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ALLE ORIGINI DELLA CRISTIANITA’ LE ICONE MARIANE DI AREA ROMANA GLI ALBORI DEL CULTO A MARIA Il cristianesimo, dopo un periodo iniziale di incertezze dovuto alla coesistenza al suo interno di due opposte tendenze, ovvero l’avversione giudaica verso le immagini (1) e la tendenza pagana ad esse eccessivamente favorevole, superata la fase delle eresie cristologiche dei primi secoli, si serve largamente delle immagini per divulgare la nuova fede che ha il suo fondamento nell’incarnazione e nella dottrina trinitaria. Con la messa a punto della dottrina trinitaria, prende forma anche il culto della Madre di Dio e con il Concilio di Efeso (431), viene definitivamente sancito il diritto di Maria di fregiarsi del titolo di Theotokos, ovvero di Madre di Dio. L’immagine di Maria, dopo quella di Cristo, è quella più rappresentata in tutti i paesi cristiani. Dopo il Concilio di Efeso, in tutte le città dell’impero furono edificate chiese dedicata alla Madre di Dio e parallelamente si sviluppa il culto di venerazione delle sue immagini. A partire dal IV secolo cominciano ad apparire le feste mariane che si configureranno in un ciclo che mette in risalto i principali momenti del ruolo di Maria nella storia della Salvezza (Annunciazione, Natale, Presentazione di Gesù al tempio, Crocifissione) e della sua vita terrena (Concezione, Natività, Presentazione al tempio, Dormizione). Anche gli inni dei Melodi, i poeti –teologi, cantano la figura di Maria e a Costantinopoli i membri della famiglia imperiale romano-orientale, a partire dal V secolo, svolgono un ruolo attivo nel diffondere la presenza delle icone nella capitale dell’impero adoperandosi anche per far giungere da Gerusalemme le icone ritenute dipinte dalla mano di san Luca quando la Vergine era ancora in vita. Tuttavia, le prime raffigurazioni mariane si trovano nelle catacombe a Roma, siamo ancora nella generazione pioniera dell’arte figurativa cristiana, il primo terzo del III secolo e Maria madre del Salvatore, è raffigurata nelle scene del Natale e dell’Adorazione dei Magi (2). Cessato il periodo delle persecuzioni, i muri delle chiese si ricoprono di mosaici e di affreschi mentre l’affermazione e la diffusione del culto di venerazione delle immagini si manifesta, soprattutto, verso le icone portatili in legno conservate nelle chiese, nelle case, nei monasteri e nei luoghi pubblici, spesso usate come oggetti protettivi o veri e propri “palladi”per le città e gli eserciti. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. (Esodo 20)

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ALLE ORIGINI DELLA CRISTIANITA’ LE ICONE MARIANE DI AREA ROMANA

GLI ALBORI DEL CULTO A MARIA

Il cristianesimo, dopo un periodo iniziale di incertezze dovuto alla coesistenza al suo interno di due opposte tendenze, ovvero l’avversione giudaica verso le immagini (1) e la tendenza pagana ad esse eccessivamente favorevole, superata la fase delle eresie cristologiche dei primi secoli, si serve largamente delle immagini per divulgare la nuova fede che ha il suo fondamento nell’incarnazione e nella dottrina trinitaria. Con la messa a punto della dottrina trinitaria, prende forma anche il culto della Madre di Dio e con il Concilio di Efeso (431), viene definitivamente sancito il diritto di Maria di fregiarsi del titolo di Theotokos, ovvero di Madre di Dio. L’immagine di Maria, dopo quella di Cristo, è quella più rappresentata in tutti i paesi cristiani. Dopo il Concilio di Efeso, in tutte le città dell’impero furono edificate chiese dedicata alla Madre di Dio e parallelamente si sviluppa il culto di venerazione delle sue immagini. A partire dal IV secolo cominciano ad apparire le feste mariane che si configureranno in un ciclo che mette in risalto i principali momenti del ruolo di Maria nella storia della Salvezza (Annunciazione, Natale, Presentazione di Gesù al tempio, Crocifissione) e della sua vita terrena (Concezione, Natività, Presentazione al tempio, Dormizione). Anche gli inni dei Melodi, i poeti –teologi, cantano la figura di Maria e a Costantinopoli i membri della famiglia imperiale romano-orientale, a partire dal V secolo, svolgono un ruolo attivo nel diffondere la presenza delle icone nella capitale dell’impero adoperandosi anche per far giungere da Gerusalemme le icone ritenute dipinte dalla mano di san Luca quando la Vergine era ancora in vita. Tuttavia, le prime raffigurazioni mariane si trovano nelle catacombe a Roma, siamo ancora nella generazione pioniera dell’arte figurativa cristiana, il primo terzo del III secolo e Maria madre del Salvatore, è raffigurata nelle scene del Natale e dell’Adorazione dei Magi (2).

