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PRIVATIZZARE VENEZIA IL PROGETTISTA IMPRENDITORE A cura di: Aldo Bonomi Interventi di: A. Bonomi, G. De Rita, M. Cacciari, A. Zimolo, G. Cantagalli, A. Hams, G. Donegà, C. Trevisan, E. Figus, A. Cravero, G. Bruni Prato, F. Indovina, G. Malgara, G. Pellicani, G. Ligabue, E. Monti, A. Pognici, G. Segre, L. Arcuti, E. Colabraro Marsilio Editori Settembre 1995 Al lavoro di ricerca e di inchiesta territoriale ha collaborato l'arch. Chiara Menato a cui si deve anche la rivisitazione delle interviste per la pubblicazione nel presente volume. A.B. Fanno parte dell'Associazione Venezia 2000: Actv, Assicurazioni Generali, Consorzio Venezia Nuova, Finmeccanica, Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, Marsilio Editori, Olivetti, Palazzo Grassi, Società Finanziaria ed Editoriale San Marco, Telecom.

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PRIVATIZZARE VENEZIAIL PROGETTISTA IMPRENDITORE

A cura di:Aldo BonomiInterventi di:A. Bonomi, G. De Rita, M. Cacciari, A. Zimolo, G. Cantagalli, A. Hams, G. Donegà, C. Trevisan, E. Figus, A. Cravero, G. Bruni Prato, F. Indovina, G. Malgara, G. Pellicani, G. Ligabue, E. Monti, A. Pognici, G. Segre, L. Arcuti, E. Colabraro

Marsilio EditoriSettembre 1995

Al lavoro di ricerca e di inchiesta territoriale ha collaborato l'arch. Chiara Menato a cui si deve anche la rivisitazione delle interviste per la pubblicazione nel presente volume.

A.B.

Fanno parte dell'Associazione Venezia 2000:Actv, Assicurazioni Generali, Consorzio Venezia Nuova, Finmeccanica, Fondazione Cassa di

Risparmio di Venezia, Marsilio Editori, Olivetti, Palazzo Grassi, Società Finanziaria ed Editoriale San Marco, Telecom.

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1) VENEZIA, CITTÀ ETEROTOPICA - ALDO BONOMI

«Le utopie sono spazi privi di luogo reale. Sono luoghi che intrattengono con lo spazio reale della società un rapporto di analogia diretta o rovesciata». «Ci sono anche dei luoghi... che costituiscono una sorta di contro luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate. Questi luoghi che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò in opposizione alle utopie, eterotopie».Michel Foucault, Eterotopia i.

In ogni civiltà, ci dice il filosofo francese, ci sono dei luoghi reali che costituiscono una sorta di contro-luoghi, utopie effettivamente realizzate, nelle quali i luoghi reali vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti. Oggi, le eterotopie si moltiplicano, diversificando le proprie funzioni originarie o mutandone il significato. Se «l'eterotopia ha il potere di giustapporre in un solo luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili», Venezia a me pare sia oggi un modello di città eterotopica.Basta pensare alla storia di Venezia, una città che si localizza nella laguna, per poi estendersi sulla terra ferma e lungo lo spazio da percorrere sino ad oriente nella fase storica in cui Venezia diventa «la Dominante». Ma è nell'uso virulento della categoria del posizionamento, pratica dell'oggi, che Venezia può essere osservata come luogo eterotopico. Afferma infatti Foucault che «ai giorni nostri il posizionamento si sostituisce all'estensione che a sua volta ruota intorno al concetto di spazio di posizione e alla funzione che la città deve svolgere per produrre utopia».E nel posizionamento rispetto al territorio e alla dimensione dello spazio si realizza oggi a Venezia una forma del conflitto tra i «devoti discendenti del tempo e gli abitanti accaniti dello spazio». Se lo spazio eterotopico è il luogo ove le utopie, spazi senza luogo reale, divengono altro e prendono corpo e spazio, Venezia è oggi specchio ove si riflettono miti e riti sociali: il mito della memoria e il rito del turismo. Da essi la città ha saputo trarre vantaggi per lungo tempo favorendo però anche una percezione stereotipata di se stessa come città della nostalgia, città evento, città ribalta, città simulacro... La conseguente perdita d'identità è ora vincolo all'emancipazione dalle imitazioni, ostacolo alla demitizzazione, processi invece necessari per uscire dal ghetto dei conflitti sull'interpretazione del passato e ripensare una strategia di sviluppo complessivo della città ed un suo riposizionamento, non solo rispetto al Nord-Est italiano.E' necessario superare quello che Pedrag Matvejevié nel suo Mediterraneo indica come peculiare degli abitanti delle isole, ossia un atteggiamento di ripiegamento sul passato dove «... essi sognano solo nella prima età: e presto considerano superato il tempo dei sogni. Guardano al futuro come ad una ripetizione del passato nella sua parte migliore ... », ma bisogna fare anche un passo indietro rispetto all'atteggiamento euforico di chi punta e crede solo nelle opportunità offerte dal turismo e trovare un'alternativa all'urlo disperato di chi vede invece la situazione danneggiata in modo definitivo.E in questo spazio di mediazione che l'eterotopia, sorta di «utopia definitivamente realizzata», può dimostrare la sua validità per Venezia sia come percorso progettuale possibile sia come alternativa auspicabile e concretizzabile.

1.1) IL SOCIALE DEL «DECLINAR RENDENDO»I processi sociali e le loro evoluzioni sono fatti di «tempi lunghi», la composizione sociale veneziana, più ancora di altre, è segnata dalla lunga deriva breaudeliana, non fosse altro per il suo dover fare continuamente i conti con la forte presenza del mito della Dominante anche nel tessuto degli interessi e della composizione sociale.Nel nostro precedente lavoro sugli interessi, sui conflitti, sulla rappresentanza e sulla composizione sociale a Venezia, avevamo colto tre polarità.- Una classe di mezzo che vuol morire senza cambiare.Questa «classe» composta da un mix di soggetti sociali occupati nel turismo, nel commercio, nel pubblico impiego, vuol morire senza cambiare come il simulacro di Venezia, il cui vero problema è la morte lenta per invecchiamento senza ricambio dei suoi abitanti. Ciò che fa problema per questo segmento sociale e per gli interessi che rappresenta è il vivere il tempo presente come unica cifra dell'agire sociale, senza memoria e soprattutto senza porre la dimensione del futuro come scenario del possibile agire e cambiare. Infatti, pur di fronte all'ipotesi della morte, della fine, la perdita di residenza, questo ceto immobile non fa uno scatto per vivere, per investire sul futuro.- Una élite del fare.In questa categoria sociale avevamo collocato sia i soggetti e gli interessi presi dall'antico demone veneziano del costruire per mangiare e conservare spazio e quelli che intendono mobilitarsi per la rinascita di Venezia aggregandosi intorno alla unicità di Venezia.- Una élite del pensare.Caratterizzata da un agire politico-culturale, intorno ad alcuni circoli come il Gramsci e il Ponte e il tessuto dell'università veneziana, questo segmento sociale, pur minoritario socialmente, ha ragionato e agito intorno a un'idea di Venezia possibile partendo dal presupposto che Venezia e i veneziani hanno perso la capacità di pensarsi e rappresentarsi.Se questo è il quadro degli interessi e della composizione sociale che emergeva dal lavoro di ricerca per trovare dinamiche accelerate di cambiamento val forse la pena di volgere lo sguardo al contorno, cioè sui fenomeni che interagiscono con il sociale, in primo luogo l'agire amministrativo, la politica. Qui è avvenuto un mutamento, non di

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processo ma di evento, che muta la geografia del sociale, ne introduce dinamiche di movimento e nuovi processi di rappresentazione; il fatto nuovo è l'elezione del sindaco secondo le nuove regole.Evento non secondario, che incide sui processi e dentro la composizione sociale, essendo stato eletto sindaco chi più di altri aveva innervato e dato senso a élite del pensare che come emergeva dal racconto dei processi sociali, sosteneva l'esistenza di una Venezia che aveva il coraggio di nuovamente rappresentarsi. Partendo da questa ipotesi, ci si è battuti contro lo stereotipo della nostalgia e di una Venezia immobile per i condizionamenti della classe di mezzo della rendita turistico- commerciale e contro il mito della Venezia città ribalta.Forse qui, più che altrove, la fine del partito di massa, notoriamente alimentato dalla logica e dal primato degli interessi e anche dalla loro degenerazione, era visibile, essendo gli interessi nella loro dimensione quantitativa fermi e immobili nella difesa del tempo presente della rendita di posizione. Forse qui, più che altrove, il passaggio al partito di opinione, che è alimentato dagli eventi e dalla rappresentazione, ha prodotto movimento e schieramento in un sociale dominato dall'attesa. Questo passaggio ha premiato chi aveva fatto della capacità di nuovamente rappresentarsi, di pensare a una Venezia possibile la propria strategia. Quanto questo evento, polarizzando un sociale immobile, abbia introdotto un fecondo travaglio negli interessi e nel sociale è questione dell'oggi.La classe di mezzo veneziana, ha nel meccanismo della rendita, non solo del bene casa, ma anche nel bene «specificità del luogo e del valore suolo» un blocco alla dinamica degli interessi. Il venir meno della rendita genera una paura diffusa, un rancore dovuto al percepire che il tempo presente è minacciato. Questo sentimento ha caratterizzato e caratterizzerà ancora le dinamiche sociali e sarà quotato al mercato della politica, ma certamente Venezia comincia a percepire che con la fine del motore immobile del benessere o, per dirla con Galbraith, con la «cultura dell'appagamento» bisogna fare i conti. Infatti, a fronte di processi di esplosione del settore dei servizi del terziario, anima del turismo oggi, la cultura dell'appagamento ha spesso impedito il rischio imprenditoriale e la modernizzazione del tessuto dei servizi, basti pensare quanto era ed è possibile fare, per citare solo un esempio, nel settore della convegnistica, competendo con un bene come Venezia e come questo non è stato fatto così che addirittura a Venezia il pur insufficiente ciclo alberghiero denuncia spaventosi vuoti in alcuni periodi dell'anno. Si è preferito attendere, e oggi, venendo meno la rendita con i suoi meccanismi di certezza, intere categorie sociali si sentono minacciate e inadeguate a fronteggiare le sfide che sopravanzano. Forse per la prima volta la classe di mezzo, che era ed è classe di maggioranza, si ritrova a fare i conti con la sua identità. Venezia fa oggi i conti con la sua identità ultima; finita l'epoca della Dominante - la città mercantile - svanita nella crisi di porto Marghera -- la città industriale - è oggi minacciata la sua tendenza a essere città della rendita. Più processo a contorno che per dinamiche interne, è iniziato un processo di fibrillazione, infatti, il bene casa l'attività commerciale minuta e tutti i settori legati alla rendita di posizione della città della nostalgia ancora tengono, ma è finito il ciclo in cui la cultura dell'appagamento era cultura diffusa ed egemone nel sistema paese e questo fa, dell'orgoglioso voler essere immutabili e morire con la città, non più un protervo affermare se stessi ma un lento sentire la paura che sopravanza. Ed è forse questo il momento che, a soggetti sociali impauriti di fronte al futuro, di fronte alle dinamiche del rischio culturale, bisogna essere pronti a tendere la mano per iniziare assieme un cammino di uscita dal presente per incamminarsi verso il futuro.

Il secondo processo che avviene a contorno si caratterizza per il suo radicamento territoriale, infatti accerchia Venezia, riguardando tutto il Nord-Est. è la nascita di «una nuova borghesia» come la definisce l'economista Mario Deaglio. Con questa definizione l'economista torinese denomina la nascita di un ceto che rimanda agli imprenditori innovativi, ai dirigenti che hanno riorganizzato le loro imprese negli anni ottanta, basandosi soprattutto sul capitale umano; ai lavoratori autonomi che traggono il proprio reddito da specifiche abilità e non da rendite da posizione come il marxiano possesso dei beni di produzione e come il motore immobile del benessere. Il tumultuoso sviluppo che oggi caratterizza il Nord-Est è fatto anche dall'opportunità data dalla svalutazione per il riposizionamento sul mercato mondiale delle imprese venete, ma certamente, a fianco di questo processo, appare, seppur in maniera largamente insondata, uno spirito del capitalismo neo-competitivo, basti pensare a Vicenza e Treviso, pare avere sedimentato comportamenti a base sociale. Questo spirito neo-competitivo è caratterizzato da comportamenti in cui sono prevalenti posizioni di lavoro indipendenti, portatrici di specifiche professionalità che non si esauriscono nel momento della prestazione di lavoro, mirante solo a una remunerazione immediata, ma anche a benefici di lungo periodo secondo un «piano di vita» consapevolmente costruito. E questo spirito diffuso che più di altri pone oggi il problema di passaggio tra i localismi produttivi e i localismi dei saperi e che pone come beni su cui sviluppare domande per ottenere risposta processi di infrastrutturazione del territorio per competere, servizi, regole, università e luoghi di produzione del sapere. Una domanda che pone la qualità sociale come parametro del proprio agire. Innervare di questo spirito che sta a contorno anche A tessuto sociale veneziano è forse oggi utile operazione di inserimento in un tessuto che deve passare da .un localismo di specialità, l'unicità di Venezia e il suo mito della nostalgia, a un localismo in grado di rappresentarsi nella competizione mondiale delle città ribalta che, per essere tali, devono essere vive. Nello stesso tempo Venezia potrebbe essere il luogo dove il ceto neo-borghese in formazione del Nord-Est trova l'ambito per costruire quella rete di sapere, fatta di università, centri di ricerca, luoghi di convegno dove scambiare la nuova risorsa informazione per competere e produrre così una nuova residenzialità che nuove funzioni per il Nord-Est.

1.2) RECUPERARE L'ABILITA DELL'ILLUSIONE

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Partendo dai tre eventi che insistono sul tessuto sociale e sul tessuto degli interessi veneziani, il mutamento della politica, la crisi della cultura dell'appagamento, l'emergere di uno spirito neo-competitivo è possibile pensare ad un patto tra interessi reali e azione pubblica per Venezia?Per far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati, occorre far prevalere il processo discreto del rito.Questo processo deve in primo luogo rendere visibile un motore locale per il patto territoriale per Venezia e credo in questo momento tocca all'agire amministrativo, puntando anche sui nuovi poteri che la riforma elettorale assegna al sindaco, sviluppare una strategia da sindaco-doge che incalzi gli interessi, il tessuto di rappresentanza sia del motore immobile che dell'élite del fare per verificare, come dice il sindaco Cacciari, «se è un problema di benzina o di motori che non riescono più a marciare».Il processo innovativo collettivo dell'agire e del pensare si metterà in moto se si saprà:- incalzare il tessuto degli interessi, stimolare al dialogo il tessuto della rappresentanza per verificare e selezionare con loro quegli interessi che sono in grado di attivare processi di azione per il futuro;- agire sulla paura e sulla crisi della cultura dell'appagamento, tendendo una mano per iniziare un percorso di esodo dall'immobilità del tempo presente della rendita;- agire verso il contesto del Nord-Est, rilanciando con forza il progetto di area metropolitana, per fare di Venezia il luogo di incontro e progetto, di residenza e di collocazione di funzioni per la nuova borghesia del Nord-Est.Per questo l'azione amministrativa non può limitarsi al tessuto degli interessi locali ma deve attivare un processo di comunicazione di incontro con il tessuto delle rappresentanze con i luoghi di produzioni di sapere del Nord-Est, riposizionando Venezia, non come la Dominante, ma come luogo ove, partendo dalla sua specificità, fare accoglienza dei nuovi soggetti sociali che fanno delle loro competenze un progetto di vita e fare di Venezia l'immagine alta per la competizione transfrontaliera. Università e le università del Nord-Est sono certamente attori strategici di questo processo.

Ma un patto per Venezia non può limitarsi ad alcune indicazioni di metodo, deve incorporare al suo interno valenze di selezione a modellizzazione sofisticata.Una città ove il conflitto è tra mito e rito, tra nostalgia, simulacro e nuova rappresentazione, in una città ove, come dice Cacciari, «sono cambiati i sacerdoti ma gli idoli sono sempre gli stessi», occorre agire sugli idoli del ricordo, dell'appagamento che fanno di Venezia un «non luogo». Se una città diviene «un nonluogo» rischia di avere solo nella nostalgia A sentimento dominante, schiacciando gli attori sociali su un passato che diviene presente e su un presente che diviene passato senza una definizione di futuro. Necessita attivare un percorso sociale ove al ricordo si sostituisca la capacità di fare rimembranza. Come dice Kierkegaard «il rammemorare non è affatto ídentico al ricordare... la rimembranza consiste nell'allontanare, nel prendere distanza. Per esempio che cos'è la nostalgia? Un ricordo che diviene rimembranza. E' facile provare nostalgia quando siamo lontani. Uarte consiste nel provare nostalgia pur stando a casa, cosa che richiede la capacità dell'illusione ... » ecco, Venezia deve riscoprire l'abilità dell'illusione, provando nostalgia restando a casa, abitando, rendendo vivo il luogo, prendendo atto che la sua identítá oggi non e più commerciale, immobiliare, amministrativa, turistico-commerciale o di rendita, ma è una identità sincretica, fatta di passato di cui si èperso memoria e vissuto e futuro incerto e dubbio. Uidentità debole di Venezia, da cui necessita partire, sta tra il mito della Dominante e la difficoltà di collocarsi nel duemila. Nel fare patto per Venezia necessita quindi introdurre attenzione ai temi come il ritorno ai fondamenti per dar senso al proprio smarrimento, la paura del futuro, il lutto, la perdita di memoria, dell'identità e la sua difficile elaborazione. Un patto per Venezia è in primo luogo un agire nei processi lenti del sociale, a cui al di là degli eventi, necessita tornare per far si che la cultura dell'appagamento sappia farsi élite neo-borghese.

1.3) LA CITTA' CHE VIENEVenezia 2000 era partita nel suo associarsi dall'aggregare soggetti privati interessati a stimolare uno sviluppo possibile per la città lagunare partendo dall'evento grande dell'Expo. Uipotesi, che vedeva un ruolo, un protagonismo dei privati non passò allora. In assenza dell'evento forte, questa associazione di privati decise allora di continuare il suo lavoro su Venezia e per Venezia ripartendo dal tema del rapporto tra cultura e impresa e attraversando tutte le tematiche, dal turismo alla città museo, dal problema degli accessi alla composizione sociale, che fanno la specificità, il problema di questa città e spesso impediscono il dispiegarsi di una imprenditiVità adeguata al suo ruolo, al suo spazio di posizione, alla sua immagine.Ai tempi della guerra per l'Expo, perché in parte di guerra Santa tra sì e no si trattò, mi pare di ricordare che l'attuale sindaco Cacciarí disse che posta in termini di guerra tra sì e no, ci si sarebbe ritrovati alla fine con il famoso motto «guai ai vinti», rovesciato sul suo contrario «guai ai vincitori». L'associazione, allora, avrebbe potuto ritirarsi e stare a guardare cosa avrebbero fatto e realizzato gli attori alternativi all'Expo. Non le parve giusto ritirarsi sull'Aventino, conti-nuò con un lavoro di presenza e azione cercando di superare il blocco falso della contrapposizione manichea tra fare e conservare. Ha avuto ragione nel suo ostinarsi a ragionare per una Venezia possibile, non fosse altro perché, al di là del progetto, un'idea insita nel progetto Expo aveva senso e significato: la necessità di un ruolo dei privati, l'intervento Privato a Venezia come strategico per ridare anima e azione alla città. Ecco perché l'associazione è ritornata al tema iniziale: privatizzare Venezia.E ritornata a ragionare sul ruolo dei privati a Venezia, e tutti si sono dimostrati certamente un po' più maturi e, forse perché è passato del tempo, un po' meno fondamentalístí, e quindi con lo spirito, privo di motti bellicosi, siano questi

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«guai ai vinti» o «guaí ai vincitorí», che il tema va ripreso e rilancíato. Lo scontro aveva fatto emergere le due posizioni contrapposte del fare e conservare che, lette alla luce dell'ipotesí di privatizzare Venezia, facevano emergere due schieramenti: il partito del marketing urbano e il partito della rendita. Il primo sosteneva che bisognava investire in Venezia per il suo alto valore simbolico e competitivo - l'immagine mondo - la Venezia simbolo - il secondo invece prediligeva la Venezia della rendita data dal presidiare il territorio, bene turistico per eccellenza, legato al mito della Venezia immobile.Ora mi pare che il nodo sia proprio il capire se investire a Venezia è possibile solo ed esclusivamente seguendo o il codice della competizione, tra città, tra spazio urbano, tra eventi, o il codice della rendita. Vi è un terzo Codice, fatto di socialità, residenzialità, imprenditívità, in sintesi di composizione sociale che mi pare importante. Da questo lavoro, dalle conversazioni con alcuni dei possibili futuri attori per una «Venezia che verrà», è ormai chiaro che nessuna operazione a Venezia è possibile se non si interviene nel codice genetico che produce l'abbandono dei suoi abitanti e sul declino della manutenzione privata e per interessi e funzioni della città. Per questo è importante il porre come questione accanto al tema della privatizzazione di Venezia il ragionare se prende corpo una figura di «progettista ímprenditore» adeguata al luogo e alla sfida e al rischio che necessita correre per intervenire a Venezia.

1.4) VERSO LA CULTURA DELL'AGIREIl progettista imprenditore come metafora di una capacità di fare impresa progettando luoghi perché non vi è dubbio che l'interesse, il profitto, nell'intervenire a Venezia sta nel prendere i suoi spazi vuoti, abbandonati e riempirli di funzioni non di pura immagine, il marketíng urbano, né di pura rendita, il valore in sé del bene fermo immutabile.Progettista imprenditore come metafora della creazione di residenzialità di nuova occupazione e di nuova socialità, progettando un luogo ipotizzando la sua funzione d'uso da parte della città, del contesto regionale e del mondo a seconda della scala di mercato dove si intende collocarsi.Privatizzare Venezia sarà possibile solo se questo ceto imprenditoriale prenderà corpo animando e innervando la progettualità, le ipotesi di sviluppo e il sistema di azione per il futuro di Venezia.Potrebbe sembrare una pura ínvenzione, stretti come siamo tra logiche competitíve di pura immagine e interessi forti e radicati della rendita. Ma così non è. Infatti, basta dare uno sguardo alla transizione capitalistica in atto oltre Venezia per rendersi conto che la fase del post fordismo dispiegato spinge verso una logica da capitalismo ad accumulazione flessibile. Uno dei poli di questa accumulazione flessibile sta proprio nel riuso e nella manutenzione dello spazio in for-me adeguate alla nuova composizione sociale, ai nuovi lavori, ai nuovi bisogni, in sintesi alla socialità che verrà.Per questo l'associazione ha cominciato a guardarsi dentro, a interrogare i suoi associati e via via gli imprenditori interessati a intervenire a Venezia spingendosi sino al mondo delle banche e della finanza per capire se inizia a prendere corpo una cultura da progettista imprenditore interessata a intervenire per privatizzare Venezia.

Il problema è capire se inizia a delinearsi un agire imprenditoriale che va oltre il competere per spettacolarízzare Venezia e il restare immobili nella rendita. Nel lavoro di inchiesta sono emerse cinque tipologíe di comportamenti imprenditoriali che si confrontano e tendono all'ipotesí di lavoro incentrata sul progettista imprenditore.

1. Il progettista imprenditore nella città museo

Appartengono a questa categoria imprenditori come Fíat, Benetton e Generali che intervengono su Venezia partendo dal riuso di patrimoni immobiliari o consolidati storicamente come quello delle Generali o con acquisizioni recenti, Palazzo Grassi per la Fiat e ultimo l'intervento del Gruppo Benetton.- La strategia imprenditoriale interagisce con il progetto pubblico della città museo. Esemplare da questo punto di vista il progetto Comune-Generali per la creazione di un grande spazio museale in piazza San Marco.- Hanno come spazio di posizione il rapporto tra Venezia e il mondo, ma non si limitano ad operazione di pura immagine, producono eventi che in micro producono un effetto indotto círcostante al loro insediamento e alla riutilizzazione delle aree dove operano.- Hanno come spazio di rappresentazione il sistema mondo soprattutto la Fiat e Benetton essendo queste imprese nei fatti impegnate nella competizione globale ed invece le Generali hanno una maggior attenzione, pur andando nel mondo all'asse Trieste-Venezia, parte integrante della loro storia.- Non producono direttamente nuova socialità, ma la loro strategia degli eventi può produrre forme di socíalità adeguate alla fruizione di una Venezia possibile. Sono un pezzo importante di privatizzazione nella strategia pubblica della città museo.- Ciga Hotels, sebbene inserita in questa categoria, merita una considerazione a parte. Anello della rendita turistica ha come spazio di rappresentazione il sistema mondo, auspica il recupero di aree urbane degradate e il patrimonio insulare lagunare. Non svolge una vera attività progettuale ma pare indirizzarsi verso una politica di differenziazíone dell'offerta turistica verso settori più qualificati. La strategia imprenditoriale trova nell'idea della città museo una possibile direzione di sviluppo.

2. Il progettista imprenditore territorializzato

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Sono imprenditori territorializzati nel loro agire entro la storia e la specificità produttive veneziane, il loro agire rimanda a luoghi A Tronchetto, le Zitelle, l'Arsenale. Hanno il problema non solo di produrre eventi, ma di stare sui processi, la convegnistica, la difficoltà e l'arresto dell'ipotesi dell'insedíamento Telecom al Tronchetto, il mantenere una produzione e servizi cantieristici all'Arsenale oltre a dover ragionare sul riuso dei luoghi. Più che progettare si ritrovano in tutte le difficoltà del gestire. Stanno in mezzo tra la città museo e la rendita turistica. Hanno come spazio di posizione il Nord-Est, l'Alto Ariatico, basti tener presente i rapporti tra l'Arsenale e Fiume o A rapporto tra l'insediamento Telecom e il Triveneto. Più che su eventi e sull'immagine di Venezia puntano a una Venezia che produce. Vi è una voglia di produrre una socialità nuova soprattutto in termini di nuova occupazione possibile che rivitalizzi il degrado urbano.

3. Il progettista imprenditore dell'area dei saperi

Il caso del consorzio Thetis insediato all'Arsenale che sviluppando servizi per le tecnologie del mare ha prodotto occupazione per duecento tecnici e il Centro studi San Salvador della Telecom sono due esperienze che nella loro operativítà si avvicinano molto al nostro modello di progettísta-imprenditore, basti pensare che il consorzio Thetis nasce da una tesi di laurea che poi è diventata progetto e poi realizzazione che ha prodotto occupazione. Queste due iniziative imprenditoriali producono nuova socialità e nuova residenzialità, innestano processi di riuso, basti vedere l'occupazione dei capannoni dell'Arsenale, e sviluppano quelle funzioni di ricerca adeguate a una città che sempre aspetta l'insediamento di grandi strutture tecnico scientifiche.Nella conversazione con Garma Gourmet è emerso con uno spessore piuttosto evidente come anche la ricerca nel settore della comunicazione possa svolgere un ruolo strategico per lo sviluppo di Venezia.

4. Il progettista imprenditore che sta agli accessi della città

Sono gli imprenditori che presidiano gli accessi alla città. Stanno insediati su una delle funzioni strategiche per rivitalizzare Venezia. Pur stando agli accessi e avendo come obiettivo la realizzazione del Master Plan che dovrebbe fare di Tessera la prima porta per Venezia hanno un'attenzione, e non potrebbe essere altrimenti, a tutte le dinamíche del Nord-Est e guardano dentro Venezia. Non producono socialità ma non vi è dubbio che la realizzazione degli accessi è condizione indispensabile affinché la socialità e la rivitalizzazione di Venezia possa díspiegarsi. Appartengono a questo gruppo la Società Aeroporto Marco Polo di Tessera e la Ligabue Spa.

5. Il progettista imprenditore che fa finanza

Più che progettare ed intervenire, il sistema banche ci sembra il grande assente di questo quadro che si sta delineando. UImi con i suoi investimenti per la salvaguardia legati alla legge speciale di Venezia, la Banca di Roma disponibile al Project Financing, le banche locali sotto stress, sono tutte interessate a competere per il ricco mercato del Nord-Est, la cui dimensione centrale per il sistema finanziario è evidenziata dalle attenzioni rivolte afl'Ambroveneto, e in questo scenario Venezia è certamente l'anello debole. Qui in questo settore necessita ancora lavorare molto; infatti, l'ipotesi del progettista imprenditore risulta difficile senza una presenza di capitale di rischio che permetta non solo di progettare ma soprattutto di realizzare.

1.5) IL PROGETTISTA IMPRENDITOREPiù che delle conclusioni, al termine di questa breve inchiesta sul progettista imprenditore rimangono aperte alcune ipotesi di lavoro.- Tutte le cinque típologie che abbiamo individuato sono in parte figure monche che solo se ricondotte a sintesi producono un'íntelligenza collettiva da progettista imprenditore. Necessita collegare il fare banca, il progettare nell'università, l'agire agli accessi, il produrre localmente, il fare impresa nella città museo.- Questa sintesi può essere realizzata creando una cabina di coordinamento dell'agire imprenditoriale privato su Venezia. Manca un luogo in cui la cultura del progettista imprenditore possa fare confronto, programmi, realizzazioni e dispíegarsi.- Dalle conversazioni con gli imprenditori emerge chiaramente che ogni agire nel senso della privatizzazione ha bisogno di un'interfaccia con il pubblico, in primo luogo il Comune. Anche da questo discende, quindi, un'esigenza di agire assieme per confrontarsi con l'attore pubblico che è, nella dimensione veneziana, uno degli attori strategici.Questo libro non offre, quindi, una risposta certa ma indica solo l'inizio di un possibile cammino. Per ora il nostro osservare ci ha restituito l'immagine del progettista imprenditore come figura incompleta, dai tratti incerti e confusi, frenata nel suo maturo divenire dal mancato superamento della logica del «declinar rendendo». Ma per uscire dalle secche di questa impasse è allora necessario lavorare per il rafforzamento di questa figura imprenditoriale privata.Con la figura metaforica del progettista imprenditore delineo la figura di imprenditore di se stesso, di lavoratore indipendente, di imprenditore, che, a fronte dei processi di deindustrializzazione, di innovazione continuata che non producono linearmente occupazione, nel passaggio dai localismi produttivi ai localismi del sapere, nel passaggio da una società dell'inclusione- assistenza a una dell'esclusionecompetizione, nella crisi della forma lavoro e della forma

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welfare, più che avere come dimensione il capitalismo che c'è tende al superamento andando verso un altrove: il capitalismo che verrà.La crisi del lavoro e del welfare, il gene della competizione come unico valore-ídolo ci consegnano una società a basso tasso di lavoro e ad alto tasso di anomia. Il progettista imprenditore, delineando, prima della forma impresa la forma progetto, ipotizza luoghi che producono, oltre che reddito, socialítà, il vero bene scarso dato dal passaggio dal fordísmo al postfordismo. In un ciclo produttivo, caratterizzato dalla messa in produzione dell'ínteWgenza, si aprono spazi di lavoro indipendente che oltre alla forma impresa e alla produzione di beni e merci contemplano la produzione di socíalità e di reti di intelligenza diffusa che possono tendere a diveníre «intelletto collettivo» di una società che viene. Per essere chiaro, con questa metafora, non mi aggrego al coro degli scenaristi di fine secolo della società del non lavoro; anzi, ho ben presente che questo cielo comporta passaggi dolorosi di precaríato, sperimentazione, autosfruttamento, alienazione e che, a fronte di un delinearsi di un processo di intelligenza diffusa, necessita aver presente come si scompone il ciclo della grande impresa e come muta il ruolo dello Stato come produttore di reti adeguate al ciclo. Costruire reti di reti è indispensabile al dispiegarsí di quelle capacità dell'intelletto che permettono di essere progettista imprenditore. Questo mio delineare un soggetto del cambiamento non deve indurre nell'errore, più volte compiuto (basta aver memoria della figura dell'operaío massa nel ciclo ultimo del fordismo), della ricerca spasmodica del soggetto. La metafora del progettista imprenditore altro non individua che un processo diverso di lettura del lavoro indipendente visto oggi solo come business bistory. Introduce nella forma della produzione di merce il bene scarso della socialità. Ed è la socialità infine il vero bene di cui Venezia necessita.

Marzo 1995

2) UN PROGETTISTA IMPRENDITORE PER VENEZIA - GIUSEPPE DE RITASi vuole oggi verificare un'ípotesi particolare, forse avventata, cioè che si possa stabilire, in una città come questa, un gruppo di soggetti intermedi, un gruppo di imprenditori progettisti che possano fare interventi di logica privata ma a forte carica di diffusione sociale.Per comprendere questa ipotesi bisogna rifarsi alla storia di questi ultimi due o tre anni: nei primi mesi del '92, appena assunta la presidenza di questa associazione, mi sono chiesto, da ricercatore sociale, se ci fosse a Venezia una certa possibilità di avere soggettualità sociale ovvero chi potessero essere i soggetti sociali di una città unica e particolare, ma con una spiccata tendenza al decadimento sociodemografico.Sono uno dei pochi che aveva creduto nell'esperienza Expo, e mi ero fatto già l'idea che Venezia non avesse soggetti economici sociali, capaci di farsi soggetti attivi della città e che quindi ci volesse un intervento esterno, un grande periodo di commíssariamento ad altíssimo livello, una grande occasione come l'Expo, appunto, per dare quel quid di soggettualità che la città da sola non sembrava potesse esprimere.Quell'esperienza è fallita forse proprio per questa idea quasi di commissariare per dodici, tredici anni Venezia nel tentativo di ínsuffiare una respirazione artificiale che creasse soggettualità artificiale dall'esterno. Anche gli avversari più acerrimi dell'Expo, in particolare testate quali «La Repubblica» con Massimo Riva, alla fine sono sembrati concordi sull'idea che, in fondo, non c'era soggettualítà a Venezia e che la si dovesse promuovere dall'alto.

Gli stessi giornalisti usano, a proposito o a sproposito, la parole doge - il doge Bernini, il doge De Michelis, il doge Cacciari, il doge Zorzi - anche questo dà il senso che la città, in fondo, sembri incapace di esprimere soggettualítà se non in riferimento a qualcuno più alto rispetto a se stessa. Ma, se non c'è il doge, se non c'è il commíssario, se non c'è l'alta autorità, se non c'è il gruppo che fa l'Expo o l'uomo che comoda dall'alto, che cosa c'è dal basso?Nel febbraio del '92 fu avviata una riflessione proprio su questo argomento e le ventidue iniziative intraprese da quel giorno in poi sono state tutte legate al tentativo di sperimentare, di capire, di andare a vedere se c'era spazio per una soggettualità che venisse dal basso o da qualunque parte.Uultima iniziativa è stata quella del 19 novembre 1994 del Fly & Cruise, cioè dall'aeroporto al porto e viceversa, per dare modo ai potenziali utilizzatori di Venezia come punto di partenza per le crociere, di trascorrere un giorno a visitare la città.Uíniziativa precedente, quella di ottobre, era stata invece destinata al problema dell'arrivo degli standard medio-altí o medi nel turísmo veneziano e gli operatori delle catene alberghiere si sono resi conto che si può lavorare a Venezia soltanto con un'offerta di medietà; già queste due recenti iniziative hanno visto crescere in città alcuni soggetti ímpensabfli sino a qualche tempo fa.Nel febbraio '92, leggendo Venezia da ricercatore sociale e non da veneziano o da imprenditore, ho visto che in fondo non c'era all'interno di questa società una carica da soggettualità endogena; se mai c'è un blocco sociale a Venezia, si tratta di un blocco sociale di rendita rappresentato da chi in fondo sfrutta Venezia per quello che può dare, gli albergatori, i commercianfi, in qualche modo la classe burocratica e, in una misura particolare anche se meno forte, il mondo dell'uníversità.Questo blocco sociale - non a caso tutte le battaglie degli ultimi anni si sono arenate - non vuole un cambiamento perché Venezia va bene così com'è, per la rendita. Sfruttare Venezia come rendita è una realtà che in fondo sta bene ai gruppi sociali dominanti, che non fanno blocco sociale granisciano nel senso di un forte peso politico, ma fanno

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blocco sociale di attrito; comunque qualsiasi innovazione si impantana all'interno di questa logica di blocco che pensa alla rendita.A questo fenomeno si è contrapposto qualche tipo di valutazione o di impegno illuministico di grandi o di medi personaggi che hanno pensato a Venezia in termini di marketing urbano: Venezia è grande, è bella, è unica, si vende bene allora cerchiamo di far trainare da Venezia il mio business.Però, anche nel rapporto fra posizioni di rendita e posizioni di marketing urbano ha vinto sempre la posizione della rendita, infatti, anche nel caso dell'inizíativa svolta negli ultimi anni, se non c'è la connessione con i gruppi sociali che concepiscono la città attraverso la rendita, l'iniziativa finisce per arenarsi lentamente.Non solo l'Expo, ma anche cose meno importanti si sono arenate all'interno di questa logica di rendita e anche ri dove la dimensione della rendita è nobile - ad esempio il presente e il futuro universitario di Venezia - alla fine non riesce a farsi leader della città - si pensi al ruolo delle due università anche a proposito del referendum sulla divisione da Mestre -; non si riesce a fare condensazione sociale sufficiente perché l'università rimane in parte luogo della rendita per quanto riguarda il personale, in parte del continuo slabbramento pendolare per quanto riguarda i ragazzi, e non emerge effettivamente come soggetto attivo della città.Si sono tenuti ben due incontri sull'università soggetto attivo di Venezia e sono stati anche molto interessantí, grazie afia presenza dei rettorí di altre università per testimoniare e capire quanto Funiversítà possa essere imprenditore di una città ma tutto questo, a Venezia, non è ancora vero.Con le ventidue iniziative svolte a tutt'oggi, da Santa Lucía al Tronchetto, dall'Arsenale a Porto Marghera, dalla regolazione degli accessori al sistema museale, mi sono reso conto che la città non può vivere della schizofrenia fra il grande soggetto e i tanti piccoli soggetti: deve avere dei soggetti intermedi.Se fosse una città vitale sul piano demografico ed economico, ci si potrebbe anche affidare allo spontaneismo del mercato e della crescita dal basso dei gruppi sociali, degli interessi, dei contrasti, delle dialeffiche: i commercianti, gli albergatori, gli artigiani, i trasportatori privati o gli artisti. Ma questa città è così depauperata demograficamente e socialmente da impedire una crescita di soggetti minuti, dei soggetti dal basso.Dico questo a malíncucre perché sono il teorico dello sviluppo dal basso, dello spontaneísmo, della crescita a fili d'erba di una società; questa società non può crescere a fili d'erba; al tempo stesso, però, non può crescere neanche per le intuizioni di un Doge fosse anche un soggetto forte sul piano politico o sul piano economico, come accadde quando iniziò l'avventura dell'Expo:il sistema va al di là e contro ogni buona intenzione di governo dall'alto.Gli attriti, le inconcludenze, i problemi, i pericoli sono troppi e troppo forti e allora chi comanda dall'alto - il sindaco può testimoniare dell'esperienza degli ultimi mesi - si imbatte subito in un sistema paludoso di interessi, contrasti, opinioni, attese, bisogni, rancori, atteggiamenù i più diversi che alla fine fanno naufragare il disegno dall'alto.Anche il sindaco attuale va benissimo, è bravo, è lucido, è capace, però non riesce ad andare perché corre contro la macchina amministrativa e incontra forti difficoltà quando tenta di bypassare una situazione intermedia e andare direttamente verso gli operatori singoli.Uultima riflessione che si tenta oggi, in chiusura del ciclo della mia presidenza di Venezia 2000, è questa: è pensabile che una città che non ha fili d'erba di crescita dal basso e riesce a non far funzionare ogni progetto dall'alto, abbia invece progetti intermedi, soggetti intermedi, gruppi intermedi, modi di vivere la città in modo nuovo di tipo intermedio?Questa domanda è stata posta a una serie di persone che hanno tentato di essere una sorta di progettísta-ímprenditore.Non ci siamo rivolti a Venezia Nuova perché sta già da tanto tempo sul terreno e dipende dalle decisioni di un Comitatone, pertanto non è la formazione di un discorso intermedio, casomai, è l'espressíone operativa di un discorso generale, statale. Non ci siamo rivolti neanche alla potenziale Agenzia e neppure a quelle realtà che sono importanti all'interno della città, ma che abbiamo ritenuto non fossero in grado di rispondere al nostro triplice quesito.Prima domanda: è possibile lavorare in termini intermedi in questa città, con soggetti intermedi? Seconda domanda: questi soggetti intermedi sono oggi capaci di essere progettisti e imprenditori al tempo stesso, cioè di fare impresa sul territorio in base a un progetto coordinato che faccia tessera di un eventuale mosaico di Venezia? Terza domanda: questi progettisti imprenditori che potrebbero operare a livello intermedio, hanno dentro di sé anche la capacità di fare socialità, al di là del loro fine investimenti, e di irradiare - al limite a venti, trenta, cinquanta, cento metri intorno a loro - un qualcosa che sia di innovazione e di coinvolgimento della città in questo tipo di realtà?Queste sono le tre domande chiave: è possibile lavorare a livello intermedio; è possibile lavorare con una logica da progettista-imprenditore; è possibile che questi progettisti-imprendítori abbiano anche la funzione, non voluta, di apertura al territorio e di allargamento della macchia in termini di socialità.Con le schede apposite sono state fatte alcune interviste, alla luce di queste preoccupazioni: c'è il soggetto, c'è questa cultura del soggetto progettísta-imprenditore, c'è questa capacità di fare socialità? Le schede sono state costruite su queste tre domande e ognuno ha risposto a modo suo.In primo luogo, è emerso che oggi esiste una notevole possibilità di creare questo livello intermedio di responsabilità. Già rispetto a due o tre anni fa la situazione sta lentamente cambiando, il livello intermedio esiste, la possibilità di lavorarci pure, anche se naturalmente, non è un processo in crescita secondo una linea rettilinea.Il Tronchetto ha i suoi problemi; Palazzo Grassi ha una sua perfezione forse un po' troppo astratta dalla realtà che lo circonda; le Generali hanno un impegno costante ma anche qualche tentazione di uscita; l'Arsenale ha una o due iniziative in partenza ma il resto ètutto per aria; le Zitelle hanno i loro problemi.

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Però oggi c'è una soggettualità in crescita e la responsabilità di un'organizzazione associativa di imprese com'è Venezia 2000, non ètanto quella di rompere le gambe a questo processo in crescita, ma èquella di riconoscere che questo processo va aiutato.Ancora non si tratta di veri e propri soggetti intermedi; stanno maturando ma sono ancora lontani da un soggetto da progettísta-imprendítore e solo in pochissimi casi c'è irradiazione di socialità, eppure, nel complesso, l'ipotesi di possibilità di un livello intermedio di responsabilità, devo dire che c'è.Secondo punto di riferimento: oggi e possibile fare una riflessione sul progettista-imprenditore, cioè colui che progetta un determinato modo di essere se stesso, di fare la propria azienda e del modo in cui l'azienda lavora nel territorio.Da alcune schede sembrerebbe che il progettista-imprenditore viva della sua sola realtà, altre invece danno l'idea che il progettistaimprenditore esista davvero. Penso, ad esempio, al discorso fatto altre volte con Pellicani sull'argomento dell'aeroporto ma con l'integrazione vera o potenziale con Treviso e con la formazione, al limite, di un magnete di accesso e selezione degli arrivi da lontano su Tessera o nei dintorni di Tessera, con il porto, almeno per la parte turistica: è un'operazione che già di per sé è da progettísta-imprenditore.

Lo stesso valga per la risistemazione della Giudecca o per la revisione di un assetto unitario Tronchetto, piazzale Roma, Santa Lucia e Marittíma, con ferrovia: progetti da imprenditori che creano socialità.Idem per il progetto di duplicare l'accesso a Tessera verso Castello e Arsenale, la parte est di Venezia - una delle vecchie ipotesi dell'Expo - ancora considerato elemento portante con la metropolitana o la sub-Iagunare: c'è oggi la possibílítà di determinare almeno una decina di centri e progetti che si possono definire da progettisti-imprenditori.I soggetti ci sono, questa soggettualità intermedia è in crescita ed è possibile determinare una decina di progetti in cui progettisti-imprenditori, di natura privata o di spirito privato, possano creare effettivamente delle tessere di Venezia completamente nuove rispetto a un sistema che né dall'alto né dal basso si è riusciti a smuovere finora.L'unico elemento mancante, ma questo probabilmente è un aspetto da impostare volontaristicamente perché non è spontaneo, èil fatto che questi interventi, questi progetti, questa capacità di fare progettista-ímprenditore non hanno, per ora, ricadute di socialità, di diffusione, di coínvolgimento della socialítà veneziana: sono in gran parte iniziative belle, racchiuse in nicchia; sono teche, mentre c'è bisogno di cose belle capaci di diffusione, di espansione, del respiro della città.Da questa sfida nasce il titolo della riflessione «prívatízzare Venezia», un rapporto con il privato è ormai essenziale, sia che si tratti di un proprietario che restaura case, sia che si tratti di una operazione tra banche e immobilíaristi privati.Prívatizzare Venezia è un privatízzare giusto, un privatizzare che ha un suo senso profondo se però non vi si attribuisce quell'idea della posizione di rendita o della posizione di sfruttamento dell'immagine che molti, privati e non, hanno sfruttato per Venezia.Privatizzare Venezia si può soltanto se si pensa nei termini testé indicati: in rapporto con una logica di soggetti intermedi che vivano di realtà privata, di spirito privato, di spirito imprenditoriale ma che sappiano anche essere progettisti ed espansori di realtà sociali nuove rispetto al passato.

3) AZIONE PUBBLICA E AZIONE PRIVATA PER VENEZIA - MASSIMO CACCIARICondivido molto l'impostazione che Giuseppe De Rita ha voluto dare. lo stesso mi sono spesso interrogato, privatamente e in pubblico, sull'esistenza o meno di soggetti imprenditoriali, culturali, sociali, politici, in questa città, in grado di invertire la rotta.Devo dire, dopo un anno di impegno molto pratico all'interno dell'amministrazione, che le risposte che mi sto dando sono analoghe, direi anzi assolutamente identiche a quelle di De Rita e cioè che il processo attraverso cui alcune soggettualità stanno emergendo, si stanno definendo, si stanno organizzando, è in atto. Ne sono profondamente convinto.Piuttosto, è l'ambiente in cui questi soggetti stanno evidenzíandosi che rimane ancora un ambiente fortemente ostile. Lo è, in primo luogo, all'interno della pubblica amministrazione, dove se non ostilità, c'è senz'altro incomprensione, difficoltà di assimilazione del progetto.L'ambiente pubblico, in genere, fa ancora molta fatica a comprendere queste potenzíalità e a favorirle. La mia giunta, invece, ritengo lo stia facendo in termini assai concreti, naturalmente con molti limiti, ma la direzione che abbiamo decisamente imboccato èquesta.Rispetto a De Rita, sarei invece meno pessimista sulla capacità che questi soggetti hanno di socializzarsi. Se è vero che l'ambiente èrefrattario, è però altrettanto vero che, rispetto anche a un periodo abbastanza recente, è in atto uno sforzo di comunicazione infinitamente maggiore dei propri progetti verso l'ambiente circostante.Al proposito potrei fare l'esempio dell'università, dove c'è stato un salto qualitativo fortissimo negli ultimi anni proprio sotto questo punto di vista. Non già perché prima l'università di Venezia non fosse una buona università, ma perché ora il problema del rapporto su certe questioni strategiche - come quelle della residenza uníversitaría - con l'amministrazione pubblica e il sociale in genere è di gran lunga maturato e cresciuto.

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Si tratta ormai di passare da una fase di indagine a una fase operativa. Molti dei soggetti prima richiamati hanno già progetti esecutivi, il problema adesso è il loro finanziamento. Per quanto riguarda l'amministrazione comunale, il suo sforzo è rivolto ad alcune linee fondamentali.Innanzitutto ci siamo occupati della trasformazione degli strumenti urbanistici chepermettono ai soggetti interessati di portare avanti i loro progetti. E una questione basilare e con tale consapevolezza la stiamo affrontando. Con gli strumenti attuali, tutti dominati da una cultura vetero-víncolísta, le soggettualità di cui si è fin qui parlato a Venezia certamente troverebbero (a prescindere da quelle di altra natura) difficoltà immense a collocarsi.In secondo luogo abbiamo posto mano alla riorganizzazione delle aziende municipali. Qui abbiamo incontrato difficoltà enormi, di ordine politico, sindacale e altro ancora, ma siamo decisi a portare avanti con molta fermezza la nostra linea. Accanto alla privatizzazione c'è infatti da creare anche una vera e propria ímprendítoría pubblica, perché alcuni servizi non potranno mai essere privatizzati. Ci sono pertanto alcuni importanti settori che occorre rendere più efficienti, perché se non funzionano immediatamente ne risentono i privati.Un terzo filone di specifico intervento dell'amminístrazione comunale è quello rivolto al campo immobiliare, dove stiamo stringendo tutta una serie di accordi con i privati per sviluppare grosse inizíative. Abbiamo già presentato due progetti integrati, quello per il Tronchetto e quello per la Giudecca, dove è previsto un intervento congiunto di privati e Comune su una serie di aree per sopperire in parte ai problemi della residenza studentesca, ma in parte anche per sviluppare una nuova strategia riguardante il settore turistico e della congressistica.Oltre a quelli che ho fin qui sommariamente citato, ci sono anche altri filoni che stiamo, con chiarezza di idee e di obiettivi, seguendo. Ci sforziamo, ad esempio, di accordare in una strategia comune i diversi soggetti, sia pubblici che privati, che cercano faticosamente di operare a Venezia nel campo, lato sensu, della ricerca e dello sviluppo. Le difficoltà sono molte e riguardano soprattutto i problemi localizzativi di insediamento e quelli di reperimento dei finanziamenti.Questo investe il Parco tecnologico- scientifico, che stiamo sempre meglio definendo e di cui finalmente sono partiti i lavori. E concerne il Thetis, per il quale è necessario internazionalizzare l'iniziativa, cioè richiamare soci e partecipazioni anche di grandi società estere. In questo campo, infatti, non si possono dare iniziative in termini locali e forse nemmeno in termini nazionali.Vi sono poi delle questioni, soprattutto per quanto riguarda gli insediamenti nel centro storico, che non possono, anch'esse, essere risolte in sede locale. Per quanti sforzi si facciano, mantenere determinate attività nel centro storico di Venezia sarà possibile soltanto se disporremo di strumenti legislativi che ci permettano una politica di incentivo e di sgravio.Con le organizzazioni artigianali, con le quali siamo in costante rapporto, stiamo predisponendo un vero e proprio disegno di legge, con specifiche indicazioni per il sostegno delle imprese artigiane o della piccola e media industria nei centri lagunari.Ritengo però, di dover ribadire con forza che occorre ormai passare da una fase di analisi e individuazíone di progetti e soggetti interessati, a una fase di concreto, operativo sostegno dei loro sforzi e che sia necessario creare le sinergie indispensabili tra il lavoro dell'amministrazione pubblica e questa imprenditoríalità. Tuttavia questo ancora non basta. Bisogna avere la chiara consapevolezza che queste scelte e queste prospettive avranno bisogno di crescenti mezzi finanziari. La questione è: come reperire questo fabbísogno dell'intero «sistema comunale»? Bisogna trovare interlocutori validi, con idee nuove. Non mi pare che finora in Italia ci sia stato alcun esempio in questo senso. E invece essenziale reperíre referenti interessati in compagnie finanziarie di investimento, nei segmenti di mercato a lungo e medio termine, soggetti che possono fornirci la piarifficazione del progetto, il suo finanziamento e poi anche arrivare fino alla progettazione.E inutile farci illusioni. Le capacità e le competenze di approntare simili progetti non esistono nell'ambito della pubblica amministrazione sia dal punto di vista tecníco-specialistico, sia dal punto di vista dei mezzi finanziari. Penso, ad esempio all'aeroporto o alla nuova stazione passeggeri in Marittíma. Sono grandi opportunità che ci si presentano, ma che nello stesso tempo abbisognano, come evidente, degli adeguati lavori di progettazione e dei relativi finanziamenti.Allo stesso modo per ciò che riguarda i terminal. Ne abbiamo ideati due, uno a Fusina e l'altro a Tessera, oltre alla riorganizzazione del Tronchetto e di piazzale Roma. Inoltre pensiamo di stabilire nelle adiacenze dell'aeroporto anche la cittadella dello sport con il nuovo stadio e il nuovo palazzetto. Aggiungerei il porto turistico: è inimmaginabile uno sviluppo del turismo congressistico in assenza di un porto turistico a Venezia.Ma come reperire i mezzi finanziari necessari? t impensabile che i soldi ci vengano assegnati direttamente dal governo centrale ed èevidente che non ci sono strutture finanziarie creditizie indigene in città in grado di sostenere questi progetti.Per dirla molto francamente, non abbiamo più bisogno di idee. I soggetti in qualche modo emergono, è ora indispensabile che all'interno della pubblica amministrazione, tra le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, questi progetti vengano assimilati e si aiutino in tutti i modi, i soggetti proponenti. Più ancora delle resistenze, delle inerzie, delle posizioni di rendita che certamente persistono, ciò che mi preoccupa di più a questo punto è l'aspetto finanziario del progetto nel suo insieme.Possiamo farcela? Io credo di sì, se non altro perché se noi organizzíamo bene alcune cose in città, questi progetti possono essere molto appetibili anche dal punto di vista della remuneratività. In conclusione vorrei dire: se ci si aspetta che l'amministrazione locale aiuti davvero - com'è decisa - quei soggetti che vanno emergendo per «fare», occorre anche che il dibattito politico e sociale in corso contribuisca ad aiutare a sua volta un po' l'amministrazione.

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4) IL PROGETTISTA IMPRENDITORE NELLA CITTÀ MUSEO4.1) ASSICURAZIONI GENERALI - ARMANDO ZIMOLO

Il testo dell'intervista con Armando Zimolo non era stato rivisto dall'autore, ed è quindi stato pubblicato con varie imprecisioni ed errori. Questa seconda stesura è, invece, rivista e approvata.

Come nasce il rappórto delle AssicUrazioni Generali di Venezia e Trieste con la città lagunare? Con quali obíettl'VI.~

Il rapporto delle Generali con Venezia è una tradizione di vecchia data. La Società nasce a Trieste il 26 dicembre 1831 e sei mesi dopo apre la sua sede veneziana nelle Procuratie Vecchie, esattamente dove adesso mantiene i propri uffici di rappresentanza. Fin da allora, le Generali assegnano alla sede di piazza San Marco una funzione di direzione per l'Italia, mentre la direzione della capogruppo a livello mondiale viene dislocata a Trieste.Dal 1880 fino praticamente alla fine della seconda guerra mondíale la struttura veneziana delle Generali si consolida: con l'aumentare del lavoro vengono acquisite nuove porzioni delle Procuratie, al punto da averne oggi la proprietà completa, tranne alcuni negozi, dal Correr sino alla torre dell'Orologio. Vengono acquisití poi anche altri palazzettí laterali, in bocca di piazza, il palazzo Da Ponte, San Moisè... tutte strutture adibite ad uso di uffici.Il rapporto delle Generali con Venezia è talmente intimo che la compagnia nel diffondere la previdenza nello Stato italiano viene identificata con il nome stesso della città. In tutta Italia, per oltre un secolo e mezzo, le Generali, pur essendo triestine di nascita, sono chiamate «La Venezia» con una pura e semplice identificazione con la città lagunare. Non vi è esempio similare in tutta Italia.Le Generali danno molto a Venezia anche in termini di uomini e, vicendevolmente, ricevono molto. Soprattutto nell'Ottocento la compagnia lega in maniera indissolubile il proprio nome alla storia della città: personaggi come Leone Pincherle e Isacco Pesaro Maurogonato, oltre a ricoprire cariche direttive della sede veneta, divengono nel 1848 anche ministri ed esponenti di punta del governo di Daniele Manin. Maurogonato con le sue invenzioni finanziarie e il prestito obbligazionario consente la permanenza in vita della Repubblica per 18 mesi sotto l'assedio austriaco.Il legame con Venezia è costante anche sul piano operativo. Gli azionisti delle Generali, dal 1830-40 fino al 1860 sono coloro che rilanciano l'economia veneziana, promuovono la costruzione della ferrovia Venezia-Milano, si occupano di gestire i cantieri navali e l'Arsenale. Sono in pratica gli esponenti vivi dell'imprenditorialità finanziaria. Con la caduta della Serenissima, Venezia aveva perso non solo l'indipendenza ma anche il polmone economico a beneficio di Trie-ste. Storicamente, fino alla fine del Settecento la Dalmazia guardava a Venezia come capitale naturale, ma dall'Ottocento lo sguardo si sposta su Trieste. A partire da quel momento Venezia perde il suo ruolo di centralítà rispetto a tutta la sponda orientale dell'Alto Adriatico.Gli azionisti delle Generali sono stati gli unici dell'epoca - discorso che anche ora torna di attualità - ad avere capito che la città lagunare non poteva vivere e prosperare contro Trieste né Trieste poteva farlo in assenza e contro Venezia. Per tale motivo, investono nel capitale della società triestina e, contemporaneamente, promuovono per Venezia la funzione di sbocco sull'Adriatico di tutta la Padania, compresa la Lombardia, mentre Trieste ha il ruolo di sbocco al mare dell'area centro europea. In sostanza le due città hanno un ruolo specifico ma complementare. A mio avviso, questa è un'ipotesi di strategia ancora perfettamente valida.

Venezia e Trieste, compaiono anche nelle pagine di viaggio di Stendbal, che nel 1830 era console nella città giuliana. Ma alla città lagunare lo scrittore francese non ha riservato pagine molto favorevoli, in quanto l'impoverimento dello spirito imprenditoriale veneziano sembrava essere tra le cause del lento declino economico. A distanza di oltre un secolo e mezzo lo sviluppo economico della città risente ancora di questa perdita e il suo destino pare affidato sempre più esclusivamente al settore del turismo omologato. Tutto ciò con danni rilevanti' anche sulla composizione sociale cittadina.Sviluppo economico e sviluppo sociale sono le due facce di una stessa medaglia?

