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Alle origini dell’ontologia nietzschiana : sulle tracce di Roger Boscovich. Tiziana Andina 1.Spunti per un percorso teorico. Negli ultimi vent’anni il problema dell’esegesi dei testi nietzschiani è andato organizzandosi (specie in ambiente continentale) attorno ad un nucleo teorico ben preciso, che si può individuare nel rapporto tra Nietzsche e le sue interpretazioni ; tanto che, in maniera senz’altro eccessiva, la filosofia di Nietzsche è stata spesso appiattita sulle sue interpreta- zioni, vittima, non del tutto innocente, di quel processo di dileguamento del dato (inteso, nello spe- cifico, come il percorso oggettivo del pensiero nietzschiano) innescato, in qualche misura, proprio da alcuni presupposti della filosofia di Nietzsche. Un po’ come dire che le letture, tra l’altro nume- rosissime, che si sono susseguite dagli anni della cosiddetta Nietzsche-Renaissance, non hanno so- lo contribuito a spiegare aspetti oscuri e complicati del percorso teorico nietzschiano, ma, molto più frequentemente, si sono presentate come interpretazioni radicali, che hanno utilizzato il pen- siero di Nietzsche come una sorta di immenso serbatoio da cui poter pescare praticamente ogni co- sa. È certo che in questo, come in altri casi, l’andamento del tutto particolare dello stile di Nie- tzsche ha contribuito in modo decisivo al verificarsi di tali forzature ; tanto che, per certi versi, si può sostenere che sia stato Nietzsche stesso a costruirsi il proprio destino filosofico. D’altro canto però, si ha anche l’impressione che al filosofo tedesco sia stata almeno in parte rubata la scena, al- lorché lo si è ridotto a comparsa all’interno di una costruzione filosofica non più sua. Com’è noto, l’interpretazione heideggeriana, che a partire dagli anni sessanta si è imposta, nel bene e nel male, in maniera pressoché dominante, ha contribuito in modo decisivo a fare di Nie- tzsche uno dei momenti nodali della nostra recente storia filosofica. Nel bene e nel male dicevamo, perché la lettura di Heidegger ha senz’altro avuto meriti notevolissimi - in primis, come è stato ri- levato da più parti, l’introduzione a tutti gli effetti di Nietzsche nell’olimpo della storia della filo- sofia 1 ; meriti che tuttavia non devono portare a trascurare lo specifico taglio ermeneutico imposto da Heidegger. In breve, il Nietzsche di Heidegger è appunto il Nietzsche di Heidegger 2 , ovvero quel Nietzsche che Heidegger si è costruito per raccontare la propria storia, finendo per inquadrar- lo in una vicenda filosofica che, in larga parte, non gli appartiene. La posizione di Heidegger è no- ta. Nietzsche rappresenterebbe il momento culminante di un percorso della metafisica intrinseca- mente violento, in cui il senso dell’essere è stato sistematicamente misconosciuto e occultato a tut- to vantaggio dell’ente. Nonostante tutto la diversità di Nietzsche rispetto agli altri pensatori meta- fisici sarebbe comunque sostanziale : «la filosofia di Nietzsche è la fine della metafisica in quanto ritorna all’inizio del pensiero greco, a suo modo lo ripete e chiude così l’anello formato dal corso del domandare dell’ente in quanto tale nel suo insieme» 3 . Questa appartenenza di Nietzsche alla casa della metafisica fa sì che la sua filosofia rappresenti un semplice transito verso un’epoca post- metafisica, ovvero verso quell’oltre che, secondo Heidegger, sostanzia la nostra post-modernità fi- losofica. Fin qui la forzatura di Heidegger è evidente, ma non pare irreparabile, né tanto singolare : la storia della filosofia è stata infatti piegata a forzature interpretative anche più marcate di quella heideggeriana - il sistema di Hegel è solo l’esempio più clamoroso. Invece, il presupposto heideg- geriano che ha sicuramente determinato in un senso molto preciso le interpretazioni posteriori, a- gendo in maniera più subdola perché meno clamorosamente evidente, è piuttosto un altro, e cioè l’idea assolutamente generale di Heidegger sulla scienza che, trasposta al caso di Nietzsche, fun- ziona da premessa teorica. Ad esempio a proposito dell’Eterno Ritorno : 1 M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen, 1961 ; trad. it. e cura di F. Volpi, Nietzsche, Milano, 1994 : p. 23. 2 Cfr. in merito B. Babich, Nietzsche’s Philosophy of Science, New York, 1994 : p. 36. 3 M. Heidegger, Nietzsche, cit. : p. 385.

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Alle origini dell’ontologia nietzschiana : sulle tracce di Roger Boscovich. Tiziana Andina

1.Spunti per un percorso teorico. Negli ultimi vent’anni il problema dell’esegesi dei testi

nietzschiani è andato organizzandosi (specie in ambiente continentale) attorno ad un nucleo teorico ben preciso, che si può individuare nel rapporto tra Nietzsche e le sue interpretazioni ; tanto che, in maniera senz’altro eccessiva, la filosofia di Nietzsche è stata spesso appiattita sulle sue interpreta-zioni, vittima, non del tutto innocente, di quel processo di dileguamento del dato (inteso, nello spe-cifico, come il percorso oggettivo del pensiero nietzschiano) innescato, in qualche misura, proprio da alcuni presupposti della filosofia di Nietzsche. Un po’ come dire che le letture, tra l’altro nume-rosissime, che si sono susseguite dagli anni della cosiddetta Nietzsche-Renaissance, non hanno so-lo contribuito a spiegare aspetti oscuri e complicati del percorso teorico nietzschiano, ma, molto più frequentemente, si sono presentate come interpretazioni radicali, che hanno utilizzato il pen-siero di Nietzsche come una sorta di immenso serbatoio da cui poter pescare praticamente ogni co-sa. È certo che in questo, come in altri casi, l’andamento del tutto particolare dello stile di Nie-tzsche ha contribuito in modo decisivo al verificarsi di tali forzature ; tanto che, per certi versi, si può sostenere che sia stato Nietzsche stesso a costruirsi il proprio destino filosofico. D’altro canto però, si ha anche l’impressione che al filosofo tedesco sia stata almeno in parte rubata la scena, al-lorché lo si è ridotto a comparsa all’interno di una costruzione filosofica non più sua.

Com’è noto, l’interpretazione heideggeriana, che a partire dagli anni sessanta si è imposta, nel bene e nel male, in maniera pressoché dominante, ha contribuito in modo decisivo a fare di Nie-tzsche uno dei momenti nodali della nostra recente storia filosofica. Nel bene e nel male dicevamo, perché la lettura di Heidegger ha senz’altro avuto meriti notevolissimi - in primis, come è stato ri-levato da più parti, l’introduzione a tutti gli effetti di Nietzsche nell’olimpo della storia della filo-sofia1 ; meriti che tuttavia non devono portare a trascurare lo specifico taglio ermeneutico imposto da Heidegger. In breve, il Nietzsche di Heidegger è appunto il Nietzsche di Heidegger2, ovvero quel Nietzsche che Heidegger si è costruito per raccontare la propria storia, finendo per inquadrar-lo in una vicenda filosofica che, in larga parte, non gli appartiene. La posizione di Heidegger è no-ta. Nietzsche rappresenterebbe il momento culminante di un percorso della metafisica intrinseca-mente violento, in cui il senso dell’essere è stato sistematicamente misconosciuto e occultato a tut-to vantaggio dell’ente. Nonostante tutto la diversità di Nietzsche rispetto agli altri pensatori meta-fisici sarebbe comunque sostanziale : «la filosofia di Nietzsche è la fine della metafisica in quanto ritorna all’inizio del pensiero greco, a suo modo lo ripete e chiude così l’anello formato dal corso del domandare dell’ente in quanto tale nel suo insieme»3. Questa appartenenza di Nietzsche alla casa della metafisica fa sì che la sua filosofia rappresenti un semplice transito verso un’epoca post-metafisica, ovvero verso quell’oltre che, secondo Heidegger, sostanzia la nostra post-modernità fi-losofica.

Fin qui la forzatura di Heidegger è evidente, ma non pare irreparabile, né tanto singolare : la storia della filosofia è stata infatti piegata a forzature interpretative anche più marcate di quella heideggeriana - il sistema di Hegel è solo l’esempio più clamoroso. Invece, il presupposto heideg-geriano che ha sicuramente determinato in un senso molto preciso le interpretazioni posteriori, a-gendo in maniera più subdola perché meno clamorosamente evidente, è piuttosto un altro, e cioè l’idea assolutamente generale di Heidegger sulla scienza che, trasposta al caso di Nietzsche, fun-ziona da premessa teorica. Ad esempio a proposito dell’Eterno Ritorno :

1 M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen, 1961 ; trad. it. e cura di F. Volpi, Nietzsche, Milano, 1994 : p. 23. 2 Cfr. in merito B. Babich, Nietzsche’s Philosophy of Science, New York, 1994 : p. 36. 3 M. Heidegger, Nietzsche, cit. : p. 385.

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Domandiamoci : questa dimostrazione è in generale «scientifica», a prescindere completamente dalla sua pertinenza e «bontà» ? Che cosa vi è in essa di «scientifico» ? Risposta : assolutamente niente. Di che cosa si parla nella dimostrazione stessa e nella serie di definizioni dell’essenza del mondo che le è stata premessa ? Di forza, finitezza, infinità, uguaglianza, ritorno, divenire, spazio, tempo, caos, neces-sità. Tutto ciò non ha niente a che fare con la scienza della natura. […] la scienza della natura fa ne-cessariamente uso di una determinata idea di forza, di movimento, di spazio e di tempo, poiché essa, finché rimane scienza della natura e non compie improvvisamente il passaggio alla filosofia, non può domandare tutto ciò. Che a ogni scienza in quanto tale […] rimangano inaccessibili i propri concetti fondamentali e ciò che essi concepiscono, sta in relazione con il fatto che nessuna scienza può mai as-serire qualcosa di sé con i propri mezzi scientifici4.

Heidegger utilizza dunque una della premesse generali della sua filosofia - la scienza non pensa - e, nell’applicarla a Nietzsche, esclude che il filosofo più avanzato (ancorché sempre metafisico) della nostra modernità, possa averci qualcosa a che fare. La presunta superiorità teorica della filo-sofia rispetto alla scienza impedisce che Nietzsche possa aver rivolto la propria attenzione ai me-todi ed ai risultati dell’indagine scientifica.

Nello stesso periodo, altre letture anticipano o ricalcano, pure con varianti importanti, la posi-zione heideggeriana. Ad esempio, la monografia di Walter Kaufmann, che in qualche misura forma il termine medio che ha consentito l’avvicinamento del mondo anglo-americano a Nietzsche5, si colloca più o meno sulla stessa linea. Nonostante affermazioni come questa : «Nietzsche riteneva non soltanto che la sua dottrina fosse un punto di incontro di scienza e filosofia ; egli pensava an-che di essere riuscito a creare una sintesi delle filosofie di Eraclito e di Parmenide delle immagini dinamiche e statiche del mondo, dell’essere e del divenire»6, l’impianto generale del lavoro di Kaufmann propende chiaramente verso l’idea di un Nietzsche neo-umanista, filosofo dell’esistenza nel senso più classico del termine. Il primo punto che ci sembra utile evidenziare a livello di storia delle interpretazioni, è questo : a partire da Heidegger e Kaufmann - dunque in ambiti culturali dif-ferenti, ma, come vedremo, riconducibili, almeno negli anni cinquanta-sessanta, ad una matrice te-orica comune - sono prevalse linee interpretative riduzioniste, a discapito di problematizzazioni più organiche (e, dunque, anche meglio fondate storicamente) - la monografia di Alwin Mittasch è for-se l’esempio migliore7.

Si ha in fondo l’impressione che, dagli anni cinquanta fino alla seconda metà degli anni sessan-ta, in ambiente anglo-americano, e dagli anni sessanta, con poche eccezioni, a tutt’oggi, in ambito continentale, sia stata raccontata di Nietzsche una storia parziale, e cioè quella che si rifà alle te-matiche che in senso generale possiamo definire etico-morali ; mentre quasi sempre è mancata la contestualizzazione e l’analisi della parte «positiva» della filosofia di Nietzsche, che ha a che fare più o meno direttamente con problematiche epistemologiche e più complessivamente ontologiche. Insomma, per lo più non si è tenuto conto di un aspetto fondamentale del pensiero di Nietzsche - cosa che è particolarmente evidente nel caso dell’attenzione che egli rivolse alle scienze della na-tura del suo tempo ; mentre, si sono spesso liquidate le sue ricerche sul senso e sulla funzione della verità, risolvendole completamente nel rifiuto, un po’ triviale, della verità come adaequatio, e nell’assunzione di un prospettivismo a cui, come minimo, si può imputare, con buona pace della logica, di risolversi in una schiacciante contraddizione performativa. In particolar modo, gli inter-preti europei concedono volentieri a Nietzsche la critica al cristianesimo, qualche osservazione so-cio-politica e di critica della cultura, mentre, paradossalmente, lo privano del suo reale spessore

4 Ivi : p. 310. 5 Su questo tema mi permetto di rimandare al mio Nietzsche e i suoi interpreti americani (1945-1970). I, in «Cultura

e Scuola» 135-136, 1995 : pp. 222-233. 6 W. Kaufmann, Nietzsche, Philosopher, Psychologist, Antichrist, Princeton, 1950 ; trad. it. di R. Vigevani, Nie-

tzsche. Filosofo, psicologo, anticristo, Firenze, 1974 : p. 347. 7 A. Mittasch, Nietzsche als Naturphilosoph, Stuttgart, 1952.

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filosofico, trascurando (o leggendo superficialmente) gli assunti di critica della conoscenza, e, so-prattutto, il suo tentativo di costruire un’idea della sostanza, del soggetto e, in proiezione, dell’universo (dunque una metafisica) ben precisi.

Questo atteggiamento, dicevamo, si è sviluppato parallelamente sia nella tradizione filosofica continentale che in quella anglo-americana (anzi, a rigore, il Nietzsche di Kaufmann precede cro-nologicamente quello di Heidegger), tuttavia si è consolidato diventando prevalente solo nelle let-ture europee. Tale stato di cose ha probabilmente ragioni complesse, che solo marginalmente sono riconducibili a problematiche specificatamente nietzschiane, ma che invece investono per lo più questioni generali, riconducibili allo strutturarsi metodologico della filosofia nel ventesimo secolo, e, nello specifico, al rapporto tra Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften. Il fatto cioè che programmaticamente, più o meno a partire dalla teorizzazione diltheyana del rapporto tra scienze della natura e scienze dello spirito, la filosofia continentale abbia preso a distinguersi tanto nell’oggetto di ricerca, quanto nella metodologia, dalle scienze naturali, prescrivendosi obiettivi in qualche misura minimali (non si può dire nulla di vero sulla realtà, tutt’al più la si può interpretare - il che equivale a ridescriverla), chiamandosi fuori in questo modo da qualsiasi intenzionalità de-notativa, ha fatto sì che chiunque fosse detto o considerato filosofo non potesse aver nulla a che fare con tematiche o problematiche di origine scientifico-epistemologica. In fondo, che Kaufmann fosse d’origine e di formazione tedesca non è affatto un caso ; così come non è un caso che le pri-me (in senso cronologico) letture americane su Nietzsche, ancora fortemente riconducibili ad una matrice continentale, siano state elaborate da autori che, per formazione e studi, si richiamavano fortemente all’idealismo e, più in genere, all’impianto culturale tedesco8. E, analogamente, non è un caso che siano stati proprio gli interpreti anglo-americani a discostarsi per primi da questo mo-do di procedere, spostando il baricentro delle letture nietzschiane dagli interessi etici ad altri più complessivamente epistemologici. Le ragioni di questa scelta, ovviamente, sono ancora una volta squisitamente teoriche, e si possono ricondurre solo in parte a questioni interne all’ermeneutica nietzschiana. A questo proposito, la stagione analitica americana ha avuto più di un merito e, so-prattutto nel caso di Nietzsche, ha dato l’avvio ad un approccio interpretativo che, almeno nelle li-nee generali, crediamo non potrà più essere stravolto.

