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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
“Alla riscoperta di Arturo Benedetti Michelangeli:
il lato meno conosciuto del pianista bresciano
più famoso al mondo.”
A CURA DI MATTIA CADEI,
VOLONTARIO DEL SERVIZIO CIVILE DELLA PRO LOCO COMUNALE DI CAZZAGO SAN MARTINO (BS)
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA
DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
PROGETTO DEL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE ANNO 2013-2014:
“Alla riscoperta di Arturo Benedetti Michelangeli:
il lato meno conosciuto del pianista bresciano
più famoso al mondo.”
PROGETTO A CURA DI MATTIA CADEI,
VOLONTARIO DEL SERVIZIO CIVILE DELLA PRO LOCO COMUNALE DI CAZZAGO SAN MARTINO (BS)
Autore Mattia Cadei, Volontario Servizio civile UNPLI
presso la Pro Loco Comunale Cazzago San Martino (Bs)
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Si ringraziano
Presidenza del Consiglio dei Ministri
DIPARTIMENTO DELLA GIOVENTÙ E DEL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE
Servizio Civile UNPLI Bernardina Tavella, responsabile Nazionale SCN - UNPLI
Giuliano Caramanti, responsabile Regionale SCN UNPLI Lombardia
Marco Perrotti, responsabile segreteria SCN UNPLI
Pro Loco Comunale Cazzago San Martino:
Mattia Cadei, Volontario Servizio civile e autore del progetto
Ing. Alessandra Cardellino, FS (Formatore specifico)
Varinia Andreoli, OLP (Operatore locale progetto)
Giuseppe Cavalleri, Presidente della Pro loco comunale Cazzago San Martino (Bs)
PRO LOCO COMUNALE CAZZAGO SAN MARTINO
Via Carebbio 32
25046 Cazzago San Martino (BS)
C.F. - P.IVA 02173780988
E-mail:[email protected]
www.facebook.com/proloco.cazzagosanmartino www.comune.cazzago.bs.it
Tel +39 030 77 50 750 int 8 – fax +39 030 72 50 08 - cell +39 339 35 98 519
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“Alla riscoperta di Arturo Benedetti Michelangeli:
il lato meno conosciuto
del pianista bresciano più famoso al mondo.”
La Pro Loco Comunale di Cazzago San Martino insieme alle pro loco di Soncino, Crema,
Cremona e Pizzighettone fanno parte del gruppo di lavoro per quanto riguarda il progetto
SCN (servizio civile nazionale) dell’UNPLI Lombardia per l’anno 2014/2015. Il titolo del
progetto assegnato loro: “Promuovere il patrimonio immateriale per la riscoperta della
propria identità culturale”.
Mattia Cadei, il volontario del Servizio civile della Pro loco di Cazzago intende scoprire il
più possibile del lato umano e sociale del pianista di fama mondiale Arturo Benedetti
Michelangeli.
Pur essendo stato senza ombra di dubbio il pianista più eccelso che abbia mai abitato nel
Comune di Cazzago San Martino, ancora oggi Arturo Benedetti Michelangeli rappresenta
un personaggio che, al di fuori del suo lato professionale noto a tutti, sotto il profilo privato
diventa quasi misterioso alla maggior parte della popolazione residente. Eppure si hanno
notizie certe che lui abbia abitato, tra il 1959 e il 1967/1968, prima in una villa a Bornato e
poi in un’altra a Calino.
Per questo Mattia Cadei insieme alla Pro Loco di Cazzago San Martino si è impegnata per
portare alla luce gli aspetti meno conosciuti, di questa straordinaria persona che ha
rappresentato le nostre zone geografiche in tutto il mondo.
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Il progetto è stato articolato in modo tale che l’aspetto professionale sia messo stato per
questa volta in secondo piano, per dare rilievo alla vita privata e soprattutto alla personalità
e ai rapporti personali del pianista. Tutto ciò attraverso l’utilizzo di interviste e libri fatti da
persone che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con Arturo. L’obiettivo finale,
dunque, è quello di mettere in risalto tutto ciò che il Maestro ha lasciato, direttamente o
indirettamente, nel territorio bresciano. La figura di ABM nel nostro territorio è talmente
riconosciuta da far nascere a Brescia un centro di documentazione che porta il suo nome,
nel ricordo di un pianista che è stato il più importante del nostro Comune e della nostra
Provincia.
Infine, questo lavoro si è potuto pregiare anche di interviste esclusive: una prima intervista
Giuliana Guidetti Michelangeli, vedova del Maestro; la seconda …intervista è stata fatta
alla Contesas Maria Alessandra Bettoni Cazzago, zia della Contessa Maria Teresa Bettoni
Cazzago che ringraziamo della preziosa collaborazione con la quale ci ha permesso di
condurre queste interviste e di effettuarne un'altra all’allieva preferita del maestro: Clara
Martinengo Villagana.
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INDICE GENERALE DEL PROGETTO
1. BIOGRAFIA
2. PERSONALITA’
3. FESTIVAL PIANISTICO INTERNAZIONALE DI BRESCIA E BERGAMO
4. CENTRO DI DOCUMENTAZIONE “ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI”
5. ARTICOLI DI GIORNALE E INTERVISTE
6. FONTI
BIOGRAFIA
Arturo Benedetti Michelangeli nasce a Brescia il 5 gennaio 1920 da genitori umbri che pochi mesi prima si
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erano trasferiti nella città lombarda. Allora, i Benedetti Michelangeli abitavano in via Milano, in una casa
al secondo piano. Lì sono rimasti fino all'inizio della sua adolescenza. Il padre Giuseppe discende da un
nobile casato di Foligno; laureato in Legge e in Filosofia, esercita la professione di avvocato e
contemporaneamente impartisce lezioni di storia della musica, di teoria e di armonia, avendo conseguito
anche il diploma in composizione e pianoforte. La madre, Angela Paparoni, trascorre l’infanzia e la
giovinezza con i genitori e gli zii, prima a Terni e poi a Bologna; diplomatasi all’istituto magistrale,
intraprende senza concluderli gli studi universitari di lettere e di matematica e si occupa dell’educazione
dei figli e della conduzione della famiglia.
Giuliana Guidetti tramite il suo libro “Vita con Ciro” riporta che il cognome Michelangeli è una
trasformazione del nome Michelagnoli, entrato nella famiglia attraverso il matrimonio con una contessa
che portava questo nome. Di fatto ABM avrebbe dovuto chiamarsi “Benedetti dei conti Michelangeli”. A
Foligno, nella grande piazza, si trova ancora oggi il palazzo dei Michelagnoli.
Tra le mura di casa, in un ambiente dominato da connaturata predisposizione e vivo interesse per la musica,
il piccolo Ciro - così era chiamato Arturo per alcuni suoi riccioli che lo facevano assomigliare a Cirillino,
allora noto personaggio del “Corriere dei Piccoli” - inizia a studiare il pianoforte all’età di tre anni, sotto la
guida del padre. Ma è soprattutto la madre a esercitare notevole influenza sullo sviluppo artistico del figlio
e a spingerlo allo studio del pianoforte, al punto che, pare, decide di non mandarlo a scuola e di istruirlo lei
stessa.
A quattro anni Arturo Benedetti Michelangeli entra al Civico Istituto Musicale “Venturi” di Brescia, allievo
del maestro Paolo Chimeri, e a sette anni, il 10 marzo 1927, suscita stupore e ammirazione generali quando
si esibisce per la prima volta davanti a una platea, in occasione del saggio che conclude il biennio
scolastico 1925-26. Lo stesso compositore raccontava a Giuliana Guidetti: “Ciò che so, l’ho appreso da
Paolo Chimeri.”
Clara Martinengo Villagana, nel suo libro “Arturo Benedetti Michelangeli: genio e compostezza” racconta:
“Adolescente, Michelangeli dava lezione ad un'allieva del padre, la signorina Tretti. Un giorno, arrivando,
lei incontra il padre, cioè il suo maestro, sulla porta d'ingresso del palazzo mentre sta uscendo, all'ora della
lezione: "Sali, - le dice - c'è mio figlio. Ti farà lezione". Era un ragazzo allampanato, ai piedi un paio di
scarpe da ginnastica senza lacci. Riluttante, lei si mette al pianoforte e comincia la Patetica. Il ragazzo la
ascolta fino in fondo, muto, a braccia conserte - una posizione che si trova in alcune foto e che gli era
abituale. Poi con un delicato colpo di gomito la toglie dalla tastiera e gliela fa risentire tutta, da cima a
fondo. Strabiliata, lei torna a casa dicendo che ha sentito un grande pianista. Restano degli spartiti con le
annotazioni di mano del Maestro giovanissimo: Cristallino o Studia qui. Il denaro che riceveva per le
lezioni, Ciro lo consegnava, senza neppure guardarlo, ai suoi genitori, che avevano capito il talento
eccezionale del figlio.
Non si poteva non rimanere stupiti dall’eccezionale talento musicale che dominava la famiglia intera,
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nonostante la diversa formazione del padre e della madre.”
All’origine Ciro era violinista, mentre il fratello Nanni (Umberto, nato nel 1924) si era dedicato al
pianoforte. In un secondo tempo si erano scambiati gli strumenti. Dalla primavera del ’29 frequenta le
lezioni private del maestro Giovanni Anfossi a Milano, dove la mamma lo accompagna tutte le settimane.
Il 22 ottobre 1931 ottiene la licenza normale di pianoforte presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” del
capoluogo lombardo e l’11 giugno 1934, a soli 14 anni, conclude il ciclo istituzionale di studi conseguendo
il diploma di magistero in pianoforte. Nello stesso periodo e negli anni immediatamente successivi segue
anche i corsi di violino col maestro Ferruccio Francesconi e quelli di organo e composizione col maestro
Isidoro Capitanio.
Nel 1934 muoiono Paolo Chimeri e, all'età di otto anni per una polmonite, Liliana, sorella di Arturo che lui
amava molto e che, a quanto pare, era precocissima: la più geniale di tutti.
È durante le sue frequentazioni milanesi che Arturo Benedetti Michelangeli ha modo di farsi ascoltare da
Maria Lentati de’ Medici, colta e sensibile intenditrice dell’arte musicale. Riconosciuto nel giovane
pianista il primo manifestarsi del futuro genio, la nobildonna ne coltiva le doti e ne stimola il talento; sarà
lei a donargli il primo Steinway mezza coda e ad avere un ruolo determinante in questa fase
dell’evoluzione artistica del Maestro. Dopo essersi segnalato tra il 1936 e il 1938 in alcuni concorsi
nazionali, Benedetti Michelangeli si affaccia sul palcoscenico internazionale: nel maggio 1938 è settimo,
ma vincitore morale, al concorso “Eugène Ysaÿe” della Fondazione musicale Regina Elisabetta di
Bruxelles. Secondo Rubinstein, Benedetti Michelangeli "fece un'esecuzione insoddisfacente, tuttavia diede
ampia dimostrazione della sua impeccabile tecnica". A testimonianza di ciò, la regina Elisabetta II invitò
Benedetti Michelangeli a corte.
Nel luglio 1939 trionfa al Concours International d’Exécution Musicale di Ginevra, accolto dalla critica
come il nuovo Liszt. L’affermazione ginevrina gli vale la cattedra “per chiara fama” presso il
Conservatorio di Bologna nel 1940, dove sostituisce Carlo Vidusso.
Nonostante la chiamata alle armi e la guerra, con le sue tragiche peripezie e vicissitudini, Benedetti
Michelangeli può continuare a svolgere una limitata attività concertistica, grazie all’appoggio della
futura regina, la Principessa Maria José, figlia della Regina Madre Elisabetta del Belgio che ne aveva
apprezzato il talento all’epoca del concorso di Bruxelles. Suona all’Accademia di S. Cecilia a Roma,
alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino e tiene concerti in varie c ittà d’Italia e in Svizzera;
esordisce a Barcellona (1940) e a Berlino (1943). In questo periodo inizia anche a incidere dischi; nel
’41 esce, per la Voce del Padrone, il suo primo 78 giri. Continuerà l’attività discografica con His
Master’s Voice e Telefunken fino agli ultimi anni Cinquanta.
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1 Nella foto, il disco di ABM con etichetta "la
voce del padrone"
Alla fine di gennaio del 1942, in pieno conflitto mondiale, è arruolato nella Terza Compagnia di Sanità a
Baggio, presso Milano. Poco si conosce delle avventurose vicende del periodo bellico, la cui incerta
ricostruzione è affidata alle testimonianze scritte di alcune persone a lui molto vicine. Dopo l’8 settembre
1943, per sfuggire ai rastrellamenti operati dai Tedeschi e al successivo obbligo di presentazione richiesto
dal governo della Repubblica di Salò, si rifugia a Borgonato di Cortefranca, in Franciacorta, ospite nel
castello della famiglia Berlucchi.
Una rara immagine di Arturo Benedetti
Michelangeli con la piccola Donatella
a Villa Berlucchi
di Borgonato di Franciacorta
nell'ottobre del 1945.
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Qui, il 20 settembre, nella chiesa di San Vitale, si unisce in matrimonio con Giuliana Guidetti. Clara
Martinengo Villagana, nel suo libro racconta che ai signori Berlucchi, il Maestro era molto legato: era
amico di Guido, Fondatore della cantina Guido Berlucchi& C. SPA, di cui apprezzava la spiccata attitudine
di pianista jazz (si racconta di serate passate a suonare i brani di Duke Ellington e DizzyGillespie), e fu la
signora Vittorina Uberti, madre di Guido, Laura e Lina, a organizzare il matrimonio. Successivamente si
separerà legalmente, con atto del Tribunale di Brescia, il 10 marzo del 1970.
Nei mesi successivi è con la moglie a Sale Marasino, nella villa sul lago d’Iseo di proprietà della famiglia
Martinengo. Vi rimane fino al novembre del 1944, quando è costretto a sfollare in seguito a un bombar-
damento che colpisce il palazzo e danneggia, tra l’altro, il primo “gran coda” che il Maestro aveva
acquistato con i guadagni dei suoi primi concerti.
Nel suo libro, Clara Martinengo Villagana racconta: “La nostra villa aveva l'aspetto del fortilizio, a ferro di
cavallo. Fu per questo che gli alleati la presero di mira? Dal bombardamento, che interruppe la
convivenza continua di quei mesi indefinibili, emerse la zia, come un'apparizione, tra fumo e polvere.
Scendendo lo scalone e vedendo la sua casa per metà distrutta, si preoccupavadelle persone. Nella
confusione del momento, gridava: "Dove siete?".
In casa rimase una bomba inesplosa; dentro allo squarcioera scivolata una gamba del pianoforte. Se la
bomba fosse esplosa, la casa si sarebbe sventrata e sarebbe crollato tutto. Vennero più tardi gli artificieri a
disinnescarla, ma il fusto è sempre rimasto a Sale.
Un'altra bomba cadde sul portale d'ingresso. Avevo visto mia madre ritta in piedi proprio lì, in cima alle
macerie, e l'avevo sentita urlare il mio nome, terrorizzata che io fossi là sotto.
Io invece stavo tornando dal paese, in compagnia di Giuliana.
Era una mattina piena di sole; chissà per quale ragione, feci la comunione dopo la messa, mentre la
moglie del Maestro continuava a sollecitarmi, “Su, andiamo, devi studiare!!!”, mi diceva. Quell’indugio
di pochi minuti fu provvidenziale. La Madonna col Bambino, in quella grande pala sopra l’altare
contornata da un enorme cornice barocca, ci salvò la vita, perché quella volta ritardammo il ritorno.
Giunte a un centinaio di metri da casa, assistemmo all’inferno. Una dozzina d i aerei posti a raggiera si
stava buttando in picchiata puntando proprio verso la nostra abitazione. Fu un attimo di terrore: un
inferno di fumo e polvere che impregnò l’atmosfera di un caratteristico odore di acido fenico e zolfo.
Noi ci riparammo in una piccola casa dove abitavano due vecchietti con la polenta sul fuoco- era quasi
ora di pranzo. Giuliana mi pose al riparo sotto un muretto e continuava a gridare: “Ciro! Ciro! Dov’è
Ciro?”. Io ero terrorizzata. Gli Aerei, passando, avevano mitragliato un ba ttello sul lago e ci furono
molti morti- quarantadue per la precisione; poi, come spinti da una specie di furia assassina che li
portava a colpire qualunque cosa si muovesse, avevano preso a bersaglio tutto il bucato steso nel nostro
giardino.
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Anche il Maestro si salvò per una fortunata coincidenza o, chissà, davvero per un miracolo. Quando
passavano gli aerei, lui usciva sempre in cortile e li contava; ma quella mattina era andato a Sale - la
bicicletta era il suo mezzo preferito. Il paese distava circa un chilometro da casa, e tornando vide
anch'egli cosa stava accadendo. Avevo tredici anni.”
Giuliana Benedetti Michelangeli racconta che durante la guerra a Palazzo Martinengo, si faceva talora
collette per i partigiani, si giocava anche a carte. Uno dei partecipanti dovette aver tradito gli incontri
segreti perché una notte furono tutti arrestati. ABM venne trasportato a Marone, sede delle SS. Solo
grazie all’intervento di un fascista moderato di nome Dugnanipotè essere salvato.
Terminato il conflitto, riprende a insegnare - gli
viene assegnata la cattedra di pianoforte al
Conservatorio di Venezia - e contribuisce in
maniera determinante alla rinascita musicale della
sua città in qualità di Presidente della Società
Bresciana dei Concerti Sinfonici “S. Cecilia”.
Tiene la carica fino al settembre 1947, quando
deve dimettersi a causa dei crescenti impegni
concertistici che lo chiamano in ogni parte del
mondo: nel 1946 si esibisce alla Royal Albert Hall
di Londra, nel 1948-49 effettua la prima delle sue
numerose tournée negli Stati Uniti (le successive
saranno del ’50, ’67, ’68, ’70 e ’71), nel 1949
suona in Sudamerica e nel 1951 in Sud Africa.
La lettera del 18 settembre 1947 con la quale Arturo Benedetti
Michelangelirassegna le dimissioni da Presidente della Società "S.
Cecilia" di Brescia.
Benedetti Michelangeli davanti alle Houses of Parliament di Londra nel 1965.
Nell'occasione il pianista tenne due concerti alla Royal Festival Hall, l’8 e il 17 giugno.
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Intanto, nel 1950, aveva ottenuto il trasferimento a Bolzano, chiamato dal Direttore del Conservatorio
“Monteverdi”, il maestro Cesare Nordio, con il quale fonda il concorso pianistico “Busoni”. Seguono, nel
1952 e nel 1953, e poi dal ’55 al ’65, i corsi di Arezzo (organizzati dalla locale Associazione Amici della
Musica e con il decisivo appoggio di un appassionato magistrato, Mario Bucciolotti). Esistono numerose
testimonianze che lo descrivono come un insegnante paziente, con il raro dono di saper ascoltare. Non
esigeva mai denaro per una lezione privata. Al contrario, organizzava borse di studio per gli studenti
bisognosi.
Clara Martinengo Villagana ha partecipato ai corsi e in “Genio e Compostezza” li racconta così: “Era il
giudice Bucciolottiad organizzare i corsi, in estate, nel cortile di Laura, nella casa del Petrarca, ad Arezzo.
