AMIR KHAN @Romina Ciuffa

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40 di Romina Ciuffa KHAn I l Khan è un nobile, un combattente, un capo tribù. Molti reggenti delle resistenti monarchie non sono conosciuti se non per stravaganze (è il caso delle 5 mogli che re Mswati III nel 2009 inviava dall’affamato Swaziland, uno dei Paesi più poveri del- l’Africa, per uno shopping milionario tra Ita- lia, Francia, Dubai e Taiwan) o per determinazione. Amir Iqbal Khan, 23enne inglese di origini pakistane, rientra in que- sto secondo gruppo: non ha ancora mogli pur essendo musulmano, è un combat- tente, ed è rimasto tra il lusco e il brusco fin quando, lottando, si è conquistato il proprio cognome. In 76 secondi e 13 anni diviene un Khan. Gli è servito poco più di un mi- nuto, lo scorso 5 dicembre, per indossare una cintura, il titolo mondiale WBA (World Boxing Association) per i pesi medioleggeri, che già teneva nell’armadio di casa da un secondo round il 6 dicembre 2008, quando l’arbitro Mickey Vann dedicava all’irlandese Oisin Fagan un KO tecnico nell’ExCel Arena londinese e lui diveniva, a 22 anni, il terzo tra i più giovani pugili inglesi a detenere un titolo mondiale (dopo Naseem Hamed ed Herbie Hide). L’allenatore Jorge Rubio aveva appena ceduto il passo al Freddie Roach di Manny Pacquiao, Felix Sturm, Guillermo Rigondeaux, Anderson Silva (ma anche di Mickey Rourke, e di Oscar De La Hoya nell’incontro con Floyd Mayweather jr), per la Boxing Writers Association of America “Trainer of the Year” negli anni 2003, 2006 e 2008. Ancora due incontri: Amir va via al quinto round il 14 marzo 2009 lasciando battuto per decisione tecnica il messicano Marco Antonio Barrera, 7 volte campione del mondo in 3 categorie di peso ma una ferita all’occhio che si riapre memore del prece- dente match; resta invece fino alla fine il 18 luglio seguente contro l’ucraino Andriy Ko- telnik sino a che i giudici, unanimemente, gli rimettono una cintura ormai sua. Non la prima: nei British Empire and Commonwe- alth Games of Boxing il titolo non si muove da casa Khan dal 14 luglio 2007, mentre la cintura WBO (World Boxing Organization) ottenuta da Martin Kristjansen il 5 aprile 2008 la perde. Ecco dove un condottiero cade in battaglia, e circa nello stesso tempo e colpi che basteranno a lui, in un futuro dicembre 2009, per mandare giù Dmitriy Salita. Ma su quel ring come poteva saperlo? Il colombiano Breidis Prescott (ad oggi 21-2-0), più alto di lui, più veloce, in pochi secondi lo atterra e, il tempo che si rialzi, Amir è a terra di nuovo senza cintura. Il 18 luglio 2009 è il momento di passare ai UNA GUERRA DI RELIGIONE DA 76 SECONDI