In pratica, gli autori analitici hanno sottolineato la necessità di ricondurre il discorso di Nie-tzsche alla centralità dell’argomentare filosofico tradizionale, mostrando entro quali termini la sua riflessione si inquadri in quella ormai ampia e consolidata della tradizione, e, nel contempo, in che misura la innovi. Questa linea di lettura mentre evita di seguire Nietzsche sulla strada dell’eccessiva semplificazione, si sforza di ricostruire i nodi tematici della sua riflessione secondo una prospettiva insieme teorica e storica. È proprio l’inquadramento storico, per altro largamente sottovalutato dalla critica continentale, a giocare un ruolo fondamentale nella vicenda nietzschia-na ; nel senso che, piuttosto paradossalmente, fatta eccezione per le radici schopenhaueriane del pensiero di Nietzsche (su cui si è insistito, per altro correttamente, da più parti), manca quasi del tutto un inquadramento storico corretto, che investa quelle tematiche sette-ottocentesche su cui, di fatto, si impernia la sua riflessione - il che è un po’ come dire che manca una comprensione esau-riente e sufficientemente articolata delle fonti nietzschiane. Per la verità, questa situazione va al-meno in parte imputata allo stesso Nietzsche, abilissimo nel dissimulare i propri riferimenti teorici, e dunque nel riconoscere soltanto in parte i propri debiti nei confronti degli autori da cui ha attinto in misura più massiccia - per fare un esempio, basterà ricordare il caso del rapporto Nietzsche-Lange, quasi del tutto sottovalutato fino al fondamentale lavoro di Georg Stack9, che ha saputo

8 Sono significativi in questo senso gli studi di W. M. Salter, Nietzsche the Thinker, New York, 1917, di C. Brinton,

Nietzsche, New York, 1941, e di F. A. Lea, The Tragic Philosopher, New York, 1957. 9 Stack completa questo suo lavoro di ricostruzione delle fonti nietzschiane aggiungendo, alla monografia che con-

cerne il rapporto Nietzsche-Lange (G. Stack, Lange and Nietzsche, Berlin-New York, 1983), quella, altrettanto completa ed organica sulla presenza di tematiche emersoniane in Nietzsche (Nietzsche and Emerson: An Elective Affinity, Athens, 1992).

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correttamente ricostruire il peso della Geschichte des Materialismus nell’economia complessiva del pensiero nietzschiano. Quel che più stupisce, è che nel caso di Lange, non siamo di fronte ad un autore secondario : qualora si ripercorra la Storia del Materialismo avendo presente la struttura complessiva del discorso nietzschiano, si troveranno analogie talmente profonde tra i due autori da far concludere che, spesso, Nietzsche non avrebbe fatto altro che approfondire in direzioni specifi-che il discorso di Lange10. Se dunque, per tanto tempo, è stata possibile una svista interpretativa così rilevante (la monografia di Stack è del 1983), è evidente che misconoscimenti analoghi, o ad-dirittura più consistenti, potrebbero essere toccati per autori che magari hanno agito più in profon-dità (ma non per questo con minor peso) dello stesso Lange.

Per riequilibrare l’analisi del discorso su Nietzsche, è perciò essenziale riandare al suo percorso formativo e focalizzare l’attenzione sulle sue principali letture. Intanto va notato che nel periodo successivo alle dimissioni da Basilea l’interesse di Nietzsche per problematiche in senso largo scientifiche si concretizza in un’enorme quantità di letture specifiche. Ma già nel lasso di tempo che va dal novembre del 1870 al novembre del 1874, come è testimoniato sia da Schlechta-Anders che da Janz11, l’attenzione di Nietzsche per la scienza si va articolando in maniera sempre più pre-cisa e mirata. Negli anni che vanno dal 1880 al 1882 Nietzsche aveva già letto Zeller e Fischer, dopodiché prende a dedicarsi a Otto Liebmann (1840-1912) ordinando il suo Kant e gli epigoni (1865) e Analisi e realtà (1876)12- il tentativo teorico di Liebmann (che interessa Nietzsche così profondamente) consiste nell’eliminare dalla propria visione critica il concetto di cosa in sé. Sem-pre nello stesso periodo si fa inviare da Overbeck uno scritto del darwiniano Otto Caspari, L’ipotesi di Thompson (1876) e di Adolf Fick. Comincia a conoscere il monismo grazie al testo di G. Vogt, La forza. Una concezione realmonista del mondo. Sempre nello stesso periodo rilegge an-che African Spir, Pensiero e realtà. Richiede ancora a Overbeck le riviste «Philosophische Mona-tshefte» e «Kosmos» ; nella prima si andava svolgendo il dibattito tra neo-kantiani, hegeliani e ma-terialisti, mentre, l’obiettivo teorico di Kosmos era elaborare una visione materialista del mondo sulla base della teoria della evoluzione proposta da Darwin. Nel 1881 si avvicina alla Meccanica del calore (1867) di Robert Mayer : una volta stabilito - più o meno contemporaneamente a Hel-mholtz, ma indipendentemente da lui - il principio di conservazione della materia, Mayer vi ag-giunge quello della conservazione dell’energia, e afferma che «l’energia è modificabile solo quali-tativamente, ma dal punto di vista della quantità è indistruttibile»13. La quantità di letture scientifi-che, nonché il livello delle opere scelte, è dunque ragguardevole, «nelle sue letture prevalgono le opere scientifiche e quelle di filosofia positivista : Robert Mayer, Dühring, Spir, Boscovich e poi lo Spinoza di Kuno Fischer»14.

È a dir poco ovvio che una applicazione così sistematicamente attenta alla produzione scientifi-ca del periodo (e non solo a questa) non possa essere casuale15. Pertanto, verrà naturale seguire A-

10 Per una visione complessiva del rapporto Nietzsche Lange si rimanda, oltre che a Stack, a : J. Salaquarda, Nie-

tzsche e Lange, in G. Campioni A. Venturelli (a c. di), La “biblioteca ideale” di Nietzsche, Napoli, 1992 : pp. 19-43 (ap-parso per la prima volta nelle «Nietzsche Studien» VII, 1978 : pp. 236-260), C. Crawford, The Beginnings of Nie-tzsche’s Theory of Language, Berlin-New York, 1988, cap. VI : pp. 67-69, K. J. Ansell-Pearson, The Question of F. A. Lange’s Influence on Nietzsche : A Critique of Recent Research from the Standtpoint of the Dionysian, in «Nietzsche Studien» XVII, 1988 : pp. 539-554, A. Negri, Nietzsche. La scienza sul Vesuvio, Roma-Bari, 1994 : pp. 47-66, P. Poel-lner, Nietzsche and Metaphysics, Oxford, 1995 : p. 139 e sgg.

11 K. Schlechta - A. Anders, Nietzsche. Von der verborgenen Anfängen seines Philosophierens, Stuttgart, 1962 : pp. 261 e sgg. e C. P. Janz, Friedrich Nietzsche. Eine Biographie,. 3 voll., Munchen-Wien, 1978 ; trad. it. a cura di M. Carpitella, Vita di Nietzsche, Roma-Bari, 1980, vol. I : pp. 520 e sgg. e vol. II : pp. 70-73.

12 C. P. Janz, Friedrich Nietzsche, cit., vol. I : pp. 70-71. 13 Cit. in C. P. Janz, op. cit., vol. II : p. 63. 14 Ivi : p. 206. 15 Per la lista completa delle letture scientifiche nietzschiane si rimanda a M. Oehler, Nietzsches Bibliothek, XIV

Jahresgabe der Gesellschaft der Freunde des Nietzsche-Archivs, Weimar, 1942 : pp. 24-27 ; e per un approfondimento delle fonti scientifico-cosmologiche si può vedere P. D’Iorio, Cosmologie de l’eternel retour, in «Nietzsche Studien» XXIV, 1995 : pp. 62-123, soprattutto le pp. 103-105.

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listair Moles allorché si domanda per quale motivo, se esistono delle reali convergenze tra la spe-culazione nietzschiana ed il pensiero scientifico del diciannovesimo e del ventesimo secolo, «sono rimaste così a lungo inosservate»16 Alla motivazione che abbiamo fin qui segnalato (ossia, il forte condizionamento heideggeriano che ha segnato con decisione le letture posteriori), l’autore ameri-cano ne aggiunge altre due : da un lato, una incomprensione a volte profonda, da parte degli inter-preti, delle riflessioni nietzschiane che dalla ricerca sulla materia arrivano fino all’abbozzo cosmo-logico dell’eterno ritorno - incomprensioni che per lo più finiscono per limitare Nietzsche, attri-buendogli i pregiudizi e gli errori dei suoi critici; dall’altro, il ritenere che le idee nietzschiane ap-partengano in blocco ad una fisica ottocentesca (peraltro assolutamente corrente nel periodo in cui lavorava l’autore tedesco) oramai largamente superata17. A questi tre motivi se ne può forse ag-giungere un quarto, che riguarda tanto la ragione di questo stato di cose, quanto la causa di quello che si avvia ad essere il suo superamento. Ci riferiamo alla situazione di sostanziale frattura che nel mondo filosofico continentale si è andata radicalizzando fino ad istituzionalizzarsi, tra le scien-ze storiche e quelle sperimentali ; tanto che non è un caso che proprio gli americani abbiano riaper-to il discorso su Nietzsche - soprattutto a livello di metodologia e di indagine delle fonti - forti di quella che noi un po’ generalmente definiamo esperienza analitica. Non è un caso, dicevamo, per-ché senza voler qui entrare all’interno della sfera dei problemi di un discorso filosofico di tipo ana-litico, è comunque un fatto che la maggior attenzione alla lettera dei testi interpretati, oltre che ai requisiti epistemologici dell’indagine filosofica tradizionale, abbiano evitato, almeno in parte, gli inconveniente delle interpretazioni radicali, portando ad una maggiore contestualizzazione del di-scorso nietzschiano, e, cosa non meno rilevante, ad un atteggiamento interpretativo basato sulla costruzione ; vale a dire sulla volontà di seguire e, se il caso, di ricostruire, il filo conduttore che lega l’epistemologia nietzschiana (come giustamente è stato osservato18, ancora così permeata di neokantismo) con le idee correlate della sostanzialità - e dunque della soggettività - dello spazio, del tempo e dell’organizzazione complessiva della realtà19. Con questo non si vuole concludere che l’esigenza critica (nella fattispecie di critica della morale) sia assente dal discorso nietzschiano ; piuttosto, la si vuole ricondurre ad una funzione propulsiva rispetto ad interessi che si fanno via via più complessi, e che sanciscono il passaggio da una speculazione in primo luogo critico-decostruttiva (genealogia della morale dominante), ad un’altra essenzialmente ricostruttiva e posi-tiva, che (per comodità) possiamo chiamare ontologia della potenza, servendoci di una formula che sottintende una precisa presa di posizione da parte di Nietzsche proprio riguardo alla filosofia della natura ed ai più classici concetti metafisici.

16 A. Moles, Nietzsche’s Philosophy of Nature and Cosmology, New York, 1990 : p. 13. 17 Ibidem. 18 È la tesi fondamentale di M. Clark, Nietzsche On Truth And Philosophy, Cambridge, 1990 e, più recentemente di

M. Ferraris, Ontologia, in M. Ferraris (a c. di), Nietzsche, Roma-Bari, in corso di pubblicazione. 19 I testi e gli articoli degli autori americani che soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni sessanta ad oggi

hanno seguito, in maniera più o meno riuscita, questa direzione sono davvero molti. Qui, oltre ai già citati lavori di Stack e di Moles, ci limitiamo a segnalare quelli che a nostro giudizio sono più rilevanti, rimandando per una bibliografia più completa al mio Il volto americano di Nietzsche. La ricezione di Nietzsche in America dal 1945 al 1996, Napoli, in corso di pubblicazione : G. A. Morgan, What Nietzsche Means, New York, 1965 (1a ed. 1945), J. Stambaugh, Nietzsche's Thought of Eternal Return, Baltimore-London, 1972, J. H. Combee, Nietzsche as Cosmologist : The Idea of the Eternal Recurrence as a Cosmological Docrtrine and Some Aspects of Its Relations to the Doctrine of the Will to Power, in «In-terpretation» IV, 1974 : pp. 38-47, J. Wilcox, Truth and Value in Nietzsche, Ann Arbor, 1975, R. H. Grimm, Nie-tzsche’s Theory of Knowledge, Berlin-New York, 1977, B. Magnus, Nietzsche’s Existential Imperative, Bloomington-London, 1978, M. C. Sterling, Recent Discussions of Eternal Recurrence: Some Critical Comments, in «Nietzsche Stu-dien» VI, 1977 : pp. 261-291, K. Ansell-Pearson, The Question of F. A. Lange’s Influence on Nietzsche : A Critique of Recent Research from the Standtpoint of the Dionysian, in «Nietzsche Studien» XVII, 1988 : pp. 539-554, C. Crawford, The Beginnings of Nietzsche’s Theory of Language, Berlin-New York, 1988, M. Warren, Nietzsche and Political Thought, Massachusetts, 1988, S. Houlgate, Kant, Nietzsche and the “Thing in Itself”, in «Nietzsche Studien» XXII, 1993 : pp. 115-157, B. Babich, Nietzsche's Philosophy of Science, New York, 1994, P. Poellner, Nietzsche and Meta-physics, cit.

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Per tutti questi motivi, una delle tendenze che stanno emergendo con maggiore chiarezza all’interno della critica nietzschiana (prevalentemente in quella d’oltre oceano, ma non solo), con-siste proprio nella volontà di riandare alle fonti di Nietzsche, ricostruendo con pazienza le basi teo-riche che il filosofo tedesco ha preso a prestito dalla filosofia e dalle scienze sette-ottocentesche. In questa prospettiva, crediamo si inserisca bene (essendo uno dei tasselli fondamentali di un discorso che, come abbiamo cercato di anticipare, è per altro assai vasto e complesso) uno studio sui rap-porti tra Nietzsche e Boscovich, o, meglio, su ciò che Nietzsche prese a prestito dalla fisica bosco-vichiana, a supporto tanto della propria idea di sostanza, quanto della propria cosmologia. Quel che si vuole suggerire è che la teorizzazione di Roger Boscovich ha di fatto fornito a Nietzsche i presupposti su cui costruire la filosofia della potenza, ricollegandosi, attraverso l’opera dello scienziato dalmata, alla tradizione di Newton e di Leibniz, e con essa al mondo filosofico-scientifico della seconda metà del seicento e degli inizi del settecento.

2. Boscovich, l’ oltre di Newton e di Leibniz. Roger Boscovich nasce a Dubrovnick nel

1711 da madre italiana. Rimane nella città natale fino a quattordici anni ; nel 1725 si sposta a Ro-ma dove compie gli studi all’interno della Compagnia di Gesù, fino a diventare professore di ma-tematica nel Collegio Romano. Vi rimane trentatré anni, salvo una breve interruzione nel 1733 quando si reca a Fermo per motivi di salute ; inoltre, tra il 1750 e il 1752 si occupa della misura-zione dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini, e nel 1756 viene inviato a Lucca come esperto i-drologico. Nel 1757 si stabilisce a Vienna come rappresentante del Governo di Lucca. In questo periodo comincia a staccarsi dalla sua base. Dal 1758 lo troviamo continuamente in viaggio : Pari-gi, Oxford, Greenwich, Cambridge ; e, ancora, Olanda, Germania, Turchia, Polonia e, da ultimo, nel 1763 ritorna a Roma oramai completamente indipendente dal Collegio Romano20. Nel 1764 passa all’Università di Pavia : vi rimane per cinque anni, con tre interruzioni ancora per motivi di salute, nel 1765 si reca a Viterbo, nel 1768 a Parigi e a Bruxelles. Sempre nel 1768 è chiamato all’Osservatorio di Brera dove si ferma fino al 1773, anno in cui per una serie di vicende abbando-na Milano per tornare a Parigi e fermarsi nove anni. Dopo aver trascorso alcuni mesi in Toscana e nel Veneto, e aver compiuto un lungo viaggio a Roma e Milano, nell’85 si ritira a Monza. È co-stretto a tornare ancora una volta a Milano nell’87 per ragioni di cura e qui si spegne il 13 febbraio dello stesso anno.

