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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale Elaborato in Sociologia delle Relazioni Internazionali POLITICHE E IDEOLOGIE DELLA CASA: DISCIPLINARE AMMINISTRANDO UN BISOGNO Candidato :                                                                                                                Relatore:                         Marco Filoscia                                                 Chiar.mo Prof. Maurizio Ricciardi  Sessione III Anno Accademico 2006/2007

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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale

Elaborato in Sociologia delle Relazioni Internazionali

POLITICHE E IDEOLOGIE DELLA CASA: DISCIPLINARE AMMINISTRANDO UN BISOGNO

Candidato :                                                                                                                Relatore:                        

Marco Filoscia                                                 Chiar.mo Prof. Maurizio Ricciardi

 

Sessione IIIAnno Accademico 2006/2007

INDICE

• Introduzione 3

• 1. Per un’archeologia delle politiche abitative

1.1 Città moderna e crisi 5

1.2 La questione sociale                                                                                   6 

1.3 Georges­Eugène Haussmann  8

1.4 L’habitat ideologico        10

1.5 L’habitat degli igienisti e dei costruttori        12

1.6 Progetto integrativo e stratificazione sociale        14

• 2. Politiche abitative tra crisi della riforma sociale e governo neoliberale: una ricerca di 

Pierre Bourdieu

  2.1 Crisi della città moderna 16

 2.2 Lo stato e la costruzione del mercato 18

  2.3 La casa merce anomala 22

2

 2.4 La politica della casa: dai grandi complessi residenziali alla casa unifamiliare 23

 2.5 Un contratto sotto costrizione 28

INTRODUZIONE

Il   discorso   sull’abitare   coinvolge   una   molteplicità   di   saperi:   architettura   e   urbanistica, 

sociologia, economia, diritto, medicina e igiene sono alcuni nomi che possiamo dare ai diversi 

modi attraverso  cui è  possibile  parlare  di casa.  Indagare  i  discorsi  e  le   logiche che rendono 

l’abitare  oggetto  di  politica   significa  doversi  confrontare  con questa  complessità  di   sguardi, 

cercare  di   tematizzarne   le   connessioni  e   i   conflitti;   e  naturalmente,  dover   scegliere.  Questo 

lavoro si concentra su alcuni aspetti legati alle politiche della casa, letti in prospettiva storica. Il 

suo scopo è  approfondire e problematizzare le logiche di fondo che hanno motivato lo stato 

moderno   a   intervenire   nell’insediamento   abitativo,   ipotizzando   un   utilizzo   della   casa   come 

strumento   di   selezione   e   disciplinamento   del   corpo   sociale,   nello   stesso   momento   in   cui 

l’intervento   si   organizzava   come   risposta   al   bisogno   di   abitare,   come   soluzione   di   una 

problematica sociale.  Al  tempo stesso,  si  è  cercato  d’intravedere  come questo utilizzo abbia 

trovato connessione con le possibilità offerte dall’abitazione di valorizzazione economica, col 

suo pieno inserimento nelle dinamiche di sviluppo capitalistico. In quest’ottica si è rilevata una 

grande   funzionalità     nell’estensione   della   proprietà   come   modalità   d’accesso   al   bene   casa 

rispetto alla riproduzione di dinamiche di gerarchizzazione e stratificazione sociale, sia per le 

connotazioni ideologiche che ad essa fanno riferimento che per i meccanismi che ne governano 

l’accesso.

La trattazione è scissa in due momenti. Nella prima parte si mette a tema la nascita delle 

politiche abitative come corpus organico, in un periodo che abbraccia tutto il XIX secolo, ovvero 

nel momento in cui la comparsa della città industriale in Europa poneva con forza il problema 

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della gestione dello spazio urbano. Partendo dai costi sociali  dello sviluppo industriale come 

causa scatenante, s’indaga in che modo si è concepita e attuata un’azione dello stato sullo spazio 

domestico. In questo processo si evidenziano diverse componenti discorsive principali, e diversi 

soggetti che le veicolano: in primo luogo i riformatori sociali, ma anche, in una retrospezione 

che risale agli   inizi  del secolo,  gli   igienisti  e i  costruttori.   In questa fase la trattazione dello 

spazio abitativo è strettamente connessa a quella delle dinamiche urbane, così come fuse tra loro 

si presentano all’origine le politiche abitative e quelle urbanistiche.

La   seconda   parte   si   concentra   su   un   oggetto   d’analisi   più   circoscritto,   descrivendo,   col 

fondamentale ausilio di un testo di Pierre Bourdieu, i passaggi attuativi e alcune conseguenze 

sociali di una riforma dell’impianto delle politiche abitative dello stato francese, che nel periodo 

dal 1966 al 1977 ratifica una trasformazione sostanziale dell’approccio alla questione della casa, 

produce  un passaggio  da  una gestione   fortemente  centralizzata  dell’allocazione  delle   risorse 

abitative ad un’apertura del mercato della casa e del credito immobiliare in cui i soggetti forti di 

questo mercato (gli istituti bancari e alcune imprese di costruzione) sono investiti di un ruolo 

fondamentale nella definizione e nella strutturazione dell’accesso al bene casa. Proprio anche in 

quanto finalizzata a concettualizzare determinate logiche del funzionamento del mercato delle 

abitazioni nel suo complesso, questa parte consta anche di una breve tematizzazione generale 

delle   particolarità   della   casa   come  merce,   e   dell’influenza  dello   stato   nella   costruzione  del 

mercato  della   casa,   sempre   con   riferimento   al   lavoro  di  Bourdieu.  Qui   la   trattazione  delle 

politiche abitative si distacca da quelle urbanistiche, facendosi più specifica. La descrizione delle 

dinamiche contestuali di sviluppo urbano vi trova comunque spazio, ma solamente nel primo 

paragrafo, come quadro storico di riferimento.

Nei riferimenti spaziali si è scelto di focalizzare il lavoro su Parigi e sulla Francia. Questa 

scelta  non è stata programmatica, ma in qualche modo strumentale. Per quanto riguarda la prima 

parte, la realtà parigina risulta un laboratorio di esperienze politiche che in seguito trovano 

diffusione nelle altre città europee. Per gli argomenti della seconda parte, le vicende dello stato 

francese permettono di esemplificare le dinamiche esaminate in maniera più che altrove lineare e 

concentrata nel tempo, con la supposizione che i passaggi riscontrati abbiano valore esplicativo 

anche rispetto ad altre realtà territoriali.

Le motivazioni che mi hanno spinto a intraprendere questo studio risiedono nella percezione 

che   la   casa,   luogo   simbolo   della   persistenza   nel   tempo,   persista   anche   come   luogo   di 

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affermazione dei poteri che muovono lo sviluppo, e che proprio abitando le mura domestiche, 

costringendo molti individui a sacrificarsi per poterle anche loro abitare, o motivandone altri a 

far sacrificare qualcuno, questi poteri riescano a  meglio perpetuarsi, trovando fondamenta solide 

e stabili attraverso i passaggi di paradigma che lo sviluppo incontra. 

1. PER UN’ ARCHEOLOGIA DELLE POLITICHE ABITATIVE

1.1 Città moderna e crisi

La   casa   come   problematica   sociale   nasce   nella   modernità,   ed   è   quindi   nei   processi   di 

modernizzazione,   nei   conflitti   e   nelle   ambivalenze   che   li   hanno   accompagnati,   che   vanno 

ricercati i temi e le poste in gioco di ogni tipo di politica abitativa. Ma ancora, i valori centrali 

della  nostra  cultura  abitativa,   l'attuale   struttura  del   rapporto  casa­città,   l'uso economico  dell' 

abitazione, sono concetti essenzialmente moderni, ovvero si sono formati con la comparsa della 

città industriale  .

Parlare  di  modernità   significa  parlare  di  crisi.  Molti   sono gli   autori   che  hanno  visto  nel 

concetto di crisi il motore dei rivolgimenti sociali e dei sistemi di pensiero che hanno definito la 

modernità.   Le   trasformazioni   della   città   europea   a   partire   dalla   metà   del   XIX   secolo 

costituiscono uno specchio di questa crisi, una sua proiezione sul territorio. L'enorme processo di 

urbanizzazione che accompagna l’ascesa del capitalismo sconvolge la struttura urbana europea, 

accresce a dismisura la città e al tempo stesso ne minaccia gli equilibri, e innesca la lunga serie 

di rivolgimenti, spostamenti di popolazioni che hanno caratterizzato la città moderna.

Henri Lefèbvre ci consegna una chiave di lettura di questo passaggio: «L'industria (...) deve 

produrre agglomerazioni nelle quali il carattere urbano si deteriora»1. 

Se si guarda alla città industriale ottocentesca, il deterioramento ha un riferimento chiaro e 1 H. Lefèbvre, Il diritto alla città (1968), trad. it. Padova, Marsilio, 1970, p. 27.

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inequivocabile: la comparsa degli slum, i «quartieri brutti dove si ammassa la classe operaia»2. In 

queste aree urbane , la cui crescita si accompagna ovunque a quella della produzione capitalista, 

si determinano concentrazioni di popolazione senza precedenti nella storia europea conosciuta, si 

sperimentano nuove forme di deprivazione materiale. 

Gli schemi e gli equilibri della città medievale s'infrangono: il punto di rottura, il dato nuovo e 

sconvolgente   che   emerge   non   è   tanto   la   miseria   in   sé,   quanto   come   essa   si   concentra 

moltiplicando i suoi effetti in aree specifiche. Scrive Friedrich Engels: «E' vero che spesso la 

miseria abita in vicoletti nascosti dietro i palazzi dei ricchi; ma in generale le si è assegnata una 

zona a parte, nella quale essa, bandita dalla vista delle classi più fortunate, deve cavarsela da sé, 

in un modo qualunque»3.

La Situazione della classe operaia in Inghilterra", del 1844, è il testo in cui l’autore tedesco ci 

dà una testimonianza vivida e minuziosa di cosa significhi questa miseria. Il suo viaggio negli 

slum   di   Londra,   Manchester,   Birmingham   e   Leeds   appare   come   un'esplorazione   dei   limiti 

dell'umana sopravvivenza: mancanza d'acqua, di cibo, di vestiario, ma anche letteralmente d’aria 

e di spazio, sono alcuni aspetti della deprivazione materiale vissuta dall' operaio. 

