ALPI DA VIVERE Federica CORRADO, Maurizio DEMATTEIS · presenza di alta qualità dell’ecosistema...

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1 ALPI DA VIVERE Federica CORRADO, Maurizio DEMATTEIS SOMMARIO Le Alpi sono una macro-regione assai diversificata al suo interno. Qual è quindi oggi la “qualità dell’abitare e del lavorare” in montagna? L’Associazione Dislivelli (www.dislivelli.eu) ha avviato un lavoro di ricerca in tal senso, in cui l’analisi condotta dagli specialisti si combina con modalità interattive di coinvolgimento di soggetti locali che sperimentano nuovi modi di vivere e lavorare in montagna. .

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ALPI DA VIVERE

Federica CORRADO, Maurizio DEMATTEIS

SOMMARIO

Le Alpi sono una macro-regione assai diversificata al suo interno. Qual è quindi oggi la “qualità dell’abitare e del lavorare” in montagna? L’Associazione Dislivelli (www.dislivelli.eu) ha avviato un lavoro di ricerca in tal senso, in cui l’analisi condotta dagli specialisti si combina con modalità interattive di coinvolgimento di soggetti locali che sperimentano nuovi modi di vivere e lavorare in montagna.

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Introduzione

“E’ il terremoto dell’industrializzazione che negli anni sessanta ha sconvolto irrimediabilmente la campagna povera del Cuneese. Tutti i problemi di allora si sono poi risolti da soli, con l’esodo che si è trasformato in valanga. Ma la storia della campagna povera del Cuneese non è un episodio marginale, non è un episodio a sé. E’ la storia di mezza Italia, del nord come del sud, del Veneto come della Calabria”. Così scriveva Nuto Revelli l’8 settembre del 1976 nell’introduzione alla sua memorabile opera “Il mondo dei vinti” (Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Giulio Einaudi editore, Torino 1977), una raccolta di 270 testimonianze registrate nelle zone di provincia tra pianure, colline e montagne. Oggi sono passati 33 anni da allora, e il “mondo dei vinti” è cambiato parecchio. Tanto che, quando il Censis per la prima volta ha pubblicato una stima del valore aggiunto prodotto nel territorio montano (circa 165 miliardi di euro su base dati 1999), sono stati in molti a stupirsi. “In particolare – si legge sul rapporto finale della ricerca Uncem-Censis, Produrre in montagna: il ruolo delle filiere nella nuova economia montana, aprile 2007 -, se la montagna era in grado di produrre il 16,1% del valore aggiunto del Paese con una popolazione corrispondente al 18,7% del totale nazionale, qualcosa andava sicuramente rivisto nelle tradizionali interpretazioni sulla debolezza dell’economia montana”. Economia montana che, nonostante l’imminente crisi economica mondiale, pare continui a registrare trend positivi. Ora, a fronte di questi dati, sebbene di difficile lettura in quanto non tengono conto della grossa differenza esistente tra alta, media e bassa valle alpina, ci si chiede comunque quale sia il “nuovo” tessuto socio-economico dei territori delle comunità montane, artefice di questi cambiamenti. Di sicuro oggi gli abitanti delle Alpi superstiti, specie se giovani, non rispondono più al vecchio stereotipo del “montanaro”. Per reddito, livelli d’istruzione, abitudini di vita, sistemi di valori e aspirazioni essi non differiscono sostanzialmente dal resto della società urbanizzata. Hanno però a disposizione, a differenza di chi abita in città, un ambiente unico nel suo genere, che oggi può tornare utile per sviluppare nuove attività economiche. Ma se su questa realtà non mancano le analisi statistiche sui dati economici a livello nazionale, pochi sono gli studi in profondità sul modello di Nuto Revelli, cioè quei lavori che cercano di raccogliere informazione dalla testimonianza diretta degli abitanti dei territori in oggetto (si veda a tal proposito, per citare alcuni dei lavori più recenti in materia, il Terzo rapporto sullo stato delle Alpi, Noi Alpi! Uomini e donne costruiscono il futuro, Cda & Vivalda editori 2007, realizzato dalla Cipra, la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi - Maurizio Dematteis, Abbiamo Fatto un sogno, dall’alta Valle di Susa alle Valli moregalesi 14 coppie si raccontano, Edizioni Chambra d’Oc 2007 - Maurizio Dematteis, Mamma li turchi. Le comunità straniere delle Alpi si raccontano, Edizioni Chambra d’Oc 2010). I lavori citati, attraverso una serie di interviste in profondità, restituiscono la fotografia di una realtà tutt’altro che statica. Un nuovo tessuto socio economico dinamico che poco alla volta soppianta quello del “Mondo dei vinti”, per mano di una serie di nuove “tipologie” artefici della recente trasformazione del territorio alpino: prime fra tutti le due categorie che potremmo definire dei “reinsediati” e dei “migranti in provincia”. 2 Un progetto di ricerca: Vivere a Km 0 Il contributo in oggetto intende restituire i primi risultati di una ricerca attualmente in corso sui nuovi abitanti delle terre alte. Partendo dall’idea che abitare significa partecipare attivamente alla vita di un certo luogo, contribuire a costruirne la sua identità e sentirsene effettivamente parte (Magnaghi, 2000), la