Accennavo prima allo stretto legame che unisce le due città dell'Alto Adriatico in un destino comune. Attualmente la caduta economica di Venezia trova un riflesso parallelo a quella che colpisce Trieste, ma con una differenza peculiare proprio nel settore del turismo. Venezia può contare su una corrente turistica permanente, mentre Trieste no, perché il suo flusso di turismo è legato principalmente a funzioni commerciali di mercato per il centro-est europeo. Con la costituzione della Federazione jugoslava nel secondo dopoguerra, i traffici commerciali a vasto raggio subiscono un fermo parziale e la città giulíana diventa punto di riferimento commerciale solo per i prodotti di prima necessità, di piccolo scambio transfrontaliero. è un turismo quindi estremamente povero a differenza di quello veneziano che coltiva solo due fasce di turismo: uno di élite e l'altro relativamente povero, del turista «che guarda per aria» e consuma solo poche cose essenziali...Questa struttura monoeconomica ha determinato in entrambe le città, la crescita di una classe di commercianti, alcuni indubbiamente più attenti alle necessità di potenziarne lo sviluppo ma altri contenti dell'afflusso di denaro che comunque arrivava e arriva, proprio in una situazione di stasi economica cittadina. Venezia, come Trieste, èdi fatto sbilanciata sul piccolo commercio, quello di poco valore, mentre un tempo si veniva nella città lagunare anche per

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comprare i famosi e pregiati vetri di Murano. Adesso si vendono e si comprano le paccottiglie, la gente passa, compra e va... E' diventato molto più preminente il turismo di massa che non il turismo di élite. Per questo è valido il parallelo con le torme che giungevano a Trieste dalla jugoslavía (prima della frantumazione della Federazione) per comprare tutto ciò che trovavano, purché costasse poco e fosse accessibile per forza di cose alle loro capacità. Era un flusso di persone numericamente molto elevato che praticamente bloccava lo spazio urbano della città, perché era un flusso non organizzato così come il «mordi e fuggi» che blocca lo spazio urbano di Venezia.Giuseppe De Rita, nel libro Una città speciale. Rapporto su Venezia, ha messo ben in evidenza come questo tipo di sviluppo economico, gestito da una classe che si accontenta di guadagnare senza fare programmi per il futuro, sia una delle cause del declino di Venezia. Cosi come l'assenza di uno spirito imprenditoriale nuovo ha il suo peso.Trieste vive la stessa crisi. Dopo l'apertura delle frontiere, i bisogni da parte dell'Est europeo si sono diversificati ed è nata l'esigenza di avere sia Trieste sia Venezia come punti di riferimento economici, ma le due città non sanno o non possono ancora rispondere perché manca lo spirito imprenditoriale adeguato alle nuove esigenze.

Ma adesso, quali le prospettive?

Credo che proprio la nuova fase economica apra le prospettive verso l'Alto Adriatico nel suo insieme. Ravenna ha potenzialità economiche sul piano portuale, ma il nome di Venezia, e in subordine quello di Trieste, detengono comunque un peso rilevante se non altro dal punto di vista storico. Comunque è il concetto dell'imprenditorialità veneziana e triestina che dovrebbe ritrovare uno spirito nuovo. Venezia deve dimostrare di essere ancora un nuovo punto di coagulo per l'imprenditorialità veneta e lombarda, crocevia dal mare come nell'Ottocento, ma anche punto di riferimento commerciale verso l'Est.

Recuperare un ruolo economico, certamente. Ma Venezia entra sempre meno di diritto nelle tappe di viaggio delle élite intellettuali europee e d'oltre, oceano. Non è forse necessario cambiare anche l'immagine culturale della città, ricercando un intreccio tra diversefunzioni, orientate verso l'esterno, che consentano alla città di reinterpretare complessivamente il suo ruolo di città-capitale?

A mio avviso si tratta di mantenere, ovviamente, la funzione essenziale del commercio nei suoi diversi livelli, alto, medio e basso. Stessa cosa dicasi per la funzione turistica, ma questa deve essere inquadrata in modo da valorizzare la struttura della città, sottraendola all'uso indíscriminato di chiunque la voglia usare senza nulla apportarvi. Venezia è un patrimonio unico al mondo e va salvaguardato nel modo migliore proprio perché chi la visita possa gustarla al meglio. Non dico che i flussi di turisti vadano irreggimentati, ma canalizzati, guidati in maniera intelligente con un piano organico che potrebbe essere elaborato senza ledere l'autonomia o il diritto dei cittadini resídenti, di vivere la città normalmente ognuno secondo i propri rítmi, quando gli pare e piace e secondo i propri interessi. è certamente una prospettiva culturale che può essere in grado di offrire determinate opportunità di incentivazione per godere in modo diversificato la città.Nel contempo, per conto mio, va potenziata la funzione di trading che la città può svolgere sul piano commerciale verso l'estero, andando oltre i piani della piccola e media industria che punta sugli spazi liberi di Marghera per potenziarsi.

Negli anni' venti' e trenta l'iniziativa promossa da Giuseppe Volpi aveva individuato in Porto Marghera un robusto motore industriale e d'innovazione per diversificare la base economica della città, ma anche per rilanciarne il ruolo commerciale e turistico secondo un programma culturale coerente. Data la crisi in cui versa oggi il comparto industria-le, quale soluzione alternativa a questo modello?

Il polo di Porto Marghera chiaramente denuncia i suoi anni, e deve essere razionalizzato nelle sue strutture. Anche a Trieste la crisi della ferríera, una struttura di un secolo e mezzo, denuncia chiaramente la propria inidoneità a reggere la competizione internazionale. è una struttura industriale supportata dagli aiuti dello Stato, che ora con le leggi comunitarie non possono più sussistere. Lo stesso vale obiettivamente anche per molte industrie veneziane. Quello che, per conto mio, Venezia dovrebbe recuperare, sempre d'intesa con Trieste, è il suo ruolo portuale. Torna d'attualità l'esigenza cui facevo riferimento prima, di avere una comune gestione dell'Alto Adriatico. Non è pensabile che Venezia e Trieste si facciano la concorrenza per portarsi via quattro navi, quando i porti di Capodistria o di Fiume hanno le navi in rada che attendono di entrare perché non c'è posto, meptre le banchine dei moli veneziani e triestini sono deserte o quasi. E un problema di costi che per noi sono più alti, ma che vanno razionalizzati e gestiti come offerta comune di tutto il sistema portuale dell'Alto Adriatico al partners centro-europei.In più, analogamente, vi è un problema oltre che portuale anche marittimo. Noi abbiamo gradatamente abbandonato l'Adriatico alla marineria greca o turca, anche per quanto concerne i traghetti, mentre prima vi era la marineria jugoslava... lo vedo partire da Trieste traghetti greci stracolmi con cadenza bisettimanale. è un mercato in espansione. Le navi dell'Adriatica collegano invece Trieste con l'Albania. Vi sarebbero quindi ampi spazi operativi anche per la marineria nazionale in Adriatico, mentre invece il Lloyd Triestino e la stessa Adriatica vedono sempre più ridotto il loro ruolo. Ecco perché Trieste e Venezia dovrebbero elaborare un programma congiunto di iniziative portuali e marittime.

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Secondo lei, in questa ipotesi di cooperazione fra le due città il potenziamento di un'infrastruttura come il porto è molto importante. E l'aeroporto di Tessera? Quale rapporto tra lo scalo veneziano e quello di Ronchi dei Legionari' su cui gravita Trieste?

Venezia-Trieste: in un'ora e un quarto il tratto autostradale è facilmente coperto. La logica economica porta a individuare un grande aeroporto interconfinentale a Tessera e a vedere in Ronchi un aeroporto, anche internazionale, per linee di medio raggio. Oggi invece lo scalo di Ronchi dei Legionari è un aeroporto secondario, con poche linee interne e nessuna quasi estera. Vi è un collegamento con Monaco ma mancano tutti i collegamenti organici con il Centro Est Europa. Comunque certo è che i due aeroporti vanno integrati sul piano delle funzioni con conseguente risparmio di costi. Sarebbe totalmente assurdo avere anche in questo campo una concorrenza a 130 km di distanza.

Per quanto riguarda l'indirizzo verso l'area della Germania, nell'ultimo rapporto Censis, si sosti . ene che il Nord-Est rispetto al resto d'Italia cresce di più per efficienza e qualità, avvicinandosi' agli standard qualitatiVi dell'Europa più evoluta: quelli della Germania, appunto. Emerge l'ipotesi cke il Triveneto, e con esso quindi Venezia e Trieste (entrambe ora in crisi), possa rappresentare la locomotiva per lo sviluppo economico, sociale e politico del resto del paese. Qual è la sua opinione in merito?

La ritengo una teoria veritiera. E per questo motivo che sarebbe utile completare il collegamento autostradale con l'arca tedesca e il passaggio del traforo di Monte Croce Carnico, bloccato dalla parte austriaca: sono due vie di accesso, praticamente su Venezia e Trieste, ancora lontane da venire, ma necessarie per dare piena funzionalità a questo raccordo tra l'area del Nord-Est italiano e l'Europa centrale, oggi affidato solo e soprattutto all'autostrada del Brennero o in parte attraverso il valico di Tarvisio.

Questi programmipossono valere per la direttrice nord-sud. Invece, per quanto riguarda l'asse est-ovest, su cui si struttura il progetto del treno ad alta velocità, Barceffiona-Budapest-Kiev, ilfatto che Venezia e Trieste siano attestate su questo asse comporta chiare scelte di sviluppo economico, urbanistico, infrastrutturale?

Si, questo conforta quanto dicevo prima. Le due città se sono state antagoniste nel corso dei secoli hanno però vissuto un periodo di comune appartenenza all'Impero asburgico. Ma lo sviluppo di Venezia e Trieste non si è interrotto durante la dominazione straniera, anzi la condizione negativa è stata trasformata in opportunita. Trieste per non subire la dominazione veneziana ha scelto di vivere alcuni secoli di oscurità all'ombra dell'imperatore, ma ritagliandosi un'indipendenza sostanziale. Venezia è stata, sino al periodo napoleoníco, l'unica città d'Italia a non aver mai conosciuto l'assoggettamento a una potenza straniera. In tempi o in ambiti diversi le due città sono state centro di attrazione e modello di sviluppo per i Paesi confinanti. Oggi possono ritrovare la funzione avuta, in momenti differenti, nei secoli passati. Devono riflettere sulle iniziative utili alla città, sulle esigenze più pregnanti, sulle opportunità da cogliere.

A Venezia, il progetto dell'Expo è stato un tentativo di cogliere questa emergenza? 0 meglio, è stata un'opportunità lasciata cadere nel vuoto o una scivolata troppo in avanti rispetto alle esigenze effettive della città?

Per conto mio era un progetto utilissimo per Venezia, come d'altra parte lo è stato per Síviglia che non ha risentito sul piano ecologico dell'inquinamento, o altro, per aver organizzato una manifestazione di questo tipo. Anzi la città spagnola si è valorizzata al massimo sul piano internazionale e ha colto l'occasione per realizzare progetti innovativi.Naturalmente l'Expo veneziano andava valutato con ponderazione, soprattutto riguardo gli interventi da fare... Alcuni interventi potevano sembrare anche faraoníci, ma il fatto che la città diventasse un punto di riferimento nel panorama non solo internazionale, forse non è stato considerato a fondo. Non va dimenticato che tutto l'insieme delle strutture dell'Expo sarebbero state collocate prevalentemente in terraferma, e Venezia doveva costituire il punto di riferimento ideale per l'Expo. Sono convinto che fosse un'ídea vincente per la città e averla lasciata cadere è stato un grosso errore. Le motivazioni ecologiche ambientali erano nobilissime, ma forse non esisteva incompatibilità tra il progetto e la salvaguardia, in quanto lo sviluppo andava guidato senza lasciarsi imprigionare da progetti megagalattici.

Considerato che a Venezia coesistono funzioni a livello regionale amministrativo, nazionale terziario e internazionale culturale, in una prospettiva di sviluppo sarebbe opportuno privilegiare un livello rispetto agli altri o la loro compresenza può apportare vantaggi sostanziali?

Credo che i tre livelli di funzioni non siano incompatibili e vicendevolmente contrapposti: sono funzioni che possono benissimo integrarsi ed inoltre sono tipiche di una città che è «capitale» di una regione. Anche se si parla di Nord-Est il riferimento è ormai a una dimensione municípalistica e le stesse regioni che lo compongono -Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna - sono scarsamente coese tra loro. Nello stesso Veneto vi sono tendenze centrifughe rispetto a Venezia. Però in una prospettiva di rilancio del Nord-Est, io credo sia estremamente giusto pensare Venezia come sua capitale naturale. Uarea veneziana ha una sua funzíonalítà centrale, mitica direi, che come punto di riferimento geografico rispetto al territorio è periferica, ma anche baricentrica sul piano culturale e storico. Il Nord-Est è un'area che al di là delle divisioni istituzionali è economicamente compatta. Strutture periferiche

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del governo del territorio e dell'area culturale, oltre che economica, dovrebbero svilupparsi nelle città ai margini, a Trieste, Verona, Bolzano, Ravenna e così via... In questo senso, si può valutare positivamente una concezione di decentramento operativo istituzionale da realizzare sul territorio per garantire una funzionalità. Basta pensare alle opportunità offerte nella programmazione in campo portuale e nelle linee di navigazione, nel campo della programmazione turistica, gestendo i flussi turistici dalla riviera triestina a quella romagnola, presentando offerte congiunte in tutto l'Alto Adriatico. Anche il settore dell'agricoltura, dove i problemi della Carnia non sono molto diversi da quelli delle balze dell'Appennino e così via... è un territorio economico compatto che ha bisogno di essere governato invece di essere lasciato a se stesso.

In questa ipotesiil decentramento diventerebbe positivo se consente decisioni coerenti e una maggior sollecitudine nei programmidí sviluppo. Per ovviare alla staticità della situazione attuale è opportuno intervenire sul metodo o decidere quali interventi devono essere fatti subito? Ad esempio, definire un piano generale per la manutenzione della città, affrontare l'emergenza casa...

Credo che sia l'uno e l'altro. Però l'emergenza casa passa attraverso il risanarnento ambientale della città, in primo luogo. Inoltre, ancor prima di costruire nuovi edifici, dovrebbe essere garantito il risanamento dei quartieri del centro storico... Basta passare per il Canal Grande e contare tutti i palazzi perennemente chiusi e in stato di degrado.E poi, bisogna vedere cosa si intende per «Venezia»: ci si riferisce alla città solo come centro storico o si ha una visione più complessiva?

Lei come la intende?

Tutta l'area veneziana è un'area compatta, non solo il Nord-Est. Addirittura può essere considerata un'arca unica rispetto a Venezia, rispetto ai comuni e addirittura alle province.Ma lo stesso pro~1ema casa presenta risvolti diversi a seconda di dove lo si posiziona. E ovvio che a Mestre la soluzione venga ricercata costruendo nuovi edifici... Le Generali stesse, d'altra parte, hanno investito sulla terraferma costruendo a Mogliano la nuova sede centrale, dato che a Mestre non c'è più spazio e questa scelta ha innescato una domanda di abitazioni sul territorio circostante.Quando parlo di Venezia mi riferisco, invece, al centro storico. Da questo punto di vista, parlando dell'emergenza casa, di fatto, mi riferisco alla risoluzione del problema seconda-casa più che all'esigenza abitativa. Purtroppo è questo quello che emerge dal censimento del 1991: affitti troppo alti e seconda casa fanno salire a quasi cínquemila le abitazioni non occupate nel centro storico. La gente se ne va e il problema di rivitalizzare Venezia sul piano eco-nomico e sociale è diventato prioritario. Riportare i veneziani, o chiunque voglia lavorare a Venezia e vivere nel centro storico, è un obiettivo che va perseguito non tanto costruendo edifici nuovi ma riadattando quelli esistenti, offrendo servizi adeguati... insomma urbanizzando meglio.

Un altro fattore che accomuna Venezia a Trieste, ma anche a Geno va, è il calo della natalità che ha raggiunto in Queste città valori minimi. A Venezia inoltre la situazione è aggravata proprio dall'inarrestabile esodo verso la terraferma. Secondo lei, chi abiterà Venezia in un prossimo futuro?

Dipende da quello che si vuol fare della città. Se le scelte di sviluppo perseguiranno la strada imboccata fino a oggi, resteranno soltanto i commercianti. Ritengo che i programmi futuri debbano orientarsi verso un universo sociale, economico, culturale... più ampio.Chi abiterà Venezia? Gli uomini di scienza. C'è l'università, la cui funzione tradizionale va potenziata. Mi sono sempre meravigliato del fatto che la città, nonostante la fama e le tradizioni, non cercasse di sviluppare il suo ruolo quaternario, come città della scienza. Trieste sta investendo moltissimo in questo settore con l'Area di ricerca, il Sincrotronel il Centro di fisica teorica, il Collegio del mondo unito... Altre strutture scientifiche potrebbero trovare collocazione a Venezia. Non propongo certo di entrare in competizione con Trieste, ma voglio sottolineare che in questo campo ci sono molte prospettive di sviluppo. Ci sono molte altre facoltà che potrebbero tranquillamente eleggere la propria sede nella città lagunare, inaugurare corsi di Master Colleges, Venezia è un college all'aperto splendido... Città della scienza e dello sviluppo quaternario: ecco, quindi, chi potrebbe abitare a Venezia.Rimane comunque da specificare meglio la funzione commerciale, intermediare i traffici verso e dall'estero, dal retroterra italiano all'estero. Basilare è la capacità imprenditoriale degli uomini di commercio, ma commercio in senso allargato, non focalizzato sulla piccola bottega, ma sul capitale umano in grado di dialogare, di scambiare con tutto il mondo. Per intenderci, il commercio che lavora con il fax, con il computer, che viaggia per affari...Quindi oltre alla funzione amministrativa, che vedrei accresciuta piuttosto che diminuita come funzione di indirizzo del Nord-Est, dovrebbe crescere anche la domanda di spazi per studi di consulenza internazionale, studi professionali, agenzie di consulenza commerciale... La città deve ridefinire il suo ruolo di centro d'attrazione economica per il resto d'Italia, ma anche per l'Europa dell'Est.

Quindi, economia, cultura e socialità dovrebbero rientrare in un programma coordinato di indirizzi comuni'. Ma nell'ambito di questo programma, che posizione assumono le Generali rispetto alla volontà dell'amministrazione comunale di gestire la cultura come industria?

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L'aspetto museale è un'altra funzione che deve essere potenziata e ristrutturata. Ad esempio, il progetto del Comune di Venezia, che mira a fare di piazza San Marco il secondo spazio museale, a livello europeo e mondiale dopo il Louvre, destinando le due Procuratie a funzione museale, ha tutto l'appoggio della Compagnia. Piazza San Marco può essere pensata come prolungamento del museo Correr per le grandi esposizioni temporanee, come punto di richiamo per un certo tipo di turismo particolarmente interessato all'arte oltre che alla passeggiata. Inoltre può funzionare come spazio e struttura espositiva di opere d'arte conservate in altre città e nel Veneto, ma che oggi per vari motivi trovano scarsa visione al pubblico.Per questo progetto le Generali, nel rispetto del diritto di proprietà sulle Procuratie, hanno dichiarato al Comune il proprio favore.

Secondo lei, le attuali capacità operative del Comune sono sufficíentí o andrebbero migliorate?

Andrebbero migliorate. lo ho dedicato quattordici anni della mia vita, o meglio le sere di quattordici anni della mia vita, anche all'attività amministrativa triestina prima di trasferirmi presso la sede romana delle Generali. So quindi, per diretta esperienza, come le competenze dell'amminístrazione locale siano terribilmente limitate sul piano gestionale. Pertanto in un'eventuale prossima riforma istituzionale l'aspetto operativo andrebbe senz'altro potenziato. rattuale nomina diretta del sindaco da parte della popolazione è già un primo passo, ma non è sufficiente. Certo garantisce una maggiore indipendenza della giunta, del sindaco e dei collaboratori che questi si sceglie rispetto alle forze politiche (prima c'erano verifiche continue). C'è una maggiore autonomia di lavoro, ma certamente non ci sono ancora gli strumenti per avere maggiore autonomia decisionale ríspetto allo sviluppo di leggi e di competenze dello Stato e delle Regioni.

In questo disegno di assegnare una maggiore autonomia all'amministrazione locale per condurre una politica coordinata di sviluppo, le Assicurazioni Generali come considererebbero un loro eventuale ruolo di progettisti-imprenditori, ossia di soggetti economici al servizio della propria azienda ma anche della città?

In modo molto favorevole, anche perché la compagnia ha aderito all'Associazione Venezia 2000 nata con queste funzioni e al Consorzio per lo sviluppo della seconda università. I contatti sinora íntercorsi con il sindaco e l'assessore alla Cultura sono stati franchi e costruttivi. Se richiesti, porteremo il nostro contributo di idee all'ammínistrazione, perché è anche questa la funzione di un ente primario.Credo che su Venezia possiamo vantare una tradizione e un peso di prestigio notevole, che intendiamo capitalizzare a beneficio della città. Nel rispetto delle leggi e dei regolamenti che normalizzano la valorizzazione della rete urbana, la Compagnia ha condotto, e conduce, una serie di interventi sul territorio veneziano. Sono stati effettuati interventi di restauro conservativo in numerosi immobili di pregio storico-architettonico, di cui l'ultimo completato è quello riguar-dante palazzo Morosini. Degli altri un cenno particolare merita il restauro e ripristino della struttura originale dello Squero di rio dei Mendicanti, uno dei più antichi cantieri veneziani riprodotto nei quadri del Canaletto e del Guardi, lo stesso isolato del Ridotto in calle Vallaresso, che è stato venduto a Benetton. Per quest'ultimo negli anni passati le Generali avevano fatto dei progetti di sviluppo, ma che per intoppi burocratici si erano arenati. Alla fine sono maturati interessi di altri gruppi economici verso quell'area e la Compagnia l'ha ceduta.Le vicende contingenti però non mutano l'interesse della Società per Venezia non solo per ragioni storiche, di coincidenza della vita della Compagnia con la città, ma anche come bilancio delle proprietà immobiliari che sono di tutto rispetto. A questo vanno aggiunte le proprietà in terraferma, a Mestre e Mogliano.

Una provocazione: Mogliano è in territorio trevígiano...

Certo. Mogliano è ufficialmente in provincia di Treviso, ma di fatto ruota su Mestre tanto da sembrare un suo quartiere. La compagnia ha costruito qui la sua nuova sede con duemila posti di lavoro, ma l'accesso viabilistico a questa struttura avviene in provincia di Treviso, anziché in territorio veneziano. E' un aspetto urbanistico che sembra di poco conto, ma non lo è in realtà, tanto che le Generali si sono offerte di costruire un ponte sul Dese affinché l'ingresso principale sia in Comune di Venezia. Se vogliamo, è una questione di comunícazione visiva, che non rende giustizia al rapporto storico delle Generali con Venezia.La realtà è che noi abbiamo rafforzato la nostra presenza sul territorío veneziano. Oltre alla sede veneziana, la Compagnia aveva in tutto questo secondo dopoguerra anche una direzione milanese, che gestiva i rami auto e responsabilità civile, infortuni, malattie. All'epoca non era possibile pensare di portare le mille persone che facevano parte di questa sede a Venezia per questioni abitative, sociali. La direzione di Milano ha affiancato la direzione veneziana nel rapporto diretto con la Direzione Centrale di Trieste, senza essere una dipendenza di Venezia ma avendo pari diritti e pari grado.Nel 1990 la Compagnia ha pensato di razionalízzare la struttura. Ha unificato le due direzioni trasferendo non sole le funzioni milanesi a Venezia ma in gran parte anche gli uomini. Per ragioni di spazio non è stato possibile attrezzare la struttura di piazza San Marco ed è stata costruita la nuova sede in terraferma: un investimento nell'economia veneziana e non certo una fuga.

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Ritornando al problema della conservazione di alcuni palazzi, il termine «conservazione» spesso viene esteso anche alla funzione. Non sarebbe meglio promuovere, a seconda dei casi, un cambiamento di funzione più consono ad un programma di rinnovamento strutturale della città?

Per il riutilizzo degli immobili, il caso delle Procuratie è esemplare. Dopo la costruzione del nuovo complesso a Mogliano, le Generali hanno mantenuto nelle Procuratie solo una sede di rappresentanza, il resto è affittato istituzionalmente al Comune, che per ragioni contingenti l'ha ceduto al Tribunale che a sua volta sta completando la realizzazione della nuova sede.Il progetto di estendere a questi immobili il museo Correr, al fine di dare alle Procuratie un ruolo di richiamo culturale della città, è un nuovo modo di pensare la conservazione, che ci trova pienamente disponibili.

Nel 1667 un mercante di Venezia scelse la metafora dell'albero vigoroso per descrivere le istituzioni cittadine. Ma commentando il mondo degli affari scrisse che «.. . i rami e la cima danno ancora dei fiori.. tuttavia le radicí cominciano a marcire all'inizio del xvi secolo». Denunciava, in sostanza, l'allontanamento della classe politica veneziana dalla base popolare e, contemporaneamente, il tentativo di togliere al Doge la funzione di governare lo Stato.

La partecipazione dei cittadini è importante in un atto trasformativo della politica di sviluppo?

L'apporto dei cittadini è sempre essenziale. Da un lato come partecipazíone all'impegno civico in maniera da non lasciare la gestione della cosa pubblica in mano ai professionisti della politica, che a volte perdono il contatto reale, come abbiamo visto purtroppo negli ultimi tempi. Dall'altro sul piano delle idee perché proprio da chi materialmente passa davanti ogni giorno a un immobile, da chi vive la realtà di un ambiente, da chi partecipa alla realtà economica di una città, di un quartiere, di una struttura, può venire una serie di proposte con valore aggíuntivo rispetto alle chiacchiere casalinghe; proposte a cui è necessario trovare una dimensione civica. Occorre qualcuno che ne faccia una sintesi, che ne sprema il meglio.E' indispensabile la partecipazione di tutti i cittadini, non soltanto di pochi, per far crescere una collettività.

E il ruolo dei giovani? Soprattutto per Venezia che ba una crisi demografica molto accentuata...

Sul piano del diritto e del dovere alla partecipazione delle idee, il ruolo dei giovani è uguale certamente a quello degli anziani, con in più il futuro di cui sono in qualche modo portatori. E naturale che le persone più anziane tendano a un atteggiamento conservativo, che nutrano qualche timore di fronte alle novità. In fondo, a loro basta avere la pensione, andare a respirare un po' d'aria di mare al Lido, così come a Trieste gli anziani si riversano sulla passeggiata di Barcola.Al contrario i giovani sanno che devono costruire qualcosa per sé e per i propri figli e quindi devono pensare in primis alla qualità della vita, ma anche a garantire lo sviluppo economico per ridare funzione di attrazione economica, culturale e civile alla città in cui vivono e lavorano.

Trieste, 7 dicembre 1994

4.2) BENETTON GROUP - GIOVANNI CANTAGALLI

Può spiegare brevemente come è nato l'interesse del gruppo Benetton per Venezia, e in particolare per l'area del Ridotto?

La società Benetton ha acquistato l'isolato in calle del Ridotto dalle Assicurazioni Generali, modificandone sostanzialmente il progetto di recupero. Il programma originario prevedeva il recupero di ambienti e strutture risalenti allla fine del xii secolo, mentre il nuovo progetto intende realizzare un centro congressi sfruttando la presenza all'interno dell'area dell'hotel Monaco e del cinema San Marco, ora in disuso. Purtroppo l'idea è ancora ferma sulla carta, il progetto non ha ancora ricevuto l'approvazione e l'iter burocratico sembra non finire mai.Premetto però che non seguo personalmente il settore veneziano e quindi non conosco a fondo la motivazione di un simile investimento, credo che l'idea sia nata da un'opportunità imprenditoriale prospettata alla società Benetton. Sicuramente è un'operazione da interpretare come un'opportunità segnalata, sottoposta a verifica e valutata conveniente dal punto di vista dei costi, secondo una logica corrispondente ai fini dell'imprenditore e, contemporaneamente, credo anche ai bisogni della città.

Quali sono i bisogni della città, secondo lei?

Sicuramente un piano di sviluppo della città che non sia scollegato da quello del territorio circostante, perché il destino di Venezia, almeno per quanto riguarda i sistemi integrati, dovrebbe riunire in unico disegno anche Mestre, Marghera

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e tutta la provincia. Ma la cíttà ha bisogno anche di una linea di comunicazione ferroviaria veloce tra isola e terraferma, che consentirebbbe di parcheggiare l'auto a Mestre e proseguire tranquillamente in treno verso Venezia. E' un'esigenza particolarmente sentita da un consistente numero di persone che vivono, lavorano, visitano Venezia, e che condivido personalmente. Vivo a Treviso da dieci anni, ma devo ammettere che a Venezia ci vado molto raramente perché la considero una città talmente scomoda... I ritmi di percorrenza sono molto lenti, fatto del tutto comprensibile data la natura lagunare della città, ma penso che un miglioramento della percorribilità sia attuabile senza stravolgere l'equilibrio complessivo del sistema.Tutto questo vale per chi ha la possibilità di spostarsi dal territorio veneto alla città insulare in tempi ristretti, in giornata per intendersi, ma immagino a quali problemi va incontro chi, invece, ha bisogno di una camera d'albergo, di una stanza o di un appartamento in affitto, anche per pochi giorni. La struttura ricettiva, turistica e alberghiera, offre ospitalità a prezzi troppo elevati e il settore dei servizi agli abitanti non è molto efficiente, anzi. Inoltre la città dovrebbe curare di più il suo aspetto esteriore, essere più pulita...

Qual è la filosofia posta alla base del progetto per l'area del Ridotto?

La Benetton, nell'acquistare questi immobili ha fatto un puro e semplice calcolo di investimento dal quale si aspetta un ritorno, un beneficio, ma si pensa che anche Venezia possa avvantaggiarsi e sfruttare questa iniziativa privata. Quale sia la strategia operativa della società nei riguardi degli immobili? Certamente non rientra in una logica di puro restauro, ma in una logica imprenditoriale più ampia. Il complesso del Ridotto, situato alle spalle di piazza San Marco, nel suo perimetro comprende l'hotel Monaco e anche il cinema San Marco, struttura ora in disuso, ma che può ospitare attività che in un prossimo futuro potranno svilupparsi nella città lagunare. Lavorare in questa direzione è possibile, a meno che nella mente dei governanti non si pensi a Venezia come a una città del tutto diversa, dove idee come questa perdono di significato rispetto ad un destino di città-museo, auspicato più compatibile. Se questa è la strategia dei nostri governanti, è chiaro che l'iniziativa Benetton non ha molto senso ed è sbagliata, oppure ad essa non corrisponderà un successo.

Trasformare Venezia in un museo è una delle tante idee. Lo scrittore russo Josif Brodskij nel libro Fondamenta degli Incurabili, pur ríconoscendo alla città la sua unicità, in quanto «... l'unica cosa cke potrebbe superare questa città sarebbe una città costruita nell'aria ... », giudica compatibile con essa le mostre del cinema e lefiere del libro, ma anche la presenza della ricerca scientifica e di organismi internazionali europez, nonché l'istituzione di un parco lagunare.Progettare in questa città, probabilmente, richiedeforme d'approccio diverse rispetto ad altre realtà urbane. L'operazione del Ridotto in che cosa è differente rispetto aiprogetti presentati per altre città dalla società trevigiana?

Effettivamente i criteri di scelta per Venezia non rispondono a una logica commerciale come comunemente avviene, ma sono di altro tipo. Ma è un'eccezione, perché è naturale che la logica commerciale sia non solo prevalente, ma anche guida di tutta l'attività im~ prenditoriale della famiglia Benetton. Quindi la politica d'investimenti del gruppo, che è estesa a tutto il mondo, va letta generalmente con una valenza soprattutto commerciale. Nelle altre città gli edifici vengono rilevati per inserire punti vendita o, comunque, attività commerciali legate alla società. Ad esempio, alcuni anni fa è stato acquísito a Milano un palazzo molto importante e il progetto di ristrutturazione è stato studiato tenendo presente l'aspetto commerciale. Ora è la sede di rappresentanza della società e diversi spazi sono stati utilizzati per altre attività, collegate in parte a questa funzione.Certamente, come ho detto all'inizio, la politica adottata per Venezia non è strettamente aderente agli stessi principi, ma è in funzione di opportunità nuove, diverse, rispetto a quello che solitamente èil business principale dell'azíenda. Uarea del Ridotto non è stata comprata allo scopo di sviluppare l'attività commerciale, ma è stata acquistata in un'ottica di diversíficazione d'interessi.

Venezia potrebbe svolgere un ruolo importante anche rispetto all'apertura dei mercati' dell'Est, e la sua posizione strategica di «porta» può essere un'opportunità.

Al di là dell'opportunità offerta dai paesi dell'Est, sono convinto che questo progetto sia un grande atto di fiducia nei confronti della città. Venezia è, e rimane, una delle città oggetto di interesse mondiale ed anche i suoi visitatori provengono da tutto il mondo. Non è una città destinata a decadere, ma destinata a svilupparsi. In quest'ottica nessuno farebbe un investimento di simile portata in una città destinata a sprofondare nella laguna.

Secondo lei, qual è il destino di Venezia?

Suppongo che il destino di Venezia sia da relazionare ai problemi di salvaguardia, da affrontare in tanti modi, ma penso che prima di tutto la città debba essere sottratta alla serie di conflitti ideologici, cui è stata teatro per lungo tempo. Soprattutto deve essere svincolata dagli intoppi burocratici che ne impediscono, per larga parte, la rea-lízzazione di iniziative importanti.Mi sembra che questa città soffra di una sorta di passività, di attesa, di inattività e non so fino a che punto questo dipenda dalla mancata realizzazione di iniziative particolari. Gli ostacoli sono di varia natura, di carattere

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amministrativo, burocratico, politico e così via. lo conosco meglio la realtà di Milano, ma la città lombarda non ha sicuramente problemi inferiori a quelli veneziani. Anche li ho notato che, nonostante la nuova amministrazione, molte idee stentano a partire e a prendere corpo. In entrambi i casi, manca la possibilità di essere sufficientemente flessibili e rapidi nelle decisioni di politica urbana. Credo che il quid sia soprattutto nello snellimento di alcune procedure, altrimenti non riesco a capire perché una città così invidiata in tutto il mondo, preziosa e così via, non abbia la possibilità di realizzare alcune opere.Per esempio, il progetto Benetton pare che sia ancora fermo all'esame dei tecnici e non so quanto tempo occorrerà per ottenere una risposta definitiva. IJuníca certezza è che A protrarsi dell'attesa, per causa di intoppi vari, rende difficilmente compatibile la logica di politica urbana con quella imprenditoriale, ritmata su tempi molto più veloci.

Una recente indagine del Censis individua nelle cosiddette città intermedie i piloti della ripresa economica italiana. Tra le ventiseí realtà protagoniste del «sorpasso» c'è anche Treviso che nel triangolo veneto-friulano rappresenta un polo industriale di piccole e medie ímprese t'n sviluppo. Per assecondare la dinamícità imprenditoriale saranno necessarie infrastrutture sempre più efficienti e, quindi, un miglioramento del sistema aeroportuale veneto può rivelarsi un passo obbligato.

In questo contesto, ritiene importante che Venezia, area in crisi, diventi più dinamica?

Un piano per le infrastrutture è decisamente importante per lo sviluppo, ma va sempre progettato all'interno di una logica costí-beneficí, così come è importante predisporre un programma di differenziazione tra gli aeroporti di Venezia e Treviso per razionalizzare anche i flussi turisticí in arrivo e in partenza verso e dall'esterno. A inutile far atterrare tutti gli aerei all'aeroporto di Tessera se si può sfruttare anche la struttura di Treviso o altre strutture aeroportuali presenti in un raggio d'azione abbastanza ampio. In questa prospettiva è ovvia la necessità di una concreta efficienza nei servizi di collegamento fra le varie realtà territoriali. La vitalità e la dinamícità dei territori metropolitani si fonda sulle interconnessioni non solo nazionali ma anche internazionali, e non vedo chi possa negare una cosa di questo genere. Mi sembra, quindi, abbastanza ovvio che una maggiore dinamicità di Venezia sia non solo auspicabile, ma necessaria. Non so in quale modo la città debba perseguire questo obiettivo, dato che le discussioni sono state molte. La più recente riguardava la validità di un'iniziativa come l'Expo 2000, ma l'esíto lo conoscono ormai tutti.

A distanza di anni, che giudizio dà all'esperíenza Expo?

I motivi per cui non si è fatto niente sono svariati, ma forse non riguardavano le tematiche di base. Personalmente, in linea generale, sarei stato favorevole a un'íniziativa di questo genere. Era un'opportunità da sfruttare non solo per Venezia, ma anche per tutto il territorio del Triveneto, un'occasione di rinnovamento di strutture e così via... Purtroppo non se ne è fatto niente e, a distanza di tempo, non capisco nemmeno perché il programma sia stato contrastato in modo cosi agguerrito. Non c'è stata una posizione intermedia, possibilista ma a certe condizioni; lo scenario era composto da due fazioni diametralmente opposte, le persone favorevoli e quelle nettamente contrarie. In mezzo non c'era niente e nessuno.

Forse l'Expo anticípava, seppur in modo incompleto e confuso, un diverso concetto di territorio, dove la posizione geografica non era più il criterio discriminante, ma ciò cke contava era la connessione a rete fra le città.

Pensare al territorio di Venezia diversamente, dove i confini non sono le linee tracciate sulla carta ma la rete di relazioni tessuta intorno a sé, può essere un problema di innovazione culturale collettiva?

La considero una delle sfide che gli amministratori di Venezia dovranno affrontare. è un compito che grava sulle spalle di chi ha la responsabilità di promuovere lo sviluppo della città, modificandone la chiave di lettura tradizionale per avvicinarla a un'ottica un pochino più commerciale o industriale. Penso che la connessione a rete con le altre città sia il percorso da seguire. In fondo, anche chi non risiede a Venezia ma la vive per lavoro, affari, studio... tesse una tela di rapporti, è l'«altro» utente della città e come tale nutre il desiderio di riconoscersi in un'immagine diversa da quella stereotipata della Venezia antica.

L'università è in grado di mettere in moto un meccanismo del genere?

Certo, svolge un ruolo importantissimo e, a parer mio, le sue potenzialità sono molto elevate.

Tra le potenzialità da sfruttare il settore culturale offre molte possibilità alla città a livello internazionale, anche per il ricco patrimonio storico-artistico. La città è però strutturata anche per contenere funzioni terziarie a livello nazionale, anche se ora sono limitate al settore turistico, e amministrative locali.Nel prossimo futuro, è meglio specializzare un settore rispetto ad altri o assecondare la struttura tripartita del sistema urbano?

Page 19: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Penso che una città come Venezia, così come altre città importanti, non possa prescindere da questi tre livelli di strutture. Venezia è una città internazionale e sicuramente deve mantenere organismi, enti e istituzioni con respiro internazionale. Ma non vedo come potrebbe fare a meno di livelli strutturali intermedi, come quello regíonale o comunale. Dubito che al modello attuale siano imputabili conseguenze positive o negative dello sviluppo urbano. Semmai queste dipendono dall'organízzazione, dalla capacità di integrare le specifiche competenze.Molto spesso, ed è un difetto o comunque sono aspetti che si rítrovano anche nelle aziende, si dà importanza alle strutture organízzative come modello teorico, ma si tralascia di verificare se i meccanismi opertativi funzionino. In simili conseguenze è ovvio che problemi di successo o fallimento siano poco rísoMbili. è quindi una questione anche di meccanismi operativi, non soltanto di ripartizione di responsabilità. Bisogna fare in modo che compiti specifici ab-biano la possibilità materiale di essere eseguiti, di corrispondere ad azioni concrete.

Più che puntare solo sulle strutture, sarebbe meglio puntare anche sulle capacità umane?

Sarebbe necessario puntare su meccanismi che collegano, che integrano, può essere anche la burocrazia, ma intesa in senso posítivo, non negativo. I meccanismi sono procedure, comitati, sistemi di controllo. Questi sono i meccanismi operativi e ci devono essere perché altrimenti non serve avere un'ente internazionale, regionale, comunale, se poi si trascurano i collegamenti e ciascuno va avanti per conto proprio, con sovrapposizíoni di competenze e responsabilità.

Nel 1988 la Benetton ha istituito una propria fondazione per intervenire nella salvaguardia storico-artistica dell'area trevisano-veneta con un programma coerente di iniziative culturali e non come semplice azione di sponsorizzazione.Il tema dello sviluppo di Venezia rientra, o può rientrare, nelle ricerche della fondazione Benetton?

La fondazione ha diversi obiettivi, e coinvolge nelle proprie attività personalità di rilievo. Inoltre coordina tutte le ricerche, comprese quelle che sono eventualmente proposte da ricercatori esterni. E' strutturata per promuovere ricerche sul territorio, studi sulla tematica del paesaggio e dei giardini e ha organizzato una biblioteca abbastanza importante su queste materie. Il raggio di ricerca comprende anche lo studio di problematiche dell'area padovana, mentre per l'area veneziana, penso che non sia stato fatto molto.

In questi anni, il gruppo Benetton ha ideato anche la costruzione a Treviso di un centro di ricerche sulle arti applicate, il cuiprogetto è stato affidato all'architetto giapponese Tadao Ando, e che sarà operativo nei prossimi mesi.

Quali sono gli obiettivi che si pone quest'iniziativa di ricerca applicata all'industria?

Il progetto di Tadao Ando prevede l'ampliamento della villa seicentesca Pastega, che sorge alla periferia di Treviso, in prossimità di alcuni impianti produttivi della Benetton. Il centro ricerche si chiama Fabrica - United Colors and Forms Research Center - e ha una connotazione del tutto atradizionale. L'obiettivo, principale degli studi è quello di pensare al futuro, di ipotizzare cambiamenti del mondo nel futuro. I ricercatori ospitati saranno dei giovani talentí provenienti da tutto il mondo e studieranno progetti di comunicazione per progetti e tematiche relative a prodotti del futuro. Uindirizzo prevalente dei progetti è riferito soprattutto ai campi del design, arti grafiche, visive, cinematografiche e musicali, lavorazione del legno, dei metalli e della ceramica.Il centro ricerche è nato perché si prevede che il mondo degli anni Duemila sarà caratterizzato da una serie di prodotti, anche di comunicazione, del tutto diversi rispetto a quelli sperimentati fino a oggi. Il progetto ha riscontrato l'interesse dell'azienda ed è stato considerato un buon investimento, anche dal punto di vista defl'ímmagine. La logica è quella di creare una struttura assolutamente originale, che funga da polo attrattivo culturale e sperimentale di giovani progettisti in grado di affrontare progetti innovativi. Gli strumenti oPerativí messi a disposizione dei ricercatori sono molto diversificati, anche dal punto di vista degli spazi. Il complesso si compone, infatti, di laboratori, aule, biblioteca, centro di documentazione e un auditorío.

La ricerca applicata all'industria studia, nel caso Benetton, il tema del prodotto di comunicazione e la sua innovazione. Forzando la chiave di lettura, anche Venezia può presentarsi sotto questo aspetto come un problema di comunicazione stereotipata, dato che l'immagine attuale della città ricalca le forme del mito, della città nostalgia, della città che si rappresenta, della città ribalta.Un processo innovativo che coinvolga anche Pímmagine della città è, probabilmente, necessario. Il tema «Venezia» può diventare oggetto di ricerca presso il centro Fabrica?E campo offerto alla ricerca è illimitato, ma si deve fare i conti, sia con le risorse finanziarie, sia con le risorse umane a disposizione per attivare questo progetto. Credo che se si riuscisse a realizzare anche soltanto una parte del programma preventivato è già parecchio. Attualmente gli sforzi delle ricerche sono concentrati sui prodotti di comunicazione connessi con il campo delle arti grafiche e visive. Però, in futuro, potranno emergere anche altri settori.Vedere Venezia come un elemento di comunicazione è possibile, dato che rilanciare una città, così come innovare un prodotto, non significa fare un'intervento di lifting superficiale, ma ripensare complessivamente la sua struttura, il rapporto tra forma e funzione... Lascio a lei, l'abilità di tessere la trama, però non si deve dimenticare, che la Benetton

Page 20: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

non si è mai caratterizzata nella sua comunicazione e nel suo prodotto come un'impresa veneziana o veneta, ma semmai come un'impresa nazionale o europea.

Una città non è un'azienda, ma ilproblema della competizione tra città dello stesso livello è un elemento basilare del nuovo sistema economico, postiordista, dove la produzione immateriale di saperi, conoscenze, idee, sopravanza quella materiale di prodotti.In questa logica, il problema della competizione investe anche una città come Venezia, o la sua unicità riconosciuta a livello mondiale la preserva?

Sono propenso a credere che il discorso della competizione, oggi, valga per tutti. Forse Venezia, nonostante le apparenze, non si èmai considerata talmente superiore alle altre città da pretendere che tutto le fosse dovuto per «grazia ricevuta». Certo Venezia è una realtà unica, ma è anche una realtà nella quale la gente lavora, si diverte, vive e usufruisce di servizi. E' per questo motivo che Venezia deve competere con tutto il mondo, da questo punto di vista, anche con città che sono meno belle, meno uniche, meno originali di lei.

Quali sono le città con cui Venezia può competere?

Se si osservano i criteri con cui vengono organizzati i viaggi turistici, Venezia è sempre inserita nel pacchetto più quotato, e città come Parigi, Londra, New York, Copenaghen, Amsterdam, Firenze, Roma... sono sempre le sue compagne e, anche, le sue rivali.La città veneta deve offrire e competere con un livello di servizi adeguato alla posizione che ricopre in questa classifica ideale, perché possiede dei tesori d'arte e d'architettura che altre città non hanno, musei ricchi e molto quotati, un affascinante paesaggio lagunare... ma deve possedere anche un grado di accoglienza dignitoso ed eco-nomícamente accessibile a un'utenza diversificata, non solo d'élite. Ospitalità non significa, però, favorire fenomeni di degrado urbano provocati anche dalle maree turistiche, ora soprattutto dell'Est europeo che periodicamente sommergono la città. Non so quali provvedimenti si possano prendere e non vorrei essere tacciato di discriminazione, ma vedo che le esigenze della fascia sociale a reddito medio attendono ancora una risposta accessibile. Parlando ancora di turismo, ai giovani che preferiscono viaggiare con lo zaino sulle spalle si potrebbe offrire una serie di strutture ricettive, magari in terraferma.

Se nella lingua, parlata e scritta, l'uso di un vocabolo non è sempre casuale ma è anche un atto interpretatiVo, quale signilicato assegnerebbe alla dizione «privatizzare Venezia»?

Questa espressione per me non ha molto senso se la richiesta fatta all'imprenditore è di comprare pezzi di città, per usarli come preferisce. La logica imprenditoriale non si può riconoscere in questa definizione, indipendentemente dall'esístenza di fondi a cui attingere per sviluppare questa città, che è un patrimonio mondiale. Sono convinto che una buona parte di responsabilità sia nelle mani delle amministrazioni locali e che le aspettative, generalmente nutrite verso gli imprenditori siano comprensibili, ma spesso non tengano conto che l'imprenditore ha una logica di comportamento molto diversa rispetto a quella dell'operatore pubblico locale. Al di là dei motivi affettivi e delle radici che possono legare un imprenditore a un territorio, i criteri guida sono, da un lato, quelli dellìnvestimento e del ritomo economico, dall'altro è auspicabile che questo favorisca una razionalizzazione degli insediamenti, uno sviluppo turistico più razionale, la creazione di infrastrutture che siano un beneficio anche per il territorio nel suo complesso. Ad esempio, il polo aeroportuale Venezia-Treviso è certamente un'operazione utile e in grado di creare beneficio, ma non dipende dallìmprenditore Benetton.

Il gruppo Benetton ha affidato lo studio della sua immagine a un pubblicitario di calibro come Oliviero Toscani, la cuifirma è riconoscibile non solo per la qualità dei messaggi', ma anche per la presenza di un obiettivo a sfondo sociale, fatte salve le esigenze commerciali. I riferimenti alle campagne pubblicitarie più riuscite certo non mancano: i . manifestiper la ricerca sull'Aids, sulla guerra in Bosnia, per la convivenza multírazziale ...Comunicazione commerciale e comunicazione sociale sono obiettivi delle campagne pubblicitarie Benetton?

I manifesti di Toscani sono prodotti di comunicazione visiva dotati di una lettura molto specifica. L'obiettivo prefissato dalla Benetton è di modificare radicalmente lo strumento della comunicazione pubblicitaria, generalmente impostata in modo tradizionale. Ma, poiché l'azienda ha molti prodotti da pubblicizzare, sarebbe estremamente costoso studiare una campagna per ciascuno di essi, in grado di rivolgersi a un pubblico diversificato anche per nazionalità. Per questo motivo, si è pensato a una comunicazione più istituzionale e non di prodotto. Il passo successivo è stato quello di collegare la comunicazione commerciale a importanti problematiche sociali di interesse mondiale. La prima tematica presa in considerazione è stata la muffirazzialità, poi quella della guerra, dell'Aids e così via... Con questa impostazione si identifica l'azienda con il messaggio a sfondo sociale, verso cui la gente può esprimere una valutazione. Il meccanismo pubblicitario consente così di collegare la comunicazione al nome Benetton e non al prodotto specifico, che può variare nel tempo e nello spazio.In questo senso, si può parlare di strategia di comunicazione specifica per la Benetton, che si rende riconoscibile non solo a livello mondiale, ma anche rispetto a un produttore di biscotti, marmellate o cose del genere...

Page 21: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Le imprese per restare sul mercato periodicamente devono innovarsi. Sfruttando questa necessità, è possibile pensare a un nuovo soggetto economico, un progettista-imprenditore che, oltre a innescare un meccanismo di innovazione aziendale, crei un indotto immateriale nel sociale, fatto di nuove relazioni, nuovi modelli di comportamento, nuove ricchezze di saperi.. Benetton può diventare un progettista-ímprenditore?

L'innovazíone per l'impresa, è un elemento strategico del suo sviluppo, nel senso che non si puo rischiare di avere una tecnologia obsoleta e un prodotto superato. Uazienda che si preoccupa della sua continuità nel tempo è un'azíenda che deve costantemente innovarsi, oggi più che nel passato. Nei decenni precedenti ci sono state azíen-de, come per esempio l'Olívetti che ha mantenuto per dieci anni la posizione sul mercato con un prodotto unico, la Lettera 22. Questo allora era possibile, ma anche l'azienda di Ivrea alla fine ha dovuto diversificare la sua produzione, innovare. Oggi con le nuove tecnologie informatiche a maggior ragione c'è questo tipo di esigenza. Quíndi l'elemento base della continuità dello sviluppo di un'impresa èl'innovazione su campi adiacenti: di prodotto, di tecnologia, di siste-mi distributivi. Sempre con un obiettivo, che è quello di rispondere alle esigenze di mercato.Un altro discorso è la connessione fra processi innovativi d'azienda e processi innovativi sociali. La logica imprenditoriale, generalmente, non può assumere come finalità un obiettivo sociale. Il ragionamento deve seguire un altro percorso: da tutta una serie di iniziative, con un obiettivo principale imprenditoriale, possono effettivamente nascere conseguenze positive sul piano sociale; o comunque, si dovrebbe evitare che certe logiche imprenditoriali, da cui potrebbe derivare un certo profitto, abbiano delle controindicazioni di carattere sociale. Può succedere che prestando attenzione solo al profitto, ai ricavi ecc. si creino anche involontariamente dei dissesti da un punto di vista urbanistico e della socialità.Credo che, i due fattori vadano comunque tenuti in considerazione e che gli obiettivi aziendali debbano quanto meno, da un lato rispondere alla logica imprenditoriale e dall'altro sviluppare possíbilmente il sociale. Non c'è l'uno senza l'altro. Non si può guardare né soltanto al sociale né soltanto al conto economico o all'equilibrío costi-ricavi.Nel caso Benetton l'impostazione non è sociale, ma utilizza il sociale per il proprio scopo di comunicazione. Se l'azienda incominciasse a spendere molti soldi o per dírimere il conflitto in Bosnia, o per finanziare ricerche sull' Aids e così via... Nnipostazione assumerebbe un carattere prevalentemente sociale. Certo, il fatto di evidenziare un problema e sollecitarne la presa di coscienza collettiva, finisce anche con l'avere una finalità sociale, ma ritengo che l'impresa abbia sempre una funzione di profitto.Se accettiamo questo punto di vista, quanto l'innovazione aziendale Benetton possa essere costituita da programmi o da prodotti aggiuntivi che hanno come riferimento Venezia, può essere un tema interessante da sviluppare... E non escludo che il discorso possa essere questo. Però, è molto limitativo vedere ed esaminare l'operato di questa società con una finalizzazione specifica a un paese, a un terrítorio, a una città. Uideazione di un prodotto Benetton possiede sempre una valenza globale.

Quindi, secondo lei, il ruolo proposítivo dell'ímprenditore privato ha dei limiti piuttosto marcati?

Il privato può fare solo pressioni sul politico, sull'amministrazione, può presentare progetti accurati, può essere preciso nelle sue finalità, può metterci dei soldi, ma più di questo credo che non possa fare. Considero un po' velleitario pensare che un'azienda si possa porre il problema del cambiamento del mondo. Al di là del progetto specifico, basterebbe che ciascuno portasse il suo mattone e che qualcuno coordinasse tutti coloro che portano il proprio contributo. Non si può chiedere a una persona di portare sia un contributo sia la risoluzione del progetto generale per la città, qualunque essa sia. Ma per intenderci, la soluzione non è creare un consorzio di sponsor per un progetto di città, ma un programma coerente e continuativo dove anche l'amministrazione non ponga ostacoli, vincoli, o limiti non più necessari.

Incentivare il dialogo fra i soggetti' economici deve avere fini non speculativi, ma creare dinamica culturale rispetto ad un programma possibile per Venezia, all'operatiVità del sistema amministrativo? Dialogare serve veramente?

Giudico molto positivamente lo sforzo che sta facendo Giuseppe De Rita perché può darsi che anche raccogliendo esperienze che molti imprenditori stanno facendo e che sono frutto delle loro interpretazioni sul destino della città, sul suo futuro o sulle possibili strategie, può darsi che possano emergere convergenze di iniziative o divergenze. Potrebbe verificarsi una situazione paradossale dove alcuní vanno in una direzione e altri in direzione diametralmente opposta. Ma prima di arrivare a questo punto è meglio che qualcuno faccia un po' da mediatore.

Secondo lei, nella costruzione di un nuovo dialogo, tra imprese, banche, amministrazioni, forze politiche, sociali, culturali... quale può essere il ruolo dei cittadini?

Il ruolo dei cittadini è quello di eleggere governanti di cui abbiano fiducia, di scegliersi buoni governanti. Spero che lo abbiano fatto scegliendo Massimo Cacciarí come sindaco, e mi sembra che la scelta sia apprezzabile. Non credo che i cittadini singolarmente possano fare gran che; al contrario possono organizzarsi in associazioní, gruppi di interesse e dare un contributo soprattutto di idee. Non credo che a Venezia manchino le menti. I veneziani amano la loro città? Non lo so, penso di sì. Forse però mancano i giovani nel dialogo, visto anche il calo demografico e l'esodo continuo.

Page 22: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Pensare e progettare il futuro è soprattutto un loro compito e in quest'ottica ènato anche il centro ricerche Fabrica a Treviso.Per concludere, credo che il problema di Venezia possa essere risolto non solo dai veneziani, ma anche da contributi esterni.

Ponzano Veneto, 5 dicembre 1994

4.3) CIGA HOTELS - ANTHONY HAMS

I dati ufficiali relativi alle dinamiche della popolazione di Venezia rilevano che il centro storico e la terraferma sono soggette ad una progressiva migrazione della popolazione residente verso l'hinterland metropolitano, costituito dalla cerchia dei piccoli e medi comuni attorno all'area lagunare. In particolare, nel centro storico l'abbandono si attesta su una media annua di circa duemila abitanti, depauperamento che si riversa conseguentemente anche sulle basi economiche della città sempre più sbilanciate verso attività turistíche e commerciali.Il venir meno della funzione residenziale di Venezíá quali effetti sociali, oltre che economici comporta?

Sicuramente l'effetto sociale principale è il calo numerico dei giovani, effetto con un risvolto economico sia nel settore dei servizi sia in quello produttivo. Non so quali siano le conseguenze nel settore artigianale, ma i dati denunciano anche in quest'area una mancanza di manodopera giovanile. La presenza della Giga Hotels nel settore turistico- alberghiero non provoca una contrazione o un allargamento della base sociale, in quanto non viene attuata una politica contrapposta tra personale dipendente o stagionale. Al personale viene offerto oltre al lavoro continuativo anche l'alloggio, garantendo così una certa stabilità del sistema. Ma è ovvio che a lungo termíne, se la popolazione invecchia senza possibilità di ricambio, le conseguenze avranno una ricaduta anche rispetto alla cultura del posto fisso, che non avrà più senso di esistere. Questo dal punto di vista alberghiero è un danno.

I flussi migratori di per sé non sono sempre negativi, soprattutto se la storia di Venezia viene letta anche come la storia di un rapporto, costantemente reinventato, tra la città lagunare e il suo hinterland. Ma, secondo lei, l'attuale emigrazione giovanile di forza lavoro è solo un problema di natura occupazionale? O ancora più in generale, è solo un problema di tipo economico, di alimentazione di attività produttive venute meno per un mancato progetto di sviluppo?

Il trend negativo è comune a tutte le grandi città italiane, a Roma, Milano, Torino, Venezia... ma anche alle capitali estere. Tuttavia la diminuzione della popolazione residente incide sulla vivibilità della città stessa a seconda delle modalità in cui si esplica. Nel caso veneziano, si trasforma in una caduta di socializzazione molto aggravata in alcuni periodi dell'anno, provocando un danno economico per tutta la città, ma soprattutto per l'attività turistica.Infatti, una popolazione è costituita da diverse fasce d'età. Se viene a mancare la fascia giovanile perché il mercato del lavoro offre troppo poco, o scelte troppo poco diversificate, cosa succede? Si crea una situazione in cui i ristoranti, gli alberghi, almeno fuori stagione, lavorano meno così come il teatro, le discoteche, i negozi... Tutto ciò che ruota intorno a questa fascia di popolazione in termini di servizi lavora sempre di meno. Se la stagíonalità diventa un modo di vivere, tendenza che pare prendere corpo a Venezia, alla fine ci sarà l'alternanza secca tra un periodo morto e uno di vitalità artificiale. In una situazione del genere, durante il periodo di chiusura, i turistí spariscono e le persone che lavorano nei settori ad essi collegati vengono licenziate per essere assunte, forse, la stagione successiva. Uaspetto sociale ne esce danneggiato perché si crea un flusso migratorio instabile, senza residenzialità. Non c'è vita vera...Ma una grande città o una città d'arte come Venezia, deve offrire un livello adeguato di servizi non solo al residente ma anche al turista. Una persona non va a Venezia soltanto per il piacere degli occhi, ma anche per vivere la città, trovare attività specifiche, partecipare a manifestazioni, visitare mostre d'arte... ma non solo. Il piacere di visitare una città è dato anche dal senso di dinamicità che essa trasmette al viaggiatore che passeggia per le strade, nelle piazze... Se manca questo, decade una motivazione al turismo e si crea, di conseguenza, anche un danno economico all'industria alberghiera. Questo è fuori discussione.Al Lido di Venezia la situazione è meno tragica, anche se la fine della Belle Epoque ha certamente lasciato qualche vuoto ed emerge, con insistenza, il bisogno di un rflancío di attività. Tuttavia è un posto dove la gente risiede ancora tutto l'anno e il trend negativo risulta meno evidente. Ma se si analizzano le località strettamente dipendenti dal turismo, dove mancano attività economiche alternative come, ad esempio la presenza di un'índustria, le conseguenze dello svuotamento stagionale sono estremamente visibili. I cambiamenti che intervengono nella vita sociale del luogo sono spesso molto traumatici.Per Venezia, tuttavia, nutro maggior fiducia, nonostante il declino.