1.2 La questione sociale

La  condizione  operaia   e   le   sue  pericolose   implicazioni   turbano   l'occhio  dell'   osservatore 

esterno. La grande e disparata produzione scientifica e letteraria che comincia a svilupparsi dai 

primi  decenni  del   secolo  attorno  a  questo  tema  testimonia   lo   sgomento  provato  dalle  classi 

elevate, e in particolare fra gli uomini di stato.  Numerose e diverse voci si levano a indicare la 

necessità  di  combattere  "il  pauperismo":  ne parlano  legislatori,   riformatori  sociali,   filantropi, 

medici e igienisti. Una polifonia che indica l' emergere di una pluralità di approcci alla questione, 

ma al   tempo stesso una prospettiva  dominante:  migliorare   le  condizioni  di  vita  nei  quartieri 

significa  fare ordine nella città,  normalizzare una realtà che appare minacciosamente confusa, 

rendere gestibile il sociale urbano.

Significative in proposito le parole di Luigi Luzzatti,  padre del movimento in favore dell' 

2 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844), trad. it. Roma, Editori riuniti, 1978, p. 24.3 Ibidem, p. 35.

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edilizia sociale in Italia, e della stessa legge che dell'edilizia sociale sancisce la nascita a livello 

nazionale: «Il pauperismo distruggerà la nostra civiltà se la nostra civiltà non riesce ad estinguere 

gradatamente   il   pauperismo.  Le   esplosioni   selvagge  della  Comune  di  Parigi   e   certe   recenti 

sommosse del lavoro in Inghilterra, in Belgio, negli Stati Uniti d'America hanno avvertito che 

ogni  nazione  contiene   i   suoi  barbari  minaccianti  di  continuo   la  pace  e   la  prosperità,   e  non 

potendo espellerli con la forza, perché sono sangue del suo sangue e ossa delle sue ossa, è uopo 

ammansirli e temperarli.  Come gli antichi barbari furono convertiti  da una religione d'amore, 

così si cercano dappertutto gli influssi salutari di nuove fedi sociali che acquietino i barbari nuovi 

e mutino le collere dei ciclopi del lavoro in feconde attitudini di cooperazione sociale»4

La questione operaia si trova così al centro della produzione di un discorso, viene prodotta 

discorsivamente come “questione sociale”, ovvero come somma di problemi isolabili e specifici, 

privati  delle  loro connessioni causali,  della  loro natura politica.  «Povertà,  sanità,  educazione, 

igiene, disoccupazione e così via, vennero concettualizzati come “problemi sociali” i quali,  a 

loro   volta,   chiamavano   ad   un   sapere   scientifico   particolareggiato   sulla   società   e   sulla 

popolazione   e   ad   una   pianificazione   sociale   estensiva   connessa   ad   un   intervento   sulla   vita 

quotidiana»5.

La   produzione   di   saperi   specifici   che   scompongono   e   reificano   la   città   comporta   il 

dispiegamento   su   di   essa   dell'   intervento   dello   stato,   volto   a   razionalizzarla   per   meglio 

amministrarla. Questo processo d' investitura, che vedrà il suo più completo dispiegamento nel 

corso del XX secolo, si produce in maniera tutt'altro che lineare; la pluralità di voci segnalata 

sopra   rispecchia   una   pluralità   di   processi   e   prospettive   politiche   che,   attraverso   intrecci   e 

ridefinizioni, danno forma alla riforma sociale e alla pianificazione come strumenti del potere 

statuale.  E  proprio  distinguendo   schematicamente   riforma   sociale   e   pianificazione  possiamo 

dipanare   due   differenti   linee   genetiche   (il   termine   “riforma   sociale”   in   questo   frangente   è 

specificamente iscritto dentro l’orizzonte del conflitto tra lavoro e capitale, più avanti si userà lo 

stesso termine con un’accezione più ampia).

L'ipotesi di riforma sociale emerge in seno al movimento operaio come strategia opposta alla 

rivoluzione, come possibilità di emancipazione della classe su un terreno non antagonista, ma 

interno all'  ordine giuridico.  La Germania bismarckiana  è   teatro delle  principali  elaborazioni 

4 Citato in A. Tosi (a  cura di), Ideologie della casa. Contenuti e significati del discorso sull’abitare, Milano, Franco Angeli, 1980, p. 93.5 A. Escobar, Pianificazione, in W. Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo (1992), trad. it. Torino, Ega, 2004, p. 187.

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teoriche di quest'ipotesi. I socialisti tedeschi (principalmente con il contributo di Karl Kautsky) 

elaborano  una   strategia   che,   pur   non   rinunciando   formalmente   all’ipotesi   rivoluzionaria  ma 

relegandola in un futuro imprecisato,  si basa su un graduale processo di modificazione degli 

assetti   economici   e  democratizzazione  dello  Stato   attraverso   l'estensione  del  diritto  di  voto. 

Contemporaneamente ma da un'altra prospettiva, è lo stesso cancelliere Bismarck ad attuare un 

programma di   riforme sociali   specificamente   indirizzato  a  mediare   il  conflitto   industriale.   Il 

concetto   di   riforma   sociale   trova   inoltre   attuazione   nelle   diverse   forme   di   organizzazione 

sindacale che, a partire dai cartisti inglesi e poi anche nell' Europa continentale, agiscono per 

migliorare la condizione dei lavoratori attraverso un'opera continua di contrattazione6.

Le origini della pianificazione urbana invece possono essere ricondotte all'emergere, a partire 

dal XVIII secolo, di politiche sanitarie e di gestione della popolazione, con le quali «si cominciò 

a concepire la città  come un oggetto, da analizzare scientificamente e trasformare tenendo d' 

occhio   due   principali   criteri:   il   traffico   e   l'igiene»7.   Un   importante   contributo   a   questa 

tematizzazione   viene   dalle   ricerche   di   Anne   Thalamy   e   Jean   Marie   Alliaume   raccolte   in 

Politiques de l'  habitat 1800­1850,  che individuano in Parigi il  campo di sperimentazione di 

questa presa in conto da parte dello stato dei problemi attribuiti alla popolazione. In particolare, 

il   discorso   degli   igienisti   parigini   va   ad   insistere   sulle   connessioni   tra   gruppo   sociale   e 

probabilità di diffusione delle malattie, e postula una corrispondenza tra condizioni igieniche e 

condotta   morale,   per   cui   scarsa   igiene   diviene   segno   di   comportamento   antisociale.   Le 

condizioni   igieniche   vengono   ad   essere   argomento   centrale   di   una   chiamata   in   causa 

dell'amministrazione cittadina ad intervenire nell'organizzazione dello spazio urbano, a estendere 

i   propri   strumenti   conoscitivi   e   di   controllo   su   tutta   una   serie   di   “funzioni   vitali”   della 

popolazione.

Al   di   là   delle   possibili   distinzioni   tra   riforma   sociale   e   pianificazione   (Arturo   Escobar 

distingue ” pianificazione urbana” e “pianificazione sociale”, gli altri autori qui considerati usano 

indifferentemente il termine “riforma”) questi due elementi confluiscono in un unico progetto di 

modernizzazione, che a partire dalla fine del XIX secolo  prende corpo in maniera organica nelle 

città europee. Nel suo divenire storico il "progetto moderno" rimane denso di contraddizioni, che 

possono sinteticamente essere ricondotte a una sostanziale ambivalenza di fondo: estensione di 

6 M. Ricciardi, Rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 159­162.7 A. Escobar, Pianificazione, cit., pp. 187­188.

8

una razionalizzazione organizzativa che «se da un lato consente un miglioramento sensibile delle 

condizioni di vita, dall’ altro tende a subordinare alle proprie logiche la cultura, l’ esperienza, la 

vita quotidiana degli abitanti»8

1.3 Georges­Eugène Haussmann

  «Di   fronte   alle   esplosive   implicazioni   delle   condizioni   abitative   e   alla   sperimentata 

pericolosità delle concentrazioni operaie, la “questione sociale” tende ad identificarsi con quella 

urbana­abitativa:   i   riformatori  sociali  cercano una soluzione nello  stesso tempo urbanistica e 

sociale alla questione operaia, la politica della casa è vista nello stesso tempo come rimedio alla 

crisi sociale e a quella degli alloggi»9. La casa e la città sono quindi i riferimenti principali su cui 

si struttura l’intervento di riforma.

Henri Lefèbvre vede in questo processo l'affermazione di una vera e propria strategia di classe 

da parte della borghesia,  tesa a «riorganizzare la città distruggendone l' urbanità e scongiurando 

il pericolo di una democrazia urbana»10.

E,   in  effetti,   i  primi   interventi  rispondono proprio a  esigenze di  mero controllo   fisico,  di 

matrice   puramente   repressiva.   La   riorganizzazione   del   centro   di   Parigi   operata   dal   barone 

Haussman costituisce l' esempio più celebre ­ il caso limite ­ di questo tipo di pianificazione. La 

strategia si traduce qui in una massiccia distruzione di quartieri popolari, espulsione di coloro 

che  li  abitavano,  e  ricostruzione  delle  stesse zone in  forme radicalmente  diverse.  «Il  barone 

Haussman sostituisce con lunghe avenues le vie tortuose ma vive, con quartieri imborghesiti i 

quartieri sporchi ma animati. Se apre dei boulevards, se dispone ordinatamente degli spazi vuoti, 

non è per la bellezza delle prospettive. E' per “sistemare Parigi con le mitragliatrici” (Benjamin 

Péret). Il celebre barone non lo nasconde»11.

La funzionalità di questa riorganizzazione rispetto ai suoi stessi scopi mostrerà presto i suoi 

limiti: «uno dei significati della Comune di Parigi (1871) fu il ritorno in forza verso il centro 

8 A. Tosi, Abitanti. Le nuove strategie dell’azione abitativa, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 20.9 A. Tosi (a cura di) , Ideologie della casa, cit., p. 13.10 H. Lefèbvre, Il diritto alla città, cit., p. 34.11 Ibidem, p. 34.

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urbano degli operai respinti verso i sobborghi e le periferie, la loro riconquista della città»12. 

Questo   tipo   di   strategia   dovrà   esser   presto   abbandonata;   l'intervento   dovrà   arricchirsi   di 

contributi e sensibilità diverse, più profonde. 