Della casa del Petrarca ricordo le sale che prendevano luce da finestre alte con vetri colorati piccoli e tondi,
e le scalette ripide e strette che le collegavano. Da una stanza, le note del Concerto in re minore di Brahms
o, più sotto, le mani di Lessona con la Toccata di Ravel. FeuxWartifice di Debussy: era Elias Lopez.
Quando il Maestro entrava, il suo profumo si percepiva dappertutto; era un segnale che le lezioni comincia-
vano. Ci prendeva allora un'indefinibile sensazione di elettrizzante attesa e un piacevole batticuore. Sotto il
portico, c'era la stanza di Laura - del Petrarca, naturalmente. Era molto grande, con volte a sesto acuto, con
tendaggi colar ruggine che ricordo enormi e con drappeggi che attutivano il suono del grancoda e
rendevano meno avvertibili le nostre nefandezze. Il pianoforte, al centro, coperto come un enorme cavallo,
fermo, in attesa forse della Giostra del Saracino... Sono gli anni 1953, 1956, 1957, 1958.
"Arezzo è calda e si deve studiare molto - oggi otto ore" dice il taccuino rosso, mio compagno di quegli
anni.
Isacco Rinaldi, assistente di Michelangeli, compilava l'orario delle lezioni, collocando uno dopo l'altro i
nostri nomi, e lo esponeva, giorno per giorno. Se un allievo veniva trattenuto più a lungo, "rubando"
sull'orario, a discrezione del Maestro, la lista del giorno veniva naturalmente cancellata e il turno rimandato
al giorno dopo.
Aspettavo di essere chiamata nel cortile, seduta ai piedi di una delle colonne; ebbi una volta una lezione
lunghissima, tre ore forse, ben oltre il consueto: il Maestro ne uscì esausto, mentre io mi sentivo bene,
fresca, senza fatica. Di queste lezioni ad Arezzo, ne facevi due o tre e poi andavi al diploma, perché ti
faceva suonare tutto, poi tornava indietro, andava avanti, si fermava in silenzio, scriveva.(…)Quando
faceva lezione o parlava da musicista metteva soggezione e faceva rigar dritto. Noi ci arrangiavamo e ci
arrampicavamo sui vetri per assecondarlo e riuscire a fare quel che voleva. Se però non riuscivamo,
smetteva di insistere, perché capiva i nostri limiti. “Fare anche con difetto”.
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Un sorridente Arturo Benedetti Michelangeli tra Isacco Rinaldi (a sinistra) e il segretario del corso di Arezzo del 1959.
I corsi di Michelangeli sono esclusivi, destinati a non più di venticinque, trenta allievi; le lezioni sono
personali. Il Maestro vive l’insegnamento come una vera e propria missione, come un preciso dovere
morale; vi si dedica con infaticabile passione e singolare ed esemplare generosità, lavorando sempre a
titolo gratuito. Questa intensa attività didattica non impedisce a Benedetti Michelangeli una altrettanto
frequente presenza nelle sale da concerto di tutto il mondo, fatta eccezione nel 1954, quando si ammala di
tubercolosi e sospende completamente l’attività concertistica. Nel 1955 suona a Varsavia (nell’occasione è
anche membro della giuria del Concorso Chopin); nel 1957 esordisce a Praga e nel 1964 a Mosca. Tra la
fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta tiene concerti in Spagna, Germania, Portogallo, Francia,
Austria e Svizzera. Lasciato il Conservatorio di Bolzano nel 1959, Michelangeli spera nell’istituzione di un
corso di alto livello pianistico internazionale, nel quale adempiere pienamente alla sua missione didattica.
Ma il Ministero tarda a riconoscere i suoi meriti e a rispondere alle sue richieste. Decide quindi di dare vita
a una piccola scuola privata in quello che gli sembra essere il luogo più adatto, nel silenzio della montagna;
acquista due baite in Val di Rabbi, nel versante trentino del Parco Nazionale dello Stelvio; ne adibisce una
ad abitazione e l’altra a sede dei corsi. Conosce qui un breve periodo di pace e serenità, immerso nella
natura e nella tranquillità dei paesaggi alpini, sfondo ideale alla sua attività di musicista, arricchitasi nel
frattempo di una nuova esperienza: l’armonizzazione di diciannove canti del coro della S.A.T, la cui felice
collaborazione era iniziata anni prima, nel 1954. Nel 1959 si registra inoltre l’acquisto di una casa e di un
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appezzamento di terreno a Bornato, in via Valle, nel Comune di Cazzago San Martino.
Successivamente si scrive che abbia acquistato un’altra abitazione da sistemare, situata all’estremo ovest di
Bornato, che però rivenderà quando abbandonerà l’Italia. Dopo alcune ricerche, effettuate presso l’Ufficio
Edilizia ed Urbanistica del Comune di Cazzago San Martino sulle pratiche edilizie, siamo riusciti a scoprire
che la prima casa di Bornato ora è di proprietà della famiglia Crespi, che la acquistò direttamente dal
Benedetti Michelangeli; la seconda casa, invece, si trova nella frazione di Calino, in località Boschi. Per
quanto riguarda la seconda casa, non abbiamo la certezza che vi abbia abitato anche ABM in quantovi
risultò residente la moglie Giuliana e solo dal 1968, allorquando la loro separazione era già avventa. Nelle
pratiche edilizie alcune vecchie fotografie ci mostrano come pressappoco apparisse la casa in questione:
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Scrive Clara Martinengo: ”Del resto egli sognava una sua chiesa, anzi una chiesina. Ne parlò una volta a
Bornato, mentre percorrevamo un sentiero in costa a una montagnola, mia madre e la moglie del Maestro
avanti, lui e io dietro. Guardavamo in alto, verso sinistra: ”Ecco, vedi: io farò costruire là una chiesina, così
tu verrai a suonare per me”.
Nel ’62 e nel ’66 si esibisce in Vaticano, alla presenza di papa Giovanni XXIII e di papa Paolo VI.
Benedetti Michelangeli si esibisce davanti a papa Giovanni XXIII nella Sala delle Benedizioni del Vaticano, il 28 aprile 1962. Il concerto fu voluto
e diretto da GianandreaGavazzeni come omaggio al pontefice bergamasco, suo concittadino.
A testimonianza di quale fu la portata della presenza del Maestro nel territorio bornatese e di Cazzago in
genere, del rapporto che il Maestro aveva con queste terre e, in particolare, con uno dei suoi più illustri
cittadini, rimane l’onorificenza ricevuta nel 1965. Infatti, quando è sindaco del paese il noto Maestro
Agostino Orizio, il Comune di Cazzago San Martino gli conferisce la cittadinanza onoraria tramite delibera
del consiglio comunale: ecco le due pagine dei verbali, fotografate dagli archivi storici delle delibere del
Consiglio Comunale di Cazzago San Martino:
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ABM in Comune a Cazzago San Martino nel 1965: consegna dell’atto di onorificenza. Fonte: Biblioteca Comunale di Cazzago
San Martino.
Nello stesso 1965, sempre per iniziativa del Maestro Agostino Orizio, viene fondato il Festival Pianistico
Internazionale “Arturo Benedetti Michelangeli” di Brescia e Bergamo, che aveva avuto un’anteprima non
ufficiale l’anno precedente, con una serie di concerti per celebrare i venticinque anni di insegnamento del
Maestro. Si dirada invece notevolmente la sua attività discografica. Se si eccettuano alcune importanti
incisioni del 1965 (pubblicate da Decca-BDM), per tutti gli anni Sessanta non entra quasi mai in sala di
registrazione, circostanza che contribuisce al diffondersi di numerose edizioni pirata dei suoi dischi, contro
le quali si batte fermamente, intraprendendo azioni legali che non avranno però esito. “Quello che occorre
invece ricordare di lui era l’estremo rigore morale dinanzi all’arte e al prossimo. Non avrebbe mai accettato
di eseguire un brano senza aver prima ripercorso tutti i possibili sentieri dei suoni, senza averlo
intimamente conosciuto. Allo stesso modo, egli non volle mai autorizzare un’incisione senza essere sicuro
dell’assoluta qualità della stessa. Le incisioni abusive egli le considerava “truffe” per un pubblico dal
palato grossolano.”(Armando Torno, Un incontro).
Pace e serenità sono bruscamente interrotte la sera del 13 giugno 1968. In qualità di socio della casa
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discografica B.D.M. di Bologna, Benedetti Michelangeli è coinvolto nel fallimento di quest’ultima. Senza
andare troppo per il sottile e senza considerare le clausole del contratto che avrebbero sollevato il Maestro
da qualsiasi responsabilità, gli ufficiali giudiziari gli notificano il sequestro cautelativo dei beni e di tutti i
proventi dei concerti che avrebbe tenuto in Italia, per la somma di ottantanove milioni di lire.
All’umiliazione e al danno morale si aggiunge il problema economico, a causa del quale si trova costretto a
svolgere all’estero la sua attività professionale. In seguito a questi fatti il maestro si ritira sino alla morte in
un volontario auto-esilio in Svizzera, nonostante gli interventi pacificatori del primo ministro Aldo Moro e
del presidente della Repubblica Sandro Pertini. Dichiara pubblicamente di non voler mai più suonare in
Italia. Manterrà la residenza a Bolzano, ma da allora vivrà tra Rabbi e la Svizzera e non suonerà più in
patria, se non in occasione del concerto benefico al Teatro Grande di Brescia, nel giugno 1980, in memoria
di papa Paolo VI.
Benedetti Michelangeli entra in Svizzera nel Cantone di Zurigo il 24 luglio 1969 (è questa la data ufficiale
riportata in tutti i documenti conservati presso gli uffici anagrafici dei vari comuni in cui è via via
domiciliato). Verso la fine di settembre dell’anno successivo ottiene un permesso di dimora nel Canton
Ticino, grazie all’interessamento di Gianna Guggenbühl e del maestro Carlo Florindo Semini, che si
adoperano presso il Dottor Solari della Polizia Federale degli stranieri a Berna. Nel 1969 e nel 1971,
proprio con Semini, è artefice di due corsi di perfezionamento a Villa Hélénaeum a Castagnola, gli ultimi
della sua carriera di insegnante.
Tornerà a incidere negli anni Settanta, per la EMI e per la Deutsche Grammophon Gesellshaft, casa
discografica con la quale collaborerà regolarmente dal 1971 fino al termine della sua carriera.
Cord Garben, pianista e direttore d’orchestra che ha collaborato per 18 anni con ABM, a proposito della
collaborazione con la casa discografica tedesca scrive:
“Per i nuovi partner la collaborazione prese avvio con una punta d’amarezza poiché il contratto con la EMI
britannica non era ancora concluso. ABM aveva davanti a sé l’alternativa di fornire le due produzioni
ancora mancanti oppure di affrontare ancora una volta una penale. Decise di incidere i Concerti per
pianoforte di Joseph Haydn e un altro disco con Carnaval eFaschingsschwank aus Wien di Robert
Schumann, cui replicò la precedente registrazione della BBC. Ancor oggi non pochi ascoltatori sono
sorpresi dell’insolita durezzadell’esecuzione. ABM addirittura “capovolge” questi capolavori di lievità con
un tocco sconvenientemente pesante. Il critico amburghese Ingo Harden, (…) scorge nell’interpretazione
così dura e priva di delicatezza un “ atteggiamento di rifiuto” dell’artista.”
Continuiamo con la biografia.
Fino al settembre 1974 vive a Massagno, poi a Riva San Vitale e a Sagno, dove giunge nel dicembre del
1977. Il 1° agosto 1979 si trasferisce a Pura, in affitto nella villa che qualche tempo dopo lascerà a un altro
grande pianista, Vladimir Ashkenazy. Trasloca quindi in una casa immersa nell’ombra dei castagneti, a
poche centinaia di metri dalla precedente, sulla stessa strada; qui trascorre gli ultimi anni della sua vita,
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lontano dai clamori e dalla folla, in semplicità quasi francescana. Armando Torno nella sua dimora svizzera
ci è stato e racconta: “Varcare la soglia della casa di Pura equivaleva ad entrare in un convento. Non vi era
alcun orpello in giro, non esisteva il superfluo. C’era lui, la sua arte, la sua conversazione.“
Ad alleviare le sofferenze della sua salute precaria sono le cure e le attenzioni di Anne Marie-José Gros
Dubois, che gli è anche fedele segretaria.
La sua attività concertistica si fa sempre meno frequente, ma la sua fama ha ormai le dimensioni del mito e
ogni sua apparizione in pubblico è un evento da prima pagina. Nel 1977 tiene un recital nella sala Nervi del
Vaticano (vi tornerà dieci anni dopo) e nell’81 suona all’Auditorium della Radio della Svizzera Italiana.
Nel 1980 dopo dodici anni d’assenza dopo l’auto-esilio, tiene un concerto in Italia, a Brescia: si tratta di un
recital di beneficenza in memoria di Papa Paolo VI pro rifugiati indocinesi in Thailandia. Nell’85 è colpito
da una semiparesi in seguito a problemi cardiocircolatori; assente dalle sale per quasi un anno, programma
il suo rientro nella primavera del 1986, a Parigi e Zurigo, dove però è costretto a sospendere il concerto
dopo l’intervallo.
1987: Ultimo concerto in Vaticano, promosso dall'Ordine di Malta : per questo recital gli viene assegnato
dalla critica italiana il Premio "Franco Abbiati" della musica da camera per il miglior concerto dell'anno. Il
concerto doveva avere uno scopo benefico: il ricavato sarebbe dovuto andare a finanziare opere umanitarie,
ma non fu cosi. Benedetti Michelangeli, assolutamente contrariato, restituì la Croce di Grand’Ufficiale che
gli era stata assegnata dall’Ordine, perché dopo questi fatti non si sentiva membro di esso. Nel gennaio
1988 suona a Bregenz e il 17 ottobre dello stesso anno è in scena a Bordeaux, in una drammatica serata
durante la quale si accascia sul pianoforte vittima di un malore per un aneurisma dell’aorta. Viene
sottoposto a un delicato intervento chirurgico e meno di un anno dopo, nel mese di giugno, torna a esibirsi
ad Amburgo e Brema. Nel giugno del 1992 tiene una serie di memorabili concerti a Monaco, accompa-
gnato dalla Münchner Philharmoniker diretta da Sergiu Celibidache, in occasione dell’80° compleanno del
direttore rumeno. È probabilmente l’apoteosi di una carriera unica e irripetibile che si conclude ad
Amburgo il 7 maggio 1993. Chopin, Debussy, Mozart, Beethoven, Schumann e Ravel sono gli autori da lui
prediletti; le sue esecuzioni delle loro opere lo hanno portato ai vertici indiscussi del pianismo
internazionale di tutti i tempi.
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Nel giugno del 1995 viene ricoverato all’Ospedale Cantonale di Lugano per un nuovo attacco cardiaco.
Muore nella notte tra l’11 e il 12 giugno. È sepolto nel piccolo cimitero di Pura, in una semplicissima
tomba che per sua volontà è priva di lapide. Armando Torno, nel suo libro “Arturo Benedetti Michelangeli-
Un incontro” scrive: “…il maestro fu sereno fino all’ultimo e non si è accorto del trapasso. (…) Ancora
domenica scorsa, al mattino, i medici dell’ospedale di Lugano avevano portato i loro bambini per farli
incontrare con lui. Mi dicono che ha avuto ancora una volta un sorriso per tutti, soprattutto per una
bambina di due anni. Mi assicura Paolo Andrea che è riuscito, prima di andarsene, a fumare l’adorato
toscano Garibaldi. La cerimonia di Pura, dove è sepolto, fa parte di quelle semplicissime. La bara era
appoggiata a terra. (…) il suo testamento, scritto nel 1986 e mai mutato, chiedeva di evitare gli annunci e le
cerimonie pubbliche. Desiderava inoltre una bara semplice, non una lapide, sulla sua tomba voleva soltanto
una croce”
Si conclude così la vicenda terrena di Arturo Benedetti Michelangeli, un uomo e un artista che ha cercato la
Verità attraverso la perfezione delle sue esecuzioni e sul quale la verità non è ancora stata scritta.
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PERSONALITA’
Benedetti Michelangeli fu un pianista e un uomo dalla personalità molto interessante. Fu un grandissimo
conoscitore della meccanica del pianoforte e pretendeva che gli strumenti da concerto da lui utilizzati
fossero in condizioni perfette. Arrivò a portare con sé in tournée due dei suoi pianoforti e spesso si rifiutava
ugualmente di suonare, poiché non erano stati a suo giudizio messi a punto in maniera ottimale, oppure
perché nella sala c'era troppa umidità. In alcune occasioni i concerti furono annullati con il pubblico già in
sala. Come ad esempio a Londra, dove alcuni italiani organizzarono un pullman per assistere ai suoi
concerti in terra inglese. Arturo, che poco tempo prima si era auto-esiliato dall’Italia per lo “sgarbo”
riguardante la sua società, saputa la notizia dei fans italiani, annullò tutti e tre i concerti.
A suo dire, giornali autorevoli e non solo “giornalucoli” scriverebbero ripetutamente cose che non avrebbe
mai pronunciato.
Il suo interesse per lo spettacolare progresso tecnologico del periodo prebellico lo attirava nel mondo degli
stimoli esterni: si entusiasmava per lo sport, da poco scoperto, delle corse automobilistiche. Raccontava di
aver partecipato due volte alla famosa gara delle “Mille Miglia” (anche se dall’archivio storico del museo
delle Mille Miglia di Brescia non risulta iscritto). Anche nel traffico stradale di tutti i giorni cercava il
rischio, come narrava il pianista Nikita Magaloff. ABM avrebbe corso “come un pazzo”, “è un miracolo
che sia ancora vivo!”. In qualche modo pareva logico che si occupasse, tra parentesi, pure di aviazione
sportiva. Cercava la provocazione in tutti i campi.
Cord Garben, a proposito della Ferrari di Michelangeli scrive: “Quando ABM una mattina, naturalmente
senza chiedermi se fossi interessato ad un giro di prova, mi invitò con delicatezza nel rosso “veicolo di
campagna a motore”di provenienza italiana, già dopo essere salito mi prese una certa insicurezza. (…) Non
avrei mai pensato che proprio un pianista sarebbe riuscito a procurarmi panico. Quando dell’autoveicolo
rosso ripresi i sensi, sapevo che non mi ero svegliato da un incubo, ma dalla realtà.(…) Quando lo
“Steinway” rosso fu nuovamente sistemato nel garage, il Maestro, come se nulla fosse accaduto, dopo una
breve pausa si recò al piano inferiore per rilassarsi al pianoforte Steinway, forse anche per dare occasione
al suo impaurito compagno di viaggio di ritornare in questo mondo.”
Era una persona schiva e riservata, la moglie Giuliana Guidetti racconta che in ambito musicale le uniche
persone di cui si fidava veramente erano i suoi allievi. I quali a loro volta raccontano che durante le lezioni
non si arrabbiava mai e non dava mai modo a nessuno di pensare che valesse poco. Quando un allievo non
riusciva a risolvere un problema e mostrava segni di tristezza, faceva innanzi tutto il possibile per ridare il
sorriso.