Come si vede da questi rapidi cenni biografici, la vita di Boscovich fu pressoché divisa in due ; a un periodo romano di studio e di lavoro fin verso i cinquant’anni, ne seguì un altro, anch’esso abbastanza lungo, di intensi viaggi e continui spostamenti. Lungo tutto l’arco della sua vita, Bo-scovich continuò comunque gli studi con grande vivacità e spiccatissimo senso d’innovazione. Il suo profilo scientifico è quello tipico di uno studioso del diciottesimo secolo : non solo uomo di scienza, ma anche colto letterato e per di più abile politico, capace di svolgere un’intensa opera di-plomatica nelle più importanti corti europee. All’interno di questa attività complessa e assai varia, sono centrali gli interessi tecnico-scientifici : si occupò di problemi di ingegneria (il più noto è quello relativo alla Cupola di San Pietro), di questioni idrologiche (la bonifica delle Paludi Ponti-ne), di problemi di ottica pratica (specialmente del calcolo e della costruzione degli obiettivi acro-matici), di misurazioni topografiche e geodetiche (ad esempio il calcolo dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini), e soprattutto di questioni scientifiche, con particolare riguardo alla struttura della materia in riferimento all’atomistica, alla meccanica celeste e all’osservazione astronomica21. Il nucleo centrale dei suoi interessi si estendeva perciò a comprendere un gruppo di scienze che van-no dalla matematica all’ottica, da questa all’astronomia (ivi comprese le questioni riguardanti la natura della luce), fino alla struttura della materia. Va subito precisato che l’attività scientifica di

20 Cfr. V. Ronchi, R. Boscovich e il suo tempo, in Atti del Convegno internazionale del 2500 anniversario della na-scita di R. G. Boscovich e del 2000 anniversario della fondazione dell’Osservatorio di Brera, Milano, 1963 : p. 12.

21 Ivi : p. 13.

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Boscovich è da leggersi all’interno dell’enorme processo di trasformazione impresso alla fisica moderna da Newton ; quando infatti il fisico inglese morì, Boscovich aveva quindici anni (1726), era appena giunto a Roma, e qui le ricerche newtoniane gli vennero presentate dai suoi maestri come le maggiori scoperte scientifiche di tutti i tempi. Così, ovviamente, già in gioventù Bosco-vich divenne un newtoniano convinto ; il che tuttavia non significò un appiattimento delle sue po-sizioni sul newtonianesimo imperante, piuttosto, da newtoniano, egli cercò di superare i limiti di due teorie dinamiche contrapposte in senso frontale : quella di Newton appunto e quella leibnizia-na.

Ma facciamo un passo indietro. Abbiamo detto che l’epoca in cui lavora il matematico dalmata è quella immediatamente successiva all’importante polemica tra Newton e Leibniz (e alla succes-siva, sostanziale, affermazione di Newton), che, com’è noto, ha le sue radici nella disputa sulla pa-ternità del calcolo infinitesimale22, per estendersi poi alla serrata critica da parte del filosofo tede-sco dell’idea newtoniana di azione a distanza. Qui tralasceremo le questioni intorno al calcolo in-finitesimale che sono marginali rispetto ai nostri interessi, per soffermarci sui problemi aperti dalla gravitazione universale e dell’attrazione a distanza. I testi di riferimento obbligatorio a questo pro-posito sono due : Philosophiœ Naturalis Principia Mathematica (1687) e l’Opticks (1704). Co-minciamo dai Principia. Si tratta di un lavoro complesso - soprattutto la prima edizione - in cui il fisico inglese elabora la sua idea della gravitazione attraverso un’opposizione dialettica alla teoria cartesiana dei vortici, ovvero, tramite l’esclusione dalla meccanica, come lo stesso autore sottoli-nea nella Prefazione23, tanto delle forme sostanziali, quanto delle qualità occulte. La sezione inti-tolata Definitiones consta di otto definizioni e di uno Scholium, e insieme agli assiomi forma la parte teorica fondamentale della costruzione newtoniana. Nella prima definizione Newton sostiene che la misura della quantità della materia deriva insieme da densità e grandezza, e ciò a prescinde-re dal mezzo - ossia dall’etere. Per quantità di materia, continua Newton, si intende il «corpo o massa», che ci permette di conoscere il peso dei corpi24. La seconda definizione riguarda la quanti-tà di movimento : il movimento totale è la somma dei movimenti di ognuna delle parti che formano la materia. La terza definizione concerne invece l’inerzia ; si tratta di «una forza che risiede nella materia»25, una capacità di resistenza sempre proporzionale alla materia dei corpi. L’inerzia si e-sercita ogni volta che si vuol cambiare la posizione di un corpo ; la si può quindi considerare da due differenti angolazioni : come resistenza alla forza contro il cambiamento di posizione, e come impulso di fronte all’ostacolo che oppone resistenza. Su questa linea, movimento e quiete sono sempre relativi, ovvero, i corpi non sono mai in quiete (o, all’opposto, in movimento) in senso as-soluto. Nella quarta definizione Newton si riferisce alla «forza impressa», cioè all’azione in grado di cambiare lo stato di movimento rettilineo o di quiete di un corpo, notando che una volta esaurita questa forza, nel corpo non rimane altro che la forza di inerzia. La forza impressa può avere tre dif-ferenti origini : vale a dire l’urto, la pressione o la forza centripeta. La quinta definizione circoscri-ve la forza centripeta : «è la forza per effetto della quale i corpi sono attratti, o sono spinti, o co-munque tendono verso qualche punto come verso il centro»26. Possiamo annoverare tra le forze di questo tipo la gravità, la forza magnetica e la forza che in ogni momento fa sì che i pianeti non compiano un moto rettilineo, ma procedano secondo un’orbita circolare. Le definizioni sesta e set-tima tracciano un’analogia tra forza centripeta e forza magnetica ; la forza di gravità viene fatta di-pendere dalla distanza, e, soprattutto, Newton ritiene che essa sia la stessa a parità di distanza. Ne deriva che, prescindendo dall’aria, l’accelerazione di tutti i corpi che cadono, leggeri o pesanti che

22 Per maggiori ragguagli sul tema si rimanda a I. T. More, Isaac Newton. A Biography, New York, 1962 : pp. 565-

607. 23 I. Newton, Philosophiœ Naturalis Principia Mathematica, London, 1687 ; trad. it. e c. di A. Pala, Principi mate-

matici della filosofia naturale, Torino, 1965 : p. 55. 24 Ivi : pp. 92-93. 25 Ivi : p. 93. 26 Ivi : p. 95.

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siano, è la stessa27. Infine, nell’ultima definizione, Newton sostiene che la forza di gravità aumenta proporzionalmente con il peso del corpo28. Nel lungo e complesso scolio con cui Newton termina le otto definizioni viene esposta la teoria dello spazio e del tempo assoluti.

Gli assiomi o leggi del movimento si compongono di tre leggi, sei corollari ed una nota29. La prima legge enuncia il principio di inerzia - i proiettili tendono a preservare da loro stessi i movi-menti, ma la resistenza dell’aria li rallenta e la gravità li spinge verso il basso. Nel caso in cui un corpo che ruota intorno ad un altro descriva aree proporzionali ai tempi, la forza che muove il pri-mo corpo è la risultante della forza che tende al secondo e della sua accelerazione. La terza enun-cia il principio di azione e reazione - ogni corpo che agisce su di un altro subisce, a sua volta, un’azione da quest’ultimo. Com’è noto, il primo libro è diviso in quattordici sezioni ; di queste, le più importanti sono le prime tre in cui Newton fornisce i fondamenti del metodo matematico usato nel proseguo del suo lavoro. Nella seconda sezione del primo libro il fisico inglese studia come si ottengono le forze centripete30 : ci insegna che le aree descritte nei movimenti curvilinei dei corpi attorno ad un centro immobile sono sullo stesso piano e proporzionali ai tempi impiegati per per-correrle ; e che la forza centripeta tende di necessità al centro. Nel caso in cui un corpo che ruota intorno ad un altro descriva aree proporzionali ai tempi, la forza che muove il primo corpo è la ri-sultante della forza che tende al secondo e della sua accelerazione. Veniamo allo scolio di p. 161 : «poiché il descrivere uniformemente le aree è indice di un centro al quale tende quella forza dalla quale un corpo è massimamente affetto, e per effetto della quale viene deviato dal moto rettilineo ed è trattenuto nella sua orbita, perché non considerare nel seguito questa descrizione uniforme delle aree come indice di un centro, intorno al quale si effettua ogni moto circolare negli spazi li-beri ?». Dal momento che questo sembra essere il caso dei corpi celesti - come del resto hanno no-tato anche Hooke, Wren e Halley - bisogna fare attenzione alla forza centripeta che decresce in mi-sura doppia del quadrato della distanza dal centro. Inoltre, analogamente a quanto fatto da Hu-ygens nel suo De Horollogio oscillatorio, Newton paragona la forza di gravità alle forze centripete dei corpi che girano. Dalle considerazioni fin qui svolte - ci dice Newton al termine dell’undicesima sezione - si arriva a dedurre l’esistenza di una analogia tra le forze centripete e i corpi verso cui tali forze si dirigono31 ; perciò, prosegue il fisico inglese, è verosimile pensare che le forze dipendano dalla natura e dalla qualità dei corpi. Se ne deduce, che l’attrazione tra corpi si calcola assegnando forze ad ognuna delle parti e, successivamente, sommandole tutte.

Il contenuto del secondo libro è del tutto differente, ma non meno interessante : lo scienziato inglese considera i fluidi, in un percorso che va dall’idrostatica fino alla propagazione delle onde in un mezzo fluido. La nona sezione di questo secondo libro è dedicata al moto circolare dei fluidi, ed è estremamente importante giacché in quest’ambito Newton discute (e confuta) la teoria dei vortici nell’accezione cartesiana e leibniziana : i vortici infatti - è la posizione del fisico inglese - non seguirebbero le leggi del moto circolare dei fluidi. La seconda parte di uno degli scolii32 mo-stra come Newton abbia cercato le proprietà dei vortici per verificare la possibilità di utilizzarli per spiegare i fenomeni celesti. L’osservazione dimostra come i periodi dei pianeti che girano attorno a Giove sono una volta e mezzo la loro distanza dal centro di Giove ; la stessa regola vale per i pianeti che girano attorno al Sole. Se tutti questi pianeti fossero trasportati dai vortici dovrebbero obbedire, nel loro movimento rotatorio, alla medesima legge. Invece, i tempi di rotazione delle par-ticelle nei vortici corrispondono al quadrato della loro distanza dal centro di rotazione. Tale di-stanza diminuisce dal quadrato a una volta e mezzo se la materia del vortice si fa più fluida pro-porzionalmente al nostro allontanamento dal centro, oppure se la resistenza del fluido aumenta in

27 Ivi : p. 98. 28 Ivi : p. 99. 29 Ivi : pp. 113-136. 30 Ivi : pp. 155-174. 31 Ivi : p. 339. 32 Ivi : pp. 588-590.

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misura maggiore della velocità del corpo che si muove al suo interno. Ma entrambe le possibilità sono inconciliabili con la tesi sostenuta da Newton. «Per cui l’ipotesi dei vortici urta totalmente contro i fenomeni astronomici, e conduce non tanto a spiegare quanto a oscurare i moti celesti»33.

L’Ottica, già pronta dal 1675, tratta un’altra questione di assoluto interesse per la fisica del di-ciassettesimo secolo, e, almeno in parte, anche per la nostra : la natura della radiazione. La que-stione xx34 enuncia le difficoltà che si presentano qualora si consideri la luce come una pressione, o un moto propagato attraverso un mezzo fluido ; Newton studia la resistenza dei fluidi, che deriva in parte dalla forza di attrazione delle diverse parti del mezzo e, in parte, dalla forza di gravità. La questione xxiii sostiene che le particelle dei corpi possiedono certe virtù (o forze) grazie alle quali agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce, ma anche le une sulle altre, dando origine così alla maggior parte dei fenomeni naturali. Tale azione (di alcuni corpi su altri) si produce per gravità, per magnetismo o per elettricità. Qui - e la cosa è significativa - Newton non esamina le cause di questa forza : essa può essere prodotta da impulsi o da elementi per lo più sconosciuti. Per spiegare il fenomeno della coesione i fisici hanno elaborato varie ipotesi : le più importanti (quelle degli a-tomi uncinati e quelle secondo cui le particelle dei corpi si fissano tra loro in stato di quiete) sono tuttavia insostenibili o poco esplicative. L’ipotesi maggiormente plausibile sembra essere allora un’attrazione tra particelle, che si verificherebbe nel contatto immediato a causa di una forza (e-stremamente grande) che a breve distanza provoca precise variazioni chimiche, mentre, a distanze elevate, non comporterebbe effetto alcuno. D’altra parte, continua Newton, tutti i corpi (compresi i raggi di luce) sembrano composti di particelle solide, dato che un certo numero di proprietà non sembra trovare altra spiegazione convincente. Sulla linea delle considerazioni che abbiamo cercato di ricostruire almeno sommariamente, Newton deduce le due proprietà fondamentali delle materie semplici : la solidità e l’impenetrabilità, entrambe suffragate dall’esperienza. Le particelle più pic-cole, ipotizza Newton, entrano in contatto spinte da forti attrazioni, dando origine a particelle più grandi che, a loro volta, si uniscono con forza attrattiva minore, formando particelle ancora più grandi, e così via, fino ad arrivare alle particelle in assoluto più grandi. Queste ultime sono sogget-te alle trasformazioni chimiche e danno luogo ai corpi sensibili. Inoltre, Newton passa a dimostrare che là dove terminano le forze attrattive ne nascono di repulsive : ragion per cui a questo punto il fisico inglese è in grado di spiegare sia il mondo macroscopico che quello microscopico. In base a queste considerazioni, Dio avrebbe creato la materia in modo che le sue particelle primordiali sia-no fisse, solide, impenetrabili, inerti e mobili ; dal che deriverebbe anche la solidità assoluta di questi corpi primitivi rispetto a quella dei loro composti.

L’idea che la materia abbia una struttura atomica segue di poco alla rinascita dei ragionamenti infinitesimali, allo sviluppo del metodo di esaustione e agli infinitesimi di Cavalieri : in questo senso, quando la fisica cominciò a pensare la materia come una parte dello spazio o addirittura come coincidente con lo spazio, il trasferimento teorico dei ragionamenti infinitesimali alla mate-ria non presentò, in linea di massima, difficoltà rilevanti, diversamente da quanto accadde nel caso della verifica sperimentale. «La scienza di questo periodo pertanto si presenta come un complesso costituito dalla illegittima mescolanza di linguaggi dissimili ; ma è da questa situazione che co-mincia ad affiorare […] l’idea che una teoria astratta come la matematica può diventare lo schema interpretativo della materia»35. Il motivo per cui negli ambienti scientifici del primo seicento si cominciò a far ricorso alla teoria corpuscolare (o atomica) della materia sono sostanzialmente due : da un lato la necessità di una maggiore adeguatezza metodologica nelle ricerche fisiche, dall’altro l’urgenza di elaborare una spiegazione per il fenomeno della coesione. In quest’ambito, la teoria atomica di origine filosofica provvedeva ad inquadrare il problema in merito alla materia e al mo-

33 Ivi : p. 593. 34 I. Newton, Opticks : or A Trataise of the Reflexions, Refractions, Inflexions, and Colours of Light. Also two Trea-

tises of the Species and Magnitudine of Curvilinear Figures, London, 1704 ; trad. it. a c. di A. Pala, Scritti di Ottica di Isaac Newton, Torino, 1978 : pp. 561-562.