Ma nelle intenzioni haussmaniane possiamo riconoscere in nuce delle istanze di fondo che 

tenderanno   continuamente   a   riemergere   nella   storia   dello   sviluppo   urbano:   quella   della 

gentrificazione  del  centro  cittadino  (o "riqualificazione"  nella  dicitura  più   recente),  ovvero  l' 

espulsione da esso dei suoi abitanti per aprirlo all'insediamento delle classi medio­borghesi, e 

con   ciò   a   nuove   funzioni   politiche   ed   economiche;   quello   intimamente   connesso   della 

disurbanizzazione, ovvero l'impulso alla mobilità verso la periferia, che spesso si è tradotto nella 

collocazione   (più   o   meno   forzata)   di   determinati   gruppi   sociali   in   quartieri   appositamente 

costruiti ai margini della città. Nella progettazione dei grandi boulevards si misura per la prima 

volta su larga scala la possibilità  di governare l’insediamento urbano, di decidere lo spostamento 

e il reinsediamento delle popolazioni all’interno della città.

E inoltre questo passaggio è tappa fondamentale verso la formulazione, che si compirà nei 

decenni  successivi,  della  disciplina  urbanistica  come sapere specifico  di  carattere  normativo, 

componente   fondamentale   dell’   intervento   statale   sul   tessuto   urbano.   «L’urbanistica   come 

ideologia formula tutti i problemi della società come riguardanti problemi di spazio e trasferisce 

in termini spaziali quanto proviene dalla storia e dalla coscienza»13.

1.4 L' habitat ideologico

Il passaggio successivo è l'emergere ,verso la fine del secolo, di un progetto integrativo molto 

più  complesso e  di  ampio respiro,  atto  di  nascita  delle  politiche  abitative  vere e  proprie:   la 

concezione   dell'habitat.   Rifacendosi   a   Lefèbvre,   Antonio   Tosi   insiste   sulla   natura   tutta 

ideologica del  concetto,   lo  identifica  in  primo luogo come creazione di  un sistema di  valori 

12 Ibidem, p. 35.13 Ibidem, p. 62.

10

incentrato sulla privacy. «Fino ad allora, abitare significava partecipare a una vita sociale, a una 

comunità,  villaggio  o città   (...)  Alla  fine del secolo XIX,  i  notabili   isolano una funzione,   la 

separano da quell’insieme estremamente complesso che era e che resta la Città, e nel progettarla 

manifestano e significano la società alla quale forniscono un’ideologia e una pratica»14.

Una riduzione, dunque: dall’abitare come esperienza complessa e relazionale che ingloba e 

mescola molteplici funzioni, al  se loger, l’abitare come momento privato, proiettato all’interno 

delle mura domestiche e separato dal mondo circostante. «La casa diventa essenzialmente luogo 

della   riproduzione   e   del   consumo.   L'abitare   si   costituisce   come   esperienza   ”separata”   e 

valorizzata»15.

Su questa   linea  di  demarcazione  se ne afferma un'altra,  di  cruciale   importanza  politica: 

quella tra tempo di lavoro e tempo di riposo (o di consumo). La valorizzazione del privato viene 

elaborata sostanzialmente in contrapposizione al momento lavorativo, in una strategia che mira a 

«coinvolgere gli operai (individui e famiglie) in una gerarchia ben distinta da quella che regna 

nella   fabbrica,   quella   della   proprietà   e   dei   proprietari,   delle   case   e   dei   quartieri.  Volevano 

conferire   loro  un’altra   funzione,   un   altro   statuto,   altri   ruoli   che  non  quelli   connessi   con   la 

condizione di produttori salariati. Cercavano così di fornire loro una vita quotidiana migliore di 

quella lavorativa. Così immaginarono con l’habitat l’accesso alla proprietà»16.

Nella sua analisi Tosi sottolinea una centralità dell'ideologia, ovvero individua un discorso di 

fondo del "conservatorismo europeo di fine 800", universale e trasferibile in contesti diversi, che 

mira costituire  l'abitare come luogo d'organizzazione del consenso. Il  discorso preconizza un 

grande   progetto   integrativo:   il   consolidamento   di   una   classe   media   tendenzialmente 

conservatrice,   attraverso   la  diffusione  di  modelli   unitari  di   consumo e  di   status   (la   casa  di 

proprietà   in  primis),  che possano fungere da catalizzatori  dei  desideri  delle  classi  proletarie, 

neutralizzando   le   spinte   eversive   delle   loro   aspirazioni.   Punto   fondamentale   è   l'   esplicita 

duplicità del modello: la logica unitaria presuppone la compresenza di una logica selettiva, nella 

misura in cui un sistema di valori comuni incentrati sulla promozione sociale costituisce anche 

un sistema di valori di stratificazione.

Nel discorso assumono molta importanza considerazioni di carattere morale, all’insegna del 

determinismo   ambientale,   che   si   giocano   sulla   distinzione   tra   casa   unifamiliare   e   alloggio 

14 Ibidem, pp. 35­36.15 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 14.16 H. Lefèbvre, Il diritto alla città, cit., p. 36.

11

collettivo, imputando a quest’ultimo una disdicevole promiscuità,  foriera di disordine sociale. 

Per   contro,   vengono   esaltate   le   virtù   positivamente   rassicuranti   della   casa   unifamiliare 

localizzata nel suburbio, e della parcellizzazione del tessuto urbano sottesa a questo modello. La 

valorizzazione della vita suburbana inoltre chiama in causa tutta una serie di suggestioni che 

investono   l’opposizione   città­campagna:   è   da   questo   investimento   nell’   immaginario   che 

prendono forma le moderne nozioni di intimità e comfort. Più in generale, attorno alla tematica 

domestica si afferma e riproduce «la tendenza abbastanza tipica delle classi dirigenti arretrate a 

disconoscere   il   conflitto   sociale   nelle   sue   dimensioni   strutturali   e   a   ridurlo   –   con   un 

atteggiamento psicologico persecutivo – a pura e semplice devianza morale»17.

I primi passi per una traduzione pratica del discorso sono visibili nella creazione degli istituti 

per l'edilizia sociale, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX in Francia e in Italia. Fin da 

subito emerge lo scarto fra la logica ideale e la sua agibilità materiale. I riformatori si trovano a 

dover fare i conti con la crescita urbana costante e il conseguente consumo di suolo, nonché con 

le strutture, da tempo consolidate, della rendita fondiaria e immobiliare. Il loro intervento si trova 

quindi ristretto entro margini non oltrepassabili, dovendo modellarsi sulle ragioni dei regimi di 

suolo esistenti  e sulle esigenze funzionali  dello sviluppo urbano. Principale  vittima di questi 

vincoli   sarà   proprio   il   modello   della   casa   unifamiliare,   che   finisce   per   essere   soppiantato 

dall'affermazione dell'alloggio collettivo, in nome della razionalità urbanistica e architettonica. Il 

dibattito sulle tipologie comunque tenderà a protrarsi (come vedremo) fino a tempi molto recenti, 

sebbene al tempo stesso il modello culturale dell'habitat si dimostrerà correlabile con qualunque 

tipologia. 

Occorre quindi,  giunti  a questo punto,  problematizzare   il   rapporto tra azioni  strategiche e 

risultati, e distinguere tra gli impieghi immediati dell’habitat nella formulazione delle politiche e 

il generale influsso di questo concetto nella cultura abitativa moderna. Se la prima relazione è 

labile o comunque complessa, in quanto ogni provvedimento in materia di abitazioni risente di 

molteplici contingenze ed è oggetto di contrattazione tra gruppi d’interesse, la seconda appare 

ben più incisiva, se vista in prospettiva ampia. La riduzione dell’abitazione a spazio distinto e 

destinato essenzialmente alla riproduzione, ma anche processi quali la differenziazione interna 

della   casa   (spazi   specifici   per   specifiche   funzioni),   o   la   complessificazione  dei   processi   di 

produzione edilizia  che realizza una sempre maggiore distanza tra abitanti  e costruttori,   tutti 

17 A. Tosi (a cura di), Ideologie della casa, cit., p. 88­89.12

questi tratti strutturali dell’abitare nella città moderna trovano nel concetto di habitat una chiave 

interpretativa   unificante,   a   prescindere   dall’individuazione   dei   precisi   atti   politici   che   li 

sostengono.

Riguardo alle ipotesi integrative portanti,   l’autore osserva come esse tendano a realizzarsi 

lungo tutto l’arco di sviluppo della città industriale e post­industriale,  pur con «modalità ben più 

complesse del discorso originario»18. L’ elaborazione ideologica produce un’ incidenza effettiva, 

quindi,  ma più  come intuizione che come disegno complessivo: gli  ideologi individuano una 

modalità   di   concepire   il   funzionamento    politico  della   casa  e  ne   suggeriscono  possibilità   e 

opportunità. «In effetti è in questa direzione che deve essere individuato il significato reale della 

“strategia”: nella chiara intuizione da parte degli ideologi originari di quelli che sarebbero stati i 

meccanismi essenziali dell’ integrazione – in particolare delle potenzialità integrative connesse 

ad una valorizzazione della quotidianità e del consumo»19.

1.5 L' habitat degli igienisti e dei costruttori

Le   ricerche   di   Anne   Thalamy   e   Jean   Marie   Alliaume   ci   impongono   una   digressione, 

riportandoci a un altro panorama in cui l'habitat fa la sua comparsa.

A Parigi,  già  nel corso del XVIII secolo, il desiderio degli amministratori  cittadini di fare 

ordine in una città confusa e multiforme dà luogo alle prime regole di spazializzazione. Si tratta 

in primo luogo di normative specifiche volte a regolare lo spazio pubblico, quello della strada e 

della  piazza,  nell'   intento  di   "liberarlo"  delle  propaggini  domestiche  che   lo   ingombrano  per 

meglio   favorire   la   circolazione  dell'aria   e  delle  persone;  prescrizioni   riguardo   l'allineamento 

degli edifici e le attività commerciali ambulanti, per fare due esempi. La logica è l'eliminazione 

degli  spazi   ibridi,   la  demarcazione  fisica  tra   interno  ed esterno,  e  l'affermazione  della  piena 

sovranità dei poteri pubblici su quest'ultimo. «En effet, c'est avec l'affirmation d'un espace public 

uniforme et homogène, patiemment mise en place par les règlements de voirie, affirmation qui 

s'effectue aux dépens de la multiplicité et de la diversité des territoires privés des habitants, que 

18 Ibidem, p. 34.19 Ibidem, p. 34.

13

l'idée d'habitat prend forme»20.