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AMIR KHANUNA GUERRA DI RELIGIONE DA 76 SECONDIdi Romina CiuffaIl Khan è un nobile, un combattente, un capo tribù. Molti reggenti delle resistenti monarchie non sono conosciuti se non per stravaganze (è il caso delle 5 mogli che re Mswati III nel 2009 inviava dall’affamato Swaziland, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, per uno shopping milionario tra Italia, Francia, Dubai e Taiwan) o per determinazione. Amir Iqbal Khan, 23enne inglese di origini pakistane, rientra in questo secondo gruppo: non ha ancora mogli pur essendo musulmano, è un combattente, ed è rimasto tra il lusco e il brusco fin quando, lottando, si è conquistato il proprio cognome. In 76 secondi e 13 anni diviene un Khan. Gli è servito poco più di un minuto, lo scorso 5 dicembre, per indossare una cintura, il titolo mondiale WBA (World Boxing Association) per i pesi medioleggeri, che già teneva nell’armadio di casa da un secondo round il 6 dicembre 2008, quando l’arbitro Mickey Vann dedicava all’irlandese Oisin Fagan un KO tecnico nell’ExCel Arena londinese e lui diveniva, a 22 anni, il terzo tra i più giovani pugili inglesi a detenere un titolo mondiale (dopo Naseem Hamed ed Herbie Hide). L’allenatore Jorge Rubio aveva appena ceduto il passo al Freddie Roach di Manny Pacquiao, Felix Sturm, Guillermo Rigondeaux, Anderson Silva (ma anche di Mickey Rourke, e di Oscar De La Hoya nell’incontro con Floyd Mayweather jr), per la Boxing Writers Association of America “Trainer of the Year” negli anni 2003, 2006 e 2008. Ancora due incontri: Amir va via al quinto round il 14 marzo 2009 lasciando battuto per decisione tecnica il messicano Marco Antonio Barrera, 7 volte campione del mondo in 3 categorie di peso ma una ferita all’occhio che si riapre memore del precedente match; resta invece fino alla fine il 18 luglio seguente contro l’ucraino Andriy Kotelnik sino a che i giudici, unanimemente, gli rimettono una cintura ormai sua. Non la prima: nei British Empire and Commonwealth Games of Boxing il titolo non si muove da casa Khan dal 14 luglio 2007, mentre la cintura WBO (World Boxing Organization) ottenuta da Martin Kristjansen il 5 aprile 2008 la perde. Ecco dove un condottiero cade in battaglia, e circa nello stesso tempo e colpi che basteranno a lui, in un futuro dicembre 2009, per mandare giù Dmitriy Salita. Ma su quel ring come poteva saperlo? Il colombiano Breidis Prescott (ad oggi 21-2-0), più alto di lui, più veloce, in pochi secondi lo atterra e, il tempo che si rialzi, Amir è a terra di nuovo senza cintura. Il 18 luglio 2009 è il momento di passare ai medioleggeri e l’occasione è dedicata a Kotelnik (oggi 31-3-1), ottimo debut nella nuova categoria di peso in un match il cui vincitore è obbligatoriamente destinato all’ultraortodosso Salita. L’allenatore Roach lo segue, fino a guardare la sua meteora Khan apparire nella Metro Radio Arena di New Castle e, velocemente, atterrare la “Stella di David”, ucraino di religione ebraica sempre vissuto a Brooklyn, che vede la terra di Gran Bretagna già al decimo secondo del primo match, quando, nemmeno il tempo di iniziare l’incontro, il musulmano lo avvicina con un diretto sinistro seguito da un veloce gancio destro. Primo conteggio, e Salita è in salita, ma si rialza; un attimo ancora, e finisce in angolo neutro. Chiude prima con un clinch disperato al 35esimo la raffica di colpi di King Khan, e 10 secondi più tardi è ancora giù nell’angolo. Luis Pabon si avvicina e, una volta ancora, riprende i due in questa guerra che è sembrata ai fanatici più una guerra di religione (condotta tra i due nel totale rispetto reciproco), e per l’ennesima volta conta agli occhi dell’americano. Dopo meno di 20 secondi Salita è di nuovo un riccio, un soffio prima di esser gettato sulle corde, dove tentenna, incastrato tra la prima e la seconda. L’arbitro non indugia oltre, vince il musulmano. “Era già finita prima ancora di aver iniziato. Ero in gran forma e ben preparato ma i cori antisemiti mi hanno sopraffatto completamente. Quando c

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Page 1: AMIR KHAN @Romina Ciuffa

40 di Romina Ciuffa

KHAn

Il Khan è un nobile, un combattente, un

capo tribù. Molti reggenti delle resistenti

monarchie non sono conosciuti se non

per stravaganze (è il caso delle 5 mogli che

re Mswati III nel 2009 inviava dall’affamato

Swaziland, uno dei Paesi più poveri del-

l’Africa, per uno shopping milionario tra Ita-

lia, Francia, Dubai e Taiwan) o per

determinazione. Amir Iqbal Khan, 23enne

inglese di origini pakistane, rientra in que-

sto secondo gruppo: non ha ancora mogli

pur essendo musulmano, è un combat-

tente, ed è rimasto tra il lusco e il brusco fin

quando, lottando, si è conquistato il proprio

cognome. In 76 secondi e 13 anni diviene

un Khan. Gli è servito poco più di un mi-

nuto, lo scorso 5 dicembre, per indossare

una cintura, il titolo mondiale WBA (World

Boxing Association) per i pesi medioleggeri,

che già teneva nell’armadio di casa da un

secondo round il 6 dicembre 2008, quando

l’arbitro Mickey Vann dedicava all’irlandese

Oisin Fagan un KO tecnico nell’ExCel Arena

londinese e lui diveniva, a 22 anni, il terzo

tra i più giovani pugili inglesi a detenere un

titolo mondiale (dopo Naseem Hamed ed

Herbie Hide). L’allenatore Jorge Rubio

aveva appena ceduto il passo al Freddie

Roach di Manny Pacquiao, Felix Sturm,

Guillermo Rigondeaux, Anderson Silva (ma

anche di Mickey Rourke, e di Oscar De La

Hoya nell’incontro con Floyd Mayweather

jr), per la Boxing Writers Association of

America “Trainer of the Year” negli anni

2003, 2006 e 2008.