35 A. Pala, Isaac Newton, Torino, 1969 : p. 203.

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vimento. Con gli infinitesimali, si prospettava la possibilità di allargare alla fisica (dunque, alla materia) l’infinita divisibilità matematica, anche se proprio la materia finiva per porre abbastanza immediatamente il problema del limite - in altri termini, era naturale domandarsi come un corpo finito potesse essere diviso all’infinito, oppure in quale momento cessasse la divisibilità fisica per iniziare quella matematica ecc. Pur essendo nell’aria, lo svincolamento della divisibilità metameri-ca da quella fisica non era stato teorizzato, motivo per cui, ancora durante i primi decenni del sei-cento, la nozione di atomo non poteva essere trattata come un postulato : in questo senso, sia i filo-sofi che gli scienziati si trovarono a dover fare i conti con l’idea dell’esistenza attuale degli atomi. «Essi presupponevano che con la risoluzione di un corpo negli atomi costituenti, questi ultimi si comportassero come lo stesso corpo e godessero delle medesime proprietà»36. Perciò, anche consi-derando gli atomi alla stregua di presupposti teorici esatti, essi restavano pur sempre dei presuppo-sti ; con la logica conseguenza che né la fisica gassendista, né quella cartesiana potevano pretende-re un carattere matematico, nel duplice senso che non si impegnavano a trattare matematicamente gli atomi, e che, ovviamente, tralasciavano di fornirne l’elaborazione scientifica. Quindi, almeno in questa fase, gli scienziati si sono trovati ad aver a che fare con modelli immaginifici per nulla sot-toponibili a verifica sperimentale37.

Ora, lo scritto che fece scuola nell’ambito del corpuscolarismo inglese è senz’altro l’opera di R. Boyle The Origins of Forms and Qualities, according to the Corpuscolar Philosophy, edita nel 1666. Boyle vi traccia la sua filosofia della materia : Dio ha impresso alla materia il movimento in diverse direzioni ed in quantità differenti, perciò, materia e movimento sarebbero le qualità prima-rie di tutte le cose38. All’inizio, la materia (dotata di moto) probabilmente era divisa in particelle di diversa grandezza, forma e movimento. Per quanto, almeno in via teorica, divisibili all’infinito, a causa delle dimensioni ridotte e della solidità, queste particelle risultano, di fatto, indivisibili39. In quest’ottica, la natura di un qualsiasi composto dipende dalla grandezza e dalla forma delle parti componenti, oltre che dalla grandezza e dalla forma degli spazi tra le particelle, e dal moto delle parti in un dato momento. Come si vede, la scienza pre-newtoniana si serviva di nozioni apparte-nenti a linguaggi e ambiti differenti - su tutti quello fisico-matematico - come i concetti di punto geometrico, di forza e di corpuscolo, che, ovviamente, nella pratica finivano per intrecciarsi in ma-niera confusa. Tre sono i punti fondamentali (di natura sia teorica che pratica) su cui Newton si ba-sa per inficiare tanto la nozione di atomo, quanto quella di corpuscolo : 1) l’impossibilità di prova-re l’esistenza dell’atomo 2) l’inutilizzabilità - per definizione - dell’atomo per spiegare sia la mate-ria infinitamente piccola, che le masse planetarie 3) inoltre, il fatto che la tradizione filosofico-scientifica non lo avesse mai considerato un centro di forza. Nonostante questi inconvenienti il fi-sico inglese era comunque persuaso che non si dovesse rinunciare in via definitiva all’idea di una forza applicata ad un punto, o, all’inverso, all’idea di un punto capace di esercitare una forza :

36 Ivi : p. 207. 37 Lacuna questa ben sottolineata da C. Maclaurin : «gli infinitesimi e gli infinitamente piccoli sono passati dalla ge-

ometria alla fisica, e con sé hanno portato l’oscurità e la perplessità che non poteva non accompagnarli. Alcuni hanno ammesso la divisione attuale come anche la divisibilità della materia all’infinito. I fluidi sono stati considerati come composti di particelle infinitamente piccole, e questa divisione la si è supposta continuata all’infinito. Per spiegare i fe-nomeni della natura si sono immaginati vortici di una infinità di gradi, o per lo meno di un numero indefinito, ad imita-zione degli indefinitamente più piccoli nella geometria ; per modo che quando un ordine più elevato è insufficiente, o include difficoltà insormontabili, si è fatto ricorso ad un ordine inferiore per conservare il sistema privilegiato. Si è sup-posto che la natura durante le sue operazioni avanzasse con passi infinitamente piccoli. Si sono respinti i corpi perfetta-mente duri e l’antico sistema degli atomi è stato trattato come un’immaginazione, in quanto nelle loro azioni e collisioni essi sarebbero passati di colpo dal movimento al riposo, o dal riposo al movimento contro questa legge. Così la dottrina dell’infinito ha dominato nelle nostre speculazioni di geometria e di fisica. Queste supposizioni, che da principio furono proposte con diffidenza, come molto utili per scoprire nuovi teoremi in geometria con una grande facilità, e che furono sopportate solo per giungere a questo fine, si sono estese fino al punto di avvilupparsi di idee astratte, che ottengono di imbarazzare la geometria e le scienze che ne dipendono» (cit. in A. Pala, Isaac Newton, nota 1 : pp. 207-208).

38 R. Boyle, The Origins of Forms and Qualities (according to the Corpuscolar Philosophy), London, 1666, in T. Birch (a c. di), Works of the Hounourable Robert Boyle, 6 voll., London, 1772, vol. III : p. 15.

39 Ivi : p. 29.

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«l’operazione effettuata da Newton si può così schematizzare : assunto il punto geometrico dei ma-tematici e dotatolo della materialità propria al corpuscolo o all’atomo dei fisici, egli gli conferisce la proprietà di subire e di esercitare una forza ; ossia, dalla matematica Newton passerà alla mec-canica razionale e da questa alla fisica»40. Pertanto, il fisico inglese finì per delegare alla meccani-ca razionale il compito di operare una mediazione tra matematica e fisica ; la nozione di corpusco-lo che deriva da questa sintesi non indicherà più solamente una quantità infinitesima di materia, ma anche le masse dei pianeti e del Sole, interpretate come concentrate in un solo punto che emana energia - in breve, la dinamica newtoniana scaturisce dalla sintesi tra punto geometrico, forza e materia. Poiché la meccanica razionale era per Newton la scienza delle forze e dei moti, e poiché le forze, secondo la sua impostazione, potevano essere studiate solamente nella loro applicazione a qualcosa, materializzando il punto geometrico, il fisico inglese veniva ad ottenere il concetto sinte-tico di massa puntiforme, a cui connetteva la nozione di vuoto (tradizionalmente legata all’idea di atomo) utilissima per applicarvi le teorie sull’attrazione a distanza.

Questa, in estrema sintesi, la situazione della ricerca newtoniana al momento della morte dello studioso inglese. In un primo momento non pare che Boscovich abbia avanzato riserve particolari sulla teoria corpuscolare della radiazione, dato che le sue pubblicazioni, almeno stando al materia-le in nostro possesso, riguardano principalmente argomenti di natura matematica e ricerche astro-nomiche. Tuttavia, già in una dissertazione tenuta al Collegio Romano nel 1747, De viribus vivis, sono evidenti gli interessi di Boscovich per i problemi della meccanica ; mentre l’anno seguente (1748) pubblica una dissertazione, tenuta al Seminario Romano dei Gesuiti, in cui affronta diret-tamente la teoria corpuscolare della luce (De lumine). Nel 1758 esce Theoria Philosophiœ Natura-lis, l’opera più importante - su cui torneremo più diffusamente tra breve - in cui Boscovich piutto-sto che criticare in singoli punti la teoria newtoniana, propone un modello alternativo, che secondo le sue intenzioni, dovrebbe poter superare le numerose difficoltà lasciate aperte dall’impostazione del fisico inglese. Come abbiamo già anticipato, per spiegare la natura della radiazione Newton si serve della teoria corpuscolare, tentando di ricondurre la rifrazione dei raggi, nel passaggio attra-verso una superficie di separazione fra due corpi di struttura diversa, alla teoria dell’attrazione fra corpi. Il principale obiettivo newtoniano non era tanto spiegare la rifrazione (di cui per altro all’epoca si sapeva ben poco), quanto piuttosto dar ragione della variazione della rifrazione, vale a dire della dispersione della radiazione, dopo aver ammesso che i corpuscoli soggetti a tale fenome-no avevano massa diversa, e che quindi, subendo l’azione del corpo rifrangente, erano deviati in maniera non uniforme. Tuttavia, la costruzione newtoniana non era completamente esauriente ; tanto per fare un esempio, la spiegazione di Newton della rifrazione come effetto dell’attrazione della massa del corpo rifrangente su quello dei corpuscoli della radiazione, porta almeno a tre con-seguenze importanti : a) la velocità di propagazione dei corpuscoli deve aumentare proporzional-mente alla densità del corpo rifrangente b) la velocità deve essere legata alla densità del corpo stesso, inoltre c) la variazione di rifrazione (dispersione) dipende, a parità di densità del corpo ri-frangente, solamente dalla diversità della massa dei corpuscoli, ovvero, più in generale, il rapporto fra rifrangenza e dispersione deve essere uguale per tutte le sostanze. Newton non prende atto di queste conseguenze che, di fatto, avrebbero richiesto un ripensamento dei presupposti teorici di al-cune parti del suo discorso : accetta la maggior velocità dei corpuscoli nei corpi più densi, ricono-sce che per certe categorie di corpi la rifrazione è più alta che per certe altre a parità di densità, ma non arriva fino a trarre per intero le conseguenze di queste osservazioni. La difficoltà principale consisteva perciò nello spiegare quella serie di fenomeni che oggi vanno sotto il nome di interfe-renza, diffrazione e polarizzazione. Comunque, anche senza arrivare allo specifico di questi feno-meni, ve ne era uno che da solo, per semplicità e notorietà, bastava a suggerire un ripensamento generale della teoria newtoniana : la riflessione sulle superfici trasparenti. Allorché un fascio di radiazione incide sopra una superficie trasparente (ad esempio, acqua o vetro), viene riflesso se-

40 A. Pala, Isaac Newton, cit. : p. 210

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condo una percentuale di circa il 5%, mentre la restante parte (più o meno il restante 95%) penetra nella stessa sostanza. L’obiezione fondamentale che è stata mossa a Newton è allora questa : come è possibile che di tante particelle, tutte uguali, incidenti sullo stesso corpo, nelle stesse condizioni, una parte venga attratta nel corpo, con velocità accresciuta, mentre un’altra, seppure piccola, venga respinta nel primo mezzo, senza una sostanziale variazione di velocità ? Problemi come questo e come quelli (analoghi) aperti dal comportamento dello spato d’Islanda, non potevano non suggeri-re la necessità di un ripensamento sostanziale dei presupposti della fisica newtoniana.

Boscovich, avverte chiaramente le difficoltà interne al modello del fisico inglese, perciò cerca di operare in modo da modificarne almeno in parte la base teorica : una volta riconosciuto che le propagazioni ondulatorie delle radiazioni non possono seguire linee rette, non restava al matemati-co dalmata che accettare la teoria corpuscolare ; tuttavia, quest’ultima doveva essere profondamen-te perfezionata dal momento che, come abbiamo avuto modo di sottolineare, anche in Newton re-stava problematica. Il che, in sostanza, ha portato Boscovich a rivedere le idee newtoniane circa la struttura della materia e le leggi dell’interazione fra le particelle submicroscopiche. È a questo punto che entra in gioco la concezione della materia e, più in generale, la dinamica leibniziana41. Come si sa, Leibniz elabora la propria dinamica in cosciente opposizione con Cartesio ; quest’ultimo, in sintesi, riteneva che l’essenza della materia fosse l’estensione, che la quantità di movimento presente nell’universo fosse costante e che la forza fosse proporzionale alla quantità di movimento. Leibniz, dal canto suo, «dimostrò che l’essenza della materia non può essere l’estensione, che la quantità totale del movimento non è costante, ma che (e questo Descartes non lo sapeva) la quantità di movimento in una direzione data è costante»42. Inoltre, il filosofo tedesco riteneva che il concetto di forza fosse indispensabile per definire la sostanza : «all’inizio, appena riuscii a liberarmi del giogo di Aristotele, caddi nelle teorie del vuoto e degli atomi […] Ma dopo lunghe meditazioni mi ricredetti e mi accorsi che è impossibile trovare i principi di una effettiva unità della materia in sé stessa e in ciò che è passivo […] dunque per trovare queste unità reali, fui costretto a ricorrere ad un punto reale ed animato, per così dire, o ad un Atomo di sostanza che de-ve includere qualcosa di formale o attivo, per farne un essere completo»43. La caratteristica fonda-mentale della sostanza semplice44 non sarebbe perciò l’estensione, ma, più verosimilmente, la forza e, nello specifico, la resistenza che, in quanto tale, è originaria rispetto all’estensione45 : «l’essenza dei corpi deve essere posta non nell’estensione e nelle sue modificazioni, cioè nel movimento e nella figura (che implicano qualcosa di immaginario, al pari del calore e di altre qualità sensibili), ma nella sola potenza di agire e di resistere, che percepiamo, non già con l’immaginazione, ma con l’intelletto»46. La resistenza, dal canto suo, implica altre due proprietà distinte, l’impenetrabilità e

41 In questo senso è significativa la posizione di G. Gale, Leibniz’ Dynamical Metaphysics and the Origins of the vis

viva Controversy, in «Systematics» XI, 1973 : pp. 184-207. 42 B. Russell, The Philosohy of Leibniz, London, 1900 ; trad. it. di E. Bona Cucco, Esposizione critica della filosofia

di Leibniz, Milano, 1971 : p. 137. 43 G. W. Leibniz, Système nouveau de la nature et de la comunication des substances, aussi bien que de l’union

qu’il y a entre l’âme et le corps, in «Journal des Savans» 27 giugno e 14 luglio 1695 ; trad. it. a cura di D. O. Bianca, Nuovo sistema della natura e della comunicazione delle sostanze e dell’unione tra l’anima e il corpo, in Scritti filosofici 2 voll., Torino, 1967, vol. I : p. 190.

44 Per una discussione generale della sostanza leibniziana si rimanda tra gli altri a B. Mates, The Philosophy of Leib-niz, New York, 1986 : pp. 189-208 e A. Delcò, La metamorfosi della sostanza in Leibniz, Milano, 1994, soprattutto il cap. III.

45 G. W. Leibniz, De ipsa natura, sive de vi insita actionibus creaturarum pro Dynamicis suis confirmandis illu-strandisque, in «Acta Eruditorum» settembre 1698 ; trad. it. a c. di D. O. Bianca, Sulla natura in sé stessa, ovvero sulla forza insita e sulle azioni delle creature come conferma e chiarimento della mia dinamica, in Scritti filosofici, cit., vol. I : pp. 240-241.

46 G. W. Leibniz, Specimen inventorum de admirandis naturae generalis arcanis, in Opera Ommnia, nunc primum collecta, in classes distributa, prefationibus et indicibus exornata, Geneve, 1768 ; trad. it. a c. di D. O. Bianca, Prospetto delle scoperte sui mirabili segreti della natura, in Scritti filosofici, cit., vol. I : p. 254.

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l’inerzia47. In ogni corpo esiste una duplice forma di potenza (tÕ dunamikÕ n) : una passiva e l’altra attiva. In questo senso è chiaro come Leibniz cerchi di individuare la sostanza proprio a par-tire dalla forza : «egli ripone la sostanzialità delle sostanze nella loro caratteristica continuità d’azione, ovvero : soltanto ciò che agisce ininterrottamente merita di essere chiamato sostanza. […] Conferendo la forza a tutti gli esseri, e individuando in generale l’essere a partire dalla forza, Leibniz vorrebbe poterla predicare di tutte le sostanze, corporee e incorporee, spirituali e materia-li»48. La forza passiva è la materia o massa, mentre la forza attiva dà luogo alla forma (™ ntelšceian). La resistenza non impedisce solo i mutamenti senza causa, ma, più complessiva-mente, si configura come l’inclinazione a conservare lo stato in atto e a resistere alla causa del mu-tamento. Avendo poi respinto con decisione la gravitazione newtoniana, Leibniz ritiene che l’unica forza di interazione dinamica sia l’urto, affermando insieme a molti moderni, che l’azione a di-stanza deve essere spiegata attraverso un fluido che penetra tutto. In generale, seguendo Russell, possiamo concludere che esistono tre tipi di teorie dinamiche49 : 1) la teoria degli atomi estesi e duri, per la quale l’idea dell’urto è assolutamente appropriata, 2) la teoria del pieno, che postula un fluido che pervade tutto - al cui servizio hanno lavorato tanto la dottrina moderna dell’etere, quan-to le teorie dell’elettricità 3) ed infine la teoria dei centri inestesi di forza e della loro azione a di-stanza. Il problema principale di Leibniz probabilmente è stato quello di non aver colto appieno queste differenze, e dunque di non aver optato con chiarezza per nessuna di queste tre posizioni :

l’idea che l’urto sia il fenomeno fondamentale della dinamica lo avrebbe dovuto condurre alla teoria degli atomi estesi, propugnata da Gassendi e […] da Huygens. La fede nel pieno e in un etere fluido lo avrebbe dovuto portare alla seconda teoria ed allo studio del movimento fluido. La teoria relazionale dello spazio, con tutta la dottrina delle monadi, lo avrebbe dovuto condurre, come condusse Bosco-vich, Kant e Lotze, alla teoria dei centri inestesi di forza. […] La vera dinamica leibniziana non è quel-la di Leibniz, ma quella di Boscovich. Questa teoria non è che lo sviluppo della dinamica di Newton, secondo la quale tutta la materia consiste in punti materiali, ed ogni azione è un’azione a distanza. Questi punti materiali sono inestesi come le monadi, […] e per conservare loro l’indipendenza reci-proca è sufficiente pensare l’attrazione o la repulsione provenienti dalla percezione di una monade da parte di un’altra monade50.

