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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 11 AGOSTO 2012 ANNO 15 N. 32 UN’ESTATE ITALIANA IN CUI L’UNICO INNO È QUELLO AL RIGORE E ALLA RIPRESA (IM)POSSIBILE. NOTE OSCURE CHE RISUONANO OVUNQUE E CHE TANTO ASSOMIGLIANO ALLE BALLATE ASSASSINE CHE HANNO DATO FAMA A JOHNNY CASH, L’UOMO IN NERO. MA LÌ LA LEGGENDA SUPERAVA SPESSO LA REALTÀ. DA QUESTE PARTI, INVECE, IL «DIFFERENZIALE» SEMBRA VERO E DETTA IL RITMO. GUIDA AGLI UNICI «TITOLI» DA TENERE D’OCCHIO LE MUSICHE ANTICRISI

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MUSICA » ARTI » OZIO

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 11 AGOSTO 2012 ANNO 15 N. 32

UN’ESTATE ITALIANA IN CUI L’UNICO INNO È QUELLO AL RIGORE E ALLA RIPRESA (IM)POSSIBILE. NOTE OSCURE CHE RISUONANO OVUNQUE E CHE TANTO ASSOMIGLIANO ALLE BALLATE ASSASSINE CHE HANNO DATO FAMA A JOHNNY CASH, L’UOMO IN NERO. MA LÌ LA LEGGENDA SUPERAVA SPESSO LA REALTÀ. DA QUESTE PARTI, INVECE, IL «DIFFERENZIALE» SEMBRA VERO E DETTA IL RITMO. GUIDA AGLI UNICI «TITOLI» DA TENERE D’OCCHIO

LE MUSICHE ANTICRISI

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Il ragazzoche suonavale parole

RIVISTEANNI SETTANTA

MARCO FUMAGdi ALBERTO PICCININI

●●●«Sera d’ottobre a Milano, cielotriste color piombo con primeautentiche spettacolari zaffate dismog...»

Millenovecentosettantaquattro. Ilnumero 3 del mensile Gong, «rivista dimusica e cultura alternativa»,pubblica un’intervista a Mike Oldfield.Il musicista inglese già notissimo perla suite Tubular Bells è di passaggio aMilano. Ha un’aria da gesucristosconvolto nella foto scattata quelgiorno dal fotografo Roberto Masotti.Il «cielo triste color piombo» e le«zaffate di smog», inavvertitamentefuturiste, fanno da attacco al pezzofirmato da Marco Fumagalli. Trepagine, un titolo arcano: «Sapienza diun’ostrica, un Mirage di balsa ed unurlo al calor bianco».

Mike Oldfield ha 22 anni. Quellasera d’ottobre Marco Fumagalli ne ha19. Si avvia a diventare una dellefirme più note, lette e discusse delgiornale. Morirà nemmeno due annidopo, ma della sua malattia - linfomadi Hodgkins - sa lui e sanno soltanto ipochi che lo conoscono. Nessuno tra ilettori che s’incazzano per certi suoigiudizi sprezzanti sui Rolling Stones oi Pink Floyd, immagina ad esempioche certi curiosi articoli sullamacrobiotica e sulla medicinaalternativa, tra i primi nel loro genere,pubblicati in quello stesso periodo,nascondano gli sforzi per tenere abada dolcemente il male.

Sono gli stessi lettori cheresteranno congelati dal breveeditoriale pubblicato su Gongdell’aprile 1976. «...Da alcuni mesi unnostro compagno, il più giovane ditutti noi, stava lottando serenamentecontro un male implacabile...». Non ifascisti, non la polizia, nessuno degliorchi protagonisti dei pubblicinecrologi di quegli anni, segnati dallaguerriglia di strada. Nello scritto,incorniciato in una pagina intera, c’èuna frase: «La morte è sempre dietrodi te - disse una sera a uno di noi - seti volti di scatto puoi vederla. E puoichiederle di non prenderti: prova adanzare, danza fino ad affascinarla».

Marco è figlio di una buonafamiglia milanese, suo padre è unchirurgo di fama. Ha due sorelle. Vivein una bella palazzina Libertynascosta dietro un piccolo giardino. Siè fatto un nome nella cerchia degliappassionati scrivendo recensioni didischi rock e reportage sulla culturaalternativa pubblicate su Il Giorno daquando aveva 17 anni. Coccolato daldirettore Gaetano Afeltra e dalcaporedattore degli spettacoliGiuseppe Barigazzi, due vecchie volpi

del giornalismo milanese, per lo piùlavora da casa e non si fa vedere quasimai in redazione. Nascono buffiequivoci: arrivano al giornale lettere etelefonate indirizzate al «professor»Marco Fumagalli. Che all’epoca nonha neppure finito il liceo Parini.

Scrive bene. Le sue recensionihanno stile, personalità. Passano quelpoco di informazione che di queitempi si può raccogliere con l’aiutodelle case discografiche, la letturadelle riviste straniere che arrivano inedicola, l’esperienza personale diviaggi e concerti. Progressivamente, isuoi pezzi tradiscono l’ansia amostrarsi più grande, esperto epersino cinico di quanto in realtà nonsia. Il rock degli anni Sessanta, ingleseo californiano che sia, è già nostalgia,qualche volta innocenza, più spessodecadenza e fregatura. Marco odia lateatralità di David Bowie e delglam-rock, gli sembra un gioco datredicenni, un’inutile mascherata del«dio denaro». Scrive in una suarequisitoria contro i Pink Floyd di TheDark Side of the Moon e Wish YouWere Here: «Sembra che amare lamusica, oggi, significhi troppo spessovestire i panni del necrologio» escatena, nel numero successivo di

Gong, un diluvio di lettere. «Fulminicensori dei quindicenni cannibali»,secondo un sua acida definizione.«Nipotini storpi di Andrea Sperelli»,aveva scritto in un’altra occasione.Comunque poco più ragazzini che lui.

«Mike Oldfield, lui, condivide aria epreoccupazioni di due milioni dicittadini: l’aumento dei prezzi lo haabbandonato a Firenze senza una lira,e la sua casa discografica haprovveduto a trovargli unasistemazione evitando probabiliestradizioni per accattonaggio...».Ricostruire le circostanze, il backstagedi quell’intervista a 40 anni didistanza è un’impresa quasiimpossibile. Ad Angelo Vaggi, ildiscografico della Ricordi cheorganizzò l’incontro, risulta chedurante un viaggio in Italia Oldifield siritrovò a Firenze senza un soldo comeun fricchettone qualsiasi. Messo insalvo a Milano nel parcheggio dellaRinascente gli rubano la preziosissimachitarra di liutaio. Osserva Marco:«Studio stretto, atmosfera quasiufficiale rimediata in gran fretta, Mikedietro un largo tavolo - stanco, direidistrutto -, ovviamente intristito dallaprevisione di due ore di discussione. E’giovanissimo, dimostra anche menodei suoi anni: fuma in continuazione ebeve ad un ritmo impressionante.Inglese in Italia».

A parte questo, strada facendo ilCritico si è preparato alla battagliacon il Divo: «Intervista! Chi sei, uomo?Chiunque avrebbe un po’ di timorereverenziale verso il Messia dellaNuova Musica (davvero?). il GenioImprescrutabile dei nostri tempi inDisfacimento, il Luccicante Demiurgodi culture, sinfonie, aloni epici, rockimplacabile, avanguardia; l’enfantprodige/Mostro che ha scatenatofuribonde cacce al superlativo piùaltisonante, risvegliando ardori ecancellando menopause. Vediamo».

Mike Oldfield ha stupito il mondodella «musica e cultura alternativa»con Tubular Bells: poco meno dicinquanta minuti sospesi traminimalismo, rock progressivo, folkpsichedelico, kitsch sinfonico. Suonatiquasi completamente da solosovraincidendo gli strumenti su unregistratore a 16 piste. Titanismo etecnologia risultano appena addolcitidall’aspetto hippy, ma contribuisconoenormemente al successo dell’opera.

Tubular Bells è il disco numero 1della neonata etichetta Virgin, e siavvia a diventare un classico dellamusica popolare di fine Novecento. Ilregista William Friedkin lo ha sceltoper la colonna sonora de L’esorcista,l’horror più terrificante e popolare delmomento. Sale in cima alle classificheinglesi, ci resta per mesi. Oldfield nelfrattempo incide Hergest Ridge, unsecondo album con la stessa tecnica,ma viene oscurato dall’successoplanetario del primo. Un successoche la critica più arcigna non èdisposta a perdonargli facilmente.

La recensione di Hergest Ridge,ancora firmata da Marco Fumagalli, sipuò leggere su Gong . Scrive Marco:«Mike Oldfield ci regala proprioquello che il suo pigro pubblico glichiedeva: una Tubular Bellsriverniciata, un’elegante sinfonia

Una sera d’ottobre a Milano. Mike Oldfield ha ventidueanni e ha già venduto milioni di album, il critico appenadiciannove e si avvia a diventare una delle firme più note,lette e discusse del giornale. Morirà nemmeno due anni dopo

A sinistra due pagine dell’intervistaa Mike Oldfield sul numero 3 del 1974di «Gong». Sotto Oldfield in uno scattodi Roberto Masotti pubblicato a contornodello stesso pezzo. Nella pagina accantoun ritratto di Marco Fumagalli e una fotodel critico musicale da bambino

RILEGGENDO UN’INTERVISTA ALL’AUTORE DI «TUBULAR BELLS», PUBBLICATA NEL 1974 SUL MENSILE «GONG»

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«Chi sei, uomo? Chiunque avrebbe un po’ di timorereverenziale verso il Messia della Nuova Musica(davvero?)... il Luccicante Demiurgo di culture,sinfonie, aloni epici, rock implacabile, avanguardia»

GALLIGERENZA

rigurgitante di citazioni colte e discaltrissimi arrangiamenti. Tuttoregolare, dunque: a scapito -ovviamente - di qualsiasi sogno dimusica fresca e viva, dell’incanto diogni molecola di suono che pureemergeva tra le righe del precedenteintervento».

Non c’è dubbio che Hergest Ridgesia un disco meno felice delprecedente. Più interessante il fattoche dal più piccolo scritto di Marconon manca mai il «campo lungo», iltocco appuntito della critica militante,lo stato delle cose, l’eco del dialogoininterrotto con la comunità che sullepagine delle riviste musicalidell’epoca unisce ascoltatori,appassionati, critici, musicisti,trovando il suo punto d’incontro nellaPagina della Posta. Quel «sogno diuna musica fresca e viva» non è unabanalità d’occasione. È l’utopia cheanima un momento convulsoculturalmente e politicamente.L’accenno al «pigro pubblico» ne è,ovviamente, il rovescio dellamedaglia.

A fine 1974 Marco è entrato a Gong,promosso con lode nell’aristocraziadella critica musicale italiana.Riccardo Bertoncelli gli fa da fratellomaggiore. Riccardo è il critico italianopiù visionario, zappiano earistocratico nei gusti, crepuscolarenello stile, odiato e amato da lettori emusicisti. Giacomo Pellicciotti ha unaformazione jazzistica, PeppoDelconte, solitario in redazione, tagliae ricuce i pezzi. Il fotografo è RobertoMasotti, il direttore Antonino

Antonucci Ferrara. Marco èmagrissimo, gentile, giovanissimo, colviso nascosto dietro grossi occhiali e icapelli lunghi. Ha l’aria della mascottema il ruolo non gli va affatto a genio.

Gong ha una veste graficainnovativa, curata da MarioConvertino. Il primo numero ha incopertina un fotomontaggio con lafaccia di Frank Zappa sul corpo nudoe opulento di una donna. I ragazziniche lo portano a casa hanno i loroproblemi a nasconderlo dagli sguardidei genitori, manco fosse Le ore.Dentro ci sono lunghi pezzi, pensoserecensioni piene di riferimentipersonali, sapienze iniziatiche,aggettivazioni ridondanti, densecornici ideologico-culturali.

In quella metà degli anni Settantala ricerca di una comunicazioneradicale e «non mercificata» guardacon sospetto il rock inglese eamericano. Gong scopre la musicacosmica tedesca, il folk revivaleuropeo, Canterbury, il jazz creativo,l’avanguardia cultural-politicaitaliana. Seguiamo i viaggi europei diMarco alla scoperta dei Popol Vuh, diEdgar Froese e Klaus Schultze, deifrancesi Magma, del «bardo» bretoneAlan Stivell. «Riesco finalmente araggiungerlo in una seranaturalmente gelida, vento e pioggia,in una piccola casa del quartiereOpera (...)», scrive Marco di Stivell conun po’ ironia su quel gelo.Curiosamente, lo colpisce «unosguardo da pesce che contrasta con ilsuo magnetismo da palcoscenico».

In breve ha acquistato pure una

certa spericolatezza linguistica:l’impronta liceale lascia il passo ainflessioni beat. Senti l’ecodell’eccesso e del protagonismo deicritici superstar di Rolling Stone e delNew Musical Express. Ma è un’ecolontana. Non c’è da copiare nessuno.Ricorda Bertoncelli, semplicemente,che il protagonismo della critica diallora, il suo linguaggio ridondante,derivava anche dal fatto di averepochissime informazioni di prima

mano. Non restava che il corpo acorpo coi dischi.

I dischi di Marco, dopo la suamorte, sono stati donati dalla famigliaalla biblioteca Sormani di Milano.Sono 1438, quasi tutti compresi tra il1972 e il 1976. Marco arriva adascoltare (e recensire) Patti Smith eBob Marley, a fiutare il vento che stacambiando. Della prima nota che «labase strumentale tenta di riproporre inostri fantasmi ’68». Del secondostorce un po’ il naso sul misticismoRasta, un po’ naif. Troppo presto. Hain casa le discografie complete di BobDylan, dei Rolling Stones, dei PinkFloyd. E sette antologie di ElvisPresley. Più per motivi professionali,che altro.

A volte si tradisce: «Il primo assoloche avevo imparato a copiare sullamia Eko Ricky Shayne era proprioquello di Soul Sacrifice». Santana aWoostock, 1969. In un pezzo sulla«reumatologia dei Rolling Stones»rievoca invece «i primi faticositentativi d’amore per una ragazzanorvegese che parlava una linguaincomprensibile ma che sorridevasempre se suonavi Lady Jane». Quellungo pezzo di demitizzazione deivecchi catorci del rock, uno dei suoipiù belli e soprendenti, tradiscel’ossessione per il tempo che passa,che è passato, che deve passare infretta. Comincia così: «Ogni storia haun inizio e una fine, milleseicentoanni fa nel 1966 di fronte a unavetrina di metropoli - il proprietariofigliodiputtana lasciava circolare solochi comprava - così naso schiacciatoa un disco che suonava dentro,parlava di pillole madri menopausa».

Nel 1966 Marco aveva 11 anni.Sembra inventarsi un abbandonodell’adolescenza più cinematograficoche altro: «Per noi il salto era lasciarealle spalle intermilan e scassate festepattypravo/cocacola con trepidiingenui goffi baci e Drammi dellaGelosia e inverosimili Avventureraccontate agli amici». La musica deiRolling Stones, infine, «per noi nonera musica, ma un squarcio nellanebbia bianca della vita vissuta per lapaura della Morte».

Intanto, nell’ufficio della Ricordi,quella sera d’ottobre con MikeOldfield succede qualcosa: «Mike si fatradurre la mia recensione sul primonumero di Gong, e manifesta il suodisappunto. “Intellettuale io? Guarda,non ho mai ascoltato molta musica. IBeatles, certo, e Ravel (!) L’unica cosache mi attragga veramente è la musicapopolare scozzese... adoro i Chieftains,adoro il suono della cornamusa». Ilmusicista che non ha voglia di giocareal gioco dell’intervista potevacapitare. All’epoca ne capitavano ditutti i colori. Poteva capitare ilmusicista pigro, pigro cioè stronzo,cioè divo, comunque da un’altra partecon la testa. Marco annota: «Mikeparla con gli occhi bassi, trovando ascatti il coraggio di affrontare losguardo altrui. È timidissimo,svogliato, e risponde alle domande nelmodo più piatto e convenzionalepossibile. Ideale per distruggerequalsiasi mitologia sul personaggio,smontare qualsiasi feticcio».

Marco parla bene inglese efrancese. Non si dà per vinto: «Difronte, il mio desiderio di crearel’atmosfera giusta: perché èpraticamente impossibile comunicarecon un musicista nell’opprimentesituazione della conferenza stampa:strangolante ghetto di giochi mentalitra un musicista costretto a sentirsitale, flashes di fotografi, registratori,scricchiolii di penne. Le persone siaprono davanti a spaghetti,serate/sbronza, lunghi viaggi in treno,comodi divani, luci basse.

Tento di farlo sentire a suo agio».In quei pochi anni della sua breve

vita, con l’aiuto della famiglia haaperto un piccolo locale macrobioticonel garage sotto casa sua. Si chiamaLa non-libreria, e diventa in breve unraffinato punto di incontro.«Ristorante macrobiotico,meditazione trascendentale,concertini plananti, orientalia,madame e vecchi merletti», secondouna guida alla Milano alternativa diquegli anni. I suoi viaggi a Londra oParigi, a vedere concerti o intervistaremusicisti si alternano alla frequenzadei seminari di Michio Kushi e GeorgeOshawa, luminari della macrobiotica.Sul Giorno racconta l’umanità cheaffolla uno dei questi viaggi, in unarticolo del dicembre 1974: «Medici,madri di famiglia, ex hippies,ragionieri, ragazze dai lineamentiangelici costantemente senza scarpe,bambini troppo vivaci al seguito deigenitori, qualche ultrasettantenne

dagli occhi lucidi e brillanti. E qualchemalato in cerca di una certezza che lamedicina occidentale non ha potutooffrirgli». Traccia così il suo anonimoritratto nella folla.