Ancora due incontri: Amir va via al quinto

round il 14 marzo 2009 lasciando battuto

per decisione tecnica il messicano Marco

Antonio Barrera, 7 volte campione del

mondo in 3 categorie di peso ma una ferita

all’occhio che si riapre memore del prece-

dente match; resta invece fino alla fine il 18

luglio seguente contro l’ucraino Andriy Ko-

telnik sino a che i giudici, unanimemente,

gli rimettono una cintura ormai sua. Non la

prima: nei British Empire and Commonwe-

alth Games of Boxing il titolo non si muove

da casa Khan dal 14 luglio 2007, mentre la

cintura WBO (World Boxing Organization)

ottenuta da Martin Kristjansen il 5 aprile

2008 la perde. Ecco dove un condottiero

cade in battaglia, e circa nello stesso

tempo e colpi che basteranno a lui, in un

futuro dicembre 2009, per mandare giù

Dmitriy Salita. Ma su quel ring come poteva

saperlo? Il colombiano Breidis Prescott (ad

oggi 21-2-0), più alto di lui, più veloce, in

pochi secondi lo atterra e, il tempo che si

rialzi, Amir è a terra di nuovo senza cintura.

Il 18 luglio 2009 è il momento di passare ai

medioleggeri e l’occasione è dedicata a

Kotelnik (oggi 31-3-1), ottimo debut nella

nuova categoria di peso in un match il cui

vincitore è obbligatoriamente destinato al-

l’ultraortodosso Salita. L’allenatore Roach

lo segue, fino a guardare la sua meteora

Khan apparire nella Metro Radio Arena di

New Castle e, velocemente, atterrare la

“Stella di David”, ucraino di religione

ebraica sempre vissuto a Brooklyn, che

vede la terra di Gran Bretagna già al de-

cimo secondo del primo match, quando,

nemmeno il tempo di iniziare l’incontro, il

musulmano lo avvicina con un diretto sini-

stro seguito da un veloce gancio destro.

Primo conteggio, e Salita è in salita, ma si

rialza; un attimo ancora, e finisce in angolo

neutro. Chiude prima con un clinch dispe-

rato al 35esimo la raffica di colpi di King

Khan, e 10 secondi più tardi è ancora giù

nell’angolo. Luis Pabon si avvicina e, una

volta ancora, riprende i due in questa

guerra che è sembrata ai fanatici più una

guerra di religione (condotta tra i due nel

totale rispetto reciproco), e per l’ennesima

volta conta agli occhi dell’americano. Dopo

meno di 20 secondi Salita è di nuovo un

riccio, un soffio prima di esser gettato sulle

corde, dove tentenna, incastrato tra la

prima e la seconda. L’arbitro non indugia

oltre, vince il musulmano. “Era già finita

prima ancora di aver iniziato. Ero in gran

forma e ben preparato ma i cori antisemiti

mi hanno sopraffatto completamente.

Quando combatti in trasferta ti aspetti sem-

pre che il pubblico sia in favore dell’avver-

sario, ma non pensavo che sarebbero stati

così di parte”, dichiara Salita in un’intervista

in esclusiva per il sito ebraico JC.com.

Lui che si era fatto fotografare, nelle imma-

gini pre-match insieme all’inglese, con il ti-

pico zuccotto di feltro, ricavato dal coniglio,

e la palandrana nera, subisce oggi la sua

prima sconfitta (30-1-1), con 16 KO all’at-

tivo e un solo pareggio ai punti, il 18 marzo

2006, con il messicano Ramon Montano.

Sul ring di Newcastle è entrato sfoggiando

una stella di David cucita sull’accappatoio

(“Star of David” è anche il suo sopran-

nome), scortato da alcuni rabbini sotto una

bandiera di Israele, nonostante il pugile

rappresenti a tutti gli effetti gli Stati Uniti e

si alleni a Brooklyn.