Sempre Cord Garben racconta: “Si aspettava dalla gente la disposizione a partecipare ai suoi sbalzi
d’umore. Dapprima socievole, aperto e affabile, poteva chiudersi improvvisamente, diventare
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inavvicinabile e restare solo con se stesso, lontanissimo da tutti quelli con cui aveva appena comunicato,
come se non appartenesse a loro. A chi a quel punto perdeva i nervi, ABM dava a intendere che non lo
confortava veramente. (…) Se irritato dal comportamento di qualcuno, era capace di mostrare un viso
spaventosamente freddo e ostile. Se solo si profilava una situazione da cui non c’era possibilità di fuga,
come nelle rare cene di circostanza, allora si chiudeva a riccio ed il suo vicino restava solo con se
stesso.(…) Gli esperti sapevano che dopo il black-out si riaccendeva sempre la luce. In pochi minuti la
zona degli occhi, che poco prima tremolava nervosamente, si distendeva ed il rinvenuto appariva
particolarmente tranquillo. Con cambiamenti talmente veloci, come dalla notte al giorno, stupiva
regolarmente le persone che lo circondavano”.
Faceva sentire all’ospite di essere il benvenuto. Tuttavia, se per un momento questi gli sembrava di troppo,
senza dire una parola gli porgeva da un basso ripiano laterale un libro d’arte, liberandosi per un po’ di
tempo dal peso della comunicazione. L’”abate” era la massima concessione che il maestro si permetteva
con i suoi ospiti e significava il riconoscimento più alto, quasi uno strappo alla regola. L’”abate”
equivaleva al Dom Perignon. Armando Torno nel racconto del suo incontro col Maestro scrive: “Quella
volta Benedetti Michelangeli si scusò perché avremmo usato “i bicchieri da dentista”, ovvero delle coppe
normali. (…) Anche con i bicchieri da dentista un fatto come “l’ingresso dell’abate” entrò a far parte dei
ricordi.”
Le stranezze e originalità del suo carattere non devono indurre a pensare che egli non fosse un artista
umile: sul palco manteneva sempre un'assoluta compostezza durante l'esecuzione e non rispondeva quasi
mai agli applausi, perché riteneva che questi non dovessero esser diretti a lui, ma ai compositori dei brani
eseguiti. Dovremmo aggiungere per completezza che non accettò nemmeno alcun riconoscimento che fu
proposto dalla Repubblica italiana. Perché? La risposta è molto semplice: “non li posso accettare, sono
monarchico”.
Voleva sempre essere impeccabile, per questo in età avanzata (e dopo i problemi di salute che aveva
passato) non accettava la diminuzione del controllo tecnico sullo strumento. Gli altissimi traguardi di
perfezione da lui stesso posti, finirono quindi per tormentarlo e demoralizzarlo.
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FESTIVAL PIANISTICO INTERNAZIONALE
DI BRESCIA E BERGAMO
Il Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo è una delle maggiori manifestazioni mondiali
dedicate specificamente al pianoforte, inteso sia come strumento solista che come prestigioso interlocutore
di grandi orchestre. Il festival è nato nel 1964 per onorare la figura del grande pianista italiano Arturo
Benedetti Michelangeli infatti, il nome è stato modificato nel 1998 in Festival pianistico internazionale
"Arturo Benedetti Michelangeli" in onore del defunto pianista, ma è stato poi modificato nuovamente nel
2009 a causa di discordanze con Giuliana Guidetti (vedova di ABM) dovute alla consegna del premio al
pianista cinese Lang Lang (vedi articolo di giornale).
Nato nel 1964 per iniziativa del M° Agostino Orizio, il Festival misura il polso del pianismo internazionale
ospitando, da oltre quaranta anni, le orchestre e i solisti più famosi nelle splendide cornici del Teatro
Grande di Brescia e del Teatro Donizetti di Bergamo.
Al Festival sono apparsi non solo i più grandi pianisti, da Arturo Benedetti Michelangeli, protagonista delle
prime cinque edizioni, a Magaloff, da Richter ad Arrau, Pollini, Ashkenazy, Radu Lupu, Zimerman,
Brendel, Martha Argerich, Evgenij Kissin, Grigory Sokolov, ma anche strumentisti, cantanti e direttori del
calibro di Mstislav Rostropovich, Mischa Maisky, Uto Ughi, Luciano Pavarotti, Riccardo Muti, Claudio
Abbado, Gergiev, Giulini, Sawallisch, Solti, Maazel, Chung. Tra le orchestre spiccano i Berliner
Philharmoniker, i Wiener Philharmoniker, l’Orchestra di Philadelphia, la Filarmonica d’Israele, la
Filarmonica di San Pietroburgo, la National de France, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia di
Roma, la Filarmonica della Scala.
Una delle caratteristiche che distinguono il Festival da altre manifestazioni similari è la sua fisionomia a
tema, con un filo conduttore che, di volta in volta, mette a fuoco un autore, un ambiente culturale, un
periodo storico particolare.
Nel 1986 il Festival ha ricevuto il Premio Abbiati della Critica musicale italiana e la Medaglia Liszt del
Ministero della Cultura Ungherese. Dal 1987 appartiene alla European Festivals Association. Socio
fondatore di Italiafestival, è posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e nel 1992
ha ottenuto l’Alto Patronato del Presidente del Parlamento Europeo.
Il Festival negli ultimi anni ha vissuto cambiamenti di rilievo con il passaggio di consegne, per quanto
riguarda la direzione artistica, da Agostino Orizio al figlio Pier Carlo e con la nomina a presidente di
Andrea Gibellini, succeduto a Filippo Siebaneck.
Sotto la guida di Pier Carlo Orizio il Festival ha intrapreso una nuova strada che unisce musica
contemporanea e grande repertorio classico come è accaduto per esempio nelle edizioni 2007 e 2008,
rispettivamente dedicate a Beethoven e Arvo Pärt e a Chopin e Bernstein.
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE ARTURO BENEDETTI
MICHELANGELI
Negli anni successivi alla scomparsa del grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli (Brescia 1920 -
Lugano 1995), iniziative in sua memoria si sono moltiplicate in tutto il mondo. Tuttavia, a tale fervore
commemorativo, spesso legato a eventi concertistici o iniziative discografiche di alto valore artistico, non
si è aggiunto un organico progetto scientifico di salvaguardia delle testimonianze storiche in grado di
documentare l'arte pianistica, la biografia, la carriera e l'attività professionale del Maestro.
Da qui l'esigenza di dar vita, a Brescia, a un Centro di Documentazione destinato a divenire punto di
riferimento internazionale per la raccolta delle fonti e delle testimonianze autentiche oggi reperibili sul
Maestro e per la diffusione di libri, studi e saggi sulla sua arte.
Istituito nella primavera del 1999 il Centro di Documentazione «Arturo Benedetti Michelangeli» si propone
di raccogliere, catalogare ed eventualmente tradurre in lingua italiana materiale bibliografico sull'arte
pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli, e precisamente:
- libri, saggi, articoli, interviste, tesi di laurea, atti di convegni;
- presentazioni e recensioni di concerti;
- aneddoti e ricordi di musicisti, amici, conoscenti;
- recensioni di dischi;
- fotografie;
- locandine, manifesti e programmi di concerti;
- registrazioni edite e inedite audio e video di concerti e interviste;
- documentazione sui corsi tenuti da ABM a Brescia, Bolzano, Arezzo, Siena, Moncalieri (Torino), Lugano
e altrove;
- ogni altro documento atto a testimoniare la vita e l'arte del Maestro.
Attualmente il Centro possiede circa 6.000 articoli di periodici di tutto il mondo, 400 fotografie del
Maestro (in gran parte inedite), 350 programmi di sala originali, locandine e manifesti di concerti, l'intero
corpus delle registrazioni di Arturo Benedetti Michelangeli pubblicati in disco (78, 45 e 33 giri) e in CD,
registrazioni inedite audio e video, nonché tutti i libri e saggi finora pubblicati sul Maestro in Italia e
all'estero. L'istituto ha inoltre acquisito materiali e documenti dagli archivi privati di diversi allievi di
Arturo Benedetti Michelangeli, di direttori d'orchestra, dell'avvocato Alberto Bagattini, della signora Bruna
Re e del fedele accordatore Cesare Augusto Tallone. Il Centro di Documentazione "Arturo Benedetti
Michelangeli" è un'associazione culturale non a fini di lucro con sede a Brescia. La sua attività si sostiene
attraverso le quote degli associati, ed è diretto dai musicologi Stefano Biosa e Marco Bizzarini.
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
ARTICOLI DI GIORNALE E INTERVISTE
INDICE
1. “AUGURI, MAESTRO”, ARMANDO TORNO – IL SOLE 24 ORE : 75°ESIMO COMPLEANNO;
2. “L’ARMONIA DELLA SEMPLICITÀ”, ARMANDO TORNO – IL SOLE 24 ORE : MICHELANGELI
RESTITUISCE LA CROCE DI GRAND’UFFICIALE DELL’ORDINE DI MALTA;
3. “IL TRATTAMENTO E L’ONOREFICENZA”, ARMANDO TORNO: LETTERA DI MICHELANGELI
ALL’AVVOCATO IN CUI LO INVITA A RESTITUIRE L’ONOREFICENZA;
4. “IL FINE COMUNE: LA MUSICA”, MAURO PEDROTTI-
WWW.ARTUROBENEDETTIMICHELANGELI.COM: MAURO PEDROTTI, DIRETTORE DEL CORO DELLA
SAT, RACCONTA ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI NEI LORO INCONTRI;
5. "RICORDO DI ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI", DARIO DE ROSA-
WWW.ARTUROBENEDETTIMICHELANGELI.COM: IL PIANISTA DEL TRIO DI TRIESTE DARIO DE
ROSA RACCONTA DEI SUOI RICORDI DI ABM NEL DECIMO ANNIVERSARIO DALLA MORTE;
6. “PER ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI”, FERNANDA PIVANO –
WWW.ARTUROBENEDETTIMICHELANGELI.COM: FERNANDA PIVANO RACCONTA IL MAESTRO;
7. “ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI, IL GENIO PLAGIATO”, SANDRA CAPPELLETTO- LA STAMPA;
INTERVISTA A GIULIANA GUIDETTI;
8. “BEFFATO DALL’ORDINE DI MALTA”, PARACCHINI GIAN LUIGI – IL CORRIERE DELLA SERA;
9. “IL FESTIVAL PERDE IL NOME DI MICHELANGELI”, LUIGI FERTONANI – BRESCIAOGGI;
10. “NON SOLO UN GRANDE PIANISTA MA UN VERO GRANDE MAESTRO” DI MARCO VITALE;
11. “LA MUSICA COME PREGHIERA” DI MARCO VITALE, INTERVISTA A ISACCO RINALDI;
12. “IL DEMONE DELLE NOTE CHE CORREVA IN FERRARI”, ALTICHIERI ALESSIO, IL CORRIERE DELLA
SERA;
13. “QUELLA SERA A TOKIO FU SMONTATO IL PIANO”, PAOLO ANDREA METTEL, IL SOLE 24 ORE;
14. PRO LOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO - INTERVISTA A GIULIANA BENEDETTI MICHELANGELI;
15. PRO LOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO–INTERVISTA A MARIA ALESSANDRA BETTONI CAZZAGO;
16. PROLOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO – INTERVISTA A CLARA MARTINENGO VILLAGANA.
1.
8 GENNAIO 1995 - IL SOLE 24 ORE - DI ARMANDO TORNO
AUGURI, MAESTRO
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
In questi giorni Arturo Benedetti Michelangeli ha compiuto 75 anni. Questo articolo, qui ospitato, vuole
essere un segno di omaggio e di affetto per un grande artista, per un interprete che possiamo definire unico.
Ma ancor più queste righe vogliono semplicemente inviargli degli auguri, senza commenti, senza
aggiungere parole superflue, senza applicare ulteriori fronzoli a fatti o episodi che i curiosi, i ficcanaso, gli
approfittatori e altra marmaglia (che gode nell'offendere la riservatezza di un grande artista) continua a
diffondere senza conoscere quel che è veramente accaduto.
Diciamolo senza mezzi termini: di Benedetti Michelangeli si è parlato troppo e in maniera inadeguata. Si
sono scritte fastidiose bugie sul suo conto, si è compendiata la sua arte con una mitologia che non ha nulla
a che vedere con i fatti reali. Ogni occasione poi è utile per rincarare la dose; in tal modo, da anni, veniamo
malinformati sul suo conto. Nella società delle pornostar e della volgarità non abbiamo capito che un artista
come Arturo Benedetti Michelangeli è altra cosa, che non possiamo violare la sua sensibilità per obbedire
agli stupidi comandamenti di un'informazione che sembra drogata. Certo, la notizia deve essere sempre
pastosa, ad effetto: e così ogni volta facciamo del male a un artista che ha dato all'umanità interpretazioni
che resteranno, a un maestro che ci ha avvicinati al bello.
Abbiamo incontrato Benedetti Michelangeli. Dobbiamo confessarvi, cari lettori, che non è stata emozione
da poco. Ma soprattutto vorremmo sottolineare che non è vero quel che si dice, che non è uno stravagante o
un personaggio caricaturale. Sul suo conto circolano migliaia di aneddoti, per lo più inventati, conditi con
le peggiori spezie. Ebbene, non credete a quel che i più dicono. Benedetti Michelangeli ha solo e
semplicemente bisogno di dialogare giorno dopo giorno, ora dopo ora con il mondo delle note, con quello
che si cela dentro ogni nota. Giudichiamolo, per favore, tenendo conto di ciò e non ricamando senza pietà
sulle storielle gonfiate dl volta in volta.
Incontrandolo abbiamo capito che questo pianista è il testimone più prezioso del mondo della musica. Egli
non si piega ad alcuna logica commerciale, rifiuta ogni compromesso con il pittoresco mondo delle
incisioni discografiche (in cui ormai avviene di tutto), non ha paura a respingere quelle offerte che non
«sente» vicine al proprio animo. Sono caratteristiche che possono stupire, ma è tra queste coordinate che va
cercato Arturo Benedetti Michelangeli. In un mondo che insegue con voluttà ogni complimento, ogni
possibile aggettivo, il maestro ha rifiutato 8 lauree honoris causa (delle quali una soltanto gli giungeva
dall'Italia). «Che cosa ne faccio?» ci ha detto sorridendo. Già, cosa se ne fa un uomo di 8 lauree? Per questo
motivo abbiamo deciso di inviargli degli auguri chiedendogli scusa. Gli chiediamo scusa anche a nome di
tutti quegli italiani che credono nella sua arte, che lo seguono, che troppo spesso sono stati imbrogliati dalle
bugie di una schiera fiorente di millantatori e, purtroppo, anche da incisioni pirata che recano il nome di
Benedetti Michelangeli e che nulla c'entrano con lui. Ma qui si apre un altro capitolo, e dei più dolorosi. Il
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
maestro è offeso per quel che si continua a fare abusando del suo nome. Del resto, non sappiamo cosa
rispondergli su quest'ultimo punto. Se il nostro Paese avesse ancora del pudore, avrebbe da tempo ordinato
il carcere per gli abusivi. Il dramma è anche che dell'abuso si è fatta una norma.
Ci scusi, dunque, maestro. Ci spiace ancora una volta. Ma abbia i nostri auguri. E il nostro affetto.
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2.
15 GENNAIO 1995 - IL SOLE 24 ORE - DI ARMANDO TORNO
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
IL 13 GENNAIO ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI HA RESTITUITO LA CROCE DI GRAND'UFFICIALE DELL'ORDINE DI MALTA
L'ARMONIA DELLA SEMPLICITÀ
INCONTRO CON IL GRANDE PIANISTA: I SUOI «RIFIUTI», IL SUO RIGORE
MORALE, IL MODELLO FRANCESCANO CHE AMA
Venerdì scorso, 13 gennaio, Arturo Benedetti Michelangeli ha riconsegnato al Sovrano Ordine Militare di
Malta la «Croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine al Merito Melitense». La prestigiosa onorificenza gli venne
assegnata con un decreto del 30 maggio 1987. Il 13 giugno di quello stesso anno il maestro avrebbe tenuto,
nella Sala Nervi in Vaticano, un concerto a scopo di beneficenza (a favore dell'Ospedale San Giovanni
Battista, gestito dagli stessi Cavalieri di Malta).
Ma qui sospendiamo l'elenco dei fatti per dar spazio a qualche chiarimento, a un ricordo. Quel 13 giugno
1987 era un sabato. L'appuntamento per il recital venne fissato alle 18,30. Arturo Benedetti Michelangeli
era attesissimo. Il suo ultimo concerto in Italia era stato a Brescia nel 1980, e si poteva considerare
anch'esso un'eccezione (scopo benefico pure in questo caso: il pianista aveva suonato in memoria di Paolo
VI e per aiutare i profughi del Sud-Est Asiatico). In Vaticano aveva tenuto un concerto dieci anni prima,
venerdì 29 aprile 1977, sempre nella Sala Nervi. Si capirà dunque il clima che si respirava quel 13 giugno
del 1987. Il programma inoltre si poteva considerare affascinante. Si apriva con la Sonata in do maggiore
op.2 n.3 di Ludwig van Beethoven, proseguiva con la Grande Polonaise brillante précédée d'un Andante
spianato op.22 di Chopin, quindi con la prima e la seconda serie di Images di Claude Debussy. Si chiudeva
con Maurice Ravel: Gaspard de la Nuit (trois poèmes pour piano d'après Aloysius Bertrand). Fascinoso
anche il libretto di sala. Iniziava illustrando le caratteristiche di quello spazio ideato da Nervi, poi offriva
un profilo del Sovrano Militare Ordine di Malta. Dotto il saggio di Oscar Sandner dedicato al grande
pianista. Si apriva con citazioni di Hegel e di Pound, nonché con parole alate: «Nomen est omen: Benedetti
Michelangeli è lo scultore tra i pianisti. Come nessun altro con il tocco delle dita egli scolpisce una nota
dopo l'altra».
Il successo di quel concerto è entrato nella memoria collettiva. I biglietti -che costavano da 100 a 300mila
lire -andarono a ruba. Non se ne diedero in omaggio. E sembrava una storia esemplare, nata intorno a
un'idea magnanima, organizzata da un ordine prestigioso che ognuno di noi incontra sui libri di storia,
istituito come comunità monastica prima della conquista di Gerusalemme (1099) da parte degli eserciti
della Prima Crociata. Dulcis in fundo: il pianista non aveva (e non ha) rivali. Ma - c'è sempre questa
congiunzione avversativa con cui fare i conti -la vicenda non è andata come tutti si aspettavano.
Riprendiamo la narrazione dei fatti.