Cessato il periodo delle persecuzioni, i muri delle chiese si ricoprono di mosaici e di affreschi mentre l’affermazione e la diffusione del culto di venerazione delle immagini si manifesta, soprattutto, verso le icone portatili in legno conservate nelle chiese, nelle case, nei monasteri e nei luoghi pubblici, spesso usate come oggetti protettivi o veri e propri “palladi”per le città e gli eserciti. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. (Esodo 20)

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Madonna con Bambino e profeta catacombe di Priscilla. Adorazione dei Magi, catacombe di Priscilla

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LE ICONE PIÙ ANTICHE

Il tema di cui si tratta intende mettere a fuoco un corpus di capolavori, spesso sconosciuti al grande pubblico, rappresentativi dell’Occidente romano in epoca altomedievale che conducono immediatamente alle origini della cristianità. L’analisi che andremo a fare delle icone di area romana del V – IX secolo, coeve delle altrettanto antiche e celebri icone sinaitiche, mira ad evidenziare la continuità con la tradizione più antica anche in Italia ed a sottolineare che le icone romane costituiscono una testimonianza tangibile della radice unitaria della fede cristiana della chiesa indivisa delle origini. Le icone del V-VII secolo giunte fino a noi provengono, verosimilmente da Costantinopoli, da Alessandria e dal monte Sinai. Sono icone preiconoclaste, dunque non rispondenti ad uno stile conforme alle regole dell’iconografia non ancora codificate e che giungerà a maturazione solo alla fine della crisi iconoclasta. A Roma, benché le notizie sull’origine delle opere siano spesso incerte, nel corso del V secolo, la presenza di icone è attestata storicamente dalla testimonianza del greco Teodoreto (393-457), ultimo grande teologo cristiano della scuola di Antiochia, il quale afferma che era normale per le strade di Roma vedere le icone dei santi appese agli ingressi delle botteghe e nei luoghi pubblici. E seppure le fonti ed i dati a nostra disposizione per fornire precise informazioni storiche sulla natura e l’origine delle icone romane siano più limitati rispetto a quelli di Costantinopoli, a Roma si trovano e sono venerate, senza soluzione di continuità dai primi secoli del cristianesimo, le icone tra le più antiche della cristianità. All’Istituto Centrale del Restauro di Roma, grazie all’avvio di un ciclo di restauri che inizia nel 1950 con la tavola dell’Odighitria di santa Maria Nova e prosegue fino al 1965 con il recupero di altre antiche importanti testimonianze iconografiche, sono state riportate alla luce delle icone, tutte di epoca preiconoclasta; si restaurano e si studiano, oltre all’Odighitria di santa Maria Nova, l’Odighitria di Santa Maria ad Martyres (Pantheon), la Madonna della Clemenza di Santa Maria in Trastevere e l’Aghiosorotissa dell’Oratorio del Rosario a Monte Mario. Frutto di un precedente restauro che risale al 1931, ultimo di una serie di interventi anche antichi che ne hanno molto alterato lo stato originario, è l’immagine attuale della Vergine Salus Populi Romani, la più venerata delle icone mariane della città.

I TIPI ICONOGRAFICI

I tipi iconografici della Madre di Dio hanno tutti alla base del loro formarsi un prototipo ritenuto o miracoloso o di origine apostolica, come ad esempio l’Achiropita e il ritratto della Madonna attribuito al pennello di san Luca. A Roma sono presenti entrambi i prototipi nel volto del Salvatore del Laterano Achiropita e nelle infinite attribuzioni delle icone della Vergine a san Luca. Tra i principali tipi iconografici della Madre di Dio che possono essere ricondotti al tipo della Brephocratousa, dell’Odighitria, dell’Eleousa, dell’Aghiosoritissa, della Blachernitissa, della Basilissa, della Galactotrophousa, la nostra indagine si soffermerà sulle tre tipologie prevalenti in area romana che fanno riferimento ai prototipi dell’Odighitria e delle sue varianti (Salus Populi Romani), della Basilissa e dell’Aghiosoritissa. L’Odighitria è l’espressione più compiuta del più generico prototipo della Brephocratousa (Colei che porta il bambino) al quale si ascrivono tutte le immagini della Madre di Dio con il Bambino.