Gli assiomi (negativi) di partenza che determinano la struttura della dinamica leibniziana sono per-tanto tre : il rifiuto di atomi, vuoto e azione a distanza. Contro gli atomi estesi Leibniz prende posi-zione nelle corrispondenza con Huygens. In breve : dato che l’estensione è ripetizione, l’atomo e-steso dovrebbe essere fatto di parti ; il che non permette evidentemente una soluzione metafisica della composizione della materia. Se poi si vogliono mantenere le leggi del movimento, l’atomo dovrebbe essere anche perfettamente elastico, cosa impossibile dato che, al contempo, dovrebbe anche risultare duro e privo di fluidi. E ancora - obietta Leibniz - si viola il principio di continuità («infatti, poiché ogni mutamento naturale avviene per gradi, qualcosa muta o qualcosa permane ; di conseguenza bisogna che nella sostanza semplice vi sia una pluralità di affezioni e di rapporti, benché non vi siano parti»51) qualora si supponga che durezza ed indivisibilità sorgano all’improvviso allorché si raggiunge un certo stadio del processo di divisione. Per ciò che riguarda il vuoto, Leibniz utilizza soprattutto l’argomento della perfezione metafisica : concorda cioè sul fatto che, almeno in linea di principio, il vuoto è ammissibile, tuttavia è anche dell’idea che ovun-que vi è posto Dio può creare della materia, e visto che, in via di principio, più esistenza c’è, me-

47 G. W. Leibniz, Intorno alla materia, percezione e l’anima delle bestie, trad. it. a c. di D. O. Bianca, in Scritti filo-

sofici, cit., vol. II : p. 723. 48 A. Delcò, op. cit. : p. 83. 49 B. Russell, op. cit. : p. 157. 50 Ivi : pp. 158-159. 51 G. W. Leibniz, Monadologie, Wien, 1847 ; trad. it. a c. di D. O. Bianca, I principi delle filosofia o Monadologia,

in Scritti filosofici, cit., vol. I : p. 284.

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glio è, non si vede perché dovrebbe esistere il vuoto. Questo dal punto di vista teologico. Le sue argomentazioni logiche contro il vuoto in genere si basano su di una idea abbastanza debole, se-condo la quale dal momento che non esisterebbe una ragione sufficiente a determinare la propor-zione tra vuoto e spazio, il vuoto di fatto non può esistere. Il rifiuto dell’azione a distanza si fonda per lo più su una serie di pregiudizi52, accompagnati dall’idea che la teoria newtoniana sia di fatto un evidente ritorno alle cause occulte : «io non posso che lodare questa pietà modesta del nostro celebre autore [Locke ; N.d.A.] il quale riconosce che Dio può fare al di là di ciò che possiamo comprendere […] ; sebbene non vorrei che fossimo obbligati a ricorrere ai miracoli nel corso ordi-nario della natura e ad ammettere forze ed operazioni per noi assolutamente inesplicabili. In caso contrario, in favore di ciò che Dio potrebbe fare, si darebbe troppa libertà ai cattivi filosofi e am-mettendo queste virtù centripete o le attrazioni immediate da lontano, senza poterle rendere intel-ligibili, non vedo che cosa potrebbe ancora impedire ai nostri scolastici di dire che tutto avviene semplicemente per mezzo delle loro facoltà e di affermare l’esistenza delle loro specie intenzionali che dagli oggetti vengono a noi, riuscendo perfino a entrare nelle nostre anime»53.

Questa, a grandi linee, la situazione della fisica al tempo di Boscovich ; due impostazioni - teo-ricamente e metodologicamente - differenti che si confrontano e si scontrano : quella oramai quasi interamente sperimentale di Newton, e la leibniziana, ancora fortemente legata a presupposti lar-gamente metafisici. La genialità di Boscovich fu proprio nella capacità di mediare, allorché corres-se Newton con Leibniz (riprendendo l’idea leibniziana - che per altro veniva a dirimere tutta una serie di contraddizioni immanenti all’atomistica classica che in Newton erano rimaste irrisolte - della monade come punto inesteso) e Leibniz con Newton (di fatto Boscovich accetta l’idea dell’azione a distanza, anche se, come vedremo, alcuni tra i suoi meriti più significativi furono proprio in un profondo ripensamento dell’azione a distanza nella formulazione newtoniana).

Ma veniamo a trattare più nei dettagli la teoria boscovichiana. Boscovich lavorò a lungo ad una legge generale da sostituire alla legge d’attrazione newtoniana convinto, come ci riferisce Angelo Fabroni, che nihil in physica melius unquam inventum fuisse54. Enunciata per la prima volta in una dissertazione del 1745 (De viribus vivis), ripubblicata due anni dopo nei Commentarii dell’Accademia di Bologna, Boscovich la riespose senza grosse variazioni nel De lumine (1748), nel De continuitatis lege (1754), nel De lege virium in natura existentium (1755), nel De divisibili-tate meteriœ & principiis corporum (1757), fino ad arrivare all’esposizione più sistematica (e defi-nitiva) - corredata anche da tutte le applicazioni meccaniche e fisiche - così come la troviamo nella Theoria Philosophiœ Naturalis, edita nel 175855. È significativo che lo scritto boscovichiano, ac-colto in un primo tempo con grande interesse, abbia finito negli anni - come del resto nota l’autore stesso - per venire quasi del tutto dimenticato56 :

52 Su questo punto cfr. B. Russell, op. cit. : p. 161 e A. Perez De Laborda, Leibniz e Newton, Milano, 1986 : pp. 173-183.

53 G. W. Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain, Paris, 1886 ; trad. it. a c. di D. O. Bianca, Nuovi sag-gi sull’intelletto umano e saggi preparatori, in Scritti filosofici, cit., vol. II : pp. 181-182.

54 A. Frabonio, Vitœ Italorum doctrins excellentium qui sœculi XVII et XVIII floruerunt, vol. XIV, Pisa, MDCCCXXXIX : p. 281.

55 Nel 1763 uscì a Venezia la più corretta terza edizione ; qui seguiremo l’edizione inglese del testo veneziano : A Theory of Natural Philosophy, Cambridge-London, 1966.

56 Che dopo l’interesse iniziale gli studi di Boscovich siano stati largamente sottovalutati è un fatto indiscutibile ; il che tuttavia non deve stupire più di tanto dato che nemmeno Boscovich era riuscito a superare tutta quella serie di diffi-coltà (tipiche per altro delle teorie dinamiche) che fino ad allora avevano consentito al meccanicismo di imporsi. Il pro-blema principale concerneva soprattutto la struttura della materia (cfr. M. Capek, The Philosophical Impact of Contem-porary Physics, New Jersey , 1961 : pp. 94 e sg.) : in primo luogo infatti il meccanicismo era libero dalle difficoltà tipi-che dell’azione a distanza - il termine azione (almeno nel suo significato originario) esprime infatti un rapporto dinamico e successivo (l’azione si dispiega nello spazio e nel tempo, avanzando con una velocità finita da un luogo ad un altro), il che ovviamente è incompatibile con l’idea di un’azione istantanea che si serve di una velocità infinita (il tutto fu confer-mato dal fatto che tanto il suono, quanto la luce e le onde elettromagnetiche viaggiano con una velocità finita). Ma non basta. Se seguiamo la spiegazione cinetico-corpuscolare, ogni nuova quantità di moto dovrebbe essere semplicemente la trasformazione di una quantità di movimento equivalente e preesistente in forme molecolari ignote. All’inverso per il

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quasi dopo trent’anni dalla sua prima pubblicazione quel mio generale sistema, è ancora tanto poco conosciuto in Europa, e tanto poco seguitato massime fuori dalle scuole dell’Ordine mio. Il contatto immediato, e la totale continuità che in esso si tolgono a’ corpi contro l’inveterata comune presunzione e de’ Filosofi e del Volgo, l’inestensione degli elementi tra loro distanti, e dispersi per un infinito va-no, che a prima vista compongono una disparata messe di polvere, un apparente, benché semplicemen-te apparente necessità di sublime Geometria, che si richiede a svolgerlo, sono per me le cagioni del suo giacere quasi sepolto57.

Boscovich per primo colse tutte le difficoltà del suo sistema : l’eliminazione dell’azione per con-tatto, l’accettazione della monade inestesa e del vuoto, l’utilizzo in maniera massiccia di dimostra-zioni geometriche, capaci di prescindere interamente dal calcolo. La Theoria si articola a partire da due assunzioni che funzionano da postulati : a) il principio di continuità così come è stato formula-to da Leibniz (Boscovich era solito sostenere che «nulla avviene per saltum») e b) l’assioma

dell’impenetrabilità, che equivale a dire che due (o più) punti mate-riali non possono occupare lo stesso punto dello spazio nello stesso tempo58. La conseguenza immediatamente evidente di questo assio-ma è che non può mai esistere di fatto un qualsiasi contatto effettivo o matematico tra due punti materiali. Per farci un’idea di ciò che in-tende Boscovich possiamo considerare due quadrati, ABCD e CDEF, con due punti (matematicamente) in contatto sul lato CD. I segmenti AB ed EF sono uguali a CD ; con la conseguenza che i punti che abbiamo supposto essere contigui debbono essere anche coincidenti. Cosa che ovviamente non concorda con l’assioma dell’impenetrabilità, e che porta alla logica conseguenza che i punti

devono essere separati da uno spazio finito, non importa quanto piccolo, ma mai riducibile a zero. Questo intervallo non avrà né un minimo, né - tenendo conto dell’infinità dello spazio - un massi-mo. Inoltre, si suppone che ogni punto materiale sia esattamente uguale ad ogni altro ; ciascuno possiede una propensione (determinatio) a mantenersi in uno stato di moto uniforme, ovvero a

movimento che si esaurisce : questo, altro non sarebbe che un’ulteriore ridistribuzione di energia a particelle subatomi-che. Il problema a cui il dinamismo non riesce a dare una risposta esauriente è pressappoco questo : qual è lo stato dell’energia nell’intervallo tra la sua emissione e il suo assorbimento ? Sono possibili solo due alternative, o l’energia emessa si mantiene nella forma di energia cinetica dell’etere e delle particelle (si tratta della spiegazione accettata dal meccanicismo), oppure acquista, almeno per un certo lasso di tempo, una nuova forma non riconducibile al movimento. Accettando la prima alternativa il meccanicismo ha dalla sua una certa semplicità e concretezza logica, mentre le teorie dinamiche si muovono nella direzione di ulteriori complicazioni, aggiungendo al dualismo materia/forza, quello ener-gia cinetica/potenziale. La terza difficoltà non è meno seria : Boscovich considera le particelle atomiche, che secondo la tradizione sono piccolissime, ma pur sempre estese, come punti inestesi dotati di forza. In questi termini, l’obiezione più evidente è pressappoco questa : i punti materiali boscovichiani pur essendo considerati come semplici centri di forza pos-sono comunque muoversi nello spazio ; ora, il problema è di definire come un punto matematico che si muove rispetto agli altri punti dello spazio non si differenzi nei successivi mutamenti temporali che intervengono nei suoi spostamenti. In pratica, per risolvere contraddizioni di questo genere non si può prescindere dall’associare l’estensione al punto di for-za.

57 R. Boscovich, Lettere del P. Boscovich pubblicate per le nozze Olivieri-Balbi, Venezia, MDCCCXI : p. 31. 58 Clerk Maxwell ha sostenuto che l’accettazione da parte di Boscovich di questo assunto sia interamente frutto di un

pregiudizio, in realtà il matematico dalmata argomenta le ragioni teoriche di questa sua posizione nell’art. 361 p. 134 : «dal fatto che il numero dei punti di posizione in uno spazio continuo può essere indefinitamente infinito, mentre il nu-mero dei punti materiali probabilmente è finito, ne derivo il seguente principio ; nessun punto materiale infatti può mai occupare una posizione puntuale che è nello stesso istante occupata da un punto materiale, od un’altra che precedente-mente è stata occupata da un qualsiasi altro punto materiale». Sostenendo che il numero dei punti materiali è finito, men-tre il numero dei punti locali costituisce un’infinità tridimensionale, Boscovich ne deduce che è infinitamente improbabi-le - alias impossibile - che due punti materiali, senza l’azione di una intelligenza consapevole, possano mai incontrarsi, e così trovarsi nello stesso posto allo stesso momento.

Figura 1

D B

A C E

F

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mantenere il proprio stato iniziale, fintantoché non subentri un fattore esterno a modificarne le condizioni.

Boscovich ha così elaborato un’idea dell’inerzia simile a quella newtoniana, ma che, diversa-mente da ciò che troviamo in Newton, non è in relazione con la massa. Dunque, nella costruzione boscovichiana abbiamo a che fare con una vis duplice, che si esercita sempre tra due punti ineste-si : quel che appare considerevole è che la magnitudine di questa forza dipende solamente dalla di-stanza tra i punti, mentre prescinde completamente dalla massa. Boscovich perciò presuppone dei punti immateriali sul modello della monade leibniziana, accompagnati da una forza (ritorna la cen-tralità della forza così come è presente nella dinamica di Leibniz), che varia al variare della distan-za tra i punti inestesi59. La forza chiamata in causa da Boscovich è, a differenza di quella newto-niana, duplice : non si tratta infatti solo di una forza attrattiva sul modello di quella della gravita-zione universale, ma anche - ed è una delle più concrete differenze rispetto a Newton - di una forza repulsiva : «l’idea è introdotta in una maniera tale che, dove termina l’attrazione, lì, con una varia-zione della distanza, comincia la forza repulsiva»60. Va ancora precisato che il termine vis com-prendeva, ai tempi di Boscovich, una serie di accezioni ampie e molto differenti : abbiamo la vis viva (quella che oggi chiameremmo energia), la vis mortua (l’antitesi della vis viva, così come era intesa anche da Leibniz), la vis acceleratrix (l’accelerazione), la vis motrix (l’esatto equivalente della nostra idea di forza, dato che si intende variare con la massa), ecc… Le forze di cui parla Boscovich sono per lo più assimilabili alle accelerazioni, ovvero alla tendenza che hanno due punti ad avvicinarsi o a distanziarsi a seconda della variazione della distanza reciproca. Così, per quanto la teoria di Boscovich sia simile a quella di Newton nel postulare una accelerazione della velocità relativa tra due punti inestesi - accelerazione che dipende dalla loro distanza relativa -, tuttavia ne differisce profondamente trattandosi di una teoria esclusivamente cinematica. I punti materiali bo-scovichiani sono infatti, per definizione, senza parti, ovvero senza volume ; il che è come dire che non hanno massa e che non possono esercitare alcuna forza, almeno così come tradizionalmente la si intende. L’idea newtoniana della massa viene perciò sostituita da qualcosa di totalmente diffe-rente ; diventa un semplice numero senza dimensione, cosicché la massa di un corpo è data sem-plicemente dal numero di punti che lo compongono. Ognuno di questi punti è sufficientemente vi-cino, ed esercita sugli altri approssimativamente la medesima accelerazione. Supponiamo perciò di avere due piccoli corpi A e B, posti ad una distanza s l’uno dall’altro (si postuli inoltre che la di-stanza tra i punti sia molto piccola se raffrontata con quella dei corpi cui appartengono). Se i punti che compongono A e B sono rispettivamente a e b, e f è la mutua accelerazione tra due punti posti ad una distanza s, allora ciascun punto di A imprimerà a ciascun punto di B una accelerazione f. Conseguentemente, il corpo A imprimerà a ciascun punto del corpo B, e perciò all’intero corpo B, una accelerazione uguale ad af. Similmente il corpo B provocherà sul corpo A una uguale accele-razione bf. Se poi prendiamo un terzo corpo C, posto ad una distanza s tra A e B, il corpo A confe-rirà a C una accelerazione uguale ad af, e il corpo B provocherà rispetto a C una accelerazione bf ; mentre, di rimando, l’accelerazione data da C sarà cf. Dal che segue che tutti i corpi hanno una ve-locità di caduta egualmente accelerata, se si prescinde dalla loro resistenza all’aria. Inoltre, nel si-stema boscovichiano, ogni singola parte (punto inesteso) è indissolubilmente legata ad ogni altra, cosicché qualsiasi variazione si abbia su di un atomo, questa comporterà un effetto su tutti gli altri, ingenerando una sorta di reazione a catena. In sintesi la curva di Boscovich - che riporteremo tra breve - si struttura come un grafico che esprime degli intervalli di accelerazione ; il che significa che converrà intenderla non tanto come l’espressione di un sistema cosmico fatto di centri di forza, ma, più opportunamente, come la raffigurazione di una realtà chiusa e panenergetica, in cui ogni punto inesteso può essere percepito solo nella sua relazione con tutti gli altri.

