All'ombra di un albero nudo

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All’ombra di un

albero nudo

Anna Economu Gribaudo

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Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Dicembre 2014

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Ai miei figli: Giovanni Andrea e Gilberto Crisostom o

La vita è come un libro. Non saltare nessun capitol o e

continua a girare le pagine. Prima o poi, capirai p er-

ché ogni capitolo era necessario

.

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Introduzione Nella vita di ogni persona accadono sovente avvenimenti difficili che pesano e che, tuttavia, malgrado il loro peso, ci rafforzano; noi siamo chiamati a fare una scelta: correre via o lottare! Descrivere la sofferenza non è mai facile. Cercare di ana-lizzarla è un'impresa che ti consuma. Ho voluto mettere su carta un caso che potrebbe riflettere la triste esperienza di migliaia di donne. Ho avuto l'occasione durante la mia vita di sentire racconti di donne, giovani e meno giovani, che corrispondono ai fatti narrati in questo libro. Da anni faccio parte di un'associazione internazionale femminile che si chiama Zonta e continuo a udire storie di ingiustizie: vio-lenza, discriminazioni senza peraltro che loro abbiano il coraggio di reagire. Mi sono resa conto che l'essere uma-no, ogni essere umano, è un caso a sé, individuale. Lo stupro è sempre stato uno spregevole atto, ma rara-mente punito. E' di questi ultimi anni il caso di una giovane italiana che ha avuto il coraggio di denunciare colui che l'ha violentata. Il peggio che sfiora il ridicolo: "lei portava i jeans, come era possibile violentarla?" sentenziarono i giudici!

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Ancora il silenzio poi, dalla maggior parte delle vittime, è assordante. La vergogna, la paura di denunciare per le va-rie ragioni che ho cercato di analizzare nel libro ne sono le cause. Le epoche si succedono ma, da questo punto di vi-sta non si sono verificati cambiamenti radicali. E non ci sono ambienti dove accadono più o meno crimini come una violenza. Che può anche cambiare volto; la violenza psicologica è un crimine ugualmente condannabile. Ho scelto di ambientare la narrazione a Parigi, una grande città dagli infiniti risvolti. Mi sono trovata a mio agio quan-do per ragioni di studio vi ho vissuto per parecchio tempo. Mi sono trasferita con la mente nei decenni Cinquanta-Sessanta perché lo sforzo di ristabilire la normalità nel do-po guerra non era stato dei più agevoli. Negli anni Ses-santa regnava l'inquietudine sociale, quasi uno stato insur-rezionale in tutta l'Europa. Ho vissuto il maggio del ses-santotto come studentessa tra Svizzera e Francia: un'e-sperienza che ti toglie il respiro... La scrittura di questo libro mi ha preso un paio di anni. Anche se lo scrivere non è per me un'esperienza nuova tuttavia mi ha coinvolto sentimentalmente e psicologica-mente. Vivi le situazioni come se fossi tu in prima persona il partecipe. Un attore per potere recitare alla perfezione il suo ruolo deve immedesimarsi nel personaggio. Non ho mai sperimentato la sindrome della "pagina bianca" che colpisce gli scrittori perché il cervello si rifiuta di produrre. Nel mio caso una riga generava un'altra, una pagina face-va nascere una prossima, a volte triste, a volte confusa, spesso ottimista... Oltre al contesto che dalla narrazione scaturisce il titolo del libro: All'ombra di un albero nudo, l'ambiente del verde

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Il maestro inaspettato

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del mio giardino ha contribuito in maniera decisiva. Le più belle ispirazioni le ho avute all'alba con il sorgere del sole, attraverso i rami degli alberi nudi di foglie, ma coperti dalla neve luccicante o rivestiti di fogliame, che lasciava filtrare il rosso sfumato dei raggi. Spero che la lettrice e il lettore trovino qualche motivo di meditazione leggendo queste pagine. Alzarsi da una ca-duta ci rende sempre più forti. Ringrazio mio marito Gianfranco per la sua infinita pazien-za e ringrazio Carola Goglio della casa editrice Give-MeAChance che mi ha onorata dalla sua fiducia.

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PARTE PRIMA

Capitolo primo Parigi, 1962 Stretta in un impermeabile nemmeno tanto pesante, una cartella di plastica gonfia di documenti, frettolosa e con i pensieri che correvano più veloci delle sue gambe, scen-deva le scale del metrò che da Billancourt, cambiando alla stazione Nation, l’avrebbe portata alla Bourse. Là si trovava il Crédit Lyonnais. Uscendo dalla metro nuovamente in superficie il vento ot-tobrino le accarezzò con forza le guance. Erano molto li-sce, senza un filo di trucco, leggermente rosee per la ru-giada autunnale sparsa dappertutto e anche sul suo viso, solitamente pallido, come un bagno di lacrime. Mentre camminava sul tappeto di foglie morte sui marciapiedi, in-giallite, di una sfumatura del bronzo, gli occhi ogni tanto si alzavano verso il grigio del cielo. Il suo sguardo sembrava distratto, anche se a tratti supplicante. Aveva da compiere un’ennesima missione: convincere il direttore della banca a concedere un nuovo rinvio per le cambiali che erano già scadute da un mese. La devozione al suo lavoro era profonda. Era l’unico lavo-ro che conosceva. Lo aveva iniziato all’età di quattordici anni, le permetteva di contribuire all’andamento familiare nel difficile momento che lei e i suoi tre fratelli stavano at-