«Lunghe cappe di disagio sulla sala.L’intervista è sempre un giocod’azzardo: non crediate che esistanocomunque ovvi punti di contatto tra lepersonalità di un’”artista” e lavibrazione della sua musica, rischiatesberle inaudite. Eppure tra decine edecine di personaggi incontrati finora,in un campionario più o menoedificante di squallore e pretesagenialità, pochi volti e mille maschere,Mike Oldfield sfugge. Non vuole esserecoinvolto, non gli interessa la tuaopinione. Vive su una frequenzaassolutamente diversa, e nessunoriesce a comprendere quale».

Ancora su Gong, ancora parlandodi medicina alternativa, Marcoracconta: «Si può guarire un tumoremaligno, vi sono migliaia e migliaia dicasi a proposito...». Sta parlando di sé.Sta parlando d’altro: «Secondol’antica medicina tradizionale,l’arroganza è lo stadio il più difficileda curare».

L’arroganza. Un’intervista di trepagine che per quasi tutta la sualunghezza racconta della difficoltà distabilire un rapporto umano conl’intervistato, forse divo, forse soltantoscazzato, è probabilmente l’azzardodi un’altra epoca, la cronaca di unallegro fallimento giornalistico.Capita. Ma non c’è mai narcisismonel lavoro di Marco. C’è invece unsacro rispetto nei confronti della suamissione per i lettori e per se stesso.«Non era musica, - ricordate? - ma unsquarcio nella nebbia bianca dellavita vissuta per la paura della Morte».È qui che all’improvviso succedequalcosa. Marco dosa con sapienza ilcolpo di scena.

«Poi la luce, improvvisa, tremenda:una frustata tragicomica: “Esistonoclubs di aeromodellismo o negozi benforniti, qui a Milano?” Mi faccioripetere la domanda quattro volte,sono CERTO di aver capito male. Mikesi infervora, sfoderando una pietosamimica. “Sì aerei radiocomandati zzzzma senza motore, hai in mente glialianti fffflop? Una volta erano dilegno, si lanciano dalle colline e ssscccplanano dolcemente. Tu li comandi:giri della morte oooaa, loopings…."

Per la prima volta c’è una luce tra isuoi denti: pesco tra nebulosi ricordid’infanza un indirizzo ultile e glielocomunico, sperando ardentemente chela Luftwaffe nel ’45 non abbiabombardato proprio quell’edificio.Gioia. Voglio dire davvero: gioia. Mike,da questo momento è un amico; hotrovato la strada che conduce alla suadisponibilità. Le vie del Signore…»

Oldfield è un malato del volo, manon lo sapeva nessuno. La voltasuccessiva che farà capolino a Milano,ormai nelle vesti di una popstar davideomusica anni Ottanta, lo stessosuo discografico Angelo Vaggi loaccompagnerà a sorvolare la città inelicottero. Esistono documentazionifotografiche dell’impresa, piuttostoinutili. Per il momento si accontentadi essere accompagnato nel migliorenegozio di aeromodellismo della città,in via Durini.

Marco, negli ultimi suoi pezzi, citaspesso storielline zen, come se fossealla ricerca di una nuova cifrastilistica. È con lo stesso sorriso zenche si scopre bambino assieme aMike Oldfield e ai suoi aeroplanini. I«Mirage di balsa» del titolo. È soltantoadesso che l’intervista puòcominciare: “Ma il silenzio? Misembra che il silenzio sia una formaancora più profonda dicomunicazione...” Mike mi osserva unattimo, forse interdetto. La suatimidezza, le sue paure si sonodileguate: e finalmente è possibileaccantonare accordi di quinta, Gibsone “progetti futuri” per parlare consapienza/follia di persone. Il suosorriso ora è completamente diverso.Riflette. Maschere, contorsionismidialettici, e monosillabi incolori nonservono più, finalmente” “Sì certo - siillumina - anche il silenzio èmeraviglioso...”»

Il Manifestodirettore responsabile:Norma Rangerivicedirettore:Angelo Mastrandrea

Alias a cura diRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Matteo Patrono(Ultrasport)con Massimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAe ULTRASUONIfax 0668719573tel. 0668719549e 0668719545email:[email protected]:http://www.ilmanifesto.itimpaginazione:ab&c - Romatel. 0668308613ricerca iconografica:il manifesto

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In copertinauna elaborazionegrafica di una fotodi Johnny Cash

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DISCHI PER L

CONSIGLI PER GLI ASCOLTI DI FERRAGOSTO, ANTI-RIGORE E IDEALI PER UNA RIPRESA PERFETTA. ANCHE PER CHI RESTA IN CITTÀ

Ora che «anche il futuro non è piùquello di una volta», ammesso e nonconcesso che ci sia un futuro, in unPaese in cui trionfa un'idea neoliberistache assomiglia tragicamente all'aforismadi Kraus, «una malattia che crede diessere la propria cura», forse è il casodi rivolgersi a un futuro preistorico, perconsolazioni sonore estive. E senzanessuna tentazione regressiva omisoneistica, in quel «preistorico». Unfuturo anteriore e preistorico dellamusica lo inventarono oltrequarant'anni fa i magnifici Can, quandoancora c'era una Germania in più e unaMerkel al potere in meno. In perfetta eignara coincidenza con le idee che stavamettendo in pratica dall'altra partedell'Oceano il signor Miles Davis, i Cansi inventarono un rock futuribile eprimitivo, avanzatissimo timbricamentee armonicamente prosciugato all'osso,uno scheletro tanto saldo quantoinquietante. Il meccanismodell'iterazione variata che Milesmetteva in pratica in On the Corner e BigFun, insomma, su un impiantoapparentemente «rock». Qualche annofa è arrivato un primo cofanetto cheraccoglieva schegge live, un ponderosolibro sulla band, una videocassetta.Adesso è il turno del Sacro Graal, con iLost Tapes ritrovati negli archivi dellostudio dove i Can incidevano. C'eranoscaffalate in bobine trenta ore di musicainedita, e tre, quindi la scelta dellascelta, le ritrovate nei Lost Tapes. Unrange temporale di nove anni, traccedal vivo, tracce in studio che appaionocome piccoli miracoli, e chissà perchéscartate, colonne sonore mai ascoltateprima. C'è il vocalist Malcolm Mooney,che poi riapparve solo a fine carriera,c'è l'atarassico e magnifico DamoSuzuki. Se vi capita di ascoltarequalcosa di nuovo nel rock di oggimettetevi tranquilli: i Can lo avevanogià inventato, un futuro fa. (GuidoFestinese)

ALAN LOMAX

L’universoin un nastro

Accelerando (Act) del pianistaindoamericano Vijay Iyer con il suotrio risponde a un ipotetico (ideale?)identikit di album estivo. In primo luogoè un disco immerso nei nostri tempiaffannosi (accelerando) che da un latoaccetta e dall’altro critica provando atrasformarli. Di forte impatto fisico, atratti ruvido nella sua essenzialità dipiano-contrabbasso (quello materico diStephen Crump)-batteria (quellapoliritmica di Marcus Gilmore), l’albumsi impone all’ascolto per il mescolarsi diformule improvvisative reiterate,scansioni inconsuete, groove, brani chespaziano pur legati da un filoconduttore. Il legame, estivo, fa ampioriferimento al corpo, con Iyer cheteorizza e pratica una musica che viaggiae comunica da corpo a corpo, cheprescinde dalla divisione matematico-cronometrica del tempo per privilegiarequella psicologico-emozionaledell’esperienza. C’è nulla di piùvacanziero di una più accentuatadimensione corporea, della diversitànella percezione del tempo? Il suodilatarsi, restringersi, intensificarsi, èspesso brillantemente, opera del trio. Inpiù la musica nasce dalla danza delcorpo, dal ballo, dall’azione: il branoAccelerando è l’ultimo movimento di unasuite composta per la coreografa KaroleArmitage; chiude l’album The Village ofthe Virgins scritto da Duke Ellington peril suo balletto The River. Ci sono, inoltre,le geometrie astratte di HenryThreadgill (Little Pocket Size Demons) e ilbop sofisticato e lunare di HerbieNichols (Wildflower) più altre cinetichecomposizioni del pianista, uno deiriferimenti del nuovo jazz americano.Corpo, tempo, danza e movimentotrasudano anche dall’ennesima versionedi Human Nature, resa famosa daMichael Jackson, ripresa da MilesDavis e per Vijay Iyer una sorta distandard contemporaneo dade/ricostruire. (Luigi Onori)

La raccolta digitale The Alan LomaxCollection from the American Folklife Center- in download su iTunes e altrepiattaforme digitali realizzata sotto ladirezione di Don Fleming musicista,produttore discografico e direttoreesecutivo della Association for CulturalEquity - raccoglie 16 brani inediti o inversioni mai pubblicate primaprovenienti dai diversi teatri di ricercadell’etnomusicologo americano AlanLomax (Stati Uniti, Gran Bretagna,Spagna, Unione Sovietica, Italia, Caraibi ealcune regioni dell’Africa) e realizzatinell’arco di tempo 1947-1982.L’obiettivo primario della Associationfor Cultural Equity è di restituire lamusica registrata da Lomax allecomunità di appartenenza ripagando glieredi con i diritti d’autore derivanti dallavendita di quelle incisioni. Scorrendo trale tracce emergono nomi che illuminanosulla enorme vastità dei repertori quasisempre sconosciuti prima dell’arrivo diLomax. Jean Ritchie, la cantautrice nativadel Kentucky, suonatrice di dulcimer chefu raggiunta dall’etnomusicologo neglianni Trenta e solo dopo quel contattoscoprì che la musica che interpretava sichiamava hillbilly. Texas Gladden, mogliedi quel Hobart Smith che con Ed Youngrealizzò numerose registrazioni perLomax anch’esse presenti qui. Gli italianiTrallaleri di Genova, esecutori di unaforma musicale vocale tipica delgenovese. Dal contesto caraibico NevilleMarcano noto come The Growling Tiger(La tigre che ringhia). Nell’elenco facapolino anche quel Mississippi Fred McDowell che Lomax incontrò a Como,cittadina dello stato americano, nel 1959realizzando le prime incisioni dell’alloraignoto bluesman che si rivelò in seguitoun interprete d’eccezione del Deltasound cui hanno guardato negli anniRolling Stones con la celebre cover YouGotta Move, Aerosmith, Jon SpencerBlues Explosion e Jack White (percitarne alcuni). (Simona Frasca)

Mai come quest’anno scegliere il discoche ci accompagnerà per questoscorcio di stagione estiva che ancora cirimane da vivere è risultato facile e, sevogliamo, per quel che riguarda chiscrive addirittura scontato. Lo abbiamodeciso ormai da più di un mese, daquando in una calda giornata, in quel diChicago, abbiamo ricevuto dalla 4Ad(l’etichetta inglese nota per avercontribuito fortemente al sound più

cupo degli anni Ottanta e chedistribuisce il disco in questione) il linkper scaricare il nuovo album - adistanza di ben sedici anni dalprecedente - dei Dead Can Dance,Anastasis. Disco che certifica la riunionedel duo Brendan Perry-Lisa Gerrard,una delle formazioni da noi più amate inassoluto, e il cui titolo - Anastasissignifica più o meno «rinascita» - a suavolta certifica le intenzioni di aprire unnuovo capitolo di una storia musicaletra le più emozionanti e originali dellamusica contemporanea. L’approccioall’ascolto è stato pieno di tensione, lapaura che le aspettative potesseroessere in qualche modo delusealbergava nel nostro io... ma tutto èsvanito con le prime note di Children ofthe Sun, il brano che apre questosplendido, perché di questo si tratta,lavoro del sodalizio anglo-australiano.Un ritorno coi fiocchi, un disco che liriporta a un’essenzialità stilistica, scevridalla ricerca quasi spasmodica cheaveva contraddistinto la loro ultimafatica, Spiritchaser (era il 1996). InAnastasis c’è tutto il Dead Can Dancepensiero, c’è la parte più «classica»nelle mani di Perry e della sua voce

profonda come gli abissi marini, e c’è laparte, chiamamola folk o etnica,rappresentata da Lisa Gerrard e dal suocantato lirico e personalissimo. Unaprova magistrale, l’ennesima, e ottobrani che saranno la colonna sonoradella nostra estate (e siamo sicuri anchedelle stagioni a seguire) e che cisentiamo di consigliare «caldamente»(?!) a tutti! (Roberto Peciola)

CAN

Capolavoriritrovati

Un disco di oggi, per ricordare un’estatedi qualche anno, l’estate del 2001, l’estatedel G8 a Genova: 20-22 luglio, corteipacifici da un lato, mattanza cilenadall’altro, quando «muoreignominiosamente la repubblica», percitare i versi di un illustre poeta, MarioLuzi. Diaz è il film di Daniele Vicari eDiaz è il titolo del cd che presental’intero soundtrack, opera di TehoTeardo pubblicata da Edel. L’albumfunziona anche senza le immagini,perché la musica è ben congegnata suiritmi dell’ascolto e dell’evocazione,come accade, nel passato e nelpresente, ai grandi compositori chesanno lavorare «con» il regista e «per»il cinema, inventando i suoni indialettica al segno visivo. Teho Teardoche, nello scrivere per lo schermo,lavora sempre su pellicole d’impegno(civile e politico), in Diaz creaquattordici brani sospesi tra industrial,minimalismo e melodia, affidandosi alle«cure» del Balanescu Quartet, dellavioloncellista Martina Bertoni, diun’orchestra d’archi (e persino diTricky nel finale). Si tratta di una«terapia d’urto», dove gli strumentivengono «graffiati», cioè adoperati conle unghie, per sostituire cadenze esincopi, trasferendo in un luogoimmaginario i congegni psicologi che portano alle tensioni musicali e al raffrontosuono/immagine. Del resto la musica di Diaz viene realizzata, stando alledichiarazioni dell’autore, solo «dopo aver letto la sceneggiatura e immaginandocome potesse prendere forma una realtà così cruda e spietata come quelladescritta. Ho sentito la necessità di indagare il tempo prima e dopo i pestaggi, duemomenti il cui intervallo mi pareva eterno». E non a caso le linee melodichenarrano l’istante fermo e immobile di un’estate dove «uomini liberi /che volontarisi adunarono/ per dignità e non per odio/decisi a riscattare/la vergogna e il terroredel mondo». (Guido Michelone)

DEAD CAN DANCE

La «rinascita»di un’emozione

Niente spread, bond o Btp. Gli unici «titoli»che funzionano sono quelli che risuonanonei lettori mp3. Tra i più quotati nu jazz, pop,indie rock, soul, reggae... Alla faccia della crisi

VIJAY IYER TRIO

Ricostruzioniin velocità

TEHO TEARDO

La notte che morìla repubblica

L’ALBUMDELLE VACANZE

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L’ESTATE

Tipici esponenti - ormai, sono dieci anniche esistono - della scena di Brooklin/NewYork, quindi hipster e ciclisti «dentro»,fichissimi nella ricapitolazione delle proprieinfluenze («Rod Steward anni Settanta eBlind Wille Johnson», dichiarati di recenteal New York Times), collaboratori di Björk eDavid Byrne tra gli altri negli anni, ma infondo locali e idiosincratici come unavecchia vignetta del Newyorker, i DirtyProjectors e il loro leader-autore DaveLongstreth esemplificano bene l’ossessioneper la complicazione armonica e ritmicache da quelle parti ha già prodotto insequenza il be-bop e i Talking Heads, perdire. Così in questo loro settimo album,Swing Lo Magellan (Domino/Self),l’evocazione degli arpeggi delle chitarrecentroafricane, condivisa da tempo coiconcittadini Vampire Weekend, si sposanuovamente (come già nel precedenteottimo Bitte Orca) al rigoroso lavorosull’armonia vocale e l’orchestrazione, traGerswhin e Brian Wilson, specie BrianWilson. Sorretta e deragliata da un interotrio vocale femminile (capitanato daAmber Coffin) la voce di Longstreth invital’ascoltatore a veri numeri da equilibrista,fino a mascherare l’obiettivo minimalismodella strumentazione dietro una specie diestasi sinfonica, di gospel da cameretta,mai tuttavia fine a se stessi, qua e làpersino canticchiabili con una certasoddisfazione. Longstreth ha una vocettanasale, piena di sarcasmo. Regala per lopiù storielle strampalate: il Magellano deltitolo si aggira per strada con mappa ecompasso, guardando a ovest,inutilmente; l’operaio di Just Like Chevronmuore sul lavoro mandando a dire allafidanzata che sta pregando comunque peril luminoso futuro della ditta;nell’ininterrotto dialogo con le ragazze delcoro, Longstreth infine si prende in giroda solo, dichiara morta «la morbidapoesia dei martiri», e si fa rispondere «uhma che cavolo significa». No no, niente.Ma lasciatelo divertire. A New York si facosì. (Alberto Piccinini)