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L’Odighitria Il prototipo dell’Odighitria è tra le icone più celebri della Madre di Dio, si ritiene eseguita dall’evangelista Luca mentre la Madonna era ancora in vita, fu per secoli il "palladio" di Costantinopoli, andato perso quando la città cadde in mano ai Turchi nel 1453. Dopo i Concili di Efeso (431) e Calcedonia (451), nei quali si riconobbe la divina maternità di Maria fregiandola del titolo di Theotokos, il prototipo ha dato origine a innumerevoli copie giunte fino a noi, le più antiche delle quali risalgono al V sec. e sono dipinte ad encausto di esse una copia si trova a Kiev in Russia e proviene dal Sinai, l’altra a Roma a Santa Maria Nova al Foro Romano. L’Odighitria venerata al Pantheon a Roma è invece del VII secolo. E’ solo a partire dall’XI secolo che le copie si moltiplicano grazie alla fine dell’iconoclastia ed alla definitiva legittimazione dell’icona; l’Italia, per la vicinanza alla Grecia e a Costantinopoli e per le vicende storiche che la legano all’area di irradiazione delle icone, conserva un gran numero di copie dell’Odighitria, spesso venerate sotto il nome abbreviato di Itria o sotto quello di Madonna di Costantinopoli o di Madonna Greca o di San Luca. Il nome deriva dal greco οδηγός (guida, condottiero), da cui il significato attuale di “Colei che mostra la via”; e la via è appunto Cristo indicato da Maria con la mano. Il nome gli viene dal santuario mariano di Costantinopoli dove l’immagine era custodita, quello detto “degli odigoi” o “delle guide”, dal nome dei monaci custodi del santuario che facevano da guide ai frequentatori del santuario (soprattutto ciechi) venuti a chiedere la guarigione. Secondo la tradizione la Madre di Dio sarebbe apparsa a due ciechi e, conducendoli al suo santuario, avrebbe ridato loro la vista. Da allora i sofferenti di malattie agli occhi si recavano alla sorgente, che sgorgava vicino alla chiesa, e si lavavano gli occhi per ottenere la guarigione. Nel tipo canonico, Maria, la Theotokos, è raffigurata in posizione frontale e regge il Bambino con il braccio; indossa una tunica di colore verde e il maphorion di colore rosso; i capelli sono celati dalla mitella appena sotto il manto. Il Bambino è seduto sul braccio, anch’egli in posizione frontale, ma appena rivolto verso la Madre; con la destra leggermente alzata benedice alla greca, mentre con la sinistra regge un rotolo di pergamena, simbolo di saggezza e di sapienza, tradizionalmente attributo dei profeti. Egli è insieme bambino e adulto, è l’Emmanuele con gli attributi della divinità: nimbo crociato con la scritta O Ω N; ai lati i monogrammi IC XC. I monogrammi della Madre sono ΜΡ ΘΥ. La Vergine tende la sua mano libera verso il Bambino, in un gesto che lo indica. Nel tipo canonico dell’Odigitria, l’atteggiamento della Madre è ieratico, di distacco e di grande rispetto, quello del Bambino è soffuso di regalità come si addice al Dio-Uomo.

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La Basilissa

Il tipo iconografico può essere ricondotto all’affresco della Vergine Turtura. Protagonista della macroicona è la Madre di Dio assisa su un trono gemmato, fornito di un cuscino di porpora e di suppedaneo. La Vergine stringe, con la destra, una mappula, mentre sostiene, con la sinistra, il Bambino, che, a sua volta, tiene un rotolo sigillato. La Theotokos è raffigurata vestita di un maphorion di porpora e una candida mitella e calza scarpe rosse. E’ assisa da sovrana, con tutti gli onori che sono dovuti a una Basilissa. Il Bambino le è seduto in grembo, e ha la destra alzata in segno di benedizione e indossa una tunica dorata. La Madonna si presenta così “trono della Sapienza”. Ampi nimbi aurei circondano i loro volti e quelli dei martiri eponimi disposti simmetricamente ai due lati, definiti dalle didascalie +s (an)c (tus) Adautus e +s (an)c (tu)s Felis. Proprio Adautto presenta al cospetto della Vergine Turtura un’anziana defunta, di piccole dimensioni, ammantata di scuro, mentre reca un fascio di piccoli rotoli. La rappresentazione pittorica recupera le scene di introduzione dei defunti al cospetto dei santi, di Cristo e di Maria di invenzione romana, ma propone già quelle peculiarità stilistiche del linguaggio bizantino, che avvicinano la nostra rappresentazione mariana all’icona della Madre di Dio in trono di santa Caterina del Sinai Questa composizione di tipo trionfale si è affermata a partire dall’epoca di Giustiniano I (527-565) e si è diffusa in Istria (Parenzo), a Ravenna, a Costantinopoli in Santa Sofia, a Salonicco nella Chiesa di San Demetrio e altrove. Prima e durante la crisi iconoclasta il tipo si afferma soprattutto a Roma, estranea ai torbidi della lotta. Dopo l’iconoclastia alla Madonna in trono viene riservato il posto d’onore nel catino delle absidi centrali delle chiese e il tema della Maestà della Vergine, circondata da angeli, si diffonde in tutte le regioni dell’Impero Bizantino.

La solennità è resa dalla staticità frontale di Madre e Figlio, sullo stesso asse verticale.In ambedue le raffigurazioni, la Madonna in trono con il Figlio in grembo si presenta affiancata da santi e angeli, quale regina della corte celeste, riconosciuta Regina degli angeli e dei santi. Si conoscono parecchie varianti del tipo-base: la Nicopeia, la Panachrantos, la Pantanassa, (regina dell’universo), la Platytera.