Contro di lui - perché americano in Gran

Bretagna, non perché ebreo su ring musul-

mano - tutta l’Arena; con lui, 200 chabad-

nik, seguaci di Chabad-Lubavitch,

movimento chassidico ultraortodosso che

si regge su saggezza, comprensione e co-

noscenza (Dio desidera anche la mente, e

senza la mente il cuore è inutile), ed ha il

proprio centro principale nel quartiere di

Crown Heights a Brooklyn. Forse una scon-

fitta per il Kosher Kid sul ring (è il titolo di

una serie televisiva che lo vede protagoni-

sta), ma il premio di consolazione c’è in

questa “Holy War”, mentre si alzano le po-

lemiche: lo Stato di Israele, restio a mante-

nere nel proprio territorio palestinesi

autoctoni o ad accettare quelli di loro che

risiedono anche da poco all’estero, lo invita

insistentemente, da quel fatidico 5 dicem-

bre, a trasferirsi in Israele, dove il pugile si è

recato subito dopo l’incontro; e Claudia

Katz, responsabile del dipartimento per gli

atleti del Ministero dell’Assimilazione israe-

liano, gli garantisce le medesime conces-

sioni conferite agli atleti olimpionici. Sarà

stato un match propiziatorio, lui il capro

espiatorio da immolare, o il trittico sag-

gezza-comprensione-conoscenza stimolato

dalla sofferenza; Kosher Dmitriy sembra es-

sersi guadgnato anch’egli un regno. Dei

cieli o di Israele per il momento.

Intanto il capo tribù di Bolton - che dal

canto suo dichiara quello d’origine un

Paese sicuro (“Il mondo deve supportare lo

sport in Pakistan e non lasciarlo solo per ti-

more dei conflitti: non è un luogo perico-

loso”) - dopo Salita, ha davanti una

discesa: il 17 gennaio rompe il contratto

che lo lega a Frank Warren, che gli propo-

neva di lasciare il titolo non ritenendolo in

grado di affrontare duri impegni, in favore

dell’americana Golden Boy Promotion di

Oscar De La Hoya, come dire che si appre-

sta a divenire un re Mida in terra americana,

terra di conquista per un combattente euro-

peo, e ben vigilata dal Chico de Oro, suo

nuovo promoter. L’attende l’argentino Mar-

cos René Maidana (27-1-0), soprannomi-

nato El Chino, fresco dei due K.O. registrati

sull’americano Victor Ortíz lo scorso 27 giu-

gno (al sesto round) e sul panamense Wil-

liam Gonzàlez il 21 novembre (al terzo

round). Sarà, per re Amir, il primo incontro

fuori casa, senza la sua tribù che lo propizia

di riti e tifo. Sarà, se tutto va come previsto,

il classico match di Las Vegas, per il reg-

gente di uno Stato sovrano sconosciuto e

lontano, il re di un ring a Bolton, nel Lanca-

shire. Sarà l’entrata nel circuito internazio-

nale, milionario, irreversibile della boxe.

Saranno cinture da riportare in Europa e un

jetlag da contrastare.

UNA GUERRA DI RELIGIONE DA 76 SECONDI

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40 di Romina Ciuffa

KHAn

Il Khan è un nobile, un combattente, un

capo tribù. Molti reggenti delle resistenti

monarchie non sono conosciuti se non

per stravaganze (è il caso delle 5 mogli che

re Mswati III nel 2009 inviava dall’affamato

Swaziland, uno dei Paesi più poveri del-

l’Africa, per uno shopping milionario tra Ita-

lia, Francia, Dubai e Taiwan) o per

determinazione. Amir Iqbal Khan, 23enne

inglese di origini pakistane, rientra in que-

sto secondo gruppo: non ha ancora mogli

pur essendo musulmano, è un combat-

tente, ed è rimasto tra il lusco e il brusco fin

quando, lottando, si è conquistato il proprio

cognome. In 76 secondi e 13 anni diviene

un Khan. Gli è servito poco più di un mi-

nuto, lo scorso 5 dicembre, per indossare

una cintura, il titolo mondiale WBA (World

Boxing Association) per i pesi medioleggeri,

che già teneva nell’armadio di casa da un

secondo round il 6 dicembre 2008, quando

l’arbitro Mickey Vann dedicava all’irlandese

Oisin Fagan un KO tecnico nell’ExCel Arena

londinese e lui diveniva, a 22 anni, il terzo

tra i più giovani pugili inglesi a detenere un

titolo mondiale (dopo Naseem Hamed ed

Herbie Hide). L’allenatore Jorge Rubio

aveva appena ceduto il passo al Freddie

Roach di Manny Pacquiao, Felix Sturm,

Guillermo Rigondeaux, Anderson Silva (ma

anche di Mickey Rourke, e di Oscar De La

Hoya nell’incontro con Floyd Mayweather

jr), per la Boxing Writers Association of

America “Trainer of the Year” negli anni

2003, 2006 e 2008.