Dalla lettura di studifatti recentemente su Venezia si ha l'impressione che la perdita di risorsa sociale riguardi in primo luogo i residenti e non solo la popolazione turistica. Il progressivo distacco che sta vivendo la popolazione residente nei riguardi della vicenda sociale ed economica della cítta, è forse sintomo di un cambiamento relazionale con il luogo, con il concetto stesso di abitare. Galimberti nel libro Il corpo scrive che «abítare non è conoscere, è sentirsia casa, ospitati da uno spazio che non li ignora ... » ma a Venezia sembra aleggiare un senso di spaesamento collettivo. E' d'accordo con questa lettura?

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Secondo me, il cambiamento di ruolo di una città è messo in atto da diversi fattori. A questo punto è importante capire il perché, da cosa dipende questa trasformazione.Nelle grandi città, tra cui Venezia, negli anni settanta si è creata nei centri storici una forte domanda di spazi terziari per uffici, che ha catturato quasi tutte le capacità del mercato immobiliare. Ora nelle altre città, la maggior parte delle persone va in centro durante la settimana solamente per motivi di lavoro in quanto i centri d'affari sono localizzati prevalentemente nelle aree centrali, fattore che dequalifica la vivibilità di questo luogo non solo di giorno ma anche di notte, dove la vita è solo quella dei locali night.Per Venezia non è lo stesso. Il centro storico in realtà vive prevalentemente di turísmo e dirigere una vita di business presenta molte difficoltà. I grandi affari, e con essi i centri direzionali, si sono spostati fuori sulla terraferma, a Padova, a Milano... perché attualmente dirigere un'industria a Venezia è diseconomico. lJaccessibilítà all'acroporto, i mezzi di trasporto, la capacità di entrare e uscire velocemente dalla città lagunare... sono problemi fondamentali ancora irrisolti.

Nel frattempo cosa succede? La città è una città d'arte e il patrimonio artistico diventa l'unico volano economico su cui puntare. Nasce così la dipendenza dal turismo... ma anche questo porta con sé esigenze di non poco conto. Il turismo ha i suoi flussi che, però devono essere regolati, organizzati, mentre il mercato del lavoro è in prevalenza stagionale. Ma questa situazione può andar bene solo a quelli che il lavoro già lo hanno. A Venezia non sono stati aperti nuovi alberghi, succede solo che cambiano padrone. E un mercato bloccato.Per far vivere una città si devono creare opportunità nuove, favorire attività economiche diversificate che creino a loro volta un indotto. Metaforicamente, la città è un albero i cui rami crescono, ma a Venezia la crescita è stata arrestata, e quando non ci sono possibilità di sviluppo la gente comincia ad andarsene. Ecco allora i guasti: il peggioramento della qualità della vita, dei servizi ai residenti, il problema delle abitazioni, e così via...Inoltre a Venezia la struttura sociale si è modificata anche per un altro motivo: il problema della seconda casa. Moltissimi immobili sono stati venduti a persone che non abitano la città, ma al massimo vengono due o tre volte l'anno per un paio di giorni, o a società che investono solamente il capitale.

Questielementi inducono a chiedere chi ha guadagnato e chi ha perso in queste trasformazioni. Proviamo a dare un nome ai soggetti, ai gruppi sociali ed economici che da un lato hanno beneficiato e dall'altro hanno perso?

Non penso che ci sia un gruppo sociale privilegiato, che abbia beneficiato di queste trasformazioni, ma che la logica del mercato abbia offerto possibilità solo ad alcuni. Si è creata una situazione di stallo perché se da un lato la città ha bisogno di ogni gruppo sociale, dall'altro non ha bisogno di farli crescere e quindi...

Ma gruppo sociale va inteso anche in senso lato, come gruppo di interesse. Ricerche e studi condotti sulla realtà veneziana dimostrano che non sono mancati nuovi investimenti. Tuttavia questi', per loro natura, sembrano più che altro incentivare un'offerta turistica monoculturale... quella del «mordí e fuggi», per intenderci, non certo quella di un turismo colto, raffinato, d'affari.

Una richiesta turistica deve essere fatta in base al mercato e alla richiesta del mercato. Oggi non esiste più il turista tradizionale che chiede di impiegare in qualche modo il suo tempo libero, e su questo penso ci sia poco da argomentare. Oggi esiste il viaggiatore.Il viaggiatore ha bisogno di una motivazione per viaggiare: affari, interessi personali o qualsiasi altra cosa. Venezia offre l'opportunità migliore al mondo per la motivazione al viaggio perché coinvolge emotivamente il potenziale viaggiatore. Anche in periodi di bassa stagione creare un evento a Venezia è una scelta votata al successo perché, in primo luogo, è a Venezia.«Perché devo andare a Venezia?»: è questa la domanda a cui, forse, è importante dare una risposta, più che ad altre cose.

Quanto sono fondate le polemiche locali che intravedono il vero problema di Venezia nella rincorsa al turismo di massa, legato alla giornata e all'universo della ristorazione veloce?

Per prima cosa, a Venezia esiste sicuramente il fenomeno del turismo di massa costituito da visitatori e non da viaggiatori, perché l'immagine della città offre terreno facile. Secondo, è un tipo di turismo che richiede servizi di qualità non elevata. Il discorso è questo: «se non ho una certa cifra, trovo alloggio a Padova o in qualche altra località nei pressi di Venezia e, poi, faccio un salto nella città lagunare». A questo si aggiunge il turismo del weekend, pendolare, che usufruisce dei servizi ferroviari, e infine il turismo giovanile caratterizzato da lunghi viaggi itineranti, permanenze brevi e uso del camping ...Il problema è quello di controllare e abbassare la presenza di questo turismo, ed è stata fatta una proposta per risolverlo: istituire una tassa, una cíty-tax, di diecimila lire per coloro che per arrivare a Venezia usufruiscono del treno e non hanno un alloggío in città...Comunque, il turismo di massa ci sarà sempre, forse meno ma non scomparira.

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Altra questione è la concentrazione del flusso turistico solo su piazza San Marco, dimenticando che tutta Venezia è un museo. Quando si visita un museo si segue un percorso prestabilito, ma che consente di attraversare tutte le sale aperte al pubblico. Ora, non dico di costringere i turisti a compiere certe scelte, ma possiamo incoraggiarli a percorrere un giro alternativo, tematico... Infatti non bisogna dimenticare che oggi a Venezia, il turista visitatore non è guidato; se vuole andare a Murano, a Burano, al Lido, deve scoprire da solo come si fa, quali sono i locali caratteristici, i piatti tipici del Posto.Venezia è una città che può essere programmata, ma ha bisogno di un'infrastruttura turistica forte, che organizzi la città come se fosse un museo.

Ci vorrebbe un ente autonomo di controllo di una città turistica?

Un centro culturale e turistico guidato nell'interesse della città potrebbe essere la soluzione. Gli interessi della città sono anche la cultura e un andamento demografico positivo, ma uno entra con l'altro.Riscoprire aree e quartieri, che non sono meta turistica come San Marco e la zona d'intorno, è un'opportunità che va perseguita. Sviluppando le possibilità dell'artiffianato, organizzando un percorso di boutique di vari settori merceologici, o con altri espedienti si può incentivare l'economia della città, anche in questo senso. Motivo di più se questi itinerari fossero basati su una serie di microeventi, ma a base costante... un po' come sta facendo Napoli in questo momento. Uamministrazione comunale sta sviluppando un programma culturale che riscopre la «Napoli sotterranea»: palazzi, chiese, cortili privati, spazi verdi, giardini, fino a poco tempo fa chiusi ma citati nei libri di storia dell'arte vengono rimessi in circolo, resi visitabili.«Venezía sotterranea» può sembrare uno slogan, ma è necessario trovare qualcosa che sia un'alternativa all'itinerario veneziano stereotipato.

A proposito di interventi che si potrebbero fare, non esiste città italiana più interessata dalla progettazione a tutti i livelli come Venezia: il catalogo deiprogetti in essere ne elenca ben 174 con una spesa complessiVa prevista di oltre 11 mila miliardi. Una mole ingente di ipotesi che non sembrano realizzabili o per problemi difinanziamento o per la labilità delle procedure d'attuazione. Inoltre negli anni ottanta, anche la politica urbana di Venezia ha subito il fascino del mega progetto: l'Expo.Secondo lei, qual era la filosofia di sviluppo che sottostava al progetto Expo?

E' abbastanza difficile giudicare progetti specifici. Sicuramente i programmi che intendono sviluppare un'immagine di Venezia anche al di fuori di piazza San Marco, sono validi e vengono percepiti in tal senso non solo dal sindaco ma anche dalla collettività. Le isole della laguna hanno un potenziale incredibile per inventare nuove opportunità di turismo attraverso congressi, manifestazioni e così via... possibilità che solo una città come questa può avere e presentare.Per raggiungere questo tipo di obiettivi, adeguati alla scala di un'Expo, o di congressi e manifestazioni internazionali, è necessario disporre di una elevata offerta numerica di camere: Venezia, da sola, non può coprire il fabbísogno. Forse si dovranno reperire spazi al Lido, o forse su altre isole. Comunque le opportunità ci sono, ma devono trovare riscontro in una strategia delle infrastrutture. Venezia deve studiare e operare in modo lungimirante, prevedendo e sfruttando le possibilità di sviluppo economico che può produrre una efficiente struttura di movimento del traffico, ma non solo.L'aeroporto è un'infrastruttura su cui si sta giustamente investendo molto, perché è un'opportunità incredibile ed inoltre c'è anche spazio fisico per potenziarlo. La valorizzazione delle isole come il Lido, i progetti per Burano e Murano, le proposte per tutte le altre isole, devono concretizzarsi, così come vanno progettati o ripensati i collegamenti fra le isole. Uaccessíbilità deve essere migliorata perché incoraggiare anche un flusso di turismo esterno a piazza San Marco vuol dire dare la possibilità di scegliere e vivere la città in modo più tranquillo. Il modello di Hong Kong potrebbe essere un buon riferimento per i trasporti, dove un servizio continuo di traghetti garantisce una buona accessibilità. In dieci minuti si passa da un'isola all'altra... è la cosa più facile del mondo. Anche a Venezia potrebbe essere così.C'è tuttavia un aspetto ulteriore da valorizzare in questa città, e che va al di là del turismo. Il plauso va fatto all'attuale amministrazione comunale che ha rilanciato l'idea di Venezia come speciale laboratorio di progettazione, di idee, come unica città strutturata sull'acqua, museo architettonico, ma anche laboratorio sperimentale d'innovazione, campus universitario...La politica urbana di sviluppo non deve essere tradotta solamente in camere d'albergo, può comprendere tante altre cose. La ricchezza da salvaguardare non è solo il patrimonio storico e architettonico ma anche quello umano, la vita e le relazioni sociali. rofferta turistica va intesa come pacchetto integrato tra luogo di destinazione e sua accessibilità, servizi, alloggio, gastronomia, attività commerciali, artigianato, cultura, persone, vivibilítà... Questo è turismo. Che poi questa città abbia una vocazione essenzialmente turistica, è inutile negarlo. Non possiamo certo costruire acciaierie per rilanciare l'economia!La Ciga ha aperto una scuola di cucina a Venezia e i suoi allievi, nonché molti appassionati vengono da tutto il mondo, addirittura dalla Nuova Zelanda. Questo non perché siamo esperti di cucina, ma perché è a Venezia.

Il rilancio dell'economia, nel passaggio dal modello fordista basato sulla produzione di massa e sul lavoro salariato a quello post/ordista che valorizza la produzione in piccola serie e il lavoro autonomo, richiede un nuovo approccio

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aiproblemie nuove dinamiche d'investímento sul futuro. Ma cambia anche il concetto di competizione, dove più che produrre forse conta produrre per competere.In termini aziendalistici.- qual è il vantaggio competítivo di Venezia? Su che cosa deve competere? Con chi?

Il Lido di Venezia compete con Cannes. Sono due offerte diverse, ma è indubitabile che Venezia sia più forte come immagine, ma dal punto di vista congressuale non è per niente attrezzata, anzi si dovranno programmare investimenti in questo settore per reggere la concorrenza delle altre grandi città.Il vero vantaggio di Venezia è di essere Venezia, un museo vivo. Al di là di questo, se si analizza in profondità segmento per segmento, ci si rende conto che mancano, ad esempio, le connessioni tra turismo e settore congressuale, così come tra i relativi subsistemí. Per esempio, se una persona studia architettura, come può comprare questo prodotto a Venezia? E se studia arte? 0 ancora, se studia l'arte del vetro? Le carenze organizzative di collegamento derivano anche da una mancanza di interessi a lungo termine: si è preferito frammentare il tutto, ognuno nella propria nicchia sterile. Eppure esistono gli spazi adeguati, le strutture museali, il patrimonio architettoni-co. Al contrario, non c'è un vero programma di coordinamento...

A Venezia chi possono essere i soggetti promotori di questo tipo di sviluppo íntegrale, passando dai decisori pubblici, come amministratori locali, Regione, Ministero dei beni culturali e così via, fino alle rappresentanze economiche e aigruppí di interessi? Secondo quale procedura dovrebbero tendere in maniera coordinata a uno sviluppo integrato?

Sono favorevole all'ipotesi di un comitato politico che coinvolga i tre soggetti pubblici più importanti insieme ai protagonisti maggiori della vita veneziana. Un gruppo di lavoro così costituito può essere in grado di preparare un White Paper, ossia un Libro Bianco, in cui si descrive e si definisce una strategia. E' importante che sia un gruppo di lavoro e non singoli imprenditori. Un gruppo che riunisca gli imprenditori che investono su Venezia, oppure solo quelli principali, e il mondo politico locale e regionale. Questi sono gli attori che, secondo noi, devono lavorare insieme. In caso contrario, se ognuno cammina per la sua strada, succederà quello che succede sempre: polemica fine a se stessa e di parte. Forse sarebbe meglio che fosse, addirittura, un gruppo esterno al mondo politico. Venezia ha biso-gno di qualcosa del genere, di un confronto a livello mondiale.Ritorna il concetto di quella autbority che si auspica per il turismo a Venezia. Un soggetto che dovrebbe essere in grado di conciliare gli interessi del pubblico e del privato e di catalizzare anche gli interessí di tutte le associazioni nate in difesa di Venezia. Se si contano le fondazioni «Amicí di Venezia» che ci sono in tutto il mondo che, pur non avendo un progetto pratico per salvare la città dalle maree, possono essere interessate, in maniera diretta o indiretta, a essere coinvolte; però, non a un mega progetto ma a un programma operativo che sia veramente utile, visibile, concretizzabile nel breve e nel medio termine. Non si tratta di disconoscere per il problema ambientale la programmazione a lungo termine, ma di assegnare valore anche all'azíone scandita da tempi più brevi, costruita sulla collaborazione e sui progetti realizzabili.La vivibílità e la socializzazíone possono essere perseguite anche attraverso queste scelte, dove il cittadino può avere non solo un ríscontro pratico, ma anche e soprattutto partecipare direttamente alla politica di sviluppo della sua città.

Chi sono i soggetti più deboli dal punto di vista delle possibilità e delle capacità decisionali? Mi viene in mente la posizione del sindaco Massimo Cacciari ..

Il sindaco è di fronte a una situazione che non riguarda solo Venezia, ma l'Italia, in generale. Grazie alla modifica della legge elettorale, ai cittadini è consentita l'elezione diretta del sindaco, ma a una posizione di responsabilità o di assunzione di responsabilità dirette, non corrisponde da parte del sindaco la possibilità di operare realmente. E una riforma istituzionale incompleta. Uassegnazione dei finanziamenti pubblici avviene infatti seguendo gli schemi che non sono quelli previstí dalla decentralizzazione.La situazione attuale non è senz'altro la migliore, tuttavia la funzione del Comune oggi è importantissima, in quanto stimola la creazione e l'aggregazione di forze diverse. Riteniamo, quindi, estremamente valida l'idea di lavorare per progetti di interesse comune, dove non prevalga l'interesse politico come conduttore (le Generali piuttosto che Ciga o altri insieme al Comune o alla Regione). Solo in questo modo è possibile aggregare forze di finanziamento non solo nazionali ma anche mondiali. Si tratta di investire su un gruppo di lavoro coordinato e finalizzato a stendere e sottoscrivere un Libro Bianco pratico, e non solo teorico, che individui almeno i primi progetti da portare avanti.

Quale signíficato assegnerebbe alla frase «privatizzare Venezia»?

Senza entrare in discussioni politiche, penso che il termine vada inteso nell'accezione di restituire Venezia ai veneziani e a tutti coloro che amano questa città. è una definizione molto generica, però forse è importante spiegare e capire che Venezia non è solo patrimomio1

pubblico... ma anche privato. La definizione può essere corretta, dal momento che, anche un soggetto privato può finanziare un progetto di interesse collettivo, o può parteciparvi come mícroazionista. A volte vengono promosse, o accettate, raccolte di fondi o iniziative che possono essere di dubbio interesse o di mero interesse intellettuale, ma che non operano nella direzione dell'interesse comune. Il concetto di privatizzazione racchiude in sé la possibilità che anche un ente economico privato possa ínfluire nella riqualifica di un luogo. Progetti come quelli fatti per il Lingotto a

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Torino e Cinecittà a Roma possono essere senz'altro interessanti, perché costituiscono un impulso concreto allo sviluppo economico e alla vivibilità di una città.La struttura di fondo a tali operazioni è il lancio di una strategia che incanala i progetti di privatizzazione. E' importante perché altrimenti la prívatizzazione va per conto suo in direzioni diverse, anche opposte. Per Venezia, il filo conduttore deve portare ad una meta precisa: realizzare progetti all'interno di una strategia di riqualifica della città turistica, e in cui i cittadini si identifichino.

Come ipotesi di partenza c'è però una scommessa: l'individuazione della figura del progettista imprenditore. Una figura strana, un po' ibrída, un soggetto privato che non si limita solo a fare l'imprenditore ma che, nella propria attività economica, prevede anche uno spazio di ricadute sociali più ampie, che vanno al di fuori dei muri' della propria impresa.Qual è il modello di riferimento della vostra azíenda? La Ciga Hotels in che senso può essere progettista-imprenditore? Su quali altri partner è possibile contare?

E' molto difficile identificare il nome di altre aziende. Ci sono aziende che vengono identificate con Venezia un po' per la loro storia, un po' per la loro attività. Ciga Hotels è nata a Venezia, tanto che, pur essendo una struttura internazionale, ha mantenuto i quattro cavalli di San Marco come simbolo della propria identità in tutto il mondo, dal Giappone agli Stati Uniti. In questo senso è una realtà veneziana. Come gruppo alberghiero può e deve fare molto di più per la città, nonostante le difficoltà, tuttavia credo che non si possa prescindere dall'esistenza di un progetto organico.

Quali sono iprogetti che possono identificare Ciga Hotels con lafígura del progettista-imprenditore?

Innanzitutto, promuove Venezia come città in maniera integrata, evitando le asettíche tentazioni pubblicitarie di far emergere le singole strutture alberghiere, ad esempio il Daníelí o il Gritti, a sé stanti e indifferenti rispetto alla città. Quest'anno abbiamo organizzato due manifestazioni molto importanti, una a Milano e l'altra a Roma (l'anno scorso a Tokyo), dove la Ciga presentava le città in cui e presente. Una speciale enfasi è ricaduta sulla città veneta per due motivi: l'origine veneziana della Ciga e la consistenza degli investimenti che interessano la città lagunare. Il pacchetto integrato è stato presentato all'intero mercato, sia agli operatori turistici che alle aziende, alle autorità, ai corpi diplomatici, a tutti coloro che lavorano nel settore del turismo e a cui interessa la destinazione Venezia... E' una scelta operativa che ricerca alla base il significato di cultura, arte, artigianato, gastronomia... Presentare Venezia in modo integrato significa anche presentare il Daníelí, il Gritti, la struttura alberghiera veneziana inseriti in un contesto specifico, nella storia del luogo.In questo senso penso sia importante collaborare in un gruppo di lavoro coordinato, identificando una strada da percorrere tutti insíeme e che consenta di seguire un progetto di promozione coerente nel tempo anche per il settore del turismo.

Cosa significafare innovazione sociale, oltre che innovazione d'impresa, a Venezia? Forse c'è un margine di sovrapposizione tra i due concetti, soprattutto per un'attiVità come la vostra: quanto più si rinnova nell'offerta turistica, tanto più è probabile che si innovi nel sociale. Vinnovazione di modelli imprenditoriali può tradursi in nuovi modelli di consumo, di stili di vita o, per lo meno, di adesione a nuovistili di vita, a nuovi modelli?

E' un discorso che trascende la dimensione di Venezia, è un discorso generale.Senz'altro bisogna avere una attenzione precisa a quello che è il mercato e i suoi cambiamenti. Come si diceva prima, porre attenzione ai cambiamenti di costume. Dopo aver osservato e capito il cambíamento sociale avvenuto, e quello di mercato in atto, allora sì che si può preparare un'offerta o una presenza nel caso sociale consona a quelle che sono le aspettative sia della società, della cittadinanza o del pubblico in senso lato, e sia dell'azienda. è importante studiare un prodotto che sia di gradimento anche al mercato perché altrimenti si rischia di presentarsi al mercato «con una cassetta di frutta che non è quella richiesta in quel momento». Il pericolo, in questo caso, è quello di non avere né visione d'azienda né visione sociale.Per Venezia, forse è importante vedere il problema in prospettiva. All'ínizio di questa conversazione si è discusso della trasformazione sociale in atto, dovuta anche all'esodo annuale di duemíla persone dal centro storico. Ritessendo le fila del discorso, quindi è necessario assicurare una presenza sul territorio in maniera concreta, senza teorie, ma con un progetto di base coerente e coordinato può rivelarsi una soluzione più che valida. Soluzione che probabilmente consente di poter offrire, magari nel tempo, maggiore reddítívità sociale e dall'altro garantire anche maggiore presenza turistica qualificata, se vogliamo, in tutti i momenti dell'anno e non solo nelle stagioni di picco.

Esistono modelli a cui ispirarsí a livello nazionale o europeo, nell'ambito di questa figura mitica... di mecenate, se il termine non è improprio?

In Italia, senz'altro il meccanismo delle sponsorizzazioni andava in questo senso, anche attraverso singole iniziative nel mondo dell'arte. Forse è inutile citare la Fiat piuttosto che le banche, tuttavia sono iniziative che, se non inserite in un progetto organico, hanno una finalizzazione immediata: quella di restaurare un'opera, piuttosto che presentare nuove possibilità di esposizione a Venezia, o fornire una prospettiva concreta di sviluppo della società. Questi modelli

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di iniziative imprenditoriali individuali non inquadrate in un discorso organico hanno avuto un effetto a breve termine, ma hanno anche lasciato il tempo che trovano.

Milano, 28 novembre 1994

4.4) PALAZZO GRASSI - GIUSEPPE DONEGA'

Nella ricerca della Confindustria La memoria e il progetto. Imprese e promozione culturale, la scheda relativa a Palazzo GrassiSpa definisce l'iniziativa «unica t'n Italia per le sue caratteristiche di completezza, proprietà, gestione eformula imprendítoriale». Prima di commentare questa frase, può introdurre brevemente come è nata la Palazzo Grassí Spa, con quale obiettivo e che cosa significa per Venezia?

A volte succede che iniziative strategiche da parte di aziende, in questo caso di strategia d'immagine, abbiano in realtà origini congiunturalí. Palazzo Grassi Spa - spiegherò poi perché Spa - nasce nel 1984 dopo che il gruppo Fiat acquista il controllo della Snia Viscosa, nel cui patrimonio figurava anche Palazzo Grassi, edificio settecentesco affacciato sul Canal Grande e vincolato nei piani di comparto comunali come spazio per attività culturali. E infatti già dagli anni cinquanta lìmmobile aveva sempre ospitato attività culturali espositive.Ma perché dico che a volte le strategie nascono dalla congiuntura? Palazzo Grassi non era la prima iniziativa culturale che la Fiat affrontava perché l'azienda torinese aveva già alle spalle l'esperienza per il riutilizzo del suo grande stabilimento del Lingotto, o meglio la presentazione dei venti progetti di architettura da cui emerse il progetto di Renzo Piano, ora in fase di costruzione.La Fiat, forte di quest'esperienza, decide d'investire su Palazzo Grassi come spazio culturale con l'obiettivo di ristrutturarlo e gestirlo direttamente. A quel punto nasce il problema di quale forma legale e giuridica attribuire a quest'inizíativa. L'esplorazione condotta a vasto raggio suggerisce la formula della società per azioni, in quanto consente di inserire il modello industriale nel mondo culturale, scartando la possibilità di ricorrere alla formula della fondazione. Infatti, il concetto posto alla base del meccanismo organizzativo di Palazzo Grassi è di coniugare il fatto economico con quello culturale, gestendo Nstituzione culturale con criteri aziendali.Nell'ottobre del '94 nasce la Palazzo Grassi Spa come atto trasformativo defl'immobíliare che originariamente era proprietaria del palazzo. Il restauro rientra in una strategia complessiva di immagine di gruppo con l'obiettivo di rendere rapidamente alla città questo spazio per esposizioni, risolvendo l'incongruenza esistente tra destinazione d'uso vincolata a scopi culturali e l'inadeguatezza dello stesso alla normativa sulla sicurezza per i locali aperti al pubblico. Da parecchi anni non venivano rilasciate le autorizzazioni di agibílità nemmeno dei Vigili del fuoco, tanto che l'ultima mostra ospitata dalla sede settecentesca fu Le Arti a Vienna, inserita nel circuito della Biennale quando Calvesi era direttore della sezione Arti visive. La ricordo da visitatore e non mi sarei immaginato, a distanza di anni, di dovermi occupare direttamente del restauro del palazzo.

Qual è stato l'impatto di questa iniziativa, economica e culturale, sul tessuto urbano CirCOstante?

L'opportunità di potenziare l'immobile come luogo per le esposizioni ha inevitabilmente inciso sul tessuto della città, del territorio circostante, data la consistente affluenza di pubblico che caratterizza ormai tutte le manifestazioni artistiche ospitate a Palazzo Grassi. I primi effetti benefici sono stati la visibile rinascita di calle delle Botteghe, prima triste e senza botteghe, del vicino campo Santo Stefano su cui convergono anche i flussi dei visitatori diretti al palazzo e che chiaramente hanno aumentato in questa zona l'interesse commerciale.Dal punto di vista residenziale, probabilmente ha favorito il restauro di diversi immobili, però il più delle volte collegato all'intensificazione di attività commerciali sintonizzate con l'attività di molti negozietti di antiquariato e cose del genere. Ma, tutto sommato, un sensibile cambiamento dell'offerta di spazi residenziali non mi sembra di poterlo segnalare.

Secondo let, Venezia o la «Repubblica del Leone» come la definisce Alvise Zorzi, attualmente trasmette t'idea di un luogo che si può «abitare» o di uno spazio «da vendere»? In altritermini, come percepisce il sentimento di appartenenza alla città da parte dei suoi' abitanti?

Percepisco la città così come la percepiscono tutti, come un dato di fatto: una città dove è evidente la tendenza all'invecchiamento della popolazione residente. Basta andare a Rialto per rendersi conto che le frequentazioni dei residenti sono diverse da quelle di una volta. Dico questo pensando agli anni trascorsi a Venezia come studente universitario, dal '52 al '56, anno in cui mi sono laureato a Ca'Foscari. Nel confronto con la città di allora è chiaramente percepibile il cambiamento di tessuto sociale. Ricordo Rialto come l'emblema di un mercato popolare e mi divertivo a passeggiare tra i banchi dei venditori curiosando qua e là. La realtà del mercato popolare non era solo fisica ma anche sociale, mentre adesso Rialto ha acquisito connotazioni leggermente diverse. Ci sono tornato recentemente e mi sono subito reso conto delle differenze.Percepisco la città nella sua realtà, modificata per certi aspetti, statica per altri. Quest'ultima impressione non regge il confronto con la mobilità che caratterizza la terraferma, fattore a cui soprattutto le giovani generazioni assegnano un

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valore significativo. Mi riferisco all'automobile e al sistema di vita che si costruisce inevitabilmente intorno a questo mezzo di trasporto, ma non solo.E' chiaro che Venezia soffre di questo confronto e del suo essere città diversa, e in un certo senso, stando così le cose, il sentimento di estraneazione che caratterizza i suoi abitanti è forse inevitabile.

Lei svolge la sua attività professionale a Venezia, ma dove abita?

A Padova. Io vivo a Venezia solo alcuni giorni alla settimana e abito a Padova per una vicenda del tutto particolare. Abitavo a Torino quando ho ricevuto l'incarico di direttore della società di Palazzo Grassi e, francamente, pensavo di trasferirmi a Venezia, valutando molto positivamente il luogo di possibile residenza. Ma, sempre per motivi di lavoro, sono transitato solo per qualche mese a Padova e nel frattempo ho quindi cercato casa Pi. Successivamente, vivendo le due realtà urbane quotidianamente, mi sono reso conto che avendo quattro figli il trasferimento nella città lagunare avrebbe comportato ai miei ragazzi disagi anche sostanziali. Venezia infatti non offre grandi occasioni per la gioventù, anche quelle consuete, o banali se si vuole, ma che i ragazzi apprezzano e di cui hanno bisogno entro certi limiti. Così ho scelto Padova.

Il destino di una città può essere condizionato o dalle opportunità reali o dalle «mappe invisibili» della collettività, cioè dalle attese della realtà locale, daiptani presenti nelle intenzioni, nelle immagini degli abitanti, che però sono fondamentali perché condizionano i comportamenti della collettività.Venezia, polo regionale, nazionale e internazionale è un'opportunítà reale o esistono «mappe invisibili» nelle scelte della città?

Dividerei il discorso in termini prospettivi e restrospettivi. Partendo da quest'ultimo caso, direi che Venezia non ha colto alcune opportunità, anche nel passato relatívamente recente ed è stata condizionata dalle «mappe invisibili».Le faccio un esempio che mi ha toccato da vicino. Quarantacinque anni fa, quando frequentavo la Scuola superiore del commercio di Ca' Foscari, questo corso di studi godeva di un altissimo prestigio perché era considerato l'élíte delle scuole dí economia, insieme alla Bocconi di Milano e a quella di Bruges. A Venezia oltre a Ca'Foscari, l'altro polo universitario rilevante era l'Istítuto universitario di architettura.Ca' Foscari era quindi una scuola come quella di Bruges e, a mio avviso, negli anni successivi anziché insistere sulla particolarità e quindi sul livello di questo istituto si preferì trasformarla in università, banalizzandola. Le premesse per sfruttare le opportunità reali offerte dalla città esistevano, ma si attivò una Facoltà di lettere o di magistero già presenti a Padova e a Verona, forse proprio per un desiderio nascosto di essere polo universitario come quello patavino. Ma la scelta di quelle facoltà non considerò nemmeno l'ambito territoriale a cui rivolgersí; una localizzazione simile sarebbe stata più indicata a Trevíso o a Udine che potevano essere centro d'attrazione di un territorio più vasto e scoperto in quel tipo di offerta universitaria. I fatti andarono diversamente e da questo trapianto Venezia non ne ha tratto alcun beneficio.Adesso che dire? Il patrimonio genetico Se alimentato sicuramente avrebbe portato vantaggi e benefici, ma ora non sono sicuro che il tempo rimasto possa, in prospettiva, bastare per condizionare un favorevole cambio di rotta. Il mercato sta cambiando velocemente, la tecnología procede con passi giganteschi e Venezia ha ritmi tutti suoi. Uidea di una città con una forte concentrazione di terziario significativo, un centro software, in grado di modificare le vocazioni o l'assenza di vocazioni, credo sia possibile. Tuttavia mi pare che il vantaggio di questa proposta difficilmente si realizzerà in assenza di una preliminare pianificazione delle funzioni urbane.

Qual era il patrimonio genetico di Venezia da sfruttare?

Questa città non ha percepito quali fossero i suoi valori e le sue opportunità, che erano non solo turistiche, ma anche di matrice economica e commerciale di alto livello. Venezia era un centro commerciale di elevato signíficato storico e questo giustificava l'esistenza di una Scuola superiore per il commercio, così come il patrimonio architettonico e artistico della città richiedeva un potenziamento nel settore del restauro. Erano forze che andavano messe in campo. Venezia è sul proscenio internazionale non solo per il bellissimo Palazzo Ducale, per la sua struttura morfologica urbana e per l'armoniosità del tessuto urbanistico- architettoníco, ma probabilmente anche per la sua internazionalità storica. Era una città di flussi di persone e merci, ma anche di saperi, era cosmopolita. Forse questo è un filo più sottile da cogliere, ma indubbiamente c'era... Non a caso Venezia era inclusa nel viaggio in Italia di tutti i letterati, era una tappa d'obbligo non solo per le sue radici culturali, ma anche per la sua dinamicità economica, imprendítoriale. Probabilmente Volpi, Gni, Gaggia, sono stati figli di questa cultura e anche protagonisti di un certo valore economico di Venezia. Uímprenditorialità era un sistema collettivo non esclusivo a pochi, era un vero patrimonio genetico...

Chi abita Venezia, ora?

Lo spaccato sociale veneziano è il prodotto di una pendolarità diffusa. Venezia ospita molte sedi amministrative regionali e questo comporta un flusso di residenti verso il centro storico ma, contemporaneamente, un numero consistente di lavoratori emigra ogni giorno dalla città insulare verso le piccole e medie aziende dislocate nelle province di Padova, Treviso, Udine e Pordenone. Inoltre ci sono molti lavoratori non residenti nella provincia

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veneziana che affluiscono nel centro storico dalle aree limitrofe, come Portogruaro, San Donà, Chioggia, Mirano, Dolo... Padova. Infine, ma non ultimo, esiste un numero elevato di studenti, non solo universitari, che fa la vita del pendolare verso la città storica...Per chi non abita stabilmente a Venezia, da un lato la città non offre spazi abitativi ad un costo adeguato, dall'altro c'è anche un diverso modello culturale di vita, dove la mobilità, l'accessibilità ai servizi e al territorio è sostanzialmente diversa. Quanti verrebbero ad abitare a Venezia rinunciando all'automobile, al garage sotto casa, al supermercato... per vivere in rapporto alla città d'acqua?Indubbiamente i flussi turistici hanno determinato una presenza, non solo di persone in continuo movimento, ma anche di attività commerciali a volte molto banali, legate al piccolo commercio turistico, o l'apertura di piccoli locali pubblici, come i bar, che sfruttano il tasso di frequenza turistica e vivono su una rendita di posizione giornaliera. Spesso i gestori di questi locali non abitano neanche a Venezia ma nell'entroterra, che non è nemmeno quello di Mestre, ma è un po'più remoto... e l'idea di aprire un bar, ad esempio, in campo Santo Stefano èspesso una scelta fatta in questi termini... di rendita.

Progetti e megaprogetti, sviluppo urbano e pianificazione di un evento mondiale, Venezia e l'Expo: cosa signi/icava? Quali cambiamenti o desideridi cambiamento inseguíva?

Credo che la città vada progettata, pianificata, ma questo non signífica accentuare l'aspetto píanificatorio in chiave tecnicisfica, al contrario. Mi pare fondamentale che la città vada pensata, sollecitata e indirizzata a cogliere le opportunità che vorrà sviluppare. In questo senso un'azione di stimolo al dialogo è estremamente utile perché, se è vero come credo che Venezia sconta un'assenza di scelta di obiettivi, di aver assistito al proprio modificarsi senza un progetto, senza un programma che varcasse la soglia dell'bic et nunc, riconfermare un tipo di politica símilare provocherebbe solo diseconomie. Oggi, la città ha bisogno di far convergere gli sforzi e consentire una progettazione con gradi di flessibilità adeguati ma avendo chiara la direzione verso cui vuole andare. Venezia ha bisogno di programmare A suo sviluppo.

La società Palazzo Grassi ba una strategia per Venezia?

Non ci sono strategie economiche nei confronti di Venezia, il proposito era quello di promuovere, organizzare e commercializzare eventi culturali dotati di un significato nazionale ed internazionale utilizzando questo edificio di fine Settecento.Che cosa c'era di nuovo in questa vicenda? Le caratteristiche che ha citato nella sua prima domanda: ossia, la società definisce in modo completo l'utilizzo della struttura, dal restauro all'organizzazione delle manifestazioni, la gestisce in modo integrato unendo management di formazione aziendale e studiosi- consulenti d'arte esterni, e si presenta sul mercato con un palazzo delle esposizioni e non con un museo, inteso in senso tradizionale. In sostanza, applica una cultura organizzativa d'azienda a un'iniziativa totalmente privata, ma che normalmente è gestita in termini pubblici.Qual è, secondo me, il valore di questa iniziativa? La società produce mostre, con gli stessi criteri usati per realizzare uno spettacolo teatrale, piuttosto che cinematografico. Il vantaggio? Il risultato dell'iniziativa, che generalmente non è gestita in termini imprenditoriali ma solo come servizio alla collettività. Palazzo Grassi intende unire l'aspetto economico allo svolgimento di un ruolo sociale e culturale pregnante. Credo che questo sia il valore dell'iniziativa e mi pare confortante. La chiave di lettura e di successo è l'aver affiancato esperti culturali e artistici a persone che hanno attitudini organizzative imprenditoriali e di gestione manageriale.

La filosofia di Palazzo Grassi è quindi la cultura come industria e non l'industria della cultura. In questo è in sintonia con il programma del sindaco Massimo Cacciari che intende realizzare la città-museo, ossia ripensare il sistema museale veneziano affidando la gestione dei grandi musei' ad un'azienda speciale e quella dei piccoli ai privati. In questo modo il patrimonio storico, ambientale e artistico di Venezia, forse, verrebbe organizzato managerialmente ottenendo anche un rientro economico.

Certo. La cultura di un'industria come cultura industriale, è l'applicazíone di una metodologia. In sostanza, che cosa ha fatto Palazzo Grassi? Quando sono arrivato qui, provenendo dall'azienda torinese, ho continuato a lavorare con una cultura di tipo aziendale, manageriale, e ho approcciato una problematica che aveva una sua valenza culturale di altro tipo, creando tutti i presupposti necessari perché questo fosse un palazzo ben attrezzato, organizzato con persone adeguate e che l'attività funzionasse secondo le regole dell'impresa. liobiettivo era di instaurare il dialogo tra produttore e direttore culturale, affinché gli interessi di entrambi fossero compatibili. Se, ad esempio, nella produzione cinematografica prevale esclusivamente il regista, a prescindere da considerazioni di costi, investimenti ecc., il pro-dotto che ne esce potrebbe avere caratteristiche d'invendibifità... Invece, se il produttore intende organizzare uno spettacolo di altissimo livello culturale, ma nello stesso tempo propone argomenti validi al ritorno economico, dalla dialettica di queste due posizioni ne esce un vantaggio, un'opportunità nuova.

Lei sostiene che Yenezia ha bisogno di progettare il suo futuro. Ma in quest'ottica, quali possono essere i progetti sull'esistente da attuare, con quale logica e con quali conseguenze?

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Finora non ho dedicato molto tempo a riflessioni progettuali di questo tipo, ma ascolto con interesse le discussioni sulle molte proposte che riguardano il futuro di Venezia, senza nascondere il mio scetticismo. Da quasi quarant'anni a Venezia si parla del Mulino Stucky e del suo riuso. Dopo tante discussioni può darsi che questa sia la volta buona, ma ormai non mi lascio andare a facili entusiasmi... mi sento come vaccinato. Dopo la laurea sono partito da Venezia per lavorare a Torino alla Fiat, ho girato un po' dovunque, sono tornato qua quasi dieci anni fa e ho ritrovato tutto come prima, gli stessi discorsi... il Mulino Stucky e l'Arsenale... E ora nel 1994, di cosa stiamo parlando? del Mulino Stucky e dell'Arsenale... Mi auguro che questi ennesimi sforzi rientrino in un disegno complessivo, in una politica delle decisioni - di riuso o meno non è importante in questo momento - di orientamenti concreti e non di chiacchiere.

Venezia e la sua accessibilità: la percepisce come un problema?

IJapplicazione di metodologíe manageriali a problematiche urbane può favorire soluzioni innovative a problemi di vecchia data, come quello dell'accessibilità alla città storica. Piazzale Roma è stato un po' migliorato solo negli ultimi tre anni, mentre in precedenza veríficavo con uno scoramento totale che si lasciava tutto allo spontaneismo, non si ríverniciava il garage municipale, non si eliminava quell'orribile stecca edificata in mezzo al piazzale automobilistico. Insomma, mi sembrava che l'attitudine veneziana a conservare tutto così com'era, compresi i buchi nei muri, regnasse sovrana... Ma c'è ancora molto lavoro da fare.

I visitatori che affluiscono a Palazzo Grassi provengono da tutto il mondo e la loro eterogeneità significa anche possibilità di confronto mondiale dei servizi offerti dalla città alle persone... turistì, viaggiatori o abitanti. A suo avviso, si potrebbe sfruttare questa opportunità per raccogliere pareri, impressioni, critiche, desideri, proposte, per migliorare ad esempio la mobilità all'interno di Venezia?

La società non ha organizzato un sistema di raccolta d'opinioni del suo pubblico. Viene effettuata una rilevazione campionaria in ogni mostra per conoscere il parere dei visitatori sulla manifestazione in corso. E un meccanismo di automonitoraggio, per raccogliere critiche ed ímpressioni sull'operato della società seguendo uno schema di questionario studiato da una società specializzata e che si applica tutt'ora. Nelle domande si chiede il luogo di provenienza del visitatore, con quali mezzi arriva a Palazzo Grassi, in quanto tempo, ma devo ammettere che lamentele riguardo l'accessibilità alla struttura espositiva non ci sono state, o comunque non hanno assunto una dimensione problematica. Indubbiamente la società ha curato in particolar modo anche la segnaletica informativa comunicando le modalità per raggiungere Palazzo Grassi, indichiamo quali sono le linee di navigazione urbana da prendere, quali percorsi seguire. La società pubblica le informazioni relative alle sue manifestazioni culturali su diversi giornali, stampa dépliant informativi, informa attraverso annunci televisivi e radíofonici... Tutto ciò probabilmente facilita il compito.Un dato emerso dalle indagini, e che mi sembra interessante ricordare, è che l'arrivo da piazzale Roma o dalla Ferrovia è costituito da persone che vengono ad hoc e che, generalmente, si fermano per un soggiorno più lungo. Ma il fine di queste rilevazioni non è tanto questo, quanto sondare il gradimento della mostra, perché portare quasi 785 mila visitatori a Palazzo Grassi in otto mesi non è mai stato un problema per la società. Tuttavia alcuni servizi andrebbero migliorati, soprattutto quelli che gestiscono l'arrivo dei turisti con la formula del «tutto compreso», considerata a volte dagli interpellati troppo costosa.C'è anche chi viene a Venezia per vedere una mostra a Palazzo Grassi, arrivando da Firenze, Milano, Roma... e che si concede un soggiorno nella città veneta solo di qualche ora. La forza di attrazione di queste manifestazioni è notevole e potenziare, organizzare, l'offerta di servizi integrati richiede probabilmente un'applicazione congiunta tra la società e chi gestisce i servizi di trasporto urbano. Per esempio, alcune fasce di pubblico che affluiscono a Palazzo Grassi, e mi riferisco alle comitive di studenti, avrebbero bisogno di un servizio di trasporto progettato su misura evitando di sovraccaricare il trasporto pubblico cittadino.

Prima accennava alfatto che Palazzo Grassi non è un museo, ma un palazzo delle esposizioni di opere appartenenti al patrimonio storico-culturale italiano e internazionale. In sostanza, non è un luogo di conservazione ma si presenta come un punto nodale di una rete di saperi, conoscenze, studi, ricerche, dove il rapporto cultura-società supera la dimensione locale per rivolgersi a un mercato più vasto. Quali sono i risvolti di un simile approccio?

La mission di Palazzo Grassi è anche quella di diffondere la cultura, sia come approccio didattico sia come orientamento generale. Le mostre intendono rivolgersi a un pubblico diversificato pur mantenendo alto il livello critico e culturale con l'obiettivo di interessare sia il professore universitario, la persona di media cultura sia il visitatore occasionale. A ciascuno si cerca di offrire una conoscenza in più, su piani paralleli ma anche comunicanti.Un successo in tal senso si è riscontrato con la mostra dedicata a I Fenici nel 1988 che ha contribuito a risvegliare l'interesse universitarío per l'archeologia, tanto che sono state istituite tre nuove cattedre di Lettere con specializzazione in questa disciplina. Indubbiamente il merito va al professor Moscati, esperto e studioso della ma-teria, ma anche la mostra ha dato una spinta notevole. A Bologna sono aumentati gli iscritti alla Facoltà di lettere con indirizzo archeologico e questo significa che l'obiettivo prefissato è stato raggiunto. La rassegna sul Futurismo accompagnata da due convegni, uno storico e uno di carattere artistico, ha rimesso in moto l'interesse per l'unico movimento culturale italiano di valenza più che nazionale.

Page 31: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

In questo senso l'investimento dell'impresa, Palazzo Grassi, ha una funzione sociale in quanto risponde a un bisogno crescente di cultura, non esclusivamente elitaria. A mio avviso, si creano effetti di ricaduta sulla cultura industriale anche quando la cultura, in senso nobile, è più ricca. Una particolare attenzione è dedicata al contatto con il mondo della scuola, promosso dalla società in modo sistematico attraverso i presidi. La popolazione scolastica rappresenta un quoziente considerevole nel totale della popolazione che visita Palazzo Grassi. E questo cosa significa? Che dall'86 al '94 su tre milioni di visitatori un quarto era costituito da studenti. Anche nelle mostre ad alto contenuto didattico si persegue l'obiettivo di entrare in comunicazione anche con coloro che non hanno un background pro-fessionale artistico, perché la cultura non è una sola ma è un insieme di molteplici punti di vista. Una mostra d'arte può fornire stimoli di conoscenza attraverso approcci disciplinari differenti e, per questo, può essere visitata da esperti e non. Tutto ciò ha influenzato anche il modo di presentare le mostre e, ad esempio, con la mostra I Fenici ricordo che Giuseppe De Rita rilasciò un'intervista al «Corríere della Sera» in cui apprezzava l'apetto positivo di un simile approccio.

Un'iniziativa imprenditoriale collegata a rete con istituzioni italiane ed estere ovviamente si rivolge a un mercato globalizzato, dove il concetto di competizione posto alla base del nuovo siStema di relazioni può assumere valenze diverse, comunque non intercambiabili.Per Palazzo Grassiqual è il vantaggio competitivo di Venezia? con cosa può competere e con chi?

Mi viene voglia di rispondere con se stessa data la sua forza di attrazione inesauribile, ma rischio di essere banale. Non tento paragoní con Parigi o Londra, ma certamente a livello mondiale Venezia èuna meta di viaggio desiderata da tutti almeno una volta nella vita, e raggiunta da coloro che hanno raggiunto un certo livello economico. «sogno».Sto pensando al Grand Louvre parigino, ma Venezia è molto di più, è tutta da fruire. Secondo me, la città dovrebbe progettare un sistema di massima fruízione turistica senza che questa leda l'equilibrio urbano.

Un'altra parola chiave, che caratterizza la crescente integrazione dei mercati su scala continentale e mondiale, è il termine «privatizzazione». Il significato che si attribuisce a quest'ultimo può aiutare a chiarire in quale modo ci siprepara ad affrontare quello che Alvin Toffler definisce «lo choc del futuro», ossia il passaggio dal fordismo alpostfordismo.Secondo lei, in un processo di rinascita della città che cosa è opportuno privatizzare e con quali benefici?

Certamente «privatízzare» va inteso in senso provocatorio. Al contrario, se la domanda presuppone una risposta puntuale che individui settori specifici di attività, come ad esempio la gestione dei musei, il garage comunale... la domanda mi lascia un po' perplesso.Il problema qual è? Privatizzare i musei? Penso che questo discorso abbia un risvolto nazionale e non riguardi solo Venezia. Se l'approccio è invece di tipo culturale, dove il concetto «privatizzazíone» viene contrapposto a quello di pubblico, inteso come resistenza dell'apparato pubblico, condizione che non consente ai privati di fare qualcosa per la città, allora il discorso è diverso.Credo che, da questo punto di vista, sia opportuno valutare le possibilità concrete di migliorare il sistema urbano, aprendosi però con attenzione e con moderazione, perché il delicato tessuto della città lo esige. Ad esempio, la proposta di recuperare l'uso del cinema San Marco, fermo da una vita, è sicuramente apprezzabile ma deve tener conto che la struttura è inserita nel cuore della città, in un contesto molto particolare. Se l'operazione viene condotta da privati con un approccio corrispondente a quello di Palazzo Grassi, non può che trovarmi d'accordo. Credo che il soggetto pubblico dovrebbe non solo consentire al privato di esprimersi secondo le proprie capacità e con obiettivi giustamente di ritorno aziendale, ma riuscire anche a garantire e tutelare la sussistenza di requisiti qualitativí minimi, o anche massimi per la salvaguardia. Solo in questo caso si può migliorare il sistema complessivo della città, determinare la sua rinascita.Ma la storia di Palazzo Grassi insegna che, a volte, un'operazione privata non trova un atteggiamento di largo consenso da parte dell'amministrazione pubblica. Nel caso specifico si parlò di «sbarco» della Fiat a Venezia, che in fondo rilevava solo un oggetto architettonico abbandonato, lo restaurava e lo rimetteva in circolo per restituirlo alla città. Uatteggíamento che riscontrai allora era quello di dire «arrivano qui e ci invadono», ma si faceva un processo alle intenzioni. Questo tipo di atteggiamento, di sfiducia, è sbagliato. Prima èimportante verificare le intenzioni e credo che, a distanza di tempo, tutti si siano resi conto che l'atteggiamento con cui Fiat lavora su Venezia è positivo. Io sono veneto, mentre il presidente della società, Feliciano Benvenuti, è veneziano e il lavoro su Venezia mi pare che sia stato condotto con particolare sensibilità.Allora, se «privatizzare» significa una politica urbana sensibile e aperta all'intervento del privato, un intervento non speculativo e barbaro, inevitabilmente teso a realizzare un profitto ma sensibile ed attento alle problematiche sociali e alla pianificazione verso lo sviluppo, ritengo che questa chiave di lettura vada sorretta e incentivata.

Il modello di gestione applicato a Palazzo Grassi trova dei riferimenti a modelli imprenditoriali preceden tio attualí, anche esteri? Cosa ne pensa dell'esperienza di Adriano Olivetti a Ivrea alla fine degli anni trenta che intese coniugare economia, cultura e società in un disegno complessivo?

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Uesperíenza di Palazzo Grassi non guarda a modelli presenti o passati. Inoltre l'esperienza di Adriano Olivetti era nata da un meccanismo molto diverso rispetto a quello che ha caratterizzato la nascita dell'iniziativa veneziana. Apprezzo il modello di Ivrea perché rappresenta un momento molto nobile del rapporto tra impresa e cultura, pensato e realizzato in modo coordinato fin dalle premesse, mentre nel caso veneziano di Palazzo Grassi lo studio di una strategia per la città nasce successivamente al fatto strutturale, da una situazione contingente.Però il modello organizzativo applicato a Venezía dall'azienda torinese rappresenta unìnnovazione, perché è la prima volta che un'azienda si impegna a gestire direttamente un fatto culturale di questo tipo. Non credo che esistano casi equivalenti a questo, anche se ci sono molti casi di aziende che hanno gestito musei, utilizzato i propri archivi storici piuttosto che i propri prodotti per organizzare rassegne collegate alla cultura d'impresa, ma l'approccio è sostan-zialmente diverso. Uarchivio storico della Fiat è stato curato in modo esemplare e ora rappresenta un patrimonio fortemente significativo anche per lo studio della cultura sociale italiana di un certo período, ma anche odierno.

Come valuta le trasformazioni di aree urbane centrali libere o riscoperte strategiche dopo decenni di perifericità, e rimesse sul mercato seguendo i criteri del marketíng urbano? Il metodo si basa sostanzialmente su un processo manageriale, in cuisoggettiprivati, banche, operatori finanziarí insieme all'ammínistrazione pubblica unificano loro sforzi per riportare sul mercato porzioni di città, attrezzandole di spazi terziari, commerciali, direzionali, ma anche per il tempo libero, come teatrí, cinema, centri congressi... Il tutto cercando di sviluppare e mantenere un collegamento fra obiettivi, risorse locali e opportunità ambientali, per richiamare capitali esogeni e risollevare la città da situazioni di stallo o declino.

Alcune esperienze europee di marketing urbano hanno ottenuto dei risultati soddisfacenti, però credo che la filosofia con cui si conducono queste operazioni a volte non tenga conto del rapporto tra la disponibilità di aree e le effettive esigenze delle città e se queste operaziorii siano effettivamente compatibili con la città. Spesso rimango molto impressionato dal fatto che alla base ci sia sempre una sorta di postulato - e questo riguarda non solo Venezia. Il postulato è questo: «Ho un'area dismessa nel cuore della città, che bello! è un'area preziosa, la trasformo in n cose, poste al servizio della collettività ecc. ecc ... ».Uidea può essere interessante ma, purtroppo, l'autonomia amministrativa non ha ancora livelli decisionali sufficienti a garantire un effettivo controllo sufle procedure di sviluppo, né ha mezzi finanziari propri per indirizzare gli investimenti verso progetti di interesse comune. Quindi, il rischio è che l'operazione venga vissuta dai proprietari di quelle aree come la vincita alla lotteria, inventandosi soluzioni per utilizzarla e dimenticando, il più delle volte, di esaminare bene il rapporto tra le disponibilità e le necessità.

Nei processi di verifica degli indirizzi di sviluppo urbano quali sono gli attori che dovrebbero essere coinvolti?

Uamministrazione ha un ruolo guida, e chiaramente deve sensibflízzare a tutti i livelli l'approfondimento delle conseguenze che simíli operazioni possono avere sul contesto urbano, anche sociale. Qualche volta, e lo vedo anche in situazioni più banali di queste, si tende però ad affrontare le problematiche in maniera un po' garibaldina, salvo piangere qualche anno dopo.Cito un esempio che esce un po' dalla domanda, però mi sembra utile per spiegare il concetto: il caso dei centri commerciali. Nel cuore delle città a volte ci sono significative aree dismesse. Che cosa si può fare? Un centro commerciale! questa è la risposta che troppo spesso viene giudicata la più idonea, mentre secondo me e preoccu-pante. I centri commerciali in aree centrali creano problemi non solo di accessibilità, ma probabilmente anche economici, perché non èdetto che ci sia una domanda così elevata di terziario. Non si deve considerare infinito il terziario e comprimere il secondario in ogni occasione possibile. Secondo me, è un errore.Detto questo, cercando di applicare il ragionamento a Venezia dove il discorso richiede considerazioni ancora più ampie, mi mancano gli elementi per giudicare se il riuso del Mulino Stucky o dell'Arsenale abbiano valenze ínquadrabili in un contesto cittadino compatibile o meno, né posso dire con certezza quali debbano essere gli attori chiamati al dialogo oltre agli urbanisti. Ma probabilmente non conosco a sufficienza gli studi che ci sono e quindi la mia è una risposta molto generica.

Quale ruolo assegnare ai cittadini? La partecipazione dei cittadini ci deve essere e in quale forma, secondo lei, se ci deve essere?

Il problema è se funzionano le modalità istituzionali affinché questo colloquio avvenga. Attualmente mi sembra che questi veicoli di colloquio esistano nei Consigli di quartiere e credo che la pubblica amministrazione possa considerarli validi elementi di consultazione o di percezione della situazione, anche dal punto di vista sociale. Il dibattito sul futuro della città è una condizione utile e necessaria per portare a maturazione le decisioni, e i canali possono essere mol-teplici. La stampa può sollecitare il coinvolgímento delle opinioni e la maturazione di un certo tipo di progetto, di idea di città. Non intravedo altre alternative, né credo che si possa ricorrere ai referendum per sapere che cosa fare dell'Arsenale...Gestire un discorso di ricerca del consenso o ricerca comunque di un'opinione attraverso questa formula, mi pare che presupponga un processo di informazione molto elaborato e serio, perché è abbastanza facile trainare con argomentazioni di effetto verso una direzione anziché verso un'altra. è la crescita della consapevolezza del problema

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che dà l'opinione. Solo a quel punto può anche essere utile una richiesta di referendum, ma perché a monte c'è la consapevolezza collettiva. Se invece A problema viene paracadutato senza ricercare il dialogo tra le parti, il rischio è di farne uno strumento per altri scopi o di provocare distorsioni nella chiave di lettura, e di conseguenza nelle soluzioni.

Quale dovrebbe essere il ruolo dei giovani in questa ricerca del dialogo?

E' fondamentale coinvolgerli, la loro presenza attiva è sicuramente decisiva, perché altrimenti sarebbe come camminare senza gambe.

Venezia, 5 dicembre 1994

5) IL PROGETTISTA IMPRENDITORE TERRITORIALIZZATO

5.1) ARSENALE VENEZIA - CARLO TREVISAN

A Venezia vi sono due poli che attraggono e vivono costituendo i fuochi della vita urbana, la zona marciana e la zona realtina, ma nel passato per la città c'era un terzo polo, l'Arsenale. Fin dal xii secolo quest'entità produttiva, motore della potenza veneziana, ba sempre saputo trasformarsi' anche profondamente al mutare delle esigenze. Ma oggí, decaduta la sua funzione primaria, l'Arsenale vive ilproblema del suo riuso, tematíca che numerosi progetti cercano di risolvere.La fondazione dell'Arsenale Venezia Spa è da ricondurre a questa tematica? Quali sono state le premesse e quali gli obiettivi dell'iniziativa imprenditoriale, di cui' lei' è amministratore?

La società Arsenale Venezia nasce nel dicembre 1991 per acquisire dalla Fincantieri l'area degli ex cantieri Cnomv nei bacini dell'Arsenale. Con il piano base di ristrutturazione si decide anzitutto di rimanere nel settore della riparazione navale, anche se questo settore in Italia non è particolarmente competitívo né remunerativo. Nella prima fase di ficonversione, la società riduce il personale da 260 dipendenti a 153, lasciando l'eccedenza del personale alla Fincantieri. La ríconversione avviene nel settore navale su tre diversi livellí: lagunare, adriatico, mediterraneo.Per il livello lagunare, l'ambizione è di partecipare a tutte le operazioni inerenti alla manutenzione e costruzione della flotta di trasporto lagunare, l'Actv; in particolare privatizzare o in qualche modo assumere come global service la manutenzione dei mezzi dell'Actv e partecipare alle opere di difesa a mare, cioè alle bocche di porto, data dalla posizione strategica dell'Arsenale.

