricambiato dall’entusiasmo, dal coinvolgimento

degli abitanti. L’arte è infatti riconoscimento, corrisponden-

za. Non a caso nella Naturalis Historia Plinio il Vecchio narra

della nascita della pittura come gesto d’amore; una fanciulla

di Corinto, figlia del vasaio Butade, prima di veder partire il

suo amato ne tracciò il profilo dell’ombra per conservarne il

ricordo. E lo fece su un muro, superficie primitiva, ancestra-

le, che, a distanza di millenni, rimane il supporto ideale per

raccontare la nostra storia. Un racconto che continua qui,

fra le strade di San Potito Sannitico.

Fe

de

rica

Be

lmo

nte

IMPRESSIONI SUL FATE

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I have been interested in Street Art, Public Art and more gen-

erally in urban languages for some years. My passion has led

me to travel extensively in search of murals, graffiti, sten-

cils, signs sometimes cryptic of a free and wild expression

tattooed on a wall, a bench, a road. Places accessible to all

in which forms of art come to life spontaneously. In recent

years the Street Art has evolved, official, going from illegality

to great works done in combined with the institutions. Of-

ten times, however, the result seemed disappointing, almost

as if, authorizing it, the communicative and disruptive force

of this art, itchy and provocative, was debased by a sense

of “Decorum”, the respectability of short-sighted planning.

Making art is a great responsibility itself, painting a mural is

even greater; you cannot hide a wall, is a surface exposed

to the judgment of the beholder and if the society does not

identify with what they see, the art has failed. Then I realized

that permissions were not the problem, the issue was to en-

sure that there was a critical discourse that departed from

afar at the base of a public project; from active involvement

of the community that would adopt that wall, that work. A

mural, so that it can be belonging to all, it must be owned by

everyone and everybody must participate in the experience,

directly or indirectly. Well, that’s a small miracle that mani-

fested itself during the days of the FateFest; I saw, in fact, an

entire community involved in making art, getting its hands

and face dirty with color, creating beauty, enriching itself

and the territory under the wise guidance of huge artists like

El Mono Gonzalez.

The leap from Public Art, where the artist is individual, for

Participatory Art, where the artist merges with the commu-

nity, involves a risk, but worth taking if the results are this

good. In San Potito Sannitico the gift of art has been re-

ceived and returned by the enthusiasm, by the inhabitants

involvement. Art is in fact recognition, correspondence. As a

matter of fact, in Naturalis Historia, Pliny the Elder tells of the

birth of painting as an act of love; a Corinthian girl, daughter

of the potter Butade, before seeing her loved one’s depar-

ture traced his shadow’s outline to preserve her memory of

him. And she did it on a wall, primitive surface, ancestral,

that, thousands of year later, is the perfect medium to tell

our story. A tale that continues here, within San Potito San-

nitico’s streets.

IMPRESSIONS ON "FATE"

Fe

de

rica

Be

lmo

nte

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FORMICHE: / LAVORANO TENENDOSI LE MANI / MINUSCOLE, / ACCONDISCENDENTI VITTIME DI UNA VITA / FRENETICA, / TORMENTATE, TORNANO A CASA SEMPRE / PIÙ PIANO, / ESSERI PICCOLI SU UN’ENORME / SALITA. / FORMICHE: SI ACCENDONO IN VOLTO DI SORRIS / LEGGERI, / EFFIMERE IDEE IMMOBILI NEI COLORI / PIÙ INUSUALI, / SEMPRE CAPACI DI FERMARE QUEL TEMPO / MALVAGIO / TROPPO VELOCE PER I LORO CORPI / FRAGILI. / IMMAGINANO, INCREDULE, NUOVI INIZI / PIÙ DOLCI, / VAGANDO NELLE STRADE/ PIÙ ANTICHE / AMMIRANO INSIEME LA LORO / NUOVA / LUMINOSA… / REALTÀ [PIERA RICCIO]

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Alfonso, Francesco, Mario, local artists

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Molte cose mi hanno stupita a San Potito.