Ancora due incontri: Amir va via al quinto

round il 14 marzo 2009 lasciando battuto

per decisione tecnica il messicano Marco

Antonio Barrera, 7 volte campione del

mondo in 3 categorie di peso ma una ferita

all’occhio che si riapre memore del prece-

dente match; resta invece fino alla fine il 18

luglio seguente contro l’ucraino Andriy Ko-

telnik sino a che i giudici, unanimemente,

gli rimettono una cintura ormai sua. Non la

prima: nei British Empire and Commonwe-

alth Games of Boxing il titolo non si muove

da casa Khan dal 14 luglio 2007, mentre la

cintura WBO (World Boxing Organization)

ottenuta da Martin Kristjansen il 5 aprile

2008 la perde. Ecco dove un condottiero

cade in battaglia, e circa nello stesso

tempo e colpi che basteranno a lui, in un

futuro dicembre 2009, per mandare giù

Dmitriy Salita. Ma su quel ring come poteva

saperlo? Il colombiano Breidis Prescott (ad

oggi 21-2-0), più alto di lui, più veloce, in

pochi secondi lo atterra e, il tempo che si

rialzi, Amir è a terra di nuovo senza cintura.

Il 18 luglio 2009 è il momento di passare ai

medioleggeri e l’occasione è dedicata a

Kotelnik (oggi 31-3-1), ottimo debut nella

nuova categoria di peso in un match il cui

vincitore è obbligatoriamente destinato al-

l’ultraortodosso Salita. L’allenatore Roach

lo segue, fino a guardare la sua meteora

Khan apparire nella Metro Radio Arena di

New Castle e, velocemente, atterrare la

“Stella di David”, ucraino di religione

ebraica sempre vissuto a Brooklyn, che

vede la terra di Gran Bretagna già al de-

cimo secondo del primo match, quando,

nemmeno il tempo di iniziare l’incontro, il

musulmano lo avvicina con un diretto sini-

stro seguito da un veloce gancio destro.

Primo conteggio, e Salita è in salita, ma si

rialza; un attimo ancora, e finisce in angolo

neutro. Chiude prima con un clinch dispe-

rato al 35esimo la raffica di colpi di King

Khan, e 10 secondi più tardi è ancora giù

nell’angolo. Luis Pabon si avvicina e, una

volta ancora, riprende i due in questa

guerra che è sembrata ai fanatici più una

guerra di religione (condotta tra i due nel

totale rispetto reciproco), e per l’ennesima

volta conta agli occhi dell’americano. Dopo

meno di 20 secondi Salita è di nuovo un

riccio, un soffio prima di esser gettato sulle

corde, dove tentenna, incastrato tra la

prima e la seconda. L’arbitro non indugia

oltre, vince il musulmano. “Era già finita

prima ancora di aver iniziato. Ero in gran

forma e ben preparato ma i cori antisemiti

mi hanno sopraffatto completamente.

Quando combatti in trasferta ti aspetti sem-

pre che il pubblico sia in favore dell’avver-

sario, ma non pensavo che sarebbero stati

così di parte”, dichiara Salita in un’intervista

in esclusiva per il sito ebraico JC.com.

Lui che si era fatto fotografare, nelle imma-

gini pre-match insieme all’inglese, con il ti-

pico zuccotto di feltro, ricavato dal coniglio,

e la palandrana nera, subisce oggi la sua

prima sconfitta (30-1-1), con 16 KO all’at-

tivo e un solo pareggio ai punti, il 18 marzo

2006, con il messicano Ramon Montano.

Sul ring di Newcastle è entrato sfoggiando

una stella di David cucita sull’accappatoio

(“Star of David” è anche il suo sopran-

nome), scortato da alcuni rabbini sotto una

bandiera di Israele, nonostante il pugile

rappresenti a tutti gli effetti gli Stati Uniti e

si alleni a Brooklyn.