Vediamo ora gli art. 7-11 che sono probabilmente i momenti nodali della Theoria :

59 R. Boscovich, Theoria Philosophiœ Naturalis, cit., art. 2 : p. 19. 60 Ibidem.

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7. I primi elementi della materia, a mio giudizio, sono punti del tutto indivisibili ed inestesi ; sono di-spersi nell’immenso spazio vuoto, tanto che due qualunque di essi distano tra loro un certo intervallo che può essere aumentato o diminuito indefinitamente, ma non può annullarsi completamente senza la loro compenetrazione ; con il che non ritengo affatto possibile la contiguità di due punti, ma penso fermamente che se la distanza di due punti materiali diventasse nulla, i due punti occuperebbero neces-sariamente lo stesso punto indivisibile dello spazio ordinario e si avrebbe una vera e propria compene-trazione. Perciò, a mio giudizio, non è il vuoto ad essere disseminato nella materia, ma è la materia ad essere disseminata e sparsa nel vuoto. 8. Ammetto negli elementi della materia, esistenti isolati in Natura, la tendenza a perseverare nello sta-to di quiete o di moto rettilineo uniforme nel quale si trovano inizialmente ; se invece da qualche parte esistessero anche altri punti, ci dovrebbe essere una propensione naturale a sommare (secondo il noto e comune metodo di composizione delle forze e dei moti con la regola del parallelogramma) il moto precedente con quello determinato dalle forze che agiscono tra due punti ; forze che dipendono dalla distanza, e che variano con il variare della distanza. Nell’accennata tendenza consiste l’inerzia della materia. Per conto mio rinuncio a indagare (e se lo volessi non ho speranza di venirne a capo) se essa dipenda da una legge del Creatore Supremo o dalla natura stessa dei punti o da qualcosa che li riguar-da. Penso esattamente la stessa cosa di quella legge della forza, che passo subito ad esporre. 9. Ritengo perciò che due punti qualsiasi di materia a certe distanze sono sollecitati ad avvicinarsi, mentre, ad altre, sono spinti ad allontanarsi : chiamo nel primo caso questa sollecitazione forza attrat-tiva, nel secondo repulsiva. Col termine forza intendo esprimere non il modo di agire, ma solamente la sollecitazione stessa, qualunque sia la provenienza. La grandezza della forza poi cambia, se cambia la distanza, secondo una certa legge sicura, che può essere espressa e rappresentata visivamente, attraver-so una formula algebrica oppure attraverso una curva geometrica, così come sono soliti fare i Matema-tici […]. 10. Ora, la legge della forza può venire espressa in questi termini : le forze, a distanze ridotte, sono re-pulsive e crescono in misura sempre maggiore con il diminuire progressivo della distanza, tanto che sono in grado di distruggere qualsiasi velocità, non importa quanto grande sia. Via via che aumenta la distanza, la forza repulsiva diminuisce di modo che, a una certa distanza molto piccola, la forza diven-ta nulla : poi, aumentando la distanza, le forze si mutano in attrattive, dapprima crescenti, poi decre-scenti, poi nulle, per tornare repulsive, allo stesso modo crescenti, decrescenti, nulle, nuovamente at-trattive, e tutto questo accade alternativamente a varie distanze, che tuttavia sono ancora molto esigue ; finché, pervenute a distanze maggiori, le forze cominciano ad essere attrattive e sensibilmente propor-zionali agli inversi dei quadrati delle distanze, anche qualora le distanze aumentino all’infinito […]. 11. Una legge di questo tipo a prima vista sembra molto complicata […] ; in realtà, è estremamente semplice […] e la si può rappresentare, per esempio, attraverso una curva continua, od una formula al-gebrica […]. Una curva come questa è perfettamente adatta per una rappresentazione algebrica di que-sto tipo di legge, e non richiede una particolare conoscenza della geometria. È sufficiente che ciascuno la osservi […] per comprendere la natura della forza. In una curva di questo tipo, quel segmento che i geometri chiamano ascissa […] rappresenta la distanza di due punti tra di loro ; e quella che chiamia-mo ordinata […] rappresenta le forze. Quando la curva si trova da un lato dell’asse, abbiamo a che fa-re con forze attrattive, mentre quando si trova dall’altro lato, le forze sono repulsive ; a seconda poi che la curva si avvicini o si allontani dall’asse, le forze diminuiscono o crescono. Allorché la curva ta-glia l’asse e passa da un lato all’altro, cambia di conseguenza anche la direzione dell’ordinata, e la for-za da positiva diventa negativa, o vice versa. Mentre, quando un arco della curva si avvicina ad una qualche linea perpendicolare all’asse […] in modo che anche se la si protrae all’infinito la curva non incontrerà mai tale retta (questo arco è definito asintotico dai geometri), allora anche la forza crescerà indefinitamente61.

Ed ecco la curva così come la costruisce Boscovich :

61 R. Boscovich, Theoria Philosophiœ Naturalis, cit., art. 7-11 : pp. 20-23.

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Figura 2

Nella figura 2 abbiamo l’asse C'AC che incontra nel punto A una retta AB perpendicolare ; i due rami di curva, posti dai lati diversi di AB, sono uguali. Di questi, la curva DEFGHI-KLMNOPQRSTV forma l’arco DE che è asintotico rispetto ad AB. Esaminiamo ora la curva nella direzione DE : il primo arco si avvicina all’asse C'C fino ad incontrarlo in un punto E, dopodiché prosegue riprendendo ad allontanarsi (questa volta in direzione opposta) dall’asse delle ascisse raggiungendo una distanza massima F. A questo punto la curva cambia nuovamente direzione, ri-prendendo ad avvicinarsi all’asse delle ascisse che incontra in un punto G, per poi allontanarsi nuovamente raggiungendo una distanza massima H, e così via. La curva termina con l’arco TpsV nuovamente asintotico questa volta però rispetto all’ascissa C'C. Se poi da alcuni punti dell’ascissa come a, b, o d tracciamo delle perpendicolari che incontrano la curva come ag, br o dh, i segmenti dell’ascissa che ne risultano (Aa Ab e Ad) rappresentano la distanza reciproca di due punti ; men-tre le perpendicolari ag, br e dh indicano la forza che è alternativamente repulsiva o attrattiva a se-conda della posizione dei punti rispetto all’ascissa C'C 62. In una curva di questo genere l’ordinata ag sarà destinata a crescere proporzionalmente alla diminuzione dell’ascissa Aa ; mentre, al cre-scere dell’ascissa Aa (ad es. Ab), decrescerà l’ordinata corrispondente (br). L’ordinata diminuirà in maniera sempre maggiore fino ad arrivare ad E, dove si annulla. A questo punto, ad un ulteriore crescita dell’ascissa (Ad), l’ordinata (dh) cambierà di direzione aumentando fino ad arrivare ad F, dove prenderà nuovamente a diminuire (il), arrivando poi ad annullarsi in G, e così via fino ai pun-ti op e vs in cui la direzione rimane invariata e l’ordinata decresce approssimativamente secondo l’inverso del quadrato della distanza delle ascisse Ao e Av.

Con una curva di questo genere rappresentiamo graficamente delle forze che inizialmente sono repulsive e crescono al diminuire della distanza, ma che, al crescere della distanza, in primo luogo diminuiscono, poi si esauriscono, in un terzo momento cambiano di direzione diventando attratti-ve, per poi tornare a diminuire, a esaurirsi e a cambiare di direzione, in un processo ciclico. Infine, ad una distanza comparativamente rilevante, tali forze diventano attrattive e proporzionali all’inverso del quadrato della distanza.

Come si vede, la teoria boscovichiana tiene conto del principio di continuità considerandolo una delle leggi fondamentali della natura - non è possibile passare da una grandezza ad un’altra saltando tutte le unità intermedie63 -, inoltre ribadisce la validità del principio di impenetrabilità, secondo cui non è possibile che due corpi nel medesimo momento occupino lo stesso spazio. Il ri-

62 Ivi, art. 12-13 : p. 23. 63 Cfr. art. 18 e 32 : pp. 24 e 27.

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sultato più rilevante raggiunto da Boscovich è dunque quello dell’esclusione dell’azione per con-tatto : se le forze operano prescindendo dagli urti, l’idea di Boscovich è realmente rivoluzionaria rispetto a tutto l’atomismo precedente, e apre su di un modello teorico che per molti versi prean-nuncia quello di Faraday, ovvero il campo elettromagnetico. La concezione di Boscovich è perciò profondamente innovatrice rispetto alle più tradizionali teorie corpuscolari, che per lo più intende-vano la materia composta da corpuscoli estesi - atomi o quant’altro - sparsi nello spazio e raggrup-pati, secondo modalità non ben definite, a formare i corpi. In breve, nell’atomismo classico i corpi sono la sede dei fenomeni, mentre lo spazio è piuttosto il recipiente (passivo) nel quale questi stes-si corpi trovano la loro collocazione. Nell’idea boscovichiana, invece, questi corpuscoli estesi spa-riscono e «le così dette proprietà della materia risultano proprietà di questi sistemi di forza, di que-ste “atmosfere di forza”, come dirà Faraday con suggestiva espressione plastica»64. Tanto per Bo-scovich, quanto per Faraday, lo spazio diventa la sede dei fenomeni, per entrambi cioè l’essenziale non sono le particelle materiali, ma i campi di forza che derivano dai centri - Faraday, nel caso specifico, ritiene che, nell’ambito dei fenomeni elettromagnetici, l’essenziale non sia dato dalle ca-riche elettriche, ma dai campi interposti tra le cariche. E, del resto, è stato lo stesso Faraday a sot-tolineare il grande contributo di Boscovich notando, in una conferenza tenuta al Royal Institution il 19 gennaio 1844, come gli atomi boscovichiani siano meri centri di forza o poteri, non particelle di materia dotate di forza. Perciò, se nell’ordinaria teoria atomica chiamiamo a la particella di mate-ria da cui emanano le forze e m i sistemi di forze che la circondano, nella costruzione di Boscovich a sparisce o è da intendersi come un punto matematico ed m diventa un’atmosfera di forza rag-gruppata attorno ad esso65. Boscovich configura e anticipa dunque abbastanza chiaramente il pas-saggio dalla materia alla forza.

3. Nietzsche lettore di Boscovich : sostanza e forza. Già Karl Schlechta e Anni An-

ders nel loro lavoro su Nietzsche66 avevano sottolineato, seppure di passaggio, la profonda influen-za che la fisica di Boscovich aveva esercitato sulla filosofia positiva di Nietzsche ; tuttavia, biso-gna aspettare lo studio di George Stack67 perché il rapporto Nietzsche-Boscovich venga inquadrato nei giusti termini, e riportato a tutta quella serie di interessi scientifici che la lettura di Lange aveva senz’altro stimolato68. Abbiamo già detto di come una delle fonti principali per l’evoluzione e lo sviluppo (in sintesi, per la costruzione) del pensiero nietzschiano sia stata la Geschichte des Mate-rialismus di Albert Lange. Nietzsche stesso puntualizza le ragioni di questo suo interesse in una lettera :

Ciò che egli [Schopenhauer ; N.d.A.] rappresenta per noi, l’ho capito con molta chiarezza soltanto di recente, grazie ad un altro scritto, eccellente nel suo genere e molto istruttivo : Storia del materialismo e critica del suo significato per il presente, di A. Lange, 1866. Siamo di fronte ad uno studioso di Kant e della natura profondamente illuminato. Le sue conclusioni sono riassunte nelle tre seguenti proposi-zioni : 1. il mondo dei sensi è il prodotto della nostra organizzazione

64 M. Gliozzi, La costituzione della materia nella concezione di Boscovich e di Faraday, in Atti del Convegno inter-

nazionale del 2500 anniversario della nascita di R. G. Boscovich e del 2000 anniversario della fondazione dell’Osservatorio di Brera, cit. : pp. 117-118.

65 Cfr. M. Faraday, A speculation touching Electric Conduction and the Nature of Matter, in «The London Edin-burgh, and Dublin Philosophical Magazine and Journal of Science», XXIV, 1844 : pp. 136-144.

66 K. Schlechta A. Anders, Nietzsche. Von der verborgenen Anfängen seines Philosophierens, Stuttgart, 1962 : pp. 127-140.

67 G. Stack, Lange and Nietzsche, cit. : pp. 7-8, 39-40, 174, e soprattutto, 224-261. 68 A riguardo cfr. anche J. Salaquarda, Nietzsche und Lange, in «Nietzsche Studien» VII, 1978 : pp. 236-253 ; trad.

it. di F. Iurlano, Nietzsche e Lange, in G. Campioni e A. Venturelli (a c. di), La “biblioteca ideale” di Nietzsche, Napoli, 1992 : pp. 19-43 e ID., Der Standpunkt des Ideals bei Lange und Nietzsche, in «Studi Tedeschi» XXII, 1979 : pp. 142 e sgg.

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2. i nostri organi visibili (corporei) così come tutte le altre parti del mondo dell’apparenza, sono sol-tanto immagini di un oggetto sconosciuto 3. la nostra organizzazione vera e propria rimane quindi per noi sconosciuta, così come gli oggetti reali al di fuori di noi. Noi abbiamo davanti, sempre ed unicamente, il prodotto di entrambi69.

Ed è stato proprio grazie alla Geschichte, che Nietzsche è arrivato alla Filosofia Naturale di

Boscovich70 :

La storia ci insegna che la fisica moderna dovette essa pure fondarsi sulla teoria degli atomi […] La teoria chimica degli atomi, di Dalton, era da poco nata quando in ottica sorse la teoria, lungamente mi-sconosciuta, delle ondulazioni […] Da allora, la teoria della luce diventò sempre più una meccanica dell’etere : quanto all’idea di atomo, essa dovette di nuovo prestarsi a tutte le variazioni che apportò il bisogno dei calcoli. La più forte di queste variazioni - che in fondo non era se non l’ultima conseguen-za della teoria trascendente della gravitazione - consisteva nel rifiutare agli atomi ogni specie di esten-sione. Sin dalla metà del secolo XVIII, il gesuita Boscovich aveva avuto quest’idea. Egli trovò nella teoria dell’urto degli atomi certe contraddizioni, che non potevano sparire se non facendo provenire dalle forze repulsive gli effetti che ordinariamente si attribuiscono al rimbalzamento reciproco di mo-lecole materiali ; e queste forze emanano da punti determinati nello spazio, ma privi di estensione. Questi punti sono considerati come le porzioni elementari della materia […] Nonostante l’ingegno con cui Boscovich espose questa teoria, essa non trovò eco prima del secolo XIX ; essa fu adottata soprat-tutto dai fisici francesi che si sono occupati della meccanica degli atomi […] Quando gli atomi ebbero cessato, come in Gassendi e Boyle, di agire immediatamente gli uni sugli altri con la loro massa corpo-rea, ma obbedirono alle forze di attrazione e repulsione […], l’atomo diventò egli stesso un semplice agente di queste forze71.

