Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A...

14

Click here to load reader

Transcript of Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A...

Page 1: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger lettore diKant

> di Giorgio Astone

1. Introduzione

Disquisire della temporalità e del suo lessico sembra, di primo acchito, implicare per il lettored'oggi una più radicale immersione nella humus filosofica e metafisica; ciò che non ci siaspetterebbe, forse, è che l'esigenza che porta a riscoprire un simile concetto per inquadrarlo intermini più chiari può venire da campi differenti, aventi obiettivi diversi ed apparentemente più'pratici' rispetto a quelli delle scienze filosofiche. Un esempio che può essere fatto è quello dellasociologia del tempo: la Social Acceleration Theory, che vede fra i suoi principali teorici HartmutRosa, nel porre al centro della sua diagnosi nuove forme di alienazione temporale checaratterizzerebbero le società contemporanee, si riferisce alla 'temporalità' come a quella

1

Page 2: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

dimensione fenomenologica ed esperienziale del soggetto che si ritrova impossibilitato alcambiamento reale (a causa di una molteplicità di cambiamenti apparenti ed eterodiretti). Nelle pagine di autori come Virilio (non annoverabile stricto sensu in tale paradigma, macertamente considerabile come uno dei principali punti di partenza per la stessa teoria), Rosa,William E. Scheuerman, Robert Hassan e molti altri, ciò che viene contratto, compresso ed alteratonon è propriamente un arco di tempo e/o degli intervalli composti da tanti istanti tecnicamentemisurabili, bensì il modo prettamente umano di percepire il tempo come una propria dimensione.Tale tempo 'appropriato' dell'uomo non seguirebbe leggi e criteri che, in ultima analisi, potrebberoessere commisurati a qualche forma di calcolabilità preventiva rispetto a degli scopi pratici daraggiungere: i modi per descrivere le alterazioni di una simile temporalità utilizzati dai sociologidella Social Acceleration Theory s'incardinano attorno a metafore come quelle della contrazione edella dilatazione, della pressurizzazione e della depressurizzazione, instaurando legami con altretemporalità (o con il Tempo sociale dominante) basati sulla sincronizzazione o sul suo contrario, ladesincronizzazione. È lecito chiedersi, dunque, proprio a seguito di un tale libero brulicare di nuovi termini che cercanodi carpire la temporalità umana e definirla in quanto tale, che tipo di eredità la filosofia occidentalelascia a disposizione per approfondire i retroscena di queste indagini sociologiche. Tracciare unpercorso che possa illuminare riguardo alla natura del tempo e alla sua declinazione precipuamenteumana sembra costituire un'impresa titanica, che potrebbe rigettarci ai prodromi del pensieroclassico ed alla distensio animi agostiniana; di portata minore, seppur di natura non necessariamentepiù facile, può essere l'analisi di un unico volume dove la tematica della temporalità sembra esserecentrale e viene analizzata in maniera perspicua ed elaborata, ossia Kant und das Problem derMetaphysik di Martin Heidegger.

2. Dalla Kritik der reinen Vernunft al concetto di pre-comprensione ontologica

Viviamo in tempi heideggeriani? Un quesito del genere, per la sua vaghezza, potrebbeapparire privo di significato se non fosse per l'improvvisa risonanza causata, fra il 2015 e il 2016,dalla pubblicazione degli Schwarze Hefte; è in ogni caso evidente come le opere di Heideggermaggiormente discusse e commentate siano spesso state quelle che il suo autore non riteneva piùcomplete o precise nel rappresentare il proprio pensiero filosofico. Il profilo di opera 'secondaria'che Kant und das Problem der Metaphysik ha assunto, in termini di popolarità, rispetto a Sein undZeit ed altri testi non corrisponde, però, all'importanza che il filosofo tedesco avrebbe volutoconferirgli nell'insieme della sua produzione. Due anni dopo la pubblicazione di Sein und Zeit, iltesto che ci accingiamo a commentare ed analizzare doveva costituire la prima sezione del secondovolume della stessa opera; Heidegger decise però, nel 1929, di pubblicare Kant und das Problemder Metaphysik come opera a se stante. Il legame di continuità e la stretta relazione con Sein undZeit è esplicitamente chiarito da Heidegger stesso nella quarta ed ultima prefazione al suo lavoro,datata 1973 (si tratta, perciò, di un lavoro che Heidegger torna a leggere e commentare dopo più di40 anni e per il quale, ad ogni edizione, si sente in dovere di aggiungere una nuova prefazione). Per quanto concerne, inoltre, il legame fra Heidegger e Kant, sarà d'obbligo premettere che lafrequentazione dei testi kantiani non rimase un episodio isolato negli studi e nella carrieraaccademica di Heidegger: è possibile ricostruire, tramite la Gesamtausgabe, come molte dellelezioni universitarie di Heidegger avessero come punto di partenza proprio la filosofia kantiana. Aquesto riguardo basterà citare, solo per dimostrare la costanza della medesima attenzione per ilpensatore di Königsberg, le lezioni tenute dal primo Heidegger nel semestre invernale del 1927-28sotto il titolo di Interpretazione fenomenologica della critica della ragion pura di Kant (quelleprobabilmente più vicine alla rilettura di Kant und das Problem der Metaphysik e che già tramite il