Vergine in trono VI sec Affresco cm. 220x240 Catacombe Commodilla

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L’Aghiosoritissa

E’un tipo di raffigurazione in cui Maria è sola, senza bambino. Può essere stante o a mezzo busto, leggermente voltata di lato e con le mani alzate all’altezza del seno in atteggiamento di supplica per cui può ascriversi al tipo più generico dell’Orante. Il tipo è analogo alla Vergine della Deesis. L’appellativo Aghiosoritissa discende dal fatto che il prototipo si trovava nel santuario in cui era custodita l’Aghia Soros ovvero la Sacra Urna nella quale era conservata la cintura della Vergine, altri appellativi erano Chalcopratissa, dal luogo del santuario di Chalcoprateia sito nel quartiere del rame (dal greco chalcos) a Costantinopoli, Paraklisis o della supplica per il gesto delle sue mani e, a Roma, Madonna Advocata. Dopo l’iconoclastia di questo prototipo si persero le tracce ma si riscontrano delle riproduzioni in Grecia, nel Sinai, in Germania, in Russia, in Italia e soprattutto a Roma. Alcune sono anteriori al X secolo. La più antica copia della Madonna Advocata è l’icona di Santa Maria del Rosario a Monte Mario a Roma. A Spoleto esiste una celebre icona di questo tipo detta di Federico Barbarossa, che risale al 1120 (la data si legge sulla lamina d’argento che ricopre la tavola) e porta inciso il dialogo tra Maria e suo Figlio:

• Che domandi Madre? / La salvezza degli uomini. • Mi provocano a sdegno / Compatiscili, Figlio mio. • Ma non si convertono. / Ma Tu salvali per la tua grazia.

Aghiosoritissa Deesis Sinai

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TAVOLA SINOTTICA DELLE ICONE DELLE ORIGINI RELATIVA AI SECOLI IV - VII

V – VI SECOLO VI -VII SECOLO VII - VIII SECOLO

VII SECOLO VII – IX SECOLO

MADRE DI DIO ODIGHITRIA

IV-V SEC

ROMA - SANTA MARIA NOVA

MADRE DI DIO BASILISSA

CON IL BAMBINO TRA DUE

ANGELI

VI-VII SEC.

S.MARIA IN TRASTEVERE

MADRE DI DIO

AGIOSORITISSA

VII VIII SEC

S. MARIA DEL ROSARIO

MADRE DI DIO SALUS POPULI

ROMANI

VII SEC

S. MARIA MAGGIORE

MADRE DI DIO ODIGHITRIA

VII-IX SEC

S. MARIA AD

MARTYRES

MADRE DI DIO

CON IL BAMBINO

VI SEC.

S.CATERINA DEL SINAI

MADRE DI DIO BASILISSA E

SANTI TEODORO E GIORGIO

VI SEC.

S.CATERINA DEL SINAI

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LE ICONE SINAITICHE

Madre di Dio in trono (Basilissa) VI sec

Encausto su tavola cm. 68,5x49,7 monastero di Santa Caterina al Monte Sinai L’immagine (VI sec), forse di origine costantinopolitana, raffigura la Vergine seduta su un trono gemmato con in grembo il Bambino tra i santi Teodoro e Giorgio e gli arcangeli Gabriele e Michele. Essa segna un momento di evoluzione dello stile dell’arte cristiana delle immagini rispetto all’estetica tardo-antica in quanto nella composizione i tre personaggi in primo piano frontali ed immobili, la rigidità delle vesti dei santi, prive di rilievo, i volti allungati e la fissità dello sguardo, sono un chiaro annuncio del nuovo linguaggio figurativo, mentre, l’aspetto troppo umano della Vergine (naso e labbra ancora troppo carnosi) e il movimento prospettico degli angeli sono evidenti retaggi dell’estetica greco-romana.

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Madre di Dio con Bambino VI sec Encausto su tavola cm. 35,4x20,6 Museo della arti Bogdan e Varvara Chanenko Kiev

L’icona proviene dal monte Sinai è senza dubbio è quella più vicina allo stile della Tarda Antichità tra tutte le icone a noi note, evidente nella libertà delle pose, nell’intensa plasticità dei volti e delle mani e nella freschezza dell’incarnato che mettono in evidenza l’umanità dei personaggi. Maria indossa un chitone color ocra gialla ed un maphorion color porpora, Cristo è vestito di una tunica e un mantello color porpora. Ampi nimbi dorati circondano le teste. Maria regge il Bambino con la mano sinistra nell’atteggiamento della futura Odighitria ma lo trattiene anche con la destra; il suo corpo è ruotato verso di lui in una posizione non canonica secondo le regole iconografiche non ancora codificate, (siamo nel VI secolo!), il suo volto e soprattutto la sua bocca sono ancora troppo sensuali ed umane non identificative della Madre di Dio

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IL CORPUS DELLE ICONE ROMANE