Per il concerto in questione, Arturo Benedetti Michelangeli venne contattato nel 1986 dall'avvocato
Giorgio Montini e poi dall'allora direttore dell' Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
Malta (l' Acismom) duca Arturo Catalano Gonzaga. Il nobiluomo chiedeva disponibilità al maestro per il
recital e i proventi, secondo l'accordo intercorso tra le parti, sarebbero stati devoluti ad opere umanitarie. In
particolare, come si legge nell'atto di citazione, «per dotare di un gabinetto neurologico l'Ospedale San
Giovanni Battista alla Magliana per interventi sugli handicappati». Il celebre pianista si rendeva
disponibile, senza chiedere alcun compenso, e l' Acismom si impegnava, nei confronti del maestro e del
pubblico medesimo, a impiegare il ricavato per lo scopo benefico.
Il concerto si svolse e agli infiniti applausi seguì un periodo di silenzio. Benedetti Michelangeli si fece vivo
sollecitando dei resoconti e l'11 novembre di quello stesso 1987, il duca Catalano Gonzaga, per conto
dell'Acismom, indicava la somma incassata: circa 640 milioni di lire. Ma tale segnalazione non era seguita
dall'attesa realizzazione. Fu così che il grande pianista sollecitò nuovamente, e nel giugno 1988 una lettera
del presidente dell'Acismom, Francesco Colonna, ribadiva gli impegni assunti e invitava il maestro a
tenersi pronto per la prossima inaugurazione.
Arriviamo in tal modo al dicembre 1988. L'Acismom si scusa del fatto che i lavori non siano ancora iniziati
e ricorda che il progetto è al vaglio delle competenti autorità della Sovrintendenza ai Monumenti e che,
comunque, l'autorizzazione non sarebbe mancata. Passa ancora del tempo. Benedetti Michelangeli sollecita
nuovamente; di contro gli viene inviato un progetto, di quelli che però amano rimanere sulla carta. Il
maestro decide, a questo punto, di affidare la questione a un legale. Un avvocato romano chiede
all'Acismom qualcosa di concreto e l'associazione - siamo nel febbraio 1990 - ammette che gli scopi
benefici, per i quali il recital era nato, non si erano ancora tradotti in realtà a causa del susseguirsi, nella
stessa associazione, di tre amministrazioni "straordinarie", tra cui due commissariamenti e
un'amministrazione statutaria. E l'amministrazione allora in carica rispose di non poter destinare i proventi
del concerto.
Il resto è storia d'oggi, o cronaca che dir si voglia. Quanto venne promesso a suo tempo non è stato
realizzato e il maestro Arturo Benedetti Michelangeli non se l'è sentita di conservare l'onoreficenza
conferitagli e l'ha restituita. Quanto ai denari incassati, va aggiunto che il 29 dicembre 1989 l'Acismom ha
acquistato presso la Bnl 114 milioni di Bot trimestrali. Dopo di che non si è saputo più nulla. C'è, infine,
chi ha osservato che l'incasso di cui si parla forse non era così esiguo. Se per una sala dalla capienza di
8004 posti (può salire, volendolo, sino a 12mila) si vendono 2mila biglietti a 300mila lire, 2784 a 200mila e
3220 a 100mila, secondo la suddivisione dei settori, sommando il risultato delle tre moltiplicazioni si ricava
la cifra di 1 miliardo e 478 milioni. E le cronache del tempo riferiscono di una sala stracolma.
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Non spetta a noi, certamente, stabilire quale conto sia quello attendibile. Quel che ci interessa di tutta la
storia - che proseguirà nei tribunali e si concluderà con l'aiuto della legge - è il gesto del maestro. Poco
prima chela riconsegna avvenisse, lo abbiamo incontrato, e abbiamo parlato con lui di questa vicenda. Ora
ricaviamo alcune considerazioni.
Innanzitutto: il suo non è il gesto di un artista stravagante, ma più semplicemente quello di un uomo offeso.
La lettera che egli ha inviato all'avvocato Giuseppe Alemani, con la quale lo invitava a riconsegnare le
insegne (e che riportiamo in questa pagina per gentile concessione dello stesso Benedetti Michelangeli),
riassume il suo stato d'animo. Non si possono interpretare tali righe -secondo un uso che si è trasformato in
una specie di sport nazionale - per rincarare la dose sul suo conto. Benedetti Michelangeli rifiuta
un'onoreficenza che non sente più «vera»: tutto qui. Diciamo questo perché il settantacinquesimo
compleanno del maestro, festeggiato nei primi giorni di gennaio, ha dato vita al ripescaggio di una fiorente
anedottica che nulla c'entra con i fatti reali. Non ci sembra bello, né tantomeno elegante, bersagliere senza
requie la vita di un artista che ama soprattutto la riservatezza.
Seconda osservazione. Possiamo considerarla di carattere generale. Quando si parla di Arturo Benedetti
Michelangeli ci si lascia prendere la mano e l'invenzione diventa la regola. In realtà le cose non seguono le
leggi fissate dalla fantasia dei cronisti. La riconsegna della croce di grand'ufficiale, che abbiamo ricostruito
grazie all'incontro con il maestro, rivela uno spirito che non si presta ad alcun compromesso. L'Ordine di
Malta avrà forse le sue ragioni (e le esporrà a suo tempo e luogo, e ci auguriamo che non siano soltanto
formali), ma lui, Arturo Benedetti Michelangeli, si è sentito tradito. E ha fatto quello che soltanto i grandi
possono permettersi: ha respinto con un semplice gesto ciò che i più inseguono magari per l'intera vita.
D'altra parte, lo ricordavamo la scorsa domenica su queste stesse pagine, egli ha rifiutato 8 lauree honoris
causa. Non c'è altro da aggiungere.
Ma, per restare in argomento, non c'è da aggiungere alcunché nemmeno per certi suoi «rifiuti» mitizzati
sino all'inverosimile. Facciamo un esempio, che ormai è indicato pappagallescamente e ostinatamente da
un anno a questa parte dai soliti mitomani. Alla fine del maggio dello scorso anno, Benedetti Michelangeli
aveva rifiutato di eseguire musiche di Debussy al Barbican Centre di Londra perché, si ripete e si strilla,
«una sessantina di italiani avevano comperato i biglietti». Non è vero, è vero soltanto che delle
organizzazioni italiane avevano rilevato un pacchetto di biglietti e li avevano proposti insieme ad un
soggiorno londinese in un albergo a 5 stelle lusso. Si era combinata una cena-buffet dopo il concerto stesso,
eventuali programmi per chi non avesse qualcosa di più interessante da fare in quel fine settimana
londinese. Viste queste proposte, e constatato che lui diventava il motore inconsapevole della trovata, il
maestro ha fatto - a proprie spese - quattro annunci su altrettanti quotidiani londinesi in cui si scusava con il
pubblico inglese e si ritirava. Non una stravaganza, quindi, né un odio speciale per gli italiani, ma una
coerenza che forse andrebbe capita più che irrisa. Tradotto in parole povere, il discorso si sarebbe potuto
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fare in questi termini: gentili signori, l'arte non si coniuga né con le gite "tutto compreso" ne con gli
affarucci; è altra cosa.
Certo, il discorso parrà strano in una società abituata ai viaggi organizzati e alle avventure sterili, senza
emozioni, ai fine settimana esotici o non, alle escursioni buffonesche, ridicole e crudeli, il cui ultimo
capitolo si consuma in Alaska, dove ci si reca a osservare gli animali liberi con l'elicottero, o a disturbare
le balene durante l'accoppiamento (che bello se all'inferno questi signori avranno la pena del contrappasso).
Un pianista come Arturo Benedetti Michelangeli, che ha passato la vita interrogando i grandi perché
dell'armonia, viaggiando negli universi delle sue tastiere, cercando quel che si cela sotto le note, che cosa
ha da spartire con i viaggi organizzati? Che cosa c'entra questo artista che ama il silenzio, le solitudine, i
piccoli gesti affettuosi del suo gatto (che si chiama Attila) con tutto ciò? Questoartista, che più di ogni altro
ama la musica, perché dovrebbe rispettare quelle gioie artificiali che la nostra società moltiplica per evitare
la noia su cui è basata?
Una terza osservazione non possiamo tacerla. Conversando con Benedetti Michelangeli, ci ha ripetuto che
egli è offeso e addolorato per la pirateria che si esercita continuamente sulle sue esecuzioni. Dove suona,
dove si reca, sempre lo attende qualcuno che registra e approfitta della sua arte per incidere
clandestinamente dei dischi. L 'elenco delle incisioni non autorizzate dal maestro supera di gran lunga
quelle riconosciute. L'Italia è un paradiso per chi decide di darsi alla pirateria e di approfittare delle
registrazioni non regolari. Si rasenta troppo sovente la truffa: Michelangeli ha riconosciuto una donna che
lo imita e vende al mercato compiacente i suoi falsi. Egli non sopporta vedere la sua arte, Il frutto della sua
vita, in mano a gente che non ha particolari delicatezze, perché non ha nemmeno scrupoli. Anche in questo
caso, egli ha tentato di procedere legalmente, ma non è facile ottenere ragione in Italia - almeno per il
momento - su tali questioni.
Quello che abbiamo incontrato non ci sembra dunque lo stravagante pianista descritto a dritta e a manca, da
gente che non ha mai scambiato con lui nemmeno un saluto. Egli ci è parso un uomo offeso, vittima di
abusi, deluso da comportamenti maleducati, ma anche un grande che prosegue il suo itinerario, ogni giorno,
con il pianoforte. L'esilio volontario in Svizzera gli consente di continuare a interrogare la musica. Sa il
cielo se un giorno potremo risentire le sue straordinarie doti in una sala italiana. Certamente questo avverrà
quando i pirati saranno messi nel luogo di loro competenza: Michelangeli parla del carcere, altre proposte
si possono esaminare.
È giunto quindi il tempo di smetterla con le offese, con le invenzioni. Riconosciamo in questo pianista quel
grande maestro di stile e di musica, cerchiamo di comprenderlo con spirito francescano, lo stesso con cui si
è accostato al mondo delle note. Sì, proprio così: francescano. Egli non desidera altro più del necessario,
non chiede che di essere rispettato. Se volete capire quest'uomo, questo interprete che non ha eguali, più
che le cronache o le interviste (a proposito delle quali ricordiamo che egli non ne ha rilasciate, anche se
qualche giornale le ha pubblicate), vi conviene cominciare dai Fioretti di San Francesco, dalla «semplicità
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colombina» che in tali pagine trovate descritta. Incontrerete in tal modo quel filo che lega i grandi; e
comprenderete perché il maestro con il suo pianoforte ha qualcosa in comune con un personaggio degli
stessi Fioretti come il venerabile Giovanni della Verna, il quale «parlando dinanzi al papa e a' cardinali, e
dinanzi a re e a baroni, e maestri e dottori, tutti gli mettea in grande stupore».
La via che Benedetti Michelangeli e il venerabile Giovanni battono e hanno battuto, è antica come l'uomo,
ma è anche difficile da trovare. Si riassume in una parola, che qualche anima isolata riesce ancora a
frequentare. Il maestro la conosce bene: è sufficiente passare un pomeriggio con lui per accorgersene. E
tale parola va proferita senza aggettivi, senza aggiungere altro; spiega l'arte e gli uomini, e per capirla
occorre l'intera vita. Si chiama semplicità.
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3.
WWW.ARTUROBENEDETTIMICHELANGELI.COM – ARMANDO TORNO
IL TRATTAMENTO E L’ONOREFICENZA
LA LETTERA DEL MAESTRO ALL’AVVOCATO GIUSEPPE ALEMANI
CON CUI LO INVITA A RICONSEGNARE LE ONORIFICENZE MELITENSI.
Egregio Avvocato,
il comportamento del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’ACISMOM mi ferisce e mi indigna
profondamente, così come non posso tollerare che ci si sia presi gioco della mia fatica e disponibilità a
rendere possibile il Recital del 13 giugno 1987 per ben precisi scopi di beneficenza rimasti a tutt’oggi
disattesi e traditi.
In questo stato di cose, desidero che il mio nome non sia associato in qualsivoglia maniera ai
summenzionati Enti, neppure in relazione alle onorificenze che mi sono state conferite in occasione del
Recital: avrei preferito mille volte avere certezza che i ricavati del Recital finissero effettivamente
impiegati per le finalità promesse piuttosto che ricevere onorificenze che ora suonano beffarde. Anche sotto
questo profilo ritengo di aver subito un trattamento del tutto inaccettabile e contrario a ogni principio di
buona fede, principio con cui ritenevo gli Enti in questione avessero una qualche familiarità.
La prego pertanto di rimettere all’attuale Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta unitamente
alla presente gli attestati e le onorificenze in parola che allego.
In attesa di avere conferma di quanto sopra, le porgo i migliori saluti.
Arturo Benedetti Michelangeli
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4.
12 GIUGNO 2005 - PURA (SVIZZERA)
"IL FINE COMUNE: LA MUSICA" DI MAURO PEDROTTI
Tra i documenti più cari al Coro della SAT (Società Alpinisti Tridentini), c'è una fotografia con Arturo
Benedetti Michelangeli. E' stata scattata a Madonna di Campiglio, nel 1975, in occasione del 50°
anniversario di fondazione del complesso. Non è una foto "ufficiale": la scena è un ristorante, dove il
Maestro, inaspettatamente, ha raggiunto il coro durante i festeggiamenti. I coristi stanno cantando, disposti
a semicerchio, alla rinfusa; si vede Silvio Pedrotti di schiena, mentre svolge il suo compito di direttore.
ABM è appoggiato ad un tavolo, la sigaretta tra le labbra, la mano sinistra in tasca, la destra morbidamente
tesa nel gesto di accompagnare il canto (la fotografia non lo dice, naturalmente, ma era "La pastora e il
lupo").
Quella fotografia è molto più di un'istantanea, di un fuggevole ricordo di un incontro: è il simbolo del
rapporto tra il Maestro ed il Coro della SAT. La semplicità, la mancanza di formalità, l'intesa assoluta nella
musica, nel suono, nella ricerca della perfezione. Fra quei coristi, ABM è come a casa sua, e si vede. Lui,
genio pianistico tra i più eccelsi di ogni tempo, profondo conoscitore della musica e della letteratura
pianistica, oltre che di ogni dettaglio tecnico del pianoforte, fra un gruppo di uomini fra i più eterogenei,
per cultura, preparazione, mestiere, estrazione sociale. Straordinario? Impossibile? No, a entrambe le
domande. Perché il fine comune di quegli uomini è uno solo: far rivivere le antiche voci del popolo, con
gusto, misura, umiltà, emozione: far musica, insomma, seriamente e senza compromessi. Ed è lo stesso fine
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cui tende da sempre il grande Artista, seppure con un mezzo diverso, con diverse prospettive e,
naturalmente, su un piano incomparabilmente più alto. Un fine che presuppone, nei due casi, amore e
sacrificio, in abbondanza.
Ecco perché, dal 1949, per quarantasei anni, l'amicizia profonda tra Arturo Benedetti Michelangeli ed il
Coro della SAT si è consolidata, malgrado la distanza fisica, il diverso ambiente di vita e di lavoro. E si è
snodata sull'eco dei canti popolari che il Maestro ha armonizzato per il coro.
Quella fotografia è un documento prezioso, non solo perché racconta tutto ciò: è una fotografia che "canta".
Straordinario? Certamente sì. Impossibile? Certamente no, almeno per chi ha vissuto quei momenti e li
rivive, con emozione, ogni volta che quei canti risuonano, ovunque il Coro li porti: e con essi, rivive la
memoria luminosa del Maestro.
Mauro Pedrotti
Direttore del Coro della SAT
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5.
12 GIUGNO 2005 – PURA (SVIZZERA)
RICORDODI ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI MARZO 2005 – DI DARIO DE ROSA
Da quando Michelangeli non c’è più, il mondo della Musica è molto più povero.
Certo anche oggi sono tanti i pianisti di grande livello: tanti da rendere imbarazzante anche solo nominarli
e tentar di distinguerli. Ma Michelangeli era davvero diverso.
Già quando si presentava sul podio stabiliva un rapporto misterioso col pubblico, affermando un carisma
particolare, che significava rispetto, autorità, garanzia di un lavoro appassionato condotto con ordine
intellettuale pur nella sofferenza e nella solitudine; e significava onestà e amore per la ricerca analitica
generosamente tesa a chiarire i fraseggi e a rivelare la sonorità ideale racchiusa nel testo. E ovviamente la
sonorità non era solo il bel suono –quel suono del quale sempre si è tanto parlato- ma il suono “giusto”
rivelatore di un significato musicale definitivo, logico eppure fantastico e alla fine miracolosamente
semplice.
Oggi, a 10 anni dalla morte, ricordarlo conforta ed esalta la nostra gratitudine per quanto ci ha dato senza
nulla chiedere.
E la memoria umanamente si incentra su un sorriso buono e mesto, espressione molto particolare di rari
momenti di serenità. Un sorriso riservato solo ai pochi che l’hanno realmente conosciuto.
Dario de Rosa
- Pianista del Trio di Trieste.
- Insegna alla Scuola Superiore Internazionale di Musica da Camera del Trio di Trieste a Duino, e
all’Accademia Musicale Chigiana a Siena.
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6. 12 GIUGNO 2005 - PURA (SVIZZERA)
"PER ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI" DI FERNANDA PIVANO
Mi sembra ieri che Alfred Cortot ha diramato la grande notizia: “E' nato un nuovo Liszt.”
Il nuovo Listz aveva diciannove anni, era bellissimo, aveva vinto il primo premio assoluto al concorso
internazionale di Ginevra, aveva mani magiche che prendevano senza fatica la dodicesima, aveva occhi
magici che parlavano più della voce, aveva la testa lassù in cima, come se fosse alto un chilometro, aveva
cominciato a studiare musica a quattro anni, aveva preso il diploma di pianoforte a quattordici anni al
Conservatorio di Milano, era andato in Inghilterra nel 1946, negli Stati Uniti nel 1948, a Varsavia nel 1949
per celebrare il centenario Chopiniano, aveva cominciato a insegnare per chiara fama a Bologna e a
Venezia e a Bolzano, aveva cominciato a insegnare corsi di perfezionamento a Arezzo e a Siena, aveva
cominciato a far studiare sul serio Lidia Carbonatto Palombi, aveva coinvolto Valletta e gli Agnelli in una
scuola a Moncalieri, aveva coinvolto chiunque avesse un pianoforte “con la tastiera d'avorio che non gli
rovinasse le mani con l'obbrobrio della plastica”.
Queste cose le raccontava ora, via via che succedevano, al suo factotum-confidente-difensore che poi le
raccontava a me mentre io raccontavo a lui di quando voleva i pavimenti coperti di giornali che attutissero
tutti i suoni, o lasciava venire tutti i giorni da lontano una signora alta come lui, bella come lui, musicale
come lui, a leggere fasci di musiche scritte a mano, ore di gioia a “passarle”, io a volte fuori dalla porta
chiusa a chiave ad ascoltare tenendo il fiato, dolcissime note, ciascuna con una sua vita segreta, con una
passione sommessa, con un mistero svelato da dita complici per occhi complici per cuori complici, oh, i
misteriosi segreti di quelle note cantate dall'anima della musica, dal musicista senza ritorno, chissà se le
canti negli enormi spazi profumati dell'eternità.
