Aleksandr Solgenicyn. ARCIPELAGO GULAG. · PDF fileInizialmente marxista critico dello...
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ARCIPELAGO GULAG
Aleksandr Isaevič Solženicyn (Kislovodsk, 11 dicembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008) è stato uno scrittore,
drammaturgo e storico russo. Inizialmente marxista critico dello stalinismo, poi divenuto conservatore e
anticomunista, attraverso i suoi scritti ha fatto conoscere al mondo i Gulag, i campi di lavoro forzato per i
dissidenti del sistema sovietico dove fu rinchiuso per molti anni. Gli è stato assegnato il Premio Nobel per la
letteratura nel 1970 e quattro anni dopo è stato esiliato dall'Unione Sovietica. Ritornò in Russia nel 1994,
dopo la caduta del sistema sovietico.
Aleksandr Solgenicyn. ARCIPELAGO GULAG. Saggio di inchiesta narrativa. Traduzione di Maria Olsùfieva. World copyright 1973 by Aleksandr
Solgenicyn. Copyright Arnoldo Mondadori Editore 1974 per la versione italiana. http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/libri/arcipelago_gulag.pdf
Tutto vero
A cuore stretto mi ero astenuto per anni dal pubblicare questo libro, già pronto: il dovere verso chi
era ancora vivo prendeva il sopravvento su quello verso i morti. Ma oggi che la Sicurezza dello
Stato ha comunque in mano l'opera, non mi rimane altro che pubblicarla immediatamente.
A. Solgenlcyn - settembre 1973.
In questo libro non vi sono personaggi né fatti inventati. Uomini e luoghi sono chiamati con il loro
nome. Se sono indicati con le sole iniziali, è per considerazioni personali. Se non sono nominati
affatto, è perché la memoria umana non ne ha conservato i nomi: ma tutto fu esattamente così.
L’Arcipelago
(…) Kolyma era l'isola più grande e celebre, il polo della efferatezza di quello straordinario paese
che è il GULag1, geograficamente stracciato in arcipelago, ma psicologicamente forgiato in
continente, paese quasi invisibile, quasi impalpabile, abitato dal popolo dei detenuti. Questo
Arcipelago s'incunea in un altro paese e lo screzia, vi è incluso, investe le sue città, è sospeso sopra
le sue strade, eppure alcuni non se ne sono accorti affatto, moltissimi ne hanno sentito parlare
vagamente, solo coloro che vi sono stati sapevano tutto.
(…) Un uomo solo non avrebbe potuto creare questo libro. Oltre a quanto ho riportato io
dall'Arcipelago: con la mia pelle, la memoria, l'udito e l'occhio, il materiale per questo libro mi è
stato dato, in racconti, ricordi e lettere, da //elenco di 227 nomi// Io non esprimo loro qui la mia
riconoscenza personale: sarà il nostro comune monumento eretto da amici in memoria di tutti i
martoriati e uccisi.
La confessione
(…) noi riferiremo ancora una volta il caso di Cebotarv, perché di tipo particolarmente misto. Fu
messo per 72 ore nell'ufficio del giudice istruttore e l'unica cosa che gli permettevano era di recarsi
al gabinetto. Non gli davano da mangiare né da bere (l'acqua era là in una caraffa), non doveva
dormire. Erano sempre presenti tre giudici, lavoravano in tre turni. Uno scriveva sempre (in
silenzio, senza minimamente disturbare l'imputato), il secondo dormiva sul divano, il terzo
camminava su e giù per la stanza e non appena Cebotarv si addormentava, lo copriva
immediatamente di botte. Poi si scambiavano le mansioni. (Forse erano stati degradati a tale
situazione da caserma per la loro poca efficienza?)
Improvvisamente portarono a Cebotarv il pranzo: (…). Dopo pranzo gli dissero: Adesso firma ciò
che hai "deposto di fronte a due testimoni"! ossia quanto era stato inventato in silenzio da un
giudice mentre un altro dormiva e il terzo era sveglio. Fin dalla prima pagina Cebotarv vide che era
stato amicissimo di tutti i generali giapponesi più in vista, e da tutti aveva avuto incarichi
spionistici. Cominciò a cancellare una pagina dopo l'altra. Fu picchiato a sangue e buttato fuori. Un
1 Sigla di: Amministrazione generale dei campi d’internamento
altro, ferroviere della linea Cina-Oriente, Blaginin, arrestato insieme a lui, ebbe lo stesso
trattamento, bevve il vino e, in piacevole stato di ebrezza, firmò e fu fucilato. (Anche solo un
bicchiere di vino darebbe alla testa a chi ha digiunato tre giorni! e là ce n'era una caraffa intera.)