Di alcune mi sono accorta subito: sono palpabili, ti si pre-

sentano senza nemmeno andarle a cercare. E'a fine maggio,

quando sono andata lì per l’anteprima FateFestival 2015, che

ho visitato San Potito per la prima volta. Volevo incontrare le

persone che stavano dietro a tutta l’organizzazione del Fe-

stival, ma soprattutto volevo vedere, sentire il posto, immer-

germi nel suo paesaggio e nella sua atmosfera. Devo pre-

cisare che ero lì con un “doppio cappello”: come membro

dell’Associazione RU.DE.RI e anche come sociologa, che da

alcuni anni si occupa di sostenibilità, sviluppo locale e ri-

generazione territoriale anche in aree remote del Sud Italia.

Quindi, la prima cosa che mi ha stupita a San Potito sono

state le persone per strada che ti prendono e camminano

con te, ti accompagnano nei luoghi e ti raccontano del pa-

ese, della sua storia, delle sue leggende... e poi arriva qual-

cuno, come a passarsi il testimone, e questo nuovo arrivato

prosegue da dove l’altro si è fermato, come una sorta di nar-

razione collettiva.

E poi i giardini, con i loro fiori profumati, e ortaggi e verdure

colorate. Terrazzati e murati, lussuosi e modesti, alcuni di loro

dissolti nel paese in modo tale che quasi non c’è distizione

tra le case e la strada, e ti fa capire molto bene ciò a cui fa

riferimento il nostro caro Gilles Clément quando parla del

“Giardino Planetario” (2011) che ha tanto ispirato gli interventi

della nostra associazione nell’ambito del Festival. Ma questa

sensibilità è anche radicata nella mia storia personale: oltre ad

essere una sociologa, sono una dei tanti figli di immigrati me-

ridionali cresciuta tra Milano e il resto del mondo “ammalata

di Sud”, ammalata del suo paesaggio e del patrimonio cultu-

rale, dell’odore degli uliveti e del colore dorato dei campi di

grano, e della bellezza struggente dei suoi paesi dove l’urba-

no entra nel rurale, ma che non è sempre consapevole (pur-

troppo troppo spesso) di quanto la ruralità ha dato e ancora

può dare all’urbanità.

L’altra cosa che mi ha stupito a San Potito è qualcosa che si

può provare pienamente solo stando lì 24/24h ospiti di una

famiglia di San Potito, nella loro “casa sempre aperta”, deli-

ziata dalle conversazioni dei loro ospiti e amici: quello status

molto speciale di cui gode lo straniero che viene accolto in

questo paese ai piedi di questa montagna magnifica che è

il massiccio del Matese. Lo straniero non è il turista di pas-

saggio, che dopo poco va via, ma è colui che arriva e rima-

ne, per abitare un luogo, anche solo temporaneamente ma

abbastanza da poter godere di quella posizione ambivalente

(e per certi versi privilegiata), data dal fatto di non essere ra-

dicato, e quindi essere allo stesso tempo vicino e lontano,

impegnato ma distaccato (Simmel, 1908). Le comunità, i pa-

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TUTTO IL MONDO È PAESAGGIO

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esi e i quartieri, continuano ad essere i luoghi - per antono-

masia - dove hanno luogo relazioni dense e significative, ba-

sate sulla compresenza. Pertanto, quale migliore condizione

per uno straniero che essere accolti in questa dimensione

di compresenza e allo stesso tempo potersene tirare fuori e

guardare dall’esterno ciò che succede lì? Senza pregiudizio,

con gli occhi limpidi di chi vede le cose per la prima volta, e

ne prova stupore.