Giorgio Baldi (collaboratore storicoe produttore di Max Gazzè) e LucaFaggella hanno iniziato la lorocollaborazione con lo splendido eintenso album solista delcantautore-poeta livornese Ghisola(Goodfellas, 2010). La collaborazione siè fatta più stretta in Tradizione elettrica(sempre edito da Goodfellas), scritto(testi di Faggella e musiche di entrambi)e realizzato in duo. Questo nuovo cd èinteramente suonato dagli stessi Baldi(chitarre elettriche, basso, synth, loops,cori) e Faggella (voce, chitarreelettriche e acustiche, basso), con alcunicollaboratori (Yussef Stalingrado allabatteria) e degli ospiti «importanti» sualcuni brani come Max Gazzé al bassoin Vipere e nella traccia che dà il titoloall’album, o Stan Ridgway e PietraWexton su Olimpia. Dieci brani per 38minuti di musica dove la canzone d'artediventa rock, viaggia mano nella manocon un rock elettrico. La bella voceimpostata di Faggella e l'energiamusicale di Baldi. Si va da Ciampi (alquale Faggella rende di nuovo omaggio,cantando nell'ultima traccia del cd Va) auna musica che guarda alla punk-waveamericana e inglese. Proprio comelascia presagire il titolo dell'album,Tradizione elettrica. Un connubiointrigante e stimolante. In copertinaun'illustrazione di Paolo Guido intitolataTitor ritrae un bambino astronauta chegioca a dadi. Per impreziosire un albumche è già un gioiello. Da ascoltare eriascoltare. (Gabrielle Lucantonio)

Nella nostra storia civile, culturale edidattica, spesso siamo stati abituati aprendere come spiriti direttivi una seriedi personaggi, fra marinai, uomini di leggee artisti, persone dal profilo rassicurante,certi di un tacito proseguo di una culturaromantica eternamente verdiana. Così,nel ventennio fascista anche il regime piùmarxista della storia (nel senso dei fratelliMarx) aveva i suoi grandi artisti ecompositori, fra tutti il caro estinto PietroMascagni e poi, alla rinfusa, IldebrandoPizzetti, Alfredo Casella (questi ultimi dueerano ideologicamente distanti dallastupida follia mussoliniana). Poi c’era tuttauna serie di compositori che sia al tempoeterno che a quello infinito, sarebberonon passati nella memoria collettiva. È ilcaso di Giovanni Salviucci, sfortunatoin tutti sensi, soprattutto perché smise divivere in questo mondo all’età che fabestemmiare gli dei, ovvero i trent’anni.Salviucci però ebbe la mano forte discrivere musica in senso moderno,superando l’empasse respighiano eprendendo linfa vitale dal jazzato Casella.Esce ora per l’editore attivista Nota diUdine un cd book, interamente dedicatoa Salviucci, e infatti s’intitola nell’essenzadei termini: Giovanni Salviucci 1933-1937.Neanche un decennio in cui però ilnostro produce musica infinita, quasifuoriuscita da un personaggio che sapevadi avere pochissimo tempo per restarenella memoria. Sicuramente sarà rimastonella memoria della figlia Giovanna Mariniche, sicuramente da cotanto padre haereditato l’estro modernista esperimentale. Nel cd book si potrannoascoltare 4 storiche registrazioni: Serenataper 9 strumenti, Alcesti, Introduzione,Passacaglia e Finale, Sinfonia da camera.Le interpretazioni eccezionalmentestupende, sono tratte dagli archivi Raicon direttori dell’intelligenza diGianandrea Gavazzeni, Pietro Argentoe Franco Caracciolo a capo degliallora quattro complessi sinfonici dellaRai. (Marco Ranaldi)

GIOVANNI SALVIUCCI

Il dimenticatodel ventennio

Sia lode a Damon Albarn che pur con le mani in pasta a milleprogetti, ha avuto l'onore e il merito di riportare in uno studio diregistrazione - dopo qualcosa come 18 anni - uno degli autori,musicisti, interpreti di black music più innovativi della scenaamericana, Bobby Womack. Scoperto da Sam Cooke - scusatese è poco - ha disseminato i Sessanta e i Settanta di pezzimemorabili interpretati dai Rolling Stones (It's All Over Now) ocanzoni come What Is This (1968), It's Gonna Rain e More Than I CanStand, oltre a una serie di progetti nei Settanta (con GeorgeBenson, Wilson Pickett) tutti caratterizzati da una qualità ai livellidi superstar come Marvin Gaye e Curtis Mayfield. Seppur minatoda una serie di malanni che non gli lasciano una totale autonomia,Womack riesce a essere parte integrante di un progetto, TheBravest Man in the Universe (Xl Recordings) che Albarn, i musicisti ei collaboratori gli hanno cucito addosso. Un esperimento in cui lavecchia scuola soul si lascia contaminare dall'elettronica, e se inqualche frangente il controllo rischia di sfuggire di mano, insoccorso arriva proprio la voce sofferta ma ancora emozionantedel cantante di Cleveland a tenere in equilibrio il tutto. Quello chevorreste ascoltare in una giornata d'estate è qui, liofilizzato in diecicanzoni: i suoni caldi della title track che apre la scaletta e si saldacon la successiva Please Forgive My Heart - dove il riferimentoevidente è il vintage alla Play di Moby. E ancora, la notturnaWhatever Happened to the Times (dietro c'è Richard Russell, chelavorò con Gil Scott-Heron) e infine l'affascinante e inaspettatoduetto con Lana Del Rey - la nuova regina del pop virtuale - DaygloReflection, così straniante da risultare incredibilmente avvolgente.Quattro minuti da incanto in un album che difficilmente si faràdimenticare. (Stefano Crippa)

The Cherry Thing (SmalltownSupersound) segna il ritorno diNeneh Cherry. Non solo sullescene, a una quindicina d'annidall'ultima sortita. Perché un disco cosìpare un salto carpiato all'indietroeseguito con grazia potente, unascesso inaspettato di giovane eimpensierita freschezza che riconnettela cantante svedese al 1980 o giù di lì,dalle parti dei suoi esordi. E malgradola prossimità al punto di partenza,suona maturo come un punto diarrivo, perché di strada Neneh Cherryne ha fatta tanta, solo che non era

dritta né pianeggiante. Piaccia o no, le tante vaghezze, strizzatine d'occhio,piacionerie proliferate nel mezzo del suo cammino evaporano d'incanto neipaesaggi duri e ventosi che il gruppo scandinavo The Thing gli crea attorno. Unpiccolo e detonante organico (sax, contrabbasso e batteria) che mette laconfidenza acquisita con il free e la musica improvvisata al servizio di una formacanzone ossuta, lacerata, depurata di ogni tentazione nostalgica. I Suicide diDream Baby Dream si ritrovano reincarnati nel dialogo con un baritono che si alzacome una spirale di fumo dolciastro, l'Ornette Coleman di What Reason vienespiegato ai popster, Too Tough to Die chiama in causa Martina Topley-Bird che diNeneh sarebbe in teoria un'erede, Dirt degli Stooges è un pugno in faccia allaprosopopea mistificatrice del rock, Golden Heart rende un omaggio «telefonato»al convitato di pietra Don Cherry. Il terzetto prende nome, ispirazione e visionedi gioco proprio dal trombettista. E lui di Neneh è stato padre acquisito oltre checomplice occasionale. Proprio ai tempi dei Rip, Rig + Panic, la band (una delle trecostole, con i Pigbag e i Maximum Joy, generate dal Pop Group) in cui NenehCherry sbocciava, miscelando punk, funk e jazz radicale, con un'Africa idealizzatama nientaffatto conformista sullo sfondo. (Marco Boccitto)

CESARE PICCO

Il richiamodel pianoforteCesare Picco è un musicista jazz, ma èanche raffinato pianista/compositore.Se si ascolta Piano Calling (Sensibile) sene ha la certezza: la sua arte èdisciplinata, non ignara del bel tocco,evenienza solitamente rara nei pianistijazz, che invece prediligonoun’articolazione slegata, una sorta di«portato» che minimizza il rangedinamico. Dal bel tocco jazzisticopromana una delle qualità nonsecondarie di questo disco esplicito,solare, magico: ovvero una padronanzaesecutiva che si trasforma in delicatezzatimbrica. Linee primarie, tematiche,appaiono senza sforare, perché laprospettiva è costruita sfumando i livelliinferiori, e non forzando in modoinnaturale il «canto». Così i temi, giàbelli, sono godibili anche sotto laprospettiva del suono, grazie alladinamica recuperata dal controllo dellivello medio. L’altra qualità del cd ètipicamente compositiva, oseremmodire «scritturale», anch’essa rara neijazzisti, per i quali talvolta lacomponente improvvisativa indulge incedevolezze che sfiorano l’incidente (civengono in mente le insopportabiligigionerie di altri italiani). Lacostruzione di Cesare Picco è invece incostante crescita, ha uno stileinconfondibile. Così, la sua musica è unasorta di dono, perché è emozionante«ma» strutturata; improvvisativa «ma»con molteplici piani d’ascolto. In PianoCalling compare poi la garbata sinergiacon l’elettronica: un codice morse cheletteralmente lancia segnali, nel primo enell’ultimo brano. Credo sia il segno diuna svolta introspettiva, benché il restodell’alfabeto di Cesare sia in evidenza,nel mezzo, e voglia «arrivare a tutti». Lavera rivoluzione delle arti, oggi, èdavvero nella combinazione trasemplicità e capacità di comunicazione.Parafrasando Deleuze, ascoltare«significa sempre seguire una lineamagica...». (Girolamo De Simone)

DIRTY PROJECTORS

Poeti, cantantie navigatori

BALDI & FAGGELLA

Connubielettrizzanti

BOBBY WOMACK

Il coraggiodell’attesa

CHERRY & THE THING

La maturitàè anticonformista

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DISCHIPER L’ESTATE

BRENDAN & LISA, BOBBY & NENEH, È L’ANNO DEI GRANDI RITORNI

A dire il vero questo è l’anti-disco perl’estate. Prima di tutto è un vinile,insomma un ellepì. Metterlo in borsanel viaggio per spiagge e cime inviolateè già un problema. E poi, doveascoltarlo? A Ibiza o a Rimini sipotrebbe provare con i piatti ogiradischi o turntable dei dj delle localidiscoteche. Uhm, un po’ laborioso.L’ideale sarebbe che i suddetti dj loinfilassero in un set eclettico. Chissàche effetto farebbe. È musica di unlento transitare di suoni di strumentiacustici che assumono a tratti lavalenza di suoni sintetici (un marchio difabbrica dell’autore, già ben udibile quiin un’opera che nasce più«accademica» di quelle della maturità),in attenta/acuta polifonia, per i territoridell’angoscia. Vitale, urbana, dislocata,mobile. Su un fondo persistente cupodi suoni d’assieme nel grave e rintocchidi pianoforte nel grave. Meravigliasconosciuta di Fausto Romitelli:Nell’alto dei giorni immobili (1990). Unprocedere «senza tempo». Un tessutodi suoni di altezze incerte, cangianti. Unaffollarsi di lucide visioni in un climaespressionista/psichedelico. Questacomposizione per flauto, clarinetto,pianoforte, violino, viola, violoncello èstata eseguita a Milano il 20 novembre1994 durante la quinta edizione delfestival «Nuove Sincronie» dall’Ensemble Zagros e per l’occasione Romitelli haaggiunto una parte di contrabbasso. La registrazione, di valore a dir poco storico,esce su etichetta Altremusiche e occupa i primi 8,58 minuti dell’ellepì. Larimanente mezz’ora circa comprende quattro lavori di remix sullo stesso brano diRomitelli. E sono gran buoni pezzi. We Are Lost di Andrea Mancianti e Dall’alto deigiorni immobili di Diego Capoccitti richiamano l’originale, After Fausto di NeilKaczor e Exurdans eclipsis 7d4 di Wk569 se ne allontano. Tutti sono immaginifici.(Mario Gamba)

In Francia è il rapper del momento.Nel suo ultimo album, Noir désir,Youssoupha fa una dichiarazioned’amore agli abitanti dei quartierisensibili, denuncia l’ingiustizia inPalestina, prende le distanze dairapper che aspirano solo alla PorscheCayenne, punzecchia i benpensanti e ipoteri forti che tentano di reprimereil rap, non dimentica «le radici diMartin e Malcolm» e le sue originicongolesi, lancia due frecciate in una,quando nomina il presidente «NicolasBerlusconi» e dichiara di non volerpiù vedere «i fascisti pedagoghi».

Questo e tanto altro lo dice rappando sia con durezza, sia con romanticismosu basi che sconfinano spesso nel pop. E senza mai dimenticare che ogni parolaha il suo valore e ci si può anche autocelebrare ma nel contempo prendereposizione. La parola più ricorrente alla fine sembra essere «amour» e fa il suoeffetto per uno dei rapper più esposti in Francia per impegno, coraggio ecoscienza. Quando lo intervistano, le dichiarazioni di questo artistatrentaduenne non sono proprio scontate: «Con il tempo mi sono reso contoche gli autori che mi hanno appassionato, su cui ho passato notti intere asgobbare, come gli illuministi, avevano una visione dell’umanità che escludeva ineri. Si dirà che era il contesto dell’epoca ecc... Me ne fotto: mi infastidisce chequesti libri ci siano venduti come cose esclusivamente geniali che hannocambiato il mondo», ha dichiarato a Libération. Un messaggio non solo per laFrancia profonda e i tanti francesi di origine africana ma per tutta la societàcivile transalpina. Il disco risale a prima dell’elezione di Hollande ma sono più ditrent’anni, dal primo presidente socialista, che i quartieri sensibili aspettanocambiamenti. I rapper non fanno altro che dare voce prima di tutto a questaFrancia banlieusard. (Luca Gricinella)

L’incontro tra Raiz (Rino) e il gruppo baresedei Radicanto risale a qualche anno fa; cosìdopo varie collaborazioni assieme, di palchicalcati, esperienze vissute, Raiz &Radicanto decidono di fissare in dodicifotogrammi sonori le loro peregrinazioniacustiche intorno al bacino delMediterraneo, che pescano per lo più nelrepertorio scritto e (cantato) dall’artistapartenopeo nel corso della sua carrieraartistica (più tre tradizionali di diverseculture). Casa (Arealive-Pugliasound/Edel),accoglie la passione antica verso certesonorità, che risale ai tempi in cui Raiz era ilvocalist degli Almamegretta, collettivoaperto tanto a una sorta di dub-poetrynapoletana, quanto agli istinti mediterranei,e a una black music senza frontiere. Colpassare degli anni Rino (Raiz) sembra(ri)scoprire sempre più quella tradizione untempo quasi disdegnata, ripudiata,guardando ora dritto nella direzione diSergio Bruni, sia nello stile interpretativo,che in quello vocale, a quella drammaturgiapopolare napoletana da cui, da ragazzo,prendeva le distanze. Raiz, compie allora,con l’aiuto dei Radicanto, un’operazionecoraggiosa, spogliando del polmone dub, delbasso panciuto, dei riverberi vaporosi,dell’andamento molleggiato, i brani scelti dalrepertorio degli Almamegretta (Gramigna,Respiro, Catene, Nun te scurdà), trasformandoil suo fluido toasting, il suo languidopoeteggiare su quella musica di ispirazionegiamaicana, in micromelodie, microintarsi,microfratture, intrecciate di cantighesefardite, folate flamenco, schizzi di fado emusica balcanica, conditi dalla grana pastosadel suo particolarissimo timbro vocale. Nunte scurdà, versione chitarra e mandolino,risuona tra rivoli di romanticismo escampoli di impegno sociale, Pe’ dinnt’ e vicheaddo’ nun trase o mare, in cui Napoli é uncoacervo di suggestioni mediorientali, è trale riletture più riuscite del disco. Unico neo:la scaletta (Scegli me accanto a Nun tescurdà?!) che lascia fuori piccoli vanti di unoscorcio incoraggiante di musica italiana degliultimi ventanni. (Grazia Rita Di Florio)

Si intitola Forward (Chinchin Rec/Artcore) il nuovo, sesto disco dei ClubDes Belugas. È il progetto tedescoche meglio di altri ha ridefinito ilconcetto di nu jazz, non lasciandositentare da oziosi strumentali mapreferendo melodie solide, canzonicanzoni e voci voci. Merito soprattuttodi Brenda Boykin, tra le migliori jazzvocalist oggi in circolazione e a tutti glieffetti ormai un membro della famiglia. Ilsuo scat in Straight to Memphis è uncapolavoro, con sotto chitarre surf,bossanova insistente e rimandi vocali almondo del rock'n'roll, in particolare aquelle espressioni verbali che hannofatto la storia del genere: be-bop; whambam ecc. Va in scena la festa di Elvis,Gene Vincent, Little Richard e dintorni.Rispetto ai lavori passati c'è unriposizionamento più pop, delicato e«d'ascolto». Si avverte dal singolo sceltoper lanciare il disco: Save a Little Love forMe affidato all'israeliana Ester Rada (ilrimando ai mondi di Adele èimmediato). Si avverte dall'ultimaporzione di cd, tutta a lume di candela.Tra le impennate il cha cha cha di IShouldn't I Wouldn't a nome JoJo Effect,altro progetto del giro, con AnneSchnell alla voce e remix dei Club DesBelugas; Forward affidata a Jen Kearneyche assomiglia tanto a Kylie Auldist; AllAboard con presenza di Iain Mackenzie,voce maschile della gang. Quest'ultimopezzo è il punto più electro-swing a cuiil gruppo si è spinto. Tra i remix PeanutVendor di Anita O'Day, ma ormai siamofuori tempo massimo per puntata latincosì «pura», retrò e anni Novanta.Rispetto a connazionali electroswing/gospel come David Hanke(Renegades of Jazz) o agli inglesiSkeewiff, i Club Des Belugasmantengono la coerenza nu jazz degliesordi ma i nuovi spunti di Forward sonoperentori: nel prossimo disco tuttopotrebbe cambiare. (FrancescoAdinolfi)