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traversando. Perciò era contenta di quel che faceva. Si era abituata in fretta a prendere il metrò che verso le sette del mattino da Nôtre Dame la portava fino a Billancourt. A sedici anni considerava la sua vita immobile, sempre identica a se stessa, giorno dopo giorno. Non aveva ambi-zioni particolari. Prendeva le cose come venivano, senza che mai la sfiorasse il desiderio di cambiare qualche co-sa…tanto non s’intravedeva miglioramento... pensava. Certo, viveva in un mondo che la legava moltissimo ai gio-vani che vivevano nelle sue stesse condizioni, costretti a calcolare ogni franco che arrivava nelle loro mani; questi venti franchi per le scarpe di Laurent, dieci per il libro di Giselle... A volte rimaneva qualche centesimo per il gelato del sabato pomeriggio con gli amici. Oltre ai colleghi di lavoro frequentava qualche compagna della scuola serale della rue Dunant, dietro Place Mont-parnasse, dove seguiva la penultima classe di un liceo professionale. Non metteva entusiasmo negli studi, ma era molto diligente. L’unica prospettiva che si era presentata, dopo le insisten-ze dei suoi genitori, era stata quella di seguire quella scuola che forse, in avvenire, le avrebbe permesso di mi-gliorare il suo lavoro. Si distingueva dai suoi compagni per il modo di esprimersi e di applicarsi che la facevano esse-re la prima della classe. Cosa che, in ogni modo, non sembrava interessarla più di tanto. Sua unica passione era la letteratura che la faceva saziar-si di libri come un nutrimento necessario per vivere. La let-tura era più importante del cibo; appena trovava un minuto di tempo, si chiudeva nel suo mondo, nell’angolo della stanza che le apparteneva, quel piccolo spazio che la fa-miglia numerosa aveva concesso a lei sola. La letteratura

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la trasportava in mondi che avrebbe avuto un gran deside-rio di conoscere e le faceva vivere i romanzi come se ne fosse l’eroina. Lavoro di giorno, ansia per svolgerlo bene, scuola la sera, lettura la notte, nonostante la stanchezza. Con il passare del tempo le sue giornate si trasformavano con la sua energia innata, a una vita attiva, piena e inten-sa nella sua monotonia. Contemporaneamente, l'ingenuità infantile lasciava il posto ad una visione più concreta del mondo che la circondava fuori dalla sua famiglia. Una delle sue preoccupazioni era di riuscire a compiere il suo dovere e dare sollievo al suo capo, il signor Nicolas Marchant, che tutti chiamavano Nik. Era un parigino nato con un'intuizione per gli affari più immaginaria che reale. Annie se ne era resa conto piuttosto presto. Si era affe-zionata al suo lavoro e a quel signore, amico di vecchia data di suo padre. Suo padre, dopo la guerra, aveva trovato enormi difficoltà a sostenere le spese del suo negozio di scarpe al quartie-re del Marais, con la conseguenza di privare, qualche vol-ta, la famiglia anche dell’essenziale. Annie era la maggio-re dei figli: appena compiuti quattordici anni considerò giunto il momento di iniziare a lavorare. Forse era giusto così, e quando suo padre le disse che il signor Marchant aveva bisogno in azienda di una ragazza di fiducia per le commissioni esterne, lei non osò obiettare. Abbassò i magnifici occhi e acconsentì. La stancava moltissimo svegliarsi così presto il mattino, vestirsi alla svelta, partire correndo, stiparsi nel metrò con altre decine di persone, mosaico di razze, pronte a muo-versi ognuna verso la propria destinazione.

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Dopo un pò, si era rassegnata e l’abitudine aveva fatto il suo corso. Che cosa importava se di fianco a lei sedeva una persona di colore di Guadaloupe o un portoghese o uno spagnolo? Erano tutti uniti in quelle ore mattutine con un solo pensiero: arrivare presto a destinazione, iniziare un'altra giornata, uguale alla precedente, e considerarsi fortunati perché avevano un lavoro. Gli anni cinquanta in Francia non erano stati troppo felici. Come in tutta l’Europa, anche i francesi stentavano a ri-prendersi dalla guerra. Il disfacimento sociale che ogni conflitto trascina con sé, era ancora evidente, anche se il Generale De Gaulle, a poco a poco, cercava di farlo di-menticare. La destra, la sinistra, le rivendicazioni sindaca-li, le grida di operai, i fiumi d’inchiostro degli intellettuali, dei grandi giornali come Le Monde e Le Figaro aspiravano a sbrogliare una situazione confusa.Un tentativo di ricucire il tessuto sociale dove le classi che non appartenevano ai piani superiori di quell’enorme, e in quel momento, mal fat-to edificio della vita, soffrivano particolarmente. C’era comunque una speranza nell'aria, seppur flebile. Gli affari cominciavano a migliorare, ma i capitali facevano di-fetto. L’ambiguità di quei tempi non seguiva quella dell’anima di Annie. I dubbi sulla sua esistenza non andavano di pari passo con la sua adolescenza. L’infanzia era terminata confrontandosi con la realtà nella sua cruda evidenza. Non aveva il tempo di occuparsi dei problemi dell’adolescenza che le scappava via come un’estranea. L’essersi adattata al suo destino non le impediva tuttavia di vivere in un suo mondo fantastico. La temporanea man-canza di ambizioni non significava che la vita che nascon-