Quindi direi che questo è ciò che San Potito e la sua comunità

mi hanno dato di più: la possibilità di meraviglirsi e di cogliere

dettagli, frammenti e aneddoti della vita di qualcuno, la pas-

sione privata di una bella e umile signora, un piccolo tesoro

custodito con amore nell’orto coltivato in una vita intera o

uno scorcio intravisto nel dedalo di vicoli. E quindi, vedere

questi dettagli - raccolti dall'attenta straniera - riverberati da

una comunità vivace e aperta. E ‘stato questo riconoscimento

reciproco che ha reso il mio/nostro stare lì non “l’espressione

individuale di un discorso intellettuale o artistico, incapace di

stabilire relazioni significative con le strutture della quotidia-

nità e le abitudini emerse nel corso del tempo in un certo

luogo”, ma di lavorare su/con quel luogo specifico, e ciò che

è costitutivo del suo paesaggio, così da ricreare o ri-novare

queste relazioni anche cercando di “stabilire un nuovo imma-

ginario che inizia da quello che c’è a portata di mano, dalle

attività e risorse già in circolazione. Da qui diventa possibi-

le disegnare un futuro basato su obiettivi e valori che sono

già percepiti come priorità. Questo implica sostenere esempi

positivi, e contemporaneamente accompagnarli con progetti

sperimentali - come ad esempio il FateFestival - che promuo-

vono nuove prospettive” (Chambers et al, 2007).

referenze bibliografiche

Clément G. (2011), Il giardino in

movimento. Da La Vallée al giardino

planetario. Quodlibet, Macerata.

Simmel, G (1908), Exkurs über den

Fremden, in Soziologie, Berlin, De

Gruyter; tr. it., 1989, Excursus sullo

straniero, in Simmel, G. Sociologia,

Ed. di Comunità.

Chambers, I-, Calabritto, C., Carmen,

M., Esposito, R., Festa, M., Izzo, R. and

Lanza, O., (2007) “Landscapes, Art,

Parks and Cultural Change”, Third

Text, 21:3, 315 - 326.

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Several things amazed me in San Potito.

Some I realized right away: they are palpable, they appear be-

fore you without even go to look for them. It was in late May,

when I went there for the FateFestival 2015 preview, that I first

visited San Potito. I wanted to meet with the people who were

behind the organization of the Festival, but most of all to see

and feel the place, to immerse myself in its landscape and at-

mosphere. I have to specify I was there with a “double hat”: as

a member of RU.DE.RI Association and also as a sociologist,

who since some years now has been dealing with sustainabili-

ty, local development and territorial regeneration issues also in

remote areas of Southern Italy.

Then, the first thing that astonished me in San Potito were the

people in the street who walk with you, accompany you to

places while telling about the village, its history, its legends...

and then along comes someone else, like a passing of the ba-

ton, and this newly arrived story-teller continues a kind of col-

lective narrative from where the other has stopped.

And then gardens, with their scented flowers and colorful veg-

etables. Terraced and walled, luxurious and modest, some of

them dissolved into the village so that one doesn’t see where

the house begins and the street continues but makes you un-

derstand very well what our dear Gilles Clément refers to as the

“Planetary Garden” (2011), which inspired so much the inter-

ventions of our association within the Festival. But the sensitiv-

ity to these two things is also grounded in my personal back-

ground: apart from being a sociologist I’m one of the many

daughters of southern migrants grown up between Milan and

the rest of the world who is “sick of South”, sick of its land-

scape and cultural heritage, of the smell of olive groves and

the golden color of wheat fields, and of the poignant beauty

of its villages, where the urban enters the rural but that are not

always aware (unfortunately too often) of how much the rural

contexts has given and still can give to the urban ones.