Che la vostra estate sia tra sabbia escogli o piuttosto tra urbane lingued'asfalto di città semivuote, pococambia. Fatevi sorprendere da un beldisco. La musica è forma dicomunicazione all'ennesima potenza,che riesce a far virare in meglio anchel'umore più nero. Come accade inquesta circostanza: un incontrovertibilesenso di sorpresa arriva dai Tres. Lorosono Roberto Luti (chitarra), SimoneLuti (basso) e Rola Cappanera (batteria),musicisti livornesi che vedonopubblicato dalla Inconsapevole Recordsil loro primo disco. Undici strumentalidove post rock, stoner e sonoritàafroamericane si fondono tra loro ameraviglia. Un disco che racconta di unaband, First Experience, che tra il 1990 eil 1994 fece oltre 400 concerti inclusoaprire per B.B. King al Pistoia Blues.Erano sempre loro, talentuosiadolescenti che si divertivano da mattidurante il liceo. E oggi altrettanto:tornano assieme dopo anni, complice ilrientro del chitarrista da New Orleansdopo un lungo soggiorno in cuil'obiettivo era scoprire la matrice delsuono afroamericano. Fissano nel tempocon questa registrazione un'alchimiaentusiasmante, mai banale, tantomenoderivativa. Dentro potete trovarcidavvero tanto, a ognuno di voi labellezza di scoprire cosa. L'unicoriferimento che vi diamo, non nei suonima nell'approccio sincero e libertarioalla costruzione dell'idea, è quello diCatch My Shoe degli olandesi The Ex.Valore rilevante quello di poter creareun disco senza remore commerciali odirettive discografiche. Per questo illavoro in oggetto suona fresco edesuberante anche dopo moltepliciascolti. Comprova ne è l'unica traccianon autografa, una Hey Joecompletamente destrutturata eirriconoscibile. Destare sorpresa è il saledelle dinamiche interpersonali. Loro cisono riusciti. (Gianluca Diana)

YOUSSOUPHA

Un banlieusarddella parola

RAIZ&RADICANTO

Da Napoli a Bari,ritorno a «Casa»

CLUB DES BELUGAS

La Germaniaguarda «avanti»

TRES

Destrutturazionia sorpresa

FAUSTO ROMITELLI

Sconosciutemeraviglie

L’ALBUMDELLE VACANZE

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COLTRANE

GUTHRIE

SINATRA

CELENTANO

SHANKAR

MARLEY

WAINWRIGHT/MCGARRIGLE

KUTI

Fenomenologiadell'erede rock

DINASTIE MUSICALIdi GUIDO MICHELONE

Nel maggio scorso fa il giro delmondo la notizia di una reunion deiBeatles un po’ particolare: non gliultimi due superstiti, Paul e Ringo,ma quattro dei figli (anche di John eGeorge), ovvero James McCartney,Sean Lennon, Dhani Harrison e ZakStarr (l’unico, a quanto pare, indisaccordo); ma di riserva ci sarebbeil fratello Jason Starr, anch’eglibatterista. Del resto chi più chimeno, aggiungendo pure JulianLennon, gli eredi dei Fab Fourtentano già da anni la carrieramusicale con alterne fortune, senzamai raggiungere i picchi creativi nonsolo del gruppo ma nemmeno deisingoli «scarafaggi» inconsciamenteorfani di Revolver o Sgt. Pepper.

Quella tra padri e figli è del restouna vicenda arcana nella storia dellamusica, che affonda le radici - quasiin senso dinastico - nell’identità dellinguaggio sonoro medesimo:ovunque, nelle culture popolari e inquasi tutta la musica classicaextraeuropea, le conoscenzemusicali passano attraverso unatrasmissione orale all’interno delfocolare domestico, per esserequindi condivise da un comunitàpiù allargata (villaggio, tribù, città,regione).

Questa prassi, in molti casi,rimane invariata anche quando l’eracontemporanea inventa lariproducibilità tecnica dell’operad’arte, per dirla alla WalterBenjamin. Laddove l’industriadiscografica prende il sopravventosu ogni altra esperienza diretta, nelcorso del Novecento, resistonoancora identità familiari in grado dieducare alle sette note le nuovegenerazioni: nella culturaafroamericana è frequente il caso dipredicatori - come ad esempio ilreverendo Cecil Franklyn - cheabituando i figli ai cori di chiesa (ilgospel), viene creato un bagaglioestetico-culturale da cui magari igiovani si staccheranno, purpreservando più o menoconsciamente forme e contenuti diquelle stesse musiche rituali: il souldella figlia Aretha Franklyn non èaltro che una laicizzazione piùritmata del vecchio spiritualintonato a messa dieci, vent’anniprima (al quale peraltro lei stessaritorna con due album tributostrepitosi).

La storia delle dinastie musicali èdunque compresa, benchériducibile a tre situazioni-base. Laprima riguarda l’importanza delgenitore che non viene scalfita daglieredi che ne proseguono l’attività: ladinastia Bach, dal Cinquecento alSettecento, comprende bendiciassette musicisti tra cui ilceleberrimo Johann Sebastian che,da due mogli, ha venti figli, cinquedei quali insigni compositori,benché nessuno di loro eguagli ilgenio assoluto dell’organista diEisenach. Anche oggi i figli d’arte sisprecano e forse solo nel jazz esistein famiglia un buon ricambiogenerazionale se si pensa adesempio a Merce Ellington, KimParker, T.S. Monk, DenardoColeman, senza però che riescano acompetere con il talento inarrivabiledei vari papà Duke, Charlie,Thelonius, Ornette.

Agli antipodi c’è invece l’allievoche supera il maestro, anche perchéil primo resta quasi sempre al di quadella fama massmediale odell’originalità artistica: in famiglia,a scorrere tante biografie c’è chistrimpella chitarra, piano ofisarmonica, frequenta gente delmestiere, dà lezioni di strumento inprivato o a scuola, si diletta acomporre, improvvisare, esibirsi congli amici in pubblico o in privato. Adesempio Jim McCartney, padre diPaul, suonando tromba e pianofortein orchestrine hot jazz, plasma igusti del futuro Macca, il quale, cono senza Beatles, inserisce qua e làsprazzi di dixieland o foxtrot fra lecanzoni, fino all’ultimo album Kisseson the Bottom, palese omaggio alle

jazzsong ascoltate da bimbocon il paparino.

C’è infine chi invece - terzasituazione - non segue il genitore,conquistandosi pari fama in ungenere lontano da quello paterno:Markus Stockhausen, jazzman etrombettista, oggi è forse più noto algrosso pubblico di Karlheinz,compositore seminale dagli anniCinquanta ai Novanta, pionieredell’elettronica, detrattore del jazzmoderno, benché da giovanissimoavvezzo a swingare alla tastiera conil boogie-woogie.

Nei dodici casi analizzati - inordine alfabetico le famiglie Carter(Cash), Celentano, Coltrane,

Menti geniali,pure coincidenzeo semplici manovreper sfruttareun nome famoso?Ecco alcuni esempidi famiglie che sisono tramandateil lume dell'arte

BUON SANGUE NON MENTE. O FORSE SÌ. NEL MONDO DEI SUONI SONO MOLTEPLICI GLI ESEMPI DI FIGLI CHE HANNO SEGUITO LE ORME D

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JACKSON

WILSON

MARSALIS

CARTER / CASH

Guthrie, Jackson, Kuti, Marley,Marsalis, Shankar, Sinatra,Wainwright (McGarrigle), Wilson -salvo un’eccezione si trovanocircostanze paritetiche, dovegenitori e figli simboleggino grandidinastie musicali dal jazz al rock, dalfolk al country, dal reggaeall’afrobeat, dal pop alla worldmusic.

WILSONLa seconda generazione dei Wilsonnon risulta fondamentale nelcammino del rock, tranne forse peri fan maniacali delle grazioseWilson Phillips, ossia Carnie eWendy figlie del mitico BrianWilson e Cynna primogenita diJohn e Michelle Phillips, i belli dei

Mamas & Papas. Il trio femminilespopola, più o meno ventenne,nelle hit parade dei primi anniNovanta, ma è la generazioneWilson nata mezzo secolo prima,dalla California, a fare grande lastoria della musica americana toutcourt, senza confini di sorta trapop, surf, rock: si parla ovviamentedel sestetto The Beach Boys, con ungenio epocale (Brian), altri duefratelli maestri di armonizzazione(Dennis e Carl) e un cugino che èuna sorta di strumento, nonchévocalist coi fiocchi (Mike Love).Murry è il padre dei ragazzi dispiaggia: discreto manager, mapersonaggio controverso, si dilettaanche come musicista; nel 1967 acinquant’anni suonati pubblica ilprimo e unico ellepì The ManyMoods of Murry Wilson, di stile easylistening dove Brian e Mike gliscrivono il pezzo The Warmth of the

Sun e il sesto Beach Boy, Al Jardine,la ballata Italia; l’album - niente diche - esce per la Capitol di FrankSinatra, la stessa label che in queimesi fa via via uscire i seminali PetSounds, Smiley Smile, Wild Honey,Friends, 20/20. I Beach Boys sonotuttora attivi, ma dal 1983 nessunodella famiglia Wilson è presente.

JACKSONIn un certo senso, i Jackson sono lafamiglia musicale black archetipa,scandalosamente talentuosa, madel tutto anomala e alterata. Un po’alla stregua dei Wilson, l'ereditàdella famiglia Jackson riguarda inprimis un padre autoritario(Joseph) e un genio tormentato(Michael, ovviamente), ma forse iJackson superano ogni altro clanper numero di musicisti assurti alsuccesso internazionale.Innanzitutto nei Jackson Five sono ipiù anziani Jackie, Jermaine, Tito,Marlon, tra il 1966 e il 1976 aimporsi nel gruppo e a continuarecome The Jacksons, tra il 1976 e il1999, dopo la dipartita di Jacko (econ l’aggiunta del più piccoloRandy). In parallelo ai clamori diThriller e Bad è la parte femminile aimporsi a livello solistico: Janet,LaToya e Rebbie. Tutti insieme -tranne LaToya - canteranno solonel 1988 nella title track di 2300Jackson Street, mentre i Fiveoriginali si ritroveranno nel 2001 alMadison Square Garden per itrent’anni di carriera di Michael inun medley con Can You Feel It, Abc,The Love You Save, I'll Be There.Ultimo fatto degno di nota: otto deinove figli Jackson (tutti salvoLaToya) conquistano dischi d'oro odi platino negli Stati Uniti.

SHANKARSicuramente non esiste altrafamiglia al mondo che può vantareuna pioniera della world-fusionquale Anoushka Shankar, unavincitrice del «Grammy-winningadult contemporary songstress»,ossia la vocalist Norah Jonesimpergnata tra jazz, country, pop, eun padre, Pandit Ravi Shankar, cheè forse l’indiano più conosciuto almondo dopo il Mahatma Gandhi eche di certo resta il miglior sitaristaclassico del XX secolo, in grado diinfluenzare talenti diversissimi, daiBeatles a John Coltrane, da YehudiMenuin a John McLaughlin. Le duefiglie sono sorellastre nel senso cheGeethali Norah Jones Shankar èfrutto dell’unione (ufficialmentemai riconosciuta) tra Ravi e SueJones, cantante di soul, mentreAnoushka, di due anni più giovane,nasce a Londra dalla moglieufficiale. Il violinistaLakshminarayanan Shankar (notoanche come L. Shankar o Shenkar),già con Ornette Coleman, FrankZappa, Mahavisnhu Orchestra, nonè invece imparentato con loro.

MARLEYSembra che ogni due anni, unnuovo rampollo della dinastiaMarley si apra al mondo perlanciare un disco. C'è Ziggy,naturalmente, che inizia a inciderealbum e singoli dalla metà deglianni Ottanta, lavorando fino al 2001con alcuni dei suoi fratelli (Sharon,Cedella e Stephen) nella banddenominata The Melody Makers.C'è Ky-Mani, che realizza sei cd dasolista, spesso in testa alleclassifiche in Giamaica. C'èDamian, il cui grintoso soundurbano è una propostacompletamente diversa dagli altrifamiliari: del resto l’eccellenteWelcome to Jamrock (2005)dimostra esemplarmente la svoltain merito. E altrove, c'è Rohan,celebre per i cinque figli con LaurynHill e che la ispira per il notevoleThe Miseducation (1998). La madredi tutti loro è naturalmente NanaRita, cubana, all’anagrafe AlpharitaCostancia Anderson, moglie di BobMarley dal 1966 fino alla morte(1981), voce aggiunta nel terzettovocale I Threes, che sostituisconoPeter Tosh e Bunny Wailer, primicoristi dei Wailers originari.

KUTIForse l'unica persona che, nellastoria della black music, puòrivaleggiare con Bob Marley, perquanto concerne il rifornimentoapparentemente infinito di proletalentuosa è senza dubbio ilnigeriano Fela Anikulapo Kuti(1938-1997), anche perché alcosiddetto «cane scioltodell’afrobeat», autore degli ormaiclassici Zombie e Upside Down, lafede religiosa consente lapoligamia: ad esempio dodici mogli

contemporaneamente nel corsodegli anni Settanta. L'erede piùnoto del sound di Kuti è il figliomaggiore Femi Kuti, già nella banddel padre (Egypt 80): inquest’ultimo ventennio firma aproprio nome quattordici compactufficiali spesso molto jazzati (daascoltare soprattutto Shoki Shoki eFight to Win). Ma c’è pure ilgiovane Seun Kuti, quattordicennealla morte del padre, autore di unfantastico esordio discografico(Many Thing, 2008). La famigliaKuti, inoltre, da sempre avversa ilregime nigeriano fascistoide,attivandosi nella politica, nellasanità e nell’arte, spesso conl’avvallo dello scrittore WaleSoyinka, premio Nobel 1986.

GUTHRIELa country music sembra averel'abitudine e la prerogativa diprodurre lunghe dinastie di validimusicisti a partire dalle tregenerazioni di Hank Williams e dalclan Carter/Cash per arrivare allafamiglia Guthrie, la cui ereditàsonora inizia con l’inesauribileWoody Guthrie (1912-1967),«padre» di tutti i cantautoristatunitensi e antesignano dellaprotest song contemporanea giànegli anni Quaranta. Il figlio Arlo,oggi sessantaseienne, continuaancora a cantare e suonare lachitarra, a distanza di 45 anni dagliesordi con la canzone-fiume Alice’sRestaurant che ispira l’omonimogrande film (1968) di Arthur Penn. Ifigli di Arlo, ossia Abe, Sarah Lee eCathy sono tutti musicisti, cosìcome molti dei suoi nipotini.

CARTER/CASHResta forse il miglior clan musicaleamericano, certamente la primafamiglia di folk music stelle-e-strisce.I Carter sono un gruppoestremamente prolifico dal punto divista musicale prima ancora che, neiranghi, s'aggiunga il piùrockeggiante Johnny Cash. La futurasignora Carter, June, vocalist disuccesso sul finire gli anniCinquanta con un country leggerino,fa parte della quarta generazione diuna famiglia di soli musicisti: unpatrimonio di cui tutti vanno fieri,perché risale sino al XIX secolo, conenormi influenze sull'iter evolutivodel folklore americano medesimo: anome Carter Family il primo discoufficiale risale al 2 agosto 1927 conAlvin Pleasant Delaney Carter, suamoglie Sara Dougherty Carter e suacognata Maybelle Addington Carter.L’ultima apparizione data invece1987, riunite le sorelle Anita, Helen,June, con l'aggiunta della figlia diquest’ultima Carlene Carter, insiemea Cash nello show Austin City Limits.E, naturalmente, June e Johnnyrestano una coppia veramenteaffiatata in pubblico e in privato: siesibiscono insieme per decenni emuoiono a pochi mesi l'unodall'altro nel 2003. La nuovagenerazione - soprattutto RoseanneCash, anche se lei è in realtà la figliadi Johnny con la prima moglieVivian Liberto - fa dell'ereditàfamiliare un punto fermo orgoglioso.

WAINWRIGHT/MCGARRIGLEQualora si creda che l'abilitàmusicale venga trasmessa grazie aldna, allora è praticamenteinevitabile che l'unione fra ilcantautore statunitense LoudonWainwright III e la folksingercanadese Kate McGarrigle possadare ottimi frutti musicali. Loudonresta un songwriter prolifico - dasegnalare almeno l’omonimoLoudon Wainwright III (1998) deldebutto - mentre Kate e la sorellaAnna formano un eccellente duo difolk revival, rimasto unito per circatrentacinque anni fino allascomparsa di Kate nel 2010. Lacoppia Loudon/Kate divorzia nel1978, dopo la nascita dei loro Rufuse Martha, immortalati dal padrerispettivamente nelle canzoni RufusIs a Tit Man e Pretty Little Martha;lei farà da corista al fratellolanciatissimo, prima delconvincente debutto con MarthaWainwright (2005), mentre Rufuscompone persino un’opera liricaPrima donna, non senza regalarealbum strepitosi da Poses (2001) alrecente All Days Are Nights: Songsfor Lulu (2010).