Su questa dinamica viene a convergere, come già ricordato, il discorso igienista. Jean Marie 

Alliaume indaga la rete di determinazioni in cui è iscritto. A partire dalla fine del XVIII secolo, 

gli  igienisti  operano un distacco dal sapere medico vero e proprio, non essendo quest'ultimo 

spendibile nella promozione di riforme sociali (dando per scontata l’accezione ampia di questo 

termine in questo contesto), per il fatto che non si occupa di correlazioni tra malattia e contesto 

sociale   .  Si   rende  necessario   un   ribaltamento   epistemologico:   «à   la   place  de   la  maladie   sa 

fréquence et sa propagation différentielle, ainsi que le thème de la mortalité. A la place du climat 

et de la situation géographique, le Peuple, la classe (Soldats, Paysans, Juifs, etc.). A la place de 

l'air (humide, sec, etc.) et de la proximité des marais, le mode de vie. A la place de l'étiologie, la 

prédisposition. On substitue en outre à l'injonction de soigner des corps, le désir de réformer des 

classes»21.  Il   concetto  di  predisposizione  è   al  centro  del  dispositivo   tematico  che  conferisce 

all'igienismo   lo   statuto   di   scienza   sociale.   Costituisce   inoltre   la   base   per   una   serie   di 

determinazioni   che   legano   condizioni   igieniche   e   condotta   morale:   ciò   che   determina 

l'insalubrité è l'atteggiamento di noncuranza (insouciance) dell'individuo di fronte ad essa. In un 

passaggio successivo, il ruolo delle attitudini individuali si estende fino a investire l'insieme delle 

condizioni   d'   indigenza.   Oggetto   del   giudizio   morale   diventano   anche   le   predisposizioni 

individuali nei confronti del lavoro, del denaro, della casa: comincia a farsi strada la distinzione 

tra la povertà, umile e coraggiosa, e la miseria, deprecabile e frutto di depravazione. 

In conclusione del suo lavoro, l’autore precisa che sui medesimi meccanismi andrà in seguito 

a formarsi un ventaglio ampio di discorsi riformatori diversi e confliggenti, e aggiunge che non 

vi  sarebbe nessun rapporto diretto   tra   i  discorsi  e  le  politiche  concrete  contemporaneamente 

messe in campo. Ai fini di questa elaborazione, ciò che rileva è il contributo degli igienisti nel 

processo di costituzione del concetto moderno di abitare, e nel consolidarsi di alcuni meccanismi 

discorsivi (soprattutto la distinzione tra povertà e miseria morale) che si ipotizza abbiano svolto 

almeno in seguito un ruolo importante  nel determinare le politiche abitative. 

Agli appelli di risanamento dello spazio urbano si accompagnano nuove problematiche, legate 

al ruolo economico dell' habitat. «Si la violente intrusion de l’argent dans le domaine immobilier 

20 A. Thalamy, Réflexions sur la notion d’habitat aux XVIII et XIX siècle, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 1800­1850, Paris, Corda, 1977, p. 10.21 J.M. Aillaume, Anatomie des discours de réforme, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 1800­1850, cit., p. 163.

14

n’est pas un événement du XIXe, ce dernier parait  toutefois  porteur d’éléments nouveaux»22. 

Anne   Thalamy   rileva   nei   primi   sporadici   interventi   urbanistici   d’inizio   secolo   e   nelle 

argomentazioni  che   li  accompagnano   la  comparsa  di  preoccupazioni   legate  all’  economia  di 

spazio, che trovano concordanza con quelle legate all’ igiene e all’ amministrazione dello spazio 

urbano. «Confusion de la salubrité et du profit au service du double interet du spéculateur et de 

l’administration,   qui   sera   la   constante   de   tous   nos   textes   tenant   un   discours   de   rentabilité 

financière   sur   l‘  habitat»23.  Le  esigenze  della   rendita   influenzano   le   tecniche  architettoniche 

motivando   i   costruttori  di   ricercare   la  migliore  densification  possibile  degli  alloggi.  Oppure 

motivano (insieme alle condizioni igieniche e all’accrescimento della popolazione) gli interventi 

di   urbanizzazione   dell’   immediata   campagna,   così   come   le   prime   risistemazioni   delle   parti 

centrali della città. 

Procedure architettoniche,  finanziarie,  amministrative e igieniste, si mescolano, si appoggiano 

l’una all’altra, si contaminano e trovano modo di esprimersi attraverso l’habitat, in questa nuova 

categoria di spazio che contribuiscono a formare. 

Queste convergenze, queste necessità emergono da tutta una letteratura di trattati specifici di 

architettura,   inchieste  demografiche,   rapporti  del  Conseil  de  salubrité,   spesso  specificamente 

indirizzate a orientare l’operato dell’amministrazione cittadina.

«Sans pouvoir encore évoquer une “science” de l’habitat, on touche déjà du doigt une analyse 

qui chiffre les besoins et les possibilités,  qui, d’un mot, affirme l’existence d’ un marché  de 

l’habitat»24.

1.6 Progetto integrativo e stratificazione sociale

Al   di   là   del   complesso   rapporto   tra   elaborazione   discorsiva   e   interventi   puntuali   di 

pianificazione urbana, un elemento sostanziale si delinea sullo sfondo di tutte le dinamiche fin 

qui   esaminate   di   determinazione   delle   politiche   abitative:   la   complementarità   tra   processi 

integrativi e processi emarginativi. Una duplicità che richiama da vicino quella doppia finalità, 

22 A. Thalamy, Réflexions sur la notion d’habitat aux XVIII et XIX siècle, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 1800­1850, cit., p. 38.23 Ibidem, pp. 39­40.24 Ibidem, p. 40.

15

trattamento del problema abitativo come problematica sociale e al tempo stesso perseguimento 

del controllo diretto sul territorio, che abbiamo visto essere la cifra costitutiva dell’intervento 

dello stato sulla città e sulla casa, esito delle stesse contingenze storiche che lo hanno prodotto.

Si è già accennato al ruolo politico assegnato alla proprietà come modalità d’ accesso al bene 

casa.  Oggetto  di  valorizzazione  da  parte  dei   riformatori,  essa  viene   identificata  direttamente 

come   fattore   di   stabilizzazione   dell’   ordine   sociale,   sia   in   quanto   valore   che   inclina   alla 

conservazione del proprio status, sia in quanto istituzione di una gerarchia distinta da quella di 

fabbrica. Al tempo stesso, il perseguimento di un modello unitario basato sulla proprietà si fa 

efficace strumento per la selezione del corpo sociale, nella misura in cui si presta a determinare 

un meccanismo di differenziazione tra coloro cui è permesso di accedervi e coloro che ne restano 

esclusi. 

Logica di stratificazione che è inscritta nel quadro complessivo delle politiche abitative, come 

effetto sistematico, come ben dimostrano gli effetti sull’edilizia residenziale italiana della Legge 

Luzzatti   (1904)   e   dei   suoi   successivi   regolamenti   d’attuazione,   che   sanciscono   la   nascita 

dell’edilizia popolare pubblica in Italia. Scrive in proposito Lodo Meneghetti: <<D’ora in avanti 

l’intervento  pubblico,  entro  un’apparente  unificazione  dei  diritti  definita  dal   tetto  qualitativo 

della   tipologia   sovvenzionata,   appare   differenziato   secondo   il   tipo   di   istituzione   e   tende   a 

selezionare i gruppi sociali fra quelli che possono permettersi l’onere di un mutuo finalizzato alla 

proprietà dell’alloggio e gli altri che possono pagare solo un canone modico>>.

La selezione  dei  destinatari,   la  demarcazione   tra  soggetti   integrabili  e  non,  o   tra  soggetti 

differentemente integrabili,  gioca un ruolo fondamentale nella determinazione   delle politiche 

sociali in generale. «Nel campo abitativo questo sdoppiamento si esprime nella duplicità delle 

strategie d’intervento: una strategia integrativa, che dà luogo ad una vera e propria politica della 

casa; una strategia di controllo della marginalità, che si traduce in politiche di tipo regolativi­

assistenziale»25.

Logica di stratificazione, infine, in cui inevitabilmente risuona l’eco di quelle argomentazioni 

incentrate  sulla  morale  atte a scomporre  le cause politiche delle  problematiche abitative,  e a 

differenziare al loro interno i soggetti che ne sono portatori.

25 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 149. 16

2.   POLITICHE   ABITATIVE   TRA   CRISI   DELLA   RIFORMA   SOCIALE   E 

GOVERNO NEOLIBERALE: UNA RICERCA DI PIERRE BOURDIEU

2.1 Crisi della città moderna

Nel capitolo precedente abbiamo tratteggiato alcuni aspetti del grande processo nel quale lo 

stato  moderno  ha  assunto   funzioni  di   regolazione  dell'insediamento  abitativo,  nel  quadro  di 

un'estensione  dell'impatto   dei   suoi   poteri   su   molteplici   aspetti   della   vita   quotidiana,   con   la 

conseguente   integrazione  di  questi  ultimi   in  un   sistema di  definizione   razionale­burocratico. 

Sono sporadicamente apparsi  alcuni  tratti  del consolidamento di un  mercato  delle abitazioni, 

fattore determinante delle politiche pubbliche, e da esse determinato. 

17

In questo capitolo si tenterà d'interrogare più a fondo questo rapporto, tra strutturazione del 

mercato e politiche abitative, e le sue conseguenze in fatto di rapporti sociali, esaminandolo  in 

un preciso passaggio storico, tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni ottanta del XX 

secolo. Questa collocazione, e i nodi problematici che in essa affiorano, non sono avulsi dalle 

precedenti analisi. Si tratta di un momento che segna l'apice e l'inizio di una profonda crisi dei 

grandi progetti integrativi di riforma sociale che hanno accompagnato la nascita delle politiche 

dell'habitat. Al tempo stesso, gli effetti della crisi, e i tentativi di governarla, ripropongono con 

nuova forza e nuova centralità alcune tematizzazioni peculiari del discorso originario, prima fra 

tutte quella relativa alla proprietà della casa.