The other thing that amazed me in San Potito is something

I could fully experience only staying there 24/24h hosted by

a Family of the town, in their always-and-to-all-open-house,

delighted by the conversations with their guests and friends:

a very special status that can be enjoyed by a stranger who is

welcomed in this cozy village at the foot of that terrific moun-

tain which is the Matese massif. The stranger is not the tourist

just passing through and leaving soon after, but one who ar-

rives and stays, to inhabits a place even if only temporarily but

enough to enjoy that ambivalent (and in some respects privi-

leged) position, allowed by not being rooted, which makes the

stranger at the same time close and far, engaged but detached

(Simmel, 1908). The small communities, villages and neigh-

borhoods, continue to be the places - by definition - where

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ALL THE WORLD IS LANDSCAPE

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dense, meaningful relationships, based on coexistence, occur.

Therefore, what better condition could a stranger has then be-

ing welcomed into this dimension of co-existence and at the

same time being able to pull off him/herself and look at what

happens there? Without prejudice, from outside, and with the

clear eyes of someone who sees some things for the first time

and still wonder about them.

I would say that this is what San Potito and its communi-

ty gave me the most: the opportunity to wonder and collect

details, snippets and anecdotes of someone’s life, the private

passion of a nice and humble lady, a little treasure hold with

love in a vegetable garden built in a lifetime or the view one

can glimpse in the maze of alleyways. And then, to see these

details - collected by the careful stranger - reverberated by a

lively and open community. It was this mutual recognition that

made my/our stay there not the “individualised expression of

an intellectual or artistic discourse unable to establish signifi-

cant relationships with the everyday textures and habits that

have emerged over the course of time in the locality”, but to

work on/with that specific place, and what is constitutive of its

landscape, so as to re-create or to re-new such relationships

also by trying to “establish a new imaginary that commences

from the materials at hand, from the activities and resources

already circulating in the locality. From here it becomes pos-

sible to draw the existing situation towards a future based on

objectives and values that are already perceived as a priority.

This implies the promotion of positive examples, simultane-

ously accompanied by experimental projects -- such as the

FateFestival -- that promote new perspectives” (Chambers et

al., 2007).

references

Clément G. (2011), Il giardino in

movimento. Da La Vallée al giardino

planetario. Quodlibet, Macerata.

Simmel, G (1908), Exkurs über den

Fremden, in Soziologie, Berlin, De

Gruyter; tr. it., 1989, Excursus sullo

straniero, in Simmel, G. Sociologia,

Ed. di Comunità.

Chambers, I-, Calabritto, C., Carmen,

M., Esposito, R., Festa, M., Izzo, R. and

Lanza, O., (2007) “Landscapes, Art,

Parks and Cultural Change”, Third

Text, 21:3, 315 - 326.

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BIFIDO / TRANSUMANZA

www.bifido.it

Caserta, Italy

BOAMISTURA

LA CALMA È LA VIRTÙ DEI FORTI

www.boamistura.com

Madrid, Spain

FRAN BOSOLETTI

IL DOLORE DI EMIGRARE

www.facebook.com/bosoletti

Amstron, Argentina. 1982

CAKTUS&MARIA / LAVATOIO AULECINE

caktusemaria.blogspot.it

Foggia, Italy

CHIKITA / LA MAS SEN ORA DE TODAS

LAS PUTAS, LA MAS PUTAS DE TODAS

LAS SEN ORAS

www.facebook.com/chikita.zaragoza

Saragoza, Spagna. 1979.

CHRIS TADEO / NINGUNO DE NOSOTROS

ES MEJOR QUE TODOS NOSOTROS

JUNTOS

www.christadeostuff.tumblr.com

Canary Island, Spain. 1989

DANJER / PEQUENA EVA

www.flickr.com/danjer

Saragoza, Spagna. 1979.

HYURO / ESPACIOS DE

EMPODERAMIENTO

www.hyuro.es

Buenos Aires, Argentina 1974.

LA ROBOT DE MADERA

OFRENDA 2

www.larobotdemadera.cl

Valparaiso, Cile. 2007

LAURA GONZALEZ CABRERA

PANTONE I

www.gonzalezcabrera.com

Canary Island, Spain

LINTS / THE TROLL

www.idnworld.com/creators/?id=Lints

Copenhagen, Denmark

MALAKKAI / LUCIERNAGAS

www.malakkai.es

Almeria, Spagna. 1980.