Mi piace pensare che li suoni e li fai vivere per sempre, e loro fanno vivere per sempre te, la tua anima, i
tuoi sogni: la tua segreta realtà. Una realtà senza parole, fatta di sguardi, di attese, di silenzi, le Polonesi
suonate in piedi col pubblico in piedi sulle poltrone ad ascoltarle: i sorrisi candidi delle donne, i sorrisi
ambigui delle ragazze, sempre sorrisi che rimbalzavano dalle sue mani, che rimbalzavano dai suoi occhi,
che rimbalzavano dalla sua realtà.
La sua realtà era Listz, o forse era Chopin, o forse era Debussy, chi lo sa qual era la sua realtà, ciascuno
aveva una sua realtà, una realtà di Arturo Benedetti Michelangeli, una realtà che scaturiva dagli occhi
chiusi, che filtrava dal mistero dell'anima, che sgorgava dalle promesse del cuore.
Forse erano queste le sue realtà, irreali come i sogni della sua anima, come piogge di stelle, come ombre
azzurre di nuvole: un artista così può vivere solo di sogni, può credere solo alla sua anima. Può ascoltare
solo il canto dei colibrì.
Fernanda Pivano
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7.
ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI: IL GENIO
PLAGIATO SANDRO CAPPELLETTO ("LA STAMPA", 12 GIUGNO 1997)
Nel secondo anniversario della morte, la vedova rompe il silenzio. Avevano la stessa età. Lo vide la prima
volta seduta in una poltrona di platea del salone Pietro da Cemmo di Brescia, dove era andata ad assistere
al saggio di fine anno degli allievi dell'Istituto musicale Venturi. Quando lui entrò - un ragazzino che senza
guardare nessuno attraversò il palcoscenico, si sistemò sullo sgabello e iniziò a suonare il pianoforte -, lei,
per quei sentimenti assoluti di cui sono capaci forse soltanto i bambini, decise che da grande lo avrebbe
sposato. Era il marzo 1927, avevano sette anni: Giuliana Guidetti e Arturo Benedetti Michelangeli
celebrarono le loro nozze nel settembre 1943.
«Ricordati: qualunque cosa succeda, sarà per sempre», disse Ciro.
Nel 1972, due anni dopo l'entrata in vigore della legge Baslini-Fortuna, gli scrisse che non si sarebbe
opposta ad una richiesta di divorzio. Lui le fece recapitare un'edizione dei Vangeli e un'antologia di
preghiere di pensatori dei primi secoli del Cristianesimo. Titolo: Chiamati per la vita. C'era anche una
dedica: «Ti piaceranno moltissimo». Sono questi ricordi, ora - due anni dopo la morte del maestro - a darle
forza, perché la memoria del marito non venga violata, perché non le sia negato quanto sente spettargli.
Intende essere lei a conservare l'eredità: quella artistica, quella materiale. Giuliana Guidetti si è affidata a
degli avvocati: ha già ottenuto di poter disporre dell'ultimo pianoforte di Ciro (continua a chiamarlo così),
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ha chiesto il sequestro di dischi che ritiene non autorizzati dal maestro.
«Voleva la pena di morte per i pirati del disco: nella sua generosità era capace di rabbie assolute. Non
voglio più ascoltare atrocità come la registrazione del suo ultimo concerto, il 7 maggio '93 ad Amburgo.
Hanno detto che un amatore ha "rubato" quei suoni: vorrei conoscerlo, questo amatore! Qualcuno ha
aggiunto che stava così bene, era talmente felice che perfino cantava durante l'esecuzione: chiunque ascolti
bene, chiunque lo conosca, sentirà che sono respiri soffocati, spasimi di un artista che soffre. Quel disco
doveva semmai restare una reliquia, lo hanno offerto impudicamente al pubblico. Deturpare così il
suo Debussy: «lui restava ore a provare un accordo di Images, nella nostra casa di Brescia, e la gente sotto,
per strada, ad ascoltare, in silenzio».
E' legittimo violare il lascito di un artista che, con rara tenacia, ha dedicato la sua vita a lavorare sulla
qualità del suono? Un disco rubato è come un quadro falso, non si può chiedere all'autore di firmarlo.
«Esistono - ha detto Maurizio Pollini parlando di Michelangeli - delle regioni trascendentali della tecnica
che confinano con la poesia. Lui le ha raggiunte». Soltanto questa eredità voleva lasciare di sé.
Ricordare, ammettere che altre persone, non lei, sono state vicine al maestro negli ultimi anni, costa dolore,
ma il racconto di Giuliana Guidetti non si ferma: «Questa violenza, che non sono riuscita a impedire in
vita, è il mio rimorso più grande... Quante falsità. Ciro lo diceva sempre: non aspettarti fedeltà da me, ma
lealtà sì, sempre. Altri non sono stati leali con lui».
Un sospetto la angoscia: che la volontà del maestro sia stata plagiata, approfittando delle sue sofferenze.
«Nessuno le ha mai raccontate: undici operazioni subite, un focolaio di tubercolosi che scoppia nel 1956,
prima di un concerto a Stoccolma, e il tisiologo che allarga le braccia: "Signora, come faccio a dirle che
dovrebbe chiuderlo in un sanatorio?". Suonare costa fatica: "Un quintale da portare sulle spalle", diceva lui.
Sudava e il medico gli consigliò di indossare dei maglioni di lana leggerissima che assorbono il sudore:
ecco il motivo dei suoi famosi dolce-vita. E il fazzoletto lo voleva nero, perché su un fazzoletto bianco si
sarebbe visto l'alone del sudore. Questa è la ragione di tanti concerti annullati: le sofferenze, non i capricci
di un divo. Ma ha suonato sempre, quando ha potuto».
Quante leggende a buon mercato vuole demolire, in fretta perché sente stringersi il cerchio del tempo.
«Tutti parlano bene di lui, ora. Ma ci sono state critiche feroci. Nel 1951 Beniamino Dal Fabbro scrisse che
era "un pianista alla moda, arido nel suo tecnicismo, vanesio nel costume, irrilevante o futile
nell'interpretazione, un pianista per le dame". E Piero Rattalino gli rimproverò le sue "interpretazioni al
quadrato": sempre gli stessi autori, senza fantasia. Almeno, lui ha fatto autocritica. "La cima è una per tutti,
ma non tutti devono scalare la stessa cima", diceva Ciro. Suonava tutto, ma in pubblico soltanto i brani
dove sapeva di poter eccellere».
Sedici giugno 1980, un concerto a Brescia: Michelangeli, si disse allora, forse tornerà in Italia...
«Ricorda quella frase del ministro Rognoni? "Credo che Michelangeli abbia dei problemi con il fisco".
veva appena suonato per beneficenza e in memoria di papa Montini, per la grande amicizia che lo legava a
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quella famiglia. Chiese una smentita ufficiale al quotidiano milanese che aveva pubblicato quella battuta:
non arrivò mai. E' un Paese serio, questo? Era il suo primo concerto italiano dal 1968, quando subì il
sequestro cautelativo dei beni. Accusato di un fallimento che non c'è mai stato, perché la famiglia
bolognese che aveva contratto dei debiti ha onorato gli impegni fino all'ultima lira. Non ha più suonato, ma
è rimasto sempre residente in Italia, a Bolzano. Fino all'ultimo».
La sua amata montagna, le due baite di Rabbi, il paese della Val di Sole, nel basso Trentino. Vendute alle
fine del 1992, per una cifra non irrilevante: ma il maestro, si è sempre detto, è morto in povertà, dopo
essersi spogliato anche della casa di Pura, in Svizzera. Qualcuno - il ridicolo è sempre in agguato - ha osato
un confronto con San Francesco.
Ora, ogni parola le costa dolore e mentre racconta si sforza di vedere quanto dice, perché lei non c'era quel
9 novembre 1992. Altri occhi fidati hanno visto e le hanno raccontato: «Il giorno del trasloco da Rabbi
aveva il crepacuore e gridò: "Vai via, fuori dai piedi, o metto in moto la macchina e ti schiaccio", contro
una signora, la sua ultima segretaria, che gli stava facendo fretta. Lui non voleva andarsene, ma hanno tolto
tutto, fatto sparire anche il baule dei nostri ricordi, che Ciro aveva sempre tenuto con sé».
Perché al dentista che era andato a visitarlo a Pura sono stati sequestrati i rullini delle foto che aveva
scattato? Perché il cardiologo Umberto Rabagliati le disse, il 12 giugno 1996, a un anno dalla scomparsa:
«Lei non immagina quanto lo hanno fatto soffrire»? Perché a Isacco Rinaldi, l'allievo amato come il figlio
mai potuto avere, indicando il giardino, il maestro rivelò: «Adesso mi farò costruire un rifugio sopra quei
castagni, perché qui mi hanno buttato fuori di casa»?
Continuare è straziante. Se recita, la signora è una splendida attrice. «Diceva: "Una vita basta a mala pena
per fare bene una cosa sola". Era il suo modo di distinguersi, la sua fragilità meravigliosa. Era quel suo
sorriso veloce, che sembrava voler sfuggire a se stesso, dileguarsi già mentre appariva, era il suo pudore
nobilissimo».
Sandro Cappelletto
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
8.
16 GENNAIO 1995 - CORRIERE DELLA SERA, PAGINA 13
IL PIANISTA HA RESTITUITO UN' ONORIFICENZA: DOPO 8 ANNI L' INCASSO DI UN RECITAL
NON E' STATO DEVOLUTO
" BEFFATO DALL' ORDINE DI MALTA "
Benedetti Michelangeli: tradito il mio concerto benefico Dalla Svizzera ha rimandato la " Croce di Grand' Ufficiale “. Disattese le promesse dell' esibizione ' 87 in Vaticano, il
ricavato doveva servire all' ospedale San Giovanni Battista
Il pianista ha restituito un' onorificenza: dopo 8 anni l' incasso di un recital non e' stato devoluto
MILANO . Sempre timbri e toni netti. Nelle note come nelle parole. Per Arturo Benedetti Michelangeli,
leggenda vivente del pianoforte, la musica e la vita hanno avuto un tipo di spartito molto affine: impegno,
rigore, discrezione. Un caratteraccio? Puo' darsi, ma soltanto se si cerca di forzarlo e di mettere in
discussione le sue scelte. Chiedere, per l' ultima conferma, all' Associazione dei Cavalieri Italiani del
Sovrano Ordine di Malta, cui il maestro qualche giorno fa ha restituito polemicamente la "Croce di Grand'
Ufficiale dell' Ordine al Merito Melitense". Per quale motivo? Perche' quel riconoscimento gli fu dato
prima di un concerto per beneficenza totalmente, a suo dire, inutile: l' incasso non ha infatti ancora avuto,
nonostante i ripetuti inviti, la destinazione prevista. Da qui la dura reazione di Benedetti Michelangeli che
dalla Svizzera, dove vive da molti anni, ha accompagnato la restituzione dell' onorificenza con una lettera
sdegnata: "Il comportamento dell' Ordine di Malta . scrive fra l' altro . mi ferisce e mi indigna
profondamente, cosi' come non posso tollerare che ci si sia presi gioco della mia fatica e diponibilita' a
rendere possibile il recital del 13 giugno 1987 per ben precisi scopi di beneficenza rimasti a tutt' oggi
disattesi e traditi. Avrei preferito mille volte avere certezza che i ricavati del recital finissero impiegati per
le finalita' promesse piuttosto che ricevere onorificenze che ora suonano beffarde". La notizia del "gran
rifiuto" di Benedetti Michelangeli e il testo integrale della sua lettera sono stati pubblicati da Il Sole 24 Ore
che ieri ha cosi' aperto il suo inserto culturale della domenica. Una vicenda destinata a far rumore e
probabilmente ad avere ripercussioni anche clamorose. Ma al di la' di questo e' il gesto a imporsi all'
attenzione. "Ha fatto . annota Armando Torno, critico musicale del quotidiano economico, che lo ha
incontrato . quello che soltanto i grandi possono permettersi". Con una postilla: fra i tanti rifiuti del
maestro, cosi' inusuali nella societa' contemporanea che celebra la vanita' , ci sono anche otto lauree
honoris causa. La ricostruzione della storia, come accennato, riporta a otto anni fa. Esattamente nel
momento in cui il pianista riceve la "Croce di Malta" e accetta di tenere nella Sala Nervi del Vaticano un
concerto di beneficenza a favore dell' ospedale San Giovanni Battista, gestito proprio dai Cavalieri di
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Malta. Il 13 giugno 1987 dunque si presenta in Vaticano: un avvenimento, considerando poi che la sua
ultima uscita italiana, sempre per beneficenza, era datata 1980. Gli attesi virtuosismi sui brani di
Beethoven, Chopin, Debussy, Ravel danno a quel concerto un' impronta che i critici giudicano "storica". Il
pubblico e' entusiasta e applaude, felice di avere vinto una non facile corsa a biglietti che costano dalle 100
alle 300 mila lire. Benedetti Michelangeli apprezza il calore di quel trionfo anche se si sente piu' gratificato
dalla sicurezza di aver spinto l' incasso verso opere umanitarie fra cui un gabinetto neurologico destinato in
particolar modo agli handicappati, per l' ospedale San Giovanni Battista alla Magliana. Gia' , l' incasso. Per
i Cavalieri dell' Ordine di Malta e' di 640 milioni. Ma qualcuno fa notare che quella sala cosi' gremita al
massimo (e qualcosa di piu' ) della capienza avrebbe dovuto rendere quasi un miliardo e mezzo. Chi ha
ragione? Non si sa. E poi non e' questo il punto. Ad Arturo Benedetti Michelangeli e' la mancata
utilizzazione del denaro, come da patti, a turbare i sonni. Il mondo musicale sa a prezzo di quali sacrifici il
maestro si concede per gli ormai rarissimi concerti. La motivazione benefica e' stata decisiva: e questa
sarebbe la ricompensa? E di un anno dopo la sua prima lettera che chiede notizie sulla annunciata
costruzione del gabinetto neurologico. La risposta del presidente dell' Associazione Cavalieri di Malta,
Francesco Colonna, e' rassicurante: "Maestro ci siamo, si tenga pronto per l' inaugurazione". Ma le date
slittano mentre la pazienza del pianista, al contrario, si accorcia. I Cavalieri parlano di progetti impantanati
nella burocrazia, di autorizzazioni che tardano ad arrivare. E il maestro? E sempre piu' inquietato da questa
storia. E nomina un legale. I Cavalieri, in chiara difficolta' , ammettono i ritardi, addebitandoli anche alle
difficolta' di amministrazione della stessa associazione. Intanto oltre mezzo miliardo di quell' incasso
finisce in Bot. E delle opere umanitarie nemmeno l' ombra. Ultimo atto, per ora, venerdi' scorso, quando
Benedetti Michelangeli restituisce al mittente l' onorificenza e scrive la lettera. Meritando gli applausi non
soltanto del suo pubblico.
Paracchini Gian Luigi
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9.
BRESCIAOGGI - 23.01.2010
IL FESTIVAL PERDE IL NOME DI «MICHELANGELI»
POLEMICHE. La vedova del grande pianista bresciano ha
deciso di togliere l'intitolazione dopo la consegna del premio al
pianista cinese Lang Lang. Il consiglio dell'ente commenta: «I
fatti parlano da soli e quella del 2009 è stata per noi una delle
edizioni di maggior successo sia per la presenza di pubblico
che per la critica»
Brescia. Qualche settimana fa la signora Giuliana Guidetti, vedova del celebre pianista bresciano Arturo
Benedetti Michelangeli, si rivolgeva ai media annunciando di voler chiedere che il nome del defunto marito
venisse tolto da quello del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo. Ed è di questi giorni la
notizia che il Festival, a malincuore, viene incontro alla richiesta della signora Giuliana che ha dimostrato
disapprovazione per le scelte artistiche della manifestazione. In particolare la signora Guidetti Benedetti
Michelangeli aveva lamentato l'assegnazione del premio annuale «Michelangeli» istituito dal Festival al
giovane pianista cinese Lang Lang, e si era rifiutata di consegnarlo personalmente come aveva invece fatto
per altri importanti personaggi del mondo musicale, come Maurizio Pollini e Grigory Sokolov.
Ancor di più aveva riprovato la decisione di fare un festival gemello in Cina.
D'altra parte era stata proprio la stessa Giuliana Guidetti a chiedere nel 1998 e per iscritto l'intitolazione del
Festival al defunto marito che tra l'altro, anche dopo il suo trasferimento in Svizzera, era rimasto in ottimi
rapporti col fondatore del Festival stesso, Agostino Orizio che era stato a suo tempo anche suo allievo di
pianoforte. Tanto che Arturo Benedetti Michelangeli, quelle pochissime volte che tornò nel nostro paese
dopo il 1968, venne proprio a Brescia - al teatro Grande - per un concerto di beneficenza nel 1980 e in
Vaticano per suonare per Papa Paolo VI proprio con l'Orchestra del Festival di Brescia e Bergamo che
veniva diretta da Agostino Orizio. Ovviamente il rammarico per la scelta di questi giorni è un po' di tutta la
città, perché Arturo Benedetti Michelangeli è un artista molto noto all'estero, anzi quasi «venerato» da una
schiera di estimatori delle sue grandi interpretazioni di quel ristretto, ma magnifico, repertorio pianistico
che seppe curare in modo leggendario nel corso dei decenni: soprattutto Chopin, Beethoven e Debussy le
cui incisioni discografiche costituiscono ancor oggi materia di studio e di confronto.
«Siamo sicuri che i fatti parlano da soli - afferma il consiglio direttivo del Festival -e nel 2009 si è svolta
una delle edizioni di maggior successo di pubblico e di stampasia per l'innovativa scelta tematica, sia per
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l'attribuzione del premio al talento straordinario di Lang Lang» Un maestro tra l'altro ammiratissimo anche
in altre città: ad esempio nel Conservatorio «Monteverdi» di Bolzano la sala grande, quella dei concerti, è
intitolata proprio ad Arturo Benedetti Michelangeli e al suo ingresso è posta una targa marmorea che lo
ricorda come insegnante e grande artista. Ora il Festival riprende il nome che l'ha caratterizzato per la
maggior parte delle sue edizioni: quello di Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo; guidato
dalla direzione artistica di Pier Carlo Orizio (che dal 2008 è succeduto al padre nella direzione della
manifestazione), il Festival prosegue nella programmazione che l'ha sempre contraddistinto in questi
decenni, quella che chiama nelle due città artisti di fama internazionale ma anche artisti emergenti.
Luigi Fertonani
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10.
NON SOLO UN GRANDE PIANISTA MA VERO
GRANDE MAESTRO
DI MARCO VITALE
Non ho titolo per parlare degli aspetti pianistici del Maestro. Come studioso della leadership e dell’etica
professionale, il Maestro mi ha sempre affascinato, non solo come impareggiabile musicista, ma come uomo,
come educatore, come esempio di coerenza e di profondità. Il suo essere uomo del nostro tempo ma rifuggendo
alle perverse caratteristiche del nostro tempo: la superficialità, la fretta, il marketing, l’avidità. Come presidente
di una importante società musicale milanese sono sconvolto dall’avidità di tante star musicali odierne che,
finanziate indirettamente per lo più con soldi pubblici, pretendono cachet più alti di quelli che, da qualche
tempo, critichiamo per le star del calcio. In quei momenti penso allo straordinario disinteresse e generosità del
grande Maestro bresciano, documentata da tante fonti; al suo impegno didattico, così generoso (le sue scuole di
alta specializzazione erano sempre gratuite), ma anche qui senza compromessi, senza ambiguità, senza comodità
né per sé né per gli allievi.