Il secondo livello riguarda la strategia adriatica. Quando abbiamo iniziato a lavorare, nel '92, nonostante la guerra avesse messo in crisi la cantieristica dell'ex Jugoslavia e ridato spazio a quella italíana, dopo pochi mesi abbiamo scoperto che i nostri prezzi non erano comunque competitivi soprattutto in relazione ad alcuni cantieri d'oltreconfine, Quest'ultimi erano particolarmente vivaci e si presentavano sul mercato con prezzi molto bassi. La ragione di questa disparità risiedeva nel costo della manodopera, in particolare sulla lavorazione dell'acciaio. In Croazia, infatti, il salario medio di un operaio era all'epoca un ottavo di quello italiano, oggi ridottosi a un quinto e anche meno. Economicamente, pur avendo una produttività più bassa la cantieristica croata riusciva ad ottenere uno spread tal-mente alto da rendere difficile la competizione con loro. Abbiamo deciso, quindi, di applicare una politica di gruppo a livello adriatico, acquisendo come Arsenale Venezia Spa un'importante partecípazione nel cantiere Vicktor Lenas di Fiùme e perseguendo una strategia commerciale comune. Questa partecipazione non è insignificante, ma rientra nel pacchetto di maggioranza, detenuto assieme ad altri investitori esteri.Il terzo livello è una strategia mediterranea, perseguita attraverso una strategia di gruppo adriatico. Il piano di sviluppo prevede sul Mediterraneo una presenza combinata con i cantieri croati, che a questo punto, attraverso Vicktor Lenas si sono ampliati. Questa èora una realtà con mille dipendenti e tre floating docks (capannoni sull'acqua), più o meno delle dimensioni di quelli di Venezia; mentre attraverso Vicktor Lenas l'Arsenale Spa ha acquisito la maggioranza del cantiere di jraníc a Spalato, un cantiere con un piccolo floating dock e con un'area molto interessante nel porto.Un programma così complesso e ricco ha richiesto da parte della società, in un primo momento, di garantire continuità all'attività di riparazione navale, allora molto discontìnua. La continuità come èstata ottenuta? In due modi: da un lato, mantenendo e implementando vecchie specializzazioní, in particolare la manutenzione delle centrali termoelettriche e la produzione di preriscaldatori, per eliminare i tempi morti dall'attività produttiva; dall'altro, lavorando nella pre-fabbricazione di parti di navi per conto sia della stessa Fincantierí e sia di altri cantieri.All'interno di questa strategia generale, ci siamo molto qualificati, per esempio sulle navi del Mar Nero, ma lavoriamo molto anche con l'Ucraina e con la Georgia. Queste grandi flotte hanno sempre saldato regolarmente i loro pagamenti, pur con qualche problema, e di fatto hanno salvato la produzione all'Arsenale che senza quel tipo di mercato ora non esisterebbe più.

E la stategia rispetto ai tre cantieri?

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La fase attuale richiede la riconversione di questi tre cantieri, fornendo a ciascuno una specializzazione. Per quanto riguarda Venezia la speciafizzazione non potrà che essere quella lagunare, indirízzandosi verso il grosso business del refitting, ossia A riadattamento delle navi passeggeri. Infatti Venezia sta riportando al centro del suo movimento marittimo il traffico croceristico e grandi compagnie di navigazione scelgono Venezia come terminal turistico molto importante.Sempre rimanendo nel campo riconversione e refitting, la società ritiene che una specializzazione sul mercato del refitting degli yacht superiori ai 20 metri sia profittevole e interessante, dato che Venezia rappresenta la tipica portualità ricca della yachtistica privata. Nella prospettiva che l'Actv liberi la darsena arsenalizia che attualmente occupa, la città lagunare potrà divenire il vero porto della grande yachtistica privata.Accanto a tutto ciò, il ruolo defl'ínnovazione e della ricerca nel campo della cantieristica è molto importante. L'Arsenale Venezia Spa nutre delle forti aspettative nei confronti del progetto Thetis, il consorzio costituito dall'università e da imprese private nell'ambito della tecnologia del mare. I problemi inerenti il consorzio derivano sia da complessità procedurali per la localizzazione della sede su aree demaniali, sia per la mancata adesione di alcuni soci originari il cui interesse all'iniziativa è venuto meno. In sé l'idea rimane comunque buona ma occorre un forte piano industriale per rilanciarla.

L:Arsenale è anche uno dei punti cardine del nuovo progetto di riorganizzazione dell'offerta museale presentato dall'amministrazione comunale nell'aprile scorso, dove parte del nuovo polo dell'arte contemporanea dovrebbe realizzarsi proprio all'interno del complesso arsenalizio, nelle Corderie, mentre il resto nel Padiglione Italia ai Giardini della Bíennale. Attività produttiva e attività culturale sono compatibili nell'Arsenale?

L'Arsenale è un'area di quarantatré ettari, di cui sedici sono in concessione alla società Arsenale e i rimanenti di proprietà della Marina. All'interno di questo vasto spazio si sono individuate, sostanzialmente, tre aree corrispondenti a tre funzioni: la prima militare con la Marina, la seconda culturale con il mínímagnete lagunare del museo diffuso, la terza produttiva con le attività strettamente índustriali.Secondo me, la compresenza delle tre funzioni è del tutto compatibile con la natura dell'Arsenale in quanto consente alla città di riconquistare la struttura sia dal punto di vista urbanistico ed economico, ma anche culturale. Il discorso del museo diffuso, dell'intermedialità per l'arte a Venezia usufruendo in parte della struttura arsenalizía è ampiamente condiviso dalla società.Invece, rispetto all'esperienza produttiva cantieristica è emerso un problema di natura ideologica, ossia se «l'attività industriale in laguna sia ancora consentita o no?» Mi pongo questa domanda perché, per esempio, a livello governativo sono stati elimínati gli sgravi previsti dalla Legge speciale per gli oneri sociali. Contro questo decreto è stato presentato un ricorso al Tar del Veneto. Personalmente sono contrario all'assistenzíalismo generalizzato, però è un dato di fatto che i costi veneziani non siano pari a quelli di terraferma. Basti pensare ai trasporti... In queste condizioni il mancato rinnovo degli sgravi incide sul costo dell'ora venduta a diecimíla lire, il che VUOI dire andare fuori mercato. è un problema di libero mercato!Coloro che si ispirano al taglio delle sovvenzioni rispondono che, in realtà, è la Comunità europea a voler togliere le sovvenzioni... Sono d'accordo. Ma l'operazione va fatta se queste alterano l'equilibrio. Nel caso di Venezia servono, a mala pena, a compensare il disagio di vivere come industria in laguna ed equilibrare i costi di produzione, che sono evidentemente maggiori. E questo è un problema che certamente pesa in maniera diversa da settore a settore. Ad esempio, anche nel settore alberghiero pesa, però l'albergatore può contare su un flusso turistico costante, anzi in aumento.

Il termine progettuale «riuso», applicato a una struttura di particolare rilevanza come l'Arsenale, determina angolazioni diverse da cui osservare il problema. Ad esempio, riuso può essere inteso sia come conservazione nel rispetto della natura fisica e storica della struttura arsenalizia, sia come reínterpretazione del suo ruolo in rapporto all'insieme territoriale di Venezia. Comunque queste due alternative non si escludono a vicenda.

Quale incidenza sociale può avere l'interpretazione data al termine «riuso» in un processo di rivitalizzazione dell'Arsenale?

E' chiaro che un rilancio dell'Arsenale, in termini di attività comporta una rivivificazione del sestiere Castello. Ma qui c'è tutta una filosofia sulla quale occorre intendersi. Uno degli elementi che hanno contraddístinto, almeno secondo me, le ricerche condotte sul riuso dell'Arsenale, è che quest'ultimo è stato posto proprio in relazione a Castello e non alla terraferma, errore madornale. Di fatto lo sviluppo dell'Arsenale ha motivato l'esistenza di Castello, con gli arsenalotti e così via, ma all'epoca la mobilità sul territorio era ben diversa, così come il tenore di vita e le esigenze delle persone.Uaspetto innovativo è che l'Arsenale non va posto in relazione a Castello, ma all'Europa. Quindi, il tentativo della società di porsi in relazione con il Mediterraneo e con la costa croata, e di rivitalizzare l'Arsenale non solo ristrutturando i capannoni crollati o danneggiati, ma riportando al suo interno il lavoro, le persone, frammentando l'attività produttiva... Solo la presenza fisica delle persone può dare significato all'Arsenale.Anche l'Arsenale culturale, la parte espositivo-museale, ha una relazione europea e non una relazione locale. Ecco allora che l'Arsenale come luogo riprende ad essere questa specie di punto dove si concentrano i fatti innovativi,

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culturali, industriali, di relazione ínternazionale della città, non prettamente turistici, ma legati a forme di produzione intellettuale o manuale o di altro tipo.Galileo inventò il telescopio all'Arsenale, allora la più grande industria d'Europa, e l'imprendítorialítà dei veneziani mise in rapporto l'innovazione tecnologica e scientifica con l'applicazione pratica nel campo navale. Il progetto di Galileo per la torre all'Arsenale non venne considerato solo un fenomeno di costruzione intelligente per fabbricare le navi, ma anche innovativo: il telescopio permetteva di avvistare le navi a distanza. A Galileo fu offerta una cattedra all'unìversità di Padova affinché proseguisse la ricerca sul telescopio e i suoi studi applicativi, ma lo scienziato preferì lavorare poi a Pisa. Quando Galileo venne processato dal Papato per le sue teorie che mettevano in discussione la centralità della terra rispetto al sole, i veneziani non assunsero alcun atteggiamento di difesa nei confronti di Galíleo non solo perché tradi il contratto di professore e quindi di rendita per la Repubblica di Venezia, ma anche per non svelare il segreto del telescopio.

La storia insegna molte cose. La scoperta galileiana era un fatto innovativo anche per le attività navali, militari e scientifiche. Quindi se in questo contesto si riesce a riprodurre, in termini moderni, il modello e a operare con una forte spinta di capitali e di progettazione pubblica, si può riafiacciare la relazione con l'Europa.Se un centro multimedíale allestisce sale di regia all'Arsenale, queste possono essere affittate, per esempio, a grandi compagnie cinematografiche o pubblicitarie. Si può pensare di inserire nel circuíto commerciale mondiale la produzione o la riproduzione di alcune opere liriche, come il Don Carlos rappresentato l'anno scorso in occasione dei duecento anni de La Fenice: il printing «Venezia» garantirebbe sia una sponsorízzazione molto forte, rispetto alla capacità di vendita e al mercato, sia lincentivazione di un'attività che potrebbe partecipare al risanamento del bilancio dell'ente teatrale veneziano.Ci sono molti giochi che si possono fare all'interno dell'Arsenale, ma mai concepire l'Arsenale come «la risposta» al problema di Castello. Questo può avvenire di risulta nel momento in cui c'è il rilancio del terzo polo veneziano; solo allora i criteri di scelta del personale potranno privilegiare a parità di condizioni l'assunzione di un impiegato residente a Castello. E' ovvio che l'efficienza del lavoratore si ottiene eliminando anche fenomeni di pendolarismo troppo accen-tuati, ma è semplicemente folle studiare la questione dell'Arsenale in relazione al Consiglio di quartiere di Castello.

Quindi, Arsenale come magnete di interessi economici, culturali e sociali con un raggio d'azione molto vasto...

Sì, certo.Se il cantiere dell'Azíenda di trasporti comunale viene trasferito nella nuova sede, si può razionalizzare la cantieristica privata in laguna consentendo di salvare dal fallimento il cantiere Lucchese, di effettuare una decina di nuove assunzioni e aumentare il lavoro di subappalto.Secondariamente se il progetto Thetis parte, il trasferimento degli interessi della società sul settore del refitting croceristico si può tradurre in commesse di lavoro per due, tre miliardi, se si cambia solo la moquette e si dà una mano di pittura, ma anche da quaranta miliardi se i lavori sono molto consistenti. La convenienza a progettare interventi di ristrutturazione, conversione, allungamenti di navi croceristiche è notevole, perché una nave passeggeri nuova, tipo la Costa Classica, vale da quattrocento miliardi in su. Un lavoro di trasformazione non è semplicemente un adeguamento dimensionale e tecnico della struttura, ma anche di design complessivo. 19 supporto della Fincantieri, della Breda e della società portuale goriziana di Monfalcone è un grande vantaggio perché si può così disporre di manodopera artigianale specializzata nel navale con un design e un'ottima qualificazione per quanto riguarda il Nord-Est italiano. A Venezia viene riconosciuta una tradizione, però il mercato va conquistato.

Quale indotto può svilupparsi intorno alle attività produttive cantieristiche dell'Arsenale?

Se il problema degli sgravi fiscali viene risolto favorevolmente dal Governo, visto che il Tar si è già pronunciato in tal senso, i vantaggí di una simile operazione imprenditoriale possono essere notevoli. In caso contrario si aprono due altemative: la riduzione del personale o la chiusura, dato che la riparazione navale così com'è ora non può assolutamente avere futuro...Attualmente sono 153 i dipendenti della società, ma con le ditte subappaltatrici ci possono essere dalle 100 alle 300 persone in più che lavorano come sabbiatori, pitturatori, o subappaltatori di saldatura, carpentieri ecc... Il vantaggio non e solo sociale per la città, ma anche economico per l'imprenditore in quanto uno degli elementi più importanti per un cantiere, oltre al prezzo e alla qualità, è il tempo di consegna rispettato regolarmente. Per ogni giorno di ritardo si pagano penali pesantissime; dai venti ai cinquantamila dollari al giorno per una nave, che aumentano se e una passeggeri.Per far fronte ai tempi di consegna ci si rivolge a manodopera esterna creando un indotto che si diffonde in tutta la provincia. Molti lavoratori vengono da Chioggia, da San Dorià di Piave, dalla Riviera del Brenta, ma la maggior parte risiede a Venezia, non tanto a Castello quanto a Pellestrina, Ldo, Isole.

In termini occupazionali, potenziare l'attività produttiva all'Arsenale significa offrire posti di lavoro specializzato, soprattutto nel navale. A Venezia esistono queste professionalità? Nell'ipotesi di un loro potenziamento potrebbero richiamare persone dall'esterno?

Page 36: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

In parte esistono, ma il discorso è anche un altro. lJarrivo di personale specializzato si verifica sicuramente, perché nel settore navale le ditte specializzate lavorano a livello europeo. Se si sceglie un propulsore, un motore Cmt o un altro motore, a seconda che sia italiano o olandese piuttosto che tedesco, si dovrà chiamare la ditta che produce quel motore, la quale invia i suoi tecnici. Così per il sistema radar e simili... Il discorso del polo delle tecnologie del mare all'Arsenale può dare vita a quello che, ambiziosamente, si chiama science park, ma che per Venezia sarebbe un fenomeno innovativo.Tuttavia sono sconcertato dal fatto che, seppur si sia compreso il concetto, le risposte date sono da considerare del tutto insufficienti. Si sono prodotti una serie di organismi solo teoricamente legati all'innovazione. Produzione e ricerca devono essere collegati e, in questo senso, vedo positivamente la relazione consorzio Thetis - Arsenale Venezia Spa. Bisogna che l'innovazione produca un qualcosa per l'industria, produca qualcosa da produrre, altrimenti non è inno-vazione, e ricerca, è un'altra cosa.Il consorzio Thetis lo valuto un elemento che deve produrre, si, ricerca, ma che sia funzionale non solo alla produzione dell'Arsenale.

Quindi il rapporto cultura-industria, come lo intende?

Il discorso oggi è essenziale, a prescindere dai settori in cui si lavora, ma l'innovazione e quindi la ricerca applicata all'industria sono essenziali per stare sul mercato, altrimenti noi dobbiamo ridurci a fare i mercanti e terziarizzare tutta la produzione. Ho letto da qualche parte che nel '95 la produzione mondiale di beni sarà principalmente coperta da paesi del Terzo mondo. Questo è ovvio perché i prezzi della manodopera sono più bassi. Allora, noi dobbiamo mantenere e sviluppare quale tipo di produzione? Dobbiamo puntare sull'innovazione tecnologica, sulle comunicazioni intese come informazioni e trasporti, e non scordare mai che la capacità di vendita è un fatto caratteriale e umano, e come tale non potrà mai essere meccanizzato. Nel campo delle relazioni l'italiano ha delle grosse potenzialità perché dotato, quasi naturalmente, di una forte capacità empatica... Nel futuro ormai prossimo, qualità umane come questa saranno molto ricercate. Quindi, secondo me, è necesario investire sui lavori ad alta qualificazione che possono produrre l'utile economico, ragione per cui esiste l'industria privata, ed anche socialità. Non esiste socialità senza profitto, perché una società ricca puo esprimere una maggiore socialità. Da questo punto di vista, il profitto può essere considerato un fenomeno sociale, perché consente di pagare le tasse, gli oneri sociali, creare occupazione, sicurezza e stabilità a un certo numero di famiglie.

Proprio riguardo alla capacità di vendita, Venezia finora si è molto concentrata sulla vendita al minuto, omologata, per il turista di passaggio e non troppo esigente... Una vera azione di marketing per la vendita, individuando precise fette di mercato a cui rivolgersi con prodotti specializzati, non è stata mai approntata.

Venezia ha una serie di chance ancora tutta da verificare, possiede caratteristiche per non svendersi come sta facendo. Per esempio, la gestione complessiva dei grandi eventi culturalí veneziani è una chance colta da alcune società private, che ne hanno tratto giustamente profitto. La gestione dell'immagine di Venezia nel mondo, il diritto a riprodurre lìmmagine di Venezia non è tutelata da alcun copyright, come invece è tutelata in altri Stati. Perché non si tassa l'uso pubblicitario dell'immagine di Venezia? Perché tutti hanno il diritto di prendere una parte di Venezia e sbatterla sulle pubblicità gratuitamente? L'uso pubblico dell'immagine di Venezia va tassato, va vincolato.

Forse, ancor prima di tassare l'immagine di Venezia, sarebbe opportuno capire che cosa significa «creare un'immagine di Venezia»? Oscar Wilde disse che « ... solo la gente superficiale non giudica dalle apparenze». Può sembrare una provocazione gratuita, ma probabilmente non lo è...

Secondo me, quando si vende un'immagine si deve anche curarla. Ad esempio, si deve risolvere il problema della gestione minima della città: escavo dei rii, pulizia, e tutte le altre cose che abbiamo sotto gli occhi giornalmente.Secondariamente va fatto un discorso serio sulle relazioni che Venezia deve tessere con il mondo. Venezia è una città capitale, anche se non è la capitale di uno Stato, ma come tale deve muoversi nel mondo, con proprie rappresentanze, con proprie attività all'esterno. Dietro fa cultura ci va sempre il business; agli scambi culturalí devono seguire quelli economici.

Venezia dovrebbe guardare a una direzione geografica prevalente verso cui lanciare la propria immagine?

La grande chance, che può essere una ríappropriazíone, è l'apertura di tutto l'Est, dove non c'è ancora una gerarchia tra Venezia e Trieste ma esiste una naturale tendenza a identificare Venezia come storico sbocco naturale. Attualmente il porto di Trieste può per il centro Europa offrire assieme a quello di Fiume delle chance maggiori. La storia di Venezia può essere letta in termini di relazioni con Sebastopoli, la costa croata, dalmata, albanese, greca, ucraina, rumena, bulgara... lo vivo a Fiume tre giorni alla settimana, perché sono presidente del cantiere Lenas di cui parlavo prima, e ho Visto che sia il sindaco di Venezia sia quello di Fiume hanno dimostrato interesse a stringere relazioni tra le due città.Venezia è ritenuta un faro dal punto di vista storico, culturale, e dell'immagine. Forse l'immagine è mille anni luce superiore a quella che è la Venezia vera, però c'è. Ebbene con l'apertura dei mercati dell'Est, Venezia non è solo il

Page 37: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

luogo affascinante e misterioso che tutti i viaggiatori vorrebbero conoscere, ma è anche una chance di relazíoni economiche per i suoi abitanti. La città deve, perciò, cominciare ad aprirsi in vari termini, rítessendo i contatti con il suo territorio d'azione, sfruttando la caduta dei sistemi politici che non consentivano una fluidità nelle relazioni estere. Ma tutto ciò comporterebbe una presenza strategica, un'azíone combinata anche con la Camera di commercio, una presenza più incisiva delle associazioni industriali, che possono farsi ambasciatorí di questa realtà.Se lavorando sul Mar Nero ho aperto vie economiche e commerciali, posso agevolare o. introdurre relazioni culturali a Odessa, Ismail, a Nicolaiev a Carson, andando verso la Crimea, o a Sebastopoli. Ho agenti e personale che settimanalmente si recano in quelle aree.Il significato cambia se, viceversa è il Comune ad aprire vie culturali, di relazioni politiche, o di altro tipo, e può darsi che successivamente si sviluppi anche un'attività commerciale. Però la cultura non è altro che il vestito da festa della ricchezza. La grande architettura, la grande arte, i grandi movimenti culturali si sviluppano solo in una società ricca.

Ricchezza in che senso? Ricchezza di beni materiali o qualcos'altro? Si riferisce al modello culturale «calvinista» americano, individualista e aggressivo, o al modello «shintoista» giapponese, dove il lavoro e l'azienda sono più importanti della felicità dell'individuo, oppure ha un altro modello, più europeo?

Credo che il lavoro non sia un valore, ma lo sia diventato circa duecento anni fa con la rivoluzione industriale. Ma per migliaia di anni il lavoro non è stato un valore.Certamente attraverso le attività umane, l'uomo si realizza. Far coincidere l'attività che piace col lavoro che produce reddito è il massimo del benessere, a cui si può aspirare. Ma, nel momento in cui ci fosse un reddito separato dall'attività e ricchezza per tutti, svolgere un'attívità esprimerebbe solo il senso che si dà alla vita. La ricchezza è chiaramente uno strumento, ma si deve produrre. Se non ci fosse il principe, a corte l'architetto, il poeta, il musicista, lo storico personale, non esisterebbero o, comunque non avrebbero il palcoscenico da cui esprimere le loro capacità.Quindi, Venezia è una città della cultura, è un incrocio internazionale, però deve anche produrre una redditività che la mantiene. Questa era una città che produceva servizi per un'oligarchia. Ma ora decaduti i nobili, la grande massa ha eletto un nuovo principe: il turismo. La mentalità non è cambiata: lavorano per qualcuno e continuano a fare i camerieri, i produttori di cibi, i trasportatori di beni nella grande maggioranza. Spesso il commerciante al minuto, il venditore di bibite, ha un reddito alto, si sente padrone di qualcosa, ma dimentica che in realtà lavora per un padrone.Il dramma è che il turista veneziano ha un'identità molto slabbrata, è una massa diffusa con esigenze poco diversificate, e così nel gioco dei rapporti il «servo diventa padrone», con tutto ciò che ne deriva. Al turista non si offre più un'accoglíenza degna della città e i soldi si fanno a ore.

Il megaprogetto dell'Expo 2000 può essersi scontrato proprio con una struttura sociale ambigua: da un lato un'identità incerta del turista e dall'altro un vuoto nei sentimenti d'appartenenza alla città degli abitanti. All'interno di un'idea imprenditoriale forte, una grossa debolezza sociale.In una strategia di sviluppo futuro per Venezia, cosapotrà significare «essere veneziano»?

Attualmente Venezia è una città che deve riconsiderare la sua realtà di terraferma per quanto riguarda la realtà industriale di Marghera, che è in crisi, deve difendersi fisicamente dal mare, e deve ríqualificarsi uscendo dall'abbraccio tremendo del turismo, che la sta soffocando.Uidentità di «essere veneziano» si potrà costruire intorno a un'idea di città molto chiara. Venezia deve dimostrare di essere una città internazionale, non legata esclusivamente al turismo ma in grado di rendere economica anche la presenza di altre attività, quindi, una città della finanza; una città della cultura, intesa non solo come fenomeno di espressione, ma anche come fenomeno economico, perché gli eventi culturali hanno anche delle componenti economiche molto forti; in grado di vendere i propri dock di Marghera in maniera industríale, compatibile con la laguna; ma anche una città realistica che realizza i suoi progetti e non si abbandona al fascino del mega evento. Venezia deve presentarsi come una città in relazione con l'Adriatico, col centro Europa e col Mediterraneo perché dalle crociate in poi, questo era una delle «porte» che metteva in comunicazione l'Occidente con l'Oriente. Non penso che la situazione sia cambiata, ma è evidente che altre città, o meglio, altri porti stanno svolgendo questa funzione: Ravenna piuttosto che Chioggia, Trieste piuttosto che Rijeka.Venezia non ricorda più di essere nata intorno a un porto. Per questo è fondamentale reintrodurre una qualche forma di relazioni con la portualità.

Pedrag Matvejeviè nel libro Mediterraneo. Un nuovo breviario, con un racconto fflologico del mare, descrive proprio il legame che unisce un'isola al suo porto. « ... I porti insulari non sembrano avere le stesse ambizioni di quelli collocati sugli orli dei continenti: i primì sono fatti soprattutto per i naviganti, gli altri più per le navi. Le città e i porti sulle isole non sono nati come quelli che si trovano in altri punti, anche se spesso ne imitano forma e uso ... ».Nel sistema portuale veneziano, duplice nella sua natura di isola e terraferma, ílporto è quindi da considerare un'infrastruttura di relazione: ma di che tipo?

A rete. Ma la portualità veneziana deve anche specializzarsi, proprio per i motivi descritti nella citazione. è venuto il tempo di decidere. Se questa città è la Las Vegas d'Europa, allora, gioco divertimento e love-boat saranno i suoi elementi. Venezia è già considerata la città «cocotte» d'Europa, basta un piccolo sforzo e si può ottenere qualcosa di

Page 38: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

più organizzato. In questa ipotesi va bene il casinò, al porto insulare attraccheranno le love-boat e, visto che funzionano bene nei Caraibi dove i turisti fanno un giro senza mai fermarsi vanno a casa e sono contenti, Venezia potrà offrire un giro nel Mediterraneo, con in più gli scali alle molte città storiche che si affacciano sul mare.Però, se si decide che questa non è la strada migliore, allora si deve attuare un progetto alternativo. Non si può tenere il casinò e il turismo e, contemporaneamente, parlare male del casinò e del turismo, impedire all'industria di esistere e impedire a qualunque altra attività di svilupparsi. Mi pare una vicenda del tutto kafkiana... E' banale dirlo, ma è del tutto kafkiana.

Nella sua filosofia> in che modo Venezia e la terraferma dovrebbero relazionarsi? per opporre una centralità a una perileria o per affermare la complessità del sistema urbano? Quale ruolo per Marghera?

Mestre è una periferia, ma a differenza di tutte le grandi periferie nate intorno alle città storiche, a Venezia la presenza della laguna ha costretto la periferia a cercare lo spazio d'espansione al di là del ponte. Mestre era un paese di diciassettemila abitanti, ora è una città più grande della città madre. La sua sfortuna è di essere nata vicino a Venezia, per cui la «mestrinità», ossia l'identificazione della terraferma in contrapposizione più o meno polemica con Venezia, è un elemento inconsistente dal punto di vista culturale rispetto alla «venezianítà». Mestre ha perso la sua immagine autonoma, per diventare parte di Venezia. In questa trasformazione, è successo che Mestre, comunque è uno snodo che guarda al Veneto, mentre Venezia non ha mai guardato al Veneto e i veneti, soprattutto recentemente non considerano Venezia parte del loro territorio.La mia opinione è questa: che Venezia si deve fortemente qualificare in una ínternazionalità, in una regione e in un contesto dove l'internazionalità è già certificata dalla produzione e dalla vendita. Non deve fare concorrenza al modello veronese, ma ritagliarsi A suo spazio di internazionalità con attività che ripaghino questa città, la sua salvaguardia, e che diano una ragione agli abitanti per rimanere.Infine, Marghera. Ha un ruolo assolutamente importante, ma deve essere messa in condizioni di operare. Vuol dire fare presto un piano regolatore, fare scelte urbanistiche veloci, avere alle spalle le possibilità economiche che la legge gli ha promesso, ma non ancora assicurato.Marghera ha bisogno di un progetto che sia possibile realizzare. Negli ultimi anni sono state fatte molte esercitazioni teoriche, sia a Ca' Foscari che ad Architettura; ma di queste esercitazioni, sia all'Arsenale che in città, siamo tutti schiavi.

Chiarezza di idee e di programmi dovrebbe essere, quindi, la condizione di partenza non solo per mettere ordine alla miriade di proposte che hanno interessato Venezia, ma anebe per poter affrontare le condizioni imposte dalle nuove forme di mercato, sempre più competitive, dinamiche e globalizzate. Secondo lei', quali sono le opportunità di competizione che una città come Venezia dovrebbe perseguire?

Venezia è un luogo con una profonda storícità, culturalmente ricco e piacevole da abitare, dove la finanza internazionale, le attività culturali legate anche al mondo della comunicazione, le attività inerenti alla ricerca scientifica, potrebbero insediarsi. Ma se liberare gli spazi per le attività produttive è possibile in quanto esistono aree vuote o liberabili, il problema forse più sottaciuto, ma veramente drammatico è la mancanza di spazi per la residenza nel tessuto urbano. Quando si parla di case a Venezia si va in crisi immediatamente.Eppure produrre e competere sono legati alla capacità di residenza che la città può offrire. Se non si risolve questo problema, non si potrà promuovere lo sviluppo. Ad esempio, quando si pensò a San Clemente e a San Servolo come sedi di un'università americana, ricordo che non si riusci a trovare neanche una quarantina di appartamenti da affittare, per i ricercatori che semestralmente avrebbero abitato a Venezia. Ma se la strategia di sviluppo richiede il potenziamento dell'industría e della ricerca applicata, la città non può prescíndere da un piano della residenza adeguato. Non è immaginabile che uno scienziato venga a Venezia, accettando tutti i benefici di stare sei mesi in un posto piacevole, e poi lo si faccia vivere a Marghera. Inoltre, bisogna tener conto che l'attività di ricerca è fatta da persone che non hanno redditi mediamente così alti da potersi permettere affitti esorbitanti, e che le istituzioni da cui dipendono sono università, le quali hanno mezzi sempre molto limitati.Lo stesso dicasí per altre attività, anche se forse le realtà finanzíarie, banche e istituti, potrebbero in cambio di una sede di rappresentanza in affitto, partecipare alla salvaguardia e alla riconsolidazione del patrimonio edilizio monumentale perché dotate di mezzi ben maggiori.

Produzione di economia e produzione di socialità possono essere gli obiettivi di un nuovo soggetto privato: il progettista-imprenditore. A Venezia è in atto un'inversione di tendenza nel piano di gestione della città, dove i soggettichiamati al tavolo delle decisioni sono anche i privati. Quale significato assegnare al termine «pri . vati . zzazione» della città? Che cosa si può privatizzare? E con quali benefici?

Innanzitutto sulla privatizzazione vorrei fare un discorso equílibrato. Ci sono dei settori che non possono essere privatizzati, altri invece si prestano a esserlo. Per esempio, i servizi come la fornitura dell'acqua, del metano non si possono privatizzare.Si, invece per il garage comunale, il casinò, la gestione dell'immagine di Venezia e i grandi eventi culturalí veneziani. Si possono privatizzare nella gestione della organizzazione, della promozione, della pubblicità, della messa a reddito.

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Si possono privatizzare parte dei settori pubblici, tra cui il cantiere di riparazione navale della Actv, che oltre ad essere gestito in modo più economico, potrebbe usufruire di una sede diversa dall'Arsenale.Ma purtroppo questa è una città dove tutti parlano e tutti urlano: alla fine sarebbe importante accendere il cervello prima di parlare...

La sua obiezione è forse questa: ancor prima di saper che cosa privatizzare, sarebbe più corretto domandarsi perché privatizzare?

Certo, domandarsi prima perché?Privatizzare, affinché la città abbia più reddito, più capacità di mantenersi, più capacità di offrire e garantire servizi qualificati; privatizzare perché per i cittadini sia più economica e piii qualificata la vita, e contemporaneamente sia più redditizia per chi vive la città. Comunque a Venezia si deve produrre un reddito superiore agli altri. Chi viene ad abitare e a lavorare nella città lagunare deve mettere in conto di produrre un reddito più alto rispetto a chi sceglie la terraferma. Attualmente ciò non avviene nella stragrande maggioranza dei casi, avviene solo con il turismo. Il turismo si espande perché è l'unica attività che assicura un reddito più alto della media. Con l'acciaio si guadagnano quattro lire e non è certo questa l'attività che crea il valore aggiunto tale per cui conviene restare a Venezia.

Secondo lei, come andrebbe gestita la privatizzazione? Ogni progettista-imprenditore coinvolto può seguire un indirizzo separato oppure sono necessarie forme di coordinamento tra i diversi attori?

Ci sono settori dove la gestione deve rimanere in mano pubblica, altri, come ad esempio l'aeroporto di Tessera dove la società mista ha attualmente una maggioranza, il meccanismo può variare. Infine ci sono attività che possono essere gestite interamente dal privato, che adotta meccanismi di produzione di reddito, servizi e altro che il soggetto pubblico difficilmente riesce ad applicare. Sono possibili anche forme di convenzione tra pubblico e privato con la richiesta di requisiti qualitativi minimi in cambio della gestione di servizi, come il garage comunale. Ovviamente in contropartita il privato deve avere, ad esempio, la possibilità di liberalizzare i prezzi dei parcheggi conformandoli alle valutazioni di merca-.o.La forma di gestione più adeguata alla privatizzazione è sicuramente la società di capitali accompagnata, anche nelle società a maggioranza pubblica, dalla liberalizzazione dei salari dei manager, con la possibilità di reperíre le professionalità migliori disponibili sul mercato...Qual è una delle forze del privato? Secondo me, in epoca come questa dove i valori sono slabbrati, uno dei valori sintetici è il denaro. Nel privato l'imprenditore appaga il proprio manager con un contratto abbastanza buono che difficilmente è perseguibile nel pubblico, anche se le distanze tra l'uno e l'altro si sono ridotte. Però spesso l'azienda privata si motiva attorno a un leader, o a un team leader costruito anche con un ragionamento di natura economica, fattore non sempre applicabíle nel rapporto pubblico.Per quanto riguarda le forme di coordinamento delle privatizzazioni, penso che alcune attività possano essere organizzate dal soggetto privato che le detiene, altre possono riguardare il Comune, altre lo Stato.

Le operazioni di privatizzazione sidovrebbero porre obiettivi a breve, medio o lungo termine rispetto alla città?

Secondo me, la città dovrebbe avere un disegno complessivo, ma non vorrei che per l'ennesima volta, gli studi si protraessero per vent'anni, dopo di che cambiata la moda si cambia anche disegno.No, penso che ogni soggetto pubblico, sia esso di servizi, di trasporti, sia esso il Comune, debba valutare quali settori fondamentali possono essere privatizzati. Certo, che il Comune deve assicurare un minimo di coordinamento. Tra i servizi, il garage comunale può essere prívatízzato in tante maniere: può essere ceduto dal Comune e affidato all'Actv, anche se in fondo non è proprio una prívatizzazíone. Oppure può essere concesso a dei privati, oppure ai dipendentí che formano una cooperativa, che con il proprio Tfr capitalizzano la società. Forse quest'ultima sarebbe la maniera più intelligente per prívatizzare il garage,Non sono invece molto d'accordo di cedere la gestione del Carnevale alla Finínvest. Perché alla Fininvest? Perché non può esistere un'altra compagnia dove c'è dentro anche la Fininvest, o una compagnia totalmente estranea alla Fininvest, che riceve in concessione per dieci anni gli eventi, e non anno per anno. Perché l'immagine di Venezía non potrebbe essere gestita da un marchio Venezia?

In questo processo decisionale, il consenso dei cittadini ha un peso? Il dialogo con leforze sociali, con le rappresentanze culturali, sindacali, politiche... è importante?

Una volta avrei detto di sLOggi non lo so, perché la realtà sociopolitica veneziana è così frammentata. E' impossibile non cogliere la profonda contraddizione che c'è tra una città internazionale, mondiale e una gestione del consenso che è infraquartierale. La dimensione del politico veneziano ha spesso una dimensione che salta totalmente l'aspetto della nazionalità e della internazionalità e vive della misera quartieralità. Non intendo negare valore ai problemi della quotídianità, ma sottolineare che la classe dirigente non aveva la stessa statura della città. Molte decisioni non sono state prese, molte cose non si sono fatte, come l'Expo, la bretella passante Padova-Meolo per tagliare l'autostrada... A stata una strategia veramente conservativa, ma dove fosse A consenso non lo so.

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Comunque, secondo me, Venezia non è bloccata per un problema di metodologia di ricerca del consenso. Anche se tutta la città fosse stata d'accordo a realizzare l'Expo, sono convinto che l'Europa si sarebbe opposta. Un'Expo interessa a molti e far leva sull'immaginario collettivo per togliere a Venezia quest'idea presumo sia stato facile.II nuovo sindaco, Massimo Cacciari, sostiene che la cosa più tremenda dopo la sconfitta dei propositorí dell'Expo e dopo la vittoria di quelli che non volevano l'Expo, è che non si è fatto nulla per Venezia. In questo caso, non bisogna dire: «guai ai víntí» ma «guai ai vincitori», se non sono in grado di gestire un processo alternativo al meccanismo che, comunque, l'Expo avrebbe messo in moto.

Ma ora, non è forse più importante ricercare tutti insieme un modo per superare le vecchìe barriere interposte, spostare il dialogo da un piano politico a un piano operativo collettivo?

Non credo che la forza del consenso locale sia determinante. Venezia è una città che, proprio per il fatto di essere considerata patrimonio mondiale, dà il diritto a chiunque di alzarsi la mattina e di non essere d'accordo su un programma di sviluppo per la città. Il bacíno di consenso è molto più vasto. Il dialogo deve mediare tra A necessario consenso locale e quello internazionale. Senza il primo non si fa niente, anche se spesso Venezia è stata una città gestita contro i suoi cittadini; il secondo è sensibile solo al mantenimento della monumentalità della città e alla sua salvaguardia e non a quello dei suoi residenti.Il dialogo può anche spostarsi sul piano operativo, ma allora a cosa serve la nomenclatura se non è capace di trovare un compromesso tra le maggioranze e la minoranza, o all'interno della maggioranza stessa, tra la realtà locale e quella nazionale e internazionale?

E' possibile ipotizzare un sistema informativo più obiettivo, un sistema educativo collettivo che aiutia superare il modello culturale, impostato sulla rendita di posizione, a modificare il modo di rapportarsi al futuro della città?

Non è un problema d'informazione, ma d'equilibrio tra il consenso locale, sia delle intellighenzie sia della popolazione e l'opinione nazionale e internazionale, fatta spesso anche di banalità.Per quanto riguarda il modello culturale è talmente radicato che, a parer mio, i successi non sono garantiti, anzi. C'è un buon numero di persone che vive di rendita d'appartamenti.

In un processo decisionale suljuturo della città, è importante la posiione dei giovani?

La città avrà i suoi giovani solo se ci saranno attività lavorative ricche, che producono capacità manageriali e posti di lavoro qualificato. Non voglio dire che conta solo il denaro ma, in un'era di íncertezze ideali, culturali, di slabbrature religiose, non è possibile ricostruáre un modello di valori in breve tempo. Un giovane potrà abitare a Venezia solo se avrà un reddito più alto di quello di un giovane che vive in terraferma. E' un fatto obiettivo.

La ricetta per Venezia potrebbe essere progetti concreti.- c'è qualche intervento in Europa a cui riferirsiper trarre suggerimenti di Politica urbana?

Può sembrare blasfemo, ma una città che non aveva niente è diventata una città ricchissima, ha fatto una scelta che si ritiene blasfema ma l'ha fatta: Las Vegas.Allora, ripeto, a Venezia tra il metrò e il remo c'è tutto di mezzo. Bisogna trovare delle mediazioni rispetto a questi estremi, e il progetto deve essere un progetto mediato rispetto ad altre posizioni. Finché avremo i verdi che inibiscono tutto, i destri che vogliono tutto - ammesso che si possa ragionare così in termini di gestione della città - mi pare che non si combinerà niente, avremo solo grandi incompiute, un sacco di libri, un sacco di ricerche, ma niente di realiz-zato. Alla fine ogni ragionamento si deve trasformare in una concretezza, non in una pubblicazione. Noi siamo diventati come quelli che descrivono l'amore e pubblicano un libro sull'amore e non lo fanno. Mi pare il massimo, però sanno tutto.Quale sia la mediazione non lo so. Ma il futuro non si costruisce sulla banalità che contrappone la salvaguardia allo sviluppo. E' come se l'alternativa fosse tra godere dì buona salute o lavorare: è assurdo. Si tratta di mediare tra due posizioni estreme.

Venezia, 28 novembre 1994

5.2) LE ZITELLE - ENZO FIGUS

Il centro congressi «Le Zitelle» Spa, di cui lei è amministratore, èun punto di riierimento importante nel panorama culturale della città, ma la sua localizzazione nell'isola della Giudecca è strategica in relazione al programma amministrativo di rilancio di Venezia, che individua in quest'isola il vero banco di prova. Può spiegare brevemente quando nasce l'esperienza veneziana de «Le Zitelle», con quale obiettivo e chi sono i soggettí promotori?

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«Le Zitelle» nasce oltre quindici anni fa da un'idea di alcuni veneziani che, insieme agli albergatori, pensarono di realizzare un centro congressi alla Giudecca, idea che non venne supportata, a mio parere, da uno studio di mercato e da una conoscenza specifica del settore.Successivamente gli eredi di Vittorio Cini, che avevano deciso di promuovere iniziative solo a Venezia, insieme a un'agenzia interna, Adn Kronos e l'Assíntermica (che intendeva ristrutturare la propria catena di palazzi per convegni), sono entrati nella società, prima come mínoranza poi come maggioranza. Per modificare l'impostazíone economica e giuridica del centro congressi, studiata dalla precedente amministrazione, i nuovi soci hanno remato contro corrente, reimpostando il programma complessivo da tutti i punti di vista. Da due anni l'attività del centro congressi «Le Zitelle» procede per la sua nuova strada, tutta in salita, e andrà a break even il prossimo anno.Nonostante l'attività sia in netta ripresa, le aspettative della nuova società si scontrano con una situazione, che definirei, paradossale: qui a Venezia, non solo tutti parlano di centri congressi senza sapere effettivamente quale impatto urbanistico abbiano sulla città, ma alle parole non seguono i fatti. Infatti, mentre in un'altra città il successo di una simile operazione non si sarebbe fatto attendere, qui a Venezia, feudo di pochi albergatori privati, il soggetto pubblico ha abdicato alla legittima facoltà di programmare la strategia di sviluppo urbano, o sembra incapace di riconquistare il proprio ruolo guida. Manca così un piano coerente, concreto e duraturo cui far affidamento.

Secondo lei, quale può essere l'impatto urbanistico di un centro congressi a Venezia?

Nessuno. Questa è una città in cui gli operatori privati sperano di fare soldi senza investire, alle spalle del pubblico o di altri di passaggio. Lavorare a Venezia è facilissimo in teoria, ma difficilissimo in pratica, perché la nomea che si è fatta la città a tutti i livelli è veramente sconfortante: la stragrande maggioranza delle persone è stata a Venezia almeno una volta nella vita ma, quasi tutti, quella volta hanno pagato a caro prezzo la loro permanenza senza ricevere in cambio servizi adeguati. Si può dire che siano stati derubati.Investire su Venezia non significa vendere l'idea di Venezia, ma convincere la gente che la città può offrire servizi gestiti seriamente, che impediscono A formarsi di sacche di disonestà. La società «Le Zitelle» è riuscita infatti a creare una catena di servizi seri, affidabili, collegati a rete. Dopo due anni ha stipulato accordi di garanzia con la città, con i fornitori ecc.... ma questi accordi sono costati sangue, sia per impedire comportamenti disonesti sia per convincere gli esterni che anche a Venezia è possibile ottenere un servizio a un giusto costo di mercato.Questo è un obiettivo molto più difficile da raggiungere e me ne rendo conto. D'altro canto, secondo me, questa è una città che finora non ha lavorato seriamente né al servizio dei residenti né al servizio dei turisti. In quest'ultimo caso infatti, gli albergatori non hanno alcun interesse a standardizzare i servizi in quanto, lavorando già a pieno ritmo, vedono di buon occhio solo i pendolari.

A proposito di pendolarismo, un'indagíne del Coses, basata sui dati del censimento 1991 e riguardante gli spostamenti dei lavoratori nell'ambito della provincia veneziana, ba rilevato che il centro storico, insieme a Mestre, è soggetto al maggior flusso di pendolari. Sono infatti oltre 140 mila le persone che si muovono giornalmente dalle varie zone della provincia per raggiungere la città insulare e quella di terraferma.Una politica che, anziché contrastare iljenomeno delpendolarismo lo incentiva, che cosa provoca a livello sociale?

Molti sbilanciamenti, forse tutto. Questa è una città in cui il settore del turismo è egemone nell'economia cittadina, nonostante l'insufficiente offerta di camere d'albergo che si attesta a neanche duemila stanze. Offerta indirizzata quasi esclusivamente al livello alto, mentre il resto dell'offerta turistica è costituita da piccole entità frantumate che possono dare ospitalita, ma non costituiscono una massa critica a disposizione del turismo. è una città che, contrariamente alle apparenze, non ha stanze d'albergo, non sa dove fare dormire la gente, e questo arricchisce i pochi albergatori e, probabilmente anche tutti i piccoli proprietari di portinerie, magazzini, soffitte, che ad esempio fanno pagare a caro prezzo un'angusta e insalubre stanzetta allo studente universitario.Questa è una città in cui qualcuno, consciamente o inconsciamente, ha premiato la rendita. Mi sembra difficile uscire da questo meccanismo anche se l'amministrazione comunale con l'Assessore all'urbanistica, Roberto D'Agostino, sta operando con forza e determinazione per costruire alloggi per gli studenti. Però stranamente, a problema della casa è più semplice da risolvere rispetto al problema turistico.Per il settore turistico è necessario triplicare l'offerta di stanze alberghiere, il cui prezzo sia accessibile, non dico ai saccopelisti, ma alla fascia sociale che ha un reddito medio. D'altronde, quest'ultima èla stessa fascia totalmente assente nel mercato della casa veneziana. Infatti, come dice Massimo Cacciari, a Venezia «il povero è protetto, il ricco non ha problemi, la fascia intermedia in città è penalizzata».

Su quali aree il Comune può intervenire con un serio programma residenziale e di servizi collegati a esso, che consenta il ritorno della fascia sociale a medio reddito a Venezia?

Nelle isole, a Murano, a Burano, alla Giudecca stessa, c'è una quantità impressionante dì spazi liberi. Anche il Lido, un tempo considerato un dormitorio popolare, ha spazi stupendi e infrastrutture che possono essere valorizzate. Ma per fare questo salto di qualità è indispensabile che qualcuno pensi la città. Sembra ridicolo ma, in un momento in cui prevale il privato, serve un'amminístrazione pubblica che programmi sotto questo aspetto la città.

Page 42: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Per migliorare l'idea pubblica della città, sia dal punto di vista dei cittadini sia da quello dei turisti, quanto può influire attualmente il sindaco sulla direzione da assegnare allo sviluppo urbano?

Il sindaco è prigioniero sia della Giunta comunale sia della Commissione di salvaguardia. Quest'ultima è un'assemblea, ma in realtà non protegge nulla. In questa città ottenere l'accordo del soprintendente ai monumenti e del sindaco non basta, perché poi la Commissíone di salvaguardia può impedire qualsiasi progetto.Secondo me, due sono le ipotesi: o eliminiamo la Salvaguardia o il sindaco da solo non basta. Mi domando: «In che cosa è stato diverso lo sviluppo di Venezia rispetto allo sviluppo di altre città, grazie alla salvaguardia?». Non credo ci sia stato niente. Se facciamo un bilancio della situazione attuale non emerge un quadro di cui vantarsi: l'andamento demografico ha subito la flessione come tante altre città, la perdita dei posti di lavoro nell'industría non viene compensata dalla terziarizzazione, mentre l'uníco risultato evidente nel centro storico è il rafforzamento della monostruttura turistica.Quindi, sicuramente, la Salvaguardia è solo un impedimento perché, avendo la natura di un comitato mostre, non si assume responsabilità, né il sindaco e il soprintendente possono impegnare un comitato mostre. Tutti abbiamo pensato, e forse ancora crediamo, che il sindaco possa decidere in modo più autonomo rispetto al recente passato ma in realtà la legge non gli dà tutte queste possibilità: anche lui ha i suoi lacci e lacciuoli, non come prima, certamente minori, ma ancora notevoli. Tuttavia sono convinto che l'attuale Giunta presieduta dal sindaco Massimo Cacciarí sia l'ultima speranza offerta a questa città.

Nel ricercare un nuovo modello di sviluppo, alternativo a posizioni estreme di centralismo di Venezia e di policentrismo regionale, la città potrebbe giocare le sue carte non solo sulpiano comunale, ma anche su quello regionale, nazionale ed internazionale. Quali sono, secondo lei, le opportunità da cogliere?

Credo che Venezia conservi solo teoricamente ancora una dimensione differenziata su più livelli perché in pratica la realtà è molto più povera, o impoverita. Gli enti a livello nazionale se ne sono andati tutti. La Telecom-Sip ha deciso ultimamente di investire sulla terraferma e ha abbandonato il progetto del centro direzionale all'isola del Tronchetto. L'esodo verso la terraferma è la soluzione ai problemi di spazio e di immobilità politica che molti enti sono costretti ad adottare. Le alternative di rilocalizzazione nel centro storico esístono ma non si riesce ad ottenere nemmeno un permesso. Anche l'Azíenda nazionale delle strade, l'Anas, si trasferirà a Mestre e le opportunità offerte dagli ex magazzini Parisi a piazzale Roma e dal Tronchetto tramontano definitivamente.E cosa dire del sistema bancario che alla spicciolata sta abbandonando Venezia? Credo che siano veritiere le indiscrezioni dell'ambiente bancario che ipotizzano la fusione dell'istituto veneziano Cassa di Risparmio di Venezia in quello di Padova, e quella del Mediocredito Veneziano inglobato dalla sede di Verona. Se un imprenditore privato vuole fare delle operazioni su Venezia dove va? A Padova? dove lo stanno ad ascoltare con un orecchio diverso, con una priorità di interessi ovviamente diversa da quella che si può prefiggere un istituto radicato nella storia della città, come la Cassa di Risparmio di Venezia? La perdita del centro decisionale del sistema bancario èuno dei fattori che contribuisce a uccidere questa città. Per l'economia cittadina è un colpo durissimo che, a parer mio, la città pagherà nei prossimi anni in maniera tragica.

Nei programmi nazionali di sviluppo il Nord-Est viene definito da più parti come motore trainante dell'economia italiana. In questo panorama favorevole la candidatura di Venezia come capitale del NordEst può interessare a livello governativo?

La città pone al Governo solo il problema-del Mose, non mi sembra che abbia affidato ad altre questioni la propria immagine. Venezia è percepita di conseguenza solo, ed esclusivamente, come un problema di degrado fisico e monumentale della città. Più che logiche le risposte governative tradotte unicamente in materia di salvaguardia. Venezia è responsabile di questa scelta, anche se forse era una via obblígata. Tuttavia, ora è quello il tavolo a cui le ammístrazíoni locali sono invitate a parlare... Cambiare tavolo è possibile, ma significa cambiare anche tipo di discorso con il Governo. Sinceramente, mi sembra che non ci siano ancora le basi.

Sono veramente convinto che l'esodo del sistema bancario è grave, quasi quanto il problema della salvaguardia fisica. Il problema del tessuto sociale, industriale ed economico è importante quanto la salvaguardia fisica. Ma se ci guardiamo intorno cosa vediamo? Il Consorzio Venezia Nuova ha speso e spende cifre colossali per la salvaguardia fisica, i comitati internazionali si occupano di restaurare la porta, l'Ambroveneto ha restaurato il portale di San Marco... Però, nessuno destina due funzionari per quattro anni a occuparsi solo di Venezia, anche se sarebbe più utile. Attualmente manca una classe imprenditoriale, nel vero senso della parola, non c'è più una classe dirigente... se ne sono andati tutti.

A questo punto, chiedersi chi siano gli abitanti di Venezia non èuna curiosità.

Chi sono? Signori che vendono magliette o, come dice De Michelis, signori che fanno i bidelli. Vivono benissimo cosi, con un guadagno o molto alto o con uno stipendio molto basso. Non c'è la via di mezzo. Perché dovrebbero agitarsí?

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Nel centro storico sono rimasti 72 mila abitanti: la classe dirigente di questi abitanti da quante persone è composta? Chi sono? Chi si batte per questa città? Il sindaco Cacciari, gli assessori della nuova Giunta, Giuseppe De Rita... E l'Associazione Venezia 2000: se prendiamo l'elenco dei sostenitori, quanti sono i veneziani?Tutti se ne vanno, comprese le nuove generazioni. I giovani nascono a Marghera, a Mestre, o nei paesi dell'hinterland e, quindi, il rapporto con Venezia lo percepiscono con un distacco sempre maggíore. Loro vivono la realtà della città di terraferma, dove la mobilità è diversa, dove i tempi e i ritmi sono più veloci... non ritornano indietro. Possono solo nutrire un interesse intellettuale per la città lagunare, ma non pratico. Chi abita in terraferma, si crea il suo habitat sociale ed economico in terraferma e chi resta vende magliette...Con queste prospettive di «città probabile», chi si mette a disegnare una nuova città per settantamfla, una «città possibile»? La forza per ripensare la città non puo venire da questi abitanti; se non vengono stimolati dall'esterno, se qualcuno non gli suggerisce alcune idee concrete per un rilancio, il destino della città sarà, molto probabilmente, la morte sociale. La vita pulserà falsamente nelle cartoline e nelle fotografie stereotipate delle agenzie di viaggio...

Nel libro Grandi eventi il sociologo tedesco Thomas Kramer-Badoni analizza l'idea, ormai tramontata, di realizzare a Venezia un'esposizione universale e cerca di rispondere alla domanda: «Venezia Expo 2000: sogno o incubo?». Quale risposta dà lei al quesíto?

lo sono schierato insieme a chi era contro l'Expo, perché il progetto di allestire a Venezia un'esposizione universale era stato presentato con una tracotanza che non ha pagato. L'Expo aveva dentro di sé idee e germi giustissimi che alla fine si stanno riproponendo perché vincenti. Ad esempio, la proposta del secondo asse di penetrazione nella città insulare, Tessera-Arsenale-Murano, era una delle idee base su cui si fondava l'Expo. Però, come al solito, erano idee giuste, ammantate male e presentate con tracotanza.

E all'epoca la discussione ebbe, effettivamente, più il carattere di uno scontro interno che di un confronto di idee. La maggiore enfasi cadde poi sul problema ecologico lagunare, lasciando sullo sfondo questioni altrettanto importanti come, ad esempio, la definizione di un modello di sviluppo compatibile con Venezia. Secondo lei, dopo l'esperienza Expo, la collettività potrebbe essere maggi . ormente cosciente che un cambiamento della politica urbana dovrebbe, invece, scaturire dal dialogo tra i diversi attori?

La città ha un solo ideale: essere mantenuta vendendo magliette ai pendolari, i quali devono dare il meno fastidio possibile. Altre questioni non interessano.Questa tra l'altro è una città in cui qualsiasi programma di rilancio trova mille ostacoli e mille polemiche ancora prima di essere definito, dove le dichiarazioni sfavorevoli vengono subito rilasciate a «11 Gazzettíno» senza neanche conoscere a fondo i progetti. Così, anziché un dialogo costruttivo, si apre sempre una polemica senza fine. L'unica soluzione per non rimanere bloccati è quella di aprire un dialogo quando si ha un progetto molto valido, serio, quantitativamente fatto e realizzabile a breve giro di tempo; prima non ha alcun senso.

Lei usa il termine «città» parlando di Venezia, ma a cosa si ríferisce esattamente?

Per «città» intendo il centro storico, quello che conosco. Al contrario, non nascondo di conoscere troppo poco Mestre e Marghera.

Non ho alcuna difficoltà invece a percepire il Cavallino come parte di Venezia. Questa lingua di terra che separa la laguna dal mare aperto, ospita otto milioni di turisti nel periodo estivo. è il più grande camping d'Europa frequentato, non da saccopelisti, ma da tedeschi, da persone con un potere d'acquisto medio. Ebbene, nessuno ha pensato di incentivare il trasferimento di questo flusso turistico dal Cavallino al Lido, con l'obiettivo di rivitalizzare quest'uffimo.Il Lido viene ancora pensato e vissuto come un posto dove, per affittare una capanna balneare per un mese, la spesa è cosi elevata che è necessario dividere la spesa fra sette persone. Al Lido, invece, si dovrebbero realizzare impianti e infrastrutture in grado di poter offrire a questi otto milioni di persone un servizio appetibile. Inoltre al posto del casinò si potrebbe organizzare un polo fieristico perché a disposizione ci sarebbe il Palazzo del cinema, il Palagalileo, il Pa-lazzo del casinò e tutta la zona verso Malamocco... Gli operatori che vanno riuniti in un discorso di polo fieristico non sono tanti, quattro o cinque, ma ci vogliono i permessi.Qualcuno si deve svegliare e agevolare una politica diversa. Comunque mi rendo conto che, oggi, l'amministrazione è talmente travolta dai problemi che non le si può chiedere di pensare a tutto.

L:ipotesi dell'inserimento di un casinò al Tronchetto come la vede?

Sono favorevole. Sono soldi veri. Portandolo al Tronchetto, il casinò incassa di più. Il casinò al Lido non può sfruttare tutte le sue potenzialità perché non è accessibile. Non credo che il flusso di turismo presente in città o al Lido dipenda dal casinò e comunque non èeccezionale; quel flusso può essere sostituito da altre iniziative. Il casinò portato al Tronchetto dovrebbe incassare un 20-30% in più perché la gente potrebbe arrivare con la propria auto. Se non offri un servizio efficiente, le persone non vanno mica al Lido, proseguono e vanno in Slovenia, a Nova Goríca.

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E a Marghera che cosa vedrebbe? Il problema della zona industriale di Porto Marghera è tangibile e per risolverlo è stata avanzata la proposta di insediare un parco scientifico-tecnologico.

Che significa fare un parco scientifico e tecnologico? E in grado la Promomarghera di promuovere tutto questo? Non credo, perché le mancano molte cose... Queste sono tutte operazioni enormi in cui serve un coinvolgimento di tante forze e intelligenze, perché altrimenti non si fa niente. La Promomarghera, è una società per azioni a capitale misto pubblico/privato a cui partecipa il Comune e la Provincia di Venezia, la Regione Veneto, la Gepi, l'Assodazione indu-striali e l'Enichem e altri enti con quote simboliche. Ha come presidente Zacchello, bravissimo industriale, ma per mettere in moto un investimento sul futuro, occorre coinvolgere, anche, i professionisti bancari, i grossi istituti di credito bancario... Se, ad esempio, l'Ambroveneto invece di restaurare la porta, assegna a tre suoi funzionari il compito di studiare la fattibilità dei progetti sul polo industriale veneziano, o di occuparsi di Promomarghera, già ci credo un po' di più. Ma poi, siamo così sicuri che il polo tecnologico vada realizzato a Marghera? Perché non a Trieste, o a Napoli, o negli altri posti dove si fanno i poli tecnologici?

Accettando l'idea che Poperatore pubblico debba guidare la politica di sviluppo urbano, in un'ipotesi di privatizzazione, quali operatoriprivati potrebbero lavorare su Venezia con l'obiettiVo, ad esempio, di riequilibrare il flusso turistico veneziano?