MARIANA PALOMINO

CAREFULLY WASH

www.marianapalomino.com

Canary Islands, Spain. 1988

2013: Dregree in Fine Arts by the

University of La Laguna

MARIELA AJRAS / EL PORTAL

www.mariearjas.tumbler.com

Buenos Aires, Argentina. 1984

MILU CORRECH / LAS MOIRAS

www.milucorrech.com

Buenos Aire, Argentina

MADEMOISELLE MAURICE

A TRIBUTE TO HUMAN AND NATURE

www.mademoisellemaurice.com

Savoy, France. 1984

ALEJANDRO MONO GONZALEZ / AGUA

www.elmonogonzalez.cl

Curicò, Cile. 1947

NESPOON / SAN POTITO

www.behance.net/nespoon

Varsaw, Poland. 2009

TONO CRZ / MEMORIA

www.b-lee.org | instagram/tonocrz

Isola Canarie, Spagna. 1979

GIOVANNI TIMPANI “ZONK”

LA BELLEZZA

www.facebook.com/johnny.zonk

Piedimonte Matese, Italy. 1988

FEDERICA BELMONTE

Federica Belmonte classe 1983 nasce a

Teramo e cresce a Gioia Sannitica (Ce). Si

trasferisce a Napoli nel 2002 per studiare

Conservazione dei Beni Culturali ed è in

questa città che entra in contatto con le

culture e controculture metropolitane.

La sua passione per i linguaggi urbani e

per la Street Art in particolare la portano

fino a Bristol per completare le ricerche

per la tesi dedicata al percorso artistico di

Banksy. Sull’anonimo street artist scrive

anche un saggio dal titolo “Banksy fra

pop e santità; focus sui lavori napoletani”

pubblicato in PEM Treccani (maggio

2015). Collabora saltuariamente con

Urban Lives, blog sull’Urban Art in Italia.

E'inoltre l’ideatrice dello street art tour

Napoli Paint Stories; passeggiata guidata

nel centro storico napoletano fra graffiti,

murales, stencil e poster.

Federica Belmonte was born in 1983

in Teramo and She grew up in Gioia

Sannitica (CE). She moved to Naples in

2002 to attend faculty of Conservation

of Cultural Heritage and Arts and in this

town kept in touch with underground

culture. Her passion for urban languages

and in particular for Street Art led her

to Bristol to complete researches for

her thesis about Banksy. About works

of anonymous street artist in Italy She

wrote an essai - “Banksy fra pop e santità;

focus sui lavori napoletani”, published in

PEM Treccani (2015). She occasionally

collaborates with Urban Lives, a

specialized blog about Italian Urban Art.

She is also the creator of Napoli Paint

Stories; a street art and graffiti tour in

historical centre of Naples.

PAOLO DE FALCO

Nato nel Salento. Attore e Regista di

cinema e teatro. Musicista.

Fin da molto giovane studia musica (clas-

sica e jazz) danza (clas. contemp. buto,

tango) recitazione e mimo con diversi

insegnanti.

Si laurea a Roma in Storia del Teatro in-

contrando maestri come L. de Berardinis,

P. Stein, C. Bene, P. Brook, J. Grotowsky,

T. Kantor e altri.

Continua la sua formazione nei paesi

dell’est (borsa di studio minist.)  seguendo

i corsi di Regia dell’Accademia Teatrale di

Cracovia e collaborando con la Cricoteka

di T. Kantor. Studia inoltre arte a Varsavia,

Vienna, Praga, Parigi.

Parallelamente dal 1989 lavora come

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attore in cinema e teatro.  (G.Piccioni, P.

Squitieri, C. Quartucci etc.).