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ricerca intende indagare la questione dell’abitare e lavorare nei territori alpini. Dunque, abitare e lavorare come elementi in stretta connessione con l’alpinità di questi luoghi, come attività fortemente ancorate alle risorse territoriali specifiche di questi luoghi (dalle risorse naturali alla qualità della vita, permanenza di tradizioni, bellezza del paesaggio, per citare alcuni esempi). Oggetto centrale della ricerca è allora il rapporto tra soggetti (in qualità di abitanti) e territorio (inteso come insieme complesso di elementi che sono i soggetti, appunto, il patrimonio territoriale, il milieu e il capitale territoriale). Rapporto, questo, che in alcune parti del territorio alpino ha consentito la creazione di relazioni geografiche verticali e orizzontali che hanno innescato dinamiche territoriali di sviluppo, le quali presentano già alcuni effetti visibili sul territorio:

- ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare (anche con conseguenti variazioni nei valori del mercato immobiliare);

- ripresa di antichi mestieri (lavorazione locale del legno, coltivazione di specie che si erano perdute nel tempo….), creazione di nuovi mestieri, implementazione di mestieri già esistenti in aree “nuove” (agriturismo in aree di turismo debole o apparentemente debole);

- utilizzo di tecnologia avanzata (come ad esempio internet); - partecipazione a gruppi di consumo sostenibile (Gas, Gac, Gap, etc.) - riorganizzazione di servizi e attività culturali. - ridefinizione dei ruoli sociali, economici e culturali degli abitanti

Si tratta dunque di effetti di cambiamenti in atto nel territorio montano del tutto spontanei, spesso non pianificati attraverso specifici programmi e difficilmente sostenuti da politiche pubbliche dedicate (come nel caso italiano). In buona sostanza, sono cambiamenti:

- sociali, in termini di popolazione residente - economici, in termini di recupero di vecchi mestieri e/o implementazione di nuovi

mestieri - culturali, in termini di nuovi stili di vita e di consumo e di creazione di nuove

associazioni Al fine di rispondere all’obiettivo della ricerca, si è articolato il lavoro in tre fasi. La prima fase riguarda la realizzazione di un censimento generale dei nuovi abitanti in relazione alle condizioni di contesto locali (caratteristiche istituzionali e delle reti di attori locali, posizione geografica, andamenti demografici, ambiente economico, sociale e culturale, ruolo delle istituzioni ecc) e in riferimento alla scala territoriale vasta (territorio della Comunità montana). La seconda fase è centrata su un’attività di “carotaggio” su alcune parti dei territori vasti individuati nella prima fase, che consenta di far emergere le dinamiche micro dei processi di cambiamento e sviluppo. Dinamiche, queste, che risultano essere più difficili da “scoprire” al livello di analisi a maglie larghe, ma assolutamente indispensabili nell’analisi di processi e territori così poco conosciuti e studiati in ambito scientifico. In tal senso, è stato previsto l’utilizzo di interviste per raccogliere storie di vita, attraverso le quali far emergere i fattori territoriali specifici (dalle risorse naturali, al saper fare locale, all’utilizzo di nuove tecnologie, etc.) che entrano in gioco nella costruzione e definizione del rapporto tra abitante e contesto alpino; quali sono i bisogni e le esigenze di questi abitanti (dalle questioni relative al micro-credito a quelle legate ai servizi territoriali necessari); quali sono le visioni, motivazioni,