La crisi che investe il capitalismo europeo (e mondiale) intorno agli anni settanta è insieme 

produttiva e politica, riguarda il progetto di modernizzazione nel suo insieme, ne fa vacillare (se 

non crollare) la logica interna, la visione lineare e progressiva dello sviluppo della città, la fede 

nelle possibilità illimitate di estensione del progetto moderno. Al riguardo, alcuni autori parlano 

di «città senza il principio speranza», per mostrare nelle attuali dinamiche di urbanizzazione la 

scomparsa della   fiducia  nel  progresso sociale,   il  venir  meno di  quell'«opera di  assorbimento 

sociale dentro l'organizzazione urbana» che fu carattere saliente della città industriale di prima 

generazione26.

Quella   crisi  che  abbiamo visto  essere   soggiacente   alle   strutture   sociali   della  modernità, 

contraddizione   interna  che  minacciandone   la   stabilità   ne   permetteva   altresì   l'evoluzione   e   il 

continuo   riadattamento,   si   fa   ora   manifesta,   ne   inceppa   irrimediabilmente   i   meccanismi. 

Esplodono  grandi  movimenti   sociali   in   cui   si   affermano   soggetti   parziali   (le   donne,   i   neri, 

l'operaio  massa)  che scardinano  l'universalità  del  progetto   integrativo,  smembrando  la   figura 

unitaria del cittadino­lavoratore che esso aveva veicolato. Contemporaneamente, entra in crisi 

produttiva il modello fordista che aveva accompagnato e permesso la massima estensione di quel 

progetto. Si creano le premesse di una imponente riorganizzazione produttiva della macchina 

capitalistica, e parallelamente di una riorganizzazione dell' intervento sociale dello stato.

La spinta integrativa dei grandi progetti di pianificazione e riforma sociale

fatica a modularsi nelle nuove dinamiche di sviluppo urbano, e incontra forti

opposizioni in seno alla stessa classe dirigente; è la funzionalità stessa del

piano ad essere messa in discussione, nel momento in cui le dinamiche

26 A. Mazzette ­ E. Sgroi, La metropoli consumata, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 23.18

emergenti del capitalismo mondiale si muovono verso una sempre maggiore

flessibilizzazione e delocalizzazione dell’attività produttiva, per cui «l’industria 

non   ha   più   bisogno   di   grandi   dimensioni   e   perciò   neppure   di   un   bacino   di   manodopera 

concentrato  dentro   le   aree  urbane»27. Il progetto moderno vede infrangersi il suo

impulso a totalizzare la razionalizzazione dello sviluppo urbano. Il controllo

dello spazio, le politiche di gestione della popolazione si rivelano certamente

ancora necessarie per lo stato moderno, ma più come intervento residuale

che come progetto universale. Il concetto di riforma sociale si vede

ampiamente ridimensionato, spesso percepito come ostacolo alle dinamiche

di crescita economica e accumulazione del capitale, o per contro rivendicato

come conquista sociale da difendere per le classi subalterne.

Nelle città europee, viene meno l’urgenza della pianificazione del

territorio, e le politiche sociali vengono ad assumere i caratteri di

«specialismo» e «selettività», ovvero si configurano come «programmi speciali di carattere 

reintegrativo al  posto di  politiche generali  per   famiglie  a  basso reddito»28.   I  destinatari  sono 

gruppi specifici piuttosto che l’insieme degli individui appartenenti alle classi subalterne.

In questo quadro, la questione urbana-abitativa perde la sua centralità

all’interno dello stesso intervento sociale dello stato. Col venir meno

dell’intervento pubblico, il mercato acquisisce legittimazione come soggetto

principale che definisce e risolve le problematiche della casa. Ma lungi dallo

scomparire, le logiche politiche di controllo e selezione del corpo sociale

finiscono per riprodursi anche attraverso nuovi attori, solo apparentemente

impolitici.

2.2 Lo stato e la costruzione del mercato

«Il campo economico si costruisce innanzitutto nel quadro dello stato nazionale, con il quale 

27 Ibidem, p. 16.28 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 143.

19

esso forma in qualche modo un tutt'uno. Lo stato contribuisce in effetti in misura preponderante 

all'unificazione   dello   spazio   economico   (e   anche   evidentemente   dello   spazio   culturale   e 

simbolico), unificazione che contribuisce a sua volta alla formazione dello stato».29 E' da questa 

visione storica che Pierre Bourdieu prende le mosse nella sua analisi del mercato delle abitazioni; 

da   questo   parallelismo,   o   dipendenza   tra   strutturazione   dello   stato   e   del   mercato   come 

meccanismi d'allocazione di risorse e come vettori di socialità, visione di cui l'autore non tace la 

determinante influenza del lavoro di Karl Polanyi. Il suo oggetto d’analisi è specifico, il mercato 

delle   case  unifamiliari   in  proprietà   nella  Francia  dei  primi   anni  ottanta   (principalmente  nel 

dipartimento del Val­d’Oise), esplorato attraverso una complessa e puntigliosa ricerca sul campo, 

con una lettura e ricostruzione in presa diretta dei comportamenti dei produttori, dei venditori e 

degli acquirenti di case, e dei burocrati e uomini politici che di questo settore si occupano. Ma 

malgrado la sua estrema contingenza storica e geografica, questo lavoro ci permette di cogliere 

alcune   dinamiche   fondamentali   degli   sviluppi   delle   politiche   abitative,   e   delle   dinamiche 

politiche e sociali associate alla casa; la nostra ipotesi è che il passaggio qui esaminato abbia 

valore in qualche modo paradigmatico, e che quindi i suoi risvolti politici siano correlabili a 

differenti e più ampi contesti.

L'intento dichiarato dell’autore è quello di togliere terreno alla visione astorica della scienza 

economica, di sottrarre i temi della produzione e della commercializzazione di case unifamiliari 

dall'universo asettico e falsamente neutro dei linguaggi e delle strutture analitiche dell’economia 

neoclassica,   per   calarli   nella   rete   complessa   delle   pratiche   e   delle   strutture   sociali   che   li 

determinano, ricostruire maglia per maglia questa rete, tenendo conto che l'aspetto economico 

del comprare o vendere una casa non è appunto che un aspetto di un insieme di pratiche. «Le 

scelte   economiche   che   riguardano   la   casa   (...)   dipendono,   da   una   parte,   dalle   disposizioni 

economiche   (costruite   socialmente)   degli   agenti,   in   particolare   dai   loro   gusti,   e   dai   mezzi 

economici   che  possono   avere   a   loro  disposizione,   e,  d'altra  parte,   dallo   stato   dell'offerta  di 

abitazioni. Ma i due termini della relazione canonica, che la teoria neoclassica tratta come dati 

incondizionati,  dipendono a loro volta, in maniera più  o meno diretta, da tutto un insieme di 

condizioni economiche e sociali prodotte dalla "politica della casa".»30

In questo passaggio l'autore schematizza gli strumenti principali della sua analisi, gli assi 

29 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell'economia (2000), trad. it. Trieste, Asterios, 2004, p. 253.30 Ibidem, p.33.

20

portanti su cui si costruisce il mercato. In primo luogo lo spazio dei compratori, di chi accede al 

mercato  per   soddisfare   il   proprio  bisogno  di   abitare,   complessivamente   segnato  da   tutto  un 

insieme   di   fattori   sociali   propri   di   ciascun   agente,   la   cui   determinazione   è   sia   storica   che 

soggettiva, quali il capitale economico, il capitale culturale, la struttura complessiva del capitale, 

attraverso i quali si possono “misurare” per ogni gruppo sociale le differenti propensioni verso 

l’uno o l’altro comportamento abitativo, prima fra tutte la discriminante dell’accesso alla casa in 

proprietà  oppure   in  affitto,   secondo un  metodo che  va  oltre   la  mera  disponibilità  di   risorse 

finanziarie.   In   secondo   luogo   la  composizione  dell’offerta,  ovvero   la   struttura  del   campo di 

produzione: « i rapporti oggettivi che si instaurano tra i vari costruttori posti in concorrenza per 

la   conquista  di  parti   di   tale  mercato  costituiscono  un  campo  di   forze   la  cui   struttura   in  un 

determinato momento si trova all’origine delle lotte miranti a conservarlo o a trasformarlo.»31 Da 

ultimo (ma ovviamente non per ordine d’importanza) l’impatto delle politiche della casa, di cui 

ancora una volta è opportuno rimarcare il rapporto processuale e non lineare tra l’ideazione e le 

varie fasi dell’attuazione.

«Vi sono senza dubbio pochi mercati che, come quello della casa, siano non solo controllati, 

ma veramente costruiti dallo stato, e specialmente proprio attraverso le agevolazioni concesse ai 

privati, che variano per volume e per modalità d’attribuzione, favorendo di più o di meno questa 

o quella categoria sociale, e, in tal modo, questo o quel settore di costruttori.»32 Determinante 

quindi l’intervento dello stato nella strutturazione del mercato. Ma più che di relazione univoca, 

si   potrebbe  parlare   di   campo  d’interazione   reciproca:   gli   agenti   del   mercato,   le   imprese   di 

costruzione e quelle di commercializzazione penetrano coi loro interessi nei meccanismi e nei 

discorsi politici che generano l’intervento pubblico, che a sua volta influisce nelle dinamiche 

economiche della produzione di case. Se quindi le politiche abitative esercitano indubbiamente 

una grande influenza nelle dinamiche del mercato della casa, altrettanto indubbio è che chi le 

concepisce non è entità avulsa dalle strutture sociali di cui quel mercato è espressione. Il rapporto 

tra   necessità   amministrative   (con   le   loro   diverse   possibili   finalità   politiche),   e   necessità 

speculative   diviene   via   via   più   complesso   man   mano   che   aumenta   la   rilevanza   del   ruolo 

economico dell’habitat all’interno degli sviluppi delle società capitalistiche (di quella francese in 

questo   caso),   ma   rimane   una   sorta   di   tensione  dialettica,   di   oscillazione   tra   convergenza   e 

31 Ibidem, p.60.32 Ibidem, p.109.

21

antagonismo nel   rapporto  tra  costruttori  e  amministratori.  Tensione dialettica che può  essere 

indagata, sviscerata in tutte le sue componenti in ogni preciso passaggio storico: «è in effetti nei 

rapporti di forza e di lotta fra, da una parte, agenti e istituzioni burocratiche investiti di poteri 

differenti,   spesso   rivali   e   portatori   d’interessi   specifici   e   talvolta   antagonisti   e,   dall’altra, 

istituzioni o agenti (gruppi di pressione, lobby, ecc.) i quali intervengono per far trionfare i propri 

interessi  o  quelli  dei   loro  mandanti,   che   si  definiscono  sulla  base  d’antagonismi  o   alleanze 

interessate e habitus affini, i regolamenti che reggono il settore immobiliare»33.