Il Salvatore del Laterano

Un’icona particolarmente importante è la raffigurazione del volto del Salvatore Acheropita (VI-VII secolo) custodita nel Sancta Sanctorum in Laterano. Il Sancta Sanctorum è la cappella privata dei papi al Laterano, e deve la sua denominazione alla presenza di alcune tra le più preziose reliquie della cristianità, prima fra tutte l’immagine acheropita, cioè “non dipinta da mano d’uomo” del Salvatore: essa è considerata la rappresentazione più antica e fedele di Gesù, perché impressa da Lui stesso su un lino detto Mandylion e inviato ad Abgar, re di Edessa, gravemente malato. L’antica immagine è quasi del tutto scomparsa, guastata dal tempo: quella che vediamo è un’immagine dipinta su un velo di seta e applicata sulla tavola. Il centro della composizione è il Volto di Cristo, assorto e severo ed infinitamente misericordioso. Il Salvatore del Laterano fu nel medioevo romano ed anche nei secoli successivi, la più autorevole delle immagini sacre poiché, in quanto Acheropita godeva dell’attributo di autentico ritratto di Cristo. Il santo volto Acheropita del Salvatore sarà il punto di partenza del nostro viaggio tra le icone mariane romane e ciò per fare riferimento all’antichissimo rito della processione che si svolgeva a Roma in occasione della festa dell'Assunzione o Dormizione della Vergine nella notte tra il 14 ed il 15 di agosto partendo dalla basilica del Laterano fino a Santa Maria Maggiore, durante la quale l'icona "visitava" le principali effigi della Madre di Dio, ancor oggi venerate a Roma. Il primo incontro avveniva con l’icona venerata nella chiesa di santa Maria Nova, da qui si dirigeva verso sant’Adriano e l’Esquilino fino alla chiesa di Santa Maria Maggiore per la visita alla Salus Populi Romani. L’icona del Salvatore guiderà idealmente anche i nostri passi in un viaggio che illustrerà le più importanti icone di area romana.

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Madonna Odighitria di Santa Maria Nova detta Madonna del conforto V sec

Encausto su tela di lino applicata su tavola La chiesa di Santa Maria Nova a Roma, conosciuta anche come S. Francesca Romana, conserva una delle icone più antiche della cristianità. Sorta ai tempi di Leone IV (847-855), aveva preso il posto, ereditandone i tesori e, tra essi, l’icona dell’Odighitria, dell’antica Diaconia di S. Maria Antiqua, sorta nel V secolo sul Palatino e divenuta il santuario nazionale della colonia greca a Roma. La Madonna Odighitria di S. Maria Nova è del tipo dexiocratousa, (porta il bambino sul braccio destro) e mostra i segni di una storia complessa. Nel restauro condotto negli anni ’40 sotto la tela dipinta di epoca medievale (XIII sec.) emerse una seconda immagine su un’altra tela, che si riuscì parzialmente a recuperare staccando i due strati di pittura. Apparvero così i due volti ad encausto della Madonna e del Bambino risalenti all’ultimo quarto del V secolo, accostati a due busti del ‘500 realizzati a tempera, ridipinti nel 1805 e pensati per legarsi alle teste del XIII secolo! è evidente la disparità nelle proporzioni e nell’allineamento delle figure. I due frammenti ritagliati da un’icona perduta forse danneggiata da un incendio divampato nella chiesa intorno al 1220 furono recuperati ed applicati sulla nuova tavola come reliquie, sottratte alla vista dalla nuova immagine della Madonna col Bambino, ma non distrutte. La storia dell’icona, così trasformata nel corso del secoli, ci mostra con evidenza la continuità del culto che pur di non perdere l’immagine la ridipinge e la conserva sempre viva.

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Madonna Odighitria VII sec. Santa Maria ad Martyres (Pantheon) tempera su tavola cm 100x47,5 L’icona della Madonna Odighitria si distingue dalle altre icone pre-iconoclaste realizzate perlopiù ad encausto poiché dipinta a tempera su tavola. Il Pantheon costituiva uno dei luoghi più significativi del culto pagano a Roma; sotto il pontificato di Bonifacio IV (608-615) fu destinato al culto cristiano e dedicato alla Vergine Maria e a tutti i martiri. La data della consacrazione della chiesa è dagli studiosi ritenuta il 16 maggio dell'anno 609 ed è probabile che quest'icona facesse parte dei doni offerti al papa dall'imperatore Foca per l’occasione. Il restauro del 1960 ha consentito di restituire alla tavola del Pantheon il giusto ambito cronologico ovvero all’epoca della conversione del Pantheon nell’anno 609. Ciò che rimane della tavola in esame è solo un frammento (la tavola è stata ritagliata lungo i bordi) di quella originale che per grandezza si può ritenere simile all'icona di Santa Francesca Romana, ma si differenzia da questa per una rigidità che sorge da dettami non solo di derivazione da un prototipo, ma anche di concettualità teologica. La differenza è riscontrabile nel modo in cui la Vergine sostiene il Bambino e nella particolare evidenza della mano, motivi che la fanno rientrare nella tipologia della Madonna Odighitria