2

Page 3: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

titolo ci forniscono un'importante direzione da dare all'esegesi della prima Kritik, dichiaratamentefenomenologica), e due scritti dell'ultimo Heidegger, che si riallacciano esplicitamente, a guisa dicompletamento ed integrazione, a Kant und das Problem der Metaphysik: nel 1962 Il problemadella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, nel 1963,la Tesi di Kant sull'essere. Molto più importante della determinazioni delle varie influenze che modificano la ricezionedell'opera kantiana del primo e dell'ultimo Heidegger è il senso che egli vuole dare alla prima Kritiktramite la sua rilettura: la libertà che il professore di Friburgo utilizza nel leggere a suo modo i passikantiani non era passata inosservata, tanto da stimolarlo a dedicare una delle sue prefazioni (laseconda, datata 1950) a rispondere alle stesse critiche. Con un misto di arroganza intellettuale edironia, Heidegger rigetta immediatamente il desiderio di essere in qualche modo filologicamentefedele al testo preso in esame ed al suo contesto storico, delineando una distinzione critica fra uncerto tipo di commentatori e coloro che sono capaci di dialogare col pensiero di Kant: «Adifferenza dei metodi della filologia storica, che ha il suo proprio compito, un dialogo di pensiero èsoggetto ad altre leggi che sono più vulnerabili. Nel dialogo è più alto il rischio dell'errore, e sonopiù frequenti le mancanze. […] Quelli che pensano, imparano più durevolmente dalle mancanze1».Addentrandoci più nei contenuti dell'esegesi heideggeriana, l'intento di Kant und das Problem derMetaphysik è quello di stravolgere e combattere una visione della prima Kritik focalizzata sulla suanatura di «teoria della conoscenza»; la visione dell'opera kantiana come quella di uno sforzo volto adelimitare le facoltà conoscitive umane entro certi limiti è quella che possiedono coloro che nevogliono fare, per certi versi, una (nuova) fondazione del sapere valida per le scienze positive.Questo impedirebbe, a parere di Heidegger, di cogliere non solo le novità terminologiche eteoretico-ontologiche a cui Kant approda e che egli stesso non è in grado di ammettere ed esplicitarefino in fondo; l'obiettivo che il filosofo di Sein und Zeit qui si propone è quello di centrare il focusmetafisico che, pur delineandosi a partire dai problemi della conoscenza finita, punta all'Essere,all'ontologia e alle modalità della rivelazione (mai totale) che tramite essa avviene2.Semplificando il più possibile, la Critica della ragion pura è un lavoro che apre il campo a- ecomplica l'orizzonte dell'ontologia; nella prima Kritik è possibile rintracciare le questioniontologiche fondamentali e combattere una sua limitazione a teoria gnoseo-antropologica è unodegli obiettivi del testo heideggeriano. La natura ontologica della più celebre opera kantiana el'ostilità che Heidegger sente nel definirla una propedeutica teoria della conoscenza utile per lescienze positive si rende chiara a termine dell'Introduzione, intitolata per l'appunto Tema dellaricerca e sua articolazione. In questa sede Heidegger si esprime in maniera abbastanza netta:«L'intento della Critica della ragion pura resta quindi fondamentalmente misconosciuto, qualora siinterpreti quest'opera come teoria dell'esperienza o addirittura come teoria delle scienze positive.La critica della ragion pura non ha nulla a che fare con una teoria della conoscenza. Se mai sipotesse tenere per valida un'interpretazione in questo senso, allora si dovrebbe dire che la criticadella ragion pura non è una teoria della conoscenza ontica (esperienza), bensì una teoria dellaconoscenza ontologica3». È, tuttavia, già presente nella Sezione prima che l'autore scrive qualcosache va ben oltre la libertà di una neutrale lettura e che sarebbe lecito considerare più come un taglioermeneutico, una reinterpretazione a cui Heidegger approda analizzando prima di ogni altro aspettoquello ontologico-metafisico nel lavoro kantiano: egli vede in Kant lo scopritore di una dicotomiache diverrà assolutamente centrale per l'impostazione della sua filosofia, al punto da ritenere la verae propria rivoluzione copernicana di Kant la prima distinzione, nella filosofia occidentale, fraontico ed ontologico; più precisamente, la partecipazione della trascendenza nel processoconoscitivo umano porta ad una fondamentale conseguenza: «la verità ontica si regola

1 Martin Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari, 2015, p. 7.2 Rispetto alla distanza dall'utilizzo di fondazione per le scienze positive, Heidegger scrive: «Si rende evidente che

l'ontologia non è affatto indirizzata in via primaria alla fondazione delle scienze positive. La sua necessità e la suafunzione trovano fondamento in un interesse superiore, che la ragione umana rinviene in se stessa»; Ivi, p. 20.

3 Ivi, p. 24.

3

Page 4: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

necessariamente su quella ontologica4».La nota polarità heideggeriana viene curiosamente innestata a posteriori nelle riflessioni kantiane.Kant, a differenza degli empiristi da un lato e degli idealisti di ogni specie dall'altro, avrebbeattaccato le teorie della conoscenza che riuscivano a fondarsi da sé. Una fondazione dellaconoscenza tramite l'utilizzo di principi primi o dati empirici si rivela impossibile, è il pianotrascendentale kantiano (rispetto al quale si assottiglia sempre più, nelle pagine heideggeriane, ladistinzione con quello ontologico) che s-fonda una qualsiasi teoria della conoscenza data una voltaper tutte e lascia venire per la prima volta alla luce una nuova conoscenza ontologica. Nelle paroledi Heidegger la questione è posta nel seguente modo:

Kant vuol dire […] che non ogni conoscenza è ontica, e che dove c'è conoscenza ontica, questasi rende possibile solo mediante una conoscenza ontologica. La rivoluzione copernicana scuotecosì poco il vecchio concetto della verità come adeguazione (adaequatio) della conoscenzaall'ente, che anzi lo presuppone e, addirittura, lo fonda per la prima volta. La conoscenza onticapuò adeguarsi all'ente («oggetti»), solo se tale ente è già manifesto in precedenza come ente,ossia è già conosciuto nella costituzione del suo essere. […] La costituzione ontica non puòinvece mai regolarsi per sé secondo gli oggetti, perché, senza la conoscenza ontologica, non hanulla secondo cui potersi regolare5.

Ma come si rende possibile il passaggio dall'impossibilità positiva di fondazione gnoseologicaall'accesso ad una conoscenza ontologica che, in ogni caso, la 'guida'? E se ciò avviene, qual è ilmodo di procedere di una conoscenza che non ha la sua fondazione in nient'altro econtemporaneamente, tramite la sua dinamica, rende sostenibile il compito di ordinare le esperienzee rendercele comprensibili? Per rispondere a simili interrogativi sulla natura della trascendentalità e chiarire megliol'impostazione ontologica della stessa che fornisce Heidegger sarà utile seguire alcuni snodifondamentali che illustrano la sua esposizione dei principali strumenti teoretici utilizzati da Kantnella prima Kritik. Uno dei primi passi che l'autore compie in questo senso è una valorizzazionepiena e decisa del primato dell'intuizione rispetto al pensiero: il lato intuitivo è, a parere diHeidegger, così tanto posto in risalto dal filosofo di Königsberg che la funzione teoretica umanarisulterà sempre ancillare rispetto all'intuizione stessa. Il ruolo suppletivo ed aggiuntivo delpensiero ci dice allo stesso tempo qualcosa riguardo alla ricerca della conoscenza finita: si tratta inqualche modo di un processo ed uno svolgimento atto a portare 'fuori' e rendere esplicito ecomprensibile qualcosa che l'intuizione ha già colto: «Il pensiero, infatti, in ogni sua forma, staunicamente al servizio dell'intuizione. Il pensiero non si trova semplicemente accanto all'intuizione,aggiunto ad essa, ma, per la sua stessa struttura interna, serve al raggiungimento dello scopo chel'intuizione persegue in via primaria e costante6». Rendere totalmente chiaro cosa sia l'Intuizione ecosa il Pensiero non è un'impresa facile se ci si attiene solamente al saggio heideggeriano:l'obiettivo primario sembra qui essere, più che definire le tendenze e gli scopi dell'una e dell'altro,mettere a confronto le loro differenze formali ed il loro modo di procedere rispetto al loro 'ricevere'l'ente e l'essere dell'ente. Commentando i passi di Kant che mettono a confronto il conoscere divinoe quello umano, nel primo caso s'intenderà una forma di intuizione che è simultaneamente creatricedell'ente e che non ha nemmeno bisogno dell'aggiunta del pensiero. Prima di tornare sull'intuizioneumana, e sul nostro tentativo di 'intuirla' a nostra volta, Heidegger insiste sul fatto che bisogneràconcepire il pensiero all'interno della prima Kritik come il «sigillo della finitezza7» tout court.