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aspettative degli abitanti stessi. In quest’ottica, è stata costruita anche una rete interattiva dei nuovi abitanti attraverso un forum di discussione on line. La terza fase si concentra sulla definizione di possibili categorie di nuovi abitanti e sull’individuazione di una serie di elementi di successo-insuccesso dell’abitare nel contesto alpino (disponibilità di risorse, dinamicità dei territori, modelli istituzionali/presenza di informazioni regolatrici nei processi di governance locali, decentralizzazione di alcune funzioni – non solo produttive – senso dell’identità locale e condizioni di lavoro a “Km 0”, presenza di alta qualità dell’ecosistema e del paesaggio, qualità e sostenibilità dell’abitare e dell’enogastronomia, presenza di filiere produttive “a Km 0”, qualità e sostenibilità dei sistemi di mobilità, ruolo del turismo sostenibile/pressione turistica, integrazione spaziale e funzionale tra attività produttive, qualità dei servizi socio sanitari e culturali). I territori oggetto dell’analisi sono:

a) Val Chiusella (Comunità Montana Dora Baltea – Pv di TO) b) Valle di Susa (Comunità Montana Valle di Susa – Pv di TO) c) Le Langhe (Comunità Montana Alta Langa) 3 I nuovi abitanti

La ricerca, tuttora in corso, ha permesso di riconoscere alcune categorie degli “abitanti delle valli alpine oggi”. (così definibili in virtù di quei legami con l’ambiente alpino di cui si è detto). Si tratta nello specifico di:

soggetti fortemente radicati nel territorio alpino d’origine che hanno rivisitato antichi mestieri con metodi innovativi o si sono inventati nuovi mestieri;

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soggetti che arrivano da territori nazionali o comunitari altri e decidono di abitare nelle Alpi e avviare attività imprenditoriali legate al contesto;

soggetti extra-comunitari o addirittura comunità extra-comunitarie che si sono localizzate nelle Alpi e svolgono mestieri in parte abbandonati o che la gente del luogo non è più disposta a fare;

soggetti che svolgono attività free-lance – talvolta con il telelvoro -ma vivono nelle Alpi (scrittori, artisti, ricercatori, etc.);

soggetti che hanno scelto di trasferirsi nei territori alpini dopo il ritiro dall’attività lavorativa;

soggetti che hanno scelto la residenza in valle per il minor costo degli alloggi e/o per la qualità ambientale, ma che continuano a lavorare fuori valle

soggetti cosiddetti “neorurali”, i quali scelgono volontariamente la vita in montagna come una sorta di idillio rurale, ritorno ad un contatto diretto con la natura.

Ciò che comunque accomuna questi soggetti è l’idea che vivere in queste aree è un progetto di vita dunque un progetto economico. Questa relazione vita dell’abitante-economia del luogo è sicuramente una delle questioni centrali utili per declinare il concetto di innovazione nelle aree montane. In termini generali di sviluppo rurale, l’OECD (2007) ha affermato che non si possano avviare politiche rurali (quindi anche in area montana) innovative se non si tiene conto dei seguenti fattori:

- il capitale umano, “Human Capital is essential. The current exodus of young people out of rural regions represents a brain drain that must be reversed. A key contribution could come from the so-called "neo-rurals": people of different ages and profiles that decide to move back, or to simply move for the first time to rural areas. Research presented at last year’s OECD conference highlighted the importance of the so-called "creative class" (such as architects, artists, engineers, software developers, designers etc.), that is more and more keen to move to places that offer a better quality of life. These flows must be facilitated” (OECD, 2007). Nel caso del massiccio centrale francese ciò è stato molto evidente: l’innovazione si è manifestata attraverso l’arrivo di migranti stranieri che entrano nel milieu locale e sono effettivamente portatori di progetti in particolare nel settore terziario ma soprattutto in ambito creativo (il caso di Chatel-Montagne). Questi nuovi abitanti sono diventati così creatori di imprese e in un certo senso hanno partecipato alla rinascita rurale dei luoghi montani;

- l’investimento nell’educazione scolastica e nella formazione; - lo sviluppo di tecnologie legate alle risorse territoriali specifiche dei luoghi, il

patrimonio ambientale in primis: “Innovation is often wrongly considered as a synonymous of “high-tech activity” and R&D, which are mostly carried out in urban areas. Rural regions may find it much harder to compete in the production of emerging technologies than in the development of mature technologies and alternative methods. These regions have a competitive advantage that can be more powerful and precious than any industrial R&D compound: nature” (OECD, 2007);

- la disponibilità di risorse finanziarie. “The availability of financial resources can be the critical determinant of whether innovations emerge and are turned into marketable products and services or not. I am happy to see that among the speakers of this conference there will be distinguished representatives from key financial institutions. I am sure that their contribution will bring enormous value added to these brainstorming sessions” (OECD, 2007):

A fronte di questi diversi aspetti, va tenuto conto che questi luoghi delle Alpi possono attrarre nuove popolazioni, dando un nuovo senso al territorio attraverso l’implementazione di nuovi

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modelli insediativi che intrecciano sapere locale con la cultura dei “nuovi coloni”: ciò richiede di affrontare la questione attraverso politiche e pratiche di pianificazione adeguate.

