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    ALESSANDRO DI LORENZO

    DOMENICO DI LORENZO IL FRASSATI ORTESE

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    PAESI E UOMINI NEL TEMPO

    COLLANA DIRETTA DA FRANCESCO MONTANARO

    ------- 33 ------ Si ringrazia vivamente i soci del Centro Studi e Documentazione Massimo Stanzione, il Presidente Zaccaria Del Prete, il presidente dell'Istituto di Studi Atellani Francesco Montanaro, Domenico Falace, Luigi Mozzillo, Salvatore Rainone (sue sono le note nn. 1, 3, 4, 5, 6, 28) Angelo Iovinella, Giuseppe Di Lauro, Livia Barbato, Giuseppe Vitale, Emilio Quaranta, Antonella Cantiello, Maurizio Gaudino e Maria Mozzillo, per l'affetto dimostratomi durante la stesura del testo. Uno speciale ringraziamento va soprattutto a mia moglie Rachele, donna di notevole cultura e di profonda umanità.

    Istituto di Studi Atellani Centro Studi e

    Documentazione M. Stanzione

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    A Matilde, al suo dolce sentire,

    al suo elegante profilo, alla sua esplosiva gioia di vivere.

    A quella tenera e profonda luce dei suoi occhi, pronta a rischiarare la nostra esistenza.

    A papà, infaticabile lavoratore,

    memoria storica familiare, catoniano rigore,

    mio indimenticabile ed insostituibile affetto.

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    E pur’ a luna s’è mise a guardà

    s’è mise paura ma s’è mise a guardà. Po s’è pigliat’ scuorn’

    e s’è ghiud’ a cuccà.

    Domenico Falace

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    PRESENTAZIONE

    All'alba del 9 Maggio 1921, si incontrano nella piazza di Orta, per pura causalità, per premeditazione, per volere del fato, due ex amici, diventati poi nemici a causa di diverse scelte politiche, ideologiche e culturali. L'incontro fatale, presto si trasforma in scontro; l'esuberanza giovanile travalica ogni forma di inibizione e di prudenza, si dà mano alle armi, e in un attimo la tragedia. Domenico Di Lorenzo, un giovane di appena 21 anni, muore colpito da un colpo secco al cuore, giace a terra riverso in un rivolo di sangue. Arturo Migliaccio, di qualche anno più grande, diventa un assassino. Due vite spezzate; l'alba di quel giorno non giunge al tramonto.

    Ma chi era Domenico Di Lorenzo? Dopo quasi un secolo cerchiamo di fare chiarezza su questa figura che appartiene alla nostra storia e su cui si è sempre steso un velo di omertà e di reticenza. Per meglio comprendere dobbiamo premettere che parliamo di un periodo storico molto turbolento. Sono trascorsi tre anni dalla grande guerra, tutte le promesse che i politici si erano impegnati a mantenere, in tema di lavoro, problema dei latifondi, rendita parassitaria, insomma tutte quelle riforme sociali che avevano giurato di realizzare rimangono lettere morte .........

    Il lavoro nelle fabbriche è massacrante, il mondo rurale e contadino messo ancora peggio. I proprietari terrieri e i signorotti locali spadroneggiano e si arricchiscono alle spalle dei più deboli. Nel 1919 nasce il Partito Popolare di Don Sturzo, che si ispira ai valori sociali cristiani. Comincia una reazione in tutto il paese, un'agitazione profonda e incontrollabile dilaga da nord a sud dell'Italia con scioperi e sommosse sociali. Anche il casertano vive questo clima di tensione e Orta non ne è esclusa. Nascono, nel contesto comunale, partiti contrapposti che innescano una lotta politica aspra e accanita. In questo quadro si inserisce l'opera del giovane Di Lorenzo che istituisce una sezione del Partito Popolare aderendo a quei valori di libertà, solidarietà e giustizia di ispirazione cristiana. L'opposizione politica a tali principi viene gestita con accanimento dalla sezione del partito liberal-democratico. L'opera di Domenico non si esaurisce solo

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    nell'ambito politico, il suo impegno si estende con dedizione e con tutto l'entusiasmo che la sua giovane età gli consentiva, nel campo sociale dove si impegna a sostenere, aiutare e sollevare gli appartenenti alle classi subalterne. Fonda la sezione dei combattenti e reduci di guerra, si prodiga per fare aprire una filiale della banca di credito popolare e organizza una cooperativa di consumatori, mettendo a disposizione di tutti la propria professionalità.

    Il Centro Studi M. Stanzione, lontano da ogni velleità di emettere giudizi, vuole con questo lavoro, rendere omaggio a Domenico Di Lorenzo, a questo ragazzo di appena 21 anni, che seppe nutrirsi di nobili ideali e di valori quali la libertà, l'uguaglianza, la solidarietà e l'altruismo, ideali in cui credeva così tanto da pagare col sangue la fedeltà ad essi. Da ragazzi molti di noi, appassionati di storia locale, abbiamo sentito parlare di questa figura con mezze parole, frasi dette e non dette e alle volta con un'evidente reticenza un po' codina. Il Centro Studi ha ritenuto opportuno pubblicare questa ricerca tenendosi fedele alla documentazione storica a cui tutti possono accedere, sperando, in questo modo, di aver dato un contributo alla ricerca della verità su di un personaggio di primo piano nella storia di Orta di Atella. Domenico Di Lorenzo, per la purezza dei suoi ideali, per il suo impegno sociale e per la sua umanità, merita un posto di tutto rispetto nella nostra memoria con la speranza che la sua storia possa costituire per le giovani generazioni, e per tutti noi, un monito per edificare una società migliore.

    Dott. Zaccaria Del Prete (Presidente Centro Studi Massimo Stanzione)

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    INTRODUZIONE

    La nuova ed interessante opera dell'arch. Alessandro Di Lorenzo, studioso ed instancabile storiografo di Orta di Atella, nonché componente della Commissione scientifica del nostro Istituto, ci ricorda la figura del giovane Domenico Di Lorenzo, uno del più illustri figli della città atellana, martire della libertà e vittima di un embrionale squadrismo di stampo agrario-fascista del primi anni '20.

    L'Autore, con questa opera, continua sulla stessa linea di metodo del suo pregevole libro su Enrichetta Di Lorenzo, che tanto successo ha riscosso anche fuori dell'ambito squisitamente locale, e si delinea figlio illustre dell'antica e nobile città di Orta di Atella per la Sua meritoria azione di risvegliare il culto delle memorie storiche, fino a qualche anno fa letteralmente assopito.

    Con la pubblicazione sul martire ortese Domenico Di Lorenzo, Egli rimuove la polvere del tempo e preserva dall'oblio dei posteri uno dei personaggi più intelligenti e moderni della sua terra, segnando in queste pagine gli eventi luttuosi che portarono all'efferato delitto.

    Simocatta Teofilatto, scrittore bizantino del VII secolo affermò: "Se nel tuo cuore non canta il poema delle antiche memorie, tu non sei un uomo e non puoi vantarti di essere membro di una nobile città".

    Del martire Domenico Di Lorenzo l'arch. Alessandro delinea un profilo ampio e reale, soffermandosi ampiamente sull'uomo, sulla famiglia, sul periodo burrascoso dello sviluppo pre-fascista nella provincia di Caserta e in Orta di Atella in particolare: il tutto avendo preso, dai documenti ufficiali e antichi, notizie sulle idee, sulle azioni e sui comportamenti che fecero del martire ortese un uomo straordinario.

    Molto pregevole è lo stile lineare, quasi cronachistico, dell'opera che rende estremamente piacevole e appassionante la lettura.

    L'opera pone definitivamente l’arch. Alessandro Di Lorenzo nel novero dei più preparati e sensibili storiografi locali.

    Dott. Francesco Montanaro

    (Presidente Istituto di Studi Atellani)

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    PREFAZIONE

    Non nuovo al genere, qui lo scrittore, appassionato e religioso custode delle memorie familiari, dopo la narrazione della romantica love story di Enrichetta di Lorenzo, la pasionaria della Repubblica romana, la compagna fedele del Che Guevara del Risorgimento, l'eroe Carlo Pisacane, si cimenta nella descrizione della vita di un altro suo antenato: Domenico di Lorenzo (il Micuccio nel lessico della intimità domestica; il Mimì dei compaesani) meno noto, ma non per questo meno interessante, nella ricostruzione cioè di un personaggio, ritenuto minore, di fatto pallido nella memoria dei posteri e semisconosciuto oltre l'ambito della famiglia ma che se sottratto all'oblio del tempo risulta figura a tutto tondo, apportatore di contributi e lieviti non secondari nella formazione dell'Italia post-unitaria.

    Un personaggio che svolge la sua missione terrena in Orta di Atella, nel casertano, in una epoca non facile, quella del Novecento, ricca di fermenti e di ribellioni al potere tirannico dei possidenti "galantuomini".

    Un uomo che viene alla luce quando il secolo nasceva, il 1900, ma subito segnato, il secolo aveva appena di un mese girato la boa del primo anno, da un tragico destino, l'assassinio del padre, possidente agrario.

    Sulla scia dell'insegnamento crociano, l'autore, con una obiettività che gli fa onore, non velata dal rapporto di parentela, ricostruisce in modo non agiografico ma con la scientificità propria dello storico, sulla base di ricca documentazione, la breve vita dell'antenato, tratteggiando gli aspetti sociali salienti dell'attività svolta nella comunità ortese.

    Si sforzò il Di Lorenzo di operare per il bene comune, impegnandosi affinché le classi lavoratrici, i meno abbienti della società, raggiungessero condizioni di vita più umane.

    Questo impegno nel sociale ha radici lontane: viene dalle influenze positive esercitate su di lui dagli zii materni,Giovanni Serra, sacerdote, e Vincenzo Serra, medico.

    Costoro trasmisero al nipote, affidato alle loro cure, non solo una

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    istruzione umanistica, ma anche un rigore morale fondato su un cristianesimo sociale operoso, di fatti e non di mero compiacimento ideologico.

    Al liceo ebbe come compagno di banco tale Arturo Migliaccio, che aiutò negli studi generosamente: era questo, l'altruismo disinteressato, una nota tipica del suo carattere, portato ad aprirsi alle necessità del prossimo bisognoso, senza distinzione di classe.

    Arturo era indietro scolasticamente in quanto pur frequentando la stessa classe di Domenico, era di quattro anni maggiore.

    Anche Domenico naturalmente in un processo osmotico adolescenziale non poteva non subire inevitabilmente l'influenza di Arturo, smaliziato per la maggiore età, il che lo portò a trascurare per un periodo gli amati studi, riuscendo però ben presto a ritornare sulla retta via, liberandosi da un condizionamento dannoso.

    Dopo la parentesi militare, perdurata due anni ed estremamente formativa, a soli diciotto anni inizia gli studi di medicina.

    Ben presto si appassiona per suo interesse personale, strumentale però all'aiuto e alla difesa delle classi deboli, per gli studi giuridici ed immedesimandosi nelle miserevoli condizioni di vita dei braccianti, dei mezzadri, dei coloni, infiammato dagli ideali del Partito Popolare e dalla lettura degli statuti del PPI, in privato e da autodidatta, studia la legislazione.