COLTRANEQuando il «gigante» John Coltrane -My Favorite Things, A LoveSupreme, Ascension, Interstellar

Space - muore quarantenne, nel1967, per enfisema polmonare, ilfiglio Ravi ha solo due anni, macresce in fretta nel ricordo paternofino a diventare anch’egli un ottimosassofonista al tenore e al soprano(da sentire Mad 6 e In Flux). Lapassione per il jazz è merito anchedella madre Alice Coltrane, cheprende il posto di McCoy Tyner nelgruppo del marito e che in seguitoraggiunge una visionarietàorientaleggiante attraverso originaliesplorazioni pianistiche. Alice eJohn, oltre Ravi (nome che omaggial’indiano Shankar), hanno altri duefigli musicofili, John Jr., chetamburella in Radha-Krsna NamaSankirtana e muore a diciott’anniin un incidente automobilistico, eOranyan, dj dedito all’elettronica.Flying Lotus (alias Steven Ellison)produttore e sperimentatore èinfine il pronipote di AliceColtrane.

MARSALISEcco i Marsalis da New Orleans, arinverdire il mito della CrescentCity, capitale del jazz: fuori degliambienti jazzistici, i membri piùnoti della maggior famiglia musicaleafroamericana restano sicuramentei fratelli Wynton e Branford, oggipiù o meno cinquantenni, entrambistrumentisti virtuosi anche nelrepertorio classico e barocco, ilprimo alla tromba (Citi Movements,Standard Time), il secondo al saxtenore e soprano (Romare BeardonRevealed): i due non vanno moltod’accordo dopo che Wynton puristaa oltranza rimprovera a Branford lacollaborazione con Sting esoprattutto il gruppo rap-jazzBuckshot LeFonque. Per fortunanon sono gli unici della famiglia aessere musicisti più che stimatiovunque: gli altri fratelli più giovaniDelfeayo (trombone) e Jason(batteria) se la cavano bene con ilpost-bop, mentre un quinto fratello,lo scrittore Ellis Marsalis III, è vicinoalla jazz-poetry. E poi c'è il patriarcadel clan Ellis Marsalis Jr.,musicologo e docente masoprattutto pianista cult, anchegrazie al recente New OrleansChristmas Carol.

SINATRALa vera famiglia di Frank Sinatra è ilRat Pack, ovvero Dean Martin eSamny Davis compagni di affari,bisbocce, recital a Las Vegas, nelsegno di un pop jazzato. Tuttaviaanche l’intramontabile The Voice diSongs for Young Lovers e di SwingEasy! a metà Sessanta vienesuperato nella hit parade dalla figliaNancy, bionda icona yé-yé, incanzoncine quali Bang Bang oThese Boots are Made for Walking.Un altro figlio, Frank Sinatra Jr,dopo l’exploit di Something Stupidcon la sorella, sceglie di perpetuareil mito del genitore mostrandosiperò crooner troppo succube dellostile paterno. Una terza figlia, Tina -partorita come gli altri da NancyBarbato - lavora infine in ambitocinetelevisivo.

CELENTANOIl concetto di famiglia è così fortein Adriano Celentano che a soli treanni dai primi successicommerciali fonda il Clan (1961)allo scopo di favorire unegualitario connubio arte/vita fra imusicisti. Il «Molleggiato» restaperò il líder maximo e la presenzadella moglie, ex attrice, ClaudiaMori, quale cantante in coppia oda sola, conferma il maschilismodel talentuoso rocker, che peròconsente ai tre figli, non appenamaggiorenni, di esordire comevocalist: Rosalinda, Rosita eGiacomo si cimenteranno quasisubito in altri settori «artistici»mentre il «re degli ignoranti»rimane il pater familiaemusicalmente incontrastato.La brava jazzsinger IsabellaCelentano (cd A Smile Behind theVeil) non è nemmeno lontanaparente.

DEI GENITORI, NON SEMPRE PERÒ CON I MEDESIMI ESITI

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Autobiografiadi un uomo in nero

Esce finalmente in Italia il libro sulla vitadel cantautore statunitense. Un cocktaildi leggende e realtà, dal militare in Germaniaalle chart internazionali. Eccone un estratto

JOHNNY CASH

di JOHNNY CASH *

Siamo arrivati a San Francisco daPortland ieri sera, attraversando ilBay Bridge, e oggi è stata unagiornata impegnativa. Per tutta lamattinata sono stato impegnato inun’intervista e in un serviziofotografico con una troupe della Bbcnella suite dell’hotel dove siamoalloggiati, ed è stato estenuante. Nonmi piace rispondere a domandesulla mia vita privata neanche perun paio di minuti, figuriamoci perun’ora intera. A mezzogiorno misono incontrato con delle personeper un pranzo di lavoro, così lochiamano, che mi è sembratointerminabile e mi ha lasciatocompletamente spossato. Hoguardato fuori dalla finestra pertutto il tempo, chiedendomi cheprofumo avesse l’aria là fuori, ecome sarebbe stato bello sentire lacarezza del vento passeggiando perle strade della città. Gli schiavi delsalario mensile se ne stannorinchiusi in fabbriche e uffici pertutto il giorno, lontano dai loro cari.Gli schiavi della notorietà come mese ne stanno richiusi in hotel, studidi registrazione e limousine, alriparo dagli sconosciuti.

È meglio che vada a riposarmi,oggi pomeriggio. Stasera ho unconcerto, e se non salirò sul palcopiù che in forma, sarà un disastro.Se non mi sento rilassato, cantomale, e il pubblico non si merita disprecare così i soldi per il biglietto. Èstato Billy Graham a insegnarmiquesto trucco. Quando si ha inprogramma un concerto alla sera, lacosa migliore è starsene a letto ariposare tutto il pomeriggio, anchese non si riesce a dormire. È stato ilconsiglio più utile che abbia mairicevuto in tanti anni. (...) Suoniamoal Fillmore, un posto dove la genteva per sentire del buon rock’n’roll eper divertirsi. Dobbiamo fare inmodo che Rusty Cage venga bene,questo tipo di pubblico sicuramentel’apprezzerà. Non vedo l’ora di saliresul palco. Ripenso all’intervista distamattina per la Bbc.L’intervistatore era bravo epreparato, ma le sue domande nonsi discostavano molto da quelle chequasi tutti mi hanno postoultimamente. Ovviamente tuttivogliono sapere dei miei progettifuturi, cosa comprensibile, perchétutti attingono informazioni dallostesso comunicato stampa, ma inogni intervista, prima o poi, il corsodelle domande deviainevitabilmente verso quei pochiargomenti su cui la gente mi hainterrogato per più di quarant’anni.Ecco le tre domande principali.

Domanda numero uno: Perché èfinito in prigione?

Al contrario di quello che sipotrebbe pensare, non sono maistato in prigione. È una diceria che siè sparsa a causa di Folson PrisonBlues, il mio grande successo del1955, che ho scritto usando comepunto di vista quello di unpregiudicato impenitente. Dodicianni più tardi, ho intitolato unalbum Johnny Cash at FolsomPrison, ma in realtà, non sono maistato in carcere in vita mia. Durantegli anni in cui facevo uso dianfetamine, ho trascorso qualchenotte in gattabuia, ma mai per più diuna nottata. Sarà successo circasette, otto volte in tutto, in posti incui la polizia locale aveva deciso che

la cosa migliore nelle mie condizioniera passare una nottata in cella. Nonposso dire di aver provato cosa vuoldire stare in carcere, ma una cosal’ho imparata: è inutile ribellarsi.Una volta ho preso a calci le sbarredi una cella di Starkville, inMississippi, e mi sono rotto l’alluce.Ci sono alcuni che non credono allamia versione dei fatti, e mi è capitatopiù di una volta di dover litigare conpersone fermamente convinte che iosia stato un criminale per gran partedella mia vita. Tutto quello cheposso dire a mia discolpa è che ilverso di Folson Prison Blues che dice«ho sparato a un uomo a Reno/soloper guardarlo morire», che ancoraoggi ottiene un’ovazione da partedel pubblico, specialmente da quellopiù controcorrente, era soloevocativo, e non autobiografico.Mentre scrivevo la canzone pensavoa quale potesse essere il motivopeggiore al mondo per voleruccidere una persona, e quella èstata la prima immagine che mi èvenuta in mente.

Domanda numero due: Comenascono le mie canzoni?

Non ci sono una formula o unmetodo ben preciso. Succede inmodo diverso per ogni canzone. Peresempio, ho scritto I Walk the Linementre ero in tournée in Texas nel1956, e mi riusciva difficile rimanerefedele a mia moglie, rimasta aMemphis. Ho incanalato quelleemozioni nei primi versi dellacanzone e l’ho cantata a Carl Perkinsnel backstage di un concerto (...)«Che ne pensi?» gli domandai.«Penso di intitolarla Because You’reMine.» «Mmm», fece Carl. «Credoche I Walk the Line sarebbe un titolomigliore.» Poi toccò a lui salire sulpalco, e terminai di scrivere lacanzone mentre lui finiva di provarecon la sua band. Le parole venneroquasi spontaneamente, senza sforzo.Se il testo fu così semplice, lamelodia e il ritmo di I Walk the Linehanno un’origine più complessa: lidevo a un registratore a bobine cheavevo nella caserma dell’aeronauticastatunitense a Landsberg, inGermania, nel 1951. A quei tempi unregistratore era una vera e proprianovità, un oggetto di alta tecnologia.Ero l’unico, alla base, che nepossedeva uno, lo avevo compratoallo spaccio della caserma con irisparmi della paga da ottantacinquedollari che lo Zio Sam mi versavaogni mese per combattere la GuerraFredda. Era un apparecchioaffascinante, decisamenteimportante per la vita creativa dellamia prima band, i LandsbergBarbarians. Il gruppo, oltre a me, eracomposto da due aviatori allachitarra e un ragazzo della Virginiaoccidentale che si era fatto spedireun mandolino da casa. Ce nestavamo seduti in camerata amassacrare le canzoni del momentoe i gospel della nostra giovinezza(eravamo tutti ragazzi di campagna),e il registratore ci permetteva diriascoltare il nostro lavoro. Era

straordinario. Ho ancora qualcunadi quelle registrazioni, trasferita sucassetta. Eravamo un po’ grezzi, maci divertivamo un mondo.

È stata una di quelle registrazionisu bobina a darmi l’ispirazione perla melodia di I Walk the Line.Coprivo il turno di notte, dalle 11alle 7, come operatore radiofoniconella sala radio per le intercettazionidei messaggi dell’esercito russo, equando ritornai in camerata lamattina dopo, mi accorsi chequalcuno aveva usato il mioregistratore. Misi su una bobina deiBarbarians per vedere se funzionava,e dalle casse uscì un suono strano,un ritmo ossessivo pieno di cambid’accordo inusuali. Sembrava quasiuna musica sacra con un che disinistro, e alla fine mi parve disentire una voce che sussurrava laparola «padre». L’ho riascoltata unmilione di volte, e ho anche chiestoai miei commilitoni se qualcuno diloro avesse riconosciuto quellamusica, ma alla fine ho risoltol’enigma da solo: le bobine eranostate invertite, e stavo ascoltando unnastro dei Barbarians al contrario. Ilritmo e quegli accordi così strani misono rimasti impressi, e sonodiventati la melodia di I Walk theLine.

L’aeronautica, oltre a insegnarmiquello che ogni forza militareinsegna ai suoi uomini, ovvero comeimprecare, andare a donne, bere efare risse, mi ha insegnato ancheuna tecnica particolare: se maiaveste bisogno di sapere cosa stacomunicando un russo con il codice

IL MUSICISTA DI MEMPHIS, SCOMPARSO NEL 2003, SI RACCONTA IN UN VOLUME PUBBLICATO PER LA PRIMA VOLTA NEGLI USA NEL 199

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«Non sono mai stato in carcere. Ho trascorsoqualche notte dentro durante gli anni

in cui facevo uso di anfetamine, ma mai piùdi una. Sarà capitato sette, otto volte in tutto...» SEGUE A PAGINA 12

Morse, sono l’uomo giusto per voi.Avevo davvero un gran talento per leintercettazioni, tanto che aLandsberg, la base mondiale delleoperazioni di sicurezzadell’aeronautica statunitense, eroconsiderato il migliore, quello a cuidare gli incarichi più delicati. Sonostato io il primo a intercettare lanotizia della morte di Stalin e ilsegnale della partenza del primocacciabombardiere sovietico inviaggio da Mosca a Smolensk. Tuttigli operatori erano stati allertati, mafui io il primo ad intercettarlo. Nonriuscivo a credere alle mie orecchie.L’operatore radiofonico russotelegrafava a una velocitàimpressionante, trentacinque paroleal minuto, al punto che, se non loavessi sentito rallentare, avrei

continuato a pensare che atrasmettere quel messaggio fosseuna macchina.

I russi erano davvero bravi eveloci a telegrafare. In confronto noiamericani eravamo dei dilettanti.Ma non era importante. I nostriapparecchi erano così potenti chepotevano intercettare ogni lorocomunicazione da ogni parte delmondo. Il ricevitore radiofunzionava bene anche con i canaliche piacevano a me. La domenicamattina riuscivo a collegarmi allaWsm e ad ascoltare il Grand OleOpry di Nashville come se fossi statoa casa mia. Ogni giorno ero a strettocontatto con il nemico, ma non homai partecipato a uncombattimento in prima persona.Mi sono arruolato una settimanaprima dello scoppio della guerra diCorea, quindi avrei potuto esserespedito là, ma avevano già scopertola mia propensione per leintercettazioni radio e mi avevano

assegnato ai servizi di sicurezza. LaCorea non venne neanche presa inconsiderazione. Potevo scegliere trala Germania o l’isola di Adak,nell’arcipelago delle Aleutine, inAlaska. Non fu una scelta difficile:freddo e solitudine o birra e belleragazze tedesche? Ovviamente scelsiLandsberg.

Ho scelto di arruolarmi per lostesso motivo che ha spinto tantiragazzi di campagna del Sud a farequesta scelta, ovvero la totalemancanza di un’alternativa al durolavoro nei campi. Prima, però, hotentato altre strade, come peresempio trasferirmi al Nord perlavorare in una fabbrica diautomobili. Feci l’autostop fino aPontiac, in Michigan, e venniassunto come operaio nella catenadi montaggio della Fisher BodyCompany. Il mio compito era starealla pressa che forava le placche peri giunti del cofano della Pontiac del‘51. Quel lavoro non faceva per me,e anche l’ambiente non era ilmassimo. Gli uomini sapevano solobere, bestemmiare e vantarsi dicomportamenti che urtavano la mia

sensibilità di ragazzo. Resistetti solotre settimane, poi tornai di nuovo acasa in autostop, con in tasca tantodenaro quanto non ne avevo maivisto in vita mia. In Arkansas nonc’era nulla che facesse per me. Laterra era ormai sterile, producevasolo mezza balla di cotone ad acro.L’unico lavoro che riuscii a trovarefu in uno stabilimento cheproduceva margarina, dove miopadre aveva iniziato a fare l’operaio.Fu un’esperienza perfino peggiore diquella della fabbrica di automobili. Ilmio primo incarico fu da manovale,ma ero troppo magro e debole, cosìmi assegnarono alla pulizia dellecisterne. Ero immerso nellasporcizia, in un caldoinsopportabile, e guadagnavo unamiseria. In confronto a quello, unostipendio del governo e una divisaimpeccabile erano un miraggio.Decisi di arruolarmi in ferma breve.Ultimamente, vedendo i miei capelliche diventano grigi, il mio passosempre più malfermo e le energieche diminuiscono di anno in anno,mi sono chiesto se sia valsa la penadi dedicare i migliori anni della miagiovinezza all’aeronautica degli StatiUniti. A quel tempo, però, sentivoche era la cosa giusta da fare. Tuttivolevamo servire con onore il nostroPaese. Come ho già detto, lacaserma è stata una palestra di vita,e mi ha mostrato il lato oscuro dellepersone. La violenza, per esempio.

Sono stato spettatore di una rissatra bianchi e neri per la prima voltain vita mia proprio nell’aeronautica.Eravamo in una palazzina di novepiani a Bremerhaven, un alloggiotemporaneo in cui eravamo ospitatiprima del trasferimento aLandsberg, quando sentii sollevarsiun gran rumore di voci nelcorridoio. Andai a vedere, ed eccolilì, uomini bianchi e di colore,commilitoni con la stessa divisa(l’aeronautica fu la prima forzaarmata a promuovere l’integrazionerazziale) che se le davano di santaragione. Alla fine della rissa molti diloro erano davvero conciati male efinirono in ospedale. Fu un miracolose non ci scappò il morto. Quellarissa era nell’aria da tempo. Durantetutto il viaggio in nave attraversol’Atlantico c’erano stati tensione escambi di battutacce, ma le coseerano peggiorate una volta arrivati aBremerhaven. Io cercai di starnefuori il più possibile, e non capivocome mai tanti si facesserocoinvolgere in atti del genere. Perme non c’era nessun problema acondividere la camerata conpersone di colore, e non mi sareimai immaginato che qualcunopotesse provare un odio tale nei loroconfronti da voler scatenare unavera e propria guerra personale.Forse ero solo giovane e innocente,ma la mia opinione non è cambiatanegli anni. Quello che è certo è chene ho imparate molte sull’odiorazziale, da quell’episodio in poi.

Un elemento che spiega quellasituazione è il fatto che in quellapalazzina avevano richiuso ungruppo di uomini addestrati auccidere, che dopo essere statiobbligati a comportarsi dagentiluomini durante un viaggionoioso e interminabile, invece ditrovarsi sul campo a combattere ilnemico, a Bremerhaven eranocostretti a una sorta di ozio forzato.Praticamente erano una bomba aorologeria.