4 Testimonianze dirette dalle Valli

Proponiamo di seguito due delle interviste realizzate all’interno del progetto Vivere a Km0 e che restituiscono le aspettative, i bisogni, i desideri e le necessità dei nuovi abitanti. 4.1 Donna, 38 anni, triestina di nascita, oggi gestisce un rifugio in Val di Susa. E’ una signora dagli occhi dolci e dalle idee chiare, ma la sua esperienza non difetta certo del senso del limite e del valore della complessità. Trasferitasi a Torino in giovane età, nel 1992 si iscrive alla Facoltà di Psicologia e nel 1996 si laurea in Psicologia del Lavoro. Non abbandona mai del tutto l’Università, insegna Psicologia clinica e generale ai corsi di formazione per Infermiere a Cuneo e a Torino. Intanto coltiva l’interessa per la montagna e prova a inventarsi una vita parallela. Nell’estate del 2001 è cameriera al rifugio Levi-Molinari, sul versante al sole della Valle di Susa, dove scopre che c’è una gara d’appalto per un altro rifugio della media valle, sul lato opposto in ombra. Vince il concorso nel 2002 e a dicembre inizia a lavorare nonostante la neve, la solitudine e il gelo. Batte personalmente la pista di sci per raggiungere il rifugio anche in inverno, si fa carico di pesanti lavori di ristrutturazione, talvolta a spese proprie, e in tre anni riesce a trasformare la struttura in uno dei più apprezzati rifugi delle Alpi piemontesi per la qualità della cucina, dell’ospitalità e dell’offerta. Nel 2005, primo caso in Europa, ottiene il marchio Ecolabel.

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«Ho tentato un matrimonio tra due vocazioni: l’università e la montagna. Al rifugio ho organizzato molti seminari con i miei studenti, convincendomi che non sono poi due mondi così diversi. Sono cosciente di aver sacrificato alcuni aspetti della vita sociale e professionale, ma da quando sono qui non c’è giorno che non mi alzi a lavorare contenta. Il mio obiettivo era vivere in un posto dove le persone fossero spensierate, in vacanza, e io potessi contribuire ad aumentare il loro benessere. All’inizio venivano, mangiavano e se ne tornavano indietro, mentre adesso si fermano anche la notte per vedere i cervi e gli altri animali. Il bramito del cervo è uno spettacolo, una cosa che non si dimentica. Un giorno un cliente mi ha detto: “Sai che ci vuole coraggio a vivere come te” e io ho pensato che era vero il contrario, che ci voleva più forza a starsene in città. Mi fa impressione chi dipende dal fine settimana, come se vivesse per cinque giorni in apnea. Naturalmente ci sono dei limiti a stare qui, soprattutto sul piano della vita privata. È molto difficile condividere tutto questo con un compagno che abbia una vita “normale”. Bisogna trovare una persona che guardi nella tua stessa direzione. Non potrei definirla una scelta estrema, ma ti cambia la vita. Da quando sono qui apprezzo cose che prima non vedevo. Ho scoperto la luce, ho scoperto l’acqua calda (non è una battuta!), quando torno giù trovo tutto un po’ strano e sopra le righe. In città avevo perso la ritualità del tempo e delle stagioni; qui sei costretta a farci i conti. Una sera ho incontrato il lupo, ed ero sola. Ho visto il lupo attaccare le cerve, che sono scappate impazzite. Ho capito che anche la cerva sbranata è una cosa naturale. Se guardi le cose da questo punto di vista sei costretta a ridimensionare le tue priorità. Viene naturale anche quello. Per esempio spendo soldi in libri, viaggi, nel vino che mi piace, mentre altri desideri mi sembrano inutili, tempo e soldi buttati via. Quando ho preso il rifugio avevo in tasca 500.000 lire e portavamo tutto su a spalle, io e qualche amico. Adesso ho la motoslitta, sono autosufficiente e non mi manca niente, anche se una famiglia non ce la farebbe a vivere solo con questo lavoro, con quel che si guadagna. I montanari? Da psicologa li definirei diffidenti e curiosi, allo stesso tempo. Mi hanno studiato per sei mesi come un essere pericoloso, poi sono stata adottata. Con gli anziani c’è stata una bella relazione, direi una contaminazione reciproca, mentre i giovani no, continuano a guardarmi storto, forse perché il rifugio gira bene. Non mi sento affatto un’eremita, neanche un po’. Non mi sento nemmeno dissociata tra montagna e città, la vivo come un’intergrazione delle parti: le mie. Quando scendo a Torino o a Cuneo mi vesto da città ed entro in Università: mi viene naturale. Il coraggio non è gestire un rifugio, coraggio è seguire i propri sogni».