    Per sua iniziativa e di alcuni giovani del Comune si aprì in Orta la sezione del PPI, di cui divenne giovanissimo segretario politico, contribuendo nel contempo alla creazione di cooperative, a tutela delle classi meno abbienti, i contadini, contro lo sfruttamento dei possidenti terrieri.

    Tutto questo nell'ottica dell'insegnamento sturziano, di difesa sindacale e legale dei ceti deboli e secondo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa.

    L'apertura della sezione avviene in un periodo di aspra battaglia politica fra le forze popolari di ispirazione cattolica e i potentati locali riuniti nel partito liberal-democratico.

    E ciò su tutto il territorio nazionale! Vi furono non solo aspri litigi verbali ma anche scontri violenti tra

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    gli esponenti delle due parti, culminati poi nella distruzione, così come in moltissime parti di Italia, della sede ortese del PPI, l'8 maggio del 1921.

    Il giorno successivo il Di Lorenzo veniva assassinato. La sua morte, tragica e prematura, divenne agli occhi della

    popolazione ortese tutta una risposta inequivocabile ad una scelta di campo, una vera e propria opzione di vita, spesa a favore di una maggiore giustizia sociale.

    Ed invero l'impegno del Di Lorenzo abbracciò aspetti precipui della inferiorità economica dei ceti contadini come l'esosità degli affitti, l'iniquità dei salari, attraverso la cultura della promozione e del riscatto sociale, contribuendo così alla creazione di una Cassa di mutuo soccorso per i soci indigenti, alla ripresa della coltivazione della canapa, risalente nella zona ai tempi dei Borbone, all'introduzione del calmiere su beni alimentari, per limitare l'esosità dei prezzi imposti, con metodi violenti e camorristici, dai rivenditori, creando a tale scopo una cooperativa al consumo.

    Una storia di famiglia che, culminata in un tragico epilogo, va considerata come esempio luminoso di impegno civile per la redenzione morale e sociale di persone conculcate nei loro diritti fondamentali. Che ripete esempi di altri territori come quello torinese (Piergiorgio Frassati) o bresciano (Giuseppe Tovini).

    Brescia 18/4/2012

    Dott. Emilio Quaranta (Garante del detenuti del Comune di Brescia

    già Procuratore Capo della Repubblica del Tribunale del minori di Brescia)

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    L'IMPORTANZA DELLE FONTI STORICHE

    Il passato è la radice del presente e la sua memoria, fungendo da

    volano verso il futuro, consente di preservare alle generazioni un bagaglio prezioso.

    Sin dagli albori della civiltà, l'uomo ha sentito l'esigenza di trasmettere le proprie esperienze e conoscenze alle generazioni future: basti pensare ai graffiti degli uomini primitivi, primordiale esempio di fonte scritta, la cui importanza viene valorizzata con Erodoto, poeta che nell'opera Storie segna il definitivo superamento di quel misto tra legenda e realtà che aveva caratterizzato, sino ad allora, la narrazione dei fatti accaduti nel passato.

    D'altronde il termine storia, che etimologicamente deriva dall'indoeuropeo wid-tor (evolvendosi in weid) altro non è se non la narrazione dei fatti visti: l'ιστορία e la historia, sono – appunto - la conoscenza acquisita tramite indagine e ricerca. Bisogna, tuttavia, attendere l'avvento dell'epoca augustea - con Tito Livio - per avere il primo studio delle fonti scritte, che si arricchirono dei rumores (le chiacchiere del popolo) con Tacito, completando gli strumenti utili per procedere ad una fedele ricostruzione dei fatti accaduti nel passato. Ed ecco, allora, che la grande storia si intreccia con le piccole storie - quelle vissute dagli uomini comuni - per divenire il prezioso bagaglio da tramandare. Il conseguimento di tale risultato non è possibile, tuttavia, senza un approfondito e meticoloso studio delle fonti e dei documenti storici, estrapolati dagli archivi e dalle biblioteche, silenti custodi di notizie, avvenimenti, tradizioni, spaccati di vita - ancorché non ancora codificati - ovvero di una memoria indispensabile alla ricostruzione degli stessi e che solo un'opera di maieutica socratica può portare alla luce.

    E' questo il percorso seguito dall'Architetto Alessandro Di Lorenzo nel presente lavoro: Egli, conoscendo il valore cartografico delle fonti, è stato in grado in maniera mirabile di accendere i riflettori su un passato dimenticato, nella consapevolezza dell'importanza del "ricordo" quale fattore di cultura e garanzia della storia dell'uomo.

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    L'autore fa risaltare, attraverso un'attenta e pregevole ricomposizione di un puzzle familiare - condotta analizzando documenti, rivisitando quadri e fotografie - quell'io storico che alberga in ognuno di noi. Nella meticolosa ricostruzione, Egli ha saputo districarsi anche tra gli atti degli Archivi penali - la cui libera consultabilità per fini storici è stata definitivamente sancita nel 1999, decorsi 70 anni dalla fine dei relativi processi- e solo per questo meriterebbe un premio!

    Sfogliando le pagine di questo libro il lettore si sentirà attratto e pervaso da quella "sindrome degli antenati" di cui parla Ann Schuetzenberger: riuscirà a riappropriarsi della propria storia personale e familiare, inserendosi in una leggenda; seguendo tale percorso, potrà raccogliere la preziosa eredità e far emergere quel sentimento di gioioso ed orgoglio per il passato, deponendo definitivamente il fardello degli errori e delle sofferenze, indicando la strada che permette di "raccogliere" quella preziosa eredità - cui tutti aneliamo - nel giardino di famiglia. Essenziali, per altro, nella ricostruzione dell'autore sono state anche le conversazioni con parenti ed amici, che gli hanno consentito di superare quel gap di reticenze e silenzi che, da sempre, permeano segreti e notizie scomode. Sono proprio le date traumatiche, i mestieri dei nostri antenati, la descrizione dei luoghi in cui vivevano, a suggerire che 1'Io contemporaneo altro non è che una delega che passa da padre in figlio, da generazione in generazione.

    Ciò che emerge dallo studio condotto dall'architetto Di Lorenzo è la fedele riproduzione storica dei tragici eventi che si svolsero nel paese di Orta di Atella, alla vigilia della nascita della dittatura fascista in Italia; nella certosina ricostruzione erge, in modo imperioso, la figura del giovane Mimì, esempio dello spirito innovatore della vita civile e portatore di alti valori democratici. Risultato ricostruttivo quanto mai attuale ed inquietante, che offre la stura a sottili riflessioni in un territorio - come quello della provincia di Caserta - da sempre attanagliato dai soprusi, sollecitando interrogativi sul ruolo della società civile in questa Terra di Lavoro, che mai sopiranno la nostra volontà di giustizia e di verità protesa al miglioramento umano e civile della comunità d'appartenenza.

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    Dott.ssa Antonella Cantiello (Sostituto Procuratore della Repubblica presso

    il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere)

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    Capitolo 1

    IL VENTENNIO GIOLITTIANO

    Dopo il regicidio di re Umberto I avvenuto a Monza il 29 luglio del 1900, per mano dell'anarchico Bresci, il re Vittorio Emanuele III diede l'incarico di formare il nuovo Governo prima al liberale Saracco e, dopo che questi lo rifiutò di lì a pochi giorni, al liberale Zanardelli, che incaricò come Ministro degli Interni il piemontese Giovanni Giolitti. Sebbene militassero nello stesso schieramento politico, i due erano profondamente diversi: l'uno apparteneva alla democrazia liberale borghese, quindi poco incline ai richiami popolari, mentre l'altro comprendeva bene il ruolo fondamentale giocato dai socialisti nella neonata industrializzazione italiana. Con la formazione del gabinetto Zanardelli-Giolitti il 14 febbraio 1901 inizia la cosiddetta età giolittiana, intervallata solo da gabinetti di breve periodo pilotati dallo stesso statista cuneese, che segnerà il primo ventennio del ventesimo secolo. Giolitti ruppe da subito l’asse liberal-borghese che prevedeva la lotta continua contro gli strati sociali meno abbienti, introducendo la sua real politik di neutralità nei conflitti del lavoro e codificando una più moderna legislazione sociale1. E' emblematico che alcuni scioperi

    1 Dal Feudalesimo al liberismo economico: grazie a tali riferimenti legislativi che determinarono l'emancipazione del lavoratore, da "valvassino"a libero prestatore d'opera, si determinarono ad Orta i primi movimenti per il diritto di proprietà della terra; movimenti che già si erano evidenziati a Nord specie nel mantovano ma che a Sud venivano bloccati sul nascere. Anzi, il Sud quasi non esisteva per il governo di Roma; solo nel settembre del 1902 il presidente del Consiglio, Zanardelli, si degnò di venire tra i "terroni". Da lì nacquero provvedimenti legislativi con un piano di provvedimenti per il Mezzogiorno: prestiti alla città di Napoli, finanziamento per l'impianto siderurgico di Bagnoli, stanziamento di oltre 100 milioni per 25 anni onde costruire l'acquedotto pugliese. Ma lo scopo principale del viaggio era politico: mitigare la tensione creatasi tra il latifondo e i contadini. Scrisse, infatti, Salvemini che "con il viaggio di Zanardelli, accompagnato da Rosano, Branca e Torraca, l'accordo con i camorristi è un fatto compiuto" (G. Salvemini,

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    del lavoratori e del braccianti agricoli d'inizio secolo si svolsero al grido di viva Giolitti, segno tangibile di una tendenziale modificazione dei rapporti tra le classi subalterne e lo Stato. Infatti, durante lo sciopero generale dei lavoratori a Genova, il Governo diede disposizione ai Prefetti di evitare gli scontri e di assicurare esclusivamente l'ordine pubblico, evitando di intervenire con forza contro gli operai.

    Questa politica di equilibrio dei rapporti economico-sociali causò non pochi traumi presso la classe dominante del tempo, dando luogo ad una forte reazione delle figure più retrive e conservatrici. Il conte mantovano Arrivabene, grande proprietario terriero, e il marchese fiorentino Cambray-Digny animarono una serrata e demagogica opposizione al nuovo gabinetto, fino ad arrivare ad una posizione estrema e anticipatrice dell'Italia pre-fascista rappresentata dal Prefetto Alessandro Guccioli, che invocherà la repressione della libertà di sciopero e la militarizzazione del Parlamento. Così scriveva l'8 maggio 1901: "I capi socialisti, acquiescenti al Governo, sono alla testa del movimento. E' una situazione assai grave. Per me, dirà successivamente il 21 dicembre 1901, l'ideale sarebbero i carabinieri, non alla porta, ma nell'interno dell'aula, anzi una Camera dei deputati composta unicamente di carabinieri"2

    Certo è che la nuova prassi liberale non venne applicata allo stesso modo sull'intero territorio nazionale, prevalendo fondamentalmente nelle zone padane, dove i contadini si erano già organizzati in leghe di resistenza e le cui condizioni salariali si erano ulteriormente inclinate dalla originaria inchiesta Jacini. Nel meridione, infatti, Giolitti applicò l'uso della forza, dettando ai Prefetti istruzioni

    Carteggi, lettera a Carlo Pacci del 7 ottobre 1902). Ad Orta tali movimenti ebbero come simpatizzanti alcuni monarchici-liberali che intuirono il beneficio socio-economico di una distensione che avrebbe favorito un mercato più libero del lavoro. Inutile dire che tali sforzi liberisti furono duramente contrastati da polizieschi interventi prefettizi. In Parlamento venne sistematicamente denunciato, da parte del socialismo politico, l'uso della forza nei confronti della rivendicazione dei diritti dei proletari. 2 A.Guccioli, Diario del 1901, in Nuova Antologia, pag.33 e pag. 103, 1942.