Anni fa tentai di dar vita a Brescia, città natale del Maestro e mia, a una fondazione intitolata ad Arturo
Benedetti Michelangeli che si prefiggesse di raccogliere tutta la documentazione su di lui ma soprattutto tenesse
vive, con realizzazioni concrete, le sue idee e i suoi insegnamenti. Nel documento-proposta che feci circolare
scrivevo: “Arturo Benedetti Michelangeli non è stato solo un grande pianista, ma un grande musicista e un
uomo di profonda umanità, spiritualità e religiosità, spesso misconosciuta e distorta dalla stampa. È stata una di
quelle rare persone che, con la sua arte, aprono spiragli reali verso il soprannaturale. La sua memoria, resa
vivente ed operante, può essere una leva eccezionale per promuovere studi e cultura musicale autentica. [...] Se
non si farà nulla di serio, la sua memoria svanirà in pochi anni, restando viva solo per pochi appassionati. Come
collettività, e come città che gli ha dato i natali, avremo buttato via un’occasione unica di contribuire alla
rivitalizzazione della cultura musicale autentica. Come persone avremo la responsabilità morale di non averci
neanche provato”.
Io ci ho provato, senza successo. Mi sono fermato quando ho capito che le persone su cui contavo a Brescia
erano persone più interessate a speculare sulla memoria di Arturo Benedetti Michelangeli che a tenerla viva e
inverarla in qualcosa di vivo e attuale. Vorrei cogliere l’occasione, che viene offerta dalla Banca Popolare di
Sondrio (SUISSE), per documentare un aspetto di Arturo Benedetti Michelangeli e una fase della sua vita e
della sua attività che mi sembrano ignorati e che illuminano la persona di Arturo Benedetti Michelangeli come
un grande vero Maestro e un esempio morale e di altissima professionalità.
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
Quando morì Arturo Benedetti Michelangeli, uno dei miei idoli, non solo musicali, mi colpì il fatto che nessuno
ricordasse il suo importantissimo contributo alla rinascita della vita musicale nell’immediato dopoguerra.
Questa lacuna è apparsa evidente anche nella pur affascinante mostra e nel ricco catalogo che Brescia allora gli
dedicò. Eppure io ricordavo benissimo la presenza molto viva di Arturo Benedetti Michelangeli per la rinascita
della vita musicale cittadina. Io ero, allora, un ragazzo, ma mi ricordo perfettamente i magici e fugaci incontri,
al seguito di mio padre, tra il Maestro e le altre persone generose che, in quegli anni, tanto si impegnarono per
far rinascere a Brescia la vita musicale. Mio padre era tra questi e tra le carte che ha lasciato ho trovato un
fascicolo relativo agli anni in cui, come consigliere attivo e, poi, come presidente, si prodigò per lo sviluppo
della Società Bresciana dei Concerti Sinfonici “S. Cecilia”, della quale dal 1940 al 18 settembre 1947 (questa è
la data della lettera di dimissioni) fu presidente “onorario”, ma assai attivo, proprio Arturo Benedetti
Michelangeli. Così mi sono messo a scartabellare in quel fascio di antiche carte, disordinatamente conservate, e
ho trovato spunti, ricordi e documentazione che mi sono sembrate interessanti e, qualche volta, commoventi
testimonianze. Questa è la spiegazione della genesi di questo scritto, ma è, insieme, una spiegazione della sua
incompletezza e parzialità. Io non posso che limitarmi a mettere a disposizione quello che ho trovato, con
l’auspicio che questo materiale sia di qualche utilità a chi porrà mano, professionalmente, alla storia dettagliata
della vita del Maestro, della quale siamo ancora in attesa.
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11.
LA MUSICA COME PREGHIERA
MARCO VITALE INTERVISTA IL MAESTRO ISACCO RINALDI
Tu sei stato molto vicino al maestro Arturo Benedetti Michelangeli, praticamente per tutta la vita, collaborando
con lui soprattutto nell’attività didattica che amava molto. Puoi illustrare abbastanza in dettaglio la tua
esperienza con lui?
I primi ricordi coincidono con i tuoi: 1940-41 e poi, soprattutto, 1946-48. Io ero bambino e poi ragazzo; ricordo
la magica figura di questo giovanissimo genio musicale e la sua viva magnetica presenza a Brescia. Per me
questa presenza era ancora più importante, perché anch’io mi ero dedicato allo studio della musica e del
pianoforte. Ero anch’io un musicista precoce e apprezzato. A sedici anni, al Conservatorio “Arrigo Boito” di
Parma, ho conseguito il compimento medio di Pianoforte riportando 10 e lode in tutte le prove e l’anno seguente
il diploma di Pianoforte a pieni voti. Ciò mi aprì la strada all’incontro decisivo della mia vita, quello con Arturo
Benedetti Michelangeli. Allora il Maestro copriva già da vari anni (dal 1939) la cattedra al Conservatorio Statale
di Musica, prima di Bologna (dove era stato chiamato per chiara fama dal direttore Cesare Nordio) e poi, dal
1950, di Bolzano, dove teneva anche un corso di perfezionamento.
Fu la moglie, la signora Giuliana, a suggerirmi di chiedere un’audizione al Maestro per partecipare al suo corso
di perfezionamento. Fu quello che feci con grande emozione e timore reverenziale. Il Maestro mi rispose
sollecitamente e mi fissò l’audizione a Bolzano. Eravamo nel ’52, il Maestro aveva trentadue anni e io venti. Il
giorno fissato mi recai al Conservatorio di Bolzano e aspettai dalle 15 alle 19 senza che il Maestro si facesse
vivo. Me ne ritornai a Brescia, puoi immaginare con quanta tristezza e sconforto. Ma poco dopo il Maestro mi
telefonò, chiedendomi perché non ero andato all’appuntamento. Uno dei due si era sbagliato sull’orario, ma
l’unica cosa importante per me era che il Maestro mi fissò un altro appuntamento. Mi precipitai nuovamente a
Bolzano. E qui avvenne l’incontro, indimenticabile. Bussai alla porta che l’usciere aveva indicato, vidi un
ragazzo e pensai di essermi sbagliato, per cui mi stavo ritirando chiedendo scusa. Era, invece, proprio il
Maestro. Mi invitò a sedermi al pianoforte, lui si sedette in un angolo e mi ascoltò suonare per un’ora e mezza
senza fare parola. Alla fine, guardandomi fisso e penetrandomi a fondo, mi chiese: “Ma tu cosa vuoi da me?”.
Questo fu il primo impatto con questo suo modo essenziale, penetrante, radicale di andare all’essenza delle cose
con poche parole, che era una delle caratteristiche fondamentali della sua personalità. Non ricordo bene che
risposta balbettai allora. Ma so bene oggi cosa avrei dovuto rispondere: “Maestro, sono qui per imparare la
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musica, non il pianoforte, ma la musica”.
Parlami ora più in dettaglio dell’esperienza didattica.
Io seguii il corso di perfezionamento a Bolzano e poi quello estivo di Arezzo, sospendendo ogni attività
concertistica, concentrandomi sullo studio e sull’impegno di assimilare il rapporto speciale con la musica che
emanava dal Maestro (“affidarsi alla musica” egli amava ripetere). Poi diventai suo assistente sia di Bolzano che
di Arezzo nel 1959 e nel 1960.
L’atmosfera del corso era severa e impegnativa, ma anche molto serena. Gli allievi adoravano il Maestro perché
lo sentivano vicino a loro, grazie a quella umiltà e dedizione di cui ho parlato prima. E lui percepiva questo
grande, sincero affetto degli allievi e credo che ciò gli facesse bene. Lui amava stare con gli allievi, a mangiare
(era un buongustaio e un eccellente cuoco), passeggiare, scherzare, chiacchierare, giocare a ping-pong o stare,
tutti insieme, in una bella notte d’estate acontemplare le stelle. Decisamente nessuno che ha frequentato le sue
scuole può accettare il cliché di un uomo scontroso, chiuso in se stesso, egoista che gli hanno cucito addosso
soprattutto quelli che non l’hanno conosciuto, o l’hanno lasciato solo, o l’hanno criticato in vita, salvo poi
gettarsi, per approfittarne, sulla sua memoria, quando è scomparso, a mo’ di avvoltoi. Era sempre a disposizione
degli allievi che avevano bisogno di consigli e chiarimenti riguardanti lo studio. Rappresentava per tutti gli
allievi un esempio vivente di dedizione alla musica e allo studio. Mostrava loro non tanto con le parole ma con i
comportamenti la via da seguire per ottenere sicuri miglioramenti. Come detto lo seguii anche alla scuola estiva
di Arezzo. Grazie all’Associazione “Amici della Musica” di Arezzo, il Maestro aveva attivato un corso di
perfezionamento e interpretazione pianistica in quella città per la quale aveva una particolare predilezione. Il
corso era estivo, rivolto a diplomati italiani e stranieri e del tutto gratuito (alcuni allievi erano addirittura ospitati
dal Maestro e a sue spese). Il Maestro non percepiva compenso ma, anzi, si addossava in parte le spese per gli
allievi finanziariamente più deboli. Il primo corso ebbe luogo dal 26 luglio al 31 agosto 1953 con 25 allievi. Fu
sospeso nel 1954 e 1955 a causa della malattia (tisi) del Maestro. Riprese nell’estate 1956 (20 luglio – 20
agosto) con 30 allievi. E continuò, con crescente successo, nel 1957, nel 1958, nel 1959 (dal 15 luglio al 30
settembre con 30 allievi provenienti da 11 nazioni: Italia, Australia, Bulgaria, Danimarca, Gran Bretagna,
Germania, Francia, Spagna, Polonia, Stati Uniti, Turchia) e nel 1960. Io seguii il Maestro come assistente e
direttore operativo dei corsi negli anni ’59 e ’60. L’atmosfera del corso di Arezzo era come quella di Bolzano,
forse con una composizione più internazionale. L’impegno per il Maestro era grande anche perché egli dedicava
gratuitamente a queste scuole proprio quel periodo estivo che di solito si dedica al riposo. Le sue lezioni erano
sempre individuali e, quindi, richiedevano un grande impiego di tempo e una limitazione del numero degli
allievi ammessi, che non superavano quasi mai la trentina. Ma le domande d’iscrizione erano molto più
numerose. Tanti erano quindi gli esclusi e ciò dispiaceva molto al Maestro che sosteneva sempre: “Fare musica
è un diritto di tutti; la musica è per tutti”. Furono questi fattori (grande successo, necessità di armonizzare
meglio gli impegni didattici di Bolzano e di Arezzo, opportunità di istituzionalizzare e stabilizzare l’iniziativa e
di allargarne le dimensioni con straordinarie potenzialità positive nel mondo) che indussero il Maestro e
l’Associazione “Amici della Musica” di Arezzo a sviluppare il progetto di una “Scuola Superiore Internazionale
di Pianoforte, per pianisti diplomati, alle dipendenze del ministero della Pubblica Istruzione, come i conservatori
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statali, ma sotto la esclusiva direzione e responsabilità pedagogica e artistica del Maestro Arturo Benedetti
Michelangeli”. Oggi diremmo: un grande master internazionale di pianoforte, diretto dal più grande pianista del
mondo e che, pur ancora giovane (nel 1959 non aveva ancora quarant’anni), aveva già alle spalle venti anni di
attività didattica musicale internazionale, nella quale aveva dimostrato non solo una straordinaria vocazione
didattica, ma una rara generosità. Nessun paese al mondo poteva offrire una possibilità così eccezionale. Per
questo, giustamente, l’istanza presentata dall’Associazione “Amici della Musica” di Arezzo al Ministero
competente parla di un “immenso prestigio nel mondo” che l’iniziativa avrebbe portato all’Italia. La risposta fu
il silenzio più assoluto. Il Ministero competente non diede una risposta né un minimo segno di vita. Negli anni
1959 e 1960 i ministri della Pubblica Istruzione furono Aldo Moro, Giuseppe Medici, Giacinto Bosco.
Fu questo silenzio e questo sgarbo incredibile che portarono il Maestro a chiudere l’esperienza didattica
pubblica che si concretizzò nel 1960, con le dimissioni da insegnante di conservatorio. Ma posso solo
testimoniare che un giorno, scendendo dall’Alpe di Poti verso Arezzo, mi disse con grande amarezza e
delusione: “È finita. La compagnia si scioglie. Tanto lavoro e tanto impegno per niente!”. Fu qui che si consumò
la sua prima vera rottura intellettuale e sentimentale con il sistema Italia, che pochi anni dopo precipitò con il
suo definitivo abbandono del Paese a seguito delle note vicende.
Dopo la chiusura dell’esperienza didattica, come proseguì il vostro rapporto? Io, su segnalazione del Maestro,
nel 1960 avevo partecipato al concorso per la cattedra di Pianoforte al Conservatorio di Ferrara e avevo vinto il
concorso. Mi sembrò ovvio e naturale lasciare Appiano e trasferirmi a Ferrara. Questo contrariò il Maestro
perché pensava che avrei continuato a stare ad Appiano, andando avanti e indietro. Ma poi, in occasione di un
suo concerto alla Fenice, lo incontrai e avemmo un totale chiarimento che portò a una ripresa piena dei nostri
rapporti. Avemmo un chiarimento anche sulla mia presenza ai suoi concerti. In passato mi aveva vietato di
andare a sentire i suoi concerti. Gli chiesi il senso di questo divieto. E lui rispose: “Perché tu devi suonare come
ti dico di suonare e non come mi sentite suonare”. Ma io ribadii: “Ma Maestro io ho bisogno di sentirla suonare,
non tanto per imparare ma per la gioia di sentirla fare musica”. Dopo qualche tempo ricevetti l’invito a un suo
concerto straordinario a Lugano, per domenica 5 aprile 1981. Mi aveva riservato un posto proprio davanti a lui,
sicché durante il concerto ci guardammo ripetutamente. Ho partecipato a tanti concerti di Arturo Benedetti
Michelangeli. Ma quel concerto, quella sera fu assolutamente memorabile. Mentre quasi annichilito mi
accingevo a uscire, l’altoparlante chiamò: “Il maestro Isacco Rinaldi è pregato di recarsi dal maestro Arturo
Benedetti Michelangeli”. Mi precipitai da lui e ci stringemmo in un abbraccio straordinario, intensissimo. Non
lo avevo mai visto così felice, così sereno, di una felicità così intima. Anche lui sentiva che quella sera aveva
raggiunto veramente quello che per lui era: fare musica. Mi trattenni per alcuni minuti, poi mi congedò
dicendomi: “Ora ti devo lasciare. Vedi, mi hanno portato la cena; mangio un boccone e poi mi rimetto a
lavorare”.
Io, nel frattempo, nel 1984 avevo lasciato Modena e accettato la direzione dell’Istituto Musicale Pareggiato
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“Gaetano Donizetti” di Bergamo, un istituto di prestigio e di antica storia (è stato costituito nel 1804). Lo feci
anche per essere più vicino al Maestro e per avere più possibilità di andarlo a trovare. Da Bergamo andai spesso
a trovarlo a Pura. Anche se lui era, come sempre e più di sempre, persona di poche parole, parlavamo di tante
cose. Era molto informato su tutto. Soprattutto faceva tante domande su Brescia, sul lago di Garda (che amava,
soprattutto Limone), su Bergamo dove anni prima aveva tenuto un corso di perfezionamento, suscitando peraltro
scarso interesse locale. Conservava il suo antico amore per la buona cucina e per la Formula Uno e le macchine
veloci. Cercai di proporre a Bergamo un corso di alto perfezionamento diretto dal Maestro, anche per liberarlo
dal bisogno di dare concerti. Proposi di organizzarlo con la Gioventù Musicale (di cui era presidente Bulla).
Non so se il Maestro avrebbe accettato. Non gliene parlai, perché non era persona cui fosse possibile proporre
una semplice ipotesi. Se il progetto si fosse finalizzato, glielo avremmo sottoposto. Ma il progetto non si
concretizzò e cadde per l’ostracismo degli ambienti musicali locali. Quando, alla fine, gliene parlai mi disse: “Io
ho finito con queste attività. Fallo tu”.
Poi, nel 1988, il Maestro ebbe il grande incidente all’apparato cardiaco con il severo e rischioso intervento
chirurgico. Io lo incontrai, per l’ultima volta, circa sei mesi dopo l’operazione. Fu un incontro molto triste. Mi
ricevette nella casa di Pura, nella sua stanzetta piccola e disadorna come una cella di frate. Il suo accordatore di
fiducia, Tallone, mi aveva detto che era un terziario francescano. Io non andai più a trovarlo a Pura perché non
volevo aggiungere tristezza a tristezza e perché ero in disaccordo con il modo con cui era quasi segregato da
Maria-José Gros Dubois e dalla signora Lotti Lehmann. Ma seguii i suoi concerti (memorabili quelli a Monaco
del 1992 in occasione dell’ottantesimo compleanno di Celibidache), gli scrivevo tenendolo informato delle mie
attività e telefonavo alle signore per essere informato e per confermare la mia disponibilità per ogni necessità.
Così come lo faceva soffrire sentire che del suo grande divino sforzo di insegnare la musica non sarebbe rimasto
nulla. Forse, unendo le forze e mobilitando i tanti amici veri di Arturo Benedetti Michelangeli, si poteva fare sì
che le cose andassero in modo diverso.
Come spieghi il suo amore per i canti di montagna?
Non so distinguere tra l’amore per i canti di montagna e l’amore per il coro della S.A.T. Il Maestro aveva
studiato composizione, sapeva scrivere musica e, nei primi anni, ne scrisse anche. Armonizzò per la S.A.T. vari
canti di montagna (circa una ventina). Era attratto dalla misteriosa perfezione dell’intonazione del coro della
S.A.T. Quei cori rappresentavano una magica combinazione di delicate armonie con uno strumento
straordinario. Ad alcuni allievi faceva ascoltare esecuzioni del coro della S.A.T. sia per far conoscere il
peculiare repertorio sia per far sentire e prendere coscienza (apprendere) la formidabile capacità emozionale
dell’intonazione naturale espressa dalla voce umana e che soltanto la voce umana è in grado di esprimere
compiutamente.
Hai già detto tante cose di lui. Ma se ti chiedessi di esprimere in una sola frase la caratteristica di fondo della sua
personalità e del suo agire quale parola o espressione useresti? Direi quello che ho già detto sopra: il lavoro
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come preghiera e il fare musica come andare alla ricerca di Dio.
In varie occasioni abbiamo vissuto comuni sentimenti di insofferenza per come la personalità di Arturo
Benedetti Michelangeli è stata illustrata da molti critici e da parte della stampa. Vorrei cercare di approfondire le
ragioni di questa insofferenza, per sottolineare quegli aspetti della personalità e dell’insegnamento di Benedetti
Michelangeli che noi sentiamo ignorati se non distorti.