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deva nel cuore e nell’anima fosse ferma. Il suo subconscio era una fucina di idee che sarebbero con il tempo germo-gliate. Rimandava a più tardi nella sua mente le ambizioni nascoste dentro di sè. Non era né sicura, né certa di quel che veramente volesse. Aspettava, iniziava ad aspetta-re...che cosa, non lo sapeva neanche lei. C’era in questa giovane una gioia di vivere che attraversa-va i suoi sedici anni, senza farle pianificare il futuro. Lo vedeva, quel “qualche cosa,” sugli orizzonti perduti, illumi-nati per metà dai cieli di Parigi. “Buon giorno signor Hervé”… Il direttore alzò gli occhi, nascosti dietro un paio d’occhiali mezzo tagliati per la sua presbiopia, e accennò un inesi-stente sorriso. “Oh signorina, come sta, come mai di nuovo qui, sono passati appena due giorni dall’ultima volta che ci siamo vi-sti!”. “Le porto i saluti del signor Marchant e, con l'occasione, vorrei sapere se ci sono novità su quel prestito che due mesi fa avevamo chiesto alla banca. Ho dimenticato di domandarglielo.” “Ah sì, è vero, non ne avevamo parlato. Mancano ancora alcune formalità. Avevo parlato al telefono con il signor Marchant che mi aveva promesso di procurarmi una foto-copia di quel contratto con la compagnia tedesca. Un’associazione della vostra ditta con il colosso Leverku-sen, sarebbe interessante. Strano che il suo capo non le abbia riferito la nostra conversazione. Aspetto solo quello e il prestito verrà versato nelle vostre casse.” Annie già conosceva tutti i dettagli, ma aveva finto di prendere nota. “Prometto che riferirò al signor Marchant. Nel frattempo, aspettando che la situazione si risolva, la pregherei di

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considerare queste cambiali, devono essere pagate entro tre giorni. Senza il prestito non è possibile. Quindi, se lei gentilmente potesse procrastinare ad una nuova scaden-za, saremo più tranquilli. Un mese, penso, sarà sufficien-te.” “Ma signorina, è la seconda volta che dobbiamo fare una cosa simile. Il signor Marchant è informato, non si può an-dare avanti così in eterno!” “Certo, lui lo sa. Lei però aveva promesso di regolare la questione del prestito quindici giorni fa. E invece sorgono sempre nuovi problemi. Siamo quindi obbligati a chiedere una nuova scadenza.” insistette Annie. Il direttore, sorpreso dalla forza della giovane, la fissò in quei magnifici occhi che non sapeva dire se fossero tristi, seri o sorridenti. La conosceva da molto tempo, sapeva che quello che faceva, lo faceva con determinazione e de-vozione. Sicuramente non sarebbe andata via se non avesse vinto la battaglia per cui era lì, di fronte a lui. Il suo mento rugoso si rilasciò, leggermente disteso dal sorriso che si formò sulle sue labbra. Indirizzandosi ad Annie le disse: “Signorina, lo faccio per lei. Ho una grande stima per il si-gnor Marchant, lei lo sa benissimo, abbiamo le stesse amicizie, frequentiamo lo stesso Club, ma ho l’impressione, detto tra noi, che si sia buttato in un’impresa più grande di lui. Lo dico a lei perché so che è la sua con-fidente. Non è questo il sistema per sviluppare un’attività. Se non ci sono i liquidi…” Mentre pronunciava quest’ultima frase, sembrava volesse scherzare con lei. Annie sapeva benissimo che lui aveva ragione. “Grazie del suo interesse, grazie anche per la sua com-prensione, riferirò al signor Marchant. Possiamo stare

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tranquilli per queste cambiali?” Al cenno di assenso, si af-frettò a salutarlo con un “arrivederci” e si allontanò. Era sollevata. “Che importa di che cosa pensa quel pan-zone là! Ha fatto quel che gli ho chiesto, per un mese sta-remo tranquilli. Ma un mese passa in fretta, voglio vedere cosa combinerà il mio grande capo! Se il prestito tardasse ancora? Per il momento non ci voglio pensa-re…vedremo…” Stretta ancora di più nel suo impermeabile, sentì il vento, che nel frattempo si era alzato più forte, entrarle dritto nell’anima.

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