4 Ivi, pp. 24-25. 5 Ivi, p. 21. 6 Ivi, p. 31.7 «Il conoscere divino è quel modo di rappresentazione che crea, intuendolo, l'ente intuibile come tale. E poiché lo

4

Page 5: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

Che tipo di intuizione sarà quella umana, o, per meglio dire, quella che connota la conoscenzafinita? Al di là delle difficoltà intrinseche nell'elaborare una simile risposta, essendo per definizionein questa polarità l'intuizione qualcosa di altro proprio rispetto al pensiero, ciò che si può sotto certirispetti ammettere per negazione è che, tramite la giustapposizione alla conoscenza divina,l'impronta dell'intuizione umana dev'essere opposta a quella creativa divina. L'intuire umano è'fatto' di passività, nonostante tale passività non equivalga ad una qualche forma d'immobilità privad'azione: la caratteristica fondamentale dell'intuizione finita è quella che, in termini kantiani, èdefinita Rezeptivität; a questo riguardo scrive Heidegger, commentando Kant, che «il caratteredella finitezza dell'intuizione risiede appunto nella ricettività [Rezeptivität]. Ma l'intuizione finitanon può ricevere, se quello che deve ricevere non si annuncia. L'intuizione finita ha bisogno, peressenza, che l'intuibile la riguardi, ha bisogno d'esserne “affetta” [affiziert]8». Prima di procedere oltre, per quanto lo stesso Heidegger ponga l'accento soprattutto sui terminilegati all'affezione e alla ricettività, occorrerà non trascurare un determinato campo semantico erelazionale che viene attivato in passi del genere, utile forse più per capire la filosofia heideggerianache quella kantiana: la dialettica che intercorre fra l'abilità ricettiva dell'essere finito che conosce equello che si dona (che si apre a–, potremmo anche dire) comporta da un lato la possibilità dellariuscita di un simile 'incontro' solo dopo un annuncio del secondo nei riguardi del primo (potremmofacilitarci la difficoltà teoretica di questi passi immaginando un ospite che deve preavvisare inqualche modo la sua venuta o ad un regalo che, per essere consegnato, deve necessariamentepresupporre l'incontrarsi del donante e del donatore), dall'altro un'attività del ricevere. Il fatto che ilricevere sia comunque un agire, comportante delle modificazioni (le affezioni), non lo rende unprodurre un qualcosa: l'aspetto passivo è in ogni caso dominante e comprendere un simile difficilebinomio (l'azione di un'intuitività quasi esclusivamente ricettiva), quasi ossimorico a tratti, rende lacomplessità dell'impresa di volgere il pensiero verso l'intuitività. Un'intuizione creatrice in tutti isensi è solo quella divina e, paradossalmente, una simile versione originaria della stessa ci viene piùsemplice accostarla al lavoro dell'intelletto che a quello della nostra ricettività intuitiva, visto econsiderato che la nostra intuitività non si sforza in senso stretto, volontariamente, mentre ladinamica intellettuale è comunque da considerarsi come una «sorta di produzione9».Per quanto sia profonda in Kant e in Heidegger l'interrelazione fra l'intuire ed il pensare, ildiscorrere di tale dicotomia nelle prime mosse di Kant und das Problem der Metaphysik risulta solopreliminare per chi cerca di cogliere quella trasformazione interpretativa che avverrebbe in questaspeciale rilettura della prima Kritik. Solo procedendo dal processo della ricettività intuitiva, spiegatoproprio nei termini di un qualcosa che si annuncia e che si riceve, è possibile proseguire oltre ecomprendere a pieno in che modo la trascendentalità assuma la parte fondamentalenell'interrelazione fra enti finiti. Come era precedentemente stato suggerito, l'ente, per essere'ricevuto', dev'essere in qualche modo già stato 'annunciato': poco distante da questa traccia sibillinatroviamo un piccolo paragrafo che completa ulteriormente le conseguenze di una simileimpostazione, definendo la «fondazione dell'ontologia» persino come uno dei cardini attorno alquale tutta la prima Critica kantiana ruoterebbe:

La conoscenza dell'ente è possibile soltanto sulla base di una conoscenza preliminare,indipendente dall'esperienza, della costituzione dell'essere dell'ente. Ora, la conoscenza finita,

intuisce in modo immediato e totale, con subitanea e assoluta trasparenza, non ha bisogno del pensiero. Il pensierocome tale è quindi già il sigillo della finitezza. Il conoscere divino è intuizione, giacché tale deve essere tutta la suaconoscenza, e non pensiero, che dimostra sempre dei limiti. […] La finitezza della conoscenza umana si deve quindicercare in primo luogo nella finitezza del modo d'intuizione che le è proprio. Il fatto che un essere finito conoscentedebba anche pensare, è solo una conseguenza essenziale della finitezza del suo intuire. Solo così viene in giusta lucela posizione essenzialmente ancillare di ogni forma di pensiero»; Ivi, pp. 32-33.

8 Ivi, p. 33.9 Ivi, p. 36.

5

Page 6: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

sulla finitezza della quale verte la ricerca, è per essenza intuizione ricettiva e determinantedell'ente. Perché la conoscenza finita dell'ente sia possibile, occorre che essa si fondi su unacognizione dell'essere dell'ente, anteriore a ogni ricezione10.