Oggetto finale di questo percorso è definire la doppia costruzione sociale della domanda e 

dell’offerta, ossia il modo in cui i bisogni abitativi di una popolazione, o più precisamente di 

alcuni gruppi sociali integrabili in un modello di produzione e commercializzazione, finiscono 

per essere definiti all’interno dei meccanismi e delle logiche dell’industria di case, tenendo conto 

che   la   definizione   degli   uni   e   degli   altri   (i   bisogni   abitativi   e   i   meccanismi   e   le   logiche 

dell’industria) sono oggetto di rappresentazione politica e intervento amministrativo. Nel settore 

della casa unifamiliare (che costituisce, lo ricordiamo, un prodotto particolare rispetto al totale 

delle abitazioni) l’aggiustamento si attua principalmente per effetto di un’omologia tra lo spazio 

differenziato dell’offerta e quello della domanda, ovvero «per il fatto che le caratteristiche sociali 

dei   compratori   e   quelle   delle   imprese,  quindi  dei  prodotti,   del   personale,   in   particolare   dei 

venditori è  all’origine di tutta una serie di effetti strategici essenzialmente non voluti e quasi 

inconsci» (p. 94­95) E’ nell’interazione tra venditore e acquirente che l’aggiustamento si compie, 

nella consonanza tra i rispettivi habitus, ma al tempo stesso l’interazione porta con sé e attualizza 

la struttura del rapporto economico e dei rapporti di forza tra i due soggetti. 

Ma è impossibile non scorgere alla base di questo processo, come condizione fondante, una 

fondamentale cesura, una selezione della domanda solvibile, efficacemente espressa in questa 

osservazione di J. Ion: «le posizioni rispettive della domanda e dell’offerta sul mercato della casa 

permettono a quest’ultima di controllare la formazione della domanda e di non integrarne che ciò 

che corrisponde alla redditività del capitale investito»34.

33 Ibidem, p.112.34 Ibidem, p.133.

22

  2.3 La casa merce anomala

Nell’analizzare la casa come merce occorre considerare le molteplici rappresentazioni di cui 

essa  è   oggetto,   che   la   rendono   strettamente  dipendente  da  dinamiche  altre   rispetto   a  quelle 

meramente economiche.  Diversi  sono  i  discorsi  e   i  percorsi  dell’immaginario che potremmo 

imbastire attorno al  concetto di casa,  molti   i   richiami e  le   implicazioni  che la  parola  “casa” 

evoca; proveremo a concettualizzarne alcuni, particolarmente influenti sulle dinamiche che ci 

accingiamo ad analizzare.

Innanzitutto,   la   casa   è   il   luogo   della   riproduzione:   i   bisogni   e   le   scelte   in   materia   di 

abitazione   sono  strettamente   connessi   a   ciò   che   riguarda   la   sfera   riproduttiva.  «Le   strategie 

economiche sono  integrate   in  un complesso sistema di  strategie  della  riproduzione,  e quindi 

gravide di tutta la storia che esse mirano a perpetuare, ossia l’unità domestica, esito essa stessa 

d’un  lavoro di  costruzione  collettiva,   imputabile  ancora una  volta,   in  misura essenziale,  allo 

stato»35. La casa intrattiene una forte relazione con la famiglia, col gruppo sociale che decide di 

abitarla;   è   espressione   di   un   progetto   riproduttivo,   e   il   suo   uso   e   la   sua   storia   dipendono 

fortemente dalle trasformazioni interne a ciascuna singola struttura familiare, così come dalla 

storia delle strutture familiari e dei rapporti fra i sessi nel loro complesso. La definizione dei 

bisogni abitativi e le strategie per il loro soddisfacimento, prima fra tutte la scelta tra proprietà e 

affitto, non possono essere compresi se non dentro questo quadro. 

Il  particolare  legame tra casa e “casata” si presta ad essere oggetto di  tutta una serie di 

discorsi che danno forma a un patrimonio di mitologie connesse all’intimità e all’unità familiare, 

discorsi che abbiamo visto all’opera già nel XIX secolo come produzione ideologica da parte dei 

riformatori di stato, e che continueranno ad aver pregnanza assumendo nuova funzionalità nella 

comunicazione   pubblicitaria.   L’esaltazione   del   privato­abitativo,   delle   nozioni   di   comfort   e 

intimità,  e di  tutto il  sistema di significazioni che alcuni autori  descrivono come “mito della 

villetta” si presenta come linea di continuità, come costante che dai primi discorsi di riforma 

ottocenteschi   si   trasmette   sin   nelle   strategie   di   mercato   dei   produttori   di   case   unifamiliari 

suburbane. In conclusione della sua ricerca sulle strategie della pubblicità immobiliare nel campo 

dell’edilizia per classi medio­alte nella regione parigina, C. Soucy afferma: «L’ingegnosità dei 

35 Ibidem, p. 34.23

promotori, l’imponente mitologia sviluppata dalla pubblicità hanno in definitiva come oggetto 

essenziale,   promettendo   un’esistenza   privata   liberata   dalle   costrizioni   materiali,   di   far 

dimenticare   a   questa   clientela   –   nell’istante   decisivo   dell’acquisto   –   le   continue   pesanti 

costrizioni   imposte   ai   cittadini   dall’anarchia   pubblica   entro   cui   opera   ancora   lo   sviluppo 

urbano»36.  La mitologia (nel senso che Roland Barthes conferisce a questo termine: «il  mito 

organizza   un   mondo   senza   contraddizioni   perché   senza   profondità,   un   mondo   dispiegato 

nell’evidenza, che istituisce una chiarezza felice: le cose sembrano significare da sole. In questo è 

tutta l’ambiguità del mito: la sua chiarezza è euforica»37) si costruisce soprattutto per via di una 

rappresentazione acritica dell’ambito familiare, visto come luogo idilliaco scevro da qualsiasi 

conflitto. (Chiaramente questa mitizzazione della famiglia, asse discorsivo portante del dominio 

patriarcale, non comincia con la modernità e non si limita a discorsi sulla casa).

La casa è inoltre un prodotto che riveste una forte carica simbolica, in quanto «esprime o 

tradisce   l’essere   sociale  del  proprietario»38,   e   la   sua  collocazione  o  la   sua   fattura  assumono 

importanza man mano che si sale nella gerarchia sociale in quanto rilevatori dello status. Ion 

radicalizza gli effetti di questo investimento e delle sue funzionalità economiche: «L’innovazione 

del   costruttore   si   esaurisce   nei   soli   elementi   di   abbellimento   dell’alloggio   e   il   pubblico   si 

compiace in un consumo di simboli ove scompare completamente l’atto di abitare come pratica 

sociale creatrice.  L’alloggio non è  più  un bene d’uso ma un bene di scambio su cui  è  stato 

artificialmente applicato un insieme di segni»39.

Tra spazio e logica di produzione della casa s’instaura un legame doppio: da una parte, in 

quanto patrimonio immobile, l’abitazione non può essere scambiata o usata se non nel luogo in 

cui è stata prodotta; dall’altra la modalità con cui è prodotta «rientra nella logica delle tradizioni 

locali, attraverso le norme architettoniche e tecniche imposte dai regolamenti amministrativi, e 

soprattutto attraverso le propensioni dei possibili acquirenti per gli stili regionali», propensioni 

che   come   vedremo   cominceranno   a   giocare   un   ruolo   determinante   nelle   riorganizzazioni 

produttive del mercato.

Ma una più  profonda e decisiva distinzione può  essere  impiegata all’interno dello stesso 

ruolo economico dell’habitat nello sviluppo capitalistico, come suggeriscono Riccardo Bedrone e 

36 C. Soucy, La mitologia dell’abitare: contenuti e significati della pubblicità immobiliare, in A. Tosi , Ideologie della casa, Milano, Franco Angeli, 1980, p. 152.37 R. Barthes, Miti d’oggi (1957), trad. it. Torino, Einaudi, 1994.38 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 37.39 Ibidem, p. 146.

24

Riccardo   Roscelli   nella   loro   analisi   del   settore   edilizio   italiano.   La   casa   è   una   merce   che 

comporta un alto valore d’uso, in quanto «bene socialmente necessario», e quindi in termini di 

mercato un bene la cui domanda è potenzialmente illimitata. «La mancata assimilazione della 

casa a “bene socialmente necessario” ha limitato le scelte di utilizzo del settore ad una duplice 

contraddittoria   possibilità:   casa   come   bene   capitale   o   casa   come   bene   di   consumo»40.   In 

particolare è la prima di queste due rappresentazioni a rivelare tutta la sua utilità, fornendo una 

chiave di lettura (pur controversa dal punto di vista analitico) dell’integrazione del segmento 

produttivo dell’edilizia   residenziale  all’interno  dello   sviluppo capitalistico:   il   ruolo  chiave  di 

questo settore sta nella sua doppia funzione, una di accumulazione primaria di capitale per il 

reinvestimento   produttivo   attraverso   la   rendita,   l’altra   di   sbocco   produttivo   nei   periodi   di 

recessione (utilizzo anticiclico) grazie alla sua scarsa elasticità rispetto alle importazioni e alla 

sua alta capacità d’assorbimento della manodopera. 

2.4 La politica della casa: dai grandi complessi residenziali alla casa unifamiliare

Nel decennio che porta alla formulazione della legge Barre (1977) si produce un radicale 

mutamento nelle politiche abitative della Repubblica francese, una riorganizzazione complessiva 

di cui Bourdieu rintraccia i passaggi politico­burocratici.