"Botte" che non lasciano segni. Picchiano con la gomma, con mazze e con sacchi pieni di sabbia. Fa
molto male quando picchiano sulle ossa, per esempio con lo stivale del giudice istruttore sugli
stinchi, là dove l'osso è quasi in superficie. Il comandante di brigata Karpunic-Braven fu picchiato
per ventun giorni di seguito. (Adesso dice: Trent'anni dopo mi fanno ancora male tutte le ossa.)
Ricordando il passato proprio e racconti d'altri egli enumera 52 metodi di tortura.
Per esempio questo: si stringono le braccia in un attrezzo apposito in modo che le mani
dell'imputato stiano piatte sulla tavola e poi si picchia con lo spigolo di una riga sulle articolazioni;
c'è da urlare. Dobbiamo considerare a parte la rottura dei denti? (A Karpunic ne spezzarono otto.)
Come ognuno sa, un pugno dato al plesso solare mozza il respiro e non lascia alcun segno. Il
colonnello Sidorov, a Lefortovo, subito dopo la guerra applicava un colpo di stivale di gomma sugli
attributi maschili penduli (i calciatori che abbiano ricevuto la palla nell'inguine lo possono
apprezzare). Questo è un dolore senza pari, e generalmente si perde la conoscenza.
In cella
Quasi dalle prime ore egli si trovava in una cella comune stipata. Questo presentava certi vantaggi
che compensavano i difetti. L'affollamento eccessivo non solo sostituiva la strettezza del box
d'isolamento ma finiva per essere una "tortura" di prim'ordine, tanto più preziosa in quanto durava
interi giorni e settimane; senza alcuno sforzo da parte dei giudici istruttori, il detenuto era torturato
dagli stessi suoi compagni. In una cella venivano stipati detenuti in numero tale da non permettere a
ciascuno di disporre di un pezzetto del pavimento, da costringerlo a calpestare gli altri e a far sì che
non potesse muoversi affatto; la gente stava seduta sulle gambe dei vicini. Così a Kiscinv, nel 1945,
erano rinchiuse in una cella di isolamento DICIOTTO persone, a Lugansk nel 1937 QUINDICI;
IvanovRazumnik stette nel 1938 in una cella standard della prigione di Butyrki, calcolata per
venticinque persone, con CENTOQUARANTA detenuti (le latrine erano così sovraccariche che era
possibile usarle una volta nelle ventiquattro ore, a volte solo di notte, lo stesso per l'aria).
Il medesimo Ivanov-Razumnik calcola che nel canile di ricezione della Lubjanka per settimane
intere, a tre uomini toccava un metro quadrato di pavimento (provate a disporvi così!); nel canile
non c'erano finestre né impianto di ventilazione, il calore dei corpi e il respiro facevano salire la
temperatura a 40-45 gradi (!), tutti stavano con le sole mutande seduti sugli indumenti invernali, i
corpi nudi erano pressati l'un contro l'altro e il sudore altrui produceva eczemi. Rimanevano così per
SETTIMANE, senza aria né acqua, a eccezione della sbobba e del tè la mattina.
Carovane di schiavi
Anche per lo Stato è vantaggioso spedire i condannati nei lager direttamente, per l'itinerario più
breve, senza ingombrare le strade delle città, intasare il traffico automobilistico, né caricare di
lavoro il personale delle prigioni di transito. E' stato capito da tempo, e benissimo, nel GULag: sono
vantaggiose le carovane dei carri bestiame rossi, le carovane di barconi e, là dove mancano le rotaie
o i corsi d'acqua, carovane appiedate (non si permette ai detenuti di sfruttare i cavalli o i cammelli).
I convogli rossi sono sempre convenienti se da qualche parte i tribunali funzionano rapidamente o
qualche prigione di transito è sovraffollata; allora si può spedire tutt'una gran massa di detenuti in
una volta. Così spedirono milioni di contadini negli anni 1929-31. Così deportarono Leningrado da
Leningrado. Negli anni Trenta fu popolata così la Kolyma: ogni giorno la capitale della nostra
Patria, Mosca, vomitava un convoglio a Sovgavan', al porto di Vanino.