Va notato che Nietzsche tratta Boscovich sulla base dell’Atomenlehre di Fechner, l’opera che do-vette essere il suo primo e naturale riferimento in sede di atomistica moderna72.

Ma facciamo un passo indietro. Perché l’atomismo - prima filtrato attraverso Lange, poi più di-rettamente con l’Atomenlehre di Fechner e soprattutto con Boscovich - interessa tanto Nietzsche ? Dobbiamo ancora una volta riferirci alle sue posizioni in tema di atomo e di sostanza : «e persino il vostro atomo signori meccanicisti e fisici, quanti errori, quanta rozza psicologia restano ancora nel vostro atomo !»73. Dunque, uno dei presupposti della filosofia della natura nietzschiana è la critica all’atomismo ; il che, a ben guardare, è poi il diretto fondamento della sua rielaborazione dell’idea di sostanza. L’atomismo discusso da Nietzsche è parte integrante della fisica del suo tempo : se-condo l’atomismo classico - come per altro si è già anticipato - la realtà è formata da una miriade di atomi piccolissimi, impenetrabili ed indistruttibili, la cui combinazione è in grado di dare luogo alla totalità delle cose. Ma anche in questo caso, secondo un movimento che per Nietzsche è abi-tuale, avremmo a che fare con un errore di cui si è dimenticata l’origine. Il problema, per quel che ritiene Nietzsche, è in primo luogo linguistico : la grammatica, attraverso la struttura soggetto-predicato, predispone a credere nell’esistenza di atomi sostanziali, ovvero, sostanze piccolissime,

69 F. Nietzsche, Epistolario 1850-1869, vol. I, Milano, 1976 : agosto 1866, pp. 462-463. Cfr. inoltre : ID., Epistola-

rio 1850-1869, cit. : lettera a Hermann Mushacke, novembre 1866, pp. 488-498 ; lettera a Carl von Gersdorff, febbraio 1868, p. 564.

70 G. Whitlock, Roger Boscovich, Benedict de Spinoza and Frederich Nietzsche. The Untold Story, in «Nietzsche Studien» XXV, 1996 : p. 202. 71 F. A. Lange, Geschichte des Materialismus und Kritik seiner Bedeutung in der Gegenwart, 2 voll., Leipzig, 1866 ; trad. it. di A. Treves, Storia del materialismo, 2 voll., Milano, 1932, vol. 2 : pp. 205-206.

72 È A. Anders a sostenere che Nietzsche fu spinto alla lettura di Boscovich dal testo di T. Fechner Über die Physika-lische und Philosophische Atomenlehre (1864). A sua volta, Fechner che esponeva una teoria simile a quella boscovi-chiana, era stato discusso nella Geschichte da Lange. (K. Schlechta A. Anders, Nietzsche, cit. : p. 128).

73 F. Nietzsche, Il Crepuscolo degli idoli, vol. VI, tomo III, Milano, 1970, §. 3 : p. 87.

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da cui deriverebbe ogni attività74 : «“pensare è un’attività, a ogni attività compete qualcuno che sia attivo, di conseguenza…” Pressappoco secondo uno schema analogo il più antico atomismo cerca-va oltre alla forza che agisce, anche quel piccolo conglomerato di materia in cui essa risiede, da cui promana la sua azione, l’atomo»75. La fede nell’atomismo è antica, e deriva da Parmenide che vide nella permanenza della sostanza una delle caratteristiche principali dell’Essere ; dopo Parmenide poi, anche coloro che non accettarono la sua metafisica - ad esempio Democrito - mantennero inal-terate le proprietà primarie della sostanza, tanto che gli atomi democritei finirono per riprodurre su scala ridotta le caratteristiche della sostanza di Parmenide76. Un universo pluralistico come quello atomistico conservò così l’immutabilità e la staticità caratteristici della sostanza parmenidea, e o-gni atomo venne considerato alla stregua di una unità indivisibile ed immutabile77. L’idea che Nie-tzsche sembra respingere con più decisione è che il mondo possa essere spiegato sulla base del movimento passivo degli atomi (meccanicismo), nel senso cioè dell’urto e della reazione tra le par-ticelle. Soprattutto, Nietzsche critica il meccanicismo per quella che è la sua incapacità di spiegare l’azione a distanza - cosa chiaramente visibile almeno nel caso della forza di gravità : « “fra le in-terpretazioni del mondo che sono state finora tentate, sembra che quella meccanicista sia oggi vit-toriosa […] Frattanto si può notare, proprio negli spiriti eletti che militano in questo movimento, un presentimento, una inquietudine, come se la teoria avesse un buco, che potrebbe presto o tardi diventare la sua ultima trappola […] Spinta e urto, come tali non si possono “spiegare”, non ci si libera dell’actio in distans - si è perduta persino la fede nel poter spiegare, e si ammette con e-spressione immusonita che il descrivere e non lo spiegare, che l’interpretazione dinamica del mon-do, con la sua spiegazione dello “spazio vuoto”, del mucchietto di atomi, domineranno tra breve i fisici»78.

Le linee teoriche portanti del materialismo - che poi sono in relazione diretta con il meccanici-smo - si possono ricondurre a cinque punti fondamentali : 1) la materia, che nella sua struttura è assolutamente rigida e compatta, si muove nello spazio in stretto accordo con le leggi della mecca-nica 2) in natura tutte le differenze qualitative, sono riconducibili a differenziazioni che possono riguardare le configurazioni oppure il moto delle unità di base (atomi) e dei loro aggregati 3) tutti i cambiamenti qualitativi sono solamente il risultato esteriore del movimento degli atomi 4) ogni in-terazione tra questi corpuscoli è dovuta esclusivamente ad un loro impatto diretto ; l’azione a di-stanza va assolutamente rifiutata, 5) le varietà qualitative, così come le trasformazioni qualitative sono addizioni dovute alla mente che percepisce, perciò non appartengono alla natura delle cose79. Evidentemente, le proposizioni appena riportate non sono indipendenti l’una dall’altra : il punto cinque, che è uno dei riferimenti essenziali del materialismo e che deriva dai filosofi del periodo classico, è una conseguenza diretta dei punti due e tre - dal momento cioè che sia il cambiamento che la diversità devono avere una qualche realtà ontologica, e, nello stesso tempo, non dipendono dalla natura dell’oggetto, si deve concludere che sono in correlazione con le modalità operative delle mente umana. Ma nemmeno i punti due e tre sono indipendenti ; derivano piuttosto dall’assunto secondo cui la materia è omogenea e costante, mentre dalla sua immutabilità consegue il rifiuto per qualsiasi cambiamento che non sia una variazione di posizione. In sintesi, tutti e cin-que i punti sono diretta conseguenza dell’atomismo.

Per quel che ci riguarda, una delle conseguenze essenziali a cui giunge il meccanicismo è senza dubbio il rifiuto dell’azione a distanza : qualsiasi interazione tra i corpi deve infatti essere ricondu-cibile all’azione diretta, ovvero, all’impatto e alla pressione meccanica delle particelle. Tale idea rimane pressoché invariata da Democrito a William Thompson e Heinrich Hertz ; nel senso che, se

74 Cfr. F. Nietzsche, Genealogia della morale, vol. VI, tomo II, Milano, 1968, §. 13 : pp. 324-325 ; e ID., Umano, troppo umano I, vol. IV, tomo II, Milano, 1965, §. 19 : pp. 29-30.

75 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, vol. VI, tomo II, Milano, 19682, §. 17 : pp. 21-22. 76 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, cit. : §. 5 pp. 72-73. 77 A. Moles, Nietzsche’s Philosophy of Nature and Cosmology, cit. : p. 151. 78 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, vol. VII, tomo III, Milano, 1975, §. 7-36-[34] : p. 242. 79 M. Capek, The Philosophical Impact of Contemporary Physics, cit. : p. 79.

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è vero che vennero progressivamente elaborati nuovi modelli di azione a distanza, tali modelli fu-rono però sempre sviluppati su base rigorosamente meccanicista (in questo senso gli studi di Clerk Maxwell80 sono particolarmente significativi, soprattutto là dove si sottolinea come l’assenza di contatto visibile non porti ad escludere la presenza di un etere particolarmente sottile ed impercet-tibile, che funga da intercapedine tra le particelle, e che quindi, in ultima analisi, non escluda il contatto diretto fra particelle). La difficoltà di elaborare una spiegazione convincente dell’azione a distanza per via meccanicista era già ben chiara nei lavori di H. More e R. Boyle : mentre cioè si operarono diversi tentativi per spiegare la gravità per via cinetica (ovvero attraverso un qualche ti-po di fluido pervasivo o altre sostanze analoghe81), la difficoltà principale rimane l’impossibilità di dimostrare e verificare l’esistenza dell’etere. Nonostante questa carenza evidente, nel periodo in cui Nietzsche lavora non era ancora stato elaborato alcun modello alternativo al meccanicismo ; il che equivale a dire che non era stata proposta alcuna teoria alternativa scientificamente accettabile. Ma non è tutto. L’attacco di Nietzsche in realtà è più articolato, dal momento che non si limita a discutere l’azione a distanza, ma, più nei dettagli, riflette sulla stessa dinamica dell’urto così come viene descritta dal meccanicismo : «secondo quel che pensa Nietzsche, le nostre idee riguardo alle forze meccaniche, come quelle della pressione e dell’urto, derivano dall’esperienza della resistenza al tatto, espressa però in termini matematici»82. In realtà, infatti, il successo dell’interpretazione meccanicistica si misura sulla capacità di ridurre (o ricondurre) le forze ai numeri e, come conse-guenza, di elaborare una serie di leggi matematiche in grado appunto di governare le forze stesse. Tuttavia, anche questo approccio non è né esaustivo, né esauriente : qualora infatti si consideri se-riamente il meccanicismo, la capacità di un corpo di agire sopra un altro, apparirebbe come un qualcosa di quasi miracoloso :

lo chiamiamo «spiegazione», ma è «descrizione», quel che ci distingue dai gradi più antichi della co-noscenza e della scienza. Noi descriviamo meglio, ma spieghiamo tanto poco quanto tutti i nostri pre-decessori. […] La qualità, per esempio, in ogni divenire chimico, appare sia dopo che prima un «mira-colo» ; allo stesso modo ogni propulsione : nessuno ha spiegato l’urto […] Operiamo né più né meno, con cose che non esistono, con linee, superfici, corpi, atomi, tempi divisibili, spazi divisibili : come potrebbe anche soltanto essere possibile una spiegazione, se di tutto noi facciamo per prima cosa una immagine, la nostra immagine ! È sufficiente considerare la scienza come la più fedele possibile uma-nizzazione delle cose ; impariamo a descrivere sempre più esattamente noi stessi, descrivendo le cose e la loro successione83.

Ridurre tutte le forze all’urto meccanico è allora chiaramente insufficiente, e la gravitazione uni-versale costituisce un chiaro esempio in tal senso, dal momento che non opera solo sull’azione per contatto, ma ovunque, all’interno di un certo dominio. Sono proprio dubbi di questo genere che in-ducono Nietzsche - e prima di lui molti scienziati e filosofi, basterà citare Boscovich appunto, ma anche Kant, J. S. Mill, Comte, Wundt, J. B. Stallo, E. Mach84 - alla conclusione che il rifiuto

80 J. C. Maxwell, Action at Distance, in Scientific Papers, Cambridge, 1890, vol. II : pp. 313-315 e ID., Ether, in Scientific Papers, cit. : pp. 763-775.

81 In merito cfr. E. A. Brutt, The Metaphysical Foundations of Modern Physical Sciences, New York, 1954 : p. 273 e M. Capek, The Philosophical Impact of Contemporary Physics, cit. : pp. 83-89.

82 A. Moles, Nietzsche’s Philosophy of Nature, cit. : p. 152. 83 F. Nietzsche, La gaia scienza, vol. V, tomo II, Milano, 1965, § 112 : p. 122. Su questo tema Nietzsche si appog-

gia chiaramente a Boscovich : «Secondo la mia opinione perciò è chiaro che il movimento prodotto da queste forze e che dipende dalla distanza non è più misterioso, involuto o di difficile comprensione di quello prodotto da un impulso diret-to, così come generalmente lo si intende ; nel primo caso è l’impenetrabilità a determinare il movimento, mentre, nel caso dell’impulso diretto, il movimento deve essere derivato o dalla natura del solido, o da qualche legge arbitraria elaborata dal fondatore dell’universo» (R. Boscovich, Theoria Philosophiœ Naturalis, cit., art. 102 : p. 49).

84 I. Kant, Metaphysische Anfangsründe der Naturwissenschaft, Riga, 1768, J. S. Mill, An Examination of Sir Willi-am Hamilton’s Philosophy, New York, 1874, voll. II : pp. 242-264, J. B. Stallo, Concepts and Theories of Modern Physics, New York, 1885, p. 145, E. Mach, Die Principien der Wärmlehre, Leipzig, 1919, W. Wundt, Die physikali-sche Axiome und ihre Beziehungen zum allgemeinen Kausalprincip, Erlangen, 1866 : p. 32.

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dell’azione a distanza sia un pregiudizio prodotto dai condizionamenti della nostra immaginazione. Da considerazioni di questo tipo, il filosofo tedesco è condotto a spostare l’accento dalla materia (atomo) alla forza85 ; e piuttosto che definire - sull’esempio dei meccanicisti - la forza nei termini della massa, spiega la massa in ragione della forza. Il passaggio, come si vede, è del tutto analogo a quello operato da Boscovich : gli atomi - è l’alternativa proposta da Nietzsche e, prima di lui, ap-punto da Boscovich - sarebbero solamente delle finzioni concettuali, effetti di semplificazioni, uti-lissimi in una prospettiva economica - il riferimento in questo caso è certo Boscovich86, ma anche gli studi di E. Mach, che sicuramente Nietzsche conosceva, andavano nella medesima direzione87. L’intento principale del filosofo tedesco era perciò mostrare come, tenendo presente il costruzioni-smo umano, è possibile pensare alla forza in termini qualitativi, mentre l’analogo quantitativo ri-marrebbe, per noi, pressoché inaccessibile. Da qui evidentemente la necessità del finzionismo ato-mico : «“attrarre” e “respingere”, in un senso puramente meccanico, sono una perfetta finzione : una parola. Non possiamo pensare un attrarre senza un’intenzione. La volontà di impadronirsi di una cosa o di difendersi dalla sua forza e respingerla - è questo che noi “comprendiamo” : sarebbe un’interpretazione di cui potremmo avere bisogno. Insomma, ciò che psicologicamente costringe a credere nella causalità è la non rappresentabilità di un accadere non determinato da intenzioni : col che nulla naturalmente è detto sulla verità o falsità (sulla giustificazione di una tale credenza). Il credere nelle cause coincide con il credere in tšlh»88. Mentre cioè Boyle e gli altri meccanicisti intendevano spiegare tutte le modificazioni della materia in termini di interazione - pressione ed impatto - tra gli atomi, Nietzsche, radicalizzando la posizione di Lange, non soltanto conclude che, dati per certi gli assunti della fisica newtoniana, queste posizioni sono obsolete, ma che l’impianto teorico di Boscovich ci indica del tutto espressamente la necessità di rigettarle :

per quanto riguarda l’atomistica materialistica, essa appartiene alle teorie meglio confutate che siano mai esistite, e forse non c’è oggi in Europa, tra i dotti, nessuno così indotto, da attribuirle ancora una seria importanza, salvo per comodità d’uso giornaliero e domestico […] - grazie soprattutto a quel po-lacco, Boscovich, che insieme al polacco Copernico è stato fino ad oggi il più grande ed il più vittorio-so avversario dell’evidenza immediata. Infatti, mentre Copernico ci ha persuaso a credere, in opposi-zione a tutti i sensi, che la terra non è immobile, Boscovich ci insegnò a rinnegare la fede nell’ultima cosa della terra che «stava immobile», la fede nella «sostanza», nella «materia», nell’atomo come resi-duo terrestre, come piccola massa89.