Nell’intento   di   mitigare   l’affollamento   urbano   conseguente   al   rapido   processo   di 

urbanizzazione   del   secondo   dopoguerra,   a   partire   dal   secondo   piano   economico   nazionale 

(1950­54), e soprattutto dalla fine degli anni cinquanta, era stato intrapreso un vasto programma 

di edificazione su larga scala ai margini delle città. I nuovi quartieri destinati a raccogliere il 

proletariato urbano vennero chiamati Zup, Zones à urbanisation prioritaire, e si caratterizzarono 

per l’uso generoso delle tipologie e delle tecniche costruttive dell’edilizia di massa: i  grands 

ensembles, insediamenti a blocchi anche di 5000 unità abitative, fecero la loro comparsa come 

nuovi scabrosi elementi del paesaggio urbano41. Questo massiccio sforzo costruttivo s’incentrava 

su una particolare forma di edilizia sociale, identificata dalla figura delle Hlm (Habitation à  

loyer modéré), «des habitations collectives ou individuelles, urbaines ou rurales, répondant aux 

40 R. Bedrone ,R. Roscelli, Ciclo edilizio e ciclo produttivo, in R. Roscelli (a cura di), Edili senza lavoro operai senza casa, Torino, Einaudi, 1975, p. 22.41 Anna R. Minnelli, La politica per la casa, Bologna, Il mulino, 2004, p. 67.

25

caractéristiques   techniques   et   de  prix   de   revient   déterminées   par   décision   administrative   et 

destinées   aux   personnes   et   aux   familles   de   ressources   modestes»42.  (Definizione   presa 

dall'articolo   L.   411­1   del  Code   de   la   Construction   et   de   l'Habitation).   Gli   enti   preposti 

all’edificazione  o  alla   ristrutturazione  delle  abitazioni  potevano  (e  possono)  essere   sia  uffici 

pubblici che società private («società anonime», cioè società di capitale) sovvenzionate in via 

indiretta dallo stato; il complesso degli istituti coinvolti nel progetto, comprendente anche società 

cooperative fornitrici di servizi e la Società di credito immobiliare di Francia, era organizzato in 

un “movimento delle Hlm”, organo di coordinamento e di rappresentanza in seno alle istituzioni. 

Principale strumento normativo a sostegno di questo modello era l’aide à la pierre (aiuto al 

mattone),  «aiuto finanziario pubblico concesso all’investimento di un committente, sotto forma 

di un prestito a tassi molto vantaggiosi. Istituito dalla legge del 3 settembre 1947, questo sistema 

d’attribuzione   è   stato   completato,   nel   1948,   da   alcune   limitate   misure,   chiamate  allocation 

logement  (assegni  per   l’abitazione),  d’aiuto   finanziario   alle  persone  al   fine  di   alleggerire   le 

mensilità di un credito contratto per l’acquisto dell’abitazione»43 Si tratta di due strumenti diversi 

per approccio: l’aiuto al mattone è destinato al costruttore affinché accetti di vendere o affittare 

un’abitazione ad un prezzo sociale stabilito dall’amministrazione pubblica, va ad incidere quindi 

sull’offerta di abitazioni, mentre l’assegno per l’abitazione è finalizzato a sostenere la domanda, 

o meglio a produrla incoraggiando la solvibilità dei compratori. Quest’ultimo rimane almeno in 

una prima fase del tutto residuale rispetto all’aiuto al mattone, vero asse portante dell’intervento. 

Molte e di diversa matrice sono le critiche che questo “modello forte” ha suscitato. Alcune 

vertono sul perpetuarsi  di  dinamiche di  differenziazione e  di  emarginazione all’interno delle 

stesse forme di edilizia sociale, attraverso meccanismi d’assegnazione che escludono determinate 

categorie  di   soggetti,   secondo criteri  di   reddito   (le  Hlm presuppongono comunque un  certo 

livello di solvibilità), ma anche secondo criteri non specificamente economici, (come la distanza 

dalla famiglia­tipo o la condizione d’irregolarità giuridica). Antonio Tosi colloca questi effetti in 

una   più   generale   «inefficacia   sociale   delle   politiche»,   esito   della   sostanziale   ambivalenza 

costitutiva   di   cui   il   progetto   integrativo   è   espressione,   inefficacia   che   si   esplica   nello 

«scivolamento verso l’alto dei dispositivi inizialmente previsti per i più  sfavoriti»44. Oltre che 

nelle   condizioni   d’accesso,   la   logica   emarginativa   trova   corrispondenza   diretta   anche   nelle 

42 Livre IV du Code de la Construction et de l’habitation, in www.legifrance.gouv.fr. 43 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 114.44 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 147.

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tipologie   architettoniche   utilizzate   e   nella   loro   distanza   dai   bisogni   degli   abitanti,   nella 

conformazione   fisica   e   nella   natura   di   spazio   urbano   che   si   è   andato   costruendo   tramite 

quest’intervento,   che   realizza   un   modello   di   città   esplicitamente   fondato   sulla   segregazione 

spaziale delle classi subalterne, intuibile già a livello sensoriale nell’estetica dell’edilizia monstre 

dei grands ensembles.

Altre   riflessioni   e   ripensamenti   emergono   all’interno   delle   istituzioni   di   rappresentanza 

politica, dove si fa strada una visione “liberista” volta a ridimensionare l’apparato di edilizia 

sociale   per   favorire   un’apertura   del   bene   casa   alle   dinamiche   del   mercato,   spostando   la 

regolazione   statale  verso  un  più   residuale   sostegno alla  domanda  di   abitazioni   in  proprietà. 

Scrive Anna Minnelli «il supporto politico per questo tipo di edilizia [quella delle Zup] si esaurì 

nell’arco di una decina d’anni, e già nel 1972 l’esperienza venne abbandonata (...) Negli anni ’70 

le   scelte   di  policy  virarono   così   verso   la   costruzione   di   case   unifamiliari,   da   assegnare   in 

proprietà   alle  classi  medio­basse,  e  verso   il   risanamento  e   il   recupero  di  vecchie   abitazioni 

cittadine da offrire in affitto»45

La   ricostruzione   cronologica   del   passaggio   ci   porta   a   riconoscere   come   prima   tappa 

fondamentale,  nel 1966, l’avvio del mercato ipotecario che inaugura per  le banche la facoltà 

d’offrire crediti a lungo termine. Seguita da una lunga serie di atti normativi volti a sviluppare il 

credito immobiliare, facilitarne l’estensione attraverso la sovvenzione pubblica, mettere terreni 

edificabili   a  disposizione  dei   costruttori,   questa  disposizione   sancisce   l’apertura  dell’edilizia 

residenziale ad un massiccio finanziamento delle banche private, legittimando quest’ultime come 

nuovo attore  nella  gestione  delle  problematiche  abitative.    «Mentre  nel  1962  le  banche non 

riservavano che il 21,7% dei crediti all’abitazione, la percentuale aumentava nel 1972 al 65,1%, 

mentre al contrario la percentuale del settore pubblico crollava dal 59,7% al 29,7% e quella dei 

mutuatari di carattere non finanziario scendeva dal 18,5% nel 1962 al 5,2 % nel 1972.»46

  Contemporaneamente si sviluppano rapidamente le imprese specializzate nella costruzione 

su   catalogo,   cresce   un   segmento   produttivo   che   fino   ad   allora   poteva   essere   considerato 

marginale (fra  le decine d’imprese analizzate nella ricerca,  soltanto una annovera più  di  due 

decenni d’attività). I dirigenti di queste imprese cominciano a organizzarsi in gruppi di pressione 

nel tentativo di esercitare la propria influenza sulle decisioni politiche, sia a livello locale che 

45 A. Minnelli, La politica per la casa, cit., pp. 67­68.46 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 113.

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nazionale; nel 1961 era nato il Smi (sindacato dei costruttori di case unifamiliari) e nel 1962 il 

Cdmindi (comitato interprofessionale della casa unifamiliare).

Gli interessi di questi gruppi di costruttori e di quelli dei banchieri trovano corrispondenza in 

alcuni   ambienti  burocratici   e  ministeriali,   e   precisamente  nel  Ministero  delle  Finanze,   nella 

precisa volontà  di  chi  ne fa  parte  di  alleggerire   l’impegno finanziario  dello  stato.  L’aiuto al 

mattone, fondamento di tutto il sistema delle politiche, diventa oggetto di deplorazione da parte 

dei segmenti “innovatori” della classe burocratica, che per contro insistono per un potenziamento 

dei sussidi personali alla proprietà. In difesa del modello “tradizionale” di edilizia pubblica si 

schierano   invece   in   maniera   più   o   meno   decisa   le   varie   articolazioni   del   Ministero   delle 

infrastrutture, il movimento delle Hlm e i vari enti legati all’edilizia popolare, in una disputa 

politica che è anche e soprattutto difesa dei rispettivi interessi burocratici. Le diverse prese di 

posizione si articolano su un continuum tra due poli: da una parte, la continuazione dell’aiuto al 

mattone, dall’altra la sua completa eliminazione in favore degli aiuti alla persona.

Per  dirimere   la  controversia  e   formulare  una   riforma organica  dell’intero   impianto delle 

politiche abitative, nel 1975 il governo decide la formazione della “Commissione nazionale sulla 

riforma   dell’abitazione”   (detta   “commissione   Barre”),   composta   da   dieci   funzionari, 

rappresentanti  dei  vari  organi  pubblici   e  privati   legittimati   ad   intervenire.  Ed  è   proprio  per 

risolvere   il   problema   della   legittimazione   che   si   sceglie   lo   strumento   della   commissione. 

«Quest’invenzione organizzativa tipicamente burocratica permette alla burocrazia di trascendere i 

propri   limiti   e   di   entrare   apparentemente   in   discussione   con   l’esterno   senza   smettere   di 

perseguire   i   propri   fini   e   di   obbedire   alle   proprie   regole   di   trasformazione.   Dissimulata   e 

legittimata al tempo stesso dalla parziale universalizzazione assicuratale dal radicamento in un 

soggetto   collettivo,   la  minoranza   attiva  diventa   una   sorta   di   gruppo   di   pressione   legittimo, 

conosciuto   e   riconosciuto   pubblicamente,   investito   di   una   missione,   di   un   mandato»47.   La 

minoranza   attiva   di   cui   si   parla   è   la   corrente   liberale,   composta   da   funzionari   pubblici   e 

rappresentanti di corporazioni private, portatrice d’interessi particolari, ma al tempo stesso punto 

di fusione delle strategie di tutta una classe dirigente, le esigenze di valorizzazione del capitale 

finanziario e quelle politica di un’integrazione di determinate fasce della classe operaia dentro un 

universo di consumo da classe media, attraverso l’istituto della proprietà della casa.