Dal 1990 comincia la sua attività di regista

e performer.  Fondando Grad zero nel

94. Crea diversi spettacoli e performance

in Italia ed Europa. Curando inoltre la

direzione artistica di diversi eventi, festival

e progetti innovativi come la Residenza di

Paliano nel Lazio e quella creata attraverso

il recupero di una vecchia masseria-mani-

fattura nel Salento.

Dal 1995 si occupa anche di formazione

insegnando nelle scuole (realizza opere

creative con i bambini), università, carceri,

centri culturali, corsi di formazione pro-

fessionali. Ha realizzato regie anche per

altri gruppi (Sosta Palmizi, etc), compo-

nendo inoltre musica e collaborando con

diversi coreografi (A.P. Bacalov, F. Scavetta

etc.) Ha suonato  in diversi gruppi musicali.

I suoi spettacoli e film hanno partecipato

a diverse rassegne e Festival italiani e

internazionali.

Dal 2005 si occupa principalmente di

cinema realizzando diversi film documen-

tari in giro per il mondo.

Ha creato ed è il direttore artistico dell’Ar-

chivio liquido dell’identità.

Ha pubblicato per Argo editrice un li-

bro-diario sul suo lavoro teatrale dal titolo

Anche i pesci balleranno.

Paolo De Falco was born in Novoli (LE) in

1965. He graduated in history of theater at

La Sapienza University in Rome, he stud-

ied dance, music and acting encountering

in his training Eduardo De Filippo, Leo de

Berardinis, Peter Stein, Carmelo Bene and

Jerzy Grotowski. He debuted as a film

actor at twenty years with "The Big Blek"

(1987) by Giuseppe Piccioni. After several

video performances, in 2002 he directed

his first short film, "The Bridge, based on a

story by Franz Kafka. In 2005 he directed

his first feature documentary, "Stella Loca",

presented at the International Film Festival

in Rome, at the Trieste Film Festival and

the Doc for Sale of Amsterdam. In the

same period he has produced a series of

documentaries in Argentina, Chile and

Brazil about Italian emigration after the

war.

ASSOCIAZIONE RU.DE.RI.

RU.DE. RI (Rural Design per la

rigenerazione dei territori) è

un'associazione culturale composta

da architetti, progettisti, ricercatori e

professionisti il cui obiettivo è quello di

progettare, sviluppare e promuovere

pratiche e approcci finalizzati alla

valorizzazione delle aree rurali e

marginali. RU.DE.RI pone le attività

legate all'agricoltura al centro dei

processi di rigenerazione territoriale, per

ampliare l'ambito della progettazione

- principalmente basata sul paradigma

urbano, sintetizzato nella frase di Gropius

"dal cucchiaio alla città" -, e abbracciare

il concetto di paesaggio, inteso non solo

in senso estetico ed ecologico, ma anche

scientifico e produttivo, in quanto frutto

della co-evoluzione di sistemi ambientali

e attività umane.

I fondamenti del salto di paradigma

proposto da RU.DE. RI muovono da una

nuova interpretazione del ruolo storico

dell'agricoltura che si basa, da un lato,

sulla consapevolezza di nuove percezioni

emergenti sul territorio e, d'altra parte,

sulla necessità di un'integrazione

sistematica delle filiere produttive agricole

con la progettazione culturale e del

paesaggio.

Tra le più recenti attività intraprese

dall'associazione ci sono la partecipazione

a workshop e conferenze sui temi cardine

dell'associazione: Sassinoro Paese

dell'Acqua, VIII edizione (20-21 marzo

2015), International Wine Symposium

"Vins, vignes et vignerons: passaggi,

messaggi et métissages" (3-6 giugno,

2015 - Tolosa, Francia); l'organizzazione

di eventi e residenze artistici in borghi

rurali: Ri-creare Guardia, 2014; Guardia

Sanframondi, Italia e "I Nidi di San Lorenzo

Maggiore", San Lorenzo Maggiore, Italia; la

realizzazione di laboratori di Rural Design:

"Architetture viventi: costruire con canne

palustri e bamboo", progetto Bakeka

1621, Venezia; nonché la partecipazione

a diversi progetti (italiani e internazionali)

e gruppi di lavori su rigenerazione rurale,

innovazione sociale, bio-architettura e

design sistemico: Perspective, INSITE,

Italia che cambia, etc.