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Madonna Regina VII sec

Santa Maria in Trastevere, detta Madonna della Clemenza (VII sec.) Encausto su tela fissata su tavole di cipresso cm. 200 x 137 L’icona di Santa Maria in Trastevere occupa un posto eccezionale tra le icone romane del primo Medioevo. Essa mostra la Madre di Dio in abiti imperiali come a Bisanzio la si vedrà solo dopo il XIV secolo ma la cui tradizione si perpetuerà in Italia in molte pitture murali tutte anteriori a questa data. E’ giusto legittimo chiedersi se questa tipologia iconografica della Vergine –Regina non sia legata alla tradizione romana soltanto o se il suo prototipo fosse un’antica icona greca andata perduta che a Bisanzio non si impose e trovò fortuna a Roma. L’icona in esame dipinta a Roma nel VI VII secolo nel periodo bizantino, si tratta secondo la Velmans, di un’opera commissionata dal Vaticano ad un pittore locale visto che in basso rivolto verso lo spettatore si vede, ormai molto poco, la figura di un pontefice in ginocchio davanti alla Vergine. La Vergine Regina è rappresentata in trono in atteggiamento veramente maestoso, tra due angeli in piedi dietro al trono, tiene sul grembo il Bambino e porta le stesse vesti che indossa la regina Teodora nei mosaici di Ravenna. La Vergine sulla testa porta una corona gemmata e ornata di perle che ricadono lateralmente e decorano l’abito, siede su un cuscino color porpora. Sempre Tania Velmans aggiunge:“La composizione obbedisce ad una rigorosa simmetria, ieratica e atemporale, è nel

suo insieme assolutamente bizantina. Soltanto la Madre di Dio non corrisponde al

tipo orientale conferitole a Bisanzio ma ricorda quello di una fiera patrizia

romana”.

A Roma, fatta eccezione per il grande affresco della Basilissa delle catacombe di Commodilla in cui la Madre di Dio è vestita con il maphorion abituale, tutte le altre madonne Regine hanno indosso l’abito imperiale; è così nel mosaico dell’arco trionfale di santa Maria Maggiore, nell’abside di Santa Maria Antiqua (VI sec.), della Madonna Regina di San Clemente e della cripta di Santa Prassede.

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La Madonna Advocata del «Monasterium tempuli VI VIII sec. Encausto su tavola di tiglio cm. 71,5x 42,5 La «Madonna che intercede», del Monasterium tempuli, è un'icona dell'VII-VIII secolo attribuita a S. Luca. Il suo nome fa supporre la sua prima dislocazione presso il Monasterium tempuli in Trastevere, affidato alle monache domenicane, attualmente si trova nella chiesa di S. Maria del Rosario a monte Mario. L'immagine che appare in atteggiamento di orante è la più antica tra le altre icone di tale tipo presenti in diverse chiese di Roma: a S. Maria in Aracoeli, S. Maria in Campo Marzio, S. Maria in via Lata e SS. Bonifacio e Alessio. La Madonna Advocata di san Sisto è considerata la più antica icona della Madonna esistente in Italia fatta eccezione per il recupero dell’Odighitria di santa Maria Nova. L'atteggiamento della Vergine è di preghiera, con le mani alzate, conformemente ai costumi dei cristiani dei primi secoli e alle raccomandazioni dei Padri della Chiesa, come forma di preghiera più gradita al Signore. Secondo la tradizione proviene da Costantinopoli tra la fine del IV o inizio del V secolo e, secondo alcuni studiosi, precisamente dall’area siriano-palestinese (VII-VIII sec.). Secondo la Velmans, la provenienza mediorientale dell’icona è palesemente contraddetta dalla figura di matrona romana dalle “enormi guance” che fanno pensare a un corpo dalle forme opulente. Il restauro eseguito nel 1960 ha confermato l’origine mediorientale dell’icona. Sul fondo dorato risalta molta bene l’espressione dolce del volto con grandi occhi espressivi che ci guardano in modo intenso e amorevole. Il colore dell’abito è quasi completamente scomparso e ciò da più risalto al bel volto eseguito ad encausto su legno. Abbiamo notizia che già dal IX secolo si trovasse nella chiesa di S. Maria in Tempulo, nel 1221 San Domenico la fece traslare in S. Sisto Vecchio sulla via Appia dove rimase per 354 anni, fino al 1527 quando venne ritrovata miracolosamente intatta nella chiesa distrutta dai Lanzichenecchi durante il sacco di Roma. La tradizione attribuisce a questa immagine la fine del terribile flagello. Nel 1575 le suore furono costrette, dall’infuriare della malaria, a trasferirsi nel monastero di S. Sisto Nuovo presso il Quirinale. L’immagine passò poi dalla chiesa di S. Domenico e Sisto presso il Quirinale nella chiesa del Rosario a Monte Mario il 14 agosto 1931.

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LE ICONE DELLA MADONNA ADVOCATA DEL PERIODO POST ICONOCLASTA Al tipo della Madonna Advocata fa seguito una serie di repliche risalenti al periodo post-iconoclasta che si diffonde dall’XI secolo e a Roma si contano ben sei repliche venerate sotto il nome di Madonna Advocata. Questo appellativo esprime molto bene il ruolo di mediatrice della Madre di Dio tra Cristo, da lei invocato e gli uomini che a lei si rivolgono. A Roma sono cinque le repliche medievali, tutte molto simili. In questa tipologia Maria guarda l’osservatore leggermente voltata verso destra, la sua mano destra è alzata mentre la sinistra è appoggiata al petto ad indicare che intercede per tutti coloro che si rivolgono a Lei. Sulla testa è raffigurato un diadema.