Il passo appena citato è probabilmente uno dei più fecondi per estrapolare quanto di più'heideggeriano' vi può essere nello sforzo ermeneutico che l'autore applica verso l'opera di Kant: inquesto caso è ben evidente come quel 'qualcosa' che rende possibile la ricezione dell'ente che sivuole conoscere a favore dell'ente conoscente non è nemmeno, precisamente, una 'piccola parte'dell'ente stesso (sebbene, come vedremo, non verrà rigettata la metafora dell'anticipazione quandos'inserirà in un tale rapportarsi la temporalità), ma qualcosa che lo eccede sempre. L'«esseredell'ente» (formula che significativamente Heidegger non riprenderà quasi più nel corso della suatrattazione) è ciò che rende possibile la 'comunicazione' fra i diversi enti ed il loro rapportarsi; intermini più strettamente gnoseologico-teoretici, è la trascendentalità che rende possibile laconoscenza finita. Non è possibile avere una cognizione precisa e 'scientifica' (lato sensu) dell'essere dell'ente,nonostante sia solamente questo elemento che renda possibile l'incontro: è la stessa impossibilità,passando dal piano dell'ontologia relazionale a quello della relazionalità teoretica (che perHeidegger spesso equivalgono), quella che Kant mette in luce per la prima volta nella storia delpensiero occidentale inserendo la trascendentalità come conditio sine qua non della conoscenza insé. Per tornare a questo tipo di rivalorizzazione ontologica che il professore di Friburgo compieliberamente sull'opera kantiana, un consiglio che egli stesso dona riguardo al giusto approcciarsiall'Analitica trascendentale kantiana è quella di vederla più come uno «scioglimento» dellecategorie della metafisica tradizionale che come un loro riassemblaggio; il pensiero kantiano, comeun vento impetuoso, solleverebbe tramite la messa in discussione delle precedenti categorieontologico-teoretiche nuovi e fecondi «germi dell'ontologia»: «L'analitica non consiste però neldissolvere la ragion pura finita, scomponendola nei suoi elementi; essa è, bensì, uno scioglimento,ma nel senso opposto, in quanto mette in libertà, smuovendoli, i germi dell'ontologia. Essa svelaquelle condizioni, che fanno germogliare un'ontologia come un tutto, secondo la sua intrinsecapossibilità11». Eppure è immediatamente evidente la difficoltà di proseguire in maniera certa su un simile sentiero:non si tratta più, solamente, di utilizzare il pensiero per definire ciò che propriamente non è'pensiero', ma d'intravedere l'essere dell'ente dietro le lenti della finitezza ontica. Heidegger nonignora la puntualizzazione kantiana dell'esclusività dell'accesso della conoscenza umana al latomeramente fenomenico della realtà: il suo questionare, auscultando i passi kantiani, rimarrà perciòquello che egli stesso definisce come «la possibilità essenziale della sintesi ontologica12». È su quelgià dell'anticipazione, su questo pre– (elencheremo in questa sede almeno due formulazioni centralidi Heidegger, «pre-ontologia» e «pre-comprensione», che usufruiscono del medesimo prefisso), sudi una presenza che pre-cede ed oltre-passa il presente, che si gioca la partita filosofica dellapossibilità di una sintesi ontologica così come quella di una teoria della conoscenza che non partada semplici dati finiti: «messo per esteso, tale interrogativo suona così: come può l'esserci finitodell'uomo andar oltre (trascendere) l'ente in via affatto preliminare, dal momento che non solo nonha creato tale ente, ma è anzi, proprio per poter esistere come esserci, assegnato all'ente?13». A questo punto non è possibile fermarsi, ammettendo l'indicibilità: una costante della filosofiaheideggeriana è certamente l'esplorazione linguistica che non arretra di fronte a difficoltà di talfatta. Di conseguenza, per enucleare un apparato terminologico sufficiente ad esprimere ilfunzionamento della ricettività intuitiva, Heidegger ricorre ad almeno quattro lemmi fondamentali

10 Ivi, p. 42.11 Ivi, pp. 44-45.12 Ivi, p. 46. Corsivo mio.13 Ibid.

6

Page 7: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

che non sono presenti nel testo kantiano ma che, a suo modo di vedere, potrebbero incarnareperfettamente l'assetto ontologico strutturale che la visione delle conoscenza kantiana presuppone.Essi sono pre-ontologia, corrispondenza, volgersi a- e obiettazione:

D'altra parte, affinché un ente possa essere incontrato per quello che è, occorre che esso sia giàstato, fin da principio, conosciuto come ente, ossia relativamente alla costituzione del suoessere. Ne consegue, implicitamente, che la conoscenza ontologica, o meglio, in questo caso,sempre preontologica, è la condizione della possibilità che, in generale, qualche cosa come unente giunga ad obiettarsi [entgegenstehen] a un essere finito. All'essere finito è necessaria questafacoltà fondamentale di volgersi a…, consentendo l'obiettarsi di…. Solo in questo volgersioriginario, l'essere finito tiene davanti a sé un campo d'azione, all'interno del quale qualcosa puòcorrispondergli14.

Si può parlare di un pre– anche per l'ontologia stessa, quando si cerca di definire questo 'arrivogeneralizzato' che caratterizza la possibilità di conoscenza e d'incontro fra e degli enti, considerandola latenza che è sempre presupposta dietro al processo. La parte paradossalmente 'attiva' dellaricezione è spiegata da Heidegger, da un lato, con l'assunzione di una 'posizione' che rappresentil'apertura a tutto ciò che si presta ad essere ricevuto: il volgersi a– (simile al volgersi verso–, maprivato di direzione risulta ancora più 'aperto' all'arrivo dell'intuibile) è per l'appunto unamanifestazione di un simile approcciarsi. Affinché, però, non si concepisca tale scambio comequello che potrebbe intercorrere fra un soggetto ed un oggetto (o fra soggetti ed oggetti) ove solouno degli elementi della diade è responsabile dell'incontro o meno, il filosofo aggiunge il verboco(r)-rispondere proprio con l'intenzione di significare un rimando dell'uno all'altro, un risuonarereciproco che si autoalimenta e non prevede in sé momenti di input ed output nettamente scanditi(queste cesure sono, per l'appunto, limiti che s'incontrano nella resa intellettuale e logico-linguisticadel processo intuitivo).Tutto l'insieme degli atti che costituiscono la conoscenza finita formano il rapporto di obiettazionedell'ente. In esso qualcosa si approssima a noi, che siamo pre-disposti a riceverlo: da qui ilsignificato proprio di obiectum, che Heidegger decide in questo caso di accostare, più che al suoabituale gegestand, al «ciò che è di contro [dawider]15». Quello che ormai dovrebbe essere chiaro, eche risulta da una profonda analisi del rapporto di obiettazione, è che qualcosa lo presuppone, lotrascende e gli fa da sfondo: né per Kant né per Heidegger un simile incontro può avvenire comeuno 'scontro' fra due elementi discreti senza comprendere un retroscena che permetta anche solo diconcepire una dimensione comune ad entrambi. Cercando di definire questo piano (in linea diprincipio non definibile), il commentatore di Kant toccherà en passant la strada eckhartiana delnulla, indicando un ni-ente che renderebbe possibile la concezione dell'ente: «Dar adito all'obiettarsidi… deve equivalere a portarsi e tenersi dentro il nulla; solo in tal caso, l'atto di rappresentazionepuò far incontrare, invece del nulla, e nell'ambito stesso del nulla, qualcosa che non è il nulla, vale adire un ente, qualora questo si mostri sul piano empirico16». Il ricorrere alla negazione ontologia è, però, abbandonato in men che non si dica da Heidegger, chepasserà a spiegare l'essere dawider dell'obiectum all'interno dello schema dialettico fra enti edessere degli enti: il 'contro', che comporta in ogni caso una forma di resistenza e di ostilitàconnaturata a questo tipo di avanzare (un avanzare che difficilmente non si accompagna ad unretrocedere, potremmo aggiungere), non è dato tanto dall'opposizione fra enti, quanto dallo stato didiuturna incommensurabilità dovuto alla ricerca dell'Essere che si deve forzatamente adeguare allesue manifestazioni ontiche in quel tentativo di cattura che è la conoscenza finita. Seguendo