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    che prevedevano un vero e proprio stato d'assedio, che portò nel 1901 ad una serie di eccidi proletari, come quelli di Candela (Foggia) e di Giarratana (Siracusa). Questa sperequazione nell'applicazione della nuova prassi fu denunciata con forza dai più combattivi ed intransigenti esponenti del socialismo meridionale, dal pugliese Gaetano Salvemini al napoletano Arturo Labriola.

    Giovanni Giolitti, Mondovì 27/10/1842 - Cavour 17/07/1928.

    La moderna legislazione sociale emanata il 19 giugno 1901

    prevedeva l'abolizione del lavoro notturno, l'istituzione del lavoro festivo, la regolamentazione del lavoro femminile e infantile, con nuovi limiti di orario (12 ore) e di età (12 anni), una serie di

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    disposizioni assicurative e previdenziali concernenti le nuove madri-lavoratrici e, seguendo il disegno socialista promosso da Anna Kuliscioff, venne creata la struttura portante della successiva e più completa legislazione sociale che culminerà nell'istituzione, nel 1912, dell'Ufficio del Lavoro e del Consiglio Superiore del Lavoro presso il Ministero di agricoltura, industria e commercio.

    Tuttavia, la complessa neonata architettura legislativa del lavoro restò appannaggio esclusivamente degli strati più organizzati della classe operaia, quindi della parte settentrionale del paese, facendo esplodere all'inizio del secolo ventesimo la cosiddetta questione meridionale. Il problema del mezzogiorno d'Italia mostrò tutta la sua arretratezza in occasione del viaggio del Primo Ministro Zanardelli in Basilicata, nel settembre del 1902, che definì questa parte del paese come la nuova Irlanda. In tal caso è utile ricordare la voce solitaria ed inascoltata del socialista meridionale Salvemini che avanzò la proposta di un programma federale per la rinascita economica e culturale del Sud.

    Nel novembre del 1903 Giolitti divenne Primo Ministro, con l'appoggio esterno dei socialisti. Per risolvere il divario fra Nord e Sud, lo statista inaugurò la stagione delle grandi opere infrastrutturali per il Mezzogiorno, indirizzando verso il Sud una parte cospicua del reddito nazionale. I lavori pubblici di maggiore impatto sociale furono la costruzione dell'acquedotto pugliese e la completa nazionalizzazione delle Ferrovie. Anche al Nord vennero eseguite opere pubbliche di rilievo come il traforo del Sempione del 1906 e la bonifica delle zone di Ferrara e Rovigo. La grande crisi di fine secolo ebbe così una battuta d'arresto con il risanamento del bilancio dello Stato, grazie alla diminuzione del tassi d'interesse dal 5% al 3,75%. La lira raggiunse una stabilità mai avuta prima, essendo preferita sui mercati internazionali addirittura alla sterlina inglese. Tutto ciò però cozzava con l'arretratezza economica delle campagne del Sud, dove non venne attuata la rivitalizzazione del blocco agrario meridionale, che chiedeva, attraverso i suoi esponenti socialisti e cattolici, una diminuzione dell'imposta fondiaria e una legge migliore che regolasse i rapporti di proprietà della terra e di conduzione colonica. Un'altra grossa opera

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    modernizzatrice venne in merito alla maggior autonomia del Parlamento rispetto all'antiquato Statuto Albertino, ispirandosi al garantismo della monarchia inglese. Le competenze del Consiglio del Ministri si estesero fino alla nomina del Presidente, dei vicepresidenti del Senato e senatori, dei Comandanti di forza d'armata e le più alte cariche della magistratura. Emerse così in modo inequivocabile la figura del Premier.

    Anche l'istituto prefettizio assunse un'evoluzione mai vista prima. Nonostante la riaffermazione e il rafforzamento della dipendenza dal Ministro degli Interni della figura del Prefetto, quest'ultimo assunse nuovi poteri in materia di controllo dell'attuazione della nuova sfera di attività legislativa promossa dal Governo, in ordine al lavoro femminile e dei fanciulli, all'emigrazione, all'economia, alla sanità, alla scuola. E' proprio in questi anni infatti che riprende quell' osmosi tra carriera prefettizia e carriera politica, fino alle alte sfere dello Stato. Lo snellimento della burocrazia, spinto soprattutto dai cattolici riformisti e dai socialisti Salvemini ed Einaudi, fu applicata dal Premier nel decentramento amministrativo, dando più poteri alle amministrazioni provinciali.

    Nella politica estera 1'Italia cercò di barcamenarsi tra gli Imperi centrali, coi quali era legata dalla Triplice Alleanza, e un riavvicinamento italo-francese, bollato dal cancelliere tedesco von Bülow come un giro di valzer al di fuori della Triplice. Mentre l'Inghilterra si concentrerà nella difesa del suo Impero contro la Weltpolitik Guglielmina, la cui penetrazione economica in Turchia era molto rilevante, l'Italia orientò i suoi sforzi verso la Tripolitania e la Cirenaica, la Somalia e l'Albania. Questi sono gli anni definiti della Epochenjahr della politica estera italiana, che la vede sul gradino più alto insieme alle grandi potenze occidentali. Dopo due governi di breve durata guidati da Sidney Sonnino e Luigi Luzzatti, di area conservatore, Giovanni Giolitti viene rieletto nel marzo del 1911. Nacque così un tentativo di coinvolgere al Governo il Partito Socialista Italiano, che votò a favore del neonato Governo Giolitti. Il programma congiunto tra i liberali riformisti e i socialisti prevedeva la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita e l'introduzione del

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    suffragio universale, entrambi immediatamente realizzati. Ma con l'avvio delle ostilità in terra di Libia, fortemente volute dalla borghesia industriale, il partito socialista attraversò una profonda crisi interna che lo allontanò progressivamente dal Governo. L'Italia sprofondò di nuovo in una cupa crisi economica in seguito alla sanguinosa conquista di quello che Turati definì uno scatolone di sabbia, riducendo ai minimi storici il suo bilancio economico-finanziario. Tutto ciò favorì il declassamento politico della figura giolittiana, dando avvio al nuovo Governo di Antonio Saracca insediatosi nel 1914 e che porterà l'Italia nel Primo Conflitto Mondiale.

    Le elezioni politiche del dopoguerra tenutesi il 16 novembre del 1919, il passaggio dal sistema uninominale a quello proporzionale e l'estensione del diritto di voto a tutti i maschi di età superiore ai ventuno segnarono l'inarrestabile ascesa dei partiti di massa, quali socialisti e cattolici. I socialisti ottennero 156 seggi mentre i cattolici 101. I ceti dominanti agrari del meridione si spostarono così da una posizione filoliberale alle nuove formazioni di massa, specialmente verso il militarismo dei fasci, onde poter meglio difendere i propri interessi agrari contro il dilagare delle rivendicazioni socialiste e cattoliche3.

    A risentirne del nuovo vento di cambiamento fu soprattutto il costume. Fin ad allora le campagne elettorali si erano svolte nei ristoranti o nelle ville patrizie, dove i notabili del paesotto assicuravano favori ai loro elettori, con il sistema proporzionale invece il tutto si spostò nelle piazze, dove l'oratore infiammava le masse.

    Spinto dall'esempio dell'Ottobre sovietico, il PSI aderì all'Internazionale comunista durante il Congresso di Bologna nell'ottobre del 1919, dando vita alla sua aria massimalista ed estremista, introducendo nel suo programma la dittatura del

    3 In questo periodo, complice la sintonia agrario-governativa, si ampliò il fenomeno di acquisizione di immensi territori, demaniali e non, da parte dei "Signori dei termini". Girando a cavallo fissavano, con pietre di confine, i segni del diritto di possesso su centinaia di ettari di terreno divenendone di fatto proprietari (G. Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale - art. su "Avanti", dicembre 1902).

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    proletariato. Questo suo nuovo corso, di aria anarco-insurrezionalista bakuniano, gli impedì di fare politica parlamentare, rintanandosi nelle trincee delle fabbriche del nord, dove i Consigli di fabbrica assunsero i soviet russi a veri paradigmi nella lotta contro lo Stato borghese. Il biennio 1919-1920 fu non a caso definito il biennio rosso, per gli innumerevoli scioperi che si tennero nelle fabbriche del Nord e nelle campagne del Sud. Il principale sciopero lo si ebbe nella Pietrogrado d'Italia, Torino, e fu guidato dal nascente Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Ai socialisti ed ai nascenti comunisti delle fabbriche del Nord facevano eco i cattolici delle campagne del meridione, legati attorno alla figura del prete siciliano don Luigi Sturzo. Con l'appello ai liberi e ai forti lanciato agli italiani il 15 gennaio 1919, il prete di Caltagirone basava la sua politica sulle autonomie locali, sull'istituto delle regioni, dando anche l'avvio ad un'organizzazione sindacale bianca, la CIL (Confederazione Italiana del Lavoro) che si incanalava nel solco socialista della CGL, FIOM e FEDERTERRA. Gramsci stesso definirà questo nuovo movimento riformista italiano bolscevismo bianco. Il non expedit del Papa Pio X, ovvero la non partecipazione alla vita politica italiana da parte dei cattolici, rese tutto più difficile, ma, dopo la vittoria elettorale con i socialisti, il cardinale Gasparri, Segretario di Stato Vaticano, strettamente legato al potere temporale papale e ad una visione sanfedista, antigiacobina e antirisorgimentale, dovette infine cedere ed acconsentire ai cattolici sturziani di creare un nuovo soggetto politico: IL PARTITO POPOLARE ITALIANO4. Questo scelse quale emblema una croce bianca su scudo azzurro e come motto la parola LIBERTAS.

    Il PPI tenne il suo primo congresso nazionale nella primavera del 1919. Il suo elettorato era principalmente costituito da braccianti e mezzadri del mezzogiorno d'Italia, che ricoprivano i due terzi del suo intero elettorato. In pochi mesi le sezioni si moltiplicarono facendo numerosi proseliti tra cui anche il nostro giovane studente ortese di 4 Corsi e ricorsi stand: Oggi, di fronte alla dilagante deriva etico-valoriale, è ritornata la opportunità di una partecipazione attiva del cattolici in politica e per il governo del paese. Tale è anche il suggerimento della stampa vaticana per non continuare a delegare (art. di "Avvenire", dicembre 2011).

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    medicina: Domenico Di Lorenzo, la cui personalità in questo ventennio acquisirà quei caratteri che la contraddistingueranno sempre: umanità e ineguagliabile dedizione al miglioramento civile e sociale del suo popolo e quindi dell'Italia stessa.