Arrivato a Landsberg, il mioatteggiamento non violento duròpoco. Una volta che capii comeordinare da bere e agganciare unaragazza, non mi fu difficile passare algrado successivo: bere pesante ecercare rissa. Non era difficile.L’esercito degli Stati Uniti non avevabasi nelle vicinanze, così nonavevamo a disposizione i nostri rivalistorici, ma i tedeschi erano unabuona controparte. C’era sempre unbuon motivo per fare una rissa, eraparte del divertimento serale di noifocosi guardiani della democrazia.

Nell’immagine grande Johnny Cash in un emblematico atteggiamento. Qui accanto in unafoto segnaletica scattata durante un fermo. Qui sotto il Million Dollar Quartet (Jerry LeeLewis, Carl Perkins, Cash e Elvis Presley) nel 1956; a sinistra, al bar con Bob Dylannel 1965; a destra, una foto promozionale della commedia «Hootenanny Hoot», diretta daGene Nelson (1963). In basso, Cash con i Tennessee Two. Nella pagina accanto, in basso,la copertina del libro «Johnny Cash. L’autobiografia» da cui pubblichiamo alcuni estratti

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Nella foto grande un’immagine virtualedi Johnny Cash per il videogioco«Guitar Hero 5» del 2009. Accanto,l’ironia corre sul web; in basso Cashcon la sua seconda moglie June Carter

In realtà, l’aeronautica mi ha datomolte occasioni per viaggiare eallargare le mie vedute. Sono stato aLondra, e ho assistito dal vivoall’incoronazione della regina nel1953. Sono stato a Oberammergau,cittadina bavarese celebre per lamessa in opera della Passione diCristo e per la pesca delle trote. Sonostato a Parigi, e sono andato a vederele ballerine alle Folies-Bergère. E aBarcellona, dove le ragazze eranoovunque, e nelle cantine i musicistisuonano il flamenco. Ho comprato lamia prima chitarra proprio inGermania, per venti marchi (circacinque dollari, a quel tempo). Miricordo ancora la fatica per portarlaalla base: sei chilometri a piedi nellaneve alta fino al ginocchio. Quandoentrai in camerata erocompletamente intirizzito. In quelperiodo mi piaceva solo cantare, eogni occasione era buona per farlo,sia da solo che con i miei compagni.In un certo senso era ancora come inArkansas, a parte il contesto, che eraleggermente diverso. All’inizio,durante il periodo di addestramentonella base militare di San Antonio, mimancava il fatto di cantare durante lamessa, ma i canti durante la marciami divertivano. (...) L’aeronauticamilitare apprezzava molto il miotalento di intercettatore, e tentò diconvincermi a rimanere in serviziopermanente promuovendomi pocoprima del termine del periodo diferma. «La nominiamo sergentemaggiore, sergente Cash, e lapreghiamo di riconsiderare leopportunità di una carriera a lungotermine nell’aeronautica.» Era troppotardi. Per tre anni mi avevanoobbligato a stare in Germania, senzaneanche un permesso per tornare acasa, neanche una volta; inoltre miavevano fatto presente che, se fossirimasto arruolato, non avrei maipotuto lasciare i servizi di sicurezza.«E se volessi far parte della bandadell’aeronautica?» domandai. «Non èpossibile», fu la loro risposta. «Haifatto un giuramento di segretezza.Non puoi andartene. Anche se ti ritiridalle forze aeree, il giuramentorimane valido.» Per un orribile istantefraintesi quelle parole e pensai chenon mi avrebbero mai lasciatoandare, ma non fu così. Fu unabuona cosa. I würstel e la birra inGermania erano ottimi, ma nonvedevo l’ora di tornare a casa, dove lavita era semplice, e il cotone crescevaalto.

La domanda numero tre è la piùscontata: Perché si veste sempre dinero?

Innanzitutto, non è sempre così.Quando non sono in pubblico,indosso quello che mi pare. Maquando sono sul palco, lo indossosempre, e per molti motivi. Il primo èovviamente la canzone Man in Black,che ho scritto nel 1971. Alloraconducevo uno show in televisione, ei giornalisti mi facevano spesso ladomanda numero due, quella sucome componevo le canzoni, cosìdecisi di rispondere dando unmessaggio. Quando cantavo vestitodi nero, lo facevo per i poveri e idimenticati dalla società, coloro chevivono nelle disperazione. Mi vestivodi nero per i carcerati che hanno datempo pagato per i loro crimini masono costretti alla reclusione perchécapri espiatori della società, per glianziani soli e malati. E, last but notleast, mi vestivo di nero in segno dilutto per tutti quelle centinaia digiovani che ogni settimana morivanoin Vietnam (...) Un altro motivo percui mi vesto di nero risale alla miaprima performance pubblico, in unachiesa di Memphis, ben prima cheincidessi il mio primo disco, o che miazzardassi a bussare alle porte dellaSun Records. Marshall Grant e LutherPerkins erano già al mio fianco,quindi perlomeno potevo dire diavere una band, anche se nonavevamo uno stile preciso che ciidentificasse. Nessuno di noi avevauna tenuta per esibirsi in pubblico,né un completo, né una cravatta. Gli

unici abiti simili che possedevamoerano una camicia nera e un paio dijeans. Fu così che quella divenne lanostra divisa, e visto che il pubblicodi quel primo concerto sembrògradire la nostra esibizione, e che imusicisti sono superstiziosi (anche sedicono il contrario, non credetecimai), ho pensato di non cambiare.Marshall e Luther si sono adeguatiper un po’, io l’ho mantenuta per ilresto della mia carriera. Mia madrenon voleva vedermi sul palco così,quindi, dopo un paio di successi, leho concesso di confezionarmi deicompleti che a suo parere erano piùadatti - me ne ricordo ancora uno,bianco con i risvolti blu - ma non misentivo a mio agio con quei vestiti, ecosì sono tornato al nero. In effettil’ultima ragione che posso portare adifesa della scelta del nero è moltosemplice: è un colore che mi piace,mi sta bene. Vestirmi di nero hatuttora un profondo significato perme. È il mio personale simbolo diribellione contro lo status quo, leipocrisie di una certa parte dellaChiesa e l’ottusità di chi non saaprirsi alle idee altrui. (...)

Non ho mai picchiato nessuno invita mia, ma di sicuro ho fatto del

male a molte persone, in particolarequelle a me più vicine. Di solito,quando ero fuori di me o sottol’effetto delle droghe, mi sfogavoprendendomela con le cose. Hopreso a calci oggetti, li ho fatti apezzi, presi a coltellate. Quando eroin preda alle droghe non miimportava di nulla, sentivo solo ilbisogno di scaricarmi distruggendoqualcosa. Il mio egoismo avevaraggiunto un punto tale che non miinteressavano né il valore economiconé quello sentimentale che le coseche distruggevo potevano rivestireper chi ne era il possessore. Me nefregavo e basta, e di solito toccava aMarshall Grant preoccuparsi dirimborsare i miei danni. Se voletequalche dettaglio in più, mi spiace,ma ne ho già parlato in passato, enon ho intenzione di farlo ancora.Sinceramente sono stanco diraccontare sempre le stesse cose, emi dà un po’ fastidio che l’abitudinedi devastare le stanze dei motel dovealloggiavamo nei tour sia diventatauna sorta di emblemadell’esuberanza giovanile e del rifiutodelle regole. Non è così, in realtà. Imotivi erano più gravi e profondi.Quella era semplicemente violenza.

LA GIOVENTÙ NELL’ARKANSAS, I SUCCESSI, LE DROGHE E L’INCONTRO CON QUELLA CHE SAREBBE DIVENTATA LA SUA SECONDA MOGLI

«Ero totalmente ammaliato da quella ragazzavivace e divertente, dotata di uno spiritoe di una forza di volontà fuori dal comune.Riusciva a farmi dare il meglio di me sul palco...»

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In realtà quelli erano solo episodisporadici, per la maggior parte deltempo io e i miei compagni di tour cidivertivamo a fare stupidate, cose chedi per sé non erano né pericolose nédistruttive.

Stu Carnall, che insieme a BobNeal seguiva i miei affari una voltache mi trasferii in California, eradavvero un pozzo d’inventiva.Mentre Bob, un uomo gentile epaziente, cercava di rimettermi sullaretta via, Stu, che ci seguiva in tourmentre Bob rimaneva in ufficio,decise ben presto che era piùsemplice seguire la mia condottasregolata invece che opporvisi. Alposto delle pillole si dedicò all’alcol,ma non si lasciò mai andare acomportamenti distruttivi. Alcontrario, era un tipo molto creativo.Si divertiva a presentarsi allareception dell’hotel dove stavamocon indosso una tuba e un mantellonero dicendo di chiamarsi baronevon Karnall. Ovviamente, non c’eranessuna prenotazione a quel nome, ecosì Stu iniziava a picchiare con ilbastone sul bancone della receptione a gridare stizzito: «Giovanotto, esigola mia suite!» La cosa strana era cheriusciva sempre a ottenere una suitee, alle volte, dei servizi aggiuntivicome scuse da parte della direzione.Faceva quella scenetta ogni volta checi trovavamo in una grande città.Nelle cittadine di provincia, ne sonosicuro, non avrebbe mai funzionato.Ho sentito davvero la sua mancanzaquando ha deciso di separarsi da Bobe di iniziare una sua attivitàautonoma nel mondo della musica.

Gordon Terry era un altro

buontempone. Esercitava un granfascino sulle donne, e lui stesso neera succube, anche se era felicementesposato con sua moglie Virginia eaveva due figlie, Betsy e Rhonda.Erano davvero una bella famiglia, eVirginia era una cuoca senza pari,specialmente quando preparava ilpollo fritto, tanto che in seguito haaperto una società di catering aNashville. Era totalmente devota aGordon, nonostante le suescappatelle, ed entrambi, in qualchemodo, sono stati capaci di tenereunita la loro famiglia. Gordon era unviolinista eccezionale. Ha iniziato afar parte dei miei spettacoli pocotempo dopo aver abbandonato laband di Ferlin Husky. Gli lasciavoaprire lo show con un assolo. Sulpalco la sua personalità dominava, edera un intrattenitore favoloso. Sapevatirare fuori il meglio da quel violino, ecoinvolgere ogni singola persona delpubblico.

Anche Johnny Western era un tipodivertente. Era il tipico cowboy delSud, una vera autorità del VecchioWest, sia nella vita reale che nelmondo della musica, della televisionee del cinema. È una delle persone piùbrave a maneggiare una pistola che

abbia mai conosciuto: non ho maivisto nessuno capace di estrarrel’arma dalla fondina con la suavelocità, e anche se non mi sono maiavvicinato alla sua bravura, mi hainsegnato molti trucchetti. Eradavvero un bravo chitarrista, uno deipochi che sapeva avvicinarsi allo stiledi Luther Perkins. È stato uno deiprimi che ho chiamato dopo la morteimprovvisa di Luther, ma ai tempi eraimpegnato con altri ingaggi. Grazie alui, a Gordon Terry, e a Larry e LorrieCollins, quando salivo sul palco ilpubblico era già pronto per la miamusica. È stato Saul Holiff, il miomanager di allora, a portare il miospettacolo e la mia carriera a un altrolivello. Io ero pienamente soddisfattodi quello che facevo, mi bastavasuonare e riuscire a vivere grazie allamusica, ma dopo aver conosciuto dipersona Saul (lo incontrai in unatappa del tour che aveva organizzatoa London, in Ontario, dove abitava) lesue idee iniziarono a convincermi.Secondo lui, invece di limitarmi aiteatri e alle sale da ballo degli StatiUniti e del Canada, dovevo puntareall’Europa, all’Oriente e alle grandilocation delle principali cittàamericane, come la Carnegie Hall ol’Hollywood Bowl. Questo, per lui, erasolo l’inizio di una carrierainternazionale. Gli credetti, e luimantenne la promessa. Saul mi hafatto da manager per più di diecianni, fino alla metà degli anniSettanta, quando decise di averneabbastanza dello show business e cheper lui era giunta l’ora di ritirarsi dallescene. È stato lui l’artefice di molte scelte azzeccate della mia carriera, e glisono debitore. Non penso di essere stato io la causa del suo ritiro dal mondodella musica, ma di sicuro non ero uno degli artisti più gestibili con cui sitrovava ad avere a che fare. Saul però aveva il suo modo di evitare i problemi.Ogni volta che combinavo qualche casino, che di solito comprendeva ladistruzione di qualcosa, una lite con qualcuno, una marea di soldi buttati al

vento, qualche legge infranta e unavisita a una cella della prigione locale,aveva il potere di diventareimprovvisamente irraggiungibile. Allafine risolvere i problemi toccavasempre al povero Marshall Grant.

È stato Saul a farmi mettereinsieme a June, intendo dire dalpunto di vista professionale,chiedendole di salire con me sulpalco al Big D Jamboree di Dallas, inTexas, il 5 dicembre 1961, una datache per me segnò l’inizio di qualcosadi più importante, che forse anche luiaveva intuito. La prima volta che vidiJune avevo diciotto anni, durante lagita dell’ultimo anno al Grand OleOpry con la mia classe dellesuperiori. Fino ad allora l’avevo solosentita cantare alla radio, e la suavoce mi era piaciuta, ma quello chevidi sul palco del Ryman Auditoriummi piacque ancor di più. Quella serasi era esibita con la Carter Family eaveva fatto un intermezzo comico dasola con Ernest Tubb come spalla.Era davvero brava e bellissima, unavera star. Per me fu un colpo difulmine. La volta seguente che larividi, di nuovo all’Opry, eranopassati sei anni, e questa volta ero nelbackstage, perché quella sera miesibivo anch’io. Le andai incontro esenza esitare le dissi: «Tu e io ungiorno ci sposeremo». A quel tempoJune era sposata con Carl Smith, oforse con Rip Nix, non mi ricordobene, quindi non era disponibile, e iolo sapevo, ma volevo che le fossechiaro fin dall’inizio quanto laammiravo e quanto fosse nei mieipensieri. Lei scoppiò a ridere.«Davvero?» mi chiese. «Certo.» «Be’,buono a sapersi», replicò lei. «Nonvedo l’ora.» E fu così che rompemmoil ghiaccio. Da quel momentopassarono cinque anni prima di quelfatidico 5 dicembre del 1961. GordonTerry e Johnny Western erano giàparte del mio show, ma il Big DJamboree era un palco importante esecondo Saul dovevamo pensare aqualcosa di speciale per quellospettacolo. «So che sei un

ammiratore di June Carter, la ragazzadel Grand Ole Opry, quindi le hochiesto di prendere parte allo show distasera», mi disse. Per me andavabenissimo e lei fu perfetta sul palco,cosa che rese la mia domandasuccessiva molto più facile. «Che nepensi di unirti al nostro tour perqualche altra tappa?» le chiesi. June cipensò un attimo, poi rispose: «Be’,non lo so. Devo parlarne con Saul. Seriusciamo a trovare un accordo, piùche volentieri, ne sarei davverofelice». Anch’io ne fui felice. Lei eSaul riuscirono a mettersi d’accordo,e l’11 febbraio del 1961 June si unì alnostro tour nella tappa di DesMoines, in Iowa, per un concerto alKrnt Theater organizzato da SmokeySmith, un mio amico disk jockey.

Facevano parte dello stesso showanche Patsy Cline e BarbaraMandrell, che allora aveva solo dodicianni ed era al suo primo tour.Entrammo in confidenza fin dasubito. Ero pronto per salire sul palcoquella sera, o almeno così credevo,quando June mi disse: «Ehi, dammi lacamicia!» «Quale camicia?» le chiesi.«Quella che indossi», mi rispose.«Non vorrai salire sul palco con unacamicia spiegazzata!» Non eroabituato a sentirmi dare degli ordini,e per un istante fui infastidito da quelcommento, poi mi tolsi la camicia egliela lanciai. Lei la stirò, e quella seraper la prima volta salii sul palco conindosso una camicia senza pieghe. Fucosì che ebbe inizio la sua infinitadedizione nei miei confronti, e la miatacita accettazione della suamissione. Ero totalmente ammaliatoda quella ragazza vivace e divertente,dotata di uno spirito e di una forza divolontà fuori dal comune. Riusciva afarmi dare il meglio di me sul palco,ed era una sensazione magnifica.Tutti ne eravamo incantati. Juneaveva cambiato l’umore di tutta latroupe, e la vita in tour eradecisamente migliorata. La tappasuccessiva a quella di Des Moines eraa Oklahoma City, dove ci aspettavanoCarl Perkins, Sonny James e MissNorma Jean. June viaggiava inmacchina con me. Luther, Marshall eFluke erano una compagniapiacevole, ma mai quanto June. Misiin chiaro le cose dal primo giornocon i ragazzi, senza tralasciareJohnny Western e Gordon Terry:«Vedete di non fare gli scemi conJune. Vi tengo d’occhio, nondimenticatelo». Non se lo feceroscappare di mente facilmente.

Era difficile per Gordon resistere difronte a una ragazza così bella, maJune aveva una buona reputazionenell’ambiente. Non si era maicacciata nei guai, e se scherzava conqualcuno lo faceva senza malizia. Allafine del tour, chiesi a Saul diassicurarsi che June fosse parte ditutte le tournée che avevamo inprogramma. Lui fece in modo chefosse possibile, e da quel momento inpoi June si unì al nostro gruppo, nellabuona e nella cattiva sorte.