14 Ivi, pp. 67-6815 Ivi, p. 69. 16 Ivi, p. 69.

7

Page 8: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

direttamente le righe di Heidegger, si leggerà a riguardo: «Non si tratta qui di un carattere diresistenza all'interno dell'ente, né tanto meno di una pressione esercitata dalle sensazione, bensì delpreliminare stato di opposizione dell'essere. Il momento ob-iettivo degli oggetti porta con sé unacostrizione (necessità) per la quale tutto ciò che si incontra viene fin da principio forzato ad unaconcordanza, e soltanto rispetto a tale concordanza può risultare anche non concordante17». Provare a rendere conto, nell'intuizione che rende possibile la ricezione dell'ente, anche dell'esseredell'ente che sembra sempre celarsi dietro l'angolo non è certamente facile: solo due anni prima lerisposte di Heidegger in merito a tale trasposizione erano state più nette ed avevano avuto a che farecon il tempo e la temporalità. In Kant und das Problem der Metaphysik il placcaggio dell'Essere inpresa diretta è quasi del tutto assente, nonostante vi siano ampie sezioni dedicate sia alla dimensionepreontologica (l'angolo del muro, per usare la nostra metafora) sia all'intuizione di una temporalitàoriginaria come intuizione 'fondamentale' a livello ontologico. Per concludere sul primo di questidue aspetti (cercando di creare in ogni caso una transizione verso il secondo), sarà proficuo dare lagiusta attenzione ad una riformulazione che Heidegger stesso dà della conoscenza pre–ontologica inpre–comprensione:

Per un essere finito, l'ente diviene accessibile solo sul fondamento di un rapporto diobiettazione, consistente in un volgersi preliminare. Questo rapporto include fin da principiol'ente che offre una possibilità di incontro nell'orizzonte d'unità di una possibile appartenenzareciproca. Tale unità unificante a propri deve fronteggiare ciò che si offre all'incontro,realizzando una pre-comprensione. Ma ciò che si offre all'incontro è già, a sua volta, inglobatofin da principio nell'orizzonte del tempo, il quale viene tenuto dinanzi nell'intuizione pura18.

Pur avendo giù alluso all'elemento processuale e dinamico dell'incontro fra gli enti nellarelazionalità della conoscenza finita, tale movimento non era stato ancora allacciato direttamente altempo. Quello che avviene ora, a questo riguardo, è che tramite la metafora dell'orizzonte(dell'Essere, nel quale ancora non si riesce a delineare con precisione niente ma dal quale possonosopravanzare i singoli enti) come orizzonte temporale si evidenzia come una siffatta dimensionepreontologica e precognitiva – in questa seconda accezione non può non sentirsi un richiamo alVorurteil gadameriano – debba inglobare in sé il passato (la possibilità dell'Ereignis primadell'incontro, in nuce nell'essere dell'ente dei differenti enti coinvolti) e il futuro (la possibilitàch'essa possa avvenire, raffigurabile anche in un'attesa indeterminata priva di limiti), oltre che l'hicet nunc presente. L'incontro della conoscenza finita fra enti solleva, quindi, almeno due questioni: una è quella dellatemporalità originaria, da intendersi come orizzonte temporale del possibile ove passato presente efuturo risultano ancora indistinguibili e che trascende la dimensione ontica; come vedremo meglionel capitolo seguente, tale concetto di temporalità originaria ha a che a fare al contempo con unatotalità ed una unitarietà originarie e comporta anche un certo modo d'intendere la spazialità. Perora sarà sufficiente dire che la pre–comprensione caratterizzata temporalmente è in grado di daredelle forme più precise a quel volgersi a– che prima si menzionava, ad esempio quella dell'«attesa»per quanto concerne la prospettiva del 'soggetto' conoscente («L'unità rappresentata si limita adattendere l'ente che può essere incontrato; grazie a tale attesa, essa rende possibile l'incontro dioggetti che si mostrano insieme. Quest'unità, in quanto non-ontica, comporta la tendenza essenzialeall'unificazione di ciò che non è ancora unificato19») e dell'«anticipazione» per quanto riguarda,invece, l''oggetto' conosciuto o ciò che vi sta dietro («L'unità è per natura unificante. Il che implicaquanto segue: il rappresentare l'unità si compie come un atto di unificazione, che esige, per la sua

17 Ivi, p. 70.18 Ivi, p. 72.19 Ivi, p. 74. Corsivi miei.

8

Page 9: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

completezza strutturale, un'anticipazione di unità20»). La seconda questione, che ben si sposa con le metafore adoperate fin qui d'incontro ed annuncio, èquella del dono (e ci porta molto vicino a letture heideggeriane che hanno avuto forte eco negliultimi decenni, mediate dal pensiero di Derrida): il volgersi a– può essere visto continuamente comeun che di ambivalente, un qualcosa che pur essendo stato scoperto nel campo della ricettivitàintuitiva dell'essere umano richiederà con sé sempre e comunque un offrir-si e lo statofenomenologico del sentirsi pronti a ricevere un'offerta. Nelle parole di Heidegger:

Un essere finito deve poter essere ricettivo nei confronti dell'ente, tanto più se quest'ultimo glidev'essere manifesto come un ente già allo stato di semplice-presenza. Ma la possibilità diricezione dipende da un volgersi preliminare, non certo arbitrario, bensì tale da render possibilein anticipo l'incontro dell'ente stesso. D'altra parte, perché l'ente possa offrirsi come tale,bisogna che l'orizzonte del possibile incontro abbia a sua volta carattere di offerta. Volgersi deveequivalere essenzialmente a tenersi dinanzi, preformando, ciò che ha carattere di offerta ingenerale21.

3. Le definizione heideggeriane del tempo

La trattazione fatta fin qui ha avuto lo scopo di presentare il modus operandi heideggerianonell'approcciarsi all'opera kantiana. Per quanto molti aspetti siano stati trascurati, entrare nel vivodella descrizione della temporalità come affrontata in Kant und das Problem der Metaphysik cicostringerà ad essere ancora più schematici: dopo aver cesellato il concetto di temporalitàoriginaria fra quello di spazialità originaria e di unitarietà che soggiace ad entrambi, si passerà adaffrontare brevemente la questione del tempo come autoaffezione che Heidegger permuta da Kant esi concluderà con il rivolgere lo stesso argomento, da parte dell'autore, con fare critico nei confrontidel filosofo della Kritik. Com'è noto, lo spazio ed il tempo sono per Kant forme a priori della sensibilità; l'aspetto che, però,interessa più Heidegger (conseguenzialmente a quanto detto nel capitolo precedente), è sicuramentequello che riguarda la definizione di 'intuizioni pure'. Riallacciandoci a quanto detto finora riguardol'intuizione, nelle forme a priori della sensibilità è inscritto un superamento della percezionepresente e della dimensione ontica e tale superamento può essere seguito se si considera – più dellafunzione ordinatrice dello schematismo, che Heidegger analizzerà comunque insieme a quellaunificante dei concetti nel corso dell'opera – l'Abgrund che le due intuizioni pure spalancano. Che cosa s'intuisce dell'essere dell'ente se si prescinde dalle regole che veicolano la nostracomprensione della spazialità e della temporalità e si cerca di considerarle come forme a priori nellaloro purezza? Declinando la domanda in maniera più specifica, a cominciare dallo spazio, la stessasuonerebbe all'incirca così: se è possibile una rappresentazione di determinati luoghi o forme nellospazio, in che modo ciò è possibile? Cosa si può dire di tale articolazioni e relazioni determinate senon si presuppone quantomeno una 'intuizione' di uno spazio che le precede nelle loro singolarità?La risposta di Heidegger suona approssimativamente come segue:

I rapporti rispettivi – accanto, sopra, dietro –, che costituiscono lo spazio, non si trovano inqualche luogo, qui o là. Lo spazio non è una cosa semplicemente-presente [vorhanden] fra lealtre, non è una rappresentazione empirica, o meglio, non è il contenuto d'una rappresentazione

20 Ivi, p. 75. Corsivo mio.21 Ivi, p. 83.

9

Page 10: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

siffatta. Perché l'ente, nella sua semplice-presenza, possa mostrarsi come esteso, secondodeterminate relazioni spaziali, occorre che, prima di ogni apprensione ricettiva dell'ente stesso,lo spazio sia già manifesto. Lo spazio dev'essere rappresentato come la sfera entro la quale,senza eccezione, è possibile incontrare ciò che è presente: nel conoscere umano finito, lo spazioè un rappresentato necessario e a priori, cioè puro22.

Dobbiamo 'possedere' in qualche modo la capacità d'intuire una spazialità che trascenda dalleinterrelazioni pratiche degli spazi contingenti e fattuali, simile ad una sfera «entro la quale» tuttoquesto può realizzarsi ed avvenire. Fare degli esempi che permettano di accedere a livelloimmaginativo a questo spazio originario non è un'impresa da poco: l'idea che più immediatamenteci verrebbe in soccorso sarebbe quella del 'tutto' e della sua intelligibilità o meno, ma una siffattatotalità originaria dovrebbe in ogni caso essere espunta da tutte le connotazioni empiriche. La difficoltà dalla quale Heidegger mette in guardia è quella di compiere una forma di astrazioneche ricordi quella dei concetti, da un lato, per cui lo spazio verrebbe a definirsi tramite un processodiscorsivo dove si lascia presente solo qualcosa di comune a tutte le concrezioni reali dello stesso esi tralascia ciò che non vale in tutti gli altri casi23, e dall'altra di sforzarsi di concepire qualcosa cheecceda una determinazione tramite una sorta di complicazione e di arricchimento graduale (puòaiutare, in questo caso, l'esempio cartesiano del chiliagono): realizzare la spazialità in quantointuizione pura deve, invece, portarci a concepire la stessa come un «rappresentare originario24». Sitratta, quindi, sì di una totalità, ma non pensabile come traducibile nel contenuto di un 'tutto' chepossa effettivamente pensarsi (semmai intuirsi); è questo il senso dell'originarietà di una possibilespazialità/totalità originaria che Heidegger indica. V'è un unico esempio che il pensatore ci offreper aiutarci in questo difficile compito immaginativo riguardo la modalità attraverso la quale losforzo di concepire la spazialità originaria dovrebbe operare: pensando all'uso della vista, non sitratterebbe né di un guardare né di un vedere focalizzato su qualcosa, bensì di un 'intuitivo' «colpod'occhio preliminare […] rivolto al tutto unitario, che rende possibile la coordinazione reciproca neidiversi rapporti spaziali25».Per quanto simili tentativi di ontologizzazione del testo kantiano e 's-fondamento' delle forme apriori spazio-temporali rispetto alla loro formulazione originaria possano sembrarci sempre piùcomplessi ed avvolti da una intrinseca e tenebrosa fuzziness, il concetto di 'totalità-che-precede',intuita e non percepita, sembra essere l'anello di congiunzione che mette in comune spazialità etemporalità originarie, soggiacenti la conoscenza finita. Non è possibile trovare rinforzi dal punto divista testuale se si ricerca qualcosa che supporti la terminologia della 'totalità': viceversa,nell'avvicinarsi al circoscrivere cosa dovrebbe essere il tempo in quanto forma a priori a partire daun distinguo rispetto allo spazio è evidente come anche in questo caso l'intuizione di un 'tutto'compia una parte assolutamente rilevante:

Lo spazio, in quanto intuizione pura, fornisce in precedenza soltanto la totalità delle relazioni, incui vengono ordinate le modificazioni del senso esterno. Ma ci sono anche i dati del sensointerno, che non presentano una figura spaziale né riferimenti spaziali, e si rivelano invece comesuccessione di stati del nostro animo (rappresentazioni, tendenze, sentimenti). Nell'esperienza di

22 Ivi, p. 48.23 «Lo spazio, dice Kant, ricorrendo di nuovo a una determinazione negativa, non è una rappresentazione discorsiva.

L'unità che rende uno lo spazio non è messa insieme con riferimento a molteplici relazioni spaziali particolari, non ècostruita in base a una considerazione comparativa di queste relazioni. L'unità dello spazio non è l'unità di unconcetto, bensì l'unità di un tutto in sé uno ed unico. […] Lo spazio unitario ed unico è sempre, in ogni sua parte,interamente se stesso»; Ibid.

24 «Lo spazio, rispetto alle singole parti determinate, non è diverso per grado e per ricchezza di composizione, ma èdiverso infinitamente, cioè per essenza. […] Può dirsi, in questo senso, un rappresentare originario»; Ivi, p. 49.

25 Ibid.

10

Page 11: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

questi fenomeni, ciò che abbiamo sott'occhio fin da principio, benché in modo non oggettivo enon tematico, è la successione pura. Il tempo è dunque la forma del senso interno, cioèdell'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno26.