    Il breve Governo Nitti cercò di attenuare lo stato d'assedio causato dai numerosi scioperi proletari e dalle occupazioni delle campagne nel sud Italia varando, attraverso il decreto Visocchi, la distribuzione delle terre ai contadini associati in organizzazioni corporative, l'imposizione del prezzo politico del pane, l'applicazione della pensione di invalidità e di vecchiaia e introducendo la giornata lavorativa di otto ore. Nonostante la sua apertura al social welfare, il potere militare continuò però a tessere il suo legame con i sovversivi e i reazionari. Spinto dai ceti più abbienti creò la guardia regia, che si affiancò allo squadrismo militare fascista per placare gli scioperi di massa. Il 20 giugno il re cercò di fermare le molteplici agitazioni sociali affidando il nuovo Governo al vecchio statista Giovanni Giolitti che, dopo aver liquidato la questione dell'occupazione di Fiume da parte dei dannunziani, con poche palle di cannone sparate dal mare adriatico verso la cittadina istriana, operò l'infausta scelta di appoggiare, nella politica interna, lo squadrismo fascista, venendo così battezzato dalla storiografia ufficiale quale il Giovanni Battista del fascismo. La paura del vecchi liberali per gli scioperi e le continue rivendicazioni delle masse popolari fece sì che queste ultime scegliessero l'appoggio dello squadrismo contro l'avanzata bolscevica. Giolitti lasciò campo libero alle azioni delle squadre fasciste, animato dalla vana illusione che la loro violenza potesse essere in seguito assorbita dal Parlamento. A tal fine, nelle elezioni del 1921, lo statista piemontese si alleò con i nazionalisti ed i fascisti nella speranza di ridurre i blocchi contrapposti dei socialisti e dei cattolici. Egli credette di poter portare il fascismo nell'alveo dei moderatismo liberale, ma così non fu e la sua mossa altro non fece che dare una patina di rispettabilità al movimento dello sconosciuto Mussolini che, con 35 deputati, iniziava la sua marcia verso il potere dittatoriale.

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    Capitolo 2 SOCIALISTI E CATTOLICI

    Dopo lo sciopero generale di Genova del 1901, il movimento

    socialista acquistò sempre maggiore autorevolezza. Il Mezzogiorno partecipò all'ondata di scioperi con oltre duecentomila lavoratori, per la maggior parte braccianti agricoli. Oltre alle lotte condotte dal bracciantato padano e meridionale e dagli operai del Nord, vi fu la creazione della prima organizzazione sindacale dei maestri, 1'Unione Magistrale Nazionale, definito da Salvemini quale proletariato intellettuale, che si unì energicamente alle piazze socialiste. Prendendo in prestito dai colleghi francesi delle Bourses du travail l'idea di organizzazioni di mediazione e di collocamento, i socialisti giunsero alla creazione delle Camere del Lavoro e delle Federazioni di mestiere, con veri e propri incarichi di arbitrato nelle vertenze sindacali. Questi eventi segnarono il passaggio del PSI da movimento di lotta economica a partito politico, pur restando nei limiti di una frammentazione localistica e territoriale. Molti storici hanno infatti definito il PSI d'inizio secolo ventesimo quale una somma di isole rosse, raccolte attorno alle Case del Popolo, alle cooperative e ai giornali propagandistici autoctoni, insomma un vero e proprio arcipelago rosso. L'opera dei governi locali e parlamentari del PSI si concretizzò fondamentalmente nel miglioramento di vita delle masse popolari, soprattutto attraverso un indirizzo di finanza locale basato su una maggior giustizia fiscale e su miglioramenti ai servizi pubblici.

    Nell'età giolittiana i socialisti italiani conservarono un forte anticlericalismo di stampo ottocentesco, ancor più messo in luce dall'avvento delle masse popolari bianche che, specialmente nel Sud Italia, si raccolsero attorno alla neonata formazione cattolico riformista sturziana. Toccò al riformista critico Gaetano Salvemini approfondire l'analisi storica del Partito Cattolico di massa per il cui avvenire sarebbe stato fondamentale un confronto aperto con il PSI, specialmente nelle campagne del mezzogiorno. Sul piano parlamentare il dilemma dei socialisti fu se partecipare al governo borghese di Giolitti, come affermavano i riformisti di Turati, oppure continuare

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    sulla linea della fermezza e della continua lotta di classe, quest'ultima tesi capeggiata dai sindacalisti del Ferri, nonché pienamente sposata e messa in alto dalle masse rosse della bassa parmense e di altre zone agricole del Nord, dove gli scioperi sfociavano spesso in atti di violenza con continue ripercussioni anche nel Sud, come nella Puglia di Giuseppe Di Vittonio5.

    All'inizio del novecento il mondo cattolico italiano fu scosso dall'ingresso sulla scena politica e sociale della DCI, la Democrazia Cristiana Italiana fondata da Romolo Murri. La figura dirompente del sacerdote marchigiano Romolo Murri nell'Italia post unitaria è di indiscutibile rilievo socioeconomico. Romolo Murri nasce a Fermo nel 1870. Trascorre i primi anni di studio nei seminari di Recanati e della sua città natale Fermo, per poi passare alla Gregoriana di Roma. Dopo un anno di sospensione dagli studi, nel 1893 ritorna a Roma per continuare 1'Università, ma questa volta presso la Regia Università laica de La Sapienza. Ha come professore il Labriola, da cui apprenderà quella filosofia della storia scientifica e pragmatica, di chiaro stampo marxista. Sposerà in pieno le idee moderniste di un cattolicesimo sociale, introducendo il concetto di corporazione medievale per risolvere i conflitti tra capitale e lavoro, tra imprenditori ed operai, tutto ciò in contrapposizione con la conservazione della restaurazione ottocentesca nella quale era fossilizzato lo Stato Vaticano. E' di quegli anni la pubblicazione de La filosofia nuova e enciclica contro il modernismo, esplicito richiamo agli studi labrioliani. Dalle lezioni del filosofo napoletano, il Murri apprende l'assurdità della separatezza manichea tra vita religiosa e vita sociale.

    Nell'inverno del 1895 fonda il Circolo Universitario Cattolico di Roma e la rivista Vita Nova, da cui l'anno successivo sorge la FUCI

    5 Nel paesi del meridione, anche ad Orta, vi era un comune denominatore tra i cattolici seguaci di don Sturzo e i "rossi" del PSI-PCI: difesa dei diritti essenziali del lavoratori! Per cui il detto anticlericalismo, in effetti, era solo nominale in quanto la formazione cattolica e la fede permeavano gli strati più umili della gente e annullavano ogni divergenza religiosa, come dimostrano le partecipazioni a tutti i riti popolari, anche di carattere sacro (da G. Candeloro "Storia d'Italia moderna").

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    (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). In un pomeriggio del 3 settembre 1900 in una riunione tenutasi a casa Murri, a Roma, nasce la sua creatura: la DCI, di cui fu leader fino agli anni della scomunica. In pieno contrasto con l'Opera del Congressi, viene condannata senza mezzi termini dal suo presidente, il conte avvocato veneziano Paganuzzi, pretoriano indiscusso della conservazione cattolica, che la definisce un chiaro esempio di diabolico luteranesimo, condita del mali della rivoluzione francese, del liberalismo e del socialismo: un esplicito richiamo ad un estremismo dogmatico e sanfedista cattolico. Il Murri viene così sospeso a divinis nel 1907 e additato come eretico. Sposerà successivamente una donna svedese da cui avrà anche un figlio.

    Nacquero, grazie alla spinta del movimento murrista, una serie di leghe bianche per dare maggior spinta a istituzioni mutualistiche e cooperative, tentando di accentuare l'autonomia del laicato rispetto alla gerarchia ecclesiastica. Questa cadenza ecclesiologica del murrismo trovava terreno fertile nella rispondenza entusiastica del basso clero, dei circoli dei giovani cattolici e delle masse contadine. La concezione politica della DCI era infatti più aperta e laica della secolarizzata Opera dei Congressi, e orientata non tanto verso una tesi rivoluzionaria e anticapitalistica, quanto piuttosto in una prospettiva di moderna democrazia sociale. La DCI venne sciolta dal Vaticano nel 1902 e i suoi membri furono costretti a entrare nell'Opera dei Congressi. Ciò rappresentò una vittoria per le forze cattoliche più conservatrici e retrive e diede inizio ad un duro ostracismo di giornali e pubblicazioni di stampo modernizzante. Nel 1904, dopo il Congresso di Bologna, l'Opera dei Congressi venne sciolta e Pio X fondò l'Unione Romana, divisa al suo interno in tre branche: Unione popolare, Unione economica e sociale e Unione elettorale, tutto ciò sempre sotto la stretta guida degli ecclesiastici e dei conservatori. L'idea era quella di imitare il Volksverein austriaco come pure il movimento sindacale tedesco di München-Gladbach, che riuscivano a contrastare in modo mirabile la socialdemocrazia mitteleuropea.

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    Romolo Murri, Monte San Pietrangeli (Fermo) 1870 - Roma 1944.

    Il murrismo però continuò a vivere nella società civile italiana attraverso l'associativismo cattolico, nonostante gli anatemi del Vescovi. Nel 1907-1910 l'organizzazione cattolica, infatti, si rafforzò soprattutto fra i mezzadri, i braccianti e i piccoli proprietari terrieri, cosa che caratterizzò dal primo dopoguerra in poi la penetrazione dei cattolici nel mondo agrario, accentuando il ruolo dei contadini come base di massa principale del movimento ed insediando i socialisti sul loro stesso terreno di lotta di classe. L'acme del cattolicesimo sociale viene raggiunto grazie al sacerdote di Caltagirone don Luigi Sturzo

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    che, forte dell'esperienza avuta con il murrismo, comprese che ogni movimento di stampo cattolico doveva essere partorito dall'interno stesso delle gerarchie ecclesiastiche. Favorito anche da una maturazione opportuna del tempi, il 18 gennaio del 1919 fonda il PPI (Partito Popolare Italiano) che rappresenterà l'evoluzione storica dell'associativismo murriano. Don Sturzo fu costretto però a sospendere la sua amicizia con il Murri per non essere anch'egli sospeso6.

    La storia del secondo dopoguerra del movimento politico cattolico viene scritta in modo egregio dal trentino Alcide De Gasperi, uno dei più grandi statisti che 1'Italia abbia mai avuto. Nei primi del novecento lo studioso trentino compie le sue prime apparizioni politiche nel Reichstag viennese, in uno schieramento cattolico moderato. Scrive vari articoli sul quotidiano austriaco Reichspost, dove celebrerà sempre il movimento murriano, che ebbe modo di conoscere di persona durante i suoi primi soggiorni romani del 1902. Lo statista altoatesino difenderà attraverso i suoi scritti anche la ReforKatholizismus cattolica austriaca, di chiaro stampo riformistico e modernista, propagandata dal professore viennese Ehrhard. Non a caso nel 1946 cambierà il nome del PPI in DC, rifiutando ogni collaborazione con i reduci repubblichini, nonostante gli insistenti consigli del Vaticano. Grazie ai suoi sforzi diplomatici 1'Italia, uscita sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale, sarà riabilitata agli occhi delle potenze vincitrici fino a raggiungere il boom economico negli anni sessanta.