Madonna Advocata “Fonte di luce”, o “Stella Maris”, XII secolo Santa Maria in via Lata tempera e lacche su tavola dim. 90 x 58 L’immagine della Madonna Advocata è una tipologia iconografica che, a giudicare dai numerosi esemplari giunti fino a noi e a fronte delle innumerevoli perdite subite dal patrimonio artistico della Roma medievale, doveva essere particolarmente diffusa a Roma nei secoli XI XII. La Madre di Dio di santa Maria in via Lata, opera di un certo “Petrus pictor”, è venerata con i due nomi scritti nella parte inferiore:”Fons Lucis”, Fonte di luce, o “Stella Maris”, Stella del mare. Essa è raffigurata da sola a mezzo busto, appena girata verso destra nella direzione del gesto di preghiera accennato dalle mani, lo sguardo è rivolto verso l’osservatore. Indossa una tunica ed un maphorion di colore molto scuro, probabilmente, un’alterazione di un colore rosso originario, su un fondo blu molto scuro. Sono ben conservate le decorazioni ed i ricchi ornamenti, medaglione rotondo, orecchini, diadema, decorati con pietre vere e perle dipinte. Alcuni studiosi datano la tavola alla seconda metà del XII secolo, per altri sarebbe molto più antica. L’intervento di restauro del 1967, ad opera della Sovrintendenza alle Gallerie del Lazio, ha rilevato una tecnica molto interessante per la preparazione del dipinto: ad una sottile imprimitura si sovrappone una foglia d’argento brunito sulla quale è stata applicata una lacca rossa per il manto e la tempera abituale per gli incarnati, il disegno dei panneggi e la

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cornice.

Santi Bonifacio ed Alessio tempera su tela e tavola di cedro, dim 70x40 X-XI secolo

Santa Maria in Aracoeli tempera su tavola cm. 82x52 Artista romano fine XI secolo

Santa Maria in Campo Marzio encausto su tavola di pioppo cm. 114,5x61

Santa Maria in Campo Marzio tempera su tavola cm. 107x57,5 Artista romano fine XI secolo

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A conclusione del nostro viaggio non possiamo non fare riferimento all’icona Protettrice del Popolo Romano, forse la più amata e onorata icona mariana a Roma, tanto da essere quasi considerata come un palladio della città, immagine miracolosa nota in passato con il titolo di Regina Coeli,

la Salus Populi Romani detta Madonna di San Luca o Madre di Dio di Lydda (Lidskaja) o La Romana (Rimskaja) VII secolo con ridipinture del XII – XIII secolo Dipinto su tela applicata su tavola dim. 117 x 79

Anche l'icona della Vergine detta «Salus populi romani» è attribuita per tradizione al pennello di S. Luca. L'immagine si trova nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Fino al secolo XVI era posta in un'edicola alla sinistra dell'altare maggiore, poi fu trasportata con grande solennità da papa Paolo V nella cappella della sua famiglia, dove ancora oggi si trova sopra un bellissimo tabernacolo progettato da Gerolamo Rainaldi. Con quest'atto Paolo V volle incrementare il culto mariano nella più grande chiesa di Roma costruita in onore della Vergine, motivandone l'impresa, come dice nella bolla pontificia «per l'aiuto

ricevuto dalla Vergine in molti difficili frangenti, per la sua particolare devozione e per i

miracoli attribuiti a quell'immagine».

La Vergine è raffigurata secondo il tipo dell’Odighitria che tiene sul braccio sinistro il Figlio, doveva emergere maestosa su un fondo aureo ormai sbiadito. Ha indosso il «maphorion» e ai lati dell'aureola c'è l'iscrizione greca. Nell'atto di sostenere il figlio incrocia i polsi e con la mano sinistra regge la mappula, antico fazzoletto di lino utilizzato dai nobili romani mentre la destra ha pollice, indice e medio allungati ad indicare la Trinità; l'anulare e il mignolo piegati indicano la natura umana e divina del Figlio. Il codice che il Bambino regge sulle braccia è una novità rispetto all'iconografia usuale che prevedeva il rotolo. Secondo la tradizione, mentre gli apostoli Pietro e Giovanni stavano predicando a Lydda, vicino a Gerusalemme, costruirono una chiesa dedicata alla Santissima Madre di Dio; in seguito tornati a Gerusalemme chiesero alla Panaghia di venire a santificare la Chiesa con la sua presenza. Lei li rimandò a Lydda e disse: “Andate in pace, e io sarò lì con voi”. Giunti a Lydda, trovarono un’icona della Vergine “acheropita” impressa sulla parete della chiesa.

Allora la Madre di Dio apparve a quanti si erano lì radunati, benedisse l’icona e le conferì il potere di operare miracoli. Nel IV secolo Giuliano l’Apostata, dopo aver sentito parlare dell’icona cercò di distruggerla. Inviò dei muratori che con strumenti taglienti scheggiarono l’immagine ma non furono in grado di distruggerla. Quando si diffuse la notizia di questo miracolo, migliaia di persone si recarono a venerare l’icona.