Approdiamo al concetto di spazio quando decidiamo di prescindere dalle forme spaziali concreteche si palesano dinnanzi ai nostri sensi; parimenti, vi sono degli 'elementi' del nostro sentire che nonhanno propriamente delle forme: «rappresentazioni, tendenze, sentimenti». Quando si passa da unarappresentazione ad un'altra? In che modo un sentimento 'finisce' e lascia posto a quello che losegue? Anche l'universo amorfo della nostra sensibilità interna è dotato di processualità edinamismo: la temporalità che scandisce i vari passaggi di questa realtà non avrà niente a che fare,di conseguenza, con un tempo computazionale e di cui si può rendere conto tramite i sensi strictosensu. La temporalità originaria avrà a che fare con l'appercezione della successione temporale inquanto tale e con la possibilità della stessa, alla stregua di quella compresenza di passato, presente efuturo che doveva essere tenuta insieme nell'orizzonte temporale della pre–comprensione. Se è vero che una prima definizione della temporalità prende le mosse, in Heidegger, tramite laconsiderazione di ciò che non può essere ascritto alla spazialità in ogni caso (il senso interno), èanche vero che non esiste un rapporto di reciproca esclusione se si prende la strada opposta rispettoa questo procedere: il tempo e lo spazio non sono equipollenti ed al primo viene riconosciuto unvero e proprio primato sul secondo27. Il titolo che, utilizzando con estrema libertà Kant, il pensatoretedesco attribuisce alla temporalità è quello di «funzione ontologica universale28»; il motivoriguarda quella che Heidegger definisce come l'intratemporalità di ogni atto teoretico e di ognirappresentazione, ragione per la quale, se non tutto dev'essere per forza 'spaziale', qualsiasi pensareche sta alla base di ogni sintesi ontologica è una forma di successione: «siccome tutte lerappresentazioni, in quanto stati della sfera rappresentativa, cadono immediatamente nel tempo,anche ciò che è rappresentato in questa sfera appartiene, come tale, al tempo. Per via indiretta,attraverso l'intratemporalità immediata del rappresentare, si produce un'intratemporalità mediata delrappresentato, ossia delle rappresentazioni determinate dal senso esterno29».La temporalità originaria heideggeriana è connotata negativamente tramite il campo di afferenzainteriore di ciò che non ha forma spaziale e positivamente come intuizione di una pura 'successività'possibile, che rispetto ad un dato presente apra le porte alla sua alterità; ma, infine, è di notevoleimportanza aggiungere che se dalla temporalità si passa a considerare un'intratemporalitàoriginaria costitutiva di ogni rappresentazione teoretica, questa porta ad un'intuizione altrettantooriginaria della totalità che ricorda l'esempio del «colpo d'occhio preliminare» valido per laspazialità. Ciò che fa da contrappunto alla metafora prima utilizzata per lo spazio è sempre un modod'esprimersi che ha a che fare con la vista: il modo d'intuire la temporalità originaria è simile aquella di una «veduta pura» del tutto ed il tempo nella sua astrazione più profonda nient'altro è –citando testualmente Kant – che «l'immagine pura di tutti gli oggetti del senso30».Le implicazioni di questo primato del temporale sullo spaziale e la visione di ogni atto teoreticocome connaturato da una pura 'successività' potrebbe portarci molto lontano ove volessimo trarnetutte le conseguenze necessarie; in via desultoria, si ha l'impressione che la dimensione ontologicache qui si cerca di tracciare rimanendo nella prospettiva d'accesso dell'ente conoscente finito siadiventata improvvisamente liquida e fluida, priva di elementi primi solidi su cui potersi poggiare.

26 Ivi, p. 50.27 «Ma ecco che Kant, subito dopo aver annesso le due intuizioni pure alle due sfere di fenomeni, enuncia questa tesi:

il tempo è la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale. Per conseguenza, il tempo ha un primatosullo spazio. In quanto intuizione pura universale, esso deve quindi diventare l'elemento essenziale che guida esorregge la conoscenza pura formatrice di trascendenza»; Ibid.

28 Ivi, p. 52.29 Ivi, p. 51.30 Ivi, p. 93.

11

Page 12: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

Questo dinamismo temporale che, per la prima volta, diventa sostanziale ad ogni configurazioneteoretica a causa della trascendentalità strutturale della conoscenza è, però, descritto da Heideggerin più punti in maniera profondamente diversa da Kant: per quanto egli non ponga tali differenze inprimo piano (rendendosi critico di Kant sugli esiti di una tale impostazione ma senza ravvisare chevi sono due basi teoretiche strutturalmente diverse che vengono erroneamente equiparate), è chiaroquantomeno dallo spazio dedicato da Heidegger a sottolineare la questione come nel suo filosofarela tematica dell'infondabilità della metafisica e la distruzione/decostruzione dell'ontologiatradizionale porti ad esiti ben più radicali di quella abbozzata (a suo modo di vedere) nella primaKritik kantiana. La spazialità e la temporalità originarie sono intese da Heidegger come principi attivi di s-fondamento dei parametri della presenza ontica; per l'ente finito che vuole conoscere realmente ciòche gli altri enti hanno da offrirgli è necessario un uscire verso–, e se vogliamo cercare un trattocomune fondamentale a tutta l'impostazione heideggeriana tracciata sin qui è possibile dire che se lanecessità della trascendentalità nella conoscenza finita è quella che egli definisce la «cognizionefenomenologica fondamentale31», allora la fenomenologia che ne deriva per il soggetto conoscente èessenzialmente estatica, in quanto il presente e l'ontico sembrano suggerire a chi sa corrisponderglisolo tracce per trascenderli in ogni modo: «Per conseguenza, l'uscire verso…, preliminare e semprenecessario nella conoscenza finita, è un costante star esposto a… (ekstasis). Ma questo essenzialestato di esposizione a…, proprio in quanto è uno stare, forma e si tiene dinanzi un orizzonte. Latrascendenza è in se stessa estatica e formatrice di orizzonte. […] La trascendenza rende accessibilea un essere finito l'ente in se medesimo32».

4. Conclusione: il retrocedere di Kant e la difesa dell'io penso

Senza ombra di dubbio molte e rilevanti differenze si possono mettere sulla bilancia se siconfronta il modo di affrontare la spazialità e la temporalità in Kant e in Heidegger; non può nonessere menzionata, però, quell'unica ed esplicita divergenza che è proprio il commentatore di Kant avoler mettere in evidenza ed attraverso la quale emerge una considerazione critica dell'impresafilosofica del maestro prussiano. Heidegger accusa Kant di non aver tratto da sé le conseguenzenecessarie rispetto ai presupposti di partenza della sua impostazione teorica, di aver arretratodavanti a qualcosa che poteva aver intravisto; il momento in cui traspare in maniera esplicita questogiudizio heideggeriano è il capitolo 34 di Kant und das Problem der Metaphysik, intitolato Il tempocome autoaffezione pura e il carattere temporale del se stesso.L'incrinatura rispetto ad un sistema che, altrimenti, funzionerebbe nella sua interezza, si puòrintracciare per Heidegger nel punto in cui Kant si avvia a considerare la capacità auto-affettiva deltempo. È già di per sé un coup de théâtre non indifferente quello che vede il pensatore della Critica,dove aver definito spazio e tempo come forme a priori della sensibilità ed intuizione pure, ritornaresu di esse per ammettere che le stesse devono necessariamente comportare una sorta dimodificazione dei contenuti stessi del pensiero33. In che modo avviene una tale modificazione?Quali sono gli effetti dell'agire delle forme a priori sui contenuti che esse veicolano?

31 Ivi, p. 106. 32 Ivi, p. 105.33 «Quando, per la prima volta, Kant circoscrive l'unità essenziale della conoscenza pura […] egli nota che spazio e

tempo debbono modificare [affizieren] sempre il concetto delle rappresentazioni di oggetti. […] Si tratta in primoluogo di ciò che caratterizza universalmente ogni rappresentazione di oggetti come tale: il rapporto per il quale viendato adito all'obiettarsi di… Questo rapporto, secondo la tesi enunciata sopra, è necessariamente affetto dal tempo.Fin qui era stato detto soltanto che il tempo, con lo spazio, forma l'orizzonte in cui giungono a coglierci e ariguardarci le varie affezioni dei sensi, Ora abbiamo, invece, un'affezione prodotta dal tempo come tale»; Ivi, pp.162-163.