Fino a oggi, nessuno. Sono convinto di questo perché, nel turismo di questa città, gli albergatori sono belli e soddisfatti dal fatto di essere in pochi e di guadagnare tanto. Il turismo è già privatizzato, ma è nelle mani di quattro persone. Secondo me, Venezia sta pagando l'assenza progettuale della Ciga durante la proprietà dell'Aga Khan. Quando la Ciga aveva una direzione diversa la sua presenza era più evidente. La Ciga, dopo l'acquisizione non ancora registrata da parte di Itt Sheraton, la catena alberghiera americana, dovrebbe tornare a essere un elemento trainante nel settore del turismo, ma la sua azione positiva sarà ovviamente limitata al segmento alto del mercato.Venezia invece deve puntare a riacquisire anche il segmento intermedío offrendo sia stanze in affitto a un costo compreso tra le settanta e le centomila lire a notte, sia promuovendo manifestazioni che possano interessare le persone di ceto medio, e dove il livello dei servizi sia adeguato anche al loro reddito. Ad esempio l'esperienza ef-fettuata da «Le Zitelle», nell'organizzare la prima Mostra mercato d'antiquariato nel 1993, si è rivelata positiva nel richiamare a Venezia un flusso turistico mirato. Alla prima eperienza, condotta insieme a Bellini, un organizzatore di mostre mercato d'antiquariato, quest'anno ne e seguita una seconda, ma con un miglioramento organizzativo, anche sul piano finanziario dei costi. Infatti, mentre nella prima edizione gli afiestímentí e tutto il resto era costato alla nostra società seicento milioni, anche perché eravamo nuovi del settore, quest'anno gli stessi servizi effettuati con gli stessi fornitori è costato tre volte meno. La politica adottata non è stata quella di risparmiare sui servizi alla clientela, ma di capire quali trucchi speculativi avessero adottato i fornitori e indurli a prestare lo stesso servizio ad un costo onesto. Questa è la città.

Lofferta turistica per essere dinamica ed effidente deve, quindi, sviluppare sinergie non solo tra gli operatori del settore, ma anche con la comunità locale. Nel soddisfacimento deibisogni si instaura un rapporto tra consumatore e venditore che gli specialisti di marketing defíniscono empatico, basato cioè sulla cordialità delle persone, ma anche sulla fiducia interpersonale.Come considera l'ipotesi studiata dal Censis di un decalogo dello standard affinché il turismo veneziano diventi industria, e dove 1 parametridi giudizio siano il livello d'accoglienza, l'organizzazione e l'accessibilità della località turistica?

Mi trova favorevole, ma è un decalogo che polemicamente è da rispedire al mittente in quanto il destinatario è sbagliato: a Venezia non ha senso. Per gli alberghi di lusso, l'alta stagione dura fino a novembre con un'occupazíone dell'offerta all'86%, il che significa il massimo. Un altro esempio: tutta Italia si sta mobilitando per l'Anno Santo dal 2000 al 2003. Qui, «Anno Santo? Che ci importa; i turisti da Roma arriveranno lo stesso e faranno i pendolari». E' assurdo: non c'è una nuova struttura pronta per il Duenifla.La città non può pensare di competere se questa oligarchía rimane, senza alcun interesse a standardizzare, per migliorare il servizio.Se l'operazione di recupero del Mulino Stucky parte veramente èun fatto positivo perché sarebbe il segnale che la mentalità sta cambiando. Però l'offerta dello Stucky, poco più di duecento stanze, ètroppo esigua e strutturalmente il sistema d'accoglienza veneziano rimarrebbe invariato. E' importante, invece, che si possa prevedere un'offerta concreta di duemila stanze, dislocate tra la Giudecca, Murano, Lido, nei terminal di Fusina e Tessera... Secondo me, solo così tutti si darebbero una regolata e vincerebbe la sana concorrenza, la standardizzazione.

Quindi, programmazione urbanistica, economica e turistica devono andare di pari passo...

Certo. Lo sviluppo si attiverà solo quando la città coglierà il nesso tra questi elementi. Solo allora, qualsiasi catena straniera investirà seriamente su Venezia, perché avrà la garanzia di ottenere í permessi necessari in tempi decorosi, non per privilegio pagato a caro prezzo, ma per strategia urbana di sviluppo.

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In Italia, la difficoltà a percepire la standardizzazione nelle sue valenze positiVe, come conditio sine qua non per realizzare l'offerta turistíca, forse provoca una confusione tra i concetti di «spontaneismo» e «industria». Mentre l'industria alberghiera in Europa si fonda sulla creazione delle catene di alberghi, con livelli di servizi standardizzati, nel nostro paese questo sistema stenta a radicarsi'. Infatti', tra le maggiori catene presenti' in Italia, le prime quattro sono straniere. Quale spiegazione darebbe a questo fatto?

E turismo in Italia non ha una struttura industriale, a Venezia ancora di meno. Non esiste una società commerciale degna di questo nome. Nell'offerta ricettiva le agenzie di viaggio sono frammentate al massimo, non esistono strutture organiche, non si fa leva su niente. A Venezia, lo Splendíd Suisse rappresenta l'emblema di questa confusione. I lavori di restauro di quest'albergo si sono protratti per quindici anni, ma sono stati una lotta continua. Il Club Méditerranée sta cercando da dodici anni di stabilire una sede anche a Venezia, più precisamente in un'isola della laguna, prima a Poveglia ora a San Clemente. La richiesta della catena francese, se esaudita, alzerebbe gli standard del turismo veneziano, inserendo anche il concetto di «complessità degli standard». Ma per ora, nulla è andato in porto.

E possibile coagulare interessi intorno a uno sviluppo economico, che abbia anche valenze sociali? Quali soggetti possono essere progettisti-imprenditori, ossia promuovere economia, socialità, cultura in modo coordinato?

Sto trattando con amici di università straniere affinché aprano sedi di alcune facoltà anche a Venezia. Sono università private e quindi le trattative possono ottenere un riscontro positivo in breve tempo. Ma poi, questi imprenditori privati devono trovare da parte della città la disponibilità e tutte le garanzie per credere alla serietà del progetto.

Negli anni passati, alcuni luoghi comuni avevano incrinato in modo piuttosto evidente i rapportifra istituzioni universitarie ed enti locali. Nell'opínione pubblica, un'espansione dell'università veniva percepíta in conflitto con la destinazione residenziale del patrimonio immobiliare. Attualmente le condizioni sembrano meno critiche, ma un esodo universitario da parte dei due atenei venezianidal centro storico è comunque in atto...

Appunto, portano fuori i corsi brevi. I giornali riportano l'opinione dei cittadini: sono contenti e applaudono a questo programma. lo appartengo alla generazione che, invece, vede l'università tutta insieme. Evidentemente gli studenti sono troppi ed è una maniera come un'altra per selezionarli. A Roma si è fatta Roma 1, Roma 2; qui si aprono sedi a Portogruaro, a Porto Marghera... è una scelta, ma non sento nessun parere contrario. Al contrario, io sono convinto che sia un fatto estremamente negativo che l'università lasci anche solo parzialmente la città. Finché i giovani sono presenti in citta, e più probabile che il destino della città possa cambiare.

Quali dovrebbero essere le condizioni di lavoro indispensabili per un progettísta-imprenditore?

La presenza del sitema bancario, ínnanzitutto. Il sistema bancario non è solo il sistema del prestatore di denaro, è anche il sistema del projectJinancing, del finanziamento delle infrastrutture, è il sístema dell'appoggio alle iniziative industriali. Una banca che faccia una campagna economica per Venezia ne trarrà un beneficio di ímmagine, ma deve essere sicura che il progetto sia attuabile. Purtroppo, questa amministrazione, con tutti i suoi pregi non è in grado di dare certezze di decisione, perché la legge glielo impedisce.Un progettista-imprenditore deve trovare, non solo forze esterne e interne capaci di organizzarsi verso un obiettivo comune, ma anche una mentalità lungimirante, aperta alle innovazioni pur nel rispetto della tradizione, della cultura, della storia... Una collettività che ragiona con logiche protezionistiche, di conservatorismo ad oltranza, che accetta solo chi «è venezíano», non costruisce il futuro della città.

Racconto un piccolo esempio che mi è capitato qui a Venezia, ma che mi è rimasto impresso nella mente perché lo considero molto emblematico. «Le Zitelle» hanno costruito un pontile in legno per fare approdare le barche, con un costo di cento milioni. Non poco, quindi. Il geometra comunale per verificare l'opera, misurava col centimetro il pontile per vedere se era più lungo o più corto di 5 centimetri. Se questa è la mentalità della città non andiamo da nessuna parte. Evidentemente quel geometra col suo stipendio vive bene e dello sviluppo di Venezia se ne interessa solo a parole.

La sua conclusione è che Venezia può uscire dal suo isolamento se saprà costruire una rete di operatori privati, dotati di mezzi, volontà, progetti, spazi.. e se nell'amministrazione comunale saprà porsicome figura di coordinamento concreto e di dialogo.

Sì, una rete o più reti di grossi operatori, che investano nei vari settori di sviluppo con le prerogative che l'amministrazione indicherà. Finora, ognuno ha pensato e programmato a modo suo, senza coordinamento, senza sapere cosa facevano gli altri operatori privati che lavorano nello stesso settore. Ad esempio, Benetton ha comprato un palazzo sul Canal Grande, in calle Vallaresso dove c'è l'hotel Monaco, facendo un investimento immobiliare. In quell'ísolato c'è anche un cinema, il cinema San Marco, vincolato nell'uso dalle previsioni del Piano regolatore. Uintenzione di Benetton è di realizzare nell'ex cinema un centro congressi. E' un investimento, certo, però non ha

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senso! Sarebbe come se a Roma si facesse un centro congressi a via Condotti, in pieno centro. Non è un investimento produttivo. Benetton può fare ben altro per la città: sta alla città inventarlo e chiedergli di realizzare un servizio trainante e di cui ha bisogno.Su queste questioni sono costretto a polemizzare, perché nel giro di pochi anni Venezia avra cinque centri congressi: Stucky, Le Zitelle, Fondazione Cini, Benetton, Lido. Tutta questa offerta, di seimila posti congressuali, si scontrerà con un'offerta alberghiera ferma a meno di duemila stanze.A Venezia non riusciamo a fare concerti perché manca un auditorium da duemila persone. Beh, troviamo chi ce lo fa. Non si potrà mai pagare i Berliner o la Filarmonica di Vienna perché costa 250 mila dollari e, di questo passo, duemila posti da vendere per pagare queste orchestre non ci saranno mai a Venezia.Il compito di evitare queste assurdità è dell'amministrazione, che deve offrire agli imprenditori privati disposti a investire sulla città un programma urbanistico serio che offra alternative possibili, dotato cioè di una flessibilità rairata e controllata. Uamministrazione deve avere una funzione propositiva e pervenire quasi ad accordi-contratto, in cui l'imprenItore in cambio della licenza costruisce servizi necessari alla città.

Venezia, 3 dicembre 1994

5.3) SOCIETA' VENETA ISOLA DEL TRONCHETTO - AUGUSTO CRAVERO

Attualmente il volto dell'Isola nuova del Tronchetto non è ancora definito, nonostante già nel 1964 fosse stato bandito un primo concorso, che all'epoca rientrava indirettamente nei tentativi di rilanciare il tema dell'affaccio lagunare a San Giuliano. Negli anni ottanta un nuovo concorso assegna all'isola artificiale il suo destino e al posto della distesa di verde adibita a parcheggio viene previsto un interscambio merci e un garage per i veneziani'.Cosa significa per Venezia un interscambio merci?

Il Tronchetto è sempre stato pensato come un interscambio merci, ossia luogo in cui si possa scaricare la merce che arriva con mezzo su gomma, depositarla in un,magazzino temporaneo, e infine trasbordarla sul mezzo acqueo. E importante che l'economia del sistema veneziano possa usufruire di questo servizio. Lattuale struttura ricettiva del traffico merci, se riceve un autotreno carico di merce necessita di una giornata per scaricare il contenuto dal mezzo su gomma a quello acqueo, che nel caso specifico potrebbero essere circa quindici barche da trasporto. Se il sistema non si organizza così si provocano delle diseconomie, o si utilizzano dei mezzi su gomma più piccoli, con costi e dispersioni sicuramente maggiori.Per Venezia è possibile quantificare lo spazio necessario a un interscambio merci stimandolo, secondo i nostri studi, non superiore ai diecimila metri quadrati. L'autotreno in questo caso arriva e viene scaricato nell'arco di mezz'ora, perché le attrezzature moderne lo consentono; la merce viene depositata nel magazzino e nell'arco di sette giorni al massimo, l'utente ha la possibilità di recuperare questa merce con un barchíno. Quindi la struttura del Tronchetto ha la funzione di adeguare i tempi di Venezia a quelli della terraferma. Mi pare che in questo mi abbia dato ragione anche il Coses distinguendo la funzionalità dell'interscambio merci da quella dei magazzini generali - che invece potrebbero usufruire dei tanti spazi vuoti, inutilizzati al porto o realizzare una struttura di magazzini in zona industriale, a Marghera.

A distanza di quindici anni' dal progetto originario, il nuovo progetto prevede in variante una quota di spazi' riservati ad attività direzionali e la nuova sede del casinò. Percké è così importante avere degli spazi a livello direzionale all'Isola nuova rispetto al progetto originario ?

Il progetto originario è stato modificato, prevedendo una quota di spazi ad uso direzionale, perché era l'unico modo per inserire possibilità produttive a Venezia. Era stata individuata la Sip come utente in quanto quest'ultima intendeva affrontare la pianificazione logistica e territoriale nell'ambito del Veneto e stabilire la propria sede regíonale a Venezia. Attualmente la ex società telefonica, ora Telecom Spa, non ha spazi direzionali nella città storica e la sua struttura è distribuita in una trentina di uffici sparsi sul territorio della gronda lagunare. Era sostanzialmente un ritorno di notevoli dimensioni, in quanto voleva dire per Venezia una possibilità di oltre mille e cinquecento posti di lavoro, di cui circa quattrocento erano nuove assunzioni con un indotto di circa altri duemila posti di lavoro. Inoltre, non avendo intenzione la Sip di chiudere i suoi uffici periferici, si sarebbe attivata una dinamica di turn-over con i pensionamenti e le richieste di trasferimento di una parte dei dipendenti dalla nuova sede regionale alle succursali. Nell'arco di tre, quattro anni si sarebbe sviluppato questo flusso di ricambio tra Venezia e la terraferma.Uoperazione d'investimento Sip, mirava a realizzare precisi interessi: creare posti di lavoro dipendente nell'ambito del centro storico di Venezia per ottenere agevolazioni fiscali importanti. Uazienda, in termini pratici, risparmiava dai dieci ai dodici miliardì l'anno di contributo, trasferendo i propri dipendenti dalle sedi esterne al centro storico e al Tronchetto. Questo valeva fino all'agosto scorso.Purtroppo, i lunghi tempi di attesa necessari a modificare parzialmente la destinazione d'uso originaria e gli strumenti urbanistici hanno inciso negativamente sulle aspettative della Sip, che ora ha deciso di non rinnovare il contratto per la realizzazione del centro direzionale al Tronchetto. Mi sembra una follia il tempo perduto dalle precedenti

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amministrazioni comunali e la rinuncia della Sip inopportuna, soprattutto adesso che l'amministrazione attuale si stava adoperando per presentare, entro la fine di novembre in consiglio comunale la delibera di variante. Ma forse la decisione della Telecom-Sip è stata presa, non solo per la stanchezza fisica di averlo seguito per tanti anni, ma anche in seguito al decreto governativo del 4 agosto scorso che toglieva le agevolazioni fiscali da Venezia, ripristinate con un intervento del Tar. Ma, quasi sicuramente, questo è stato uno dei motivi per cui la Sip inizialmente ha deciso di non investire più sul centro storico. Ed è su questo che le autorità di Venezia dovrebbero continuare a insistere, affinché non solo, permangano le agevolazioni fiscali a favore della città storica, ma ci siano altri strumenti dìncentivazione all'investimento. Diversamente, a Venezia l'iniziativa privata muore.Io faccio gli auguri a chi vuole rilanciare il Mulino Stucky con una operazione imprenditoriale, ma non gli auguro le lungaggini, più che decennali, conosciute dal progetto per il Tronchetto.

Per quale motivo si localizza al Tronchetto anche la nuova sede del casinò?

Non è un'idea mia, ma penso che sia dettata dalla necessità di fronteggiare una possibile concorrenza a livello nazionale. è infatti prevista l'approvazione al Senato di una legge riguardante l'apertura di una decina di nuovi casinò sul territorio nazionale, sistema che entrerebbe sicuramente in concorrenza con Venezia. Il progetto di trasferimento del casinò dal Lido al Tronchetto suscita non poche polemiche, soprattutto da parte dei lídensi, ma più per ragioni d'immagíne che di realtà economica. Infatti chi va a giocare al casinò del Lido non partecipa alla vita del luogo se non in mínimissima parte, perché il rapporto tra il giocatore e il casinò è di tipo chiuso: tutt'al più consuma una bibita o qualcosa al bar del casinò, ma null'altro. Inoltre non è da sottovalutare il problema di parcheggio per chi arriva a Ve-nezia con l'auto e dei tempi molto lunghi per l'accessibilità: al Lido quaranta minuti, quasi mezz'ora per la sede invernale sul Canal Grande.Quindi, se la città non si adegua per tempo, cambiando la localizzazione dell'attuale casa da gioco, migliorando l'accessibilità e fornendo servizi, come ad esempio un ristorante oltre al bar, è destinata a cedere parte del suo giro d'affari alle località di Saint Vincent, Campione...La struttura del Lido potrebbe, invece, essere ristrutturata e ínserita in un altro settore, come ad esempio in quello culturale della Mostra del cinema o della Biennale. Il tutto con un indotto di sicuro successo.

In un'ipotesi di strategia di sviluppo per Venezia, secondo leí, quali possono essere le zone all'interno del tessuto urbano dotate di un elevato potenziale per il rdancio economico della città?

Uiniziativa al Tronchetto assegna all'Isola nuova il valore di porta di Venezia, e con tutta l'amarezza del momento sono ancora convinto che sia indispensabile creare qui una struttura che funzioni sia da centro direzionale, ma anche da centro di smistamento, di partenza e di porta per la città. Un'altra zona importante per la città è il Mulino Stucky alla Giudecca. Sono convinto che l'iniziativa di utilizzare questa struttura come centro congressi e alberghiero, sia una cosa eccellente per Venezia. Ho la storia del Mulino Stucky sul tavolo da quindici anni e ho sempre percepito la sua rivitalizzazione strettamente legata alla funzionalità del Tronchetto.

Ma forse, anche rispetto all'isola della Giudecca. E' di questi giorni' la presentazione del «Progetto Giudecca», da parte dell'amministrazione comunale, dove l'aspetto metodologico sembra essere l'elemento innovativo sia per la politica urbana, sia per le scelte puntuali riguardanti l'isola. Un pool operativo, trasversale ai variuffici comunali coinvolti, dovrebbe infatti svolgere un lavoro di coordinamento di tutti gli interventi pubblici e privati che riguardano la Giudecca.

E' chiaro che Tronchetto, Mulino Stucky e Arsenale sono i grandi progetti di Venezia, ed è altrettanto vero che la Giudecca e il Mulino vanno considerati insieme. Mentre, forse è leggermente diversa la posizione del Tronchetto rispetto all'Arsenale: ma il discorso si sposterebbe su un piano diverso. Però è evidente che purtroppo, da quindici anni e forse più, questi progetti sono stati alla luce dei fatti una realtà di «cíacole» veneziane. Mi auguro che non restino ancora a lungo in questo modo, ma sono un po' critico sulle reali possibilità di debellare l'immobilismo della politica veneziana. Bisognerebbe mettere in dubbio anche la nuova normativa di elezione del sindaco, perché in realtà, a un anno di distanza dall'elezione uninominale, in consiglio comunale, il sindaco è di una debolezza spaventosa. La maggioranza non è più una maggioranza perché ha l'opposizione all'interno. Per questo mi domando: a cosa è servito nominare il síndaco con le elezioni dirette se quest'uffirno non ha potere e non ha i mezzi per portare avanti determinati progetti?Mi pare che il sindaco Massimo Cacciari abbia sempre condiviso e appoggiato pubblicamente i progetti sia il Tronchetto e sia lo Stucky, ma ho l'impressione che al di là della buona volontà, ci siano delle immense difficoltà all'interno dell'amministrazione comunale.

Queste difficoltà sono di carattere esclusivamente politico oppure derivano anche da un modello Culturale, di percezione della città come di uno spazio da conservare a tutti' i costi, dove i problemi della tutela ambientale e dello sviluppo economico sembrano separati da una demarcazione insanabie?

Page 48: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Non saprei cosa rispondere. Probabilmente hanno un'origine culturale, o meglio di non cultura, che vuol dire ignoranza. Per qualcuno, questo atteggiamento si traduce, poi, in un'opposízione a tutto e al contrario di tutto. Trovo assurdo che Venezia debba essere condannata all'immobilismo assoluto.La questione ambientale non capisco se sia percepita in modo razionale, oggettivo, o se sia strumentalizzata a conservare una situazione statíca. Tuttavia l'opinione pubblica si sta rendendo conto che, in realtà, non si può campare opponendosi a priori a qualsiasi iniziativa progettuale su Venezia. Si sta rendendo conto che è un atteggia-mento che conduce allo stremo, mentre il destino della città non pare più così roseo.Il destino di Venezia? 0 diventa proprietà esclusiva degli abusivi, dei venditori ambulanti e dei gondolieri; oppure ríconquista a lustro che ha sempre avuto, sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista economico. Coloro che detengono oggi le regole del sistema economico della città e gestiscono anche l'unica fonte di ricchezza della città insulare, il turismo, sono anche coloro che non assegnano alcun valore alla cultura.E' mai possibile che Venezia (e il suo turismo) sia retta solo da queste entità e da queste forze? Come giustificare il mancato investimento su forme di turismo moderne?

Il persistere di un turismo omologato e omologante, con il conseguente monopolio economico degli operatori del settore che ne deriva, che impatto ba sulla composizione sociale?

Elevatissimo. La maggior parte degli abitanti rimasti nel centro storico sono turisti- dipendenti mentre se si sviluppassero attività economiche alternative, Venezia potrebbe campare in maniera diversa. Oserei quasi dire che anche alcuni professionisti riescono a lavorare solo, o perché ci sono beghe legate al settore del turismo, o perché lavorano solo ed esclusivamente per il turismo. Un architetto a Venezia, oggi come oggi, si limita principalmente a rimodernare qualche negozio, a riorganizzare qualche abitazione, ma sono tutte occasioni legate al turismo. Inoltre, numericamente, le occasioni del settore commerciale sono anche poche, perché il mercato ímmobíliare è in mano prevalentemente a persone con basso livello culturale che difficilmente investono sull'immagine del negozio.Un giorno chiesi a un barista: «Perché non rinnoví il locale che èvecchio, sporco, e non valorizzi la posizione stupenda che hai?». Mi rispose meravigliato: «Mica sono matto! 1 turisti qua vengono e consumano ugualmente! Per quale ragione dovrei spendere un centinaío di milioni per rinnovare il locale?». E tutto questo me lo diceva in dialetto veneziano.

Qual è il ruolo dei mass media, dell'informazione, nel processo di costruzione e consolidamento delle immagini stereotipate di Venezia, luogo della decadenza e luogo della Dominante? Possono avere un ruolo nel cambiamento di queste idee, legate alla città mito, alla città simulacro ... ?

Non credo che i mass media possano modificare il codice di lettura della città in modo sostanziale, né penso che abbiano molte possibilità oggettive di influenzare il meccanismo ínterpretativo in modo duraturo. Occorrono segnali di organizzazione del turismo strutturato in maniera diversa.

Quali sono i soggetti che dovrebbero emettere questi segnali?

Anche l'industria privata. Ho sempre sognato di potere istituire, e ne parlavo già più di dieci anni fa, una sorta di chiave della città, una «Carta Venezia», che verrebbe consegnata al turista al suo arrivo al Tronchetto o a piazzale Roma, a seconda di quale dei due accessi costituirà la porta alla città. Questa carta consentirebbe di accedere a qualsiasi servizio turistico, come se si trattasse di una «carta di credito Venezia», con la quale salire sul vaporetto, fare shopping in centro, visitare musei, pagare il conto all'hotel, al ristorante... Il tutto garantito da un sistema di servizi organizzato, controllato e calibrato in base alle esigenze e alle possibilità del singolo turista.Questa sarebbe anche una forma di privatizzazione e un'organizzazione diversa del turismo per generare un nuovo modo di vivere la città, non solo da parte dei turisti ma anche degli operatori, modificare il sistema di relazioni tra gli attori, e tra questi e i turisti. E' innegabile che oggi il turista sia anche vittima di un concetto generalizzato, o quasi, tra gli operatori turistici, che fanno affidamento sulla probabilità che almeno una volta nella vita la stragrande maggioran-za degli abitanti del mondo possa venire a Venezia. Un simile ragionamento, così poco lungimirante, crede di poter bastare a se stesso per garantire alla città un flusso turistico costante. Flusso che e gia in calo almeno per quanto riguarda, misura e statistiche alla mano, gli arrivi in automobile o in pullman a Venezia. Anche quest'anno la flessione è salita del 20% rispetto all'anno passato e la causa è da ricercarsi proprio nella maggior accortezza prestata dal turista a non farsi turlupinare.In pratica cosa è successo? La gente è prevenuta. Arriva a Venezia con il pranzo al sacco e per mangiare si accontenta di buon grado dei gradini di piazza San Marco e della compagnia dei piccioni... Con il lustro e con la storia che vanta Venezia, è accettabile assistere ogni giorno a questo spettacolo così increscíoso? Quest'estate, ad agosto, ero a Venezia in piazza San Marco e sono rimasto disgustato dall'osservare come la gente bivaccasse in piazza, quasi in costume da bagno o in pantaloncíni sportivi e canottiera. Si comportavano come se fossero in spiaggia e non nella piazza centrale di una città.Ma come è possibile accettare un livello di turismo ridotto così in basso? Non c'è stata e manca tuttora una politica e una struttura turistica seria, organizzata, con livelli qualítatívi adeguati.

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Per quanto riguarda la localizzazione delle attività terzíaríe, il modello Venezia-Mestre non sembra ricalcare quello «classico», centro-periferia, ma piuttosto quello di una diversa specializzazione funzionale. Ricerche sul settore banno verificato che le attività del terziario tradizionale (studi tecnici, assistenza legale, commerciale ... ) tendono a localizzarsi nella città insulare per la prevalenza di uffici amministrativi regionali, di operatori turistici nazionali e culturali internazionali, mentre le attività più moderne, che richiedono ampi' spazi, interrelazione diretta tra gli operatori, vicinanza alle infrastrutture e alle industrie (uffici marketing, agenzie pubblicitarie, studi di consulenza aziendale ... ) si strutturano sulla terraferma.Secondo lei, la compresenza a Venezia di una molteplicità di spazi funzionali, a cui corrispondono i tre diversilivelli, può essere un incentivo allo sviluppo?

Attualmente poco. All'inizío della nostra conversazione, ho accennato alle difficoltà incontrate per portare a Venezia il terziario, quello interregionale, avanzato, che si struttura con collegamenti a rete territoriali. Il problema di creare spazi adeguati alle diverse e nuove attività è reale. In questa città si agisce indipendentemente dalle sue potenzialità, da ciò che esiste o quello che potrebbe esistere. Venezia rischia sempre più di essere un nome avvolto da un alone di magia, un nome magico, un spazio che tutti vorrebbero poter visitare almeno una volta, ma non un luogo da vivere tutto l'anno. Inoltre anche la sua magia, a mio avviso, si sta dissolvendo perché il comportamento degli operatori di Venezia, incluso quello degli amministratori, purtroppo non ha alla base una strategia solida di sviluppo.Come possiamo pensare di instaurare a Venezia un terziario avaqzato quando non si consente la realizzazione degli spazi necessari? E un cane che si morde la coda.

Un'altra considerazione emersa da studi e ricerche. A Venezia, il livello dei' servizi' al flusso internazionale di arrivi' e partenze (non solo turistiche), a fronte di un buon aumento percentuale annuo che si attesta sul 20% per il traffico aeroportuale e sul 9% per il traffico croceristico marittimo, non ha subito miglioramenti' paralleli consistenti'.Cosa manca al sistema d'accoglienza veneziano?

Un livello minimo di standard. Quando un viaggiatore arriva in stazione ferroviaria, all'aeroporto, o al porto, cosa trova? Il sistema d'accoglienza può risultare un po' organizzato nel settore alberghiero, dove in pratica è charterizzato: dall'aeroporto la persona viene trasferita in hotel con un servizio di trasporto privato. Ma dopo? Di quale altro servizio può usufruire il turista? t sostanzialmente in balia di quelli che incontra per strada, nelle calli, in piazza, che non guardano certo a mantenere alta la reputazione di Venezia, ma pensano solo a guadagnare il più possibile nel più breve tempo possibile.Venezia ha un sistema d'accoglienza dove prevale lo spontaneismo; non si può parlare di sistema organizzato «industrialmente».

Lente locale ha il potere di prendere decisioni autonome, oppure ècondizionato da altrilivelli, ad esempio quello nazionale o internazionale?

Secondo me, non ha un potere d'autonomia reale. I vincoli dettati dalle normative nazionali vanno rispettati, come quelli in materia di beni ambientali; ma, a livello locale, non vengono sfruttate le possibilità offerte dalle normative riguardanti la conservazione dei monumenti, che richiedono giustamente il rispetto dell'opera architettonica. In teoria sono consentití i lavori di ripristino e di restauro, senza sostanzialmente alterare il tessuto architettonico e monumen-tale dei monumenti storici, ma in realtà non si riesce a fare nulla. Sono convinto che molte volte si confonda la nozione di monumento nazionale con quella di edificio, costruzione. Direi che a Venezia episodi simili siano innumerevoli.

Secondo lei, quale modello di sviluppo intendeva favorire l'Expo? Centralismo, di Venezia, policentriSmo regionale o altro?

Secondo me, proprio per posizione, Venezia non è centrale. Il tentativo di organizzare l'Expo per il Duemila l'ha dimostrato. è stata un'iniziativa mal presentata, e quindi resa debole e attaccabile. Il suo abbandono è stato inevitabile perché tutti pensavano, così come era stata presentata, che fosse Venezia il cuore dell'esposizione Duemila, senza pensare che invece Venezia era semplicemente il nome magico. Era A nome di richiamo, quello che avrebbe fatto funzionare l'aeroporto di Venezia ma, poi in pratica, l'esposizione era dislocata a livello regionale, da Treviso a Padova, Vicenza, Verona, per estenderla poi a Udíne o Trieste. lo l'ho sempre interpretata in questo modo e sostenuta in questo modo. E' chiaro che se la proposta dell'Expo avesse scelto Padova, con tutto il rispetto che ho per quest'ultíma, il significato sarebbe stato completamente diverso. Uimpatto comunicativo di Venezia nel mondo ha tutt'altro spessore. Ma si è persa una grossa opportunità, anche per ottenere finanziamenti, per riportare Venezia a essere la bella signora che è sempre stata e che dovrebbe essere ancora.Era interessante l'idea di Renzo Piano che diceva «costituiamo il magnete all'aeroporto di Venezía». Era chiaro che all'aeroporto si assegnava solo il ruolo di centro di smistamento; tutto il resto veniva distribuito sul territorio regionale e oltre.L'Expo poteva essere l'occasione anche per rimpostare il sistema turistico veneziano, perché un simile flusso verso la città insulare si sarebbe comunque originato e quindi andava previsto, organizzato, regolamentato.

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L:aeroporto come magnete, richiedeva forse anche un giudizio sult'ipotesi di un secondo asse urbano di collegamento tra Venezia, Tessera, Arsenale e Murano. Richiesta di giudizio che ritorna adesso per l'isola della Giudecca, pensata come il «naturale» punto di arrivo del' terminal di Fusina e Punta Sabbíonì Entrambe le ipotesi hanno un obiettivo in comune: il riequilibrio del sistema degli accessi dalla terraferma.

I progetti possono essere innumerevoli, si trattava di lavorare sulla progettazione. Il secondo asse, probabilmente, poteva essere un impulso notevole alla ristrutturazione definitiva dell'Arsenale. La storia aveva sempre assegnato al complesso arsenalizio un ruolo preminente nell'economía urbana, e anche nel progetto Expo era uno degli spazi indispensabili. Però Arsenale, non come esposizione, ma come spazio produttivo in parte, commerciale e ricettivo. Poteva essere questo o probabilmente mille altre soluzioni.

Rispetto al problema del rilancio di Venezia in un sistema territoriale allargato, quanto pesa il consenso dei cittadini?

Non so quanto possa veramente contare il consenso dei cittadini di Venezia, anche perché forse bisognerebbe domandarsi prima di tutto «chi sono oggi gli abitanti di Venezia?». Uesodo dalla città storica è continuo. Inoltre ho la netta sensazione, seppur personale, che attualmente chi è rimasto a Venezia è, per lo più legato a quel turismo di cui parlavamo prima, in un modo o nell'altro. Quindi non so quanto senso di appartenenza ci sia rispetto al luogo, quanto interesse per un futuro della città diverso.

Una confusa progettualità socio-economica può essere indice della debolezza della struttura sociale. La quantità impressionante di progettiper il rilancio del ruolo complessivo della città, può essere un esempio. Per ovviare aipericoli di una struttura sociale debole, si potrebbe pensare a un'estensione del concetto di cittadino: non solo colui che abita stabilmente a Venezia, ma anche coluiche la usa per affari, per lavoro, per convegni, per studio... Pensare a un nuovo tipo di composizione sociale?

Questo è un passo indispensabile ma, ancora una volta, partiamo da necessità «terra terra»: bisogna dare a questo nuovo cittadino la casa.Un altro mio sogno è la ristrutturazione e utilizzazione delle isole di Venezia, o di alcune, per localizzare strutture internazionali, ma che siano strutture veramente operative. Una mia fantasia e per esempio quella di riuscire a organizzare a Sacca Sessola, ex ospedale, un centro ricerche contro l'Aids piuttosto che contro la sclerosi multipla, o altre cose da cui il mondo è interessato, e poter localizzare organismi mondiali, come ad esempio l'Organismo mondiale della sanità. Per Sacca Sessola significherebbe un qualche centinaio di ricercatorí residenti, naturalmente di varie nazionalità, che contribuirebbe a diversificare la composizione sociale della città. La loro presenza determinerebbe una domanda di servizi e, quindi, posti di lavoro indotto nell'ambito veneziano.Ovviamente, in questa prospettiva non è possibile attendere dieci anni per una concessione edilizia per ristrutturare gli appartamenti, realizzare servizi alla residenza... Quindi prima di tutto è necessario riconsegnare le case ai veneziani, ma è altrettanto necessario creare strutture residenziali per persone esterne. Inoltre, i ricercatori essendo retribuiti da organismi internazionali, e quindi con reddito di alto livello, vivendo a Venezia spenderebbero parte delle loro retri-buzioni in città. E questo non da turisti, ma da cittadini che vivono un tessuto sociale, apportano e creano un'economia interna. Il loro lavoro non è produttivo nel senso tradizionale del termine, ma costituírebbe il volano per altre attività anche produttive.In questo si potrebbe levare Venezia dalla dipendenza esclusiva del turismo e, solo allora, cominciare ad allargare le maglie e studiare altre forme e altre soluzioni che integrino sempre di più sviluppo economico e sviluppo sociale.

Un nuovo modo di pensare Venezia, un nuovo modo di vivere Venezia, un nuovo gruppo di residentí possono creare nuova ricchezza. Che significato dà al termine «rícchezza»?

E innanzítutto ricchezza di capacità umane e il rinnovamento va considerato in questo senso. Però bisogna creare le strutture ricettive, possibilmente a livello internazionale, strutture produttive o per lo meno di ricerca, di studio, che creino un indotto economico diverso da quello che è l'indotto turismo.

Abitare a Venezia: va esteso solo alle isole, o anche alla terraferma, per esempio a Marghera? t possibile in un prossimo futuro?

Molto più difficile. Marghera la considero, attualmente, una zona industriale poco vivibile... E poi, primariamente, bisogna risolvere il problema della città storica che ha molte aree vuote e troppe case disabítate. Cento anni fa a Venezia c'erano 250 mila abitanti, oggi, tolti i 25-30 mila abitanti del Lido, Venezia è al di sotto dei 50 mila abitanti: quindi, mi pare che il patrimonio immobiliare per ospitare nuovi residenti, o nuovi cittadini ci sia.

Quindi lei, come imprenditore, ci penserebbe due volte prima di investire a Marghera?

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Per rispondere a questa domanda, sposto il ragionamento in un'altra città per essere in posizione asettica. Qui a Padova, proprio dove sorge ora l'edfficio che ci ospita, fintantoché c'era la Snia Viscosa, con tutti gli odori sgradevoli che creavano le lavorazioni industriali, nessuno viveva in questa zona. Oggi che non c'è più la Snia Viscosa, è sorto un tessuto urbano diverso con il suo centro direzionale e residenziale.Uesempio di Porto Marghera, ancora zona industriale, non è tra le posizioni più allettanti per un investimento soprattutto in rapporto a Venezia, dove caso particolare - che non ha riscontro a Padova -il centro storico è vuoto. Quindi secondo me, dato che tutti preferiscono abitare in centro piuttosto che in periferia, questo al di là dell'aspetto industriale, è meglio investire prima a Venezia, poi in terraferma.

Investire a Marghera presume il passaggio da zona industriale a parco tecnologico-scientifico, o a qualsiasi altra attività di terziario avanzato o quartario che alzi il livello di vivibílítà del luogo, di appetibilità per gli investimenti e diversifichi anche la base sociale.

Non penso che Marghera riesca a modificare la sua natura in poco tempo. Potrebbe anche riuscire a smobilitare gli impianti industriali, ma prima è necessario che vengano ristabilite condizioni di vivibilità migliori. Ma dubito che, oggi come oggi, questo sia possibile: è più semplice costruire abitazioni che non spostare industrie.Uindustría, giusta o sbagliata che sia, è ubícata li, e al momento èancora radicata.

Dal punto di vista imprenditoriale, è rilevante che siano industrie a carattere prevalentemente pubblico?

Non lo leggo in questi termini. Marghera è industriale: pubblica o privata, media, piccola o grande, è solo un dettaglio.

E' innegabile, però, che un processo di riconversione dell'attuale sistema di produzione e di consumo ancorato al modello fordista sia ormai urgente e necessario. Lavvenuta mondializzazione dell'economia e della tecnologia richiede un diverso metodo di orientamento e di approccio al mercato, divenuto globale. In quest'ottica, secondo lei, Venezia con chi dovrebbe competere e su quali campi?

Questa è una domanda difficilissima. Venezia è però unica al mondo ed è particolare: non deve competere con nessuno perché èVenezia. Personalmente la considero la città più bella del mondo, ma questo mio sentimento d'amore non si traduce in un conservatorismo a oltranza. Ritengo che la città abbia bisogno di una spinta che1

non sia produttiva, industriale, proprio perché Venezia non puo competere sul piano industriale. Venezia ha necessità di insediamenti che consentano un'economia nel terziario, settore compatibile con l'ambiente e con i problemi di salvaguardia e, quindi, con la città storica.

Il tema «privatizzare Yenezia» può sembrare una provocazione, ma consente difocalizzare una questione molto importante per iljuturo di Venezia: è possibile una convergenza fra imprenditorialità e produzione di socialítà? 0 meglio, un'azione imprenditoriale può alimentare la dinamica sociale e locale, pur mantenendo come obiettivo il soddisfacimento di un interesse economico privato?

E un'ípotesí di lavoro bellissima, ma nella situazione attuale, mi sembra anche un'utopia. Probabilmente se cambiassero i modi di gestire Venezia, anche dal punto di vista dell'amministrazione pubblica, potrebbe anche diventare realtà. Ma oggi come oggi, è un'utopia perché a Venezia qualunque cosa venga detta o prospettata a livello di progetto viene criticata, bocciata. Venezia dovrebbe cambiare mentalità e quindi modo di agire, di programmare il proprio futuro, perché attualmente non ha progettualità, nel senso che non riesce a passare dalla fase delle idee a quella della realizzazione.I problemi della città non si risolvono con la bacchetta magica, ma con il buon senso e con la possibilità di prendere delle decisioni. E sindaco Massimo Caccíarí ha eccellenti idee, vede chiaramente il degrado di Venezia, cerca di operare dei cambiamenti ma ha le mani legate perché ha l'opposizione all'interno della cosiddetta maggioranza e lui da solo non può decidere - e non capisco perché...

In questa prospettiva di sviluppo, esistono modelli, passati o presenti, per ilprogettista-imprenditore a cuifar riferimento? Lesperienza imprenditoriale di Adriano 0/ivettí negli anni trenta a Ivrea, definita «repubblica delle lettere e della pace sociale» per il rapporto instauratosi fra cultura, economia e socialità può insegnare qualcosa?

Qualunque modello, oggi a Venezia, non avendo la possibilità di insediarsi, non solo presenta dei limiti oggettivi ma ha l'impossibilità di essere operativo. Non è un problema di modello: qualunque cosa a Venezia diventa un problema. Non si decide nulla, non si può fare niente. Quindi è fondamentale dare a Venezia una struttura che possa consentire un cambio di mentalità riguardo la progettualità in generale.

Padova, 1 dicembre 1994

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6) IL PROGETTISTA IMPRENDITORE DELL'AREA DEI SAPERI

6.1) CENTRO STUDI SAN SALVADOR - TELECOM ITALIA - GIANFRANCO BRUNI PRATO

Telecom Italia: può accennare brevemente come è nata l'azienda e con quale obiettiVo?

Telecom Italia è nata dalla fusione per íncorporazione nella Síp delle società telefoniche preesistenti, compresa l'Azienda di stato dei servizi telefonici che era passata all'Irí. Gli obiettivi principali sono gestire in modo unitario le reti delle telecomunicazioni in Italia e acquisire una maggior capacità competitiva sui mercati internazionali ottimizzando le risorse tecnologíche, umane e finanziarie. è in atto un processo di globalizzazione dell'economia, di forte cambiamento nella logica di erogazione dei servizi che passano, in generale in tutti i paesi del mondo, da una logica molto protetta e monopolìstica a una logica privatistica in termini di proprietà e di azionariato, competítíva e orientata alla diffusione del servizio universale del telefono; operazione assolutamente necessaria per consentire all'Italía di stare più efficacemente sul mercato interno ed esterno.

La chiesa e il convento di San Salvador, che dal 1925 ospitano la sede della telefonia veneziana, costituiscono il centro simbolico della città in quanto il complesso architettonico è stato costruito volutamente «in mezzo della città» rinascimentale o meglio «in visceribus urbis». All'epoca per la città significava anche segnare il centro di una rete di relazioni, scambi' commerciali, saperi, conoscenze.Attualmente come si inserisce il Centro studi San Salvador nella politica di Telecom Italia?

Il Centro era stato concepito prima della fusione Telecorn/Sip ed è nato per effetto di una conversione di vincoli in opportunità. A Venezia lo sviluppo ímpiantistico della Telecom era vincolato dalla concentrazione di tutti gli impianti in questo convento, annesso alla chiesa di San Salvador, ma all'inizio degli anni ottanta la Soprintendenza alle belle arti molto correttamente indicò come non proseguibile l'occupazione di spazi architettonici pregiati con impianti industriali. Di qui la decisione aziendale di convertire in elettronici tutti gli impianti elettromeccanici di Venezia consentendo un risparmio di spazio in un rapporto di circa tre a uno e il recupero architettoníco del convento. La società non intendeva però destinare questo stabile a uffici perché la realtà aziendale era quella di collocare tutti gli uffici a Mestre e quindi rilevò l'esigenza di approfondire a favore di Telecom lo studio dell'economia delle telecomunicazioni e le loro future applicazioni grazie alla forte evoluzione tecnologica che si andava profilando già alla fine degli anni ottanta, l'analisi dei comportamenti sociali e delle modalità di comportamento umano di singoli e collettivo, nonché economici del tessuto produttivo, rispetto alla possibile evoluzione dell'offerta di servizi di telecomunicazioni o meglio di telematica. Oggi infatti l'evoluzione va in questa direzione ed èpiù corretto parlare di un'offerta integrata tra informatica, telecomu-nicazioni e televisione.Uesigenza di studiare l'evoluzione e l'applicazione di questi servizi e l'ipotesi di considerare Venezia come «città dell'informazione», città dell'applicazione software piuttosto che hardware, ha indotto la società a investire risorse umane e finanziarie nel campo della ricerca attivando il Centro studi San Salvador, come supporto non solo di Te-lecom ma anche del gruppo Stet. Il Centro studi è nato nell'aprile 1994 non senza qualche difficoltà iniziale anche organizzativa, ma ha già promosso un convegno internazionale sulla multímedíalítà, cioè sull'interattivítà tra il fruitore del servizio di rete e le macchine remote nella trasmissione di segnali video a più o meno alta definizione, infor-mazioni, interrogazioni di dati base, e le possibili applicazioni di varia natura, per esempio nella didattica, nei servizi finanziari, negli acquisti, nella sanità, nei servizi informativi in genere.

Einvestimento di Telecom su Venezia va letto come una scelta di natura esclusivamente imprenditoriale o esistono delle convergenze anche rispetto ad una strategia di sviluppo complessivo della città in un contesto territoriale nuovo?

Credo che ci siano delle convergenze sul doppio aspetto. Certamente il gruppo Stet, e con esso l'azienda Telecom, aveva l'esigenza di potenziare le proprie capacità di conoscenza, costruire un luogo di confronto e di acquisizione d'informazioni, un punto di scambio tra centri culturali e centri tecnici, un centro di ricerche economiche, sociali... Questa era comunque un'esigenza avvertita e la collocazione «Venezia» si è concretizzata sia per la disponibilità di questo spazio architettonico molto pregiato sia per il fatto che Venezia èVenezia.

Telecom sta attuando una politica di potenziamento della sede veneziana rispetto a quella triestina: rispetto al Nord-Est è una scelta dettata da quali logiche?

Non ha nessun collegamento con il Centro studi ma con l'evoluzione dell'organizzazione aziendale attivata già nel 1991 con una profonda riforma, mentre un'altra è in corso dall'anno scorso. Uobiettivo imprenditoriale è creare un'azíenda molto divisíonalizzata, molto segmentata per cliente o per servizio, proprio per essere più competitivi, per costruire un rapporto più positivo con la clientela, politica che ha determinato spostamenti di personale dalla sede giu-liana a quella veneta e la ríallocazione delle responsabilità. Il Centro studi, Trieste, Venezia, sono comunque fatti

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separati, mentre rispetto al Nord-Est la città veneta è sicuramente un punto di riferimento centrale piuttosto che altre città, Trieste compresa.

Il Centro studi San Salvador studia con diverse focalizzazioni il trend economico e produttivo mondiale, europeo e nazionale e in queste analisi utilizza e confronta una serie di indící di rilevamento. Tra quest'ultimì la presenza di un sistema bancario dinamico forse è un indice importante per valutare le capacità di reazione di un territorio a momenti di crisi o di opportunità, non solo economiche. Secondo lei, come si rapporta con una possibile strategia di sviluppo e di rilancio urbano l'esodo di molti istituti bancari da Venezia verso il territorio regionale?

Il Centro studi non ha l'obiettivo di incidere o di orientare la politica degli insediamenti industriali e produttivi nel Veneto piuttosto che a Venezia, ma di verificare il rapporto di collegamento tra le telecomunicazioni e i mondi produttivi, economico- sociali in generale, trovando le ragioni delle connessioni, analizzando le condizioni delle ottímízzazioní o delle disottimizzazioni e le ragioni di questi fattori. Oggi, in generale, un'efficace struttura di telecomunicazioni agevola l'indifferenza rispetto alla collocazione territoriale degli insediamenti industriali ed è evidente come le telecomunicazioni avanzate siano sostanzialmente un servizio sostitutivo di molti altri servizi (dei trasporti, del trasferimento merci ... ) e in questo agevolano l'annullamento del rapporto spazíale per quanto riguarda sia la collocazione degli insediamenti urbani, residenziali sia quelli economico produttívi.Le focalizzazioni su cui intende fermarsi il Centro San Salvador sono essenzialmente tre.La prima è il rapporto e l'evoluzione dell'econornia in generale e delle globalizzazioni, il rapporto tra economia in senso lato e economia delle telecomunicazioni, le condizioni defl'offerta di telecomunicazíoni in connesione con i costi della produzione dei servizi, l'evoluzione dei mercati e lo sviluppo di condizioni competitive, nonché i fattori che ne determinano il successo o meno con riferimento agli aspetti economici, il rapporto tra i grandi potentatí e le possibili evoluzioní di quest'ultími rispetto alla gestione delle telecomunicazioni. Ci si sta spostando sempre di più verso reti proprietarie, esistono cioè grandi associazioni di capitali che costruiscono grandi reti proprietarie all'interno delle quali si sviluppa un'offerta molto ramificata nel mondo, a differenza del dato di partenza dove la rete integrata è condivisa in termini di proprietà da tutti. Esiste questo grosso movimento che interessa il mondo del capitale, della tecnologia, dell'offerta e della competizione. Tutto ciò non senza analizzare anche l'incídenza delle regole dell'economia e dell'offerta e la loro contribuzíone a sviluppare condizioni di successo in alcuni paesi rispetto ad altri, realizzare condizioni di mercato puro, mercato regolato, mercato fortemente orientato alla penalizzazione dei cosíddettí soggetti dominanti, mercato indifferente alla costituzione di soggetti dominati... Questa è un'area di studio molto importante.Il secondo tema riguarda le grandi evoluzioni della tecnologia. Oggi è possibile integrare tutte le applicazioni informatiche, che vanno dai sistemi esperti ai sistemi intelligentí, alle sintesi vocali, alle realtà virtuali... e che configurano un'offerta di servizi assolutamente innovativi. Anche in questo contesto c'è da analizzare la sostenibilítà e la praticabilità di uno sviluppo di mercato coerente con lo sviluppo della tecnologia, tenendo conto che quest'ultima mette a disposizione servizi estremamente evoluti e ha bisogno di un mercato di assorbimento con capacità di spesa. Ci si interroga su quali siano le condizioní, le aree e le possibili previsioni dello sviluppo di questo mercato sia in un contesto globale sia europeo, ma anche in generale sulla logica della cooperazione- competizione, la compatibilità e la convivenza tra queste due logiche nel mercato complessivo... In sostanza si ipotizzano scenari di sviluppo dell'offerta.La terza tematica è la costruzione di una serie di modelli appoggiati sull'analisi dei comportamenti dei soggetti economico-produttivi ma anche umani e la loro reazione economica rispetto a questa evoluzione, e quindi le alterazioni della capacità d'acquisto, la razionalizzazione dei processi produttivi delle imprese ma anche i cambiamenti sociali. L'obiettivo è anche quello di analizzare i problemi che questa società defl'informazione integrata, dell'integrazíone dei mezzi di comunicazione, potrebbe determinare in un contesto privo di regole, o di quali regole, condizionamenti, orientamenti, avrebbe bisogno e quali siano le possibili evoluzioni di quest'ultimi.

Il progetto del centro direzionale all'isola del Trochetto Prevedeva una quota di spazi da riservare agli uffici della Sip, ma recentemente la Telecom non ha prorogato il contratto. Quale poteva essere il valore aggiunto di questa scelta se concretizzata?

Il progetto è stato abbandona , to per la lentezza con cui ci sono state date le risposte. Lo avevo ereditato da un mio predecessore nel 1984 e in effetti ora la società la considera una cosa chiusa senza la possibilità di rientrare in questa direzione. Penso che una simile occasione perduta vada ad aggiungersi alle altre. Ricordo che a metà degli anni ottanta quando dirigevo le telecomunicazioni del Veneto, avevo prospettato agli organi di governo della città e della regione quale poteva essere il valore di questo progetto per Venezia, ossia portare quasi duemila persone con livello culturale e di reddito superiori alla media cittadina in prossimità della «testa di ponte». Inoltre si costruiva un'opportunità di ripopolamento per Venezia, non di grandissima dimensione ma piuttosto interessante in quanto si offrivano almeno ottocento posti di lavoro con un indotto su moltissimi settori, anche in quello residenziale. Il contratto per la realizzazione di spazi direzionali al Tronchetto non è stato prorogato in quanto data la fase di riassetto in cui si trova l'azienda era assolutamente necessarío avere delle certezze per affrontare la pianificazione logistíca e territoriale, anche in riferimento al quadro di competitivítà che caratterizza il mercato delle telecomunicazioni. Le esigenze sono state soddisfatte investendo sulla terraferma, a Mestre, Mogliano, Marcon ...

Page 54: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Se il trend demografico negativo di Venezia può frenare la nascita di tradizionali condizioni favorevoli allo sviluppo, nella «società dell'informazione» le telecomunicazioni possono offrire nel campo dei servizi certamente nuove opportunità raggiungendo un'utenza sempre più vasta e diversificata. Sebbene attualmente solo il 15% degli italiani possieda un personal computer e quindi non è possibile parlare di un servizio telematico di massa ma di nicchia, quali sono le indicazioni' emerse dalle ricerche del Centro San Salvador su Venezia?

In via generale, una buona dotazione di sistemi di telecomunicazione potrebbe aiutare Venezia a inserirsi in un contesto di «società dell'informazione». Tra le altre cose, la città lagunare è stata inserita nel progetto di ammodernamento che la Telecom sta portando avanti e uno dei vicoli per l'erogazíone dei servizi molto avanzati è la capacità trasmissiva del cosiddetto «ultimo miglio», cioè dell'ultimo pezzettino di rame che collega l'abbonato al sistema complessivo. Venezia, insieme a Milano, Brescia, Bologna, Torino, Roma, Palermo e altre città (complessivamente sono quattordici) è stata inserita nel numero delle prime città su cui operare le operazioni d'ammodernamento, che tra l'altro è molto costoso. Questo consentirebbe di portare una serie di servizi anche anticipatamente rispetto al contesto delle altre città, ma sono convinto che il problema di Venezia, della progressiva perdita di popolazione e di molte iniziative economiche, non è legato al settore delle telecomunicazioni.

Secondo lei, da dove deriva il problema di Venezia?

Dai veneziani. Sono torinese ma ho abitato a Venezia in diversi periodi e amo questa città come il luogo dove più felicemente posso vivere. Nel 1965, anno in cui l'ho conosciuta, aveva 150 mila abitanti ma l'ho vista decadere progressivamente e se dovessi dire perché la città degrada risponderei: «Perché i veneziani non sono capaci di progettare il proprio futuro». E la cosa ancor più tragica è che non lo vogliono neanche mettere in discussione.

Cosa significa progettare il proprio futuro? è un processo individuale o anche collettivo? Sabíno Acquaviva nel suo Progettare la felicità afferma che imutamentitecnico scientifici consentono di ripensare i progetti anche politicamente: possono migliorare l'organizzazione dei rapportisociali perché consentono a un numero crescente di individui di lavorare in uno spazio meno ristretto e meno vincolante. «Insomma, le condizioniumane del lavoro diventano potenzialmente più flessibili e quindi progettare per il benessere, anche psicologico, diventa più agevole ... ».

Ci sono strumenti di telecomunicazioni che possono aiutare più delle telecomunicazioni stesse. Sono strumenti d'informatica, intesi come tecnica e non come cultura, che consentono di discutere in modo più realistico come adattare la propria città ai cambiamenti. A Seattle, una città ai confini tra l'America e il Canada e con oltre tre milioni di abitanti, per intenderci la città di Bill Gates proprietario della Microsoft, un grande spazio centrale del tessuto urbano era occupato da attività non pregiate, come magazzini, capannoni... Queste aree, se utilizzate diversamente, possono soddisfare le nuove esigenze di sviluppo della città e per capire quale strada percorrere, quale utilizzo farne, si è aperto un dibattito: un parco, un centro commerciale, un insediamento di grattacieli... Urbanisti, politici, amministratori, ambientalísti, rappresentanti delle strutture sociali ecc. si sono riuniti intorno a un tavolo e hanno discusso per costruirsi questo progetto. Le varie opzioni sono state simulate in realtà virtuale consentendo di passeggiare all'interno dei nuovi spazi progettati indossando il casco olografico, di vivere in realtà simulata le varie soluzioni e verificare immediatamente il grado di validità di ciascuna. Il tutto secondo la tradizione americana ma soprattutto di Seattle che èveramente la capitale dell'innovazíone, con l'obiettivo di vedere la città nella sua configurazione futura, tra cinquant'anni, o meglio di progettarla, criticarla e correggerla anticipatamente.Venezia e in generale i veneziani rifuggono dalla volontà di cambíare la città, di proiettarla nel futuro, tant'è che i progetti dei padri dell'architettura moderna come Louis Kahn, Le Corbusier e Frank Lloyd Wright, sono stati rifiutati per incapacità di concepire Venezia inserita nel Duemila e oltre. E' una città che vive assolutamente ripíegata su se stessa e gli ultimi progetti realizzati sono la Lista di Spagna, la sede della Cassa di Risparmio... progetti per altro non sempre felici. I veneziani non vogliono pensarsi in termini di proiezione nel futuro, preferiscono proiettarsi nella contemplazione del loro passato.Quindi a mio avviso, il primo dato critico di Venezia è questo. Né la popolazione stagionale della città (il milanese che compra la casa perché ama la città) né coloro che vengono per motivi di studio, affari, o per turismo, hanno impegno e voce sufficienti a modificare questa condizione negativa.

Cosa può svegliare Venezia?

Prima di tutto, la condivisione di un progetto unitario, la politica della città, perché non saranno le telecomunicazioni da sole a costruire un futuro per Venezia. Quest'ultime certamente non operano in senso contraddittorio rispetto a una politica progettuale per il futuro, anzi annullando le distanze e le difficoltà dei trasporti in termini culturali sono congeniali, ossia sono «software e non hardware». La città lagunare rifiuta l'hard mentre le telecomunicazioni sono soft, sono applicazioni, informazioni che viaggiano tra l'etere e la fibra ottica e quindi sono coerenti con una cultura dell'immatefiale e non del materiale.

Come giudica Pesperienza Expo: un'occasione progettuale non compresa, un progetto sbilanciato su alcuni fattori? ... Qual è la sua opinione?