    La DC rappresenterà il partito di punta della nuova Italia Repubblicana durante tutta la seconda metà del novecento, fino all'indegno e scandaloso epilogo della Prima Repubblica esploso negli anni novanta del novecento con il caso tangentopoli: segno inequivocabile di una corruzione dilagante ben lontana dagli alti ideali 6 A posteriori, si può affermare che già allora si evidenziavano i limiti del socialismo strettamente marxista che porterà al suo progressivo inaridirsi. Non conciliare i valori umanistici con quelli economico-sociali non preparerà mai il socialismo democratico (che ha animato, invece, la maggior parte dei movimenti odierni) - da R. De Felice"Mussolini il Duce" Ed. Einaudi, 1966-.

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    che le avevano dato vita e dimentica dell'illustre storia dei suoi fondatori.

    Luigi Sturzo, Caltagirone 26/11/1871 - Roma 08/08/1959.

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    Alcide De Gasperi, Pieve Tesino (Trento) 03/04/1881 –

    Sella Valsugana (Trento) 19/08/1954.

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    Capitolo 3 DOMENICO DI LORENZO

    Domenico Di Lorenzo nasce ad Orta di Atella (CE) il 14 febbraio

    1900, da Gennaro Di Lorenzo ed Elvira Serra. Nasce in via Vitaliano Del Vecchio, già via Crocesanta, strada che delimitava il centro antico d'Orta di Atella. I Di Lorenzo di via Del Vecchio erano una famiglia appartenente alla piccola borghesia agraria, conosciuti nel paese della Liburia come i laurienzo, molto probabilmente dall'origine del cognome De Laurienzo, come si evince da alcuni atti conservati nelle Parrocchie di San Massimo Vescovo e di San Michele Arcangelo a Casapuzzano. Infatti, come spesso accade, la corruzione anagrafica di un cognome tarda ad applicarsi alla vita sociale e quotidiana, rimanendo invariato per un lungo lasso temporale nella tradizione orale e vernacolare di una comunità.

    Alla sua nascita il padre Gennaro gli diede subito il vezzeggiativo di Micuccio, proprio ad intendere la dolcezza estrema che quella piccola creatura gli infondeva ogni qual volta lo stringeva a sé. Micuccio conobbe già in tenera età la crude realtà della morte. Infatti, il padre fu assassinato quando egli aveva solo tredici mesi.

    “Una triste sera di ottobre si sparse come un baleno la notizia luttuosa che Gennaro Di Lorenzo era stato assassinato! Un incubo pesò sul cuore di quanti lo conoscevano e ne ammiravano l'animo generoso. Si chiusero gli usci, si disertarono le strade, si spensero le luci ed il buio avvolse tutto il dolore della moglie affranta! Cinque malviventi avevano freddamente atteso presso 1'Ospedale di Pardinola che passasse Gennaro Di Lorenzo e con un coraggio belluino avevano distrutto l'esistenza di quel giovane generoso! Anche allora per un futile motivo tolsero alla luce del sole un uomo pieno di vita e di sentimenti buoni. Mimì allora aveva tredici mesi e mentre lontano si compiva il crudo destino del padre, Egli, che era fra le mie braccia, mi guardava con cert'occhi che avevano uno sguardo misterioso e che mi fecero piangere.

    Evidentemente sentiva fin da allora il destino crudele che pesava non solo sul padre suo ma sopra di se ancora. Vedendomi piangere mi

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    abbracciò, si strinse teneramente al collo mio e che sa che il suo spirito non intese allora il giuramento che io facevo a me stesso, di dedicare tutto il mio tempo all'educazione di quel bambino! Il certo è che si rimise dal grande spavento e si attaccò a me fin da allora con un'affezione superiore a quella di un figliuolo per il padre, superiore a quella che può passare tra amici veri. Superiore a ciò che si può esprimere con le parole. Ho davanti agli occhi l'immagine sua di allora, col grembiulino nero, col visetto tondo, con i cerchi e le fossette sulle braccia, sempre sorridente, sempre vispo, sempre affascinante. Vent'anni dopo non era cambiato di una linea. La madre che a stento resse al dolore per la perdita del marito, visse solo per quel bambino.”7

    Carta d'Identità di Domenico Di Lorenzo, Orta di Atella 14/02/1900 - 09/05/1921.

    7 In memoria di Domenico Di Lorenzo, omaggio degli amici, Aversa 1921.

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    Atto di nascita di Domenico Di Lorenzo, Orta di Atella 14 Febbraio 1900

    (Si ringrazia vivamente il Sig. Giuseppe Vitale).

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    Tessera del PPI rilasciata a Domenico Di Lorenzo da don Luigi Sturzo

    Dopo alcuni anni la Sig.ra Serra, come era consuetudine nelle

    famiglie della borghesia agraria del tempo colpite da un lutto, sposa in seconde nozze il fratello di Gennaro, Giuseppe Di Lorenzo. Il piccolo viene affidato alle cure intellettuali dei fratelli di donna Elvira, il sacerdote Gaetano Serra e il dottore Vincenzo Serra. E' questo forse il momento più formativo per l'animo del giovane Di Lorenzo. I fratelli Serra saranno dei veri precettori e mecenati, figure paragonabili ai Gesuiti seicenteschi, a cui venivano affidati i giovani provenienti dalle famiglie benestanti, per ricevere una rigida istruzione umanistica, condita da un ferreo rigore morale originato da un cristianesimo sociale operante e disilluso. Grazie agli zii potrà studiare ed avere un'ottima preparazione che lo porterà ad intraprendere la carriera universitaria dopo aver conseguito il diploma liceale al Cirillo d'Aversa. E' suggestivo immaginarlo mentre lo zio sacerdote lo attendeva nelle grandi stanze del palazzo dove, fra scaffali in mogano e sedie di paglia alla Thonet, seguiva gli studi di Micuccio a lume di

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    candela fino a notte inoltrata. - Mimì traduci il testo latino di Cicerone! - Ma zio possiamo riposare un poco? - Mimì! Devi essere sempre pronto e sveglio in ogni momento

    della vita! Sappi che i sacrifici di oggi formeranno l'uomo di domani. - Mimì! Ora parlami di Platone e del mito della caverna. - Zio ogni settimana mi chiedi di parlare sempre di Platone. Come

    si vede che si nu parrucchian’. Non fai altro che indottrinarmi di neoplatonismo e di scolastica medievale.

    “Si scrisse al ginnasio per sua volontà, desiderando di iniziarsi

    agli studi classici, che, secondo la sua testuale espressione, formano e completano l'uomo.

    Negli studi classici dimostrò subito la fertilità del suo ingegno poiché apprese meravigliosamente prima il latino, poi il francese, e poi il greco ottenendo quattro singolari passaggi senza esami ed una licenza ginnasiale che è un orgoglio possederla. Aveva tredici anni e mezzo quando con un sorriso serio sulle labbra venne a portarmi la lieta novella della licenza conseguita. Io gli lessi negli occhi una soddisfazione profonda e non mancai di dirgli che ero assai contento di Lui e che intendevo dargli una prova tangibile della mia soddisfazione regalandogli una bicicletta adattata ai suoi tredici anni. Avutala nelle mani, suo primo pensiero fu quello di conoscerla. Lo trovai due ore dopo che ricostruiva la sua bicicletta che era stata già da Lui divisa nei suoi minutissimi pezzi. Due mesi dopo gli permisi che prendesse parte a una locale gara ciclistica in cui giunse primo tra una numerosa schiera di coetanei che l'inseguivano. Iscrittosi al liceo si trovò compagno di classe di quel disgraziato che dovea in seguito assassinarlo. Fu infatti sui banchi della scuola che Arturo Migliaccio cominciò a nutrire i primi sentimenti bassi di volgare gelosia verso quel ragazzo che inferiore a lui di 4 anni d'età eragli poi tanto superiore in competenza scolastica”.8

    Ovviamente già in queste righe traspare un'enfatica empatia del

    8 Ibidem.

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    Serra e degli altri amici che composero il libricino di ricordi a mò di epitaffio, poco dopo l'omicidio. Il Serra usa parole forti nella descrizione di Arturo Migliaccio, sicuramente scosso dal macabro episodio che porrà fine alla breve ma intensa vita del Di Lorenzo.

    Arturo Migliaccio e Domenico Di Lorenzo frequentavano la stessa scuola ed erano seduti nello stesso banco.

    “Studiavano alla stessa scrivania; e io lo vedevo sistematicamente fare un doppio lavoro scolastico uno per se ed uno per il compagno suo che lo avrebbe ricambiato con odio. Ma ciò fu poco poiché il povero Mimì doveva anche lottare contro la perversità di quel cattivo compagno. Questo malvagio non lasciò nulla di intentato per distoglierlo dalla retta strada e per quell'anno furono più le volte che lui conducesse Mimì a divertimenti che Mimì conducesse lui alla scuola. Ebbi a fine d'anno, per opera di questo sconsigliato, la sorpresa di leggere nel quadro che era stato rimandato ad ottobre per le assenze.

    Il contagio nefasto di questo sconsigliato per Mimì risale a sei anni fa. Mimì non mi comparve davanti per un mese, ma quando lo vidi mi pregò di perdonarlo promettendo di cancellare tutto in seguito. L'anno appresso infatti ebbe la concessione di presentarsi agli esami di licenza liceale e risultò il primo. Aveva quindici anni e mezzo si presentò dalla seconda liceale e risultò il primo, acquistando una licenza che gli valse la dispensa dalle tasse.”9

    Anche nella descrizione dell'episodio che vide Micuccio essere rimandato in alcune materie scolastiche, il Serra denota una poca imparzialità di giudizio. Se è vero che il libricino degli amici rappresenta un alto momento di solidarietà umana verso il compagno politico prematuramente scomparso, esso va però interpretato dallo storico con occhio critico, depurandolo di taluni contenuti artistici, che comunque hanno un'indiscutibile valenza etico-morale nella commozione di tutti coloro che ebbero a cuore le sorti del Di Lorenzo. Non a caso quando il dottore Serra descrive che il Migliaccio sviò il Di Lorenzo dagli studi per condurlo ad una vita di divertimenti dissennati, è più logico interpretare tale episodio come un evento legato

    9 Ibidem.

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    all'adolescenza dei due ragazzi, senza escludere che passioni e aspirazioni sono esclusivamente legate all'età in cui si vive e che, quindi, una lettura collodiana del testo, dove Pinocchio potrebbe essere rappresentato da Mimì e Lucignolo da Arturo Migliaccio, resta un tentativo forzato e privo di una comprensiva interpretazione della realtà paesana di quei tempi. E' qui che lo storico interviene, con una metodologia che potremmo definire inversamente proporzionale all'artista, liberando le fonti dalle strutture e sovrastrutture rappresentate dai mille colori che le passioni e la faziosità del poeta aggiungono alla realtà. Non nascondo che questo processo storico-marxista invocato è di per sé un tentativo che dà una lettura settoriale dell'evento in esame, ma è pur vero che solo attraverso la riduzione in bianco e nero degli eventi storici si può dare veridicità all'accaduto: non c'è bisogno di presentare una figura perfetta ed immacolata per esaltare le virtù di un protagonista della nostra storia, perché è proprio nella sua quotidianità che la figura di Mimì acquista grande valore. Parafrasando Nietsche, è nel suo umano troppo umano che Micuccio appare come uno straordinario ragazzo ricco di umanità e moralità che, finalmente liberato dall'oblio del tempo, è pronto a riscaldare le future generazioni e a rivolgere il popolo ortese verso il bene comune e il riscatto sociale. Il Di Lorenzo va letto in tutta la sua fragilità, con le passioni e le speranze che solo un' adolescente di qualsiasi epoca è capace di esprimere nell'acme del suo vigore giovanile. E' bello vederlo correre dietro una palla di stoffa nell'ampio cortile del Palazzo di via Del Vecchio con i figli dei braccianti agricoli senza alcuna distinzione di classe, indice della sua prematura formazione etico-sociale. Infatti, quando si reca nelle sue terre in località Bugnano e San Pietro entra in contatto, già in tenera età, con il duro lavoro dei campi, con le aspirazioni dei braccianti e dei mezzadri ad una vita migliore e più dignitosa. Anticiperà di un ventennio il grande visionario Olivetti, credendo anch'egli in un sistema sociale che vede fianco a fianco operai e proprietari per una migliore condotta di vita, spezzando così definitivamente le catene feudali del proletariato e rendendo più equo il rapporto lavoro-società.