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4.2 Uomo, 42 anni, marocchino nato a Kuribka, oggi vive con la famiglia a Bussoleno, in

Val di Susa. «Sono arrivato a Torino il 13 agosto del 1989 da Kuribka, Marocco. Ho dormito una notte a Porta Palazzo, da un connazionale, e poi mi sono subito spostato in Val di Susa: prima Sant’Ambrogio poi qui a Bussoleno. Torino era troppo caotica e gli affitti troppo alti». Il signor Salah Qabbal ha resistito solo poche ore nel capoluogo piemontese e ormai da più di vent’anni vive in provincia, in bassa Valle di Susa, con moglie e tre figlie. Ha ottenuto la cittadinanza italiana, lavora come manutentore meccanico presso una fabbrica di Almese e nel 2005 ha comprato e ristrutturato casa a Bussoleno. Nonostante l’attuale crisi economica, che non ha certo risparmiato le famiglie straniere, la famiglia Qabbal non ha intenzione di lasciare la valle : «Quando ho aperto i mutuo per la casa acquistata qui a Bussoleno – racconta Salah Qabbal - pagavo 460 euro. Poi, con i tassi variabili, oggi ne pago 600. E con il mio stipendio da operaio i 1500 euro, in cinque, facciamo davvero fatica. Sono tre anni che non riusciamo ad andare in Marocco a trovare i parenti, troppo caro. Da quando è cominciata la crisi economica non abbiamo più molti soldi. Oggi non arrivano più connazionali. È tutto cambiato. Il Marocco sta crescendo dal punto di vista economico, Fiat e Renault hanno messo delle fabbriche. L’Italia si è fermata. Speriamo che l’economia riprenda anche qui». Il signor Salah Qabbal spiega che, nonostante la presenza di un Centro culturale magrebino in paese e la recente apertura di un negozio di articoli marocchini, risulta difficile per la comunità straniera integrarsi a Bussoleno: «Gli italiani qui sono molto chiusi – spiega -. Mai subito atti di razzismo, questo no, ma ad esempio sono anni che vivo in paese, e mi capita di andar a cena con dei connazionali, quasi mai con famiglie italiane. Le mie figlie poi studiano sempre da sole, non vanno nelle famiglie delle compagne italiane. Anche perché in questo

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momento è tutto molto difficile, se capita qualsiasi cosa è colpa nostra, dei musulmani. Meglio evitare. Un giorno mia figlia è arrivata da scuola piangendo: nessuno voleva sederle a fianco perché è straniera. A volte poi capita che la gente che ci incrocia cambi marciapiede. I bambini se ne accorgono, sono molto sensibili a queste cose, e ci rimangono male». Il signor Qabbal non esaspera la situazione, pensa che l’integrazione sia solo questione di tempo. Anche se, nel frattempo, denuncia un “ritmo della vita” diverso, più noioso: «rispetto a quando stavamo in Marocco qui abbiamo meno possibilità di uscire, andare a trovare amici o parenti. A Bussoleno conosco solo tre cose: lavorare, andare a far la spesa, tornare a casa». A Bussoleno un ruolo centrale per il processo di integrazione delle famiglie straniere lo ricoprono le scuole: «Grazie al buon rapporto con gli isegnanti non mi preoccupa allevare i miei figli in Italia – spiega la famiglia Qabbal -. Il loro futuro sarà qui, in questo paese, quindi è giusto che imparino la cultura locale. Noi da parte nostra cerchiamo di insegnargli l’arabo e la cultura marocchina». Per le sue tre figlie il futuro è l’Italia: «Tornare in Marocco significherebbe rovinargli la vita – spiega -. Ormai hanno amici e interessi in Italia. L’unica cosa che mi farebbe piacere è che imparino bene l’arabo. Per mantenere i rapporti con i parenti in Marocco». Ma se per i ragazzi la “strada dell’integrazione” non è certo in discesa, le difficoltà più grosse sono sopportate sicuramente dalle donne. «Perché per loro non c’è lavoro – conclude il signor Qabbal -. E stando sempre a casa non conoscono nessuno e faticano a imparare la lingua. Inoltre quando partecipano ai rari appuntamenti interculturali organizzati in paese, si parla sempre di cucina o si fa festa. Mai che si combinino dei momenti pratici, in cui qualcuno le informi su diritti e doveri del loro nuovo paese di residenza».

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