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Depurando quell'ipotesi da tutte le possibili e probabili connotazioni negative che poteva avere in termini speculativi non in senso intellettuale, l'ho giudicata come una possibilità di costruire una progettazione ad altissimo livello e un progetto positivo per Venezia. In questo contesto la città poteva concentrare l'intelligenza del governo del sistema Nord-Est, evidentemente a determinate condizioni di supporto, infrastrutture, sviluppo, ma anche di materialità perché non si può isolare l'intelligenza o non ancora rispetto al contesto. Era un'ipotesi con una sua validità all'interno, a patto che fossero salvaguardate alcune condizioni fondanti la città. Per Venezia bísogna accettare una condizione di sviluppo che non ne alteri o lesioni il valore urbanistico, architettoníco, culturale, ma che allo stesso tempo inserisca la città in un contesto di produzioni e di compatibilità con le esigenze della vita odierna.L'Expo poteva essere un elemento all'interno di un progetto globale ben più importante: quello di costituire un triangolo aggregativo dei punti di produzione, cioè Treviso, Padova e Mestre, ottímizzando le capacità di produzione del sistema della piccola e media ítripresa (fattore vincente dell'economia veneta negli ultimi dieci anni) e costruendo una capitale dell'intelfigenza collocata a Venezia ma in un contesto depurato degli aspetti negativi della città. Tra questi andavano progettate soluzioni per l'assenza di un sistema di trasporto (che deve essere pensato in termini di subacqueo o di altro tipo), per il risanamento del sistema fognario e della laguna, per il bacino ídrogeologico che sta alle spalle di Venezia. E' ovvio però che se le connotazioni negative, l'esigenza della speculazione a breve, avessero lesionato la logica macro di progetto il rischio di realizzare un mostro era reale e quindi capisco le resistenze, le obiezioni, i dibattiti. Forse questa esigenza di progettualità poteva trovare spazio al di fuori del contesto Expo, dato che riguardava una configurazione strutturale della città sia come continuità di primato sia come realtà del NordEst per i prossimi quindici anni.Nel mio trasferimento da Torino, città dell'industria pesante, di produzione di beni, a Venezia ho vissuto personalmente negli anni sessanta il passaggio da una realtà economicamente evoluta, di occu~ pazione, a una realtà di disoccupazione, di civiltà agricola, di artigíanato povero, di assenza di imprese dove l'unica presenza era il mostro Marghera. Secondo me, dal fallimento di Marghera è nato il successo del Nord-Est, dove i capi operai e gli operai fuoriusciti dal polo industriale sono ritornati nei loro luoghi di origine, le campagne, e invece di ritornare contadini si sono trasformati in piccoli imprenditori e progressivamente hanno allargato il settore dell'imprese. Non so se questa sia una diagnosi corretta, ma è una mia impressione.

Nell'ultimo rapporto Censis si rileva che nonostante il Nord-Est abbia i più elevati livelli di sviluppo socio-economíco e industriale, ad essi corrispondono invece tassí di istruzione scolastica secondaria e superiore inferiori a quelli del Nord-Ovest e del Centro e talvolta, della stessa media nazionale. Il giudizio che emerge dal rapporto è che «sviluppo economico e produttivo non sono sempre correlati ad un equivalente sviluppo culturale delle risorse umane e che le maggioriopportunità occupazionali possono addirittura divenire concorrenziali con le opportunità scolastiche e jormative».

Questo dato potrebbe confermare quanto ho appena affermato.

Il mondo economico veneto si è sviluppato più su una base di iniziative che su un contesto culturale. Intorno alle grandi università americane, a Boston, nella Calífornia, nella Permsylvanía, nascono le imprese che costituiscono il prodotto dell'orientamento manageriale, pragmaticamente imprenditivo di quel sistema universitario, in generale. Uhumus è costituito da un pragmatismo e un orientamento al management e all'avventura imprenditoriale sostenuto anche, e molto diversamente dall'Italia, dal sistema bancario e creditizio che agevola intorno alle università gli insediamenti di produzione, come Paloalto. Forse Venezia e in generale il Veneto dovrebbe puntare su questo e ho l'impressione che la nuova generazione imprenditoriale, rispetto alla prima che ha attuato i cambiamenti nel Nord-Est, sia pronta a cogliere l'eredità. è importante però che capisca che il tempo dedicato alla progettazione del futuro anche a lungo termine non è mai tempo buttato.

E' necessario un rapporto più stretto fra mondo produttivo, università e ricerca.

Perfetto. Se si vuole sostenere uno sviluppo e la sua continuità, credo che uno dei fattori importanti sia il rafforzamento del collegamento tra mondo della ricerca, mondo dell'istruzíone, della cultura detto in senso molto lato, e mondo delle imprese. Probabilmente ènecessario rafforzare il convincimento che questa continuità è un fattore strategico di successo, intervenendo a livello di organismi di governo, di progettazione politica, economica, creditizia e quant'altro.

La legislazione speciale per Venezia è uno strumento che dagli anni settanta intende non frazionare le competenze sugli interventi di difesa dal mare, sui problemi dell'inquinamento idrico e atmosferico, di degrado socio-economico, ma nonostante i consistentifondi convogliati sulla città la progettualità pare ancora frammentata. Forse manca un'o-peratività effettiva della ricerca e forse per alcuni passaggi' sarebbe opportuno velocizzare i tempi.

Penso che sia una considerazione molto vera, molto giusta e molto importante. Forse del concetto di ricerca impera un concetto che può essere sintetizzato così: «finanziare un'intelligenza che pensi ma, riguardo ai tempi, modalità di presentazione dei risultati, qualità di quest'ultimi e obiettivi, si lascia la massima libertà». Secondo me, bisogna

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procedere esattamente al contrario perché quando si attiva un processo di ricerca è necessario partire da condizioni di input, fissare gli obiettivi di output, gli assi temporali, gli strumenti. In sostanza ogni ricerca dovrebbe essere preceduta, in gergo tecnico, dalle specífiche, dai protocolli, dal contenuto della ricerca. Il programma deve essere rigorosamente rispettato perché un processo di ricerca non èmolto diverso da un processo di produzione qualunque. è un processo di produzione intellettuale anziché materiale, ma se non si accetta né questo tipo di concetto né che i processi di produzione se plurimi devono essere integrati in un risultato finale complessivo, la ricerca diventa una cosa disordinata, scoordinata e improduttiva. Perde il prodotto e con esso la logica della sua finalità, ossia produrre un prodotto immateriale ma pur sempre un prodotto. Ipotizzare un modello di comportamenti, un modello sociale, presenta certamente difficoltà maggiori rispetto alla predisposizione di una sequenza di macchine perché le componenti da esplorare sono più ignote. Comunque la ricerca ha bisogno degli stessi rigori di un processo di produzione materiale.

Quindi l'ipotesi di Marghera come parco scientifico tecnologico la valuta positivamente?

Si, certamente. Penso che questa sia per Venezía un'occasione molto importante soprattutto se condotta con lungimiranza e compresa nella sue valenze positive. Il parco scientifico e tecnologico può essere anche un atto progettuale dotato di una forte carica simbolica... perché potrebbe rappresentare il luogo fisico della produzione dell'immateriale, proprio laddove è sorta la fabbrica tradizionale modello ora in crisi.

La nuova forma di comunicazione multimediale con le connessioni a rete darà vita a servizi' interattivi, come videotelefono e banche dati', e permetterà l'accesso a biblioteche, museí, programmi Tv.. ma, come afferma Nicholas Negroponte nel suo Being digital, cambierà totalmente il modo di lavorare e comunicare. Il recente successo di Internet è l'esempio piti consistente di multimedialità diffusa a livello mondiale, in quanto a essa sono collegati oltre venti milioni' di utenti.Secondo lei, in questo nuovo scenario sarà necessario ripensare il concetto di cittadino-abitante e cittadino-utente dei servizi offerti da una città anche rispetto alla composizione della base sociale?

Penso proprio di sì, Ad esempio, io che lavoro due giorni alla settimana a Venezia e tre a Roma sono un abitante di Venezia e dopo essere stato quasi venti giorni in albergo sto cercando un appartamento. Un fruitore della città che ne usa le strutture, da Palazzo Grassi alla Feníce, dalla Bíennale alla Mostra del cinema, dagli spazi di ricerca alle università, anche attraverso un servizio a rete tipo Internet, e che quindi vive Venezia da vicino in talune occasioni e da lontano in altre, può essere una delle condizioni per riconsiderare la dimensione della popolazione della città. Penso che comunque siano necessarie delle precisazioni. Il turismo di massa attuale, quello del «mordi e fuggi» non produce un «abitare» la città ma anzi ne altera le condizioni e la sua cultura. Induce cioè una popolazione stanziale costituita da coloro che aprono i fast food, fanno le pizze e cose del genere. Ma la città ha forse bisogno di qualcosa di diverso ed è necessarío costruire le occasioni perché possa essere abitata da un tipo di persone che ne usano l'intelligenza, apprezzano il fascino, usufruiscono dell'offerta di servizi, saperi, conoscenza e fornitura, che vivono in dibattiti e poi partono.Ad esempio il Centro studi San Salvador si avvale di risorse umane internazionali, europee e americane, ma anche giapponesi; il comitato scientifico è costituito da persone prevalentemente straniere che durante la loro permanenza a Venezia vivono la città nelle sue dimensioni culturali. Penso e spero che questa scelta possa rafforzarsi sfruttando anche le occasioni di convegno che il Centro studi San Salvador organizza periodicamente. Se pensato come un sistema queste occasioni possono offrire alla città un'occasíone di riequilíbrio del tessuto sociale in quanto richiama con continuità una popolazione «abitante» di Venezia, costituita inoltre da persone che appartengono alla fascia media di reddito, fascia di cui la città ha un gran bisogno.Al contrario Venezia non ha bisogno dei pendolari del turismo giornaliero, alimentato da una materialítà fin troppo accentuata. E' necessario applicare anche al settore del turismo il parametro dell'immaterialità, piuttosto che quello «della pízza». Ma Venezia per cambiare deve inventarsi nuove iniziative, una cultura innovativa, una rete di punti di richiamo culturale per tutte le aree della conoscenza.

Per competere con chi?

Con se stessa.

Cosa intende per «competizione»?

E una parola che può avere interpretazioni molto late. Per Venezia significa competere tra la vita e la morte e quindi, in questo caso, la competizione è molto importante per inserirsi come città viva nel meccanismo delle grandi inziative culturali e dei progetti innovativi.Ho partecipato recentemente a due convegni sulle telecomunícazioni, uno a Londra e l'altro a Parigi, e ho assistito alla presentazione di due progetti completamente antiteticí, fortemente alternativi e diversificati, espressione di due culture nazionali, due modelli di sviluppo delle telecomunicazioni: quello anglosassone e quello francese. In entrambi i casi si poteva toccare l'etica dell'índustria della produzione, i prodotti delle due culture. In Italia invece questo tipo di

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capacità di progettazione, di orgoglio di progettazione, è in generale uno dei fattori meno presenti in quanto gli italiani sono il popolo meno sciovinista e patriottico dell'Europa. Rifuggire dai fenomeni bosniaci è certamente un bene, ma diventa un male se narra solo l'incapacità di esprimere una serie di valori condivisa collettivamente.«Competere» per Venezia vuol dire essere capace di costruire, ritrovare valori in una dimensione non necessariamente nazionale ma in qualche modo anche con un contenuto verso la nazione, trovare le modalità per progettare iniziative avvalendosi delle basi e delle virtù acquisite nel passato ma, certamente, guardando al Duemila e non a un modello superato di sviluppo, espressione di una civiltà non avanzata. Esistono basi di fruibilità che possono essere un tessuto affascinante di partenza, un notevole patrimonio culturale storico, dall'urbanistica alla storia dell'arte, all'archivio storico, alla dimensione del sistema bibliotecario e altre ricchezze, che comunque da sole non possono garantire nessun passo in avanti, né sono sufficienti. Sono necessarie le capacità di progettazione verso il futuro che è fatto da una proiezione verso e dentro questi campi innovativi.

Progettare per la propria azienda ma anche per il sociale cercando convergenze fra interessi imprendítoriali e progettazione della «felicità» è un'ipotesi percorribile? Telecom, o meglio il Centro studi San Salvador, può essere progettista imprenditore?

E' implicitamente una delle tematiche rispetto cui si deve lavorare perché attiene in modo generale al rapporto e al lavoro che la struttura di telecomunicazioni ha rispetto all'evoluzione del quadro produttivo economico nazionale ed internazionale. E certamente questo è oggetto di riflessione da parte del Centro studi. Ampliando il discorso la funzione delle telecomunicazioni rispetto a un progetto di sviluppo della città compatibile, che salvaguardi il sistema ecoambientale generale, che supporti o sviluppi nuove professioni e nuove competenze, nuovi know how, è sicuramente funzionale rispetto a una logica di questa natura.

Lesperienza di Adriano Olivetti a Ivrea negli anni trenta, che aveva cercato di riunire in un disegno più complessivo cultura, economia imprenditoriale e socialità, può dare qualche contributo a una progettualità per Venezia? Oppure ci sono esperienze più recenti', come quelle di Gianfranco Dioguardi a Bari o estere a cuifare riferimento, ma solo come punto di partenza?

Conosco entrambe le esperienze, sia Tecnopolis che il modello di Olivetti. Inoltre essendo torinese l'esperienza di Ivrea ha costituito un riferimento molto vicino e condiviso... però copiare non serve: giustamente sono solo riferimenti. Nel mondo ce ne sono a migliaia... Paloalto, Seattle, Stamford Universíty, il Mit e tutto quello che ci nasce intorno, anche questi sono punti di riferimento forse quantitativamente più consistenti. Secondo me, li accomuna un fattore comune di concettualità, di progettualità, cioè il senso della proiezione verso il futuro, l'esigenza di verificare a 360 gradi le ipotesi di sviluppo senza limitarsi a quelle economiche, produttive, mercantili ma studiando anche quelle sociali, morali, gli impatti globali. Mi pare che questo sia un dato comune a tutti ma ognuno risponde e parte da una forza di progettazione specifica, peculiare e si appoggia su fattori di sviluppo suoi propri. Gli elementi costitutivi, i mattoni con i quali sono fatte queste esperienze hanno componenti di terra o sabbia diversi, sono specifici, ma comune è la volontà di farlo questo progetto, l'impegno di volerlo portare avanti.

Che tipo di apporto possono fornire icittadiní a questo programma di rinnovo della politica urbana?

E più giusto chiedersi prima «secondo quale modalità?». A mio parere, prima di tutto partecipando, aprendo una discussione collettiva per capire quali sono le alternative che i possibili modelli di sviluppo offrono a Venezia. Il rischio di una loro assenza al dialogo può trascinare la città verso un destino poco allegro o diventare una Abu Simbel.

Eimpegno dell'amministrazione comunale, della politica, quale peso gioca? L'elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini può essere un vantaggio in questo processo di cambíamento?

Mi sembra bello che a Venezia ci sia un sindaco filosofo. Questi progetti nascono da una sintesi di pensiero e da uno sforzo di concettualízzazione, di astrazione, nel senso del concepimento del progetto, e quindi nascono a mio avviso più facilmente all'intemo di un mondo culturalmente molto evoluto piuttosto che in uno più mercantile. Adriano Olivetti era un uomo di pensiero, di spessore culturale e apertura mentale, ancor prima di essere un industriale e questo è un punto di partenza fondamentale.Non ho elementi per giudicare l'amministrazione di Venezia, mentre conosco le amministrazioni italiane e vedo la differenza che le separa da quelle estere e credo che le condizioni negative dello sviluppo siano fiorite laddove è regnata l'assenza di amministrazione e quindi un laissez faire, che in qualche modo ha aiutato. Il supporto positivo delle amministrazioni in Italia mi sembra onestamente un dato molto carente, che non si limita solo a Venezia.

Venezia, 12 dicembre 1994

6.2) CENTRO THETIS - FRANCESCO INDOVINA

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Negli anni novanta, dopo l'esperienza Expo, la politica urbana di Venezia pare subire un cambio di direzione e orientarsi verso nuove tematiche di riflessione, privilegiando un approccio coordinato ai problemi della città. Impressione che si riceve leggendo anche i lavori di ricerca e gli studi condotti nel medesimo periodo.Come si inserisce il lavoro di ricerca del Centro Thetis in questo panorama progettuale? Come è nato e con quale obiettivo?

Thetis è nato da una tesi di laurea. Cinque anni fa, ho fatto fare tre tesi di laurea sul riuso dell'Arsenale di Venezia. I tre lavori partivano da una base comune, costituita da un'analisi storica, morfologica e funzionale dell'Arsenale; poi, ciascuna sviluppava un tema di riutilizzazione della struttura: uno era il solito museo, il secondo era un centro nautico, e il terzo era un centro per la tecnologia del mare.Le tre tesi hanno ottenuto un minimo di eco, e la Tecnomare, interessata all'ipotesi del centro di ricerca per la tecnologia del mare, si è messa in contatto con me per verificare se esisteva la possibilità di trasformare la terza tesi in un progetto di fattibilità. Erano disposti a offrire una borsa di studio annuale alla laureanda per approfondire il tema. Così è stato costituito una sorta di comitato università-Tecnomare. Il progetto di fattibilítà è stato integrato da un contatto con aziende nazionali e internazionali, che potevano essere interessate a costituire questa polarità a Venezia. Si è costituito un panel di imprese che ha attivato un ulteriore finanziamento semestrale alla laureata per formulare uno statuto, indicare le strutture organizzative. Alla fine di questa fase, alcune di queste aziende hanno aderito, altre no, e si è costituito il Consorzio Thetis con lo scopo di attivare ricerche, prototipi, trasferimento di tecnologia nell'ambito della tecnologia del mare e, in più, di realizzare anche un centro servizi all'Arsenale di Venezia.Mi è sembrato molto utile, collegare il complesso arsenalizío a questa finalità, in primo luogo per l'esistenza di un ampio capitale fisso sociale, capannoni, gru, bacini e così via... Inoltre, un centro servizi per la tecnologia del mare, come quello da noi proposto sostanzialmente non esiste nell'area del Mediterraneo. Esistono centri simili e anche più grandi in nord Europa, negli Stati Uniti ecc. e molte imprese, anche italiane, che lavorano nel campo dell'ingegneria navale e off-shore utilizzano i servizi offerti da questi centri. roccasione di realizzare un'attívità simile anche a Venezia sembra estremamente importante per ricentrare il ruolo del Mediterraneo nella Politica di sviluppo non solo italiana. Ma forse questa è una scelta che richiede anche una valutazione in ambito internazionale.

Recentemente si è costituito a Venezia un organismo scientifico internazionale, MedMaris, che riunisce i maggiorii sti . tuti impegnatí nel la ricerca marina nel Mediterraneo per sollecitare i politici e i governanti dei paesi che si' affacciano sul Mare Nostrum (Italia, Spagna, Francia e Grecia e non solo) a una politica comune, indirizzata alla salvaguardia e allo sviluppo dell'intera area mediterranea.Lo sviluppo di attività internazionali e nazionali legate a questo tipo di politica, quale rimando può avere sull'aspetto sociale di Venezia ?

Uaspetto sociale della città ne risulterebbe arricchito, e inoltre sono convinto che le attività di ricerca marina siano assolutamente compatibili con la città. Per Venezia, fare scelte nel settore dei servizi delle tecnologie marine, significa recuperare anche alcune località che, come l'Arsenale, erano state centro dinamico della gloria della Repubblica veneziana. Significa assegnare al complesso arsenalizio il ruolo di motore dell'innovazione tecnologica che, vista in questi termini, non va considerata un'attivítà manifatturiera ma di ricerca, al massimo di produzione di prototipi... lJarrivo di quasi duecento tecnici, avrebbe anche una serie di ricadute sociali, soprattutto in una città così colpita dallo spopolamento e dalla selezione demografica. Ma in primo luogo abbasserebbe l'anemia economica della città... A livello urbano, il sestiere di Castello si rivitalizzerebbe, così come via Garibaldíl l'Arsenale stesso...Il Consorzio nei primi tre anni ha svolto una serie di attività, alcune di progettazione, altre di ricerca vera e propria, altre di costruzione, di progettazione di prototipi ma senza realizzazione, altre con la realizzazione di prototipi. Con notevole impegno, e contemporaneamente, ha portato avanti il progetto di realizzazione del centro servizi con un finanziamento Cee, centro in fase di costruzione. Attualmente il Consorzio impiega una ventina di tecnici, mentre dal lo

agosto si è trasferito all'Arsenale. Per la realizzazione del centro servizi si è costituita una nuova società, la Thetis centro servizi.

I soci del nuovo centro servizi Thetis sono tutti appartenenti al settore privato o CI sono enti pubblici, enti locali?

Nel Consorzio Thetis l'unico ente specificatamente pubblico èl'università; gli altri soci alcuni sono imprese che erano pubbliche, come la Fincantieri, altre sono private, come la Tecnomare, l'Ibm, alcune erano imprese di produzione diretta, altre prevalentemente di ricerca. Adesso invece è avvenuto un allargamento ulteriore, anche se dal Consorzio alcune sono uscite, altre sono entrate.La collocazione nell'Arsenale del Consorzio dovrebbe avere delle ricadute dirette e indirette non solo sulla zona circostante, ma soprattutto costituire uno degli elementi, non dico il principale, di una robusta gamma produttiva della città; potrebbe, essere determinante in un'articolazione economica più ricca della città, per farle perdere quel connotato monoculturale...L'iniziativa promossa da Thetis intende invertire il significato che di solito viene assegnato all'insediamento di una nuova attività economica a Venezia. Attualmente tutte le iniziative che non sono commerciali tendono a trasferirsi o in terraferma o in altre città, più attrezzate rispetto alle infrastrutture, ai servizi. Mentre le uniche che proliferano nella città la

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,gunare, a ritmo quasi incessante sono quelle turistico- commerciali. E un gesto, o meglio, un elemento non dico simbolico ma contemporaneamente reale e simbolico di un'inversione di tendenza.

In sostanza, il messaggio lanciato da questa operazione vuole sottolineare che non esiste un'unica funzione «salvifica» in grado di ríscattare Venezia dal suo declino ma, al contempo, nemmeno un insíeme disarticolato di progetti. Qual è la nuova idea di città che sta alla base di queste scelte?

E' naturale che una città normale, dotata di un patrimonio storico, artistico, architettonico, abbia i suoi sposini che vengono in viaggio di nozze, che accolga con benevolenza le comitive di turisti Provenienti dall'estero. Venezia ha tutto questo, ma è anche una città in cui si svolgono attività economiche, non necessariamente collegate con il settore turistico. A Venezia si fanno anche altre cose, per fortuna... che vanno incentivate e inserite nel pacchetto di opportunità che la città può offrire. E' un'idea di città più complessa, più differenziata economicamente e socialmente...Invece i turisti, secondo me, non sospettano l'esistenza di attività alternative e pensano che, di sera, le finestre che vedono illuminate siano pagate dall'Ente del turismo per fare da cornice al loro viaggio in gondola. E non sospettano nemmeno che io, che invece studio e lavoro in una di quelle stanze illuminate, mi possa sentire attore involontario... e non pagato di questa «messa in scena».

EiStituzione, per ora mancata ma prevista da una legge dello Stato, della città metropolitana dovrebbe comportare un sistema di programmazione e gestione unitaria di problemi come traffico, risanamento ambientale, turismo, università... oltre e insieme all'autonomia ammínistrativa di importanti realtà urbane dell'attuale Comune di Venezia. Quale rapporto c'è tra questa idea di città e l'idea della città metropolitana «Adriatica», o Patreve, composta cioè dalle provincie di Padova, Treviso e Venezia?

Quale città metropolitana? lo sono stato fautore di questa idea di città insieme a pochi altri. Il nome «Adriatíca», poi trasformato in Patreve, è stato coniato dal sociologo Sabino Acquaviva già dieci anní fa ma è rimasto senza contenuti fino a oggi. Inoltre ho l'impressione che gli interessi che si sono costruiti attorno alla monocultura turistica siano trasversali, anche dal punto di vista sociale, perché uniscono i proprietari della Ciga Hotels al venditore di granaglie a piazza San Marco. Catena la cui rottura è molto complicata, sempre ammesso che si possa fare.In questo ambito, allora, l'idea di costruire una città metropolítana tra Padova, Treviso, Venezia avrebbe significato tener conto, non solo degli interessi turistici, ma anche degli interessi industriali e produttivi esistenti in un'area più grande. Se Venezia diventava capoluogo di questa città metropolitana, la sua gestione non sarebbe più dipesa soltanto da interessi squisitamente localizzati a Venezia, ma da interessi generali e, quindi, particolari... Poteva, cioè, costituire l'atto di rottura della monocultura veneziana. Certo, esisteva il pericolo della specializzazione tra Venezia zona turistica, Padova zona dei servizi e Treviso produttiva e zona secondaria di servizi, ma avrebbe richiesto una volontà specifica. Uno degli elementi del progetto era di rendere Venezia capoluogo di questo sistema.Uidea di una città metropolitana più piccola, per intenderci quella limitata ai ventitré comuni della città lagunare, mi sembra pericolosa nell'ambito in cui ho collocato il discorso della città metropolitana. Sicuramente utile per una gestione complessiva della problematica lagunare in un'unica struttura, ma molto pericolosa per quanto riguarda proprio questa articolazione. Agli interessi turistici di Venezia si sommerebbero tutti gli interessi turistici dei comuni ri-vieraschi, da jesolo a Sottomarina e così via, esaltando proprio gli interessi del settore turistico, anziché mitigarli.Questo mi sembra l'anello debole dell'idea, mentre alzando il punto di vista forse si possono evitare molti pericoli. Anche se Padova ha una sua forte personalità, Treviso una struttura produttiva molto dinamica, per Venezia valeva la pena avere un progetto molto ambizioso rispetto a una istituzione nuova.

Se le fondamenta rispetto a un modello di città metropolitana non sono state ancora gettate, ciò deriva da una mancanza di cultura di base collettiva, o sono giochi prettamente politici che saltano totalmente il problema culturale?

Secondo me, non è un problema culturale. Al contrario, penso che sia un problema di interessi complicati. Le città metropolitane sono una struttura molto utile e opportuna, perché ormai nelle politiche urbane è necessario un governo di livello superiore. Forse, però, questa idea è comparsa in ritardo rispetto alla nostra situazione e ora, cerca di radicarsi senza molto successo in una struttura di poteri, interessi, ruoli molto consolidati. A Venezia la possibilità di fare una struttura più ampia c'era ma, secondo me, per inesperienza politica la giunta rosso-verde della Regione non ha voluto operare una forzatura: ha inventato la città metropolitana di cinque nomi (Venezia, Marcon, Mira, Quarto d'Altino e Spinea) denominata provincia «Venezia Orientale», con il compito di supplire fino,alla prossima legislatura, la mancanza della città metropolitana. E un paradosso.Tutto ciò è il frutto di pasticci mescolati a ignoranza, grettezza, mancanza di progettualità, pavidità, opportunismo... e tutto in nome della governabilità. Il risultato è che la Giunta regionale è andata in crisi e che la città metropolitana non si è fatta.

Venezia, capoluogo amministrativo regionale, rincorre nel settore turistico un livello di servizi' nazionale, mentre con il settore della cul tura gioca sul panorama internazionale: quanto il modello attuale può innescare un processo innovativo di coesione fra interessi economici e interessi sociali?

Page 60: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Non credo che Venezia resterà così com'è: o riesce a costruire una sua forte identità, anche economica e non monoculturale, o il modello attuale perderà parte dei tre livelli. Molti centri decisionali, come le Generali, il Mediocredito, si sono allontanati dalla città storica per l'inconsistenza localizzativa rispetto all'interesse complessivo e per insostenibilità di una città che è diventata sempre più cara e sempre meno vivibile. E se un'entità non ha rapporti esclusivamente locali, ma ha rapporti a più ampio raggio, fa una fatica enorme. Veníre in un ufficio a Venezia non è solo faticoso, perché la città vive nell'acqua e quindi è più lenta, cosa a cui si può rimediare, ma è faticoso perché i servizi sono cervellotici nella loro organizzazione. Prendere un vaporetto in quasi tutti i periodi dell'anno, in qualsiasi giorno e in qualsiasi ora è quasi una scommessa; bisogna aspettarne due o tre perché ci sono le code e i tempi infiniti. In queste condizioni è ovvio che la localizzazione migliore è sempre esterna. Anche se in realtà, quaranta minuti sono la dimensione minima dei trasporti in qualsiasi grande città (Milano, Roma ecc.), la terraferma offre alternative più comode di accessibilità: a Mestre, dieci minuti e si arriva. Gli affari seguono sempre la via più veloce. Entra in questa logica, assolutamente razionale, anche la monocultura della città. Perché uno deve vendere verdura e guadagnare cinque, se può vendere collanine e guadagnare venti? Tutta la città si organizza intorno a questa temati-ca, del resto commercialmente corretta.

E' logico, però controproducente.

Beh, è così! Con quali argomenti si può convincere il singolo a guadagnare cinque piuttosto che venti?

Forse si può guadagnare venti investendo su qualcos'altro, senza dover per forza vendere solo collanine.

Eh no, no, no... Ho fatto un'indagine nel '91-92 e leggendo i dati ho scoperto che il reddito speso dai veneziani è la metà di quello speso dai turisti. Ora, le attività commerciali hanno due mercati: uno da cinque e uno da venti. Per prima cosa, i più preferiscono quello più remunerativo, ovviamente. Seconda cosa, il mercato da cinque è un mercato molto articolato e complesso, quello da venti è un mercato molto più facile, perché il turista ha la propensione alla spesa più facile. Per uscire da questa logica prettamente monetaria, la società deve articolarsi molto. Dubito che ciò sia possibile, però bisogna tentare: dare diverse gambe economiche alla città.

Per raggiungere una maggior articolazione economi . ca quale può essere il ruolo dell'università veneziana? E i suoi rapporti con le altre università limitrofe?

Adesso noi ci illudiamo che la città possa essere una città della scienza, della ricerca... Ma fino a quando durerà l'università in questa città? Quanto dureranno i nostri studenti a venire qua, con la vita ad alto costo? Perché dovrebbero venire a Venezia? Possono andare a Ferrara, possono andare a Padova...

Potrebbero andare a Mestre, ma questo significa considerare Venezia diversamente, cioè un unicum di isole e terraferma.

Non sono d'accordo con questa lettura: l'unicum. Tutte le città che conosco sono un unicum, però Venezia non è come il centro storico di Firenze o di Padova, in cui l'integrazione con il resto della città è continua e senza soluzione. Venezia e Mestre sono due città vere, col loro centro e la loro periferia e la loro articolazione. Venezia non è il centro storico, Venezia è una città che ha un centro: Rialto, San Marco. Ha le sue periferie medie, ha le sue periferie degradate: Castello, la Giudecca, Santa Marta.E' questo il sistema che va riorganizzato per far diventare Venezia una città normale, altrimenti vince la fantasmagorica idea di trasformare Venezia in una città turistica e culturale, e basta... Può essere paradossale, ma viene calcolato che un venditore di granoturco a San Marco incassa quaranta milioni l'anno. Probabilmente in nero. E quanto guadagnano i gondolieri e i tassisti? Questa è la realtà.A Venezia manca una strategia di sviluppo. Questo non vuol dire mettere a piazza San Marco una fonderia, ma significa investire su attività compatibili, ma non scollegate fra di loro. Le tecnologie del mare, il restauro, un polo informatico, Possono essere alternative valíde costruendo un'articolata ricchezza di presenze.La questione della difesa dalle maree, dell'ambiente, può diventare un'opportunità per sviluppare una strategia anche di sviluppo e non solo di salvaguardia. E' un problema di punti di vista. Personalmente, non so se Venezia vada difesa dall'acqua alta, ma se bisogna farlo è necessario costruire la paratia. Poi, una volta costruita, se non serve lasciarla sul fondo. Non si tratta di realizzare opere che non servono a niente, non è questo il punto. Costruire significa costruire una struttura di ricerca, di progettazione, di sperimentazione, che poi può espandersi a livello mondiale. è una mentalità diversa.

Sarebbe una conquista: la modífica di un modello non solo di vita, ma anche economico e sociale.

Se si spendono venti mila miliardi, in una città di 70 mila abitanti, è una decisione da prendere in quest'offica. Finora, quello che si èspeso, poco o tanto che sia, utile o inutile che sia stato, è stato finalizzato al consolidamento di una struttura economica «povera». Venezia ha bisogno di un progetto di sviluppo ad altissima innovazione tecnologica.

Page 61: ALDO BONOMI - Fondazione Venezia 2000€¦ · Web viewPer far questo occorre aver chiaro che dopo l'orgia del mito di Venezia, intorno al quale ci siamo un po' tutti schierati e contati,

Ultimamente si punta, e si favoleggia molto, sul sistema lagunare delle isole: «affittiamo le isole, facciamo nelle isole non so che cosa ... ». Sì, però c'è un problema di accessibilità che è assolutamente da risolvere. La metropolitana io non dico che debba essere fatta, però discutiamone. Ma qui non si può discutere. Può darsi che abbiano ragione loro, che sia un disastro ambientale tale per cui non èpossibile farla, ma questo non può essere né un pregiudizio né il ver-detto di un pescatore. Possiamo sentire anche i geologi non solo i pescatori...Bisogna saper ascoltare sia la conoscenza pratica sia la scienza, combinarle e fare delle scelte compatibili. Se si decide di realizzare un centro internazionale a San Servolo, o un'università, o qualcos'altro bisogna garantire un'accessibilità ragionevole, anche da Padova. Due ore di viaggio per fare pochi chilometri?... Questa cosa va ripensata.

Mi incuriosisce il rapporto tra isola e terraferma: due città, sostiene lei. Invece, lo scrittore cinese Acheg nel Diario veneziano definisce Mestre «quella parte di Venezia che sta sulla terraferma». Sono due puntidi vista diversi, entrambi validi se si vuole, ma che hanno creato delle spaccature, dei referendum... Venezia e Mestre sono lontane e vicine, insieme: un braccio di laguna le divide, un ponte le unisce. Ma in fondo, abitano lo stesso territorio...

Sono convinto che siano due città, ma sono altrettanto convinto che debbano stare assieme. Sono sempre stato contrario alla divísíone. Per questo motivo, l'idea della città metropolitana non è una «trovata», ma è un'alternativa da prendere in seria considerazione. Penso che sia possibile studiare una diversa articolazione delle municípalità, creare una struttura molto articolata; in questo senso Mestre può dividersi, forse, anche da Marghera...

Sul modello francese?

Sì. Credo che la città metropolitana debba, soprattutto, avere la funzione di compiere le grandi scelte ed essere il modello di svauppo, mentre le municipalità debbano occuparsi della qualità della vita. Alla base c'è anche una divisione di ruoli. Il rapporto Mestre e Venezia, tradotto in cifre, equivale anche a ventimila pendolari giornalieri. Letto in questi termini, Venezia non ha il problema dei posti di lavoro, ma semmai: dove sono i posti di lavoro? quali sono i posti di lavoro? con quale ricaduta sociale? t forse un caso se si favoleggia sulla costruzione di un nuovo palazzo della Regione in terraferma e se l'Italgas stia facendo lo stesso? perché? In realtà si trasferiscono in terraferma senza dirlo apertamente, come ha fatto la Cassa di Risparmio di Venezia. Hanno bisogno di un'accessibilità molto rapida, ed essendo entità a mercato regionale non possono farne a meno. Ecco perché sostengo la necessità di una strategia seria per la città, altrimenti perderemo anche quello che ora c'è.Venezia e Mestre sono due città con due storie diverse, due combinazioni diverse e hanno stretti rapporti, così come Milano li ha con Abbiategrasso. Le due città possono convivere, anche con i conflitti, è una situazione del tutto normale. Oltretutto, Mestre sta pian piano rivalutandosi, mentre prima era il dormitorio di Venezia. Adesso, però, rischia di diventare il dormitorio dei turisti di Venezia. Mestre si sta strutturando con un sistema alberghiero non indifferente. Per il giapponese che viene da Tokyo abitare a San Giuliano o a Venezia non fa differenza. Una cosa, però, gli è chiara: deve andare a piazza San Marco. Uaccessibílità turistica della città da punti diversi può funzionare solo se al flusso turistico si garantisce l'accessibilità a piazza San Marco.Venezia e Mestre possono quindi stare insieme, però in un dinamismo complementare, mentre adesso uno vive sul dinamismo dell'altro. Ma questo dinamismo condurrà a una situazione sempre più sbilanciata. Per Venezia ci vuole un progetto di sviluppo, un progetto di articolazione né è pensabile l'idea di contingentare, o peggio ancora di applicare ticket d'ingresso, pass per residenti.Ci si allarma se le Assicurazioni Generali e la Cassa di Msparmio si trasferiscono in terraferma, mentre non ci si allarma per la caduta di domanda di spazi per servizi, con la conseguente sovrabbondanza di offerta di uffici. C'è una quantità inverosimile di offerte ogni domenica sulle pagine de «ll Gazzettino» di negozi, magazzini, perché nessuno più li chiede... Le grosse aziende o enti che se ne vanno fanno cronaca, ma le piccole entità che si spostano, lo studíetto che se ne va, il commercialista e l'ingegnere... non fanno notizia. Però è un fenomeno che esiste. Questo è un indicatore chiaro di come la città perde il proprio sangue. Uunico sangue rimasto è il turista per cui quest'anno sbandieriamo i dieci milioni di turisti.lo la vedo tragica questa notizia, però viene presentata come un successo.

Altinizio della conversazione si accennava all'Expo: rispetto alla progettualità per Venezia, come si inserisce quell'esperienza? Opportunità o grande evento?

Era una disgrazia nazionale. L'Expo accelerava il processo di monocultura, non solo, ma creava delle strutture che dovevano essere alimentate da un numero sempre crescente di turisti. L'Expo può piacere o può non piacere, si può fare o meno: il problema appartiene a un'altra filosofia. Rispetto al problema del rilancio economico, èuna soluzione che non funziona. L'Expo, soprattutto nella forma generale, non serve più al produttore, serve solo come canale di comunicazíone, non crea una ricaduta tecnologica. Dietro un'Expo non c'è niente di consistente: è solo spettacolarizzazíone.

Competizione e globalizzazione delle economie: sono termini con cui la nuova politica urbana di Venezia dovrà misurarsi, o la strategia di sviluppo rimane, comunque, indipendente da essi? Qual è la sua opinione?

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Secondo me, non sono fenomeni nuovi. La Repubblica di Pisa e la Repubblica di Venezia non erano molto meno antagoniste di quanto non siano oggi Milano e Hannover. Credo sia una questione di comunicazione di massa. La cosa fondamentale che è cambiata è il mercato del lavoro. Oggigiorno un produttore realizza i suoi prodotti a Singapore, Taiwan, a un costo dieci volte più basso rispetto all'ltalia. A certe condizioni conviene esportare il lavoro di produzione, e se non riesco a esportarlo, importo la manodopera dai paesi extracomunitari e pago lo stesso un decimo. Questo non è una concorrenza tra le città.E' una mia impressione, e posso sbagliarmi, ma quando si parla di concorrenza tra le città come capacità di attrarre capitali esogeni e attività economiche mi sembra un'idea di scelte localizzative economiche molto generale: Venezia piuttosto che Hannover, o Pechino... Non credo che ci sia un ventaglio così ampio nelle scelte, o per meglio dire, un ventaglio così ampio nelle scelte avviene solo per segmenti di grandi imprese. Ma per le piccole e medie imprese questo ragionamento mi sembra poco applicabile. Questa cosa è molto meno effervescente di come si può credere in realtà. è un discorso molto complícato.E ancora, le attività economiche si insediano e si sviluppano in base alla qualificazione della città o alla qualificazione dell'impresa? Le Fiat si vendono perché stanno a Torino o si vendono perché sono Fiat? Benetton si vende perché è a Treviso o perché è l'impresa che ha una certa produzione, organizzata in un certo modo? Certo, che se uno deve scegliere vuole scegliere di stare in una bella città, anche se il concetto di bella città è un po' complicato. E Venezia da questo punto di vista sarebbe il meglio del meglio...

E il termine «privatizzazione», inserito in un progetto di ínvestímento sulla città, a quale figura di imprenditore può fare riferimento? La definizione di un imprenditore-progettista, che sappia creare nuova occupazione e nuova socialità, può essere la cura alla «anemia» del sistema economico veneziano?

Investire sulla città significa, nonostante tutto quello che si dice, impegnare una forte dose di progettualità e intenzionalítà. Il ruolo del pubblico è assolutamente fondamentale in questo progetto, mentre le imprese per natura non sono dei centri di beneficenza. Ritengo che, in questo momento, sia più importante costruire opportunità economiche serie, e lo Stato in questo compito è chiamato a decidere in primis se decide, non solo di salvare questa città, ma anche di spendere duemíla o diecimila miliarà Ma bisogna fare una dístinzione: «salvare Venezia» non va inteso nel senso di salvaguardia dalle acque alte, ma della salvaguardia di Venezia come città, come entità contraddittoria, complessa, in cui ci sono vari elementi costitutivi dell'economia da rivitalizzare o da incentivare con un'operazione molto chiara.Se fino a oggi si va in ola nda per la difesa delle acque, da domani si potrà fare ricerca a Venezia. Per ottenere questo cambiamento bisogna avere intenzioni precise, capacità, avere la voglia di scegliere. E allora? Non posso decidere da solo, ci sono i livelli di decisione tecnica che vanno rispettati.La Repubblica di Venezia nel Cinquecento ha progettato e realizzato opere nella laguna di dimensioni stratosferiche, che non ci immaginiamo neanche: ha spostato e deviato fiumi, costruito canali... Certo, all'epoca facevano discussioni forsennate, litigavano, però, arrivati a un certo punto, decidevano e facevano. Magari sbagliavano... non lo so. Con questo non intendo elogiare la politica del «fare senza discutere», ma quella del «progettare per fare», per cambiare mentalità. Anche i turisti si comporterebbero diversamente. A Milano, a Bologna, in qualsiasi città dove la normalità è la norma e non l'eccezione, i turisti sono, oggettivamente, rispettosi nell'uso dello spazio urbano. E sia di notte che di giorno si può passeggiare, camminare, lavorare in condizioni almeno accettabili.

Può essere valido un esempio del passato come Adriano Olivetti, uomo impegnato attivamente in politica ma anche nel sociale e nell'economia finanziaria e industriale? Oppure altri esempi attuali anche esteri?

Ci vuole qualcosa di più grosso. E caso di Palazzo Grassi mi sembra esemplare. La società per azioni di Palazzo Grassi organizza mostre ad alto livello e contribuisce ad assegnare alla cultura un ruolo formativo nella vita defl'índividuo. Però quando deve soddisfare le proprie esigenze d'impresa, del resto più che lecite, mette in moto una macchina pubblicitaria in grado di assicurargli la presenza di duecentomila visitatori. Questo meccanismo contribuisce al successo dell'attuale turismo veneziano.

Il cambiamento del sistema elettorale, assegna un ruolo nuovo al sindaco nella gestione amministrativa, tanto che spesso quest'ultimo diventa un vero e proprio anticipatore di decisioni regionali e nazíonali. Ma anche il cittadino è posto in una condizione di co-responsabilità riguardo la definizione della traccia principale per la politica urbana.Cacciari ultimamente ha lanciato questo messaggio ai cittadini', affinché facciano sentire la propria voce. Ma i cittadini banno effettivamente un peso?

E' la società che va organizzata, non i singoli cittadini. Quest'ultimi hanno solo interessi personali. Tutti vogliono l'inceneritore, ma se si lascia decidere ai singoli ognuno lo vuole sotto la camera da letto dell'altro, e mai sotto la propria, per ragioni ovvie naturalmente. Allora, non è il problema dei cittadini ma delle organizzazioni politiche, che in qualche modo devono organizzare gli interessi, razionalizzarli e costruire le risposte conseguenti.Un appello generalizzato ai cittadini è micidiale. Certo, devono contare, devono avere influenza, devono dire la loro, ma in quanto singoli ho l'impressione che possano dimostrarsi pessimi, e la società incivile. Diventa civile se si può

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organizzarla. 0 meglio la società deve autorganízzarsi o anche eterorganizzarsi: cioè non devono subire passivamente le trasformazioni, spesso volute da pochi e non nell'interesse della collettività...

E il ruolo deigiovani? Secondo lei, con quale angolatura va letto il termine «flessibilità», che caratterizza sempre di più il mercato del lavoro?

Ai giovani non dobbiamo certo dargli la baha, ma offrire loro una prospettiva. E quale prospettiva gli stiamo dando, ora? Certo, ormai il posto fisso è un'utopía e la flessibilità è Funíco modello ritenuto valido. Ma se si sfogliano e si studiano quei grossi volumi intitolati Le professioni del 2000 ci si rende conto quale valenza sia assegnata alla flessibilità: una settimana baby-sitter, un'altra dog-sitter, quella successiva accompagnatore turistico e così via...

A Verona, in questo mese faranno un convegno, «Job '94», con l'obiettivo di insegnare aigiovani come acquisire un posto di lavoro, come costruirselo. Laccento sembra ancora ricadere sulla quantità di lavoro a cui i giovani possano aspirare e non alla qualità di questo. Ilfatto che la ricerca di un lavoro debba essere inserita in un progetto di vita coerente sembra essere diventato un optional di lusso, e non un elemento basilare.

Forse non è del tutto sbagliato dire che imbrogliano. Per esempio, io sono vissuto in un'epoca in cui sostanzialmente non vi erano problemi. Quando sono diventato adulto, la prospettiva non era avere problemi per l'occupazione, il paese andava in grande espansione, c'era il miracolo economico; potevo fare quello che volevo, e infatti ho fatto diverse cose, poi sono approdato all'università. Non avevo problemi perché mi muovevo in un sentiero di sviluppo, in cui mi sembrava utile e rapido emanciparmi. Quando ero studente mi sembrava utile e rapido finire gli studi perché così avrei potuto realizzare tanti interessi.Ma oggi che fretta c'è? Psicologicamente i giovani allontanano il momento in cui devono drammaticamente porsi il problema di cosa fare, perché non esiste una prospettiva. Mio figlio, fino a poco tempo fa, procedeva nei suoi studi con una lentezza paurosa. Ultimamente ho visto che ha accelerato moltissimo, addirittura ha fretta di laurearsi: forse ha intravisto la possibilità di organizzarsi per il suo futuro. Mi ha detto che farà lo storico, ma si occuperà di marmi finti... farà insomma l'artigiano-storico.Insomma i giovani non vanno coltivati, ma va coltivato l'insieme.

Venezia, 5 dicembre 1994

6.3) GARMA GOURMET - GIULIO MALGARA

A partire dal 1907 l'interesse dello Stato per i problemi di Venezia si' è tradotto sostanzialmente nell'emanazione di leggi a contenuto speciale, accompagnate da un insieme di poteri amministrativi particolarí. Vadozione di questo tipo d'intervento confermato con la Legge speciale 79811984 ba certamente contribuito ad arginare il degrado della città, ma non ba ancora dimostrato di essere sufficiente a innescare un processo di sviluppo che inverta l'attuale trend negativo. Secondo lei, quale altra strada potrebbe percorrere Venezia per uscire dalla crisi?

Francamente sono convinto che a Venezia sia arrivato il momento di deporre i libri per agire concretamente, perché dai miei ricordi emergono solo congressi, studi, tavole rotonde, dibattiti, tutti molto utili ma caratterizzati da un taglio prevalentemente locale. Il problema della città lagunare non ha mai varcato seriamente questa soglia, non ha mai raggiunto una dimensione nazionale di effettiva progettualità.Inoltre, a parer mio, Venezia ha sempre sofferto di un sostanziale atteggiamento di diffidenza da parte del governo italiano. Certo ha ricevuto molti finanziamenti, in dieci anni quasi quattromila miliardi, ma come sono stati spesi? Non commento perché non sono un «addetto ai lavorí», però sicuramente sono stati impiegati molto per ricerche, studi e progettazioni forse non ancora terminate.Nel frattempo quale strada percorrere? Penso che se non si focalizza l'attenzione su una progettualità concreta - dove comunque il privato potrà avere solo limitati margini d'azione perché questa città è un bene mondiale - sarà impossibile passare dalla fase delle idee a quella dell'action.

Venezia e l'Expo: quale significato attribuisce a quell'esperienza? Un terreno progettuale sul quale i privati banno potuto misurare le reaziónilocali, ma anche nazionali e internazionali, a un tentativo di forzare il destino della città? ... un grande progetto di comunicazione, di competizione tra città, tra Venezia e Siviglia, per realizzare il «grande evento»?

Quell'esperienza era il tentivo di creare un evento organizzato e finanziato dai privati. Si fondava su un'idea valida, anche se l'ídeologia che la sorreggeva era sbagliata nel senso che era malamente patrocinata e si era trasformata in un lotta politica di muro contro muro. La verità è che le contestazioni non valutavano la gíustezza o meno delle idee e il prodotto veniva sempre dopo... E' il grande male del paese. Gli italiani non sono uomini di prodotto, sono uomini solo di politica e quindi il prodotto viene troppo spesso penalizzato... anche se, ora, alcune idee fondanti l'Expo si

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ripresentano e riemergono nelle ipotesi di sviluppo della città. E' probabile che si sia sviluppata una maggiore sensibilizzazione verso il problema dello sviluppo della città, questione che in qualche modo l'Expo aveva cercato di risolvere. Per questo motivo credo che Massimo Cacciari sia un sindaco lungimirante e probabilmente anche lui ha capito che ormai è questione di agire e non più di pensare, anche se non lo conosco a fondo per giudicare se sarà capace di mettere in moto questo movimento, pesantissimo sia dal punto di vista culturale che economico.

Gianni Riotta nella commedia Ombra. Un capriccio veneziano dipinge con straordinaria vivacità, ma non senza ironia, un possibile destino di Venezia: parco storico straordinario, dove «... il sindaco vestirà come il Doge e sarà preceduto, ovunque vada, dal cappellano privato, con toga rossa e cero in mano. Praticheremo una cultura viva e popolare. Il Canal Grande sarà percorso ogni giorno da attrici e attori che interpreteranno per i turisti le grandi scene della storia veneziana ... ». Il tutto rigorosamente raccontato e documentato t'n diretta dalla televisione.Quale altro destino possibile vede per Venezia?

... Un altro destino? Il mondo delle comunicazioni nel prossimo futuro potrà essere molto importante per Venezia. Questo settore sta subendo delle forti trasformazioni, e con esso il ruolo della televisione nella vita delle persone. I cambiamenti maggiori sono previsti in un arco di tempo compreso tra i prossimi due, otto anni. Le esigenze di mobilità cambieranno dalle comunicazioni terrestri a quelle aeree, e la presenza o assenza di infrastrutture di tipo tradizionale (autostrade, ferrovie, aeroporti ... ) non farà più da discriminante per lo sviluppo delle città, dei territori... I nuovi mezzi di comunicazione, quelli che viaggiano via cavo come la televisione, faranno viaggiare le idee, le parole, i volti, le relazioni interpersonali nel mondo. La cablatura generale del paese è già fatta, quello che manca sono gli «ultimi cento metrì», cioè l'applicazione puntuale del sistema in tutte le case, negli uffici... è un passo molto importante, ma richiede ancora molto lavoro, forse cinque o sei anni, ma alla fine si potrà comunicare in modo totalmente diverso. Nella nuova «scatola degli attrezzi» ci saranno tre strumenti: il computer, il telefono e il monitor, che non va confuso con il televisore, anche se può essere usato come un televisore.Una città come Venezia deve guardare a questo mondo e potrebbe cogliere un'opportunità in ciò che ora costituisce un ostacolo e diventare il centro residenziale e di lavoro più bello del mondo. Probabilmente potrebbe essere all'avanguardia, visto che non ha problemi materiali, o di quantità di lavoro ma solo problemi di qualità di lavoro. Venezia è una città piccola, molto focalizzata, una città culturizzata, e l'occasione che si poteva offrire con la presenza del Centro Sip al Tronchetto l'ho sempre considerata molto positiva, anche se la dinamica dei fatti pare allontanare questa ipotesi. Eppure proprio a Venezia potrebbe e dovrebbe nascere il laboratorio in Italia dello studio Telecom. E insieme alla Telecom e alla Stet si possono affiancare altre opportunità.

Quindi il settore delle comunicazioni' con le trasformazioni cui èsoggetto sta diventando il volano dello sviluppo mondiale futuro e, probabilmente, determinerà nuovi modelli di vita, nuovi sistemidi relazioni intersoggettive ...

Ci sono progetti per i quali, recentemente, sono stati stanziati 25 mila miliardi. La televisione consentirà di organizzare la propria vita secondo logiche nuove, si potranno leggere i giornali direttamente sul video e la pubblicità passerà a video on-line. Tutto questo accadrà non tra un secolo, ma fra due, otto anni. E in questo settore si concentreranno gran parte degli investimenti futuri. Sono presidente dell'Audítel e nell'ultimo consiglio dell'Auditel fatto insieme alla Rai e alla Fininvest, ho sottoposto il problema anche econom- ico di come «catturare» l'attenzione del consumatore televisivo nel momento in cui la televisione sarà fatta su misura. La scelta di programmi sarà vastissima, quasi dieci milioni di opzioni, perché il palinsesto verrà costruito con un meccanismo diverso da quello attuale: oggi è la televi-sione che entra nelle case, ma domani sarà la casa a entrare nella televisione. Adesso il sistema televisivo è poco diversificato, lo spettatore è in qualche modo un soggetto passívo, senza reali Possibilità di scegliere il tipo di programma più adeguato alle sue esigenze, ai suoi interessi. Le opzioni sono nove, dieci, e il compQrtamento del consumatore è ampiamente prevedibile... anche se fa «zapping» da un canale all'altro. Prima o poi con il telecomando seleziona il programma che la Rai o la Fininvest sta mandando in onda e le probabilità di «essere beccato» sono molto alte.Il discorso si fa più complesso e meno scontato quando le options su misura diventeranno cento o qualche centinaio. Gli utenti del futuro sistema televisivo saranno tendenzialmente più curiosi e utilizzeranno questo strumento anche e soprattutto per comunicare. La funzione attuale, di far passare molte ore del tempo libero a guardare passivamente i programmi, è destinata a ridimensionarsi notevolmente. Adesso un programma come Il dottor Stranamore è consíde-rato il prodotto vincente perché riesce a catturare l'attenzione di dieci milioni di persone, mentre l'imprenditore televisivo per realizzarlo investe un capitale veramente irrisorio con la sicurezza che il suo prodotto entrerà in dieci milioni di case. Se invece di solo dieci canali, esistono cento canali, di cui magari venti già opzionatí, e se gli utenti si muovono con grande facilità dallo sport alla cultura, dall'informazione al video on-line e utilizzano il televisore con grande disinvoltura, anche per decidere acquisti di beni personali come ad esempio un'automobile, le probabilità per un programma di raccogliere davanti allo schermo un pubblico numericamente consistente scendono a livelli di mínimo storico, tre o quattro se tutto va bene.Questo è un periodo congiunturale estremamente negativo dove l'industria deve fronteggiare problemi enormi. Anche il sistema distríbutivo commerciale dovrà fare i conti con l'apertura degli bard discount che si introducono nel mercato utilizzando canali comunicativi alternativi, mentre la televisione espandendo numericamente i suoi canali farà diminuire l'audience percentuale, per cui la pressione psicologica diminuirà. I produttori non potranno più contare su

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una pubblicità martellante e marche ora conosciutissime subiranno il destino di essere «una tra tante». Già adesso quando una famiglia va in giro per acquisti trova prodotti sconosciuti e li compra ugualmente, perché anche gli altri prodotti, quelli famosi, stanno diventando sconosciuti. In un sistema così congegnato vince Fkard discount e l'industria consegnerà i suoi prodotti alla distribuzione, dove le vendite seguiranno logiche non tradizionalmente pubblicitarie, così come è successo in quasi tutto il mondo; ad esempio in Svizzera l'industria è dell'Admigro... Solo i grandissimi colossi potranno reggere un impatto così forte.

Venezia, che ha certamente subito il confronto con città industriali o strutturate per essere tali come Torino o Milano, potrebbe ora ríscoprire un'opportunità dove prima vedeva un ostacolo nel suo essere città d'acqua e di terra e quindi luogo difficile da industrializzare. E' questa la sua opinione?

Certamente... Venezia non progetta il proprio futuro dalla fine dell'Ottocento, mentre nei primi anni del Novecento c'è stato solo qualche sporadico tentativo, ma nulla di veramente completo. Lo sviluppo di Mestre e Porto Marghera non sono esempi di sviluppo di cui vantarsi ed è comprensibile che l'impressione collettiva di Venezia sia quella di una città ferma al secolo scorso. I palazzi affacciati sul Canal Grande hanno assunto un'aria di decadenza, e questo è già un segno di paura verso il mondo nuovo, quello industriale. Ma allora, forse, bisogna saltare il Novecento, il secolo del materiale, dell'industria fordista (e forse Venezia non poteva affrontare proprio questo «materiale»), ed entrare con tranquillità nel secolo dell'era telematica, nel Duemila, dove il concetto di immateriale non è ancora totalmente definito, ma è comunque diverso da quanto si era immaginato negli anni settanta e ottanta.Nel passaggio dal fordismo al postfordismo Venezia forse tornerà a essere una città moderna, perché nei prosssimi anni le città ad alta industrializzazione soffriranno molto. Nella classifica degli uomini più ricchi del mondo, tra i primi cinque neanche uno è industriale, operano tutti nella comunicazione; sono tutti Pi perché è nel settore delle comunicazioni che si crea il valore aggiunto. Venezia è un ambiente favorevole allo sviluppo del postfordismo perché non è sindacalizzata come Milano o Torino, al contrario per sua natura è abitata da settantamila piccoli imprenditori, dato che fino a venti anni fa era vissuto come una grande negatívità mentre ora sarà il grande valore aggiunto di Venezia nei prossimi vent'anni.Fornisco due dati che, forse, potrà citare nel libro perché sono interessantù il primo, nel 1970 negli Stati Uniti la sindacalizzazione era pari al 60% della forza lavoro, a parte l'agricoltura; nel 1994 èscesa al 18%. Queste percentuali nel giro di dieci anni saranno realtà anche in Italia, mentre per ora nel nostro paese i sindacati raccolgono un consenso del 40%. Può costituire un confronto molto significativo lo sciopero indetto recentemente dai sindacati dove sono scesi in piazza quattro milioni di persone per bloccare una legge che in fondo è santa, quella sulle pensioni. Gli studi condotti sull'evoluzione tendenziale del sindacato nei prossimi dieci anni in Italia, anticipano la discesa della base sindacale al 20%.

A Venezia la base sindacale operaia è numericamente elevata, ma il declino in Italia della classe operaia come classe egemone dal punto di vista quantitativo è stato annunciato da Paolo Sylos-Labini già molti annifa. A livello pratico, quali cambiamenti può provocare questo fattore in una città come Venezia? E quale sarà il vero fattore che agirà negativamente sulla rappresentatività del sindacato?

La base sindacale scenderà al 20% non a causa della scomparsa della classe operaia, ma al contrario perché i sindacati perderanno progressivamente la loro forza aggregatrice. La grande mutazione sociale in atto porta alla frantumazione delle classi, alla riduzione degli occupati nel settore dell'industria, quindi meno operai, mentre tenderà a crescere un raggruppamento eterogeneo di lavoratori con livelli di reddito medio, che sfrutteranno le possibilità di sviluppo di mestieri che una volta erano considerati sottosviluppati, così come succede in America. Per Venezia, mí riferisco ai mestieri classici dei veneziani come il gondoliere, il cameriere, il bancarellista... e la rivalutazione di questi mestieri darà alla città la libertà del mercato, perché sono aree lavorative non condizionate da strutture dirigistiche, quest'ultime quasi sempre politiche.Nel 1970 negli Stati Uniti c'erano due milioni e mezzo di occupati nell'industria siderurgica e cinquantamila nell'industria del fast food. Nel 1994 sono sei milioni e mezzo nel fast food e duecentocinquantamila nella siderurgica, questa è la trasformazione. I lavoratori impiegati nei servizi e nelle comunicazioni non cercano appoggi sindacali, il loro obiettivo è tagliato su misura per il tipo di lavoro che fanno, appunto autonomo: vogliono guadagnare soldi nella maniera più libera possibile e in quantità sempre crescenti... In fin dei conti questo è il sistema economico egemone a Venezia, solo che èdisorganizzato.