Credo che tutto ciò emerga da quanto abbiamo detto sino ad ora. La tua analisi del primo periodo pone in chiara
luce un uomo di straordinaria generosità. I miei ricordi dei corsi di perfezionamento e il ricordo di tutti gli
allievi e le testimonianze degli enti organizzatori dei corsi confermano la figura di un Maestro di enorme
generosità. Io non conosco nessun altro grande musicista o interprete italiano che si sia speso tanto e
gratuitamente per i giovani. (…) Quando l’attacco di cuore lo colpisce a Bordeaux il 17 ottobre 1988 sta
tenendo un concerto di beneficenza per le vittime delle inondazioni di Nimes. E la sua biografia è piena di
generosità finanziaria, dai primi documenti della “S. Cecilia” da te citati a tutto quello che fece per i corsi di
perfezionamento e a tanti concerti gratuiti per raccogliere fondi per scopi culturali o sociali. Ma la generosità
finanziaria era solo una manifestazione di una generosità più grande, di una generosità totale. Eppure c’è chi ha
cercato di illustrarlo come un ragazzo viziato, capriccioso ed esibizionista.
Qualche anno fa insieme tentammo di dar vita a una fondazione a Brescia che si prefiggesse due obiettivi: la
raccolta meticolosa di tutta la documentazione esistente a livello mondiale su Arturo Benedetti Michelangeli, il
mantenimento e il rinnovamento del suo insegnamento attraverso corsi di formazione musicale. Purtroppo
l’insensibilità della città che gli diede i natali e la meschinità di certe persone fecero naufragare il tentativo.
Tuttavia l’opera di due studiosi (Stefano Biosa e Marco Bizzarini) ha creato un Centro di Documentazione
“Arturo Benedetti Michelangeli” che sta facendo un importante lavoro di ricerca e catalogazione di documenti e
articoli, svolgendo inoltre attività editoriale, pubblicistica e di studio e promuovendo conferenze, concerti e
convegni in memoria del Maestro.
È una iniziativa che abbiamo il dovere morale di intraprendere. Ho raccontato come cercai di dare vita a una
nuova scuola di perfezionamento a Bergamo, vivente il Maestro, anche per cercare di rendere meno duri gli
ultimi anni dell’isolamento di Pura. Ma non riuscii. Nel 1994, con l’entusiastico sostegno di Massimo Rocca,
sindaco di Desenzano del Garda, diedi vita al Concorso Pianistico Internazionale “Arturo Benedetti
Michelangeli” che si svolse per cinque edizioni (dal 1995 al 2000) e a un corso di perfezionamento pianistico al
fine di trasmettere ai giovani interessati gli insegnamenti ricevuti dal mio maestro. (…)Ma il sostegno a queste
iniziative venne meno col cambio politico dell’Amministrazione comunale di Desenzano e si dissolse
unitamente al progetto di istituzione del Centro Studi “Arturo Benedetti Michelangeli” che si stava elaborando e
che prevedeva fra i soci fondatori e sostenitori lo stesso comune di Desenzano del Garda.
Dovremmo collegare alla scuola anche il Centro di Documentazione di Brescia, per ricomporre il disegno che
avevamo qualche anno fa. E poi avremmo bisogno di un po’ di fondi per dare un assetto stabile alla scuola.
Sarebbe bello realizzarla vicino alla sua semplice tomba di Pura. L’ultimo tentativo del Maestro di creare una
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scuola che preservasse quanto fatto con tanta fatica, fu, del resto, proprio a Lugano negli anni 1970 e 1971. Ma
anche questo tentativo, pur lui vivente e ancora nel pieno della maturità, naufragò. Perché? Perché per fare
qualche cosa del genere bisogna amare la musica; credere che abbiamo bisogno di musicisti veri e non di
affaristi della musica; bisogna credere all’utilità di tutti i valori positivi che lui incarnava; bisogna amare il
cristallo chiaro, definito, sfaccettato, al servizio della luce. C’è ancora spazio per questi valori nella nostra
cultura?’
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12.
IL DEMONE DELLE NOTE CHE CORREVA IN FERRARI
E il grande Cortot disse del giovane Arturo: " E' nato il nuovo Liszt "
Sara' solo una coincidenza. Ma e' una coincidenza significativa che Arturo Benedetti Michelangeli, "l'
impenetrabile dio del pianoforte", se ne sia andato nell' ora stessa in cui l' Italia rendeva omaggio, votando, alla
tv commerciale delle paillettes e del varieta' . Perche' Benedetti Michelangeli, cardinale della musica,
disprezzava la volgarita' italiana, che non s' inchina all' arte. Al punto di preferire l' esilio, piuttosto che la
schiavitu' alla mediocrita' : "L' Italia era il Paese dei grandi musicisti, adesso e' il Paese dei grandi canzonettari".
E noi rimasti in patria, al solito, ci dividemmo: i piu' ignorandolo, e i pochi, per ripagare il disprezzo,
venerandolo. Ma non ci sarebbe stato modo, comunque, di conciliare l' aristocratico filosofo della tastiera, un
Wittgenstein delle note, con l' Italia della chitarrella. Tanto che il divorzio, consumato alfine nei fumi del
Sessantotto, comincio' presto, quando il bambinetto prodigio Arturo, per la prima volta, s' arrampico' sullo
sgabello del pianoforte. Il marchio della gloria giaceva nel raro cognome, Benedetti Michelangeli, che parla di
Rinascimento. Ma la volonta' estrema gli venne dal padre, ex avvocato, che di mestiere dava ripetizioni di
pianoforte. E il senso d' estraneita' giunse forse dalla madre, jugoslava, che lo tenne a casa da scuola e gl'
insegno' , lei, l' italiano. Sicche' , nato nel 1920 per caso a Orzinuovi, provincia di Brescia, cosi' sarebbe
cresciuto il mito: concerti a sei anni, diploma a quattordici, poi lezioni a Milano, da pendolare, col maestro
Anfossi, in via De Amicis, che per primo s' accorse di avere davanti a se' un genio, quindi la rivelazione, a 17
anni, al concorso Ysaie a Bruxelles, infine il trionfo, a 18 anni, alla Musical Competition di Ginevra, che viene
raccontato come una leggenda: i concorrenti, per non consegnare ai giurati altro che la loro musica, suonavano
dietro un telo nero. Ma gia' i primi suoni dalla tastiera significarono l' esito, e Cortot il grande si sbilancio' : "E'
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nato il nuovo Liszt". Ecco. Il confronto con la storia era cominciato, e mai Arturo Benedetti Michelangeli vi si
sarebbe sottratto. Paragoni, per chi pote' ascoltarlo, che stanno nella memoria. Ma che, per gli altri, si tradussero
nelle parole dei recensori: anonimo, in un trafiletto, il Corriere nel 1949 saluta, alla Scala, "il beniamino tra i
beniamini della platea milanese" e la sua "brillantissima tecnica digitale". Ma gia' dieci anni prima, nella Berlino
hitleriana, il ragazzo aveva sbalordito un maestro futuro, Sergiu Celibidache: "Lui aveva 18 anni e io 26. Una
cosa paralizzante. Ho ringraziato Dio di non essere pianista. Il dominio della tastiera era miracoloso". Ne'
stupisca il riferimento, tra l' angelico e il sulfureo, a una condizione sovrumana. La testa immobile, marmorea,
in cima al frac antico e liso, che governa da lassu' le mani grandi, i polpastrelli tozzi ingialliti dalla nicotina, fino
alle unghie corte, forse mangiate, e' l' icona consegnata in bianco e nero da mille fotografie. Ma la musica saliva
da altrove se Giovanni Testori, che amava l' iperbole propria, dovette rievocare Goethe a cospetto di Bach:
"...come se questa musica avesse albergato nel grembo d' Iddio poco prima della creazione". E Rubens
Tedeschi, sull' Unita' , immagino' la trasferta degli italiani al celebre concerto di Bregenz, nel 1986, come "un
pellegrinaggio a Lourdes", mentre Piero Buscaroli evoco' , come "la leggenda virtuosistica esige, da Tartini a
Paganini in poi", il suo "tributo demoniaco". Invero, Arturo Benedetti Michelangeli non fece nulla per scendere
sulla terra. Chiedeva cachet altissimi, dicono, ma insegno' gratis per decenni. Faceva le bizze come un bambino,
o come un genio, e con cio' alimentava il mito. A Parigi, smise di suonare perche' aveva freddo alle mani. A
Bregenz, per tre colpi di tosse, rifiuto' un bis. A Zurigo, invece, fu colpa dell' aria condizionata. Ma Gianandrea
Gavazzeni, anche lui, era affascinato: "Mi gusta molto il suo carattere, i suoi capricci, i suoi salti di umore. Lui
fortunato che puo' concedersi tutto questo". E cosi' , sul Times di Londra, apparve nel ' 93 un' inserzione a
pagamento: Benedetti Michelangeli cancella i quattro concerti annunciati. Motivo? Gli organizzatori hanno
venduto biglietti a un' ottantina di italiani, vil razza dannata, per la quale l' eccentrico di Orzinuovi non voleva
suonare. E' la rottura con la madrepatria, nel 1968, che marchia infatti la vita di Benedetti Michelangeli.
Succede che una casa discografica, la B.D.M. di Bologna, per la quale egli ha dato la propria firma, fallisce. E
gli ufficiali giudiziari, ignoranti come la legge prescrive, si rifanno su di lui per recuperare novanta milioni di
lire: gli sequestrano i compensi dei concerti eseguiti e di quelli ancora da eseguire, gli svuotano la casa, anzi le
case, finche' in quella di Baite Nuove di Piazzola di Rabbi, in provincia di Trento, gli sottraggono i pianoforti.
Che cosa rispondere a un' Italia che calpesta il suo mito? Arturo Benedetti Michelangeli prende la via dell'
esilio. Mai piu' suonera' in patria. Comincera' cosi' , per gli orfani del suo misterioso officio, un lungo,
incessante inseguimento nei teatri d' Europa. Lui si faceva precedere dal suo Steinway e dall' accordatore di
fiducia, e quando lo strumento s'era ambientato, come un atleta che debba correre in altura, lo raggiungeva. Ma
non provava piu' , perche' aveva una tecnica personalissima: dopo avere logorato un pezzo per dieci ore al
giorno, fino a possederlo perfettamente, ne studiava l' interpretazione. Poi l' abbandonava, dice un esperto, "per
non arrivare all' esecuzione intriso della meccanica legata all' esercizio". Stupirsi che le sue vigilie fossero
"quanto mai tormentose"? Stupirsi che dal pianista "immobile e aristocratico" uscissero cosi' "segrete
incandescenze", come le defini' Lorenzo Arruga? E ogni volta sembro' sfidare il destino. A Bordeaux, nel 1988,
s' accascio' sul pianoforte, per un aneurisma all' aorta, e rimase a lungo tra la vita e la morte. Stroncato, quasi,
dall' arte? Fragile ed eroico: benche' implorato a tornare, corteggiato col premio "Abbiati", una sola volta rivide
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la patria, a Brescia, ma per un concerto in chiesa, quasi a salvare l' idea dell' extraterritorialita' . E se nel ' 77
suono' a Roma, fu solo nella sala Nervi del Vaticano. Fu allora che Massimo Mila volle verificare se il suo
suono fosse invecchiato, se cioe' , "tanto per parlar chiaro, Pollini abbia messo in ombra Benedetti
Michelangeli". E certifico' che, se "Chopin e Liszt suonavano in maniera opposta, e tutti e due erano grandissimi
pianisti, contemporanei", pure Benedetti Michelangeli conservava una particolare supremazia: "Forse non c' e' al
mondo chi suoni Debussy cosi' ". Debussy? Qui, per concludere, si notera' che di Arturo Benedetti Michelangeli
abbiamo parlato, mai degli spartiti su cui si piego' . Perche' i miti vivono oltre le loro opere, se la serie di
concerti trasmessa dalla Rai, qualche anno fa, fu solo il riflesso sbiadito della leggenda. La volgarita' della tv, s'
e' detto, non gli si addiceva. Eppure Arturo Benedetti Michelangeli, "antitaliano per rabbia", celava un segreto
da "arcitaliano": si presento' un giorno a Maranello, da Enzo Ferrari, per comprare una Ferrari usata, sogno della
sua vita. E con quella si lanciava, sfidando la morte piu' che sul pianoforte: parlando a un cronista di Time, si
vanto' di correre a trecento chilometri all' ora. Una Ferrari, italianissima, come quella che, nell' ora della sua
morte, e' tornata alla vittoria. Un omaggio al genio. Altra sulfurea coincidenza?
Altichieri Alessio (13 giugno 1995) - Corriere della Sera Pagina 29Torna all’indice degli articoli di giornale
13.
QUELLA SERA A TOKIO FU SMONTATO IL PIANO
Paolo Andrea Mettel, appassionato di libri antichi e cultore di musica classica, ha conosciuto nel 1985 Arturo Benedetti
Michelangeli e per dieci anni lo ha accompagnato nelle tournée internazionali. In questo articolo racconta momenti e
situazioni inedite del pianista italiano.
La telefonata nel mezzo della notte mi fece capire che questa volta non ce l’avrebbe fatta. Tutta la mia speranza
si spense in una fitta di dolore: il Maestro ci aveva lasciati, per sempre. Ogni cosa all’improvviso cambiava. Mi
accorsi che i conti con la realtà dovevano essere fatti senza la sua presenza, senza poter udire la sua bella e forte
voce, senza la sua allegra e sapida ironia, senza le volute di fumo del suo sigaro toscano, senza le passeggiate
nel bosco (lui gentile e affabile con il giardiniere), senza gli innocenti scherzi che mostravano la sua
incontaminata innocenza artistica, ma soprattutto senza le stupende mani a intrecciare note musicali sulla
magica tastiera del suo pianoforte come nessun altro.
La consuetudine nella frequenza era divenuta quasi una certezza. A volte nella vita si crede che tutto possa
essere immutabile: il Maestro, la sua arte, il pianoforte, i concerti, i viaggi, le visite a Pura, le cene o i pranzi
consumati insieme, le discussioni con Angelo Fabbrini su come accordare lo strumento, “la bestia”. No, non
sarebbe più stato così. Certo, sono stato troppo coinvolto, emozionato: trascorrere ore e ore insieme a lui aveva
sempre rappresentato un’esperienza rara e speciale e sempre nuova, mai ripetitiva. Il Maestro lontano dalla sua
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tastiera non era burbero e le battute non mancavano. Diventava duro e intransigente appena indossava le vesti da
lavoro.
Un giorno dovevo pranzare con lui, a Pura, per trattare l’argomento dei dischi pirata. Ai fornelli,
eccezionalmente, ci sarebbe stato il Maestro. Menù previsto: spaghetti. Un mio cliente, ahimè, mi trattenne più
del previsto e giunsi in ritardo di circa venti minuti. Apriti cielo! «Adesso ti presenti? Non siamo mica al
ristorante» mi disse con tono non soave. E precisò: «Gli spaghetti sono irrimediabilmente sciupati». Mi lasciò
solo, con quel piatto di pasta che, nonostante fosse tiepida e compromessa, aveva un sapore squisito. Lui scese
nello studio per esercitarsi al piano. Dopo trenta minuti ricomparve. Si avvicinò al tavolo, senza profferire
parola mi versò un po’ di vino. Intanto si era rasserenato e assaporava–sorridendo sotto i baffi –una scheggia di
parmigiano. Andammo poi in salotto per fumare il sigaro (avevo preso anch’io, frequentandolo, l’abitudine del
toscano) e cominciammo a tracciare una sorta di strategia per denunciare la piaga dei dischi pirata che tanto lo
affliggeva, soprattutto a causa dei risultati di bassa qualità di tali prodotti.
Nel 1993 ad Amburgo presso Steinway andammo per “fare visita” ai due pianoforti che erano stati messi a
disposizione del Maestro. Si trattava di lavoro intenso e raffinato per accordatura e armonizzazione da eseguire
insieme al vecchio esperto della nota casa tedesca. Un ufficio dava direttamente sul salone che ospitava un gran
numero di neri “bestioni”. Benedetti Michelangeli era completamente a suo agio e si alternava tra l’ufficio e il
vasto spazio, sempre con in testa diesis, bemolli da trasformare in tonalità che solo lui poteva sentire e
immaginare. Ma durante la pausa, l’atmosfera severa era accantonata e nascevano momenti quasi esilaranti:
quell’ufficio fu trasformato in sala da pranzo, il Maestro divenne ancora chef, e cominciò a condire, con la
consueta abilità, l’insalatina che avrebbe accompagnato un piatto di formaggi.
Ricordo che una parte del programma della tournée di Tokyo, decisa durante i concerti di Monaco del 1992
dove il Maestro suonò con la Münchner Philharmoniker diretta da Sergiu Celibidache (suo grande amico ed
estimatore), prese corpo una sera al termine del concerto. Celibidache e Benedetti Michelangeli decisero
insieme cosa suonare giacché anche la Münchner sarebbe partita per una tournée in Giappone: nel camerino
eravamo tutti incantati dal garbo reciproco che avevano questi due “mostri sacri”: «Ma proponga lei un brano»
diceva l’uno; «Ci mancherebbe, decida pur lei» ribatteva l’altro. Alla fine si accordarono su Schumann,
Concerto per pianoforte e orchestra in la minore.
E ancora: nel settembre del 1992 tutto era pronto per il secondo concerto a Tokyo. In camerino il Maestro chiese
del suo orologio (si trattava di un dono molto speciale di Steinway). Non si riusciva a trovare. Subito lo
andammo a cercare, Fabbrini ed io, sullo strumento pronto, immobile, mentre il pubblico era già in sala, in un
religioso silenzio. Il palcoscenico aveva ancora le tende chiuse. Niente da fare, non compariva. Fabbrini, un po’
spaventato, pensò che potesse essere scivolato dentro il corpo dello strumento, con gli immaginabili rischi
durante il concerto (quando si esercitava, solitamente, il Maestro lo teneva appoggiato sullo strumento). Rapido,
decise di smontare pezzo dopo pezzo tutto lo strumento: l’orologio non venne fuori. E invece: eccolo, sbucato
chissà da dove nel camerino. Finalmente! Dopo i sospiri di sollievo il concerto ebbe inizio alla presenza del
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pubblico giapponese, che alla fine era estasiato e in piedi ad applaudire. Nessuno voleva abbandonare la sala e
tutti chiamavano ripetutamente Benedetti Michelangeli.
Sempre a Tokyo una sera stavamo cenando nella suite del Maestro. I discorsi s’intrecciavano tra Fabbrini, Marie
Josè, il Maestro e chi sta scrivendo. Argomento fu la cucina giapponese che Arturo Benedetti Michelangeli
adorava e gustava con piacere. A un certo punto intervenni ricordando i bis che il Maestro aveva concesso
durante i concerti di Monaco. Lui rispose, molto severamente, che li aveva eseguiti solo per festeggiare il
compleanno di Celibidache. Io continuai nell’esaltazione di quella serata che culminò con un’esecuzione
fantastica della lirica di Grieg: Atthecradle. Midisse: «Ah! Sei un uomo debole, ti lasci commuovere
facilmente»; gli risposi: «Maestro la carne è debole certamente ma lei quella sera strappò il cuore a tutti».