    Micuccio spesso donava ai meno abbienti cesti pieni di frutta e di

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    ortaggi, e la sua casa era sempre piena di lavoratori che accettavano i suoi doni esclusivamente in segno di amicizia. Donna Elvira, che nelle sembianze fisiche la si poteva facilmente paragonare ad una autentica matrona romana, per la sua grossa stazza, affacciandosi dal ballatoio di casa chiamava il suo pargolo:

    - Mimì sali o'pranz' è pront'! - Mamma vengo subito. Ma posso far salire anche Giuseppe ed

    Antonio? - E va beh! Ma venite subito che a past' se scoce!

    Vita contadina nell'agro atellano, inizio secolo ventesimo.

    Nel 1916 “fu chiamato alle armi e per quanto contasse solamente

    16 anni e mezzo venne inviato a Roma nel 10 Regg.to Granatieri. Un metro e 74 d'altezza per 86 di torace, con lineamenti perfetti, con addosso la divisa del granatieri, sembrava un guerriero leggendario, di una bellezza marziale fantastica.

    Partito per il corso allievi ufficiali di Modena, dopo quattro mesi venne nominato sottotenente nel 400 Regg.to Fanteria. Fu il periodo più felice della sua vita, amato dai suoi superiori, sembrava che in vita

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    non avesse fatto che il militare. Amante della disciplina, trovò l'ambiente che si confaceva al suo carattere. Non era né rigido, né severo, ma sapeva destare nei suoi dipendenti il sentimento del dovere servendosi sia della sua parola persuasiva, sia del suo esempio. Doveva partire per il fronte quando sopraggiunse l'armistizio per cui fu congedato. Della vita militare riportò oltre che lettere di affettuosa stima dei suoi colleghi e Superiori abitudini di compostezza, di rispetto, di pulizia scrupolosa e di ordine. E divenne un uomo completo a diciott'anni! Il dovere militare gli aveva fatto perdere due anni di studi universitari, ma egli riparò subito, poiché dopo quattro mesi era perfettamente al corrente con gli esami. Ma ormai lo Studio non bastava più a consumare tutte le sue energie e cominciò a studiare musica senza maestro riuscendovi con una perfezione che stupiva.

    Ecco come si presentava la piazza di Orta di Atella, teatro del tragico episodio, nel primo quarto del secolo ventesimo.

    “Sorse allora la Sezione del Partito Popolare Italiano ad iniziativa

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    sua e di tutti i giovani di questo comune. Dopo due mesi fu eletto segretario politico e con la cooperazione d'amici valorosi raccolse un numero stragrande di soci e l'entusiasmo del popolo. Creò la filiale della Banca di Credito Popolare e la Sezione Reduci di Guerra sbrigando più di duemila pratiche per reduci, vedove ed orfani di guerra. Ne aveva in retribuzione le benedizioni degli afflitti e la soddisfazione santa di giovare veramente al popolo. Diede impulso alla creazione della Cooperativa al consumo che fu da Lui battezzata La Benefica.”10

    E' innegabile il ruolo svolto dai fratelli Serra anche nella formazione politica del giovane Micuccio, che gli consentirà di interpretare a pieno le idee del neo-nato PPI di don Sturzo. Il 31 ottobre del 1920 Mimì viene eletto segretario Politico della sezione ortese del PPI, co-fondata insieme al dottore Vincenzo Serra che ricopre la carica di Presidente.

    “L'anno millenovecentoventi, addì trentuno del mese di ottobre, noi qui sottoscritti Presidente, Scrutatori e Segretario, componenti il seggio per l'elezione del Segretario Politico, nominati dall'assemblea generale dei soci, abbiamo proceduto all'elezione in parola.

    Aperta la votazione alle ore 10 ant. è stata chiusa alle ore 3 pom. Abbiamo di poi proceduto allo scrutinio delle schede votate, davanti ai soci convenuti ed abbiamo constatato:

    Soci iscritti n. trecentosessantacinque Schede votate n. duecentoquarantadue Schede valide n. duecentoquarantadue Schede nulle ----------------------

    Candidati Di Lorenzo Domenico voti 242 (duecentoquarantadue). Altri candidati -----------------------

    Dopo di che abbiamo proclamato Segretario Politico: Di Lorenzo Domenico fu Gennaro. Del che si è redatto il presente verbale in duplice copia di cui, una viene inviata al Comitato Provinciale del Partito, l'altra resta allegata agli atti della sezione di Orta di Atella, 31 ottobre 1920.

    10 Ibidem.

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    Scrutatore Presidente Del Prete Francesco Pasquale Granata

    Segretario Aletto Salvatore.”11

    Il neo eletto Segretario Politico da subito rivela un carattere deciso e sicuro nell'isolare prima e poi nell'azzerare i dissidenti interni, indicendo nuove elezioni del Consiglio d'Amministrazione.

    “L'anno millenovecentoventi addì 7 mese di novembre noi qui sottoscritti segretario politico abbiamo convocato l'assemblea dei soci per un voto di fiducia al consiglio Direttivo tuttora in carica, voto necessario dopo le avvenute dimissioni di molti consiglieri e dopo la deplorevole condotta politica di taluni di essi.

    L'assemblea sentita la relazione del segretario politico delibera: Dichiarare decaduto i consiglieri ancora in carica e procedere alla

    elezione di un nuovo consiglio composto di 15 membri. Orta di Atella 7/11/1920 L'assemblea Il Segretario Politico Serra Ludovico Di Lorenzo Domenico Reca Giuseppe Massimo Minichino.”12 In linea con i dettami sturziani che miravano ad indirizzare gli

    sforzi del partito verso le classi meno abbienti e a chiarire i rapporti delle masse contadine con i proprietari terrieri, attraverso la nascita di cooperative bianche, il Di Lorenzo stabilisce il 9 Novembre 1920 che “riguardo alla quota sociale il Consiglio in vista dell'accresciuto numero dei soci delibera di ridurre la quota mensile da 8 lire a lira 1. Delibera però che i soci paghino complessivamente i mesi arretrati fino al mese di Dicembre e ciò per rendere più facile l'opera del cassiere come per formare subito un fondo cassa della Sezione. Riguardo invece alla quota d'entrata il Consiglio lascia inalterata la tassa ai soci 11 Deliberazioni del PPI di Orta di Atella, anno 1920-21, foglio 4. 12 Ibidem, foglio 5.

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    e ciò per misure d'imparzialità relativamente ai soci non potentosi, ammettendo che i soci nuovi venuti paghino meno degli altri che contribuirono a fondare la sezione. Su proposta del Segretario Politico il Consiglio decide di formare un elenco apposito di soci poveri da ammettere a godere di tutti i diritti inerenti agli altri soci ordinari senza contributo di sorta e ciò allo scopo di fare opera umanitaria e di facilitare agli aderenti il modo di iscriversi al Partito.

    Nomina di una commissione per gli affitti colonici (Relatore Presidente Serra Vincenzo) nominati ad unanimità i Sigg. agricoltori: Arena Nicola, Nicola Autieri, Falace Nicola, Donato Giuseppe, Russo Roberto, D'Ambrosio Domenico, Di Giorgio Lorenzo, Para Luigi, Rainone Luigi, Di Giorgio Nicola, Minichino [....], [...] Antonio, [...] De Gennaro, Sorvillo Andrea, Tornincasa Giuseppe, Arena Arcangelo; colla assistenza del Presidente della Sezione Sig. Serra Vincenzo e del Segretario Politico Di Lorenzo Domenico, i suddetti Signori avranno il compito di stabilire il canone d'affitto scaduto nonché quello da scrivere. Restano convocati per domenica mattina c.m.”13

    Sempre nel verbale del 9 Novembre 1920, per semplificare la burocrazia e renderla più efficiente, Mimì concede più indipendenza alla figura del Cassiere della sezione.

    “Per la nomina del Cassiere il Consiglio con votazione segreta elegge a Cassiere il Rev. Perrotta Pasquale con voti 14 su 15. Stabilisce all'uopo che il Cassiere sia già su diretto ed esclusivo rapporto del Consiglio Amm.vo e non con i soci. Dovendo solo al Consiglio in parola ascrivere i conti e quelle ragioni e chiarimenti che il Consiglio possa richiedere. Ciò ad evitare incresciosi incidenti fra soci e Cassiere.

    Resta stabilito anche che i soci abbiano diritto di scrivere i conti o altre informazioni relative al cassiere solo al Consiglio Amm.vo il quale volta per volta, esaminerà il rapporto e darà soddisfazione al firmatario del rapporto stesso. Si riserva però il diritto di ammettere o no all'osservazione personale dei conti o altro.”14

    Ancora una volta, nella stessa seduta, viene stabilito un rigore 13 Ibidem, foglio 9 e 19. 14 Ibidem, foglio 10.

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    intransigente contro i dissidenti che hanno calunniato il partito e commesso furti all'interno della sezione.

    “ V. (Il Consiglio Amm.vo) Decide di rivolgere un manifesto al pubblico ed ivi ai soci per sfatare la propaganda calunniosa svolta da alcuni soci espulsi dal Partito. Prega il Segretario Politico a volerlo compilare e farlo sentire al Consiglio per l'adesione della stessa.

    Avendo alcuni soci sottratto dalla Sezione l'elenco amministrativo dei soci il Consiglio d'accordo e su proposta del Segretario Politico nomina una commissione composta dai soci Ragozzino Alfonso, Comune Antonio e Reca Nicola che si occupi di ritrovare l'elenco stesso, restando stabilito che sarà intentata azione penale contro i detentori dello stesso qualora non si riuscisse ad averlo colle buone maniere.

    Letto, approvato e sottoscritto Orta di Atella 9 novembre 1920 Il Presidente Il Segretario Politico Serra Vincenzo Di Lorenzo Domenico.”15

    Micuccio ripone grande speranza nella cooperativa bianca da lui fondata, dando ampio spazio di manovra alle azioni sindacali attraverso il corporativismo messianico sturziano.

    “Visto minutamente le spese occorrenti per la coltura di un moggio di canapa.