Certo, va organi Zzato ma non abbandonato alla de-regolamentazione. In quest'ottica e a conclusione del ciclo iniziato nel '91, Giuseppe De Rita, dopo quattro annidi attraversamento delle problematiche di Venezia, torna al vecchio grande problema «priVatizzare Venezia», cioè capire quali sono i soggetti chiamati a concertare un piano di sviluppoper la città e quale può essere il ruolo dei privati. Ma mentre il termine «privatizzare» può sembrare uno slogan come tanti, una campagna pubblicitaria..., al contrario, intervenire su una città richiede certamente un approccio particolare, un atteggiamento filosofico non una fredda politica commerciale. Quale significato attibuisce al termine «privatizzazione»?

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Lavorare su Venezia nei termini di «privatizzazione» va inteso, secondo me, in senso provocatorio, anche se ho l'impressione che colga in pieno l'essenza dei cambiamenti del mondo futuro. Forse però per Venezia bisogna essere più cauti perché, a parer mio, questa città non è nemmeno un patrimonio italiano, ma della cultura, frutto di scambi mondiali, scambi sicuramente europei. Ecco perché credo che Giuseppe De Rita stia percorrendo una strada giusta, anche se emerge sempre una forma di scetticismo generalizzato ogni qual volta si tocchi Venezia. Come prima reazione, di solito, si scatena una rivoluzione locale, perché i veneziani per principio preferiscono chiudere i problemi in un cassetto, piuttosto che affrontare il minimo rischio. Meglio una Venezia che degrada nel giro di due secoli, piutto-sto che correre il rischio di modificare qualcosa. Modificare cosa? Le connotazíoni o qualsiasi altra cosa... ma, purtroppo, penso che la difficoltà maggiore vada ricercata nella indeterminatezza, nella mancanza di una qualsiasi scelta che metta in moto anche un seppur minimo processo di cambiamento a Venezia. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: una paralisi generale.Secondo me, la città soffre per l'assenza di leadership che dopo gli anni cinquanta e sessanta si sono affievolite moltissimo, mentre un processo inverso si è verificato in quasi tutto il mondo. Venezia nutre una grande diffidenza per tutto ciò che viene da fuori, perché esiste il pregiudizio verso lo straniero che investe in questa città; si dice «solo per prendere e non per dare»... anche se qualche volta i motivi per pensare male erano fondati, ma non sempre.A questo punto però, credo, che per la città lagunare sia arrivato il momento di progettare seriamente il proprio futuro e passare dal piano delle idee a quelli della concretezza attraverso un lavoro coordinato tra le forze politiche, il Comune, la Regione, il governo centrale e i rappresentanti ideali delle varie aree d'intervento su cui puntare per la rinascita della città.

Nella ricerca di una strategia di sviluppo per Venezia come si inserisce la proposta di istituire l'Agenzia per Venezia Spa, dove però il discorso della salvaguardia pare essere ancora egemone e non propriamente collegato a un piano di sviluppo coordinato, mentre il ruolo del, privati sembra ancora incerto. Secondo lei, l'istituzione dell'Agenzia per Venezia è importante?

Se l'idea di Venezia e l'idea del governo italiano è quella di lavorare sulla città con una strategia di sviluppo con ricadute anche a breve termine, penso che sarà necessario reperire risorse mondiali. Ultalia non può affrontare da sola il problema di innescare un processo di sviluppo rapido per Venezia, mentre se la prospettiva delle attese si sposta di oltre vent'anni, allora la situazione cambia.U Agenzia per Venezia Spa, che attualmente è solo una proposta, dovrebbe costituirsi come polo di coagulo degli interessi locali con quelli nazionali e probabilmente può essere considerato il primo passo, non verso la privatizzazíone, ma verso la focalizzazione dello stato, di avanzamento di lavori e progettazioni che riguardano Vene-zia. E un passo molto importante, perché il passo successivo potrà essere anche la privatizzazione o l'accelerazione di alcune privatizzazíoni, o anche di joint venture fra pubblico e privato che personalmente giudico la soluzione più

percorribile per Venezia. Il sistema legislativo italiano è molto rigido e in questo campo non è applicabile la logica di un cambiamento improvviso. Al contrario, però è possibile incorporare progressivamente il meccanismo in una logica di mercato perché, oggi, anche il settore pubblico è ormai destinato a vivere nel mercato, pena la scomparsa o la sopravvivenza ai minimi livelli. Questa è la realtà.

Lavorare su Venezia deve partire però da un presupposto fondamentale: definire la figura di un imprenditore che sappia essere progettista, ossia che produca anche «socialità», ossia nuove forme di relazione intersoggetti . va... Infatti l'opportunità del progettista imprenditore esiste per due fattori: la fine delfordismo e il dispiegarsi del postfordísmo e il lavoro autonomo, che va dal cameriere al professionista all'esperto di turismo integrato e così via... Produrre socialità a Venezia signífica evitare che i lavoratori autonomidiventino una corporazione di resistenza anziché una corporazione in grado di mutare il declino della città.Per concludere, Venezia 2000 deve chiudere i battentioppure no? Se non li chiude, è valida l'ipotesi difarne una cabina di regia del' privati che metta a rete il sistema finanziario ora in difficoltà e incentivi il dialogo con il pubblico? Un commento su questi due punti.

Volendo commentare velocemente queste ipotesi, credo che l'idea di assegnare all'Associazione Venezia 2000 il ruolo di cabina di coordinamento, e quindi anche di regia, meriti di essere sostenuta, anche perché abbandonare Venezia in questo momento, secondo me, sarebbe un errore. Alla città, fra poco, probabilmente sarà riservata un'at-tenzione che da diversi decenni non le veniva concessa. E' necessario valutare quali siano le aree su cui puntare, pianificare un loro sviluppo integrato e poi individuare un gruppo di soggetti che lavorino con un'ottica da progettistí-ímprenditori sulla Venezia del Duemíla, un gruppo che possa affiancare il soggetto pubblico ai privati.In caso contrario, se gli sviluppi futuri non consentiranno di seguire questa direzione, pazienza e, comunque, andrei avanti con logiche più culturali e meno progettualí. Le aree d'intervento che possono essere individuate per lo sviluppo, qualunque esse siano, Arsenale, Tronchetto, aeroporto, Zitelle..., possono anche rivelare un'assenza di rappresentanti di spicco, e quindi potrebbe nascere l'esigenza di lavorare sul tempo per coagulare il pensiero, definire una strategia, oltre che i modi di esecuzione. Sarebbe opportuno collegare l'azione progettuale a quella che sarà l'Agenzia per Venezia, verificando anche il ruolo del Consorzio Venezia Nuova, del Comune, della Regione. La creazione dell'Agenzia per Venezia serve per rendere tangibile la presenza e l'interesse del governo per la laguna e la sua città. L'approccio deve essere steso su un orizzonte a 360 gradi, altrimenti non serve a niente, bisogna affrontarlo

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complessivamente in modo integrato: il porto, l'aeroporto, lo stadio, lo sport, l'Arsenale, il Lido, il cinema, le Zitelle, la Biennale, il Mulino Stucky, i musei, le Procuratíe ... Ma tutto, con una strategia generale, perché se si affrontano i pezzi singolarmente, il rischio di trovarsi nelle mani un mostro è più che reale.

Roma, 30 novembre 1994

7) IL PROGETTISTA IMPRENDITORE CHE STA AGLI ACCESSI DELLA CITTA'

7.1) AEROPORTO MARCO POLO DI VENEZIA - GIANNI PELLICANI

La Save Marco Polo Spa è la società che gestisce l'aeroporto di Venezia, di cui lei è presidente. Può presentare brevemente come si è costituíta questa società e quali sono 1 soggetti che ne detengono le azioni?

La società aeroportuale gestisce l'aeroporto di Venezia in concessione mentre la titolarità dell'aeroporto appartiene al Ministero dei trasporti. Quest'aeroporto originariamente era in concessione al Provveditorato al porto, che ha provveduto a costruire la pista, la prima stazione passeggeri e a strutturare l'impianto aeroportuale. Questa reminiscenza potrebbe anche apparire inutile, ma non lo è, perché la traccia della prima gestione esiste tuttora nell'organizzazione del lavoro, dei costi e nella struttura stessa, molto simile a quella del porto, con conseguenze negative da eliminare.La Save si è costituita in forma privatistica come società per azioni a maggioranza pubblica detenuta da Comune, Provincia e Regione per il 51% e singolarmente per ciascuno con il 17%. A questi soggetti pubblici va aggiunto anche l'ente originario, il Provveditorato al porto, che detiene fino al 31 dicembre il 10%, mentre la quota rimanente sono partecipazioni simboliche dei comuni dell'area metropolitana e della Camera di commercio. Infine c'è anche una quota privata, propriamente detta, del 30% costituita da operatori nei settori del turismo e marittimo, ma tale presenza non è sufficiente in quanto non rappresenta tutti i settori economici della città.

Cosa intende per poco rappresentativa dei settori economici della città ?

Non ci sono gli industriali. La Camera di commercio invece, in quanto rappresentativa di tutte le categorie imprenditoriali della città, dovrebbe avere una presenza più rilevante di quella attuale. Purtroppo il turistico e l'alberghiero sono gli unici settori espressione dell'imprenditorialità veneziana, a cui si affianca timidamente ciò che è rimasto del settore marittimo. Infatti quest'ultimo non ha il peso che potrebbe avere, o avrebbe dovuto avere, dato che anche in questo campo le attività economiche della città hanno subito un forte restringimento. Quindi, parlare di imprenditoria nel sistema economico veneziano è molto fuorviante, data la sua sostanziale assenza.

Recentemente è stato firmato il decreto ministeriale che assegna alla Save iprími fondi per la nuova aerostazione a Tessera, mentre nel programma di rifacimento che investe l'aeroporto veneziano rientra anche l'accordo tra la società e Linea Sole di Ligabue per la costruzione di un nuovo catering. Questo accordo è importante perché mette in re-lazione due soggetti, pubblico e privato, tradizionalmente separati nel loro operare. Cosa può significare per Venezia questo accordo, le cui basi era state poste già nel 1992?

La società aeroportuale aveva subconcesso il catering esistente alla Ligabue Spa, mentre il nuovo stabilimento nasce dafl'accordo fra le due parti e verrà realizzato dalla Linea aeroportuale Sole con la partecipazione della Save, sia pure minoritaria in quanto con le nuove direttive Cee le attività accessorie come quelle defl'índotto, a cui prima provvedeva la società pubblica come in qualsiasi aeroporto, verranno sempre più liberalizzate. Per questo motivo è importante consentire anche al privato di entrare seriamente nella realizzazione del piano regolatore del nuovo aeroporto, il Master Plan, che esiste ed è stato parzialmente approvato anche se è tuttora all'esarne del Ministero dei trasporti. Questo piano dovrebbe fare dell'aeroporto di Tessera la prima porta per Venezia, incentivando forti e consistenti investimenti su tutto il territorio a esso limitrofo.

Quali sono gli interventi previsti' dal progetto di rifacímento che consentiranno di rilanciare il sistema aeroportuale essenziale non solo per Venezia ma anche per l'intera area metropolitana di Padova e Treviso, e quale sarà l'indotto?

Quest'accordo pubblico-prívato è un tassello di un piano aeroportuale i cui pilastri fondamentali sono: il rifacimento delle piste, che verrano finalmente appaltate in questi mesi per un costo di circa 50 miliardi; la realizzazione della nuova aerostazione per un importo di circa 140 miliardi, per un primo modulo di tre milioni di passeggeri e di quattro milioni e mezzo per il secondo. Una superficie di 33 mila metri quadri che cambia letteralmente non solo la visione dell'aeroporto ma il suo ruolo, perché una nuova stazione significa anche una diversa animazione e un diverso rapporto costi-ricavi. Infatti, anziché dipendere completamente dai diritti aeroportualí, con il nuovo sistema si potrà

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riequilibrare questo rapporto finanziario utilizzando canali commerciali. Il che vuol dire impostare una politica di spese diversa da quella attuale e mettersi in sintonia con tutta la normativa europea e italiana, che prevede, ad esempio, l'autogestione o la riduzione dei servizi a terra.Con il rifacimento delle piste insieme al miglioramento della visibilità si può dare un abbrivo nuovo a tutta l'attività aeroportuale e in parte reimpostarla. L'obiettivo della società è di completare anche il parcheggio multipiano, rimasto bloccato a seguito di una serie di traversie collegate alla recente storia d'Italia, alla storia della sua burocrazia e dei suoi meccanismi, del costume politico e amministrativo... Non vorrei usare il termine «tangentopoli» ma ora qui è tutto fermo, mentre i progetti compiono vent'anni. In questo arco di tempo le licenze sono state rilasciate a vario titolo e ragione, i progetti fatti e rifatti più volte, spostati e ingialliti sulle carte, le tecnologie invecchiate nelle stanze dei ministeri, mentre nessun'opera ha visto la luce.Spesso si dice che mancano i soldi. Non è vero ... i soldi ci sono e si trovano e, così come ci sono capitali pubblici modesti, esistono capitali privati in abbondanza che possono essere convogliati intorno all'aeroporto, struttura dotata di una capacità di adduzione, di indotto finora sottovalutata. Nel Master Plan tutto questo è previsto: l'indotto alberghiero, congressuale... Venezia può prendere come modello l'aeroporto di Lione e, come c'è in qualsiasi aeroporto del mondo, dovrà cominciare a fare un elenco dei servizi necessari, delle attività accessorie. Lindotto non è solo quello prodotto dagli attuali dipendenti della società, circa cinquecento e che svolgono varie mansioni da quella impiegatizia a quella dell'accettazione, a quella dei servizi a terra e via di seguito, ma ci sono altre ottocento persone che lavorano nel catering, nella polizia, nella finanza, nella sorveglianza, nei controllori di volo, in Civilavia ecc.

Poi c'è la seconda cintura: gli spedizionieri, alberghi, i ristoranti...

Quindi, l'obiettiVo è di standardizzare i servizi offerti dall'aeroporto e conferire all'infrastruttura un livello europeo...

Noi siamo pronti. Questa è la prima fase, mentre la successiva si potrà aprire fra poco. Perché dico fra poco? Perché abbiamo uno stabilimento catering che è già stato appaltato, una piccola cosa rispetto al complesso dei 500 miliardi di investimento, ma è un segnale. Le piste saranno appaltate e i lavori permetteranno sia la sostituzione dell'attuale impianto voli notturni sia l'operativítà delle apparecchiature moderne già in dotazione alla società. Per quanto riguarda l'aerostazione, mi auguro, che entro due-tre mesi ottenga le autorizzazioni per avviare l'appalto nei primi mesi del '96.Nel Duemila, l'anno del Giubileo, si prevede l'arrivo di 35 milíorii di turisti in Italia e quindi sarà necessario prevedere un sistema d'accoglienza organizzato. Un sistema che mette in movimento a sua volta altre situazioni, perché va correlato con la prevista metropolítana in superficie che consentirà all'aeroporto di sfruttare i sei chilometri di ferrovia per mettersi in rete con i più moderni aeroporti d'Europa. Nella rete ferroviaria dell'Italia settentrionale (Trieste, Udine, Treviso, Tarvísio, la Germania, Milano, Bologna), Mestre èun punto nevralgico, soprattutto come nodo di smistamento ferroviario per tutto il Nord-Est mentre l'aeroporto può diventare uno dei perni del sistema Nord-Est incardinato a sua volta su Venezia, Padova e Trevíso. Spero che la prospettiva di integrare i due aeroporti, Venezia e Treviso, possa sfociare in un piano aeroportuale impostato su due piste e specializzando anche le sue aree...

Nella rete degli aeroporti italiani Venezia sta consolidando il suo ruolo rispetto al sistema aeroportuale del Nord-Est, incernierato anche su Verona, Treviso e Ronchi dei Legionari. Qual è la specializzazíone prevista per il Marco Polo di Tessera e il San Gíuseppe a Quinto di Treviso?

E' un punto ancora oggetto di valutazione e studio. Penso che Venezia fungerà da centro di collegamento con tutta l'Europa. Non sarà un aeroporto intercontinentale diretto, perché questo ruolo per legge è riservato a Milano e a Roma, ma di fatto lo è già in quanto da Venezia si va a Londra, Francoforte, Parigi e da li si rimbalza dove si vuole, a volte in modo più comodo o, comunque, non meno comodo delle linee che partono da Milano e Roma. A volte i tre scali offrono le stesse opportunità.Venezia potrà bilanciare il traffico che converge sull'aeroporto Marco Polo, quasi due milioni di passeggeri, e sviluppare il settore dei voli charter dirottando questo flusso sulla struttura di Treviso e collegandolo a rete con il traffico croceristico del porto veneziano. Questo smistamento Può evitare le interferenze negative con il traffico d'affari, di lavoro, estero e interno, soprattutto in alcuni periodi dell'anno.In sostanza, esistono tutti i presupposti per mettere in movimen,to non l'ente pubblico, ma capitali e forze private e, in questa prospettiva, si pone il problema della privatizzazione dell'aeroporto, della società di gestione. La privatizzazione è prevista dalle leggi ma, come succede spesso nel nostro sistema legislativo, si prevede fino a un certo punto, poi manca il passo finale che non consente di completare l'itinerario. Ma se è chiaro che un'iniziativa di queste dimensioni richiede la presenza di capitale privato, è altrettanto ovvio che l'ingresso del capitale privato deve essere regolamentato all'intemo di un quadro legislativo diverso. Oggi le concessioni sono ventennali, nessun privato investe se non ha la garanzia di un ritorno minimo. Quindi il processo di privatizzazione della Banca Commerciale, dell'Ina ecc. deve essere portato a termine con regole chiare. è la coda di un discorso lungo, iniziato già molto tempo fa, e spero che arrivi a buon fine.

Oltre al Marco Polo di Tessera, Venezia ha anche un altro aeroporto quello di San Nicolò al Lido, a cuiDaniele Del Giudice ha dedicato una serie di raccontinel suo Staccando l'ombra da terra. Entrambi gli aeroportisono in faccia alla

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laguna ma costituiscono due punti d'accesso alla città storica molto particolari, ilprimo dalla terraferma, il secondo dal mare.

Sono d'accordo con lo scrittore Del Giudice quando afferma che l'aeroporto sia uno dei mondi più complessi che racchiude, allo stesso tempo, anche il fascino di un «miracolo», l'aereo. E' una specie di miracolo, un microcosmo con una puntualità al di là del tabellone, nel senso che in quel minuto atterra e in quel minuto parte, mentre la torre di controllo gli assegna la direzione nel cielo... E in quella stessa torre ci sono due poteri - il controllore di volo e Civilavia - mentre per ogni aereo che decolla e atterra ci sono almeno dodici enti che seguono l'operazione: polizia, finanza, vígili del fuoco, controllori di volo...Comunque i due aeroporti veneziani sono molto diversi: da San Nícolò si alzano in volo gli aeroplani leggeri, mentre da Tessera quelli di linea. Il primo è per coloro che vogliono guardare e raccontare Venezia dall'alto, come Daniele Del Giudice, il secondo è per chi arriva a Venezia da lontano, per affari, per turismo... L'aeroporto del Lido è stato costruito negli anni trenta, ha la pista in erba ed è stato lo scalo veneziano fino agli anni cinquanta, quando è sorta la struttura di Tessera. Ma soprattutto per quest'ultima, l'area in cui sorge èinteressante non solo per le ricadute benefiche sull'immediato contesto, ma proprio per la natura stessa del luogo: in fronte laguna. Il terminal di Tessera sarà uno dei terminali di Venezia e osservando la carta della città storica si può comprende come tutta la zona posta a est, le Fondamente Nuove, l'area dei Gesuati, e così via, sarà collegata direttamente non solo con la terraferma ma anche con l'isola di Murano, che entrerà così in rete.

Secondo lei, esiste un problema residenziale a Venezia? Come valuta la scomparsa dal mercato della casa nel centro storico di una fetta consistente del patrimonio immobiliare? A Venezia íljenomeno delle seconde case o delle case sfitte ha raggiunto livelli abbastanza accentuati, mentre gli spazi destinati al turismo sembrano soffrire meno di questa situazione...

Non mi pare che l'attività economica abbia tolto capacità residenziale a Venezia, piuttosto direi che c'è una perdita secca in tutte e due le direzioni, nella residenza e nell'economía, e che i due fattori sono collegatí. L'economia era destinata ad entrare in crisi e prova ne sia il Mulino Stucky, chiuso nel 1955 anche per A mancato adeguamento tecnologico, l'assenza di una qualsiasi attività produttiva sostitutiva. La caduta economica ha prodotto il degrado e la perdita di popolazione è la conseguenza simmetrica di questo fattore. Quindi il motivo fondante dell'esodo non è solo il costo molto elevato delle case, ma è anche questo. Molti gondolieri o portuali abitano in terraferma e, sinceramente, mi pare il massimo della contraddizione. Il gondoliere dovrebbe assomigliare afl'uomo acquatico di cui parlava Cassíodoro, invece è un ibrido. Allo stesso modo anche il porto si è trasferito in terraferma, lasciando a Venezia l'ufficio. Questo significa emorragia di attività economiche.E ora, come sostituiamo tutto questo? 2 il più grande punto interrogativo. Una critica di fondo alla gestione portuale mi pare che sia d'obbligo, ma anche un'autocritica è altrettanto dovuta. Dal 1955 in poi non è successo niente, mentre fino a metà secolo Venezia ha progettato se stessa: Marghera, il ponte translagunare, la pista di un aeroporto.Sono mancati i grandi eventi che, in qualche modo, possono trasformarsi in volano.

Con il termine «grande evento» comprende anche l'esperienza Expo? Qual è il suo giudizio?

I limiti dell'Expo mi piace riassumerli con una sola immagine: l'elefante che entra in un negozio di vetri pregiati... Mi pare che renda l'idea.L'Expo voleva mettere in movimento un motore - e l'idea era giusta - ma è discutibile il modo in cui voleva farlo e soprattutto a fatto che volesse farlo da sola. La macchina delle attività economiche può essere rimessa in moto, ma con altri metodi.

Quali sono i progetti sull'esistente che possono rimettere in moto la macchina dell'imprenditorialità veneziana? Me li può indicare in ordine gerarchico, secondo il suo punto di vista?

Prima di tutto la salvaguardia. La discussione attuale è: si fa o non si fa la bocca di porto? Adesso non voglio entrare nel merito, ma se non si fanno le bocche di porto bisogna fare altri interventi per proteggere Venezia dalle acque alte, valutando le conseguenze sulla situazione economica. La situazione attuale richiede trasformazioni dell'esistente e assomiglia molto a quella che ha caratterizzato gli anní venti. E' necessario cogliere la grande opportunità offerta dalle dieci aree strategiche, i dieci magneti che potranno rimettere in moto lo sviluppo a Venezia: l'ammodernamento del porto, il rifacimento di Porto Marghera, la riorganizzazione produttiva della laguna sud, la laguna nord con l'aeroporto, la ristrutturazione dei duecento ettari dell'ex porto a Venezia est... Neanche Manhattan è così pregiata come l'ex porto di Venezia est.Il vecchio porto, le Zattere, l'area di San Basilio sono in parte spazi da riorganizzare, mentre il Cotonificio veneziano, grande come il Lingotto torinese, è stato già ristrutturato. Poi c'è l'Arsenale, il Mulino Stucky che dovrebbe ospitare un mix di funzioni, palazzo di congressi, residenza e albergo.La lista non è finita: c'è anche l'università. Bisogna bilanciare la residenza universitaria, per evitare conflitti con la residenza tout court, per evitare che si consolidi la regola del posto-letto affittato per un milione al mese. Le uniche facce giovani che girano in questa città sono quelle degli studenti, a eccezione di pochi superstiti della stirpe, che fra

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l'altro non c'è più. Ma la popolazione universitaria a Venezia è anche un elemento dinamico e necessita di una strategia per questo tipo di residenza.... E che dire della Biennale? La Biennale è ancora una grande struttura, che certamente va ripensata, ridefinita, riusata... tra poco si compie il centenario. E i giardini? ... La Biennale era produzione di cultura ma ora non lo è più.Questi sono i grandi eventi.Infine resta il grande motore nuovo di questa città: la città museo... Che strano termine! ... sembra una parolaccia, ma in realtà cos'è? La città museo se concepita come città museo diffuso significa penetrare nel sistema nervoso della città, mettere in rete molte iniziative. Quali? Mah, ad esempio, l'isolato del Ridotto in calle Vallaresso acquistato da Benetton e altri ancora...Questa realtà - e qui riprendo la considerazione che facevo all'inizio - va messa in moto dando il via ai progetti pronti, come l'aeroporto, lo Stucky... bisogna andare avanti. Certo, liberando queste energie si possono correre anche dei rischi, ma vale la pena di correrli, però senza sottovalutare l'eventuale sconvolgimento che ne puo derivare a livello sia economico sia sociale... Chi si deve preoccupare di armonizzare questi cambiamenti? Naturalmente l'ente pubblico che. detenendo il 30% di proprietà nella residenza, può proteggere le fasce più deboli e indurre il mercato ad assestarsi all'interno di regole che valgono per tutti, qui come nel resto d'Italia.

Ilsoggetto pubblico ba solo il compito diproteggere lefasce deboli? Quali altri' ruoli può o dovrebbe ricoprire in un processo di rinascita della città?

Deve indirizzare e regolare ma anche controllare, dare nuove regole. Ad esempio, se per le altane si consentisse l'uso residenziale gli abitanti, probabilmente, aumenterebbero di trentamila unità, perché c'è una soglia in cui la città non è più città. Venezia per vivere deve acquisire nuovi residenti, non basta restaurare qualche facciata. Chi saranno i suoi abitanti? Senza attività economiche, senza l'investimento di capitali la città non rinascerà. Eppure questo può essere un momento virtuoso, i capitali che vogliono investire sulla città ci sono, non per speculare ma per creare nuove opportunità.Intanto il tempo passa e il «Grande Piano» non arriva e, forse, non arriverà mai... Cosa fare? Procedere all'interno di alcune idee guida e mettere in moto quello che c'è... E' rischioso? Può essere, ma per lo meno succede qualcosa... Prestiamo comunque molta attenzione: che rischi si corrono intervenendo sullo Stucky, in calle Vallaresso, alle Zitelle? Certamente si miglíora la situazione, si riqualificano le aree, si mettono a sistema e si collegano fra di loro. Interventi simili hanno già dato risultati positivi a Venezia stessa. Cosa è successo attorno all'ex Cotonificio, per esempio? Dopo l'insediamento dell'università sono state aperte trattorie, negozi di cancelleria, di strumentazione tecnica...E se ce ne sono dieci di interventi come questo, cosa succederà? Non lo so, probabilmente qualcosa di simile.

Venezia può competere su che cosa e con chi? Che cosa intende lei per competizione tra città?

Non condivido l'idea della competizione, ma quella di affermare il proprio ruolo. Venezia su alcuni punti non ha contendenti e il suo destino è segnato, perché è incomparabile.Semmai la competizione va pensata non tra città, ma tra modelli di città. Milano e Venezia sono due modelli diversi. Sotto tanti punti di vista la città lagunare può diventare un laboratorio eccezionale di modello urbano: per la qualità della residenza, dei sistemi infrastrutturali della mobilità, dell'ambiente lagunare che è incomparabile.

Ma questa qualità non ba ancora raggiunto livelli standard..

Ma può competere. Per questo dicevo prima che bisogna intendersi sul termine «competizíone». Il modello veneto ha portato con sé alcuni vantaggi, non solo sul piano economico, in quanto è un esempio di simbiosi riuscita tra sviluppo industriale e agricolo, dove la neoffidustrializzazione di piccola scala si è coniugata con una struttura culturale molto radicata. Parlare di concorrenza fra città èpossibile solo se ognuna di esse ha un aeroporto, un porto... ma applicare un ragionamento simile non avrebbe senso. Il Veneto è un territorio sostanzialmente omogeneo sotto molti punti di vista e, secondo me, un sistema competítivo in quest'area può lavorare solo a livello metropolitano.Ad esempio, nel sistema aeroportuale Venezia-Treviso il fulcro èVenezia anche per ragioni storiche, per l'interporto invece è Padova e Verona, per A porto è Venezia. Bisogna partire dalla divisione delle funzioni e dalla loro connessione. Venezia comunque è dotata di una forte capacità attrattiva per tutto il Nord-Est che le altre città non hanno.

E il rapporto con Trieste? con il porto giuliano e con l'aeroporto di Ronchi dei Legionari? Le dinamiche in atto rilevano che il numero dei voli che si appoggiano allo scalo goriziano sono in riduzione, mentre il porto triestino pare soffrire meno per la vicinanza del porto veneziano.

Ronchi è certamente penalizzato ma la ferrovia e l'autostrada gli garantiscono un rapporto di connessione e di strategie con Venezia, la cui priorità è fuori discussione.I due porti invece si svilupperanno su settori diversi, è una linea di tendenza già prevista. Trieste presenta vantaggi che Venezia non ha, come ad esempio i fondali alti, ma molto dipenderà dalle decisioni future. Personalmente

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eliminerei il traffico petroli nella laguna perché sono convinto che il petrolio sia un costo sotto tutti gli aspetti, è una pseudo- ricchezza. Comunque un piano di riordino di tutta l'attività lagunare potrà assegnare a ciascuna area un ruolo preciso. Anche l'export di Porto Marghera e il porto commerciale, che ha raggiunto in questi ultimi due anni un traffico di sei milioni di tonnellate, andrà valutato nelle sue potenzialità.

Ilfatto che a Venezia ci siano tre livelli, quello regionale amministrativo, nazionale terziario, internazionale prevalentemente culturale, è una realtà che può essere sfruttata per creare nuove identità o è limite allo sviluppo di una nuova Venezia?

No, bisogna rimodellare questi livelli. Quello internazionale potrebbe essere un'opportunità, perché Venezia è una città ideale per essere città istituzionale dell'Europa. Ma ínternazionalità non significa essere una vetrina illuminata e affacciata sull'Europa per dieci giorni e poi il buio per il resto dell'anno, né il turismo va demonizzato o santificato.Gli altri livelli vanno definiti. Le autonomie locali devono essere liberate fino in fondo, ridefinendone i compiti e i limiti in base a un sistema statale anch'esso ridisegnato.Il problema comunque non e veneziano, ma nazionale. Forse Venezía soffre più di altre città e la pesantezza, la difficoltà, di intervenire nella città lagunare è oggettiva, ma non va esasperata. Come presidente di questo aeroporto, posso dire che da vent'anni c'è un progetto per la nuova stazione, che è cambiato sei volte ed è ancora sulla carta.Con questo ritmo dove vogliamo andare?

Nell'Europa delle regioni o delle nazioni? Un commento.

Solo i saggi si pronunziano su questo, ma credo che quest'Europa sia ancora delle nazioni. Con questi chiari di luna, con queste spinte etniche che vengono addirittura a livello municipale... Ma non si può rispondere in pochi minuti, la domanda richiederebbe un discorso a sé. Una cosa è sicura: l'Europa non può supplire i compiti di una nazione.

All'interno del processo d'innovazione d'impresa quali sono le aspettative sulla creazione di nuova socialità, cioè un nuovo tipo di residente, un nuovo tipo di abitante che usa Venezia ma usa anche il Nord-Est... Ossia, queste innovazioni portano coesione sociale, nuovi modelli di comportamenti, nuovi saperi, una produzione materiale o immateriale?

Saperi ne portano certamente, ma saperi nuovi. La produzione immateriale è molto compatibile con Venezia e probabilmente si apre anche un capitolo nuovo, ma - ripeto - il discorso non va fatto con leggerezza. I grandi parchi tecnologici non nascono dappertutto, ma solo a ridosso di produzioni. La Silicon Valley non nasce come isola, ma innestata in un sistema che la sostiene, la produce, la richiede, adduce e induce, mette in moto un sistema. Venezia è anche al centro e a ridosso di un sistema produttivo forte dove A Nord-Est e il Veneto in modo particolare sono, per certi aspetti, quello che era il triangolo industriale negli anni cinquanta sul lato ovest. Nel NordEst c'è il tasso di crescita più alto, un export forte e la possibilità di collegarsi con l'Europa. In questo contesto è molto importante favo-rire lo sviluppo di nuovi saperi economici perché con esso si innesca anche l'innovazione sociale.Anche il sociale sta cambiando. Il giorno in cui affermiamo che non tutto deve essere dello Stato, gli attori chi sono? Saranno dei nuovi soggetti, nasceranno nuove professioni... Se si pensa anche solo alle innovazioni offerte dalla telematica lo scenario delle opportunítà è veramente impressionante. La Sip sta sviluppando l'assistenza telematica e, per una città come Venezía dove peraltro vengono eliminati i presidi dalle isole, poter usufruire di un servizio simile di-venta un fatto essenziale e avvenirístico. Uinnovazione sociale è un campo nuovo che si apre agli investimenti del privato, del resto già individuato da alcuni grossi imprenditori. Anche il volontariato, quello che produce servizi ad esempio agli anziani, nel campo dell'assistenza ospedaliera, infermieristica... migliorerà la sua produzione. All'inizio comincia sempre un po' sotto tono, ma con l'andar del tempo si organizza, fornendo servizi sempre più sofisticati... C'è tutta una prateria da esplorare.

Si possono trarre insegnamentí dai modelli imprenditoriali del passato, come Olivetti, o attuali come Marzotto, Dioguardi, per la produzione di socialità?

Non ci sono, ma possono emergere in aree totalmente diverse. Lei ha citato due esempi, di cui uno veneto, Marzotto. Questo tentativo, fatto a volte in maniera discutibile, adesso viene rivalutato. Però non credo che questi modelli possano aiutarci, né quello di Olivetti, che pure è stato forse il migliore, né quello di Dioguardi con Tecnopolis ...

Secondo lei', il Nord-Est è già un modello culturale e di sperimentazione?

Penso di sì. Se il Veneto ha prodotto dieci leader, non in versione italiana, ma mondiali nel campo della produzione come Benetton, De Longhi, Stefanel, Del Vecchio, Zoppas e così via, significa che c'è una trama di supporto anche culturale, fatta di inventiva e capacità di spaziare, di individuare le nicchie di mercato e le specializzazioni più

compatibili con questo sistema territoriale. P probabile che quest'imprenditorialítà si riversi beneficamente anche nel campo dellìnnovazione sociale perché c'è un bisogno di interconnessione scientifica o sociale.

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Come valuta le esperienze a livello europeo di marketing urbano, condotte da gruppi di imprenditori, banáe, operatorijinanziarí, operatoripubblicí.. che individuano all'interno della città alcune aree libere o liberabili, ne riprogettano le funzioni e i rapporti con il tessuto urbano?Sono applicabili nel caso veneziano?

Possono essere utili, ma il problema è quello di far convergere i consensi verso opere da realizzare. Questo è il primo obiettivo. Qui c'è una cultura radicata del non-fare.

E questi consensi da qualefascia della popolazione devono proveníre? Oppure dovrebbe essere un consenso collettivo e in che senso va considerata la partecipazione dei cittadini?

Ormai il consenso c'è. E' il blocco burocratico che è preoccupante. Non siamo ai lacci e lacciuoli, siamo alla corda: tutti impiccati, ormai. Uinnovazíone nei sistemi infrastrutturali è un passo irrinunciabile per l'Italía, soprattutto rispetto alla Francia e alla Spagna che hanno già fatto il salto di qualità, per esempio con la realizzazionè del treno ad alta velocità, nelle reti, nella infrastrutturazione dei punti nodali, nei termínalí, nelle nuove stazioni. In Italia è ancora tutto fermo...

E il ruolo dei giovani in questo processo?

Spero che i giovani sappiano ritagliarsi un ruolo, che travolgano, che impongano regole. Non sto invocando il darwinismo sociale, economico e legislativo, sto invocando regole nuove, una riregolazione. In Inghilterra con il thatcherísmo non è avvenuta una deregulation, ma una «riregolazione». La strada da percorrere dovrebbe far tesoro della tradizione, rinnovamento e prudenza, una coniugazione che Venezia ha saputo custodire per realizzare opere importanti.

Venezia, 10 dicembre 1994

7.2) LIGABUE - GIANCARLO LIGABUE

La sua azienda lavora nel campo del catering, attività imprenditoriale a cui lei ba dedicato anche un libro Storia delle forniture navali. Può spiegare brevemente cosa signífica catering e come è nata la sua azienda?

Con il termine catering si intende il complesso delle operazioni per il rifornimento di cibi, bevande e simili effettuato da organizzazíoni specializzate nel settore della ristorazione e dell'alimentazione di bordo per aerei, navi, treni... è un mestiere che ha una sua tradizione storica, molto lunga se riferita a quello del fornitore navale e che nasce certamente con le potenze marinare anche, se, azzardando, alcuni lo fanno risalire all'antico impero egizio. è un settore imprenditoriale dotato di un fascino particolare perché richiede non solo conoscenze tecniche ma anche culturali, in quanto si inserisce nel mondo del viaggiatore, di colui che viaggiando conosce popoli con stili di vita, filosofie, religioni diverse. Non è solo un meccanico provvedere alle scorte, al modo di conservarle e di prepararle per la consumazione, ma è uno scambio continuo tra saperi diversi come storia, geografia, economia, chimica...Come è nata l'azienda? Ho rilevato l'azienda familiare, che già lavorava nel catering, quando mio padre è venuto a mancare ma all'epoca la mia formazione professionale aveva già subito il fascino della paleontologia, disciplina in cui sono laureato... Ho sfiorato la seconda laurea in economia e commercio ma, mio malgrado, fui costretto a interrompere gli studi perché l'attività imprenditoriale mi assorbiva quasi completamente. Tuttavia da questi studi e dagli ínnumerevoli viaggi intrapresi ho imparato ad apprezzare la complessità delle situazioni, naturali e antropologiche, e ho ereditato un metodo di indagine validissimo. Infatti, mi ha sempre incuriosito la possibilità di moltiplicare i punti di vista da cui osservare e capire i problemi dell'uomo, indipendentemente dalla loro natura fisiologica, morale o economica. Il connubío tra le varie discipline è diventato così il mio stile di vita e di lavoro, permettendomi di svolgere con la medesima curiosità e passione sia l'attività commerciale sia quella di paleontologo. Ho scritto anche un articolo, Eantropologo entra nell'azienda, sulla necessità di creare un'osmosi fra discipline diverse, approccio che amplia le vedute e fornisce soluzioni alternative diversificate. è importante seguire questa direzione d'indagine e suggerire a Venezia come mettere a frutto la sua vocazione internazionale di nodo di scambio, di uomini, merci, saperi, tecnologie...

Quindi la filosofia dell'azienda è basata sulla continua innovazione, anche tecnologica. Con quale obiettivo è stata avviata la realizzazione del nuovo catering all'aeroporto di Tessera?

Sì è vero, il mese scorso è stato posata la prima pietra del nuovo stabilimento catering all'aeroporto di Tessera, ma l'operazione era nata da un accordo di un paio d'anni fa con la Save, la società aeroportuale di Venezia, che aveva deciso di dare in gestione ai privati le attività accessorie, ossia quelle dell'indotto. Ora, dato l'aumento del 5 % del traffico aereo annuale e la prospettiva di una deregulation dei servizi e la conseguente libera concorrenza secondo le

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nuove direttive Cee, ai privati viene offerta l'opportunità di inserirsi operativamente e finanziariamente nella realizzazione del Master Plan che dovrebbe fare di Tessera la prima «porta» per Venezia. La realizzazione del nuovo stabilimento catering è quindi un anello all'interno di un'operazíone strategica per la città ben più complessa; strategia che può presentare anche un rientro economico per i privati che íntendono investire su Venezia, anche se attualmente sono l'unico soggetto privato a essere entrato nell'accordo con la Save.Dal punto di vista operativo il nuovo stabilimento catering sara una struttura in grado di fornire quattromila pasti per tredici compagnie aeree grazie all'utilizzo delle più moderne tecnologie del settore, dai laboratori di analisi al sistema computerizzato che attiva un collegamento a rete con gli scali di tutto il mondo per la gestione delle materie prime.

Recentemente ha dichiarato che per il rilancio di Venezia è necessario favorire l'insediamento di attività diversificate nella città e ha sottolineato, citando il poeta veneziano Mario Stefani, che «se Venezia non avesse il ponte, l'Europa sarebbe un'Isola »...

Eh sì, Stefani oltre a essere un bravo poeta è anche una persona molto simpatica e lo dimostrano questi versi. A volte bastano solo poche parole per spiegare il carattere di una città e questi brevi versi focalizzano la presunzione di Venezia di essere al centro del mondo, atteggiamento che da diverso tempo le crea qualche problema. Certo, non si può negare alla città la sua storia, il ruolo che ha saputo conquistarsi nel passato, ma la storia deve essere finalizzata soprattutto per capire le azioni umane, il pensiero posto alla base di queste, la filosofia che sorregge le scelte di un popolo e le opere materiali che costruisce. La storia ha una valenza progettuale da sfruttare, ma troppo spesso viene concepita come un libro al quale non si possono aggiungere pagine, mentre di quelle già scritte si studiano solo alcuni aspetti senza intraprendere studi «incrocíati» fra situazioni locali e prospettiva generale d'insieme.E purtroppo anche Venezia non è immune da questa distorsione interpretativa, a cui Mario Stefani cerca di dare visibilità criticavolendo anche sottolineare come i problemi di Venezia non vadano considerati solo nella loro matrice locale, ma rapportati a una visione più ampia, almeno europea.

Cos'è Venezia per lei?

La mia visione di Venezia ha una duplice origine. La prima è data dal fatto di essere veneziano da sessantatré anni e di aver vissuto profondamente la città. Tuttavia, il legame affettivo che mi unisce a essa non mi risparmia l'amarezza di osservare come i suoi abitanti da troppi anni cerchino senza successo di risolvere i problemi della città. Ma è anche vero che questa mia capacità di astrarre e di indagare il problema veneziano da angolazioni differenti deriva dal fatto di essere internazionale sia d'estrazione che di educazione. Questa è l'altra fonte della mio modo di percepire Venezia.Per tali motivi quest'anno mi sono impegnato politicamente per la prima volta e sto lavorando per presentare in Europa una Venezia in grado di prendere decisioni all'unisono e con convinzione, perché sono stanco delle innumerevoli tavole rotonde o quadrate, seminari e così via che periodicamente analizzano il problema «Venezia»... Si èparlato già troppo, adesso bisogna agire dando valore ai temi prioritari. Ma, ironia della sorte, è già un problema decidere quale sia a tema prioritario.Si discute moltissimo per individuarlo e delineare una strategia di sviluppo per la città, ma tutto viene subordinato erroneamente al problema della pulizia dei canali, considerato prioritario. Secondo me, non lo è perché è esíziale, non è strutturale bensil fisiologico. Volendo fare un esempio riferito alla qualità della vita, non si può definire l'atto del respirare un problema primario... No, è un problema fisiologico. Al contrario, se ci si ammala di febbre malarica o di una qualsiasi altra malattia, il problema della salute diventa prioritario, perché eccezionale e quindi va risolto con una terapia. In questo Senso il problema delle maree a Venezia è prioritario. Quest'ultime stanno aumentando sempre di più (e i dati registrati fin dall'inizio del secolo lo confermano) tanto che si prevede nel prossimo futuro un periodo glaciale o interglaciale, ma ancora non è sicuro. Gli scienziati affermano che per i prossimi vent'anni vi saranno grandi calori, grandi differenze, escursioni termiche... prevedono alluvioni, acque alte, forti venti, cumuli di nebbie e, di conseguenza, anche Venezia dovrà affrontare modifiche climatiche piuttosto consistenti nei prossimi trent'anni. E le può affrontare in due modi: o correndo ai ripari o con il laissezfaire. Tra le varie teorie veneziane vi è anche quella di qualche opinion leader locale, secondo cui, tutto sommato, l'acqua alta è il minore dei mali. In realtà a ogni acqua alta Venezia invecchia di un anno.Bisogna fare qualcosa... Che cosa? Non lo so. Non sono specializzato e non posso stabilire quale sia la migliore difesa dall'acqua alta, quella linciana o a pettine, o se esista qualche altro sistema più compatibile e opportuno...

Quindi, secondo lei, il problema è ambientale?

Il problema ambientale è un problema antropologico. Uantropizzazione avviene solo quando vi sono condizioni ambientali favorevoli. Ci sono zone del mondo che non sono abitate perché sono disumane da vivere, per il calore elevato, l'umidità insopportabile o altro, oppure sono abitate solo da popoli con un modo di vita altamente compatibile con questi territori.Anche per Venezia il problema prioritario è di tipo ambientale e si traduce in termini di esodo.

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Lesodo ha certamente radici ambientali, ma non solo... a meno che il termine «ambientale» vada inteso anche in senso lato.

Esattamente. Con questo termine non si intende solo l'ambiente climatico, ma anche l'esistenza di presupposti abitativi, economici, sociali, tali da consentire livelli qualitatívi adeguati ai parametri odierni, sia culturali che tecnici. In caso contrario, Venezia è destinata a essere una città abitata da vecchi. Il tetto di 150 mila abitanti si riferisce a un periodo in cui le persone vivevano anche nei locali al piano terra, e c'era un maggior adattamento dell'uomo a situazioni precarie. Oggi le persone non sono più disposte a vivere giustamente situazioni simili e la capacità abitativa della città si è abbassata a 80-90 mila abitanti. Ma è rimasto il problema dell'età media troppo alta...

Come considera il ruolo dei giovani rispetto al problema di Venezia ?

Il giovane è proiettato verso il futuro, a essere moderno, mentre Venezia è una città antica, ha tempi e logistíche preistoriche... I ragazzi hanno bisogno dell'autornobile ma la città storica non può soddisfare questa esigenza, punti di ritrovo adatti alle esigenze della gioventù non ce ne sono. Comunque la situazione può essere modificata perché i ragazzi che abitano ancora a Venezia sono capaci di grandi slanci d'amore verso questa città, anche se è così problematico viverci.

Secondo lei, cosa amano di Venezia i giovani, quelli che sono rimasti e quelli che vorrebbero tornare?

Nei ragazzi cresciuti qui la «segnaletica» è veneziana e quindi amano i campielli, le calli, l'acqua... Hanno sviluppato un interesse e una passione per la laguna, per la pesca, la ricerca, lo studio della città... Mi riferisco però a ragazzi con una certa cultura, anche se Venezia ha un fascino a cui nessuno può resistere.

Nel 1973 un'indagine del Censis individuava come causa principale dell'esodo la ricerca di un'abitazione dotata di comfort giudicatt'indispensabili per la vita civile, come il riscaldamento, servizi' igienici adeguati, locali abitativi non umidi, edifici non fatiscenti. Già all'epoca la condizione indispensabile per attivare il rientro nel centro storicodella popolazione emigrata, era il miglioramento delle condizioni abitative unito a una maggior disponibilità di case. Dopo oltre vent'anni il problema è ancora attuale e continua a incidere sulle scelte della popolazione giovanile, ma non solo.Quali strumenti correttivipossono invertire questo trend negativo pluridecennale?

Sì, è certamente un problema che frena il ricambio generazionale nella città, e per questo è necessario creare nuove opportunità abitative per frenare l'esodo e riportare la popolazione a 80-90 mila residenti con un'alta percentuale di giovani, anche per abbassare l'età media.Cosa si Può fare? Personalmente come parlamentare europeo ho raccolto le testimonianze degli undici capogruppo che governano il Parlamento europeo, e ho ottenuto la loro disponibilità a stimolare condizioni favorevoli allo sviluppo di Venezia. Però, in quella stessa sede, è emersa anche l'opinione comune che l'operato di un singolo non può modificare il percorso di declino di una città, se i suoi abitanti non riuniscono le loro capacità in uno sforzo congiunto atto a risolvere seriamente i problemi principali della città. Per ora c'è una discrasia tra Mose sì e Mose no, acqua alta sii e acqua alta no, metropolitana sì, metropolitana no: è tutto un insieme di opinioni e di idee. Se si procede così, la situazione complessiva della città peggiorerà anziché migliorare. Bisogna avere un'idea comune e cominciare ad agire un passo alla volta.

Quest'idea comune su quali punti potrebbe costruire la sua forza?

Prima di tutto ambientale, rivivificando il progetto economico con un approccio multimedíale: turismo, commercio, trasporti, servizi e città universitaria. Quest'ultima se potenziata potrebbe anche fermare l'esodo dei giovani. Per questo motivo giudico ottima la proposta di offrire opportunità residenziali per universitari nell'isola di San Servolo, dove il progetto prevede la realizzazione di cinquecento posti, espandibili a mille. Con questa politica si potrebbe inserire l'università europea nel sistema veneziano, aprire sedi di università straniere (americana, francese e tedesca), attivare alcuni master europei di specíalizzazione per discipline già presenti nel sistema universitarío locale, come restauro, archeologia...

E importante saper valorizzare i vantaggi competitivi di Venezia, che sono certamente un eccezionale paesaggio lagunare, ma anche la posizione storico-geografica che la pone in posizione privilegiata come porta del Nord-Est. E' in quest'ottica che va letta la mia proposta per una sorta di off-shore o zona franca a regime speciale con la defi-scalizzazione degli oneri sociali, strumento che sebbene cancellato con un decreto governativo, se reinserito incentiverebbe nuovi investímenti a Venezia. Né il lavoro di rivitalizzazione dell'economia può prescindere dal recupero di un ruolo di intermediazione con il Mediterraneo, Cipro, Malta, la Turchia, e quindi con l'Oriente. Ma oltre a questa direttrice, si deve recuperare anche il collegamento con le regíoni nordiche, con il Baltico, la Svezia, l'Atlantico... Venezia è un nodo posto all'incrocio di questi due assi, est-ovest / nord-sud, ma èanche un incrocio di culture, scambi, saperi, persone, merci...

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Finora le strategie per Venezia hanno proceduto a strappi, quasi fossero percorse da impulsi elettrici preceduti e seguiti da una stasí quasi totale. Penso che la politica della città abbia finora sofferto per la mancanza di una visione generale dei problemi, per gli obiettivi non a lungo termine ma miranti a salvaguardare piccoli interessi. E alla fine il gioco non è convenuto a nessuno. Ora bisogna ricominciare da capo, facendo tesoro degli sbagli commessi... o delle cose che non si sono volute o potute fare.

Però in questo gioco non tutti i gruppi sociali hanno sofferto allo stesso modo e, forse, alcuni più di altri hanno risentito della diminuita capacità residenziale del centro storico.Secondo lei, la recentiSSIma disposizione del Ministero dei lavori pubblici che nega la proroga della Legge speciale per un ulteriore blocco di trentasei mesi degli sfratti, quale mercato immobiliare aprirà a Venezia? e per quale fascia di utenti?

Le rispondo con obiettività: un mercato prevalentemente indirizzato a fare di Venezia un centro residenziale per stranieri. Penso che questa considerazione sia abbastanza reale e che sia la conseguenza di livelli qualitativi residenziali non adeguati a un uso normale e continuatívo della città. Gli stranieri hanno dei tempi di permanenza co-munque limitati e quindi, per certi aspetti, non si accorgono di alcune carenze nel sistema dei servizi, dato che invece non sfuggirebbe a un residente di «lungo corso» e ne condizionerebbe le scelte.

Quali fattori potrebbero arginare il depauperamento sociale della città ?

Un piano di sviluppo della città dovrebbe invece favorire l'inserimento di attività che diversifichino la base economica, ora prevalentemente ancorata ai settori turistico e del terziario, definito «banale». Le ipotesi correttive possono essere moltissime, ma due sono i fattori essenziali: l'esistenza di capitali d'investimento e la compatibilità delle nuove attività produttive con il sistema lagunare.Inoltre penso che, in questa fase, sia necessario promuovere la presenza di banche soprattutto straniere, in grado di far convogliare sulla città interessi e investimenti di portanza rilevante. Questo tipo di scelte, se attuato, avrebbe una ricaduta benefica anche sulla socialità in quanto potrebbe innescare un processo a catena di riequilibrio delle fasce sociali presenti in città e aprire un mercato del lavoro estremamente diversificato sia come competenze sia come indotto.Anche il settore del turismo potrebbe stemperare la sua «posizione di rendíta» cercando opportunità nuove nel turismo congressuale internazionale, della ricerca scientifica... Un ambiente culturale dinamico e vivace migliora i vantaggi competitivi di una città, vantaggi che non si identificano solo con la presenza di mostre di alto livello qualitativo, ma anche con un sistema produttivo alimentato da una struttura culturale diversificata... Attualmente però il livello dell'università locale non riesce a eguagliare quello della Bocconi di Milano e questo rende difficile trovare dei buoni manager, formati a Milano, che accettino di lavorare e abitare a Venezia.

Nel sistema urbano veneziano, a partire dagli anni sessanta con lo sviluppo economico impostato sul modello fordista, Mestre e Marghera hanno svolto prevalentemente le funzioni di assorbimento della domanda residenziale che il centro storico non era in grado di soddisfare e di polo industriale. A partire dagli anni novanta, il Censis rileva che mentre il Veneto è fra le regioni europee più dinamiche, Venezia è una delle città più colpite dal declino industriale. Di conseguenza, Mestre e Marghera vanno rimesse in gioco... ma forse con ruoli e obiettivinuovi. Qual è la sua opinione.

Il sistema veneziano va giustamente osservato nella sua estensíone non solo lagunare ma anche verso la terraferma, dove i nuclei urbani di Mestre e Marghera possono svolgere ruoli diversificati. Per quanto riguarda Mestre ritengo che le potenzialítà di sviluppo della città dipendano molto dall'accessibilità offerta dal polo mestrino, che può sviluppare la sua natura di interscambio modale. Il sistema delle infrastrutture consente infatti a tutto il territorio veneziano di mettersi in rete di collegamento con le altre città. Il nodo ferroviario è un punto di scambio molto importante, così come la presenza dell'aeroporto a Tessera costituisce per Venezia «porta» dall'estero in concorrenza attualmente solo con lo scalo di Bologna. Uaeroporto èuna delle infrastrutture su cui la città dovrà puntare nel prossimo futuro, perché dotata di un forte potenziale per lo sviluppo dell'area veneziana.Alla stessa stregua Marghera può riscoprire un ruolo inedito e trainante per l'economia locale. Il piano di riconversione dell'area industriale, ora in disuso, in parco scientifico e tecnologico è stato steso con la partecipazione di diversi promotori pubblici e privati come università di Venezia, Consorzio Venezia Ricerche, Comune, Enichem, luav e altri... Penso che la proposta sia molto interessante perché ricerca le basi per un futuro internazionale e cosmopolita della città lagunare. Uarca interessata a questo progetto è quella dell'ex Agrimont con uno spazio di quasi 4500 mq e dovrebbe diventare un «polmone d'innovazíone» con strutture di ricerca e servizi nel campo delle nuove tecnologie informatiche. I finanziamenti in parte provengono dall'Unione europea e dallo Stato, in parte si spera da investitori futuri, ma comunque consentirebbe di creare un campus universitario nella zona di via Torino a Mestre e di attivare il risanamento e l'urbanizzazione dei nove ettari di area industriale degradata a Marghera. Inoltre con queste prospettive, le aziende del Nord-Est potranno contare su un polo di innovazione tecnologica che fornirà loro un servizio di ricerca continuo e altamente qualificato.

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Secondo lei, l'esperienza degli anni ottanta dell'Expo può essere considerata un tentativo di rinnovamento del sistema urbano veneziano, o no? Qual è il suo giudizio a distanza di anni?

UExpo era un evento con una forte carica innovatrice, ma le modalità con cui è stata presentata erano totalmente sbagliate, al contrario delle finalità rivalutate a distanza di anni. Ad esempio, l'asse di collegamento acqueo Tessera-Arsenale- Murano è uno dei presupposti sia del progetto Expo sia del programma di rilancio della città studiato dall'attuale amministrazione comunale. In ogni caso questo asse non deve diventare un modo per trasportare un maggior numero di turisti o di persone dalla terraferma verso il centro storico. I flussi vanno regolarizzati e resi compatibili con la capacità di assorbimento della città insulare.Lo stesso dicasi dell'Arsenale, spazio in disuso e «bene universale», che può produrre vantaggi economici ma alla condizione irrinunciabile di seguire un programma di riutilizzo serio e compatibile con la sua natura storica, architettonica...E che dire del centro storico? Anche questo ha bisigno di un'operazíone rivitalizzatrice e i molti palazzi ora disabitati di essere rimessi in circolo. Uopportunità di sviluppare il settore delle nuove tecnologie informatiche a Venezia deve scaturire anche da un atteggiamento culturale nuovo, più aperto ai rapporti con le altre realtà limítrofe dalla città lagunare, ma non solo.

Quale può essere il ruolo dei privati in un'ipotesi di strategia per Venezia? In che senso intenderebbe la frase «privatizzare Venezia»?

I privati non sono la panacea, né dei tuttologi. E loro ruolo è certamente importante, ma dovrebbe derivare da accordi tra pubblico e privato, come quello stipulato dalla società aeroportuale veneziana che ha consentito l'ingresso dei privati all'interno della sua struttura. è un accordo che ha precorso certamente i tempi, ma è la strada del prossimo futuro. La defiscaUzzazione degli oneri sociali per gli investimenti renderebbe più flessibile il mercato del lavoro da un lato, e creerebbe nuove occasioni imprenditoriali dall'altro.«Privatizzare Venezia»? ... La sento molto come una provocazione. In realtà penso che la sua traduzione in termini operativi sia un programma molto simile a quello dell'assessore alla cultura del Comune, Gianfranco Mossetto, che intende affidare la gestione di alcuni musei ai privati. E' un'ipotesi che condivido moltissimo in quanto ho collaborato a realizzare nel 1988 la mostra su I Fenici a Palazzo Grassi, e in quell'occasione ho potuto sperimentare la validità di uno scambio pubblico/prívato nel campo della cultura, settore in forte espansione.

Eingresso dei privati nel settore museale, Probabilmente, non sarà un semplice travaso di competenze e di materiali da catalogare. La gestione di un museo è più che altro l'atto operativo, concreto efinale di un atteggiamento culturale posto a monte. Nella sua concezione, il museo è un luogo delle conservazioni o un palazzo delle esposizioni, o qualcos'altro?