L'associazione ha una lunga relazione

con la zona del Matese, infatti molti

dei soci fondatori di RU.DE. RI sono

stati anche i promotori di uno dei primi

progetti culturali immateriali della Regione

Campania: "PAEseSAGGIO – Azione

Matese" (finanziato con fondi POR 2000-

2006).

RU.DE.RI (Rural Design for Territorial

Regeneration) is a cultural association

composed of architects, designers,

researchers and professionals whose

mission is to design, develop and

promote practices and approaches aimed

at valorizing remote and rural areas.

RU.DE.RI places the activities related

to agriculture at the heart of territorial

regeneration processes to broaden the

scope of design - mainly based on the

urban paradigm synthetized in the famous

statement by Gropius "from the spoon to

the city" - to embrace instead the concept

of landscape, not only in an aesthetic and

ecological sense but also in a scientific

and productive one, as a result of the co-

evolution of environmental systems and

human activities.

The cornerstones of the paradigm shift

proposed by RU.DE.RI move from a

new interpretation of the historical role

of agriculture that is based, on the one

hand, on the awareness of new emerging

perceptions of the territory and, on the

other hand, on the need for a systemic

integration of agricultural productive

chains with culture and landscape design.

Among the most recent activities

undertaken by the association there are:

the participation to workshops and

conferences on the core topics of

the association (e.g. Sassinoro Paese

dell'Acqua, VIII edition, 20-21st March

2015; International Wine Symposium of

Toulouse'15 "Vins, vignes et vignerons

: passages, messages et métissages"

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(3-6th june, 2015 - Toulouse, France);

organization of artistic events and

residence in rural villages (e.g. Ri-creare

Guardia, 2014 - Guardia Sanframondi, Italy

and "I Nidi di San Lorenzo Maggiore", San

Lorenzo Maggiore, Italy ), and realization

of rural design workshops (e.g. " Living

architecture: Building with common

reeds and bamboo, Bakeka 1621 project,

Venice) the participation to many project

(italian and international) and workgroups

on rural regeneration, social innovation,

bio-architecture and sytemic design

etc. (e.g. Perspective, INSITE, Italia che

cambia, etc.)

The association has a long relationship

with Matese area, indeed many of the

founder member of RU.DE.RI were also

the promoters of the first European

immaterial cultural project of Campania

Region: "PAEseSAGGIO - Azione Matese",

funded by POR 2000-2006).

ASSOCIAZIONE VAGHE STELLE

Vaghe stelle è un progetto di ricerca

territoriale fatta con i piedi, promosso

dall’associazione di promozione

sociale e gruppo di acquisto solidale

EQuiStiamo di Vicenza. Ci muoviamo

nel territorio in questo modo perché

pensiamo che camminare in gruppo

possa essere un preciso gesto poetico

e politico. Abbiamo scelto come ambito

privilegiato delle nostre esplorazioni

il territorio vicentino, promuovendo

diverse occasioni di conoscenza attiva

dell’ambiente naturale e antropico, e

l’immersione nelle contraddizioni di

luoghi spesso contaminati e indecisi, per

poter immaginare nuove geografie del

lavoro, dell’abitare e dell’arte di vivere.

Vaghe stelle è un percorso di ricerca-

azione che pone il camminare come

pratica di rigenerazione territoriale in

grado di attivare relazioni, coltivare

consapevolezza e produrre conoscenze.