Contro di lui - perché americano in Gran

Bretagna, non perché ebreo su ring musul-

mano - tutta l’Arena; con lui, 200 chabad-

nik, seguaci di Chabad-Lubavitch,

movimento chassidico ultraortodosso che

si regge su saggezza, comprensione e co-

noscenza (Dio desidera anche la mente, e

senza la mente il cuore è inutile), ed ha il

proprio centro principale nel quartiere di

Crown Heights a Brooklyn. Forse una scon-

fitta per il Kosher Kid sul ring (è il titolo di

una serie televisiva che lo vede protagoni-

sta), ma il premio di consolazione c’è in

questa “Holy War”, mentre si alzano le po-

lemiche: lo Stato di Israele, restio a mante-

nere nel proprio territorio palestinesi

autoctoni o ad accettare quelli di loro che

risiedono anche da poco all’estero, lo invita

insistentemente, da quel fatidico 5 dicem-

bre, a trasferirsi in Israele, dove il pugile si è

recato subito dopo l’incontro; e Claudia

Katz, responsabile del dipartimento per gli

atleti del Ministero dell’Assimilazione israe-

liano, gli garantisce le medesime conces-

sioni conferite agli atleti olimpionici. Sarà

stato un match propiziatorio, lui il capro

espiatorio da immolare, o il trittico sag-

gezza-comprensione-conoscenza stimolato

dalla sofferenza; Kosher Dmitriy sembra es-

sersi guadgnato anch’egli un regno. Dei

cieli o di Israele per il momento.

Intanto il capo tribù di Bolton - che dal

canto suo dichiara quello d’origine un

Paese sicuro (“Il mondo deve supportare lo

sport in Pakistan e non lasciarlo solo per ti-

more dei conflitti: non è un luogo perico-

loso”) - dopo Salita, ha davanti una

discesa: il 17 gennaio rompe il contratto

che lo lega a Frank Warren, che gli propo-

neva di lasciare il titolo non ritenendolo in

grado di affrontare duri impegni, in favore

dell’americana Golden Boy Promotion di

Oscar De La Hoya, come dire che si appre-

sta a divenire un re Mida in terra americana,

terra di conquista per un combattente euro-

peo, e ben vigilata dal Chico de Oro, suo

nuovo promoter. L’attende l’argentino Mar-

cos René Maidana (27-1-0), soprannomi-

nato El Chino, fresco dei due K.O. registrati

sull’americano Victor Ortíz lo scorso 27 giu-

gno (al sesto round) e sul panamense Wil-

liam Gonzàlez il 21 novembre (al terzo

round). Sarà, per re Amir, il primo incontro

fuori casa, senza la sua tribù che lo propizia

di riti e tifo. Sarà, se tutto va come previsto,

il classico match di Las Vegas, per il reg-

gente di uno Stato sovrano sconosciuto e

lontano, il re di un ring a Bolton, nel Lanca-

shire. Sarà l’entrata nel circuito internazio-

nale, milionario, irreversibile della boxe.

Saranno cinture da riportare in Europa e un

jetlag da contrastare.

UNA GUERRA DI RELIGIONE DA 76 SECONDI

Page 3: AMIR KHAN @Romina Ciuffa

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L’unico ad aver battuto Maidana, per deci-

sione non unanime il 7 febbraio del 2009, è

proprio quel Kotelnik (31-3-1), lo stesso che

avrebbe dovuto nel novembre 2008 scon-

trarsi con Salita ma, per una ferita, ebbe a

rinunciare: e lo stesso contro cui Amir inau-

gurava il peso light-welterweight in un

match rimandato dall’altro di tre settimane

per “mal di denti”. Presagio?

Ma non è facile immaginare, da una cross-

examination delle tabelle di Khan e Mai-

dana, chi prevarrà in questo scontro

obbligato: Maidana ha tecnica e potenza,

ricorda Ricardo “Mochuelo” Torres, è ag-

gressivo; Khan, che a 11 anni iniziò a bo-

xare per aver visto gli incontri di

Muhammed Alì, non ha in dote molta ma-

scella ma può rimpiazzarla perfezionando la

difesa, ha velocità nelle mani, accuratezza,

disciplina, resta tuttavia arduo vederlo din-

nanzi a un picchiatore, lui che ha difficoltà a

ricevere colpi sul volto e non ama, per abi-

tudine, la forte pressione. Sarà necessario

lo stesso Khan presente davanti a Kotelnik,

serviranno dei secondi decisi nel lanciare il

ragazzo all’interno della gabbia con l’arte-

fice di 25 K.O., e ci sarà anche il bisogno di

un Freddy Roach più convinto di quello che

avrebbe preferito il suo Amleto davanti a

una boxe diversa da quella di Maidana.