12

Page 13: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

Per quanto riguarda il tempo, non è possibile limitarsi a dire che quella che sopra abbiamodefinitivo la 'successività' pura abbia unicamente il valore di s-fondamento del presente e l'aperturaall'intuizione pura di un tutto originario: è anche vero che la successione temporale porta con sé lapossibilità di un sentimento della successione stessa. La temporalità applicata al senso internodev'essere reinterpretata considerando anche il rivolgersi-a-se-stessa in quanto successione (auto-affezione della successione su di sé): possiamo pensare un atto complesso di tal fatta tramitel'immagine di un qualcosa che si flette su se stessa, ove è possibile un rivolgersi dell'avanti rispettoa un prima (il girare la testa indietro, il post– che torna sull'ante–, ecc.) solo grazie ad unasuccessione. Un altro modo per rendere molto più familiare ed antropocentrico tale meccanismointerno del tempo potrebbe essere il pensiero del trascorrere dello stesso o il riflettere su talescorrimento come evoluzione o regressione che incide profondamente sul nostro modo di rivolgerciall'esistenza, con conseguenze diametralmente opposte dal punto di vista morale o soggettivo.Tornando ad una prospettiva interamente ontologica, occorrerà ammettere che il succedere comportisempre un necessario succeder-si e che tale succeder-si che si viene ad aprire come nuovopotenziale teoretico non può rimanere indifferente nella somma finale della conoscenza finita:

Il tempo è intuizione pura solo nel senso che preforma, da sé, la veduta della successione e latiene, come tale, diretta su di sé, in quanto ricezione formatrice. Quest'intuizione pura, conl'intuito in essa formato, riguarda se medesima, e prescinde veramente dall'ausiliodell'esperienza. Il tempo è, per essenza, affezione pura di sé. Di più: esso forma precisamente, ingenerale, quel muovere da sé, dirigendosi su... [Von-sich-aus-hinzu-auf], per il quale ciò su cuici si dirige, e che si forma in tal modo, guarda indietro, entro il suddetto dirigersi a…. Il temponon è un'affezione attiva, che colpisca un se-stesso semplicemente-presente; come autoaffezionepura, esso forma invece l'essenza medesima di ciò che può definirsi il riguardar-se-stesso ingenerale. Ma il se-stesso, che qualcosa può riguardare come tale, è, per essenza, il soggettofinito. Il tempo, perciò, nella sua qualità di autoaffezione pura, forma la struttura essenzialedella soggettività34.

Avviene, negli ultimi passaggi di questo frammento e nel prosieguo del capitolo che lo racchiude,un indirizzare l'attenzione sulla soggettività e sulla sua natura da parte di Heidegger. È nell'essenzadella temporalità/successività originaria e nel suo Von-sich-aus-hinzu-auf quella possibilità di ciòche non può non chiamarsi la riflessività: solo in una successione temporale è possibile il rivolgersi-a-se-medesimo, il se-stesso. L'Io non è perciò qualcosa che rende possibile la temporalità o laspazialità: la chiara impostazione anti-psicologista che Kant ed Heidegger congiuntamentecondividevano aveva permesso di escludere una simile prospettiva sin da subito. Tuttavia, è lecitoaffermare il contrario? La possibilità di una qualsiasi forma di 'Io' o di 'Soggettività' è, in realtà,garantita dalla natura ontologica della temporalità in quanto intuizione pura: la riflessività è inscrittanel tempo ben prima che nella ψυχή e, «in quanto auto-affezione pura, il tempo formaoriginariamente l'ipseità finita, facendo sì che il se-stesso possa essere autocoscienza35». Con questa fluidificazione temporale che rende possibile qualsiasi soggettività, sia nella sua formaidentitaria che non-identitaria, si arriva alla vera nota critica che Heidegger vorrebbe aggiungerealla prima Critica: il tempo e l'io penso sono in realtà 'la stessa cosa' e Kant lo riconosceimplicitamente parlando della riflessività e della temporalità in quanto successione negli stessitermini. Ciò nonostante, egli non avanza oltre, compiendo quel passo in più che sarebbe consistitonel riconoscere quel sostrato comune fra l'ipseità alla base della soggettività e quella formatasi aseguito del tornare-su-di-sé dell'auto-affezione temporale. Per citare solo uno dei luoghi oveHeidegger tenta di questionare il testo kantiano della sua 'insufficienza', è possibile leggere il passo

34 Ivi, p. 163.35 Ibid.

13

Page 14: Alla ricerca del concetto di temporalità. Heidegger ... · PDF filedella cosa. A proposito della dottrina kantiana dei principi trascendentali, e l'anno dopo, ... di Heidegger la

seguente:

Il tempo e l'io penso non stanno più l'uno di fronte all'altro come elementi eterogenei einconciliabili, ma sono la stessa cosa. Kant, proprio per la radicalità con la quale, nella suafondazione della metafisica, ha per la prima volta interpretato trascendentalmente sia il tempoper sé, sia l'io penso per sé, li ha ricondotti entrambi alla loro identità originaria, senza tuttaviariconoscere quest'identità come tale. Si potrà, dunque, sorvolare con noncuranza, com'èaccaduto finora, sul fatto che Kant applica al tempo e all'io penso gli stessi predicatiessenziali?36

La soggettività (e non solo questa) deve rimanere, per pensatori che recano con sé un'idea dellaragione come un qualcosa esente da qualsivoglia affezione, una roccaforte in grado di resistere. Nelmomento in cui si decide di accettare, però, il filtro della successione temporale come base di ognirappresentazione teoretica prima e la capacità di auto-affezione del tempo come influenzante lasomma della conoscenza finita dopo, è impossibile non proseguire fino al ripensamento di quella'sostanzialità' dell'io penso; la permanenza dell'ipseità e la sua apparente a-temporalità non è altroche un prodotto ricavato dallo stesso lavoro della temporalità, visto e considerato che solo il tempopuò creare la riflessività in quanto tale: «non solo la questione dell'atemporalità ed eternità dell'Ioresta insoluta, ma, nell'ambito della problematica trascendentale non si pone nemmeno. In sensotrascendentale, l'Io è stabile e permanente solo nella misura in cui è temporale, ossia in quanto se-stesso finito37».

5. Bibliografia

Heidegger, Martin (2015), Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari (orig. Kant unddas Problem der Metaphysik, 1973);

(2014), Essere e Tempo, Mondadori, Milano (orig. Sein und Zeit, 1927).Kant, Immanuel (2005), Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari (orig. Kritik der reinenVernunft, 1781).

Filosofia e nuovi sentieri /ISSN 2282-5711

https://filosofiaenuovisentieri.it/2016/12/04/alla-ricerca-del-concetto-di-temporalita-heidegger-lettore-di-kant/

© Filosofia e nuovi sentieri 2015. Tutti i diritti riservati

36 Ivi, p. 165.37 Ivi, p. 166.

14