Terminata la cena, si sedette in poltrona, accese il suo amato toscano; dopo due o tre boccate si alzò dirigendosi
verso il pianoforte (un tre quarti) e attaccò Atthecradle. Quando terminò, avevamo gli occhi rossi e il cuore in
gola. Chiudo con le parole di Fernanda Pivano: «La sua realtà era Listz o forse era Chopin o forse era Debussy
chi lo sa qual era la sua realtà, ciascuno aveva una sua realtà, una realtà di Arturo Benedetti Michelangeli, una
realtà che scaturiva dagli occhi chiusi, che filtrava dal mistero dell’anima, che sgorgava dalle promesse del
cuore. Forse erano queste le sue realtà, irreali come i sogni della sua anima, come piogge di stelle, come ombre
azzurre di nuvole; un artista così può vivere solo di sogni, può credere solo alla sua anima. Può ascoltare solo il
canto dei colibrì».
di Paolo Andrea Mettel da “Il Sole 24 Ore” di domenica 6 giugno 2010
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14.
PRO LOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO –
INTERVISTA A GIULIANA BENEDETTI MICHELANGELI La Proloco di Cazzago San Martino, nell’ambito del progetto del Servizio Civile “Promuovere il patrimonio
immateriale per la riscoperta della propria identità culturale” si è impegnata a fare un’intervista alla moglie del
defunto pianista bresciano Arturo Benedetti Michelangeli, Giuliana Guidetti. Ci teniamo a precisare che è stato
possibile fare ciò grazie all’aiuto della contessa Maria Teresa Bettoni Cazzago, amica di Giuliana Guidetti, che
ci ha messi in contatto con lei.
E’ con estrema gratitudine che ringraziamo perciò la signora Giuliana Guidetti, che ci ha permesso di ricevere
questa preziosa testimonianza della vita del Maestro, soprattutto perché sono ormai rare le occasioni che la
stessa concede al pubblico. Abbiamo apprezzato soprattutto la cordialità con la quale ci ha aperto le porte della
sua casa, nonostante il breve preavviso con il quale ci siamo presentati.
Ecco di seguito riportato il contenuto dell’intervista.
Quando si è innamorata di Arturo?
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
L’ho conosciuto a cinque anni, mio papà ai tempi mi portava ai concerti, a me piaceva molto. Mia zia era
abbonata, e un giorno volle fare un regalo alla sua nipotina. Disse: “Se sei brava ti porto al concerto con me
perché suona un bambino della tua età molto bravo, ti porto in prima fila”. Ovviamente accettai la proposta,
entusiasta. Allora i concerti erano al Pietro Da Cemmo ( salone che si trova tutt’ora nel conservatorio di
Brescia). Ero davanti al palco, in prima fila, e suonava un bambino che poi divenne mio marito. Il bambino uscì
molto serio dalla stanza con il maestro Paolo Chimeri: era biondo e il maestro lo teneva per mano. Lo portò al
pianoforte, poi sbadatamente lo abbandonò li. Il bambino restò disorientato a guardarsi attorno, mentre dal
camerino inizialmente non capirono che non riusciva a salire sullo sgabello. Dopo qualche attimo di attesa
rientrò il maestro Chimeri che lo sollevò facendolo sedere. Suonò più di un’ora e tutto a memoria, lo ricordo
come se fosse successo ieri. Quando poi lo vidi fuori sembrava un uomo, ci fissammo attentamente. Lui diceva
di non ricordarlo ma io ricordo benissimo quello sguardo.
Poi cosa successe?
A quell’epoca i genitori erano intransigenti e protettivi verso le figlie femmine. Io ero piuttosto carina e mi
ritrovai involontariamente fidanzata con un bresciano, Eugenio Freschi , proveniente da una famiglia famosa.
Mi ritrovai fidanzata a lui a 17 anni, ma io ero innamorata del mio pianista, anche se non avrei mai pensato che
poi sarebbe divenuto mio marito. Poi è arrivata la guerra e il mio fidanzato fu chiamato alle armi. Continuavo ad
essere innamorata del mio pianista così trovai il coraggio di mollare il fidanzato. Fu’ bella la scena perché
quello che poi divenne mio marito, che nel frattempo era già famoso come pianista, mi disse “Una ragazza seria
non sposa un uomo che non ama, pensaci che se vuoi ti sposo io.” Non scherzò! Ci sposammo di nascosto,
perchè papà era morto, e la mamma non era d’accordo perché era arrabbiata per la mia storia con Eugenio
Freschi. Io non avevo ancora 21 anni (ai tempi età per essere maggiorenni) e neanche Arturo. Ci siamo sposati a
Corte Franca perché io e la mia famiglia eravamo molto amici dei Berlucchi (la mia più cara amica fu Lina
Facchinelli), eravamo come due famiglie. Decidemmo di sposarci di nascosto senza dire niente a nessuno,
l’unica a conoscenza del fatto era la mamma della mia migliore amica, la signora Vittoria Berlucchi che mi ha
fatto da testimone. Lei voleva molto bene ad Arturo. Ci siamo sposati a Cortefranca perché un prete
simpaticissimo che ci conosceva bene ci disse “ vi sposo io, basta che la finite con questa storia”
Com’è stato per voi il periodo della guerra?
Beh ero molto giovane, io mi sono sposata di nascosto durante il periodo della guerra, poi siamo scappati perché
fu arrestato
Da li dove siete andati ad abitare?
Avevamo un appartamento in Via Marsala a Brescia. Ricordo che dai palazzi di fronte aspettavano che lui
iniziasse a studiare per mettersi al balcone ad ascoltare
Era un uomo dal carattere difficile?
No, non era difficile, tutti i caratteri sono difficili. Nel senso che è molto difficile incontrarsi. Era una persona
che non si fermava mai, lui aveva la sua vita e io la mia ma non era un carattere difficile, ho un ricordo
bellissimo
Questo ci fa piacere perché sicuramente una personalità come quella di Arturo Benedetti Michelangeli è
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stata libera di esprimere il suo genio anche grazie ad una moglie che l’ha sempre sostenuto.
In realtà lui non aveva bisogno di essere sostenuto, dico la verità, era bravo e basta. Diciamo che ha trovato una
moglie con un carattere non provinciale, con la mentalità aperta perché con tutti i viaggi che faceva non poteva
che essere così.
A questo punto si inserisce nella conversazione la nostra accompagnatrice, Maria Teresa Bettoni
Cazzago:
Quando avevo setteanni c’è stato il concerto degli allievi a Bogliaco, mi ricordo di essermi seduta vicino a te, al
Maestro e mia zia Maria. C’era un’emozione enorme da parte mia perché ero seduta vicino a tuo marito.
Suonava una coppia, marito e moglie giapponesi, mi ricordo benissimo perché era la prima volta che sentivo
suonare degli artisti nipponici, per di più in parte al Maestro.
La signora Guidetti riprende: “Mio marito finito il concerto si metteva di fronte alla zia Maria che era sempre
vicino al palco e le faceva un grande inchino. Era giovane ma era molto autoritario e metteva in soggezione,
quindi per la zia Maria il fatto che dopo l’esibizione si inchinasse era motivo d’orgoglio.
Quale era il compositore preferito del Maestro?
In realtà amava qualsiasi cosa fosse musica, non aveva neanche un preferito da suonare. In particolare lui non
parlava mai di musica, né di concerti. Mai. Non amava fare il concertista, lui amava molto insegnare. I concerti
servivano solo per vivere, ma in realtà li ripugnava. Ma era un grande professionista: già sei mesi primadei
concerti non toccava neanche un goccio d’alcool, solo acqua per prepararsi alla perfezione.
Una foto personale di Giuliana Benedetti Michelangeli
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Foto ricordo che Giuliana Benedetti Michelangeli conserva ancora in casa sua: ritratto il Maestro in visita dal Papa
15.
PRO LOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO –
INTERVISTA A MARIA ALESSANDRA BETTONI CAZZAGO
Dopo l’intervista a Giuliana Guidetti, abbiamo avuto il piacere e la fortuna di poter fare un’altra intervista ad
una persona che conosceva Arturo Benedetti Michelangeli, Maria Alessandra Bettoni Cazzago.
Che ricordi ha del Maestro? Un uomo fuori dal comune altrimenti non sarebbe diventato quel che è diventato,
è stata una grandissima personalità.
Il suo rapporto con le persone com’era? Aveva degli amici molto affezionati a cui voleva molto bene, ma non
era un uomo con cui fosse molto facile averci a che fare, gli veniva molto difficile comunicare
Era molto concentrato dal suo lavoro? Si, poi il suo carattere era molto chiuso. Forse anche per timidezza
Come vi siete conosciuti? Eravamo vicini di casa per cui lo incontravamo soventissimo. Aveva il pianoforte
nella sala attaccata alla nostra camera da letto quindi lo sentivamo sempre suonare. L’immagine che si ha di
Arturo dalle foto è quella di una persona austera, può confermarcelo? Sì, rispecchiava la realtà. In effetti il
Maestro era un persona riservata ed un grande perfezionista.
Vi trovavate mai a parlare di musica? Ne parlava solo con pochi. Con noi che non ne capivamo non ne
parlava.
Si ricorda di qualche episodio? Mio zio Sandro era uno dei pochi che poteva sentire le prove del Maestro e
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una volta gli disse che al suo funerale avrebbe voluto che suonasse lui. Quando mio zio è morto, mia zia (moglie
di Sandro) e mio fratello erano a Milano proprio a sentire un concerto di Benedetti Michelangeli, arrivò la
telefonata proprio mentre stava suonando la marcia funebre di Chopin. Per cui decisero di far suonare quella. Al
suo funerale Michelangeli era a New York, per cui pregò il Maestro Orizio di suonarla al suo posto.
(Il maestro Orizio è il Maestro Agostino Orizio, già precedentemente ricordato, recentemente scomparso,
illustre cittadino cazzaghese NDR)
Com’era Brescia nei confronti del Maestro? Brescia restava sempre a bocca aperta quando si trattava del
Maestro, ad ogni concerto i cittadini rimanevano affascinati. Per noi bresciani è importantissimo.”
Quando è morto come è stata presa la notizia? Quando è mancato è morto senza troppi proclami, quindi la
città non era informata.”
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16.
PRO LOCO DI CAZZAGO SAN MARTINO –
INTERVISTA A CLARA MARTINENGO VILLAGANA
Ancora una volta, sempre grazie alla preziosa collaborazione della Contessa Maria Teresa Bettoni Cazzago,
siamo riusciti ad effettuare un’ulteriore intervista ad una persona intima al Maestro: la sua allieva Clara
Martinengo Villagana, già citata nella biografia in quanto ha ospitato ABM nel periodo della guerra.
La signora ci accoglie nella sua bella casa, che è veramente piena di ricordi del Maestro: foto, cd e cimeli di
vario genere, la maggior parte delle volte firmati e con dedica. Ci anticipa inoltre che a breve uscirà un suo
nuovo libro, diviso in tre parti, la cui parte centrale sarà incentrata sulla figura Maestro.
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Ecco un estratto dei ricordi con dedica del Maestro, che la signora custodisce gelosamente in casa sua.
Clara conobbe il Maestro tramite sua zia Lina Martinengo Villagana, la quale a sua volta aveva una grande
amica che lo conosceva, e lo invitò a colazione a Sale Marasino. Questo fatto avvenne poco dopo il matrimonio
diABM con Giuliana Guidetti, nel periodo in cui era ospite dai Berlucchi a Palazzo Lana (residenza dei
Berlucchi a Borgonato di Corte Franca NDR).
Il Maestro arrivò in bici da Borgonato insieme alla moglie Giuliana e fu invitato dalla Signora Lina a sentir
suonare la nipote Clara, che allora era una ragazzina ed era molto agitata all’idea di suonare davanti ad un
maestro di fama mondiale. La signora Clara ricorda benissimo che durante l’esecuzione Arturo camminò avanti
e indietro, concentrato ad ascoltare, e finita l’esibizione comunicò ai genitori la sua disponibilità affinchè la
figlia divenisse sua allieva. Un’altra emozione vissuta dalla signora Clara a Sale Marasino fu quando un giorno
suonò a quattro mani con lui, meritandosi anche degli elogi, cosa assai rara per il Maestro.
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Una foto della signora Clara insieme ai suoi fratelli a Sale Marasino.
La signora passa poi a raccontarci di come la zia della contessa Maria Teresa, (Maria Alessandra Bettoni
Cazzago, soprannominata Nannina) insieme al consorte Enea Guarneri, andavano spesso a trovarla. In quelle
occasioni ascoltavano i dischi del Maestro e commentavano sempre dicendo che era beato, un predestinato della
musica.
Al contrario di molte persone, il Maestro dava a Clara molta attenzione domandandole spesso il parere su alcuni
pianisti perché si fidava del suo giudizio.
Clara rivela di essere amica di Camillo Togni, altro allievo del Maestro che l’ha accompagnato nei corsi di
Arezzo. Flaminio, Il fratello di Camillo, era tra l’altro uno dei pochi che potevano ascoltare il Maestro in quanto
in possesso dell’orecchio assoluto. Un’altra persona verso cui il Maestro nutriva grande stima era il maestro
rumeno Sergiu Celibidache. Dopo che ebbe assistito ad un suo concerto, Arturo Benedetti Michelangeli disse
che non aveva mai sentito fare un pianissimo come lo faceva Celibidache.
Il Maestro fu più volte ospite di Clara anche a Brescia oltre che a Sale Marasino e la signora ci racconta di come
potessero uscire di casa solo a tarda sera, al buio, per non farsi riconoscere. Alla morte del padre, Clara ricorda
che il Maestro non la lasciò sola un attimo: la accompagnò a casa e si mise a suonare, tenendola impegnata tutto
il giorno per non farle pensare all’accaduto.
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La signora conserva ancora anche un telegramma inviatole da ABM da Pura nel 1991 nel quale esprime il suo dolore per la morte del
fratello.
Clara è stata inoltre ospite del Maestro per ben42 giorni nella casa di Rabbi in Trentino. Lei avrebbe voluto
restare al massimo una settimana, ma il Maestro insistette per trattenerla. Ricorda ancora come ilmassimo
rispetto verso Arturo la portava ad alzarsi in piedi e ogni volta che il Maestro entrava nella stessa stanza, come
se fosse stata ancora sua allieva, anche contro il suo parere.
Una volta non è stata bene ed ha avuto una emorragia, Clara voleva andare all’ospedale ma lui ha detto di non
preoccuparsi che l’avrebbe curata lui: le preparava anche i minestroni anche se a lui non piacevano, ed era molto
premuroso nei suoi confronti.
La signora Clara spiega di aver eseguito anche 3 lezioni a Firenze dopo le quali ABM gli disse di essere pronta
per dare l’esame: l’unica cosa da fare era scegliere il conservatorio. Scelse Venezia, e addirittura alle prove il
maestro Eugenio Bagnoli esaminava gli spartiti di Clara, studiandosi le annotazioni del Maestro.
Nel suo discorso Clara ci spiega che a Bornato, dove il Maestro ha vissuto, aveva anche degli allievi che
andavano a fare lezione da lui; siccome le lezioni spesso erano molto lunghe, gli alunni arrivavano in mattinata
e, per non fargli fare ulteriori viaggi, capitava spesso che cucinava anche come se fosse il loro padre, non
facendogli pagare nulla.
Continuando nel racconto, ci dice di come lei, insieme con gli altri allievi, anche a distanza avvertivano
l’energia del Maestro. La signora definisce questo come un “fluido”, dice che addirittura quando stavano a
tavola se appoggiava il gomito sentiva come una corrente elettrica ed anche ai concerti la gente avvertiva la
stessa sensazione nel momento in cui saliva al piano.
Un giorno Clara è stata ospite dal Maestro insieme a Flaminio Togni a Ponte Tresa, un comune svizzero del
Canton Ticino. Era un periodo di scoraggiamento del Maestro e la signora andò in visita anche per cercare di
risollevargli il morale. A cena ABM prese un bel bicchiere, di vetro spesso e decorato, e lo mise nella borsa
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TITOLO: PROMUOVERE IL PATRIMONIO IMMATERIALE PER LA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA’ CULTURALE
della signora Clara
dicendole che avrebbe
dovuto tenerlo lei. La
signora lo conserva
tuttora nel soggiorno del
suo salotto.
Clara un giorno disse ad
Arturo Benedetti
Michelangeli che voleva
insegnare, lui rispose: ci
penso io, l’importante è
lo strumento. Aveva già
disposto che uno dei suoi
pianoforti andasse a lei.
Ecco alcune foto della
signora Clara Martinengo Villagana insieme alla Contessa Maria Teresa Bettoni Cazzago, mentre ci racconta
quanto riportato sopra.
Qui presente anche
Varinia Andreoli OLP
della Pro Loco
Ringraziamo per la paziente disponibilità e collaborazione della Contessa Mariateresa Bettoni Cazzago e per
gentilissima concessione che ci è stata fatta dalla signora Clara Martinengo Villagana, che oltre a concederci
un’intervista ci ha anche ospitato in casa sua.
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FONTI RICERCA
Per effettuare questo progetto sono state utilizzate diverse fonti.
Siti Web:
www.centromichelangeli.com: Il Centro di Documentazione "Arturo Benedetti Michelangeli" è
un'associazione culturale non a fini di lucro con sede a Brescia;
www.arturobenedettimichelangeli.net;
heinrichvontrotta.blogspot.it:
www.cristinacampo.it: sito fondato da arturo donati su Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo
(Bologna 1923, Roma 1977). Ormai riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è
stata straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea;
www.festivalpianistico.it: sito ufficiale del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo.
www.marioluzimendrisio.com: sito ufficiale dell’Associazione Mendrisio – Mario Luzi Poesia nel
mondo. Sul sito di questa associazione figura una sezione atta a “diffondere e tramandare l’Arte del
“Sommo dei Sommi” Arturo Benedetti Michelangeli. Nel comitato figura anche Anne Marie Josè Gros
Dubois come Presidente Onorario;
Wikipedia.
Libri:
Armando Torno: “Arturo Benedetti Michelangeli: Un incontro”;
Clara Martinengo Villagana, Stefania Monti: “Arturo Benedetti Michelangeli. Genio e compostezza”;
Antonio Sabatucci: “Arturo Benedetti Michelangeli- Il grembo del suono”;
Cord Garben: “Arturo Benedetti Michelangeli: in bilico con un genio”.
Interviste dirette a:
Giuliana Guidetti in Benedetti Michelangeli, vedova e compagna di vita di Arturo, che alla veneranda
età di 94 anni è stata disposta a farsi intervistare da noi;
Maria Alessandra Bettoni Cazzago, zia della contessa Mariateresa e amica del pianista;
Clara Martinengo Villagana, allieva e amica molto stretta del Maestro, nonché scrittrice di più libri che
ne parlano.
Inoltre:
Archivio Storico delle delibere del Consiglio Comunale del Comune di Cazzago San Martino;
Archivio Storico delle pratiche edilizie del Comune di Cazzago San Martino;
Biblioteca comunale di Cazzago San Martino;
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