* Un estratto da «L'autobiografia»(Baldini&Castoldi, pp. 344, euro 20)di Johnny Cash (1932-2003). Uscitonegli Usa nel 1997, il libro racconta la«vera vita» dell'«uomo in nero» (comesi faceva chiamare) che ha cambiatola storia del country statunitense.Scritto quasi di getto ma con unaprosa diretta e senza sbavature,questo è il resoconto di un'esistenza alnetto di leggende e miti che l'hannoinevitabilmente accresciuta.Copy 2012 Baldini Castoldi Dalaieditore - Milano

E, JUNE CARTER

In questa pagina tre scatti che ritraggono Johnny Cash in vari momentidella sua lunga carriera. Nella colonna a sinistra

tre copertine di dischi del cantautore di Memphis:«Man in Black», «I Walk the Line» e il live «At Folsom Prison»

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PAGINE/2 ■ LE LOTTE OPERAIE IN MUSICA

Acciaio e tabacco.Storie di fabbrichee di contadini,da Terni al Salento

Nei riquadri le copertinedei tre libri di cui si parlain questa pagina. In altoil cantautore calabreseOtello Profazio, qui accantouna vecchia immaginedi operai al lavoronelle acciaierie di Terni

di MICHELE FUMAGALLO

«Sciuri di granu/sciuri di granu/dicìtimi: è o non è 'nu fattu stranu?/Nascìa in Sicilia/e sugnu italianu»(Fiore di grano, fiore di grano,ditemi: è o non è un fatto strano?Sono nato in Sicilia e sono italiano).Così strimbellava Otello Profazio,grande cantastorie calabrese, 40 annifa, nell'opera sua più ambiziosa checantava (meglio: controcantava)l'Unità d'Italia vista dal sud, anzidalla Sicilia. L'Italia cantata dal Sudviene riproposta dall'editore Squilibriin un volume più cd (euro 18). Ed èquanto mai intrigante ripercorrerenon solo una storia cantata di unperiodo controverso della nostranazione ma vedere quanti e qualisguardi sono mutati in questo lassodi tempo dalla prima edizione a oggi.Da ciò che ne scrisse Carlo Leviallora al saggio di oggi di DomenicoFerraro che inquadra l'opera nelpercorso successivo che ha avuto lamusica popolare e nelle diatribeideologiche che contrapposero ipuristi del canto popolare a Profazio.A quarant'anni dalla prima edizionetorna dunque l'opera forse piùambiziosa di Otello Profazio,cantastorie sanguigno e schietto chele gesta risorgimentali meridionali (ei loro risvolti a volte tragici) mise inmusica e in parole. E lo fece non conla furbizia degli attuali riscopritori diun canto del sud borbonico e rivoltosempre all'indietro, ma con laconsapevolezza insieme della storiache guarda avanti e delle tragedie diuna incomprensione che affonda leradici nella lotta di classe, non nelladicotomia generica e furba nord-sud.Non che Profazio propugniesplicitamente una linea politica neisuoi canti, ma è evidente che le suemanipolazioni artistiche sanno dellasperimentazione che guarda inavanti, mai indietro.

E così anche in questa raccoltasulla storia d'Italia, ritornano allamemoria tutti gli scontri registrati inperiodi in cui le lotte ideologicheavevano il sopravvento anche incampo musicale e qualsiasicontaminazione era banditasoprattutto dagli studiosi e artistilegati più radicalmente a unapurezza del canto popolare difficileda dimostrare. Erano gli anni in cuil'approccio all'arte non teneva indebito conto il misterodell'espressione artistica e quindi lasua difesa a lasciarsi rinchiudere inschemi ideologici che magari potevapermettersi l'organizzazione partitica(col rischio di pagare prezzi salatiall'ideologia), non certo l'arte chenon tollera condizionamenti di sorta.L'arte è un gioco, sembra dirci OtelloProfazio, e in quanto tale puòcontaminarsi con qualsiasi altraespressione artistica. Il cantastorie nepagò le conseguenze, come analizzaacutamente Domenico Ferraro, conattacchi duri da parte di GiovannaMarini che, impegnata nellavalorizzazione delle culturetradizionali antagoniste, dicevaessere non la Cinquetti il pericolo («èun prodotto come un altro, è unasaponetta») ma Profazio («in cui ilfolk non è più cultura: lui diventa ilmediatore, dolcifica, fa delcromatismo, degli effetti anche bellie così il popolare diventa borghese»).

Fu davvero un peccato nonritenere entrambe le lineecompatibili con l'espressioneartistica: ne avrebbe guadagnato lamusica. È interessante rileggere nelvolume questa diatriba tra puristi econtaminatori così come è rivisitatada Ferraro che, a propositodell'atteggiamento di Profazio, scrive:«Già nel 1969, in coincidenza conl'avvio di Quando la gente canta(trasmissione radiofonica condottadal cantautore, ndr), rivendicava a sestesso e a Matteo Salvatore, suo

interlocutore nel programma, imeriti di un prezioso lavoro diarcheologia musicale, realizzato conl'abilità propria dei restauratori».All'apparire de L'Italia cantata dalSud, Profazio ha 35 anni ma è già unautore in voga da 20. Quindi ha tuttele carte in regola per cimentarsi inuna storia musicale altra dell'unitàdel nostro paese. I sedici cantidell'opera, racchiusi dal prologo edall'epilogo di Fatto strano,esprimono al meglio la psicologia delsud e dei suoi passaggi storici:dall'entusiasmo per Garibaldi e perl'Unità d'Italia, al Risorgimentotradito nelle sue aspettative piùprofonde di libertà e di eguaglianza.E al sopravvento non più degli eroirisorgimentali ma della protestadisperata dei briganti. E si va dallacanzone simbolo contro i Borboni diLa palumbeddha janca (Lacolombella bianca) a Ballatellacontro i Borboni altrettanto radicale.Da Garibaldi popolare all'ironia diGuvernu 'talianu, riproposta anchein appendice nella versione conDaniele Sepe e l'Art Ensemble ofSoccavo. Dal brigantaggio aldisincanto, dall'emigrazione allamafia: sono i canti di un'opera cheha il merito di restituirci non solo uncantautore popolare di valore ma unmodo del tutto perduto di cantare lastoria del nostro paese.

di G. FE.

Rubiamo subito le parole a MilenaMagnani, che ha introdotto uno deidue volumi di cui qui tratteremo:«Succede, incontrando questo testo,di essere presi per mano e portati adattraversare la storia di un luogo.Esperienza rara in un'epocaincentrata su un eterno presente,un'epoca che tende ad occultare lastoria nelle pieghe, a nasconderlanegli anfratti, per farla scompariredavanti al nostro sguardosemplificato e addomesticato per lapassività catodica». Questo, e anche,forse, quello che apparentementesembrerebbe l'opposto dellanarcolessi televisiva che occulta lecose: una presenza infinitamentedilatata e replicata degli eventi, diqualsiasi evento, dunque anche quelli«sociali» e «culturali», nel flussoindistinto della Rete. Tutto presente,ma tutto perso, comunque, in unavorticante e compulsiva «retromania»che diventa vetrina semipornografica(si vede e si rivede tutto, ma tutto è

sempre lo stesso) dell'accadutosmaterializzato in pixel. Sia come sia,è anche su testi (e annessi cd) pesanticome Memorie della terra/ Racconti ecanti di lavoro e di lotta del Salento,curato da Vincenzo Santoro, e LaValnerina ternana/ Un'esperienza diricerca-intervento, curato da

Valentino Paparelli e AlessandroPortelli (primo volume di unaneonata e coraggiosa serie cheriporta in vita, tramite il CircoloGianni Bosio, la gloriosa sigla «Igiorni cantati») che si gioca un bellospicchio di futuro della memoria dellavoro. Perché alle generazioni dellavoro precario a vita, quando c'è,alla generazione della «noia del postofisso» che non c'è - il posto, non lanoia - e del paracadute sempre piùristretto della famiglia cheammortizza i morsi sfacciati delneoliberismo forse non sarà datolasciare memorie collettive comequeste. E non certo per mancanza difantasia o incapacità di lotta, assenzadi maturità da bamboccionimammoni: ma perché s'è quasicompiuto il disegno del divide etimpera, la call-centerizzazione dellasocietà che lavora, l'aggregazionedelegata al clic del «mi piace» su unatastiera.

Entrambi i testi arrivano dallaromana editrice Squilibri, che negliultimi anni molto ha fatto perrecuperare parole e suonidall'immenso «giacimento culturale»delle tradizioni popolari, del lavoro edelle lotte. Qui però con questi duetesti si va anche oltre, e sia dettosenza nulla togliere a chi, in testiprecedenti, ha svolto meritoria operadi salvataggio, recupero e diffusionedi nastri che rischiavano l'oblio e lapolvere assieme. Qui, nei due libri, cisi interroga, anche, sulla possibilità didare contezza e «parole per dirlo»con un affondo diretto nellacontemporaneità. Il che significa, inpratica, vedere come reagisce ilpresente della musica, della cultura,della resistenza al pensiero uniconell'affrontare materialiapparentemente sepolti nel tempo enello spazio. Nel caso di Memoriedella terra si ripropone, in testo

scritto, fotografie e cd allegato, unospettacolo fortunato costruito su duedistinte stagioni di ricerche «sulcampo» nel Salento con lametodologia della «storia orale», l'unalegata alla cosiddetta «Rivolta diTricase» del 1935, quando, in pienoregime mussoliniano, unamanifestazione di piazza delleoperaie tabacchine dello stabilimentoAcait venne brutalmente repressa nelsangue, l'altra all'occupazione delfeudo di Arneo nell'immediatodopoguerra, tra il '49 e il'51,magnifica e sorprendente azione dilotta dei contadini pugliesi. In ognicaso, siamo lontani anni luce dalpatinato «revivalismo» della Taranta edalla sottesa dimensione puramentemagico-ludica della musica e diculture contadine profondamentemarcate, invece, dalla miseria, dalleumiliazioni dei proprietari, e da una

storia sottotraccia di fiera resistenza.Le voci narranti nel cd sono quelledell'autore Santoro e Anna CinziaVillani, forse la migliore ugola «trad»del sud emersa negli ultimi anni, lemusiche proposte dalla stessa Villani,Daniele Girasoli, Maria Mazzotta,Enrico Noviello, Paparelli e Portelli.

Doppio confronto, invece, ne LaValnerina ternana: da un lato lariproposta del disco pubblicato inorigine da I Dischi del Sole nei primianni Settanta, quando operai econtadini umbri andarono anche suipalchi d'Europa a raccontare unreticolo di storie chiuse nella forbicespietata di un territorio al contempocontadino e industriale,accompagnati dagli allora assaigiovani esponenti del folk revivalitaliano, dall'altro un cd cheripercorre trent'anni dopo quelletracce sedimentate. Con GiovannaMarini, Almamegretta, La Piazza,Lucilla Galeazzi, Piero Brega, ilCanzoniere del Lazio, SaraModigliani. È il caso di dire: la storiacontinua. Attraverso la memoria atutto campo.

RITMIPAGINE ■ L’OPERA PIÙ AMBIZIOSA DEL FOLKSINGER CALABRESE

Otello Profazio,il risorgimentodel Meridione

A quarant'annidalla primaedizione vieneripubblicatoil volume, con cd,«L’Italia cantatadal Sud». Immaginaun’altra «unità»della Penisola

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Foo FightersLa band dell’ex batterista dei Nirvana,Dave Grohl torna dal vivo nel nostropaese. Con loro The Gaslight Anthem.Codroipo (Ud) LUNEDI' 13 AGOSTO(VILLA MANIN)

Anti-FlagVengono da Pittsburgh, suonano punk econdiscono i loro testi di uno spiritoipercritico nei confronti della societàamericana e dei suoi «poteri».Sesto San Giovanni (Mi) MARTEDI'14 AGOSTO (CARROPONTE)

MúmI raffinati suoni della band islandese.Arco (Tn) VENERDI' 24 AGOSTO (CASTELLO)

Fat Freddy's DropLa band neozelandese si muove tra funk,reggae, soul e dub.Segrate (Mi) MARTEDI' 28 AGOSTO(MAGNOLIA)

Major LazerI dj e producer Diplo e Switch.Otranto (Le) MERCOLEDI' 15 AGOSTO(DAY OFF MUSIC FESTIVAL)

AfterhoursTorna dal vivo la rock band milanese.Messina SABATO 11 AGOSTO (ARENA VILLADANTE)Scicli (Rg) DOMENICA 12 AGOSTO (PARCOVALLE VENTURA)Gallipoli (Le) MARTEDI' 14 AGOSTO

(PARCO GONDAR)Rispescia (Gr) GIOVEDI' 16 AGOSTO(PARCO NATURALE DELLA MAREMMA-FESTAMBIENTE)Ripatransone (Ap) SABATO18 AGOSTO (PICENO SUMMER FESTIVAL)Brescia LUNEDI' 20 AGOSTO(VIA SERENISSIMA-FESTA RADIO ONDA D'URTO)

CaparezzaIl nuovo tour del rapper di Molfetta.Cannole (Le) SABATO 11 AGOSTO (PARCOTORCITO)Cittanova (Rc) DOMENICA 12 AGOSTO(FESTA DELLO STOCCO)Cerveteri (Rm) GIOVEDI' 16 AGOSTO(ETRURIA ECO FESTIVAL)Rispescia (Gr) VENERDI' 17 AGOSTO(PARCO NATURALE DELLA MAREMMA-FESTAMBIENTE)Foggia LUNEDI' 20 AGOSTO (SUONI IN CAVA)Vallata (Av) VENERDI' 24 AGOSTO (PIAZZASAN BARTOLOMEO)Castelsaraceno (Pz) SABATO25 AGOSTO (FESTIVAL DEI DUE PARCHI)

Il Teatro degli OrroriIl tour di presentazione de Il mondo nuovo.Bologna MARTEDI' 14 AGOSTO (ESTRAGON)Brescia VENERDI' 24 AGOSTO(VIA SERENISSIMA-FESTA RADIO ONDA D'URTO)Claut (Pn) SABATO 25 AGOSTO(SUMMEREND FESTIVAL)Reggio Emilia MERCOLEDI' 29 AGOSTO(FESTA DEL PD)Osnago (Lc) VENERDI' 31 AGOSTO (FESTADEMOCRATICA)

YpsigrockL'interessante festival siciliano dedicatoalla musica indie internazionale proponeanche quest'anno ospiti di livello assoluto:We Were Promised Jetpacks, ShabazzPalaces e Fuck Buttons (oggi), DjangoDjango, Alt-J e Primal Scream (domani).Castelbuono (Pa) SABATO 11E DOMENICA 12 AGOSTO (CASTELLO)

Not.FestSeconda edizione del festival di musichecontemporanee in Sicilia. La primagiornata ha in programma i concerti diJoyce Muniz con n8 of Jungle Brothers e idj set di Martyn e Nickodemus, domanitocca a Offlaga Disco Pax, Shantel &Bucovina Club Orkestar, Daddy G e BenjiBoko. Il 13 sarà la volta di Fujiya & Miyagi,Sóley, Colapesce + Meg, e Apparat,mentre in chiusura il 14 Jessie Evans,Dimartino + Brunori, The Hundred in theHands e Miss Kittin.Noto (Sr) DA SABATO 11 A MARTEDI'14 AGOSTO (CENTRO POLISPORTIVO PALATUCCI)

I Suoni delle DolomitiIl festival trentino per l'ultima parte dellaprogrammazione ha in cartellone: RichardGalliano (il 20, San Martino di Castrozza),Simone Cristicchi (il 21, Altopiano diLavarone), Orchextra Terrestre (il 22,Arboreto, Pieve Tesino), Enrico Ruggeri(il 23, Camp Centener), Sergej Krilov,Maxim Ryasnov (il 24, Laghi di Bombasèl),Canadian Brass (il 25, Val Salei), AndreaDulbecco, Bouble Mallets Trio (il 27,

Malga d'Arnò, Valli Giudicarie), LondonBrass (il 28, Bivacco Dino Marinelli).Dolomiti DA LUNEDI' 20 A MARTEDI'28 AGOSTO (VARIE SEDI)

Strade BluIl festival ha in cartellone i concerti diIsobel Campbell e Robyn Hitchcock(stasera, Brisighella, Ra), Sacri Cuori conIsobel Campbell (14, San Leo, Pu), DeerChildren ( 21, Ex-Fabbrica Candele, Forlì).Comuni della Romagna SABATO 11,MARTEDI' 14 E MARTEDI' 21 AGOSTO (VARIE SEDI)

SummerendIl Dolomiti Live Festival si sviluppa inquattro serate, con: The Cyborgs + Molee altri; Les Tambours du Bronx; Skardy &Fahrenheit 451 + Mellowmood e altri; IlTeatro degli Orrori + Motel Connectiondj set è Pink Holy Days e altri.Claut (Pn) DA MERCOLEDI' 22 A SABATO25 AGOSTO)

OrientoccidenteLa rassegna di culture e musiche migrantichiude con Giulia Lorimer feat. WhiskyTrail (il 12, Loro Ciufenna) e The Gang +I Maestri dell'Ottava Rima (il 24,Terranuova Bracciolini).Provincia di Arezzo DOMENICA 12E VENERDI' 24 AGOSTO (VARIE SEDI)

Time in JazzLa rassegna voluta da Paolo Fresu ha unintenso programma che vede esibirsi tragli, oltre lo stesso Fresu in varie

formazioni, Ettore Fioravanti, Bill Frisell,Maria Pia De Vito, Patrice Heral, ArildAndersen, Kenny Wollesen, Trilok Gurtu,Tigran Hamasyan, Antonello Salis, OmarSosa, Daniele Sepe, Gavino Murgia, HamidDrake e Funky Jazz Orchestra.Berchidda e Olbia (Ot) DA SABATO11 A GIOVEDI' 16 AGOSTO (VARIE SEDI)

FestambienteIn cartellone: Francesco De Gregori;Rocco Papaleo; Pfm; Fiorella Mannoia;Alborosie + Ikaya + Shengen Clan Band;Afterhours; Caparezza; Goran Bregovic.Rispescia (Gr) DA SABATO 11 A VENERDI'17 E DOMENICA 19 AGOSTO (PARCO NATURALEDELLA MAREMMA)

Festa Radio Ondad'UrtoLa rassegna è lunga e ospita moltissiminomi, tra cui: Banda Bassotti (12); TheSelecter (14); Sick of it All (16); Punkreas(17); Afterhours (20); Il Teatro degliOrrori (24); Nina Zilli (25).Brescia DA SABATO 11 A SABATO 25 AGOSTO(VIA SERENISSIMA)

A Perfect DayFestival tra fine agosto e inizio settembre.Sul palco: The Temper Trap, Two DoorCinema Club e The Killers (31 agosto),The Vaccines, Mogwai e Franz Ferdinand(1 settembre), chiusura con Alt-J, dEUS,Mark Lanegan Band e Sigur Rós (2).Villafranca (Vr) DA VENERDI' 31 AGOSTOA DOMENICA 2 SETTEMBRE (CASTELLO SCALIGERO)

INDIE ROCK

Una passeggiatasulla luna

IL MIO NOMEÈ BRIAN

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPAVIOLA DE SOTOGIANLUCA DIANAGUIDO FESTINESEGUIDO MICHELONEROBERTO PECIOLA

ANTONY AND THE JOHNSONSCUT THE WORLD (Rough Trade/Self)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Pochi artisti sanno emozionarcicome Antony Hegarty, la sua voce e lesue melodie toccano le nostre corde piùnascoste. Lo scorso anno lo abbiamoammirato, per l’ennesima volta, in unadelle due date italiane del tour,accompagnato dall’Orchestra FondazionePetruzzelli (ottima orchestra che oggi viveun momento difficilissimo, ma si sa lacultura in questo paese...), tour di cuiquesto Cut the World (qui conun’orchestra danese) è la riproposizionesu disco. Bellissimo fu vedere quellospettacolo e bellissimo è riascoltarlo oggi.Brani storici e non riarrangiati e riadattatimagnificamente. Pura musicalità! (r.pe.)