Quando penso alla mia genealogia filosofica mi associo […] con il movimento meccanicista (riduzione di tutte le questioni morali ed estetiche a questioni psicologiche, e di tutte quello psicologiche ad altre chimiche ; ed infine di tutte quelle chimiche alle meccaniche) - ma con la differenza che io non credo nella «materia» e considero Boscovich uno dei più grandi momenti di svolta, in modo del tutto simile a Copernico90.

Abbiamo già detto di come Boscovich motivasse il rifiuto dell’azione per contatto tra due corpi ri-gidi (ad esempio due sfere) attraverso il ricorso alla legge di continuità : consideriamo due sfere a e b che si muovono rispettivamente alla velocità di sei e dodici, con uguale direzione, e supponia-mo che la sfera più veloce (b) sia collocata dietro, ed a una certa distanza, rispetto ad a, che è più lenta. Se nel momento dell’impatto si verificasse un contatto diretto tra le due sfere, a dovrebbe cambiare la sua velocità, ovvero acquistare accelerazione, istantaneamente ed in modo discontinuo - in breve, la velocità delle sfere passerebbe per l’una da 12 a 9, e, per l’altra, da 6 a 9, senza passa-

85 Su questo punto cfr. anche P. Poellner, Nietzsche and Metaphysics, cit. : p. 47. 86 R. Boscovich, Theoria Philosophiœ Naturalis, cit., art. 7-9 : pp. 20-21. 87 Cfr. E. Mach, Die Principien der Wärmlehre, cit. Sul finzionismo nietzschiano si rimanda ad A. Negri, Nietzsche.

La scienza del Vesuvio, Roma-Bari, 1994 e ID., Nietzsche e/o l’innocenza del divenire, Napoli, 1984 : pp. 75-86. 88 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1886, vol. VIII, tomo I, Milano, 1975, §. 8-2-[83] : p. 91. 89 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit. : §. 12 : p. 17. 90 F. Nietzsche, Werke, Bd. XIV, Leipzig, 1904, §. 215 : p. 353.

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re progressivamente attraverso i gradi di velocità intermedia 11 e 7, 10 e 9, 9 ½ e 8 ½ e così via. Tuttavia un tale cambiamento repentino viola la legge di continuità, che oltre a trovare valide con-ferme empiriche, ha anche una vasta applicazione in ambito fisico - infatti nella fisica newtoniana qualora venga ammesso un cambiamento istantaneo e discontinuo nella velocità, la forza richiesta per provocare questa alterazione dovrebbe essere infinita91. Il cambiamento trova allora ragione nell’assunzione di una forza repulsiva che agisce a breve distanza tra i due corpi ; tale forza cresce asintoticamente al diminuire della distanza, tanto che per una distanza infinitesimale il valore della forza si avvicina all’infinito, escludendo di fatto la possibilità di un contatto tra i centri di forza. Per i grandi spazi, la legge di gravitazione newtoniana permane invece (approssimativamente) va-lida, con l’accortezza di postulare, ad una certa distanza, il cambiamento della forza che, da attrat-tiva, diventa repulsiva.

La conseguenza che Boscovich ne trae è del tutto chiara : dal momento che il valore della forza repulsiva tra due corpi si approssima all’infinito con il decrescere della loro distanza, la materia che forma i corpi non può essere né composita né continua, ma deve essere perfettamente sempli-ce. In caso contrario, si dovrebbe assumere che la forza repulsiva mentre non opera tra gli elementi (atomi) della materia, di fatto agirebbe sui composti formati da questi stessi elementi ; cosa che, con tutta evidenza, contraddice il principio di omogeneità92. Se perciò gli elementi primi della ma-teria per principio devono essere semplici ed indivisibili, come conseguenza saranno anche ineste-si93 : perciò, le conclusioni a cui arriva Boscovich sono riassumibili nell’idea del punto fisico ine-steso come costituente ultimo della materia. I punti boscovichiani si distinguono da quelli geome-trici per il fatto di possedere come qualità essenziale l’inerzia, e per essere dotati di una forza che ha le caratteristiche dell’accelerazione. Boscovich assume che questi punti (e le loro forze) sono filosoficamente non problematici ; concede cioè la nostra ignoranza sulla loro origine, tuttavia in-siste sul fatto che le forze non sarebbero nulla di misterioso - il che equivale anche ad attribuire al-la forza un carattere insieme reale ed originario, irriducibile ai fenomeni meccanici, che invece de-vono essere spiegati proprio sulla base della forza.

Ed è proprio questa presunta non problematicità della forza, così come è intesa nei termini della fisica boscovichiana, che per Nietzsche fa problema, dal momento che la forza è pur sempre uno strumento di cui, generalmente, scienza e filosofia si servono per costruire (antropomorficamente) la realtà. Mentre Boscovich non pretende mai di darci una «descrizione» ontologica della vis (at-trattiva o repulsiva), ben sapendo che la descrizione ultima della realtà non gli è in alcun modo ac-cessibile, Nietzsche pretende di risolvere il trascendentale boscovichiano attraverso una integra-zione psicologica che ce lo renda rappresentabile : «il vittorioso concetto di “forza”, con cui i no-stri fisici hanno creato Dio e il mondo, abbisogna ancora di un completamento : gli si deve asse-gnare un mondo interno, che io chiamo “volontà di potenza”, cioè un insaziabile desiderio di mani-festare potenza, come impulso creativo, eccetera. I fisici non riescono a liberare i loro princìpi dell’azione a distanza” ; altrettanto poco sanno liberarsi da una forza che respinge (o che attrae). Non c’è niente da fare : bisogna intendere tutti i movimenti, tutti i “fenomeni”, tutte le “leggi” co-me meri sintomi di un accadere interno, e servirsi alla fine dell’analogia con l’uomo»94. Quella che in Boscovich è una ipotesi di lavoro (forza), in Nietzsche diventa un principio ontologico che, letto e trasposto nei termini del paradigma biologico, offre al filosofo tedesco almeno una duplice serie di vantaggi : in primo luogo per ciò che concerne la critica al soggetto inteso in termini sostanzia-listici (non esiste più una sostanza cui inerisce, secondo il modello soggetto-predicato, la forza ; tutto ciò che c’è é appunto forza che, in quanto tale, è già sempre manifestazione) ; inoltre - e sia-mo al secondo livello - ciò che secondo una fisica elementare è coglibile in termini energetici, per essere compreso attraverso parametri logocentrici va rappresentato con l’ausilio di strutture cogni-

91 R. Boscovich, Theoria Philosophiœ Naturalis, cit., art. 18-20 : pp. 24-25. 92 Ivi, art. 92 : p. 46, e 518-519 : p. 184. 93 Sulla costituzione fisica degli atomi si rimanda agli art. 86-98 : pp. 44-48. 94 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885, Milano, vol. VII, tomo III, §. 7-36-[31] : p. 241.

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tive antropomorfe : «posto che nient’altro ci sia “dato” come reale, salvo il nostro mondo di bra-mosie e di passioni, e che non si possa discendere o salire ad alcun’altra “realtà”, salvo appunto quella dei nostri istinti - il pensare, infatti, è soltanto un rapportarsi reciproco degli istinti - non sa-rebbe allora permesso di fare il tentativo e di porre la questione se questo dato non basti a intende-re, sulla base di quelli similari, anche il cosiddetto mondo meccanicistico (o “materiale”) ? Non già - voglio dire - come un’illusione, un’apparenza una “rappresentazione” (nel senso di Berkeley e di Schopenhauer), bensì come qualcosa di avente lo stesso grado di realtà dei nostri affetti […] In de-finitiva la questione è se mai effettivamente riconosciamo la volontà come agente, se mai crediamo alla causalità del volere : se ci comportiamo in questo modo […] siamo costretti a fare il tentativo di porre ipoteticamente la causalità del volere come causalità esclusiva»95.

Riassumendo : attraverso Lange e Fechner, Nietzsche arriva alla fisica boscovichiana che di fat-to gli fornisce quella serie di supporti scientifici indispensabili (almeno secondo una prospettiva metodologica) alla propria ontologia ; un’ontologia che, come si è visto, Nietzsche cercava di giu-stificare avendo ben presente il panorama delle ricerche della fisica sette-ottocentesca. Tuttavia, rispetto alla provvisorietà concettuale della fisica del suo tempo, Nietzsche sceglie di muoversi se-condo una prospettiva di conservazione del fenomeno, individuando nella potenza (forza, in termi-ni fisici) la realtà originaria. Ma ancora una volta la posizione nietzschiana non è poi tanto eccen-trica, ma segue invece abbastanza chiaramente le indicazioni di un altro neo-kantiano : Hermann von Helmoholtz. Per Helmholtz96 - almeno nella prima fase della sua riflessione - la forza è un concetto metafisico che, in quanto tale, non deriva dall’esperienza ; al contrario, costituisce una delle condizioni di possibilità dell’esperienza ordinaria (quindi, una sorta di apriori in senso kan-tiano) 97. Su questa linea, fatta salva la realtà della forza, Nietzsche riafferma la possibilità della costruzione antropomorfa : la forza certo esiste, ma il modo in cui ce la rendiamo conoscibile (dunque anche le teorie fisico-matematiche che servono a concettualizzare in senso logocentrico questa realtà prima) è il risultato evidente di una costruzione antropocentrica : «dobbiamo quindi, per tenere in piedi teoreticamente il meccanicismo del mondo, aggiungere sempre una clausola che specifichi in che senso noi lo costruiamo con due finzioni : il concetto del moto (preso dal lin-guaggio dei sensi) e il concetto dell’atomo unità (proveniente dalla nostra esperienza psichica) […] Il mondo meccanicistico viene immaginato così come l’occhio e il tatto se lo possono esclusiva-mente raffigurare (come “mosso”), in modo da poterlo calcolare […] Fenomenica è dunque : l’ingerenza del concetto di numero, del concetto di soggetto, del concetto di movimento : ci ab-biamo ancora dentro il nostro occhio, la nostra psicologia. Se eliminiamo questi ingredienti, non restano delle cose, ma dei quanti dinamici : la cui essenza consiste nella loro relazione con tutti gli altri quanti, nel loro “agire” su di loro»98. In fondo, la Volontà di Potenza può anche essere letta come un istinto creativo che opera secondo una direzione antropomorfa. Ma qui Nietzsche - come giustamente nota Stack99 - entra in un circolo vizioso : dopo aver cercato di mostrare che le verità umane sono fondamentalmente antropomorfiche, che la scienza si presenta come il più grande ten-tativo di umanizzazione della natura, e che sia gli scienziati che i filosofi hanno per lo più mancato di comprendere e di sottolineare questo fatto, il filosofo tedesco sembra rovesciare la propria pro-spettiva critica, traslando il linguaggio fisico-matematico di cui la scienza normalmente si serve, per arrivare ad elaborare la base concettuale (e logocentrica) di una forza inintenzionale intesa in termini chiaramente antropomorfi. Il che è un po’ come dire che, di fatto, Nietzsche dimentica la provvisorietà tipica dell’ipotesi scientifica, per passare ad elaborare una posizione che sostituisce

95 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., §. 36 : pp. 43-44. 96 Sono interessanti in questo senso le differenze tra l’edizione di Über die Erhalthung der Kraft del 1853 e la riedi-

zione (con nuova nota introduttiva curata dall’autore) del 1881. 97 M. Heidelberger, Force, Law and Experiment, in D. Caban (a c. di), Hermann von Helmholtz, Berkeley- Los An-

geles, 1993 : p. 468. 98 F. Nietzsche, Frammenti Postumi 1888-1889, vol. VIII, tomo III, Milano, 1974, §. 14-74-[79] : pp. 49-50. 99 G. J. Stack, Lange and Nietzsche, cit. : pp. 244-245.

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all’universalizzazione fisico-matematica (che per sua natura tende a ridurre al minimo ogni ele-mento di costruzione soggettocentrica) l’ennesima proiezione antropomorfa.

Questo ci sembra anche il rischio più concreto cui va incontro l’ontologia nietzschiana : pur partendo cioè dalla stessa provvisorietà dell’indagine scientifica (che Nietzsche deriva dal concetto di rappresentazione in Schopenhauer e Lange), finisca poi per considerare la volontà (pur sempre esito di un processo costruttivo e derivato) non tanto come il dato più originario di cui disponiamo, ma, più radicalmente, come il dato originario - insomma, la tentazione di risolvere positivamente il problema della cosa in sé kantiana (così come del resto aveva già fatto Schopenhauer), è sempre assolutamente presente. Il fatto che Nietzsche rifiuti l’atomo esteso del meccanicismo (con tutte le implicazione che, come abbiamo cercato fin qui di mostrare, questa scelta teorica comporta), per parlare di quanti di potenza, da un lato indica bene la sua volontà di passare da un universo della sostanza ad uno dei rapporti inter-relazionali (le cose non sono realtà stabili ed univoche, ma, in maniera forse più complessa, i rapporti che le costituiscono e le rappresentazione che ne facciamo - il che, ovviamente, vale a ogni livello della scala biologica : sia cioè che si faccia riferimento alla fisica delle molecole che a quella delle dinamiche inter-individuali) ; dall’altro segnala anche come il tentativo di passare dalla fisica alla filosofia, rimandi tanto al tema - centrale per Nietzsche - del-la rappresentazione, quanto all’altro elemento nodale del suo «sistema», ovvero il problema della cosa in sé : perciò, se è vero che nella misura in cui non esistono fatti ma solo interpretazioni, la cosa in sé si dilegua assieme al suo corrispettivo teorico - il fatto appunto -, d’altro canto è anche vero che alla fine tutto si ri(con)duce al fatto, soltanto che non ha senso parlare dei fatti in ragione della loro realtà ultima, ma semplicemente della costruzione derivata che ne facciamo. L’interpretazione dunque è un’attività costruttiva e secondaria, nel senso che, generalmente, va a rielaborare i risultati di un’estetica della percezione che le è originaria : «la percezione dei sensi avviene in noi inconsciamente ; tutto quello di cui diventiamo consapevoli sono già percezioni ela-borate»100. Perciò, secondo la linea di riflessione seguita da Nietzsche, tutto ciò che arriviamo a conoscere è già in qualche modo frutto di rappresentazioni per lo più semplificatorie. Pensiamo ad esempio alla scienza : il motivo per cui il filosofo tedesco sceglie di servirsi delle teorie dinamiche piuttosto che del meccanicismo e dell’atomismo classici non è ovviamente da ricercarsi in una maggiore adeguatezza del dinamismo, ma piuttosto nel fatto che le teorie dinamiche costruiscono la realtà in modo meno semplificatorio. Se cioè tutto ciò che ci è accessibile è solamente un’attività derivata - la nostra rappresentazione - è ovvio che bisognerebbe cercare di sviluppare modelli rappresentativi (e, in un secondo tempo, interpretativi) più articolati, capaci di trattare con maggiore apertura la complessità dei fatti che rielaborano - di qui anche la ragione per cui il pro-spettivismo non è mai riducibile al relativismo, mentre ha piuttosto a che fare con lo scetticismo -, fermo restando il fatto che non sarà mai possibile arrivare alla realtà ontologica (che pure Nie-tzsche non nega mai) delle cose : «se io ho in me qualcosa di unitario, di certo ciò non consiste nell’io cosciente e nel sentire, volere, pensare, bensì in qualche altra cosa : nella saggezza di tutto il mio organismo che conserva si appropria, elimina, sorveglia, e di cui il mio io cosciente non è che uno strumento. Il sentire, il volere e il pensare mostrano sempre e solo fenomeni finali, le cui cause mi sono del tutto ignote ; il succedersi di questi fenomeni finali, come se l’uno seguisse dall’altro, è probabilmente solo un’illusione ; in verità le cause possono forse essere concatenate tra loro in modo tale, che le cause terminali mi facciano l’impressione di una connessione logica e psicologica. Io nego che un fenomeno dello spirito dell’anima sia causa diretta di un altro feno-meno dello spirito o dell’animo, sebbene così sembri. Il vero mondo delle cause ci è nascosto : es-so è indicibilmente più complicato. L’intelletto e i sensi sono un apparato soprattutto semplificato-rio. Il nostro falso, rimpicciolito, logicizzato mondo delle cause è per altro quello in cui noi pos-siamo vivere. Intanto “conosciamo”, in quanto possiamo soddisfare i nostri bisogni».

100 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, cit., §. 7-34-[30] : p. 109.