    Visto la somma ricavata dalla vendita della canapa che in media si ricava da un moggio di terreno. Visto la differenza fra detta somma e le spese occorrenti

    (Il Consiglio Amm.vo) Delibera che gli affitti colonici scaduti il mese di Agosto 1920 siano pagati

    in proporzione di lire 800,00 (ottocento) al moggio. Delibera inoltre di nominare una commissione che tratti coi

    proprietari, nelle persone dei signori Vincenzo Serra, Dorato Pasquale, Di Lorenzo Domenico, Di Giorgio Lorenzo, D'Ambrosio Domenico.

    (Delibera) Provvedimenti atti a favorire una più sollecita ed

    15 Ibidem, foglio 10 e 11.

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    economica macerazione della canapa. Il Consiglio approva la proposta del consigliere Comune stabilendo di invitare i soci agricoltori e coltivatori di canapa a voler dichiarare la quantità di canapa seminata onde fare un elenco ed un totale approssimativo dei moggi di canapa di proprietà dei soci della Sezione per trattare coi proprietari dei Lagni per avere a disposizione della Sezione un quantitativo fisso da farsi e per avere inoltre una riduzione sul prezzo attuato della macerazione. Stabilisce però che i soci denunziatori di canapa si assoggetteranno a macerare la canapa nel Lagno concordato dal Consiglio sotto pena di pagare quei danni e quegli interessi di cui il Consiglio stesso sarebbe passibile per la loro assenza.”16

    Nel terzo ordine del giorno del verbale del 16 Novembre 1920 traspare inoltre la sua intenzione di difendere la cooperativa dai soprusi comunali.

    “(Si deliberano) Azioni verso il Municipio circa l'astensionismo fatto alla cooperativa. (Si) Stabilisce all'uopo, d'accordo col Presidente della Cooperativa, di rivolgere una lettera di protesta al Sindaco affinché si mettesse in regola coi generi alimentari spettanti alla cooperativa. (Si) Stabilisce inoltre di rivolgersi alle Autorità tutorie nel caso che questo invito dovesse restare inesaudito”.17

    Negli anni successivi al primo dopoguerra tutti i partiti cercano di accaparrarsi le simpatie dei reduci di guerra e dei delusi, a cui era stato promesso la proprietà di un moggio di terra a guerra conclusa.

    “I funerali ai caduti di guerra. Il Consiglio sentita la proposta del Segretario Politico, visto che l'apatia delle autorità amministrative del Comune hanno fin oggi lasciati dimenticati i nostri eroici morti approva ad unanimità la proposta stessa e delibera di rimandare alla prossima riunione una particolareggiata discussione sull'argomento.

    Considerato che ai reduci di guerra ed ai coloni vengano distribuite le terre da [....] per la coltura del grano, prega il Presidente dottore Vincenzo Serra di voler fare un elenco di soci che tali terre richiedano per sopperire alla deficienza del nostro tenimento.”18 16 Ibidem, foglio 12 e 13. 17 Ibidem, foglio 13. 18 Ibidem, foglio 13 e 16.

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    Sotto la guida di Domenico Di Lorenzo il PPI ortese sarà caratterizzato da una forte impronta filantropica.

    “Proposta del cons. Ragozzino circa un fondo di cassa da istituirsi per la beneficenza ai soci indigenti. Il Consiglio ritiene la proposta superflua perché la cassa della Sezione è stata costituita appunto per tale scopo.

    Udito la proposta del Segretario Politico per l'istituzione in Orta di uno spaccio Municipale dei generi alimentari, considerati gli argomenti soprattutto economici addotti a favore di essa, (il Consiglio) delibera di inviare una protesta al Prefetto perché da Orta sia estirpata la camorra esercitata sulla vendita dei generi alimentari dai rivenditori privati.”19

    Per la prima volta, negli scritti del Di Lorenzo, traspare la parola camorra, che nei primi anni venti del novecento era legata ai soprusi di alcuni proprietari e rivenditori privati, che attraverso i loro comportamenti, cercavano di incutere timore nei ceti meno abbienti per stabilire il loro indiscusso predominio sulle classi più umili della società civile.

    Dal 1918 alla prima metà del 1920, dagli atti del Comune di Orta di Atella si evince che la giunta comunale era costituita dal Sindaco Avvocato Silvestre Giuseppe, dall'assessore Greco Nicola, dall'assessore supplente Chianese Salvatore, e dai consiglieri Del Prete Pasquale, Migliaccio Gioacchino, Migliaccio Ermenelgildo, Comune Salvatore e Di Lorenzo Raffaele. Dalla seconda metà del 1920, invece, viene eletto sindaco l'avvocato cavaliere Migliaccio Ermenelgildo, e troviamo come assessore l'avvocato Greco Nicola del PPI, come assessore supplente Chianese Salvatore, e come consiglieri Granata Pasquale, Comune Salvatore, Del Prete Pasquale e Belardo Francesco del PPI. Il medico Serra ci narra: “un solo errore gli debbo imputare (a Domenico) e fu quello di accondiscendere a far votare gli elettori della Sezione per la casa Migliaccio”20. E' indubbio che i ricchi proprietari terrieri locali per arginare le rivolte agrarie del circondario videro nel PPI un probabile alleato contro gli scioperi e le occupazioni delle terre 19 Ibidem, foglio 15 e 16. 20 In memoria di Domenico Di Lorenzo, omaggio degli amici, Aversa 1921.

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    organizzate dai socialisti dell'agro aversano. Ma, già nel novembre del 1920, l'asse liberal-democratico-popolari vacilla, come si legge dal verbale del 19 novembre del 1920 la sezione dei PPI ordina ad un suo consigliere di dimettersi dalla carica:

    “Terzo ordine del giorno. Azioni contro il Cons. Comunale Belardo Francesco perché non si dimette in seguito ad avviso ricevuto dal Consigilo. Siccome il consigliere in parola ha chiesto un termine di dieci giorni per rassegnare le sue dimissioni, il Consiglio delibera di accordarglielo.”21

    A dicembre dello stesso anno la situazione precipita. Il Consiglio d'Amministrazione del PPI intima i suoi consiglieri comunali a dimettersi.

    “Punto 1°, ordine del giorno. Destituzione del Gruppo o dimissioni del Consiglieri Comunali del Partito (Relatore Segretario Politico). All'uopo il consiglio stabilisce ad unanimità di intimare i consiglieri a dimettersi per ragioni morali e pratiche.”22

    Ormai la rottura con la famiglia Migliaccio è consumata, il loro interesse privato troppo cozzava con le nobili aspirazioni del giovane Di Lorenzo ormai saldamente incanalato nel solco di emancipazione sociale segnato dal PPI.

    Forse già adesso si potrebbe individuare uno degli elementi di rancore covati nell'animo del Migliaccio che lo avrebbero poi portato al gesto inconsulto dell'anno successivo. Ad onor del vero, proprio per restare fedele al lavoro obiettivo dello storico, da numerose testimonianze raccolte, a questo elemento ne andrebbe aggiunto ancora un altro: Micuccio scriveva lettere d'amore, per conto dell'amico Vincenzo Leanza, ad una ragazza ortese, a cui erano rivolte anche le attenzioni di Arturo Migliaccio. Va da sé che il Leanza non potendo contare su una discreta preparazione culturale aveva chiesto aiuto proprio a colui che per nessuno si sarebbe negato e quindi detto episodio certo non potrebbe costituire focolaio di vendetta.

    Le elezioni nazionali del 1919 avevano generato nella provincia di Caserta una spaccatura dei ministeriali liberali. Un primo troncone 21 Deliberazioni del PPI di Orta di Atella, anno 1920-21, foglio 15. 22 Deliberazioni del PPI di Orta di Atella, anno 1920-21, foglio 19.

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    faceva capo al marchese Alfredo Dusmet, incoronato quale mecenate della Liburia dalla stampa locale, in cui si riconoscevano i dignitari terrieri della provincia, tra i quali il ricco latifondista di Teano, Lonardo. Era questa l'ala cosiddetta dei liberal-democratici, legata alla lista del Ministro dell'Agricoltura Visocchi, che si contrapponeva all'ala dei social riformatori liberali e democratici capeggiati dall'on. Alberto Beneduce e dall'avv. Casertano, che avevano ottenuto ben quattro deputati in Parlamento: Beneduce, Tescione, Casertano e Mazzarella.

    Prima dell'intesa fra i nazionalisti ed i fascisti della terra di lavoro, i beneduciani cercarono di contrastare i fascisti nelle faccende agrarie della provincia. I socialisti avevano il loro rappresentante nel deputato Lollini, mentre i popolari si riconoscevano nell'on. Alberto Turano, che tentò di accaparrarsi le simpatie dei contadini sposando le idee dei socialisti locali. Nel 1921 l'ala dei ministeriali beneduciani ebbe un considerevole appoggio dai liberal-nazionalisti dell'on. Paolo Greco, eletto deputato nel Parlamento Italiano nel 1921 nella lista Visocchi. Era questa l'ala democratico-combattentista più irriducibile, che avrà un ruolo fondamentale, attraverso la formazione di milizie armate, formate soprattutto da ex soldati in congedo, nella reazione armata contro le occupazioni delle terre fatte dai contadini.

    In questo clima di lotta sociale, Don Sturzo si reca nel Giugno del 1920 a Caserta per un convegno provinciale, invocando apertamente una vera e propria battaglia contro le cricche, consorterie, ragioni personali del visocchismo e del beneducismo in terra di lavoro. Anche il periodico socialista casertano Falce e Martello, legato all'on. Lollini, criticherà con vigore la sporca democrazia feudale dei liberali-democratici e le cooperative bianche del PPI casertano.

    Grazie al decreto Visocchi emanato nel settembre del 1919, i Prefetti hanno la facoltà di assegnare ai contadini ex combattenti le terre incolte o in condizioni decisamente inferiori alla produttività media e di autorizzare l'occupazione per un periodo di quattro anni. Nel 1921, infatti, nella provincia della Liburia, i fittavoli e i mezzadri acquistano a buon mercato terre dai loro padroni soprattutto nei territori di Maddaloni e nell'agro aversano, compreso Orta di Atella. Si

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    sta ormai facendo avanti un robusto stuolo di ex mezzadri e piccoli fittavoli giunti proprio allora alla conquista del pezzo di terra, decisi a difendere coi denti le prerogative del loro nuovo rango sociale. Il dato nuovo, che portò i sindacalisti del PPI e del PSI ad avvicinarsi e a sposare le speranze e le aspirazioni dei braccianti, è rappresentato dai patti colonici del 1921 e dalla quotizzazione delle terre incolte. Ciò spinse le locali sezioni dei due partiti di massa, PPI e PSI, a lottare al fianco dei braccianti, cosa che non lasciò indifferente il nostro Domenico che, come abbiamo già visto, attraverso una serie di deliberazioni, avrà un ruolo di primaria importanza nelle lotte contadine che si svolsero nei tenimenti di Orta di Atella.