OSVALDO ARDENGHIDREC AL CÖR (Comunicarti)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il nome potrà anche dire poco. Iltitolo, invece, suscitare qualche curiosità.Il nome è quello dell' impetuosochitarrista dei Rusties, nati come tributeband di Neil Young, oggi tra i miglioriroots rocker della Penisola. Il titolosignifica «dritto al cuore», ed è inbergamasco. Se credete che la dura linguarubata dalle camicie verdi sia solosinonimo di chiusura, qui avete la provacontraria. Storie quotidiane narrate dauna voce aspra come le consonanti delbergamasco. E gli altri Rusties vestono lafatica cantautorale con sobrietà. (g.fe.)

PAUL BUCHANANMID AIR (Newsroomrecords)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Con i suoi Blue Nile fra Ottanta eNovanta ha rappresentato una delle puntepiù alte e nobili del pop romantico,commerciale ma senza ammiccamenti disorta. Sciolta - anche se non ufficialmente- quell'esperienza, Paul Buchanan, voceprofonda e tormentata come poche volteci è capitato di ascoltare, regala ai fan intrepida attesa (l'ultimo disco con i BlueNile è stato High nel 2004) un albumprezioso, difficile (solo piano e qualcheintrusione d'archi) giocato su pochielementi armonici, ma che conquista alladistanza. (s.cr.)

MILES DAVISPLAYS FOR LOVERS (Jackpot/Egea)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L’album originale Prestige era giàun’antologia del meglio del trombettista infatto di ballad e slow, pescando fra ottobrani incisi dal 1953 al ’56: il cd aggiungeora un attento booklet e altri ottostandard dello stesso periodo più lasplendida Stella by Starlight in quintettocon Trane e Evans. È dunque lacelebrazione del lato gentile, introverso,lirico, soffuso e raffinato di un musicistaseminale che in piena furia hard bop sa evuole essere sempre e comunque diverso(o distante) da tutto e da tutti. (g.mic.)

Se si dovesse indicare un musicista dellapopular music contemporanea attivo dasvariati decenni che riesca a contenere,nella propria poetica, gli estremi piùirriducibili, state pur certi che, nellastragrande maggioranza dei casi, gliinterpellati risponderebbero «BrianEno». Al «non musicista» diWoodbridge è dedicato un «Book disc»col titolo Sound Strategies dallaAuditorium, testi di Claudio Chianura,Fabio Martini, e una bella raccolta diriflessioni dello stesso Eno, costruitafacendo riferimento a diverse intervisterealizzate con il padre della ambientmusic. Il cd accluso riporta naturalmentebrani dello stesso Eno, oltre a musichein tema di Arturo Stalteri e PopoliDalpane Ensemble.

¶¶¶IL NOME di Eno lo ritrovate anchenell’affascinate e bizzarra Storiasegreta del rock/Le misterioseorigini della musica moderna(Arcana) scritto dallo statunitenseChristopher Knowles. Fulcro centraledel testo è che le antiche religioniiniziatiche e misteriche diffuse nelMediterraneo assomigliano in modoimpressionante, nelle pratiche, allediverse sottoculture sviluppatesi nelmondo popular e rock. Sembra unazzardo antropologico, ma la lettura deltesto e gli esempi riportati, dopoun’ampia trattazione sulla differenza e losviluppo dei riti misterici nelMediterraneo sono decisamenteconvincenti. Rockstar come erediiconici, in sostanza, delle divinitàarchetipiche dei misteri: con tanto disesso, droga, musica ad alto volume egiochi di luce. A proposito: Brian Enoovviamente non viene classificato tra idionisiaci (come Jim Morrison) o i nuoviCoribanti (come i Kinks e gli Ac/Dc, maè in buona compagnia con gli ermetici(Pink Floyd, King Crimson, Radiohead,tra gli altri).

¶¶¶GLI ANNI settanta del rock durorifulgono invece nella completissima,quasi maniacale Led Zeppelin/Discografia illustrata curata daFranco Brizi. Testi di accompagnamentobrevi ed efficaci, ma una moleimpressionante di materiale giornalisticouscito all'epoca su riviste italiane oggipressoché introvabili. Alla fine, la vogliadi rimettere sul piatto il vinile di Housesof the Holy torna prepotente.

Cammina cammina sono arrivati a dieci.Dieci anni festeggiati con un nuovo album, ilsettimo per la band newyorkese TheWalkmen, gruppo che in questa decade hasaputo conquistarsi un ruolo e un seguitonotevole, almeno dalle proprie parti. ConHeaven (Bella Union/Coop Music), prodottoda Phil Ek (già con Fleet Foxes, Shins e Bandof Horses) non stravolgono il loro modo dicomporre e suonare un indie rock dallereminiscenze pop e folk, che a noi continuaa non convincere del tutto. L’ombra diDavid Byrne e il fantasma di John Lennonaleggiano sulla testa di Lawrence Arabia,nom de plume del cantante, autore eproduttore neozelandese James Milne. Nelnuovo disco, The Sparrow (sempre per BellaUnion), Milne raccoglie suggestioni pop quae là e rilascia un piacevole lavoro in cuispiccano arrangiamenti orchestrali e corettidi beatlesiana memoria. Ancora per BellaUnion, in uscita a settembre l’esordio deiPoor Moon, band con membri di varieformazioni della scena indie folk Usa, tra cuidue Fleet Foxes. L’omonimo debuttopropone una summa dell’indie folk pensieroche pervade le menti del gruppo. Forsepreso a piccole dosi, ma tutto insieme pesacome un macigno. (Roberto Peciola)

La diva del canto jazz, Cassandra Wilson,si regala una vacanza dal genere e si tuffa fraNew Orleans e... Firenze. In Another Country(One Music/Egea) ritorna a collaborare conil virtuoso chitarrista e produttore italianoFabrizio Sotti, e con l'aiuto di musicisti qualiMino Cinelu, Lekan Babaiola, Julien Labro eNicola Serato, estrae dal cilindro nove pezzioriginali. Un blues intimo e raccolto che nonraggiunge i picchi del passato, ma mantieneuna coerente omogeneità. Fuori dalcontesto - e senza logica - le due versionidella classica e inflazionata 'O sole mio. Nelsegno della grande scuola brasilianal'incontro fra l'Orchestra jazz dellaSardegna, diretta da Paolo Silvestri, e lavocalist Barbara Casini. Agora Tà (ViaVeneto Jazz) è una centrata rilettura dimondi sonori sospesi fra jazz e il Brasile, dalrepertorio di Milton Nascimento (Veracruz),Luiz Peixoto (Na batucada da vida) e l'ineditoCidade do amor demais, firmato dalla stessaCasini e da Enrico Rava. Napoli&jazz(Universal) è l'esperimento di Gerardo DiLella con un parterre di ospitiimpressionanti, da Larry Carlton a DianeSchuur a Bob Mintzer ecc. Fra standard eoriginali scritti dallo stesso Di Lella, i ragazzisi divertono. E si sente. (Stefano Crippa)

ON THE ROAD

DONNE IN JAZZ

Chiara Pancaldi,delicatezze vocali

JAZZ ITALIA

Il secondo paesedi Cassandra

INDIE ROCK/2

Navigandosull’onda alt pop

ENTROPIA & MAURO TIBERIARCHAIC CHANTS FROMTHE TECHNOLOGICAL AGE (Eclectic Records)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il fascino del viaggio in unterritorio inconsueto e nuovo. Unaterra di mezzo dove il canto armonico ela manipolazione elettronica siincontrano e fondono. Rischioso, tanto.Potrebbe uscir fuori un orpello senzaforma. E invece ecco un piccolocapolavoro. Sette temi che si muovonoin un magma affascinante e carico dicapacità descrittive. Un flussoirrefrenabile di stimoli. (g.di.)

NU BOHEMIÈNLA CONSUETUDINE DEL SENTITO DIRE(Infecta Suoni&Affini-Face Like A Frog/Venus)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Giovanissimi, realizzano un discofresco, personale: attitudine punk consonorità indie-new wave per raccontarela quotidianità del provincialismo e labanalità del senso comune. Figli deiclassici inglesi e americani, mostrano uneccellente personalità. un’impalcaturastabile di suoni che sorregge unarchitrave di voci e chitarre chestridono e urlano testi diretti. Una bellasorpresa per l’indie italiano. (v.d.s.)

VAN DER GRAAF GENERATORALT (Cherry Red)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Peter Hammill mantiene untono allegro e distaccato nelle note alcd, ma dimenticate canzoni e amaroromanticismo. Qui trovateimprovvisazioni in studio, non unaparola cantata, e un'atmosfera di tesoequilibrismo sull'orlo dell'abisso, note inpunta di piedi che si cercano, saturazioninevrotiche che girano in tondo, come legonne dei dervisci. Non per tutti, eneppure tutti i progster, ma gli esitisono veramente notevoli. (g.fe.)

Che i dEUS siano uno dei gruppi piùinteressanti del Vecchio Continente degliultimi quindici anni è fatto conclamato. Pianpiano Tom Barman e soci hannoabbandonato le spigolosità stilistiche degliinizi e hanno cominciato a vedere le cose inchiave alt pop, e l’ultimo Following Sea(Pias/Self) in questo ne è manifesto ancorpiù dell’ottimo Pocket Revolution (pur nonraggiungendo gli stessi livelli di qualità).Dopo tre anni ecco di nuovo in pista gliinglesi Maxïmo Park con il quarto lavoro,The National Health (V2/Coop Music). Ilminuto iniziale di When I Was Wild lasciaben sperare, così come la successivatitle-track, ma alla lunga, nonostante il temae le liriche raccontino di un paese e di unmondo in crisi, ci è sembrato niente più cheun album di accomodante art pop, carinoma niente di più. Tutt’altra aria si respira nelnuovo, settimo lavoro dei Gallon Drunk,The Road Gets Darker from Here (CloudsHill/Audioglobe). La band di James Johnston,un trio dopo la scomparsa di Simon Wring,non fa sconti e spara all’impazzata. Un murodi suono, umori di grunge portatoall’estremo e sapori di grezzo rock’n’rollmalato e blues deviato. Da ascoltare conattenzione. (Roberto Peciola)

La label leccese Dodicilune ha varatoKoinè per far conoscere le nuove leve delcanto jazz italiano: e offre propostevariegate, insistendo sulle voci femminili,prossime sia alla musica afroamericana siaa modelli cantautorali. Tra le novità TheSong Is You di Chiara Pancaldi inquartetto è quella più vicino alle jazzsinger classiche per la presenza assoluta distandard bebop, swing, bossanova inun’ugola attenta, raffinata, duttile ecomunicativa. All’opposto invecePentagocce di Stefania Parteniani insestetto (con lei al piano) rasentapurtroppo la monotonia nel modo discrivere e interpretare brani pretenziosi,dove il fraseggio è pesante, per l’evidentescollamento tra note musicali e testi initaliano sempre e solo su tempi lenti (unpo’ di ripasso di Ella Fitzgerald o diMogol/Battisti farebbe bene a tutti per laforma-canzone). A metà strada si collocaSleepless di Loredana Melodia inquintetto, con Sarah Vaughan quale fonteispiratrice, a garantire versatilità e caloree le giuste S (esse) come riportaMichéle Hendricks in copertina acominciare da swingin’, sentimental,sensuous. (Guido Michelone)

DI GUIDO FESTINESE

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(16) ALIAS11 AGOSTO 2012

di LUCIANO DEL SETTE

●●●C’è stato un tempo, nelmondo artistico di Alfonsina Cìculi,dove il colore non esisteva. E unaltro tempo, lungo, molto lungo, incui Alfonsina si è allontanata daquel mondo. Difficile credere aentrambe le cose, guardando lestraordinarie cromie delle opere diquesta maceratese, che nel 2011 havisto concretizzarsi la sua passioneper l’illustrazione rivolta ai bambinicon il libro Il bambino colabrodo,pubblicato da Rizzoli. La storia delledue assenze, Cìculi la racconta così:«Ho frequentato l’Accademia diBelle Arti di Macerata e mi sonodiplomata al corso di pittura.Durante quegli anni mi sonointeressata soprattutto al disegno, eho prodotto diversi autoritratti,anche di grandi dimensioni. Matutti a matita nera, o matitacolorata. Insomma: costruiti soloattraverso il segno. Il colore non miinteressava, e neanche ilchiaroscuro. Facevo fatica a trovareil mio posto nel mondo dell’arteche in quel periodo, gli anni ’80, erasoprattutto installazioni eperformance». E allora Alfonsinaappende il diploma al chiodo, perdedicarsi ad altro che nulla c’entrao quasi. Lavora per un po’nell’animazione, ma solo comecolorista al computer, e si arma dipennelli nel ruolo di truccatricedurante le stagioni liriche del teatrodi Macerata. Nella testa, però, lefrulla sempre un’idea tentatrice, ildesiderio di cedere al fascino di ungenere illustrativo moltoparticolare: il disegno dedicatoall’infanzia. «Un’estate, percaso,venni a sapere che nella miacittà si organizzava un corso diillustrazione adatto anche a chivoleva avvicinarsi per la prima voltaa questa dimensione creativa. Misono trovata così bene che lesettimane del corso, da una sonodiventate tre. Dopo un decennio,Ciculi riprende in mano la matita, eper la prima volta usa il colore:«Finalmente il mio mondo interioreusciva allo scoperto, io stessa erocuriosa di vedere quel che saltavafuori». Alfonsina ama lavorare sullefiabe classiche della sua infanzia,ma anche mettersi davanti a unfoglio bianco e grande «Senzanessuna idea. Inizio a sporcarlo dicolore e poi mi faccio trasportare,un colore ne richiama un altro, unaforma chiede di essere contenuta, ilbraccio ha bisogno di gesti ampiche si trasformano in segni spessocircolari. Non ragiono mai su ciòche sto facendo, mi lascio guidareda una specie di forza invisibile».

Acquistare questa e le altre opere chepresenteremo nei prossimi numeri èsemplice. Se sei interessato manda unaemail a [email protected] nome, cognone, indirizzo enumero di telefono al quale vuoi essererichiamato. Sarai ricontattato nel più brevetempo possibile e ti saranno forniti i datibancari per l’acquisto. Una volta ricevuto ilbonifico ti spediremo la tavola. Non sitratta di un’asta: chi fa l’offerta per primo siaggiudica l’opera. I fondi raccolti sarannotrasformati in abbonamenti per scuole,fabbriche, carceri o associazioni culturali.

COME ACQUISTARE

ALFONSINA CICULI

La forza invisibiledel colorecome un sortilegiodelle fiabe

SOTTOSCRIZIONE PER «IL MANIFESTO»

DODICI «ZITTI NO!»ALFONSINA CICULITitolo: «ESISTENZE»Dimensioni: 100 cm x 70 cmTecnica: acrilico e collage su cartaPrezzo: 600 euro

PER VISIONARE TUTTE LE OPERE IN VENDITA VEDI: www.ilmanifesto.it/dossier/senza-fine/alias-per-zitti-no/