Quest’ultimo, come l’altro, è sotto l’egida

della Golden Boy in co-promozione con la

tedesca Universum, e ciò consente di im-

maginare il profetico match come reale

anche a quanto afferma Richard Schaefer,

amministratore delegato della Golden Boy,

che ha ottenuto un’estensione per fissare i

termini dell’accordo e decidere, con il

nuovo pupillo Khan, sui dettagli, senza

escludere un’asta finale né l’opzione di un

primo incontro americano “undercard” - il

primo nome, Paul Malignaggi del promoter

Lou DiBella, le altre ipotesi Juan Diaz e

Nate Campbell della stessa Golden Boy -

prima di arrivare al pugile argentino (e una

data già fissata: il 17 aprile, giorno più

giorno meno, o altra da determinarsi per un

ring che è obbligato). Se il problema è la di-

fesa, Khan ha dimostrato, sin da giovane,

di poter crescere e arrivare là dove il cap-

pello non arriva: dopo aver vinto le Olim-

piadi in categoria Junior, il Senior European

Championships e il Junior World Cham-

pionships, in tutti e tre i casi definito il mi-

glior pugile in tutte le divisioni di peso, il

giovanissimo piccolo Lord si trova davanti

un maturo 33enne, Mario Kindelan, che lo

sconfigge nel Senior World Championship e

una seconda volta, la finale dei pesi leggeri

delle Olimpiadi di Atene del 2004, per 30 a

23. Ma alla terza occasione, in casa, a Bol-

ton, i punti (19 a 13) sono per il diciottenne

Khan, in procinto di divenire professionista,

che ottiene vittoria, infine, sul cubano me-

daglia d’oro ad Atene (imbattuto da 42 in-

contri su 290 vinti), per “essersi allenato 10

volte tanto”.

Prima dell’incontro Khan-Maidana rileggerei

un romanzo di Leonard Wibberley, “The

Mouse That Roared”, o rivedrei il film che

ne fu tratto dal regista Jack Arnold, inter-

pretato da Peter Sellers in più ruoli. In esso

un piccolissimo Stato europeo, il Ducato di

Gran Fenwick - difficilmente individuabile

anche sulle cartine, una manciata di abi-

tanti che si dedicano esclusivamente alla

produzione di un famoso vino - entra in una

grave crisi economica per colpa di un’imita-

zione lanciata da un industriale vinicolo

della California. Per superarla, dichiara

guerra agli Usa al solo scopo di perderla e

ottenere sovvenzioni dai vincitori.

Pochi maldestri e improvvisati soldati sono

inviati, in nave, a far finta di conquistare

l’America senza averne la benché minima

intenzione, anzi, con l’obiettivo opposto.

Ma s’impossessano casualmente della

bomba Q e gli Stati Uniti s’arrendono.

Lo scapestrato Gran Ducato di Fenwick

vince la guerra contro la più grande po-

tenza mondiale; Amir Khan è, con il solo

scettro del suo ring nelle mani e un accento

british, pronto a dichiararla mentre si avvi-

cina a questo Nuovo Mondo come un

Khan.

L’artista “si da con il suo corpo” di-

ceva Paul Valéry. “È prestando il suo

corpo al mondo che il pittore tra-

sforma il mondo in pittura” .

Wainer Vaccari però non si accontenta

dell’agonismo particolare del fare arte. Il

suo modo di esserci come artista, l’indivi-

dualità del proprio rappresentare, com-

prende necessariamente un approdo

corporale, un prendere ad oggetto storie di

sangue, di corpi, di un’umanità che nelle

proprie affezioni e nella conoscenza di que-

ste si vuole leggendaria.

“Ricordo io e mio fratello maggiore, negli

anni sessanta, curvi sulla radio ad ascoltare

gli interminabili, leggendari, combattimenti

tra Duilio Loi e Carlos Ortiz.

Il dover essere costretti, non vedendola, a

immaginare l’azione, le dinamiche del com-

battimento, ci portava a sentire le gesta dei

pugili come fossero gesta d’eroi, a pensare

gli incontri in una dimensione altra, come

spazio del mito.

Quelle radiocronache rimanevano in noi

come momenti di musica e di poesia,

d’emozione pura”.

Sono storie - quelle che predilige - che col-

piscono al cuore, che fanno riflettere. L’arti-

sta modenese da tempo offre loro lo spazio

ideale. Offre il palcoscenico che serve.