(…) Non tutti i vagoni rossi possono trasportare detenuti, né farlo subito: devono essere prima
preparati. (…) dovevano essere controllate l'integrità e la robustezza dei pavimenti, delle pareti e
del tetto; dovevano essere forniti di solide grate i finestrini; bisognava praticare un foro nel
pavimento per le lordure e rinforzare quel punto tutto intorno con un rivestimento di latta e molti
chiodi; bisognava distribuire lungo il convoglio uniformemente e con la dovuta frequenza le
piattaforme dei vagoni (con la scorta e le mitragliatrici) e, se le piattaforme erano poche, bisognava
costruirne altre; bisognava procurare scalette per salire sui tetti; pensare alla disposizione dei
proiettori e assicurare una erogazione costante di elettricità; bisognava fabbricare martelli di legno
con il manico lungo; agganciare un vagone di prima classe da stato maggiore, e, se questo mancava,
vagoni merci ben attrezzati e riscaldati per il capo della scorta, il cekista e i soldati; bisognava
sistemare le cucine, per le sentinelle e i detenuti. Solo allora si poteva camminare lungo i vagoni e
scrivervi sopra col gesso speciale o derrate deperibili. (…) La preparazione dei vagoni è terminata,
adesso è imminente la complicata operazione militare di "caricare" i detenuti nei vagoni.
Il sistema delle torture
Se agli intellettuali di Cechov, sempre ansiosi di sapere cosa sarebbe avvenuto fra
venti‑quarant'anni, avessero risposto che entro quarant'anni ci sarebbe stata in Russia un'istruttoria
accompagnata da torture, che avrebbero stretto il cranio con un cerchio di ferro, immerso un uomo
in un bagno di acidi, tormentato altri, nudi e legati, con formiche e cimici, cacciato nell'ano una
bacchetta metallica arroventata su un fornello a petrolio (“marchio segreto”), schiacciato lentamente
i testicoli con uno stivale, e, come forma più blanda, suppliziato per settimane con l'insonnia, la
sete, percosso fino a ridurre un uomo a polpa insanguinata, non uno dei drammi cechoviani sarebbe
giunto alla fine, tutti i protagonisti sarebbero finiti in manicomio. E non soltanto i personaggi
cechoviani, ma nessun russo normale dell'inizio del secolo, ivi compresi i membri dei Partito
socialdemocratico dei lavoratori (bolscevichi), avrebbe potuto credere, avrebbe sopportato una tale
calunnia contro il luminoso futuro. (…) tutto questo, nel pieno fiore dei grande secolo ventesimo, in
una società ideata secondo un principio socialista, negli anni quando già volavano gli aerei, erano
apparsi il cinema sonoro e la radio, fu perpetrato non da un unico malvagio, non in un unico luogo
segreto, ma da decine di migliaia di belve umane appositamente addestrate, su milioni di vittime
indifese. Oggi la leggenda scritta e verbale attribuisce esclusivamente all'anno '37 la prassi delle
colpe inventate di sana pianta e delle torture.
Non è giusto, non è esatto. Nei vari anni e decenni, l'istruttoria basata sull'art. 58 non è QUASI MAI
stata fatta per appurare la verità, ma è consistita soltanto in una inevitabile sporca procedura: la
persona poco prima libera, a volte fiera, sempre impreparata, doveva essere piegata, trascinata
attraverso una stretta conduttura dove i ganci dell'armatura le avrebbero dilaniato i fianchi, dove le
sarebbe mancato il respiro, tanto da costringerla a supplicare di uscirne all'altra estremità, e questa
l'avrebbe gettata fuori come indigeno bell'e pronto dell'Arcipelago, della terra promessa. (Lo
sprovveduto si ostina immancabilmente, crede che esista anche una via di ritorno dalla conduttura.)
È più giusto, parlando del 1938, dire questo: se fino a quell'anno per l'applicazione delle torture era
richiesta qualche formalità, un'autorizzazione per ogni istruttoria (anche se era facile ottenerla), nel
1937‑38, data la situazione d'emergenza (bisognava far passare attraverso l'apparato istruttorio
individuale, entro il breve tempo assegnato, i preventivati milioni di arrivi nell'Arcipelago; se n'era
fatto a meno nel caso delle fiumane di massa, quella dei kulaki e quella dei nazionalisti), le violenze
e le torture furono autorizzate senza porvi limiti e lasciate alla discrezione dei giudici istruttori a
seconda di quanto esigeva la mole di lavoro e il termine fissato. Non vennero specificati nemmeno i
tipi di torture, qualsiasi ingegnosità era ammessa.
Alcune citazioni dal testo
http://www.frasicelebri.it/s-libro/arcipelago-gulag/
“L’ideologia! è lei che offre la giustificazione del male che cerchiamo e la duratura fermezza
occorrente al malvagio. Occorre la teoria sociale che permetta di giustificare di fronte a noi stessi e
gli altri, di ascoltare, non rimproveri, non maledizioni, ma lodi e omaggi.”
“E' lecito eseguire ordini affidando ad altri il peso della propria coscienza?”