Vaghe stelle è un cammino senza fretta,

ma con molte urgenze, che tenta di

ricostruire quell’incerta costellazione

formata da piccole realtà economiche,

sociali e culturali che lavorano in un’ottica

di cura e responsabilità del territorio. A

partire dal 2012, e con cadenza annuale,

abbiamo promosso quattro cammini-

evento della durata di 3-5 giorni, che

hanno visto il coinvolgimento di un

gruppo di circa trenta persone, diverso

di anno in anno. Durante il percorso, il

gruppo di “camminatori stellari”, incrocia

tutta una serie di appuntamenti pubblici

organizzati da Vaghe Stelle insieme alle

diverse realtà locali tali da configurare il

nostro viaggio come una sorta di festival

itinerante. Negli anni abbiamo promosso

tavoli di lavoro e restituzioni delle nostre

esperienze, partecipato a dibattiti e

proposto il nostro approccio nell’ambito

di alcuni eventi, anche al di fuori dell’area

vicentina.

Vaghe stelle is a “By – foot” territorial

research Project. It is promoted by the

association EQuiStiamo, because we

think that group walking could be a

precise poetic political gesture. We chose

the favoured territory of Vicenza for

our explorations, promoting its natural

anthropological environment. We seek

immersion in uncertain contaminated

landscapes to imagine new jobs, arts, and

living geographies.

Vaghe stelle is an action – research

group which walks to create a territorial

regeneration, creating relations,

awareness and knowledge. Vaghe stelle is

a way with no rush but many urgencies. It

tries to rebuild the uncertain constellation

of the economic, social and cultural

realities that work towards the territorial

responsibility.

Starting from 2012, every year we have

promoted four strolls in the Beric hills

of 3 or 5 days. Groups of thirty people

have always participated. During the

stroll, the group Stellar Walkers has come

across with many public appointments

organized with the diverse local realities.

All this has configured our journey as a

sort of itinerant festival. Throughout the

years, we have promoted work activities,

debates and we have approached some

events even out from the area of Vicenza.

B-LEE

Il nucleo base siamo Tono Cruz e Giuliana

Conte, ma spesso, in base ai progetti,

collaboriamo con altre persone.

Abbiamo sviluppato diversi progetti di

partecipazione sociale utilizzando l'arte

come strumento principale. in particolare

la pittura e la fotografia, per stimolare e

incentivare la partecipazione e rendere le

persone protagoniste dell'opera finale. Il

nostro obbiettivo è creare nuove sinergie

sociali attraverso la partecipazione attiva

di un gruppo già formato, di un singolo,

o di diverse persone che s'incontrano per

caso, per creare nuovi punti d’incontro,

per recuperare e appropriarsi di uno

spazio pubblico, per rendere partecipe

l'individuo nella creazione del proprio

spazio, dove ogni giorno passa o si

ritrova. Il nostro compito è guidare

e rendere possibile, a livello tecnico,

i sogni, le domande, i pensieri delle

persone che partecipano con noi. Tono

Cruz è laureato in pedagogia sociale

nell’Università Autonoma di Barcellona,

è artista autodidatta. Dopo aver lavorato

diversi anni come educatore sociale,

in diverse città spagnole, comincia a

dedicarsi all'arte e crea il gruppo artistico

CNFSN, con il quale realizza diverse

mostre e lavori prettamente artistici. Oggi

continua a lavorare come artista, ma

con il gruppo B:lee, decide di fondere

i due mondi, utilizzando l'arte come

strumento di sviluppo sociale. Giuliana

Conte è laureata in Lingue con indirizzo

antropologico all’Università di Bologna.

Ha lavorato in progetti di sviluppo sociale,

principalmente con ragazzi di strada, in

Burkina Faso, Repubblica Democratica del

Congo, Mali, e Sicilia. Dopo un master in

comunicazione e sviluppo all’Università

di Milano comincia a collaborare con

il fotografo Oliviero Toscani, e creare

diverse campagne di comunicazione

sociale. Oggi la passione per la fotografia

è diventata lo strumento principale dei

lavori che realizza con il gruppo Blee.

www.b-lee.org

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finito di stampare nell'ottobre 2015