Nella convinzione che è il corpo a darci la

misura di noi, che sono le sue gesta a so-

pravvivere come tracce e a renderci con

massima evidenza consapevoli, capaci di

affondi in caverne che non si sapeva così

come in sogni che “mai si era osati so-

gnare” . Perché in definitiva il pugilato è

“una delle belle arti” ed è da questo con-

cetto che Wainer Vaccari trae il proprio atti-

vante fabrile. È da questo voler pensare

ancora una volta l’ideale neoclassico - e

pensarlo forte, quasi come fosse nuovo,

altro - che trae la forza di creare un’opera

davvero originale. Perché quell’idea è cosa

attuale. È urgenza non reminescenza. Wai-

ner è stato tra i primi a capire che il pensare

così oggi, non costituisce un recupero ma

una necessità.

“Confidenza per confidenza, preferisco i

pugili agli intellettuali”

Wainer ama la compagnia di tutti coloro

che combattono, che accettano il confronto

su di un ring. Perché le loro sono sempre

storie di pancia che colpiscono duro. Come

fa la vita. Storie di sofferenza e di supera-

menti, di onore e di gloria. Tutto ciò vale la

pena partecipare e restituire in sogni fatti di

colore.

Per Wainer il colore è fondamentale. Oltre

ad essere il corpo della pittura, materia e fi-

sicità esso stesso, è l’elemento senza il

quale la lotta non può essere rappresen-

tata. Il bianco e nero d’un disegno non ren-

derebbe altrettanto. E senza il segnare

cromatico, senza il formare corposo, non

c’è possibilità d’espressione per lui. Perché

l’emozione della lotta, della vittoria, il

dramma della sconfitta sono restituibili sol-

tanto attraverso la scelta irruenta e la tra-

slitterazione sinestetica d’un variare

cromatico.

Dal suo corpo a corpo fauve con la tela in-

fatti, con gli “strumenti” della pittura, dalla

scelta ossessiva dell’oggetto della rappre-

sentazione, si capisce la sua grande voglia

di confronto, il suo gusto per il combatti-

mento, la propria necessità di allertarsi

mettendosi in guardia e di contrastare at-

taccando – creando. Che è poi il solo modo

per tutti noi di esserci davvero. Sconvolti,

stupefatti, impauriti pure disponibili a mu-

tare. A rischiare tutto. Anche di perdere.

Perché in fondo è proprio vero: “l’uomo è

molte cose ma non è ragionevole” .

Il pugilato come

di Gabriele Tinti 43

Page 4: AMIR KHAN @Romina Ciuffa

> INTERVISTA

Mike Tyson

una guerra di religione da 76 secondi

AMIR KHAN

sconfitto con onore

da ZBIK

DELLA ROSA

F.P.I.entra nel cuore dell’AIBA

Page 5: AMIR KHAN @Romina Ciuffa

40

4. L’Italia e la FPI entrano nelcuore dell’AIBAdi Alfredo Bruno

8. Della Rosa sconfitto con onore da Zbikdi Marco Zonta Intervista di Federica Pessot

11. Sosnowsky troppo giovane per Vidozdi Gilbert Roch

12. Mike Tysondi Emanuele del GrecoFat Mike di Gabriele Tinti

14. Successo di partecipazione al Corso Regionale del Laziodi Michelangelo Anile

15. Stage di Aggiornamento per Arbitri, Giudici e Tecnici Federalidi Massimo Scioti

16. Gym Boxe: la “boxe in action”di Federica Pessot

18. Per Erittu e Cosseddu vittorie che contanodi Giuseppe Giallara

20. Zamora e Bundu vincono a Latinadi Stefano Fantogini

22. A colloquio con Rossano: erede di Cammarelledi Mario Salomone

24. Verso Londra 2012…di Michela Pellegrini

26. “Mettiamo KO il cancro” con Synergiesdi Michela Pellegrini

28. Un film italiano alla Gleason’sGym di New Yorkdi Luca De Franco

30. Ad Aarhus non passa… lo stranierodi Manfredo Guerrera

32. Il poster di Boxe Ring

34. Classifiche Mondiali, Europee, Italiane

38. Incontro alla Cecchignola con le atlete in ritirodi Alfredo Bruno

40. Amir Khan una guerra di religione da 76 secondidi Romina Ciuffa

43. La boxe come artedi Gabriele Tinti

44. Gennaio1970: Arcari sul tetto del mondodi Gianni Virgadaula

46. La Campania secondo Enrico Apadi Adriano Cisternino

48. I Conti Cavini chiudono il 2009 a Grossetodi Aldo Ferrubon

49. Signani è il nuovo campionedi Francesco Ventura

50. A Fuscaldo Branco e Spada non perdonanodi Emanuele del Greco

51. La boxe italiana in lutto per Aldo Garofalo

52. News

53. Italia Ring

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