Del resto, le resistenze alla riforma del finanziamento dell’edilizia finiscono per rivelarsi nei 

47 Ibidem, p. 139.28

fatti più blande di quanto s’annunciavano. Le giornate dell’Hlm per la formulazione del Libro 

bianco,  presentato   come   risposta   alle   velleità   di   liberalizzazione  del   settore   e  pubblicato   in 

concomitanza   con   l’inizio   dei   lavori   della   commissione   Barre,   si   risolvono   in   un   parziale 

riconoscimento della necessità di rivedere la struttura degli aiuti. Si evidenzia un meccanismo 

discorsivo   per   cui   l’ufficializzazione   delle   diverse   posizioni,   operata   dai   dirigenti   delle 

organizzazioni coinvolte (principalmente il movimento delle Hlm e il Ministero delle finanze), 

serve a spianare la strada a una soluzione di apparente compromesso: una riforma in cui l’aiuto al 

mattone non viene abolito, ma ampiamente ridimensionato, mentre gli aiuti alla persona sotto 

forma di   sovvenzioni  al  credito  per   l’acquisto  divengono   l’elemento  portante  dell’intervento 

pubblico.  Si  delinea  così   un   rapporto  di  «complementarità   nell’antagonismo»   tra   le  diverse 

anime della classe dirigente, che permette di conciliare le trasformazioni della politica della casa 

con la salvaguardia degli interessi particolari.

La legge Barre porta a compimento «una politica neoliberale, ben studiata per riconciliare 

coloro che, secondo una vecchia tradizione, vedono nell’accesso alla proprietà una maniera per 

rendere   i   nuovi   proprietari   partecipi   dell’ordine   costituito,   garantendo   a   ciascuno   “il   diritto 

individuale all’acquisizione di un patrimonio minimo”, come scrive Valery Giscard d’Estaing in 

Démocratie   française,  e  coloro che pur  denunciando  talvolta   la  politica e   la  mitologia  della 

villetta  non  propongono  alcuna  misura  volta   a   superare   le   solite   alternative   fra   l’abitazione 

individuale   e   l’abitazione   collettiva   assistita   dagli   enti   nazionali   o   locali,   e   confusamente 

associata al collettivismo.»48

Le dinamiche sociali che s’instaurano anche per effetto di tali scelte politiche vedono un 

progressivo   estendersi   in   tutto   il   territorio   francese   dell’accesso   alla   proprietà   rispetto   alla 

locazione in affitto. Sfuma la demarcazione tra gli strati sociali che prediligono la proprietà e 

quelli più propensi all’affitto, cresce soprattutto l’acquisto a credito fra i settori salariati delle 

classi medie e gli strati superiori della classe operaia, seppur in maniera differenziata rispetto a 

una serie di variabili quali l’età e il capitale culturale.

Un   importante   strumento   di   diffusione   di   queste   pratiche   di   accesso   alla   casa   è   la 

«personalizzazione del credito, innovazione nell’ambito delle tecniche bancarie che istituisce una 

nuova specie di garanzia, quella rappresentata soprattutto dal reddito permanente, cioè l’insieme 

48 Ibidem, p. 110.29

dei redditi suscettibili d’essere percepiti nel corso di una vita (o sul lungo periodo)»49. Questa 

possibilità di accedere al credito sulla base della certezza di un salario, senza bisogno di garanzie 

patrimoniali,  si   rivela   indubbiamente fondamentale  per   l’integrazione di  nuovi  gruppi  sociali 

nell’universo della casa unifamiliare.

2.5 Un contratto sotto costrizione

«Come entravi da loro e li vedevi ti domandavi  cosa avevano tutti e  

due. Ebbene, quel che avevano gli Henrouille di così poco naturale, è di  

non aver mai speso in cinquant’anni uno solo dei loro soldi senza averlo 

rimpianto. E’ con la carne e con lo spirito che avevano comperato la  

casa, come la lumaca. Solo che lei, la lumaca, lo fa senza saperlo»

Louis­Ferdinand Céline.

L’interazione diretta tra l’acquirente e il consulente immobiliare, e l’atto d’acquisto della 

casa che ne consegue, racchiudono e al tempo stesso rendono effettivo il complesso dei rapporti 

di forza che regge il mercato della casa, e fungono da fenomeno rivelatore delle logiche connesse 

alle strategie politiche sopra esaminate.

«Non vi è  praticamente niente di ciò  che definisce l’economia della casa – a partire dai 

regolamenti   amministrativi   o   dalle   misure   legislative   che   orientano   la   politica   del   credito 

immobiliare, fino alla concorrenza fra i costruttori o le banche che li sostengono, passando per i 

rapporti   oggettivi   tra   le   autorità   regionali   o  municipali   e   le   diverse   autorità   amministrative 

incaricate  di applicare  la  regolamentazione nell’ambito dell’edilizia – che non entri   in gioco 

negli scambi tra i venditori di case e i clienti, ma rivelandovisi, o tradendosi, sotto una forma 

irriconoscibile»50. Tutto l’universo di strategie economiche e di controllo politico connesse alla 

casa si concentra nell’atto d’acquisto e nella conseguente contrazione del mutuo ipotecario, si 

49 Ibidem, p. 182.50 Ibidem, p. 170.

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fissa in quel momento per poi ripercuotersi lungo tutto il periodo in cui si compie l’estinzione del 

debito.

Nella   sua   ricerca   sul   campo   Bourdieu   individua   una   struttura   del   discorso   che   rimane 

costante (pur naturalmente con alcune minime variabili) ogni volta che un individuo si rivolge ad 

un agente immobiliare per esplorare le possibilità d’acquisto di una casa su catalogo.

Configurandosi inizialmente come una ricerca di quali possano essere le alternative migliori per 

la soddisfazione di un bisogno da parte del cliente, il rapporto finisce presto o tardi per rivelarsi 

un’imposizione da parte del venditore delle condizioni d’accesso al prestito ipotecario, ovvero 

nell’instaurazione di un rapporto di dipendenza nei confronti della banca erogatrice, del quale 

l’impresa di costruzione e vendita costituisce un tramite cointeressato. Il consulente indaga quali 

garanzie   di   solvibilità   possono   essere   offerte,   identifica   in   che   modo   e   fino   a   che   punto 

l’acquirente può essere funzionale alle strategie finanziarie degli organismi che rappresenta, e 

sulla base di queste informazioni traccia una bozza di un piano di credito personalizzato. Il piano 

viene presentato come «un verdetto, (...) una perentoria enunciazione di doveri»51, le cui regole, 

le cui determinazioni giuridiche rimangono a chi compra sostanzialmente oscure. «Al di là del 

primo contatto con gli addetti al pubblico, tutte le fasi del procedimento amministrativo, studio, 

realizzazione,  erogazione,  poi  gestione,  avvengono al  di   fuori  della  presenza dei  clienti,  e   il 

personale  della  banca   si   rivolge  a   essi   solo   se   la  domanda  è   incompleta»52.  L’oggetto  della 

negoziazione   si   sposta  dal  prodotto  casa  al  mutuo,  quindi   su  un   terreno  in   cui  gli   spazi  di 

manovra per l’acquirente sono molto limitati.

La   particolare   figura   del   venditore   incorpora   e   veicola   gli   interessi   dell’impresa   di 

appartenenza e dell’istituto di credito cui fa riferimento, ma incorpora anche in qualche modo lo 

stato stesso, facendosi esecutore delle norme giuridiche della transazione immobiliare. In effetti è 

proprio   la   padronanza   del   linguaggio   burocratico   e   la   conoscenza   delle   norme   che   gli 

conferiscono in parte una certa autorità sul cliente, una possibilità di manipolare il vocabolario 

tecnico   in   modo   da   selezionare   le   informazioni   sul   prodotto   o   nascondere   parte   delle 

conseguenze implicite nella firma del contratto. Per contro, il  venditore deve anche essere in 

grado di rassicurare il suo interlocutore, di fugare le ansie che accompagnano una scelta così 

importante e al tempo stesso angosciosa quale può essere l’acquisto di una casa a credito, deve 

51 Ibidem, p. 187.52 Ibidem, p. 184.

31

quindi cimentarsi nell’utilizzo di una doppia strategia linguistica: l’utilizzo del linguaggio neutro 

della   burocrazia   bancaria   e   al   tempo   stesso   il   tentativo  d’instaurare   un   rapporto  verbale   in 

qualche   misura   confidenziale,   o   apparentemente   tale,   rassicurante,   che   diventa   tanto   più 

praticabile quanto più  è  forte la vicinanza tra i due interlocutori,  per estrazione sociale e per 

habitus.

Ma al di là della natura mistificatoria delle tecniche discorsive usate per la vendita, è nella 

logica stessa dell’acquisto a credito che si situa  una sostanziale ambivalenza di fondo: contratto 

per  anticipare  la   soddisfazione  di  un  bisogno  che  altrimenti  dovrebbe  essere   rimandato  nel 

tempo, il mutuo finisce per costruire un castello di costrizioni che non possono essere eluse, per 

differire  in   un   momento   lontano   (l’estinzione   del   debito,   la   dissoluzione   della   minaccia 

dell’ipoteca) la soddisfazione piena del bisogno, ovvero il raggiungimento  di una sicurezza, data 

dalla  proprietà  di  una casa come solida base  intergenerazionale,  che è   certamente  una delle 

motivazioni   essenziali   che   spingono   gli   individui   a   voler   acquistare   una   casa.   «La   casa 

unifamiliare   (...)   tende   a   poco   a   poco   a   diventare   il   termine   di   fissazione   di   tutti   gli 

investimenti»53,   la   protrazione   nel   tempo   degli   obblighi   sottesi   al   contratto   costringe   a 

concentrare gli sforzi economici sul pagamento delle rate.  

La parziale sostituzione del sistema bancario all’intervento diretto dello stato nella gestione 

delle   problematiche   abitative   introduce   nuove   modalità   e   nuovi   linguaggi   nel   rapporto   tra 

bisogno di abitare e risposta istituzionale, ma lascia intatta la logica di disciplinamento che fu 

finalità   primaria   della   concezione   dell’habitat,   rafforzandone   l’intreccio   con   le   necessità 

economiche di valorizzazione del capitale finanziario. 

53 Ibidem, p.211.32