    A febbraio del 1920 i socialisti creano la prima lega contadina della provincia a S. Apollinare, con duecento aderenti e fanno applicare sul territorio locale il patto colonico e il contratto di mezzadria, abolendo le regalie di polli e uova al feudatario di turno. Ormai i popolari e i socialisti hanno sottratto al vecchio partito liberale la loro base sociale; infatti, durante il convegno provinciale tenutosi il 15 Maggio 1920, i beneduciani si schierano apertamente contro il Partito Popolare e il Partito Socialista di area casertana. Era ormai evidente che il controllo della provincia di Caserta poteva avvenire solo attraverso i voti dei contadini. Non a caso dal censimento del 1921, su 867.826 abitanti della provincia di terra di lavoro, 140.865 risultano braccianti e 280.501 risultano agrari, il che vuol dire che il 50,2% della popolazione provinciale è contadina.

    Nel congresso del PSI tenutosi a Napoli il 24 Gennaio del 1921, i socialisti affermano di volere aumentare il numero di sezioni della Campania, soprattutto in provincia di Caserta, dove le lotte contadine sono più frequenti. I consiglieri nazionali del PPI e del PSI non tarderanno a recarsi nei paesi dove le rivendicazioni contadine con le relative occupazioni di terre divampavano, come a S. Andrea, a Vallefredda e a Roccadevandro. Nel 1921, a Cassino, per placare i rivoltosi, l'abate non fece svolgere la tradizionale processione del patrono S. Benedetto tanto cara ai cassinesi, facendo gioco sull'atavico legame delle masse contadine alla superstizione e al magismo. A Pontecorvo quattromila contadini si rivoltano per rivendicare il

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    rinnovo dei patti agrari e per eliminare la consegna del raccolto a domicilio, presso i palazzi baronali. Nel 1920 il Prefetto di Caserta chiede rinforzi a Roma per fronteggiare le rivolte a Sessa Aurunca, Capua, Fondi, nell'agro aversano: rivolte, a dire del Prefetto, cavalcate dai popolari e dai socialisti locali.

    E' paradigmatico narrare un episodio accaduto proprio in quegli anni ad Orta di Atella, che dà il senso profondo dell'acme raggiunto dagli scontri sociali in quel tempo. Il bracciante ortese Falace Elpidio, noto come Arpino, chiamato così per via delle sue origini (era natìo di S. Arpino) viene invitato da un proprietario terriero locale per raccogliere i frutti pendenti in località Casapuzzano. Durante la raccolta il proprietario guarda con occhi di sfida il Falace mentre si trovava a lavorare sul famoso scaletto a tre piedi (o' treppere) poggiato sul tronco di un noce. Lo spavaldo proprietario esordisce:

    -Tu come ti chiami? -Arpino. - Lo sai Arpino che i proprietari picchiano sempre i braccianti

    poco simpatici come te! Tu sei antipatico, come tutti i tuoi simili. Arpino, sentendo queste parole ingiuriose, scende dalla scala e

    dopo vari insulti reciproci divampa una colluttazione fra i due e il proprietario terriero finisce con la testa su un albero di noce.

    A Capua scoppia una sparatoria tra i popolari e i socialisti per la conquista della Piazza d'Armi. A Saparanise i liberali-nazionalisti si imbattono in uno scontro a fuoco con i socialisti barricati nella tenuta reale di Calvi. Il 27 settembre del 1920 i socialisti occupano il real sito di Carditello in San Tammaro e distribuiscono le terre limitrofe ai reduci di guerra. E' la vittoria più celebrata dalla sezione socialista di Santa Maria Capua Vetere, che farà scuola agli altri territori casertani. Altre occupazioni non ottengono però l'esproprio richiesto e le terre vengono concesse solo in affitto agli occupanti, come per i centocinquanta moggi a S. Maria la Fossa nella tenuta del barone Baracca, che vengono dati in fitto alle cooperative bianche.

    Nel giugno del 1920 l'ex combattente Vincenzo Palmieri, proveniente dal Comitato Centrale del Fasci, fonda la sezione del PNF (Partito Nazionale Fascista) a Caserta. Dopo un anno gli succede l'avv.

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    Lamberto, un ufficiale in congedo. Sezioni dei fasci sorgono a Capua, Santa Maria Capua Vetere, Piedimonte d'Alife, Sora e sono tutte guidate da nuclei di ex combattenti, che si scontreranno ripetutamente con le squadre dei popolari e con quelle degli Arditi del popolo, un gruppo anarchico di estrazione socialista e comunista. Fu però soprattutto l'offensiva armata del rassismo agrario a dare il colpo di grazia alle lotte contadine in terra di lavoro. Nel 1921, su tutto il territorio nazionale, non si contano più le invasioni, i saccheggi, le devastazioni, gli incendi, gli scioglimenti forzati di sedi del PPI e del PSI, di cooperative e di enti al consumo. Numerosi anche i dirigenti socialisti e popolari che vengono aggrediti o uccisi nel corso delle scorrerie fasciste.

    A Caserta però i ras fascisti, ovvero i capi dello squadrismo (il cui nome deriva etimologicamente dall'etiope ras = testa: erano così designati i dignitari di rango immediatamente inferiori al Negus, terminologia che entra a far parte del vocabolario fascista dopo la conquista dell'Etiopia) hanno dei contendenti di pari forza nelle associazioni nazionaliste e combattentiste liberali e democratiche, che detengono il primato del rassismo agrario in terra di lavoro, facendo proprie le espressioni più vistose ed esteriori della violenza agraria fascista o certe istanze del fascismo agrario e provinciale, antiprotezionista e antisiderurgico. A metà del 1921 un alto membro fascista milanese si reca a Caserta per sondare da vicino la situazione. Dopo un breve soggiorno scriverà una missiva al Comitato Centrale Fascista dicendo che lo spirito nazionalista è così elevato nella provincia da rendere difficile qualsiasi azione d'ordine fascista, e questo, a suo dire, è il motivo basilare che non fa decollare il PNF casertano. Le azioni di rappresaglia per l'ordine pubblico degli ex combattenti liberali superano di gran lunga quelle fasciste, essendo essi i primi attori contro il bolscevismo clericale e socialista. Certo è che in terra di lavoro i fascisti sono una mera ombra alle spalle dei liberali nazionalisti, a differenza di ciò che accade in quei tempi nelle agrotowns pugliesi, dove combattono ripetutamente nei territori rossi contro il celeberrimo sindacalista Di Vittorio.

    Un'altra lettera a Starace viene inviata dal PNF di Napoli dove si

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    ribadisce ancora una volta che la macchina clientelare nazionalista frena il diffondersi dei fasci. L'on. Greco, capo indiscusso dei nazionalisti casertani, fonda il gruppo dei Sempre Pronti, che indossa come divisa una camicia azzurra. Queste bande, armate di spranghe e bastoni, irrompono nei piccoli centri casertani per sedare le lotte contadine che, inviate in soccorso dei proprietari terrieri, con azioni squadriste uccidono e devastano, portando a rimorchio i fascisti. Nel 1921 durante un'azione punitiva nei territori di Isola Liri e Arpino, il Prefetto di Caserta li descriverà, in un suo verbale spedito a Roma, come squadre fasciste. Ormai i liberali-nazionalisti e i fascisti si completano a vicenda, rappresentando lo stesso movimento antidemocratico. Difatti, il Prefetto affermerà che i nazionalisti sono quelli che manovrano le leve dello squadrismo.

    Nel dicembre del 1922 il fascio di Santa Maria Capua Vetere viene sciolto dal Prefetto perché i suoi membri sono accusati di aver distrutto la sede del PPI di Piedimonte d'Alife. L'episodio più eclatante, però, che vede fascisti e nazionalisti liberali fondersi nella provincia di Caserta è la sfilata che si tiene a Sant'Angelo in Formis, durante la quale le due formazioni di miliziani sfilano lungo il paese sottolineando il loro carattere paramilitare e sportivo. Dopo uno scontro tra fascisti e nazionalisti ad Acerra, quest'ultimi inviano una lettera a Mussolini invocando una definitiva fusione delle camice azzurre casertane nelle file fasciste. Successivamente le sezioni liberal-nazionaliste di Formia, Elena (Gaeta), Nola e Alife, si trasformano in nuove legioni dei fasci. E' proprio in questo clima di squadrismo liberale e cripto-fascista del 1921 che si deve leggere l'episodio della rappresaglia contro la sezione ortese del PPI. I liberali ortesi fanno proprie le indicazioni del loro leader politico Giolitti, che nel 1921 invoca un programma di restaurazione nazionale, puntando sull'utilizzo dei fascisti di Mussolini o imitando le loro gesta, per un ridimensionamento di popolari e socialisti, il che era condizione indispensabile per la ricostituzione dei vecchi equilibri politici. I grandi proprietari terrieri diedero sostegno alle azioni squadriste liberali e fasciste, fornendo loro mezzi, punti d'appoggio e uomini per le loro azioni punitive. Quindi il liberalismo casertano si trasformò, in

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    breve tempo, in fascismo agrario violento e senza scrupoli e la sua irrefrenabile ascesa coinciderà con l'escalation delle lotte agrarie.

    La domenica sera dell'8 Maggio del 1921 i membri rappresentativi della sezione del PPI ortese si trovano ad Aversa per assistere ad un comizio tenuto da un rappresentante provinciale del partito. Quella sera nella sede del PPI ad Orta di Atella in piazza San Donato sono presenti pochi soci; alcuni sono intenti ad ordinare il locale altri invece sono seduti a discutere di politica, dei nuovi fitti colonici e del prezzo della macerazione della canapa, fibra vegetale di cui il nostro ager atellanus era ricco, grazie agli acquitrini formati dai Regi Lagni che attraversavano il tenimento di Bugnano e Casapuzzano nel punto in cui erano stati eretti anticamente il ponte di Ponterotto e quello di Casapuzzano, come si evince dalla Carta del Fioravanti del 1772. Alle ore 21,00 nella piazza del paese si odono grida, urla, invettive di ogni genere. Il rumore degli stivali delle Guardie Campestri è fragoroso. Un'orda di circa cinquanta persone, come narrano i verbali dell'epoca dei Regi Carabinieri, capitanata dai fratelli Migliaccio (Giovanni consigliere provinciale, Angelo, Gioacchino, Ludovico, Oreste ed Arturo) irrompe nella sede, devastando tutto ciò che incontra, con una furia senza eguali. Con randelli e forcine i barbari paesani demoliscono l'intera sezione, rompendo mobili e suppellettili, scaraventando sedie e tavoli fuori dalla sezione. Migliaccio Angelo è il primo a presentarsi, armato di rivoltella, dinanzi alla porta, intimando i soci a lasciare il locale. In seguito irrompono le Guardie Campestri che completano l'azione punitiva squadrista. Di solito, le Guardie Campestri erano milizie ingaggiate dalla proprietà terriera per difendere i loro terreni, minacciati dall'occupazione di braccianti, mezzadri e fittavoli. Quella sera i miliziani, a servizio dei fratelli Migliaccio non hanno alcuno scrupolo etico e si lasciano andare a indicibili bassezze morali.

    “Costoro prepotentemente e con ogni sorta di violenza e minacce ingiunsero ai soci di uscire immediatamente e come i soci si furono allontanati in preda allo spavento, a colpi di mazza compirono opera di devastazione, frantumando quanto di mobilia vi era nel locale e arrecando un danno di circa Lire 1000, come è stato val