San Lorenzo in Damaso

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Nel secolo VIII, san Germano, futuro Patriarca di Costantinopoli, fece fare una copia dell’icona che portò con sé a Costantinopoli. In seguito, durante la controversia iconoclasta, a causa della sua fede iconodula, venne scacciato dalla sede di Nuova Roma dall’imperatore Leone Isaurico. Per porre in salvo la sacra icona di Lydda il patriarca la inviò a Roma antica. Stando alla leggenda egli avrebbe affidato l’icona alle acque del mare insieme ad una lettera indirizzata al vescovo di Roma; sospinta dalle onde l’icona raggiunse l’Italia e, trasportata dal Tevere, giunse a Roma, ove fu collocata nella basilica di san Pietro, rivelandosi fonte di molte guarigioni. Nell’842 l’icona di san Germano fu restituita a Costantinopoli, dove il nuovo patriarca, il siracusano san Metodio, la trasferì solennemente nella chiesa della Theotokos di Chalkoprateia, il santuario della sacra urna. Da allora l’icona venne invocata con l’appellativo di “Romaia” (η Ρωµαία) ossia “la Romana”. L’esistenza dell’icona era ancora attestata dopo il IX secolo. Una copia di questa icona si trova nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a Roma chiamata anche Santa Maria della Neve, per la prodigiosa nevicata del 5 agosto che avrebbe delimitato il perimetro per l'edificazione della precedente basilica liberiana. Nel secolo XVI avvenne il miracolo più grande attribuito a questa immagine: Roma era invasa dalla peste e il Papa, San Pio V, portò in processione l’icona fino a San Pietro. Prima di arrivare alla Basilica tutto il popolo riunito udì un meraviglioso canto di angeli intonare i versi Regina coeli, laetare, alleluia;/Quia quem meruisti portare,alleluia;/Resurrexit sicut dixit,alleluia./ Il Santo Padre concluse: Ora pro nobis Deum, alleluia.

Appena il papa terminò di pronunciare queste parole tutto il popolo vide distintamente l’Arcangelo Michele sulla Mole Adriana, nell’atto di riporre nel fodero la propria spada. Il Papa capì che la peste, sarebbe presto finita, così come accadde, e la Mole si chiamò da allora Castel Sant’Angelo. Numerose sono le riproduzioni dell’icona di Lydda; attraverso le numerose copie, è anche conosciuta anche in Cina dove fu portata dai Gesuiti. Presente anche in Russia, la tipologia iconografica della Rimskaja o Bàrskaja è un’antica immagine di area bizantina proveniente dal monastero della Protezione (Pokrov) della Vergine a Barsk, è stata alla base di altre antiche e veneratissime icone, è stata dipinta anche da Teofane il Greco nella Chiesa della Trasfigurazione a Novgorod, alla fine del secolo XVI. Anche in Etiopia esistevano migliaia di copie dell’icona di Roma, la Salus Populi Romani era considerata l’icona canonica di questo Paese.

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Madonna della Carbonara

Tempera su tavola fine XII - inizi XIII sec.

Ignoto cm. 40x80

icona della Madre di Dio

Benedetto il Cielo iconostasi della cattedrale dell’Arcangelo Michele al Cremlino - Mosca

Icona nella chiesa del monastero Ortodosso

Etiope di Na’akuto La’ab

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ALLE ORIGINI DELLA CRISTIANITA’ LE ICONE MARIANE DI AREA ROMANA

INDICE

1. GLI ALBORI DEL CULTO A MARIA 2. LE ICONE PIÙ ANTICHE

• Odighitria • Basilissa • Aghiosoritissa

3. TAVOLA SINOTTICA DELLE ICONE DELLE ORIGINI RELATIVA AI SECOLI IV – VII 4. LE ICONE SINAITICHE

• Madonna con Bambino • Madre di Dio in trono con angeli e santi

5. IL CORPUS DELLE ICONE ROMANE • Il Salvatore del Laterano • La madonna Odighitria di Santa Maria Nova • La madonna Odighitria di Santa Maria ad Martyres • La Madonna della clemenza di Santa Maria in Trastevere • La Madonna Advocata del Monasterium Templi

6. LA SALUS POPULI ROMANI 7. LE ICONE DELLA MADONNA ADVOCATA DEL PERIODO POST ICONOCLASTA

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BIBLIOGRAFIA

TANIA VELMANS, Il viaggio dell’icona dalle origini alla caduta di Bisanzio, Milano 2002 E. SENDLER, Le icone bizantine della Madre di Dio, Milano 1995. G. GHARIB, Le icone mariane, storia e culto, Roma 1993. PIETRO STRINI, LA GLIKOPHILOUSA Icone in Roma attribuite, per tradizione, a san Luca ANDALORO - PARRAVICINI Alle fonti le icone dell’ecumene cristiana, Milano 2009 SUOR MARIA DONADEO Icone mariane russe, Brescia 1982 RACCOLTA FOTOGRAFICA LA GLIKOPHILOUSA Le icone della Theotokos Testimonianze d’arte e di fede lungo i secoli

MARGHERITA GUARDUCCI La più antica icone di Maria Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1989