Questa è una domanda molto interessante! Uffivestimento nel settore della cultura viene definito da più voci economiche come la «grande occasione odierna» e, a parere mio, la possibilità di sfruttare questa situazione contingente per realizzare un'innovazione culturale anche in questo campo deve essere colta. Si potrebbe sostituire il modello museale attuale con uno nuovo, dove l'obiettivo è superare il concetto statico di conservazione per porlo in concorrenza, ma anche in alternativa, a quello di esposizione.Sono presidente del Museo di storia naturale a Venezia e quindi conosco perfettamente questa tipo di realtà, ma contemporaneamente sto realizzando in provincia di Treviso, sul Montello, un nuovo modello di museo, un «museo vivo», concepito non più come mera conservazione di oggetti, opere... ma come laboratorio, centro culturale vero e proprio di un territorio virtualmente vastissimo. E questo modello museale può favorire anche una nuova socialità, in quanto coniuga dinamicità culturale e ritorno economico. Il riferimento a un territorio limitato sia nel campo culturale come in quello degli scambi economici è sempre poco vantaggioso, sotto tutti i punti di vista.Il nuovo museo sul Montello è inoltre autogestito con fondi che provengono dallo Stato e dalla Regione.

Il territorio è anche l'unità di misura del mercato postfordista, dove si dispíega la nuova forma del lavoro costruita non più sulla cen tralità della fabbrica e del lavoro dffiendente, ma sulla centralità del lavoro autonomo e della piccola e media impresa. E in questo passaggio anche il concetto di identità subisce delle variazioni. Secondo lei, territorio e identità come vanno correlati?

Il territorio è un'estensione geografica, ma anche mentale. Misurare un territorio può anche perdere di significato se il ragionamento si trasferisce sul concetto di «rete di relazioni». Il territorio è una fucina di individualità, non di singoli, così come l'Europa è un insieme di differenze razziali, di culture, di filosofie, e la «differenza» va intesa come fonte di innovazione di idee e custode di tradizioni.Se si studia la storia di Venezia con questa chiave alcune distorsioni interpretatíve vengono allo scoperto, così come accettare il mito di Venezia senza riserve mostra le sue insidie. Una città è tale non solo per le sue architetture ma anche per la sua dinamicità, imprenditorialità, capacità di assumersi la responsabilità del rischio, curiosità verso il nuovo, ricerca d'innovazione tecnologica, trasferimento di saperi da un campo all'altro, capacità di rapportarsi a un territorio, non solo fisico e misurabile geometricamente... I veneziani troppo spesso dimenticano che la storia della

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città non è la storia di eventi, ma di grandi sforzi di adattamento marittimo e industriale, di ricerca e sviluppo, di opportunità colte. Tutto ciò, me ne rendo conto, ríchiede un atteggiamento culturale diverso ma senza questo non si va da nessuna parte.

In un sistema competitivo «aperto», dove l'offerta di qualità urbane e opportunità ínsediative sono fattori determinanti per il richiamo di capitali esogenì, essi stessi veicolo di un'ulteríore dinamica sociale, su quale livello dovrebbe puntare Venezia? Quello regionale, nazionale o internazionale?

La ricchezza offerta da una complessità di livelli è un'opportunità da coltivare e non da inibire, perché può essere fonte di nuove identità, nuove connessioni fra soggetti economici, imprenditoriali, pubblici e privati che tradizionalmente lavorano separati, ma è necessario sviluppare un maggior coordinamento fra i tre livelli.

Una dinamícità culturale difondo, quindi, che però dovrebbe investíre tutti l'settori della vita cittadina, dalle istituzioni alle associazioni di categoria, daisindacati al singolo lavoratore... Secondo lei, è un programma fattibile?

Beh... se parliamo dei «burosauri» le difficoltà sono molte: ogni programma su Venezia viene bloccato e nulla diventa realizzabile o fattibile con i ritmi preistorici che caratterizzano un qualsiasi iter burocratíco. Bisogna snellire le procedure attuali o modificarle nei punti in cui si crea un ristagno. E ovvio, non si può fare di ogni erba un fascio, ma neanche sognare a occhi aperti: bisogna lavorare seriamente, tutti insieme... gli ostacoli si possono superare ma bisogna sapere dove si vuole andare.Al sindaco Cacciari in una recente intervista, al giornalista che mi chiedeva di compilare una pagella per il suo operato, ho dovuto distinguere la valutazione in due parti: 8 per la volontà e le idee; 4 per l'operatività ...

E i cittadini possono fare qualcosa, concretamente? Troppo spesso la ricerca del loro consenso è stata più fittizia che reale, come nel 1423 quando nel rituale di presentazione del doge all'assemblea popolare la tradizionale formula «Ecco il vostro doge, se vipiace» subì una sostanziale modifica con un gioco di parole: «Abbiamo scelto per doge Francesco Foscari ... ».

Penso che qualcuno debba spiegare loro i programmi, gli obiettivi, le alternative alle soluzioni prese in considerazione, le conseguenze... Inoltre con la nuova legge elettorale per l'elezione diretta del sindaco, i cittadini cercano una figura carismatica in cui riconoscersi e in questo senso il sindaco Massimo Cacciari ha saputo infondere fiducía e forte senso di responsabilità.

Venezia, 10 dicembre 1994

8) IL PROGETTISTA IMPRENDITORE CHE FA FINANZA

8.1) BANCA DI ROMA - ERNESTO MONTI

Nel panorama nazionale la Banca di Roma rappresenta certamente un'entità bancaria di notevoli dimensioni e potenzialità, caratteristiche che variano a seconda del territorio da cui si' osservano.Con quale obiettivo e con quale strategia la Banca di Roma rafforza la sua presenza in un determinato territorio? E possibile quantificare la sua presenza nel veneziano?

La Banca di Roma è presente a Venezia con una filiale, in quanto valutazioni di carattere finanziario e economico rendono estremamente interessante il Veneto in relazione al Nord-Est italiano, non solo perché è un'area geografica privilegiata dallo sviluppo economico. Infatti, da oltre un anno il Pil del quadrante nord-orientale èquattro, cinque volte superiore alla media nazionale del Pil, e questo dato rende l'area molto attrattiva per qualsivoglia intermediario fi-nanziarío, in particolare per una banca di dimensioni notevoli come la Banca di Roma. In questi termini è giustificabile, quindi, l'espansione verso il territorio veneto della banca romana.Generalmente, nella tecnica bancaria le modalità di espansione verso un territorio sono varie e la scelta finale viene sempre preceduta da studi e analisi su tutte le alternative possibili. Per ciascuna di esse la banca elabora una scheda di costi e benefici. I criteri che orientano la decisione finale a percorrere una strada piuttosto che l'altra sono l'ottimizzazione costi-benefici e la concreta percorribílità della strada prescelta. Quindi, il criterio di selezione non è unico, ma è un mix tra più fattori importanti.L'interesse della Banca di Roma per il Nord-Est è evidente, ma attiene sia alla politica di presidio del territorio, che a quella di espansione con l'obiettivo di diversificare il rischio territoriale. Infatti, l'egemonia nazionale della Banca di Roma sul piano dimensionale costituisce rispetto alle altre banche certamente un punto di forza, al quale fa da contraltare una debolezza localizzativa... Mi spiego meglio. Il rischio derivante dalla concentrazione di un'azienda

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bancaria quasi esclusivamente in un unico territorio, espone quest'ultima alle ripercussioni negative di uno sviluppo economico locale in crisi o in fase d'arresto. Nel caso specifico, la Banca di Roma è presente con il 40-50% degli sportelli operativi quasi solo nell'Italia centrale, fondamentalmente nel Lazio perché è l'area originaria di insediamento. Il «tallone d'Achille» di questa struttura bancaria si può scoprire nel momento in cui l'economia laziale subisce rallentamenti e gli effetti del trend negativo, vanno a incidere sulla politica della banca con un valore superiore alla media del sistema nazionale.Questa è la realtà dei fatti. Rispetto a Venezia quindi la Banca di Roma è certamente poco, molto poco rispetto a quello che vorrebbe essere, e la sua strategia è implicita in un'azione bancaria di ricomposízione di un equilibrio complessivo...

Nel libro Venezia ritratto storico di una città Philippe Braunstein e Robert Delort, affermano che il sistema veneziano dovrebbe giocare il ruolo di «metropolí d'equilibrio» non solo rispetto al Veneto, ridefinendo la propria funzione, ma anche rispetto all'area nord-adriatica. Il destino della città pare quindi a un bivio, dove le strade sidifferenziano anche per il ruolo che i diversi attori possono assumere rispetto ad una politica di sviluppo della città.Secondo lei, quale valenza può acquisire il termine «privatizzazione» in una politica bancaria d'investimento su Venezia?

Innanzitutto, prima di rispondere, occorre riflettere su quali siano i criteri di privatizzazione da applicare ad un ente pubblico composito, quale è appunto una città. Sul filo di questo ragionamento, in occasioni precedenti, ho esplorato e studiato situazioni non diverse in altre parti del mondo e la conclusione è stata che il tutto possa essere ricondotto ad una dizione estremamente inflazionata, che nonostante tutto riprendo anch'io: quella del project financing. In questa frase, servita in tutte le salse da più o meno esperti di arte culinaria finanziaria, si mescola un po' di tutto ma in realtà credo ci sia alla base anche una sostanziale confusione di idee.

Per prima cosa i punti base sono censire l'esistenza di fondi, di risorse finanziarie adeguate per realizzare tutto o anche soltanto gran parte dei progetti presi in considerazione.Il secondo elemento da assumere nelle ipotesi di progettualità finanziaria, è che esistano dei progetti specifici su cui lavorare. Normalmente in questi casi, l'enfasí, la foga, gli entusiasmi spingono i sindaci, o chi appoggia queste iniziative perché spinto da reale affetto verso queste città, a proporre un numero rilevante di progetti, senza peraltro averli approfonditi uno per uno. La vera progettualità, invece, si esplica con un approccio di verifica coordinato alle va-rie scale, dall'urbanistica alla soluzione architettonica, a quella ingegneristica senza tralasciare lo studio degli effetti socio-economící e la fattibilità finanziaria. Questa deve essere la premessa: la fase realizzativa, operativa è successiva. Nella prassi, invece, si dichiarano i progetti e il tutto si ferma e si incapsula in una logica declamatoría.Su Venezia sono trent'anni che si lavora in questo modo, del resto generalizzato. Roma stessa è un esempio similare. Io non sono romano, ma abito nella capitale da poco più di un decennio e - tanto per fare un riferimento - ho sempre sentito parlare del Sistema direzionale orientale, siglato con il diminutivo Sdo. Ma l'argomento èmolto più stagionato: pare che sia in auge da almeno trent'anni. Ebbene proprio ieri ho partecipato a un Consiglio di amministrazione sul tema «Roma Capitale» e ancora si è parlato di Sdo. Francamente chi fa un mestiere come quello bancario, ancorato alla realtà, forse ha un approccio fin troppo pragmatico ai problemi, ma queste cose fanno chiudere una saracinesca. Quando sento parlare di certi argomenti con approcci molto enfatici, devo ammettere onestamente che di un discorso di dieci minuti seguo i primi trenta secondi; gli ulteriori nove minuti e trenta secondi penso di dedicarmi col pensiero ad altro e di fatto questo accade. è un meccanismo di rimozione psicologica ormai collaudato anche su Venezia, nonostante sia molto affezionato alla città veneta. La considero un gioiello incastonato in una regione splendida, ma totalmente abbandonato.

Come rimuovere gli elementi che in fase progettuale limitano la fattibilità di una proposta?

E' necessario coinvolgere i privati. Secondo la tecnica del project financing che nella logica di questo discorso va meglio sotto il nome di Bot ossia built operate and transfer (costruire, gestire e rítrasferire), l'ente pubblico - in questo caso il Comune, la Provincia - concede, secondo la logica di un contratto di concessione, un determinato bene, qualunque esso sia, a un pool di privati. Questi si fanno carico di valorizzare il bene in questione, o eventualmente costruirlo, secondo le condizioni dettate dal principio della concessione. Ossia il bene viene assegnato dal soggetto pubblico in concessione per dieci, venti, trenta o più anni al soggetto privato. Il tempo della concessione è una delle variabili di snodo in questo meccanismo giuridico e, in finanza, viene usato A termine paid back period, ossia il periodo durante il quale l'investimento va a ritorno attraverso un tasso interno di ritorno dell'investimento stesso.Quindi la procedura è questa: si sceglie un gruppo di imprenditori ai quali si chiede, chiavi in mano, la realizzazione del progetto. Ma la responsabilità è degli imprenditori. Ciò che si chiede, in definitiva, agli imprenditori privati è che, trascorso il periodo di concessione, restituiscano all'ente il bene in uno stato di perfetta funzionalità. A seconda dei casi, potrebbe essere un dissalatore, una co-generazione di energia elettrica, un palazzo per esposizioni con annesso residence o albergo.Comunque, questo è il criterio da adottare nei processi di privatizzazione: innescare sistemi di coinvolgimento del privato, il quale si fa carico di costruire (built), gestire (operate) e al termine ritrasferire (transfer) il bene all'ente

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concedente. 0 si utilizzano queste tecniche o non credo che ci siano altre possibilità, salvo quella della sponso-rizzazione tout court.Questa può essere un'alternativa valida: un gruppo di mecenati. E in questa ipotesi di lavoro c'è un riferimento storico a Gaio Mecenate, amico di Augusto, e grande uomo di cultura vissuto nel i secolo a.C. A lui, che amava sponsorizzare la cultura, si deve la valorizzazione di sommi poeti come Virgilio e Orazio, e aveva sviluppato un si-stema attraverso il quale gli artisti gratificavano la figura dell'imperatore, Cesare Augusto. Però, o la sponsorizzazione si traduce concretamente in termini di ritorno quanto meno di immagine se non economico per chi la fa, oppure parafrasando il Manzoní «la cosa non s'ha da fare». Su questo punto bisogna fare chiarezza. Tra l'altro va ricordato che il sistema bancario ha vissuto un '94 difficilissimo e si prevede un '95, migliore ma non straordinario. Quindi, anche le banche non hanno molta sostanza per sponsorizzare a fondo perduto.

In sostanza, nel perseguire una linea strategica di sviluppo per la città, sidovrebbefavoríre il passaggio da una logica d'intervento sporadico e circoscritto a una logica di programmazione pluriennale, con obiettivi specifici.Quale ruolo può assumere una banca in un programma di sviluppo urbano che, oltre a produrre vantaggi economici per gli investitori privati, crei nuove forme di socialità, nuova residenzialità ... ?

Il ruolo delle banche? ... confezionare un abito, direi.Ad esempio, se si intende valorizzare il Tronchetto si può procedere in questo modo: ínnanzítutto, conoscere le aspettative e i progetti dell'amministratore comunale, degli attori interessati all'operazíone, del Censis... e così via. Poi si definisce il progetto da portare avanti tutti insieme. Ipotizziamo un'esposizione? Benissimo! A questo punto è necessario che intorno a questo progetto ci sia una struttura, un pool di operatori capaci, geniali, che realizzino l'obíettivo, secondo una logica precisa. Ovviamente poi c'è il problema di scrivere i contratti, di stabilire il sistema dei flussi, capire esattamente se la variabile che ho definito poc'anzi la variabile snodo, cioè il tempo della concessione, è l'unica variabile da considerare... Non si deve dimenticare che alcuni progetti non si ripagano in tempi brevi, a volte cinquant'anni non bastano. Infatti nei casi in cui un imprenditore, una banca, investe capitale per trecento miliardi ma il ritorno è talmente modesto da ripagare solo le spese di manutenzione e qualche altra cosa, è opportuno definire l'intervento di altre strutture. E necessarío scendere sul concreto.Gli operatori nel settore della finanza sono, quindi, in condizioni di potersi esprimere in presenza di un progetto concreto. In questa fase, poiché siamo ancora nella fase di messa in moto del meccanismo, di dichiarazione del meccanismo, la banca può solo precisare la metodologia rispetto alla quale è disponibile a intervenire sulla città.Comunque, esiste una forma alternativa ai processi di «privatizzazione», discussi finora: i Buoni obbligazíonali comunali, i Boc, per i quali la legge prevede la finalizzazione delle risorse acquisite attraverso l'emissione di tali strumenti.La differenza fra le due forme di intervento concesse al privato può sembrare irrilevante ma, a parer mio, non lo è in quanto individua due fasce ben distinte di operatori privati: l'imprenItore e il semplice cittadino.La privatizzazione di monopoli, o comunque di aziende finora poco conosciute dagli investitori privati, desta problemi valutativi in rapporto alla connessione tra l'investimento richiesto e la strategia di sviluppo della città. Se un privato acquista alcune azioni dell'Enel, l'idea della nuova società può essere ancorata a stereotipi valutativi, che identificano l'Enel con un interruttore che eroga o toglie la luce; ma cosa sia la generazione di energia elettrica nelle varie fonti e cosa siano i processi di cogenerazione sono questioni che ai più, me compreso, probabilmente non sono poi così note.Per lo stesso motivo, immagino che anche privatizzare una Centrale del latte piuttosto che l'Azienda comunale di trasporto per le persone sia una cosa abbastanza complicata. Per facilitare l'accesso al mercato degli investimenti anche al privato non specializzato in materia, penso che l'utilizzo di formule opzionali diversificate consenta comunque al privato di fornire risorse finanziarie, cioè a proprio risparmio, all'ente pubblico e nella fattíspecie al Comune. Risorse che il Comune deve poi utilizzare per determinate finalità dichiarate in precedenza. è in questo contesto che si formalizza l'utilizzo delle obbligazioni con warrant, l'utilizzo dei Boc con warrant, l'utilizzo di un particolare schema... Questa strategia è abbastanza interessante, e varrebbe la pena di analizzarla in modo più approfondito per comprendere quale sia il ventaglio di possibilità offerto da questi strumenti; mezzi di raccolta finanziaria che potrebbero rivolgersi a un mercato allargato e non limitato ai semplici cittadini residenti, sempre che sia ben chiara la finalizzazione delle risorse.

Un'ultíma domanda. Venezia, capoluogo di regione, ma anche capitale del Nord-Est: quanto incide la prospettiva di un futuro ruolo della città inserita in un contesto territoriale più esteso e in quale modo intende intervenire la banca in questo processo di sviluppo?

La Banca di Roma nutre un notevole interesse verso il Nord-Est d'Italia. L'Ambroveneto ha saputo intuire l'apertura del mercato a Nord-Est e il bravo Salvatori è stato bravissimo e abilissimo a salire sul treno della ripresa che passava velocemente. Per la Banca di Roma quel treno è ancora fermo in stazione e da questo si desume che la diversificazione territoriale richiede una maggiore attenzione al quadrante dell'Italia orientale. Come si realizzerà questo nel concreto? ... può avvenire in tanti modi, per esempio aprendo degli sportelli, acquistando delle partnership locali, sviluppando una rete di promotori finanziari in loco... Ma tutto ciò attiene al regime del buon senso e chiunque al posto mio avrebbe detto le medesime cose. Comunque la scelta di una strada concreta, tra diverse alternative,

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verrà elabora~ ta dalle strutture tecniche bancarie e sottoposta al Consiglio di amministrazione perché ne valuti l'applicabilità.

Roma, 5 dicembre 1994

8.2) CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA - ANTONIO POGNICI

«Privatizzare Venezia», un tema che se non viene scandagliato in tutte le sue profondità può dare spazio sia a facili entusiasmi sia a insidiose incomprensioni. In realtà, la questione vuole indagare se isoggetti imprenditoriali possano svolgere un ruolo progettuale, non solo orientato al ritorno economico dell'azienda ma anche alla creazione di una nuova socialità veneziana.Secondo lei, Venezia può essere «privatizzata»?

Ho molto pensato a questo tema «privatizzare Venezia» e, possibilmente, preferirei pormi al di fuori di quelli che sono i consueti schemi: per Venezia bisogna fare questo, bisogna fare quello, le príorità sono queste o altre...Parto anche dalla considerazione che io sono rigorosamente veneziano e ho sempre sostenuto i temi di Venezia. Ad esempio, nei referendum per la separazione di Venezia e Mestre ho sempre votato per la separazione perché ritenevo che gli interessi di Venezia fossero in contrasto con quelli di Mestre e quindi, essendoci un'unica ammi-nistrazione comunale per contemperare gli interessi di entrambe, non si faceva niente perché si diceva «se si fa questo per Mestre si danneggia Venezía» e viceversa.Ho mantenuto questa idea fino a poco tempo fa, ma ora ho rivisto la mia posizione e traendo spunto dal termine «privatizzare», mi sono chiesto prima di tutto a favore di chi si deve fare qualcosa a Venezia. Venezia è per definizione una città pubblica, una città del mondo, non è solamente la città dei veneziani, degli abitanti, dei turisti, dei commerciantí, degli albergatori, è una città della comunità internazionale. Ma se si deve fare qualcosa anzitutto biso-gna farlo per i veneziani per quelli che si dicono essere i cittadini «originari».Sono convinto inoltre che non basta pffi al privato, né alle grosse società e ai grossi enti, dire «ínvestiamo qualche centinaio di miliardi nell'Arsenale ... ». Emerge ormai con insistenza il bisogno di lavorare all'interno di una strategia generale della città, dove l'integrazíone fra isola e terraferma non sia solo pensata, ma reale. Una strategia le cui fondamenta poggino su un unico progetto ambientale che, partendo dal centro storico, possa in qualche modo allargarsi, così come è stato fatto un po' dappertutto. Questa è la base necessaria perché la socialità e l'iniziativa privata trovino terreno fertile e adatto al proprio sviluppo.

Rispetto a una strategia di sviluppo, quale ruolo intendono ricopríre le banche e qual è il grado di fattibilità di un loro intervento?

In qualità di presidente della Cassa di Risparmio Spa posso affermare che le banche possono essere attrici dirette e indirette di questo movimento di «privatízzazione», e tendenzialmente finanzieranno quei privati che dimostrino concretamente di volersi impegnare per la rinascita di Venezia.

La Cassa di Risparmio di Venezia entrerebbe subito in gioco?

Bisogna vedere i progetti, la loro fattibílità e serietà, ma è chiaro che le banche, senza entrare direttamente nel merito, saranno particolarmente sensibili ad accogliere le istanze dei privati che vanno in questa direzione. Le banche e in particolare le Casse di Risparmio hanno recentemente convertito le proprie strutture, consentendo da una parte la dismissione della mano pubblica e dall'altra l'ingresso dei capitali privati, con il relativo apporto di mentalità ímprenditoriale. In questo senso la Cassa di Risparmio sarà fra le prime a dare una mano affinché vengano perseguiti obiettivi di questo genere.

Quindi la banca intende entrare in un momento successivo, solo dopo aver verificato la serietà deiprogetti...

L'azienda bancaria non ha questo tipo di capacità progettuale, ma può fornire supporto finanziario agli imprenditori per i nuovi investimenù produttivi. La Cassa di Risparmio di. Venezia e sempre stata molto sensibile alle esigenze della «polis» Venezia.

La «polis», come concezione ellenica della città-stato, parte da un fondamento filosofico, dove proporzioni ed equilibrio, autonomia e indipendenza sono concetti basilari e si esplicano in determinate forme.Anche il termine «competizíone» in quest'ottica, e se inserito in un piano di sviluppo della città, richiede un atto interpretativo in quanto la concezione posta alla base influenza i rapporti intersoggettiví, non solo fra individui, ma anche fra città...Quale significato darebbe al termine «competizione»? Venezia con chie su cosa dovrebbe competere?

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Venezia è il modello Venezia, non può ricorrere al modello di New York, o al modello di Londra o al modello di Mitterrand per Parigi ecc... Venezia ha il suo modello e ritengo che in realtà la questione della competizione non vada affrontata. A mio avviso Venezia deve invece cambiare mentalità, abbandonare le posizioni di chiusura, ma non deve entrare in competizione con altre città, perché le sue problematiche, cioè Mestre, Marghera, San Giuliano, la terraferma, la gronda lagunare, Chioggia, non hanno riscontrí similari da nessuna altra parte. In quale parte del mondo troviamo un'altra città come quest'isola? Comunque anche esistessero città con cui competere, Venezia si troverebbe sicuramente svantaggiata perché rispetto a questa logica partirebbe da zero, al contrario di altre città costruite con dinamiche e realtà fisiche diverse.Ma tornando al discorso di prima, Venezia non ricostruirà la sua imprenditorialità se rimane chiusa nel suo isolamento, in se stessa. Bisogna prima di tutto che si liberi dai fantasmi dell'isolamento, riconciliandosi con la vicina terraferma e ricreando l'unità progettuale, presupposto necessario per incontrare successivamente in uno sviluppo lineare le altre realtà urbane. Diversamente, Mestre, Marghera, San Giuliano e gli altri quartieri rimarranno una sorta di barriera, di chiusura su Venezia, soffocandola e togliendole l'ossigeno. Bisogna quindi che anche Mestre, Marghera e San Giuliano abbiano una loro dignità, acquistino una loro particolare funzione e che i cittadini di queste entità tornino a essere veneziani a tutti gli effetti.Non bastano ovviamente le buone intenzioni, ma occorrono anche le infrastrutture. Non sta a me indicare quali siano quelle necessarie, ma penso che vadano migliorati i trasporti per le persone e per le merci, i collegamenti fra il centro storico e la terraferma, le comunicazioni interne fra sestieri e quartieri.

Come valuta l'ipotesi di organizzare il sistema aeroportuale veneto su più basi, dove l'aeroporto di Tessera accoglierebbe iflussí di traffico proveniente da tutta Europa, mentre la struttura di Treviso riceverebbe il traffico dei voli charter di natura prevalentemente turistíca?

Il problema dei trasporti riguarda indubbiamente anche il trasporto aereo, oggi fondamentale. Venezia è un aeroporto internazionale e svolge un ruolo egemone nella regione, ma questo non vuol dire penalizzare Treviso bensì evitare che si facciano due aeroporti a solo venti chilometri di distanza. I progetti di riordino del sistema aeroportuale devono essere condotti solo in questa ottica, come ad esempio le richieste d'interventi dei privati per potenziare le piste del Marco Polo per,miglíorare la visibilità anche in condizioni di nebbia, ora proibitive. Ovviamente, da Tessera devono essere facilitati tutti i trasporti e collegamenti con le altre realtà regionali, Trevíso, Padova, Verona ecc., ma non condivido l'idea di scorporare i flussi fra Venezia e Trevíso...Sono contrario non per una forma di campanilismo, ma perché Tessera è il terzo aeroporto d'Italia come traffico passeggeri e penso che il potenziamento dello scalo veneziano potrà verificarsi solo se si organizza questa struttura con livelli qualitativi che giustifichino la sua terza posizione. Il beneficio congiunto si estenderebbe poi su tutta la realtà regionale.

Se nei secoli passati l'imprenditorialità veneziana si era basata su una stretta associazione fra mercanti e marinai, quali possono essere oggi i nuovi soggetti imprenditoriali e chi abiterà la città nel prossimo futuro?

Certamente, bisogna guardare la storia, valutare il ruolo che ha ricoperto Venezia per secoli. è una considerazione che viene ínevitabile guardando i palazzi sul Canal Grande e le condizioni in cui sono tra l'indifferenza degli abitanti, che sembrano solo rimpiangere la gloria passata. Venezia se continua in questa direzione, a mio avviso, è condannata a una fine ancora peggiore di quella attuale. Quindi un po' di storia. E la storia mi dice che Venezia è stata una grande capitale politica ed economica, la capitale di uno stato che si estendeva nella terra e sul mare e che per più di cinquecento anni la sua espansione è stata il frutto di coraggiose iniziative di privati coordinate da una molto oculata e molto corretta amministrazione dello Stato.Ma oggi cos'è Venezia? Venezia è soffocata nelle sue isole, prigioniera dei suoi ricordi di grandezza e sempre più espulsa dalle realtà umane del territorio veneto, perfino da Mestre che doveva essere la naturale espansione della città. A mio avviso, Venezia ha bisogno di superare culturalmente e tecnologicamente l'isolamento in cui si trova e di valorizzare tutte le parti che le appartengono o che sono nel territorio veneziano in terraferma e nella gronda lagunare. Quindi la storia ritorna.Uottica di lavoro della nuova imprenditorialità deve considerare la città nella sua totalità, non dovrebbe favorire o incentivare la dispersione degli abitanti, ma anzitutto attuare una politica di integrazione, dove il beneficio sia comune. I nuovi soggetti imprenditori potrebbero, ad esempio, intervenire nel campo del restauro alleviando il dramma dei palazzi sul Canal Grande... Non dico che tutti i cittadini debbano andare a vivere in palazzi, ma faccio questo discorso nefl'ottica di incentivare il ritorno, non dico della popolazione di un tempo, ma dei veri veneziani. Mi pare che sotto la Repubblica Serenissima si parlasse dei cittadini «originari»...

Attualmente, chi possono essere questi cittadini «originart» che vanno richiamati?

Una parte consistente della popolazione è stata costretta ad abbandonare la città per i costi troppo alti delle abitazioni e degli affitti. Ma le molte strutture e iniziative, dagli enti amministrativi locali alle organizzazioni internazionali che finora hanno sostenuto e privilegiato l'occupazione e l'economia del centro storico, in una situazione così negativa fino

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a quando investiranno sulla città? A un certo momento diranno «Venezia lasciamola andare, non ne viene nulla di buono, nulla di utile, basta, noi andiamo da un'altra parte».Questa riflessione mi viene anche dal fatto che il ruolo di capoluogo è sempre più penalizzato, depauperato, tutti scappano via: la redazione de «H Gazzettino», le Assicurazioni Generali, l'Alitalia... ogni giorno un'azienda, una società, un ente che aveva una certa funzione e che era inserito nel centro storico se ne va...Fino a sette, otto anni fa, a Venezia arrivavano diciassettemila pendolari ogni mattina per motivi di lavoro e penso che questo flusso sia diminuito. Ma se i prezzi delle abitazioni fossero accessibili anche a queste persone, se i restauri del patrimonio immobiliare consentissero l'abitabilità delle case ora sfitte, se una simile politica venisse incentivata con contributi dello Stato, del Comune o con altre forme di finanziamento, il mercato della casa si sbloccherebbe. Solo in questo modo si può innescare il ritorno della fascia sociale intermedia, mentre la cosiddetta fascia élitaria o di alta borghesia non ha problemi di alcun genere per abitare a Venezia o per trovare i capitali necessari a ristrutturare il palazzo sul Canal Grande. A Venezia manca proprio la fascia intermedia.

E il ruolo dei giovani in questa dinamica? ... prima che il giovane entri a far parte della fascia intermedia deve avere il tempo di organizzarsi, soprattutto deve poter lavorare...

Per i giovani vi sono grossi problemi. Però se il problema lo si osserva nell'ottica della privatizzazione, dove Venezia non è chiusa in se stessa ma affacciata verso un territorio più vasto, anche verso la terraferma, le incentivazíoni ai privati possono creare opportunità lavorative anche per i giovani.Attualmente i giovani che cosa possono fare a Venezia? Solo scappare via perché non sopravvivono, mentre le persone di una certa età che restano nel centro storico hanno già un lavoro, una casa... Un giovane, se rimane ha poche alternative: o lavora part-tíme per otto giorni durante la Mostra del cinema o per due mesi a Palazzo Grassi, con uno stipendio di qualche centinaio di biglietti da mille. Il mercato del lavoro è bloccato e non è così facile trovare una qualsiasi occupazione. Per loro la situazione è veramente drammatica. Ad esempio, anche se si creasse un Centro congressi a Venezia non so quanto effettivamente sfumerebbe la gravità del problema: ormai tutto viene organizzato da agenzie specializzate esterne, che insieme alla strumentazione si portano dietro anche i loro traduttoril il personale di segreteria...Quindi, se a Venezia non si incentivano attività economiche in grado di aprire il mercato del lavoro locale alle fasce giovanili, la situazione sarà veramente drammatica e in città abiteranno solo o i «figli di papà» o quelli che rilevano l'attività dei genitori e che non hanno la convenienza a progettare un percorso di vita alternativo.

Quale ruolo può svolgere l'università nel disegnare una nuova strategia per Venezia? Sviluppare il settore della ricerca universitaria, anche applicata all'industria, potrebbe significare creare posti di lavoro qualificato in linea con il livello d'istruzione medio-alto della popolazione giovanile.

Certo, un ruolo universitario in una città come Venezia è importantissimo, sia per le facoltà più importanti di Ca' Foscari, come Economia aziendale e Lingue, ma anche per Architettura... Però il sistema universitario veneziano dovrebbe potenzíare le sue capacità collegandosi con le altre università. Il ruolo che può svolgere in una città come Venezia, anche per indirizzare lo sviluppo e incentivare una politica di privatizzazioni è indubbiamente fondamentale, anche in funzione di una svolta culturale. Bisogna investire in progettazione e sensibilizzare culturalmente tutti i veneziani, insulari e di terraferma, in queste direzioni. Attualmente però non mi pare che l'università sia il top per Venezia.

Quanto l'unicità di Venezia è condizione sufficiente per escludere un confronto sistematico con altre realtà urbane, limitrofe o meno? Essere «al centro» di un sistema, non è più tanto riferibile a una posizione geografica o storica acquisita, ma dipende sempre più dalla capacità della popolazione di saper relazionare con gli altri, mettersi in rete, collegarsi con realtà territoriali anche fisicamente lontane, essere dinamici..

Oggi, le persone di una determinata fascia sociale continuano a viaggiare, si spostano tranquillamente nelle altre città, e valutano le opportunità offerte dalle altre realtà, ma se l'obiettívo è di rimanere a Venezia, di lavorare su Venezia, sarà necessario anche qui sfruttare le nuove tecnologie, la cui applicazione ha creato realtà assolutamente moderne nelle altre città. Però le tecnologie devono essere adattate al modello e non si può lavorare con le stesse metodologie sia a Milano 2 che a Venezia: no, non si può proprio. E' questo il limite posto dall'unicità della città lagunare.

All'interno di una strategia di rilancio di Venezia, restringere il campo della progettazione al restauro degli immobili non è un po' limitativo? Per alcuni palazzi forse, oltre al restauro, sarebbe importante ripensare ancke la destinazione d'uso... Secondo lei, quali sono le esígenze e i desideri di Venezia?

Non c'è dubbio che una politica d'azione compatibile con la città, ma al tempo stesso più flessibile possa migliorare la situazione attuale. Al momento, però, non saprei indicare né su quali palazzi né per quali funzioni si possa agire in questo modo.

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Per quanto riguarda le nuove esigenze anche Venezia potrebbe usufruire di un grosso centro di software, che non è inquinante, non èun'industria metalmeccanica, e quindi non è rumorosa; un centro non dico europeo, ma quasi, per lo studio, per la creazione, per il lancio di questi sistemi di software, che cambiano ogni quindici giorni.

Quali sono le nuove esigenze della Cassa di Risparmio di Venezia rimaste insoddisfatte per mancanza di condizioni favorevoli e che costringono l'azienda ad abbandonare, per ora, la città.

Quasi tutte le banche hanno il loro Ced, il Centro servizi, e la Cassa di Risparmio lo ha costruito a Mestre. Inoltre adesso è stato stipulato un accordo di integrazione con la Cassa di Risparmio di Padova. Comunque le banche più o meno sono autonome in quella che è la loro gestione, fatte salve la conduzione delle filiali e agenzie al di fuori del centro storico. Tuttavia se i piani di sviluppo della città prevedessero delle iniziative interessanti e serie, e ovvio che la banca potrebbe trarne molti vantaggi finanziandole. E' chiaro che, se oggi la banca raccoglie - dico una cifra a caso - cinquemila miliardi su una città di 75 mila abitanti, e se Venezia negli anni futuri ritorna ai suoi 120 mila abitanti, i miliardi raccolti possono passare in proporzione a ottomila. In questo caso l'azienda bancaria potrebbe vivere sulla raccolta. Il ragionamento è questo: tante più attività ci sono in una città, tanto più la banca ne trae vantaggio.

In un articolo de «Il Sole 24 Ore» del gennaio '94 relativo a un'indagine condotta sul Tríveneto, dove sono elencate tutte le banche presenti su questo territorio, si analizzano gli investimenti nell'economia localefatti dalle banche. Una tabella confronta íprestitifatti dalle banche alla clientela con i capitali raccolti attraverso l'depositi della clientela: al primo posto risultava la Cassa di Risparmio di Gorizia, al 19' la Cassa di Risparmio di Venezia. Può commentare questo dato?

La Cassa di Risparmio di Gorízia è molto più piccola di quella di Venezia, e i risultati saranno dovuti alle politiche adottate dalle varie banche. Credo però che se il compito delle banche, e soprattutto delle Casse di Risparmio, sia quello di incentivare la raccolta, cioè i depositi da parte dei clienti, sia necessario porre la massima attenzione nel concedere finanziamenti, mutuí, prestiti e cosi via. Le banche stanno attraversando in tutta Italia un periodo non proprio roseo, l'economia non è andata molto bene e se si concedono finanziamenti per investimenti che poi non rientrano, a quel punto nascono le sofferenze, le perdite e così via.Se la Cassa di Risparmio di Gorizia raccoglie 1363 miliardi e dà addirittura mille miliardi per il sostegno all'economía locale, questa politica mi pare molto pericolosa, anche se il nostro mestiere è quello di incassare soldi, prestarli e guadagnare sul rientro. Ma se il rientro non si verifica, cosa fa la banca? Quel finanziamento passa nella voce «sofferenze»...

Certo, però imprenditorialità non significa solo dividere i benefici ma anche i rischi. Se si agisce solo in condizioni di sicurezza, non c'è rischio...

Non c'è dubbio. In definitiva, però non si lavora mai in condizioni di sicurezza totale. Un esempio: la Cassa di Risparmio di Venezia aveva concesso un prestito, non di rílevanza, nei confronti di Ferruzzi-Gardini. Chi poteva prevedere, allora, il crack? Inoltre la Banca d'Italia è molto attenta a queste cose, può fare le ispezioni. è molto attenta alla gestione delle banche.

La Banca d'Italia non dà direttive riguardo a una maggiore apertura per gli investimenti' all'economia locale, per favorire l'imprenditoria lità ?

La Banca d'Italia è un organo di vigilanza, e non dà dírettive su come operare riguardo gli investimenti, però sorveglia, controlla che ogni banca faccia il suo mestiere e lo faccia correttamente, con attenzìone, con scrupolo. è l'organo di riferimento delle banche.La Banca d'Italia dirama circolari sui cosiddetti incagli, sofferenze e perdite. Incagli sono quando uno non riesce a rientrare e a pagare immediatamente la rata al 31 dicembre e allora la posizione è incagliata perché viene chiesta una proroga; sofferenze è quando la situazione si peggiora, passa del tempo e non si riesce a recuperare; perdite quando il recupero del prestito non è più possibile, quando si ècreata una situazione negativa.

In che modo l'operatore pubblico dovrebbe lavorare per creare una strategia di sviluppo della città? Quale dovrebbe essere il ruolo del Comune, soprattutto?

A Venezia in cinquant'anni si è molto discusso, di tutto, ma purtroppo nonostante ci siano state amministrazioni di tutti i colori politici, non è stato fatto niente. Questo immobilismo ha determinato l'abbandono di Venezia da parte di enti, strutture, organizzazioni che invece avevano da sempre sostenuto l'economia locale. Anche la caduta dell'imprenditorialità è un po' la conseguenza, o per lo meno, il risultato degli interventi pubblici su Venezia che hanno dato, purtroppo, questi risultati. Quindi bisogna che l'intervento pubblico ab.bia un suo consistente ridimensionamento e venga dato più spazio a iniziative di carattere privato. E' fondamentale incoraggiare i privati a installarsi a Venezia affinché investano, formulino progetti e iniziative capaci di essere realtà operanti, creando posti di lavoro, sicurezza sociale, ricchezza, insediamenti e così via...

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Non sono certo un tecnico e uno specifico di questi problemi, ma conoscendo benissimo tutte le realtà veneziane, vorrei lanciare il dado in questa direzione per vedere e per sentire che cosa si potrà fare realmente per il Mulino Stucky, l'Arsenale... Per ora ho constatato solo lo scavo dei rii, anzi di mezzo rio, quello che passa a fianco della Corte d'appello. Certo è pur sempre qualcosa dopo decenni di immobílismo, però è troppo poco. Non possiamo limitarci solamente a questo.

Come valuta le attuali potenzialità del Comune?

Mi auguro che il sindaco Massimo Cacciari riesca a fare qualcosa e che questa amministrazione comunale possa segnare una svolta ríspetto alle amministrazioni precedenti. Per ora, non si può giudicare su un tempo di lavoro cosi límitato; da domani, però, non comincia più a essere limitato. Mi rendo conto che esistano difficoltà prodotte spesso dalla macchina burocratica, e sinceramente apprezzo le iniziative di rilancío promosse dal sindaco, ma mi piacerebbe vedere qualcosa di concreto. La macchina comunale deve mettersi in moto. Non vorrei che ricadessimo nelle terribili secche di un tempo.

Venezia, 12 dicembre 1994

8.3) FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA - GIULIANO SEGRE

Nel sistema bancario presente a Venezia, la Cassa di Risparmio èuna struttura che vanta forti radici storiche con la città lagunare ma, generalmente, le scelte localizzative dipendono anche da obiettivi e indirì.zzidi sviluppo che una banca intende perseguire in un determinato territorìO. Venezia è infattianche sede legale della Cassa di Risparmio di Venezia, la cui' Fondazione lei presiede.Quali sono gli altri soggetti bancari presenti sul teriitotio cittadino?

Fino a quest'anno la disponibilità di soggetti bancari a Venezia era basata su tre ffioni: le agenzie di banche nazionali e le direzioni locali di banche nazionali (Comit, Bnl, Istituto San Paolo e via dicendo); gli istituti a medio termine, cioè quelle banche che si occupano dí ínvestimenti e non solo di raccolta di depositi, e di investimenti speciali in rami di credito speciale come la legge bancaria richiedeva fino all'anno scorso; le banche locali.

Quale ruolo hanno svolto, finora, le istituzioni bancarie rispetto a una strategia di sviluppo per Venezia?

Per individuare bene i soggetti, è opportuno fare alcune precisazioní. Il primo soggetto non esiste rispetto a Venezia, in quanto le filiali di banche nazionali hanno avuto ruoli, secondo la mia esperienza, modestissimi. Qualche banca è più attenta alla realtà locale, come ad esempio la Bnl perché tradizionalmente rivolta a curare la Tesorería di enti pubblici come il Comune e l'università, ma non hanno strategie rispetto ai problemi della città.

La terza categoria è altrettanto neutra rispetto a Venezia. Gli istituti che operano nel campo del credito speciale erano due: il Mediocredito, che fa credito industriale a medio e lungo termine, e l'Istituto federale delle Casse di Risparmio, che sostanzialmente faceva o attività finanziaria o credito agrario di esercizio o di miglioramento a breve o a medio termine. Questi non sono entrati in contatto con la realtà veneziana e, in ogni caso, essendo in via di fusione all'interno dell'Istituto di Credito Fondiario di Verona stanno emigrando dalla realtà veneziana.Infine, restano le banche locali in senso stretto, quelle che avevano e hanno sede legale nella città di Venezia, come la Cassa di Risparmio.Una breve parentesi. Quando parlo di Venezia, mi riferisco grosso modo a una realtà territoriale che non è il centro storico ma è o la realtà amministrativa, il Comune capoluogo della provincia, o una realtà anche più complessa sul piano territoriale. Quest'ultima è poi il nucleo urbano, che può estendersi anche fuori dalla provincia di Venezia, verso la provincia di Treviso, ad esempio a Mogliano...Per Venezia la realtà di capoluogo può avere influenzato la scelta localizzativa di istituzioni bancarie che hanno sede legale a Venezia. Esse erano sostanzialmente tre.La prima era la Banca Popolare di Venezia, durata tre-quattro anni, e fu un tentativo in omaggio a una moda, presto superata, di fondare nuove banche. La banca è stata assorbita poi dalla Banca Popolare di Vicenza.La seconda banca locale con una storia più lunga, è il Banco di San Marco afferente alla finanza strettamente legata alla Curia veneziana come il Banco Ambrosiano. Il Banco di San Marco è un'azienda di credito operante sotto la normale forma societaría, ma il capitale di controllo di quest'ultima è però nelle mani di un altro istituto di credito non veneto. Per questo motivo il Banco di San Marco ha di fatto perso l'identità di soggetto autonomo e, infatti, negli anni settanta ha subito un grosso incidente ed è stato assimilato nella propríetà del Credito Bergamasco, a sua volta comprato qualche anno fa dal Crédit Lyormais. Questa emigrazione dalla realtà locale può spiegare perché, negli ultimi anni, la sua presenza non si è tradotta in investimenti su Venezia.

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La terza banca è la Cassa di Risparmio di Venezia, che ha ricoperto il ruolo di soggetto finanzíatore delle attività locali fino a un anno e mezzo fa, quando un incidente di percorso rilevante, forse proprio l'incompetenza tecnica, ha danneggiato la sua funzione di finanziatore della realtà locale. Oggi la banca è posseduta da una holding, la stessa che detiene anche la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. La holding, controllata secondo i principi della legge Amato dalle due Fondazioni delle due rispettive città, ha sede legale a Venezia e sede formale a Mestre. Quindi pur rientrando nell'ambito territoriale della città storica la Cassa di Risparmio di Venezia non e più autonoma, ma dipende dalle scelte di questa holding.

A quali pericoli è esposta una banca locale in una situazione di regressione economica della città?

La provincia di Venezia, dato già noto, è molto affaticata economícamente ed è ai margini della struttura bancaria nazionale, in quanto oggi in termini di Pil pro capite è la più povera delle sette province venete. Ma se si assegna al Pil medio italiano un valore di 100, mentre agli inizi degli anni ottanta Venezia, pur essendo più povera delle altre province venete, aveva ottenuto un Pil di 102-103, oggi - dati '92 Uníoncamere riportati dal Tagliacarne - Venezia è 99. Al contrario, tutte le altre province venete sono sopra al 100. In poche parole, attualmente Venezia è sotto la media nazionale, un dato decisamente negativo. In una simile congiuntura, una banca monoterritoriale come la Cassa di Risparmio di Venezia, cioè con sportelli solo in una provincia, che oltretutto sta regredendo economicamente, trova difficoltà particolarmente evidenti. Per evitare l'assorbimento di tutti i veleni della caduta economica all'interno dell'istítuto bancario, si è deciso di aprire sportelli in altre province.Comunque, per rispondere in modo più completo alla domanda precedente, anche la Cassa di Risparmio di Venezia non si e occupata tanto della città insulare, perché per sopravvivere ha cercato spazi esterni. Una posizione di monopolio territoriale, che nel passato èstata anche vantaggiosa, in situazioni di crisi si traduce, sì, in monopolío, ma di fattori negativi.

La presenza dì una struttura bancaria, quali risvolti crea nel tessuto sociale di una città?

Nel caso veneziano direi che la capacità di impatto delle banche sulla realtà sociale di questo territorio non c'è stata, conclusivamente, da nessuna di tutte queste fonti. Hanno rappresentato tutte un'occasione di occupazione, non particolarmente qualificata, ma comunque di buona redditívítà. In generale, è nota la leadership salariale dei dipendenti bancari. Però, mentre fino a qualche tempo fa, la banca era un luogo di assorbimento, soprattutto per le leve giovani, diplomati o laureati, oggi non rappresenta neanche più questo. Gli esuberi di personale anche in questo settore sono ormai una realtà e, poiché non vengono mai liquidati in quanto non esiste un sistema similare alla cassa integrazione, nuove assunzioni non ne avvengono, o avvengono con molta parsimonia. Tutto ciò rallenta moltissimo il turn-over.

Il censimento del 1991 rileva che il Comune di Venezia si distingue per il record di case non occupate, circa il 50%; solo nel centro storico ci si aggirerebbe su numero di quasicinquemila alloggi sfitti. Il problema residenziale si trasforma, di conseguenza, in un flusso migratorio verso la terraferma, aggravando l'emorragia del centro storico.Secondo lei, quali sono stati i soggetti che, in questa situazione, hanno subito i danni i maggiorí, quali invece se ne sono avvantaggiati?

Il problema della residenza è stato considerato anche in relazione all'occupazione degli spazi immobiliari con destinazioni d'uso terzíarie, per uffici comunali, regionali, università, o comunque funzioni extraresidenziali. Ma in questa polemica il settore bancario non ha alcun ruolo, in quanto negli ultimi quindici anni le sue attività si sono espanse verso Mestre, verso l'esterno. La perdita di residenza non è avvenuta neanche sulla terraferma, perché il trasferimento di spazi direzionali dal centro storico è stato accompagnato dalla costruzione di complessi residenziali nuovi. Per esempio, le Assicurazioni Generali hanno trasferito gli uffici dalle Procuratie di piazza San Marco a Mogliano, liberando una consistente quota di spazi non usabíli aziendalmente, e hanno costruíto un complesso direzionale nuovo in mezzo alla pianura veneta, a Mogliano.Anche la Cassa di Risparmio di Venezia ha costruito il nuovo Centro servizi a Mestre. Quindi, la polemica che individua l'espulsione residenziale come conseguenza della diffusione di altre funzioni, mi pare abbastanza improbabile nella realtà veneziana, anzi non sono mai stato d'accordo su questo. Così come gli studenti universitari non tolgono capacità residenziale alla città, poiché vanno a occupare i luoghi che la normale resídenzialità abbandona. Sono gli immobili che vanno fuori mercato e vengono captati, di conseguenza, dalla domanda universitaria e non viceversa.

Quali sono, secondo la sua opinione, le ragioni che determinano l'uscita dell'immobile dal mercato, non solo residenziale?

Questo è un argomento cui ho dedicato molti pensieri. A parer mio, vanno fuori mercato proprio per la natura di immobile storico, non attrezzato, i cui costi per un aggiornamento residenziale sono altissimi, tanto da indurre i proprietari a mettere fuori mercato l'immobile e a lasciarlo ri. Manca la capacità di investimento e durante gli anni ottanta il credito bancario non ha certo aiutato in questo senso per gli alti tassi di interesse. Tuttavia la chiave di lettura

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dell'esodo plurídecennale in relazione alla spinta residenziale, a parer mio, può individuare una ragione di questa dinamica nel fatto che, man mano che si liberano gli immobili, si assiste anche a un'evoluzione del modello familiare. Rispetto al modello precedente dell'immediato dopoguerra, le nuove famiglie non rimangono in casa, ma vanno ad acquisire una nuova residenza all'esterno, dove la trovano. Principalmente sulla terraferma, perché a Venezia non si costruiscono case dagli anni sessanta, e le giovani coppie da allora, tendenzialmente, hanno assimilato questo comportamento. Nel momento in cui gli anzíaní genitori, che erano rimasti nel centro storico, magari anche perché proprietari della casa, vengono a mancare o lasciano libera la casa, il rientro della coppia più giovane non si verifica più perché il modello di vita è cambiato. La città insulare ha un costo della vita particolarmente alto e non consente a una famiglia giovane, con dei figli e magari senza alti redditi, di viverci. Ma a questo punto la casa libera non viene neanche messa sul mercato dell'affitto. I lavori di ammodernamento e adeguamento secondo i regolamenti edilizi vi-genti richiederebbero risorse finanziarie che quasi nessuno ha. La casa a quel punto resta chiusa. Questo accompagna l'esodo, fino a quando si presenta un utilizzatore della medesima che si adatta alle condizioni residenziali offerte dagli immobili non ristrutturati. Ad esempio, gli studenti universitari che accettano i disagi di una casa non in norma in relazione alla loro permanenza limitata nel tempo, solo qualche anno. Oppure si presentano operatori non residenti che, dato il degrado dell'immobile, considerano possibile e vantaggíoso l'acquisto di quest'ultimo. Una sorta di investimento di capitale, senza creare dinamica abitativa.

Inoltre non si deve dimenticare che la città è accessibile per via d'acqua, cosa complicatissima che nessuno ha voglia più di fare, perché l'automobile è molto più comoda e rende tutti più indipendenti dai mezzi di trasporto pubblici. A questo proposito e per quanto riguarda le esigenze bancarie, l'utilizzo dello scambio terra-acqua inizialmente era stato considerato favorevolmente per i trasferimenti diretti della valuta dai mezzi su ruota a quelli su acqua. Ma, ora, i valori non viaggiano più e nelle banche gira molta moneta elettronica. E anche quel poco che gira non lo fa girare la banca, ma compagnie specializzate.

Un istituto bancario locale inserito in una città come Venezia, mondiale ma allo stesso tempo capoluogo regionale, senonché polo nazíonale, come valuta questa forte concentrazione di livelli: una risorsa di identità e di sviluppo per la città o un vincolo, un blocco?

Sono livelli che fanno riferimento ad attività a scarso valore aggiunto, che lasciano poco nella realtà locale. Le attività amministrative in sé hanno uno scarsíssimo valore aggiunto, che si traduce tutto in stipendi; anche tecnicamente, dal punto di vista della contabilità nazionale, tutta l'attività pubblica non produce valore aggiunto ma èmisurata dagli stipendi pagati a Venezia, ma spesi ovunque, dove la gente risiede.Il turismo lascia un po' più di valore aggiunto, ma comunque sempre poco perché a fronte dei rendimenti ci sono forti costi di personale. Il turismo è un labour intensive, ossia non è automatizzabile e deve appoggiarsi a diverse figure professionali per sostenersi: l'accompagnatore turistico, il gondoliere, la cameriera ai piani ecc... Inoltre ha dei forti ammortamenti degli investimenti compiuti (alberghi, strutture), e quel po' di valore aggiunto finisce nei profitti dell'imprenditore, il quale fra l'altro raramente li reinveste nell'attività, ma li spende altrimenti. In parte anche per sé, ma spesso finiscono nel risparmio familiare. Per questo, molto sovente l'attività turistica veneziana è di basso livello, è assente la grande impresa, mentre la Ciga che ha alti costi di lavoro ottiene un reddito tutto sommato limitato, tanto è vero che è passata più volte di mano.Altrimenti c'è l'affittacamere. Quest'ultimo opera nel settore dell'accoglienza turistica con notevoli guadagni, che utilizza per pagare abbastanza bene il personale al suo servizio, per fare piccole risistemazioni nei suoi edifici, ad esempio il bagno nuovo da costruire, spese che poi ammortizza. Tutto il resto è risparmio suo, che difficilmente reinveste, ma con esso più facilmente acquista Bot.Infine il livello internazionale, mondiale, può creare spazi d'investimento interessanti, perché di solito le attività culturali hanno un substrato economico non da poco, basta vedere come si sono autoalimentate in alcune altre realtà. Però questo discorso a Venezia non èaffatto gestito, e a questa falla sta cercando di porre mano l'attuale assessore comunale alla cultura, Gianfranco Mossetto. Chiunque abbia girato il mondo per interessi culturali si è reso conto che negli altri paesi i musei molto sovente si autoalimentano e il prezzo d'íngresso seppure sia più alto è giustificato dai servizi a cui il visitatore può accedere. In Italia non esiste nulla del genere e il settore della cultura è tutto da costruire. E sono convinto che un aumento di redditività possa verificarsi; peraltro non c'è ancora nulla che sostituisca la grande industria, volano di ricchezza del nostro paese, esauritosi negli anni ottanta.

Effettivamente il declino del modello produttivo fordista passa attraverso diversi segnali, tra cui la perdita della fabbrica come luogo centrale delle dinamíche spaziali. Con il passaggio al postfordismo ènecessario capire quali siano i nuovi spazi su cui investire...

Nel centro storico, non credo sia tanto facile, perché la mia personale visione è che Venezia sia da considerare un quartiere di una città più grande, in cui possono convivere benissimo le due funzioni residenziali e turistiche. Il Marée a Parigi è la stessa cosa, le persone vanno a visitarlo oppure ci abitano. Nessuno ha pensato di metterci dentro una fabbrica.Per Venezia, il vero problema è l'accessibilità.

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Lei' ritiene che un'accessibilità raddoppiata verso la città lagunare possa in qualche modo favorire e rivitalizzare zone ora difrangia? Penso alla proposta dell'asse di collegamento Tessera-Arsenale-Murano...

Non c'è dubbio. Uaccessibilità è importante perché è un fenomeno del mondo contemporaneo, però sono anche convinto che non occorra immaginare grandi impianti, tecnologicamente molto avanzati. Si potrebbe lavorare molto con quello che c'è. Mi pare assolutamente assurdo che negli ultimi trenta, quaranta anni nessuno abbia mai usato l'accessibilità a Venezia provenendo da piazzale Roma, Santa Marta, fino alle Zattere. Questa parte, seppure piccola, di città è tuttora raggiungibile in automobile e in treno. Le case sulle Zattere sono a un minuto dalle automobili e a un minuto dai binari ferroviari.Le strutture universitarie sono tutte localizzate in questa zona e si potrebbe benissimo renderle accessibili sfruttando le opportunità esistenti, mentre gli studenti attualmente fanno dei giri pazzeschi a causa di un sistema di accessibilità del tutto ordinario. Provvedimenti simili non snaturerebbero alcuna realtà territoriale. Basta decidere di farlo, dopo di che si può prendere in considerazione il grande investimento. La metropolitana subacquea? Può darsi... ma prima modifichiamo l'esistente.Il collegamento acqueo tra l'aeroporto e l'Arsenale può servire a riequilibrare i flussi turistici, ma anche a rendere più accessibile la città, a consentirne un uso più normale. Non sono poche le persone che vanno in automobile fino all'aeroporto, dove c'è un garage, oppure un parcheggio che costa meno, lasciano l'automobile e prendono un mezzo acqueo per raggiungere Venezia. lo stesso talvolta l'ho fatto e lo trovo estremamente più comodo che fare il giro per piazzale Roma. Anche questo è un asse che nei fatti esiste già, tanto varrebbe la pena di ristrutturarlo e organizzarlo come servizio infrastrutturale alla città.

Tra i problemi di Venezia è possibile individuare una gerarchia in relazione all'esigenza di creare sviluppo economico e, insieme, anche sviluppo sociale?

Secondo me, il problema della casa è l'ultimo, è una conseguenza più che un'origine. Se si avviasse una strategia di sviluppo della città non si innescherebbe un nuovo processo di esodo, perché ormai le generazioni si sono già susseguite. Certo bisogna pensare - ed è un discorso che fa sempre molta presa - a un nuovo significato del termine «essere veneziano». Coloro che abitano a Venezia di giorno, ad esempio i gondolieri, di sera vivono a Mestre e, quindi, uno svuotamento delle caratteristiche tipiche della città sicuramente non si verificherebbe. Non è un fenomeno circoscritto alla città veneta, ma ècomune a tutti i centri storici. Anche a Roma chi abita tra via di Ripetta e via del Babuino quasi sicuramente non discende da qualche antica famiglia romana.Gerarchicamente metterei, sicuramente, il problema della accessibilità, perché rende fungibili gli appartamenti su attività lavorative molto vaste, e consente il ritorno delle case sul mercato al momento buono...Quindi, prima risolvere il problema dell'accessibilità, poi quello della residenza.

Il problema della salvaguardia e il problema di Marghera: cosa fare? Nei secoli passati esisteva una correlazione fra tutela dell'ambiente e problemi di rilancio e sviluppo dell'economia, mentre oggi' sembra prevalere ancora una demarcazione netta tra le due tematiche. Le discussioni attuali, se sia più opportuno fare lo scavo dei rii o chiudere le bocche di porto con il Mose, non sembrano ancora superare i límiti di una lettura parziale...

Per quanto riguarda la salvaguardia fisica dal mare, è un discorso sul quale preferisco non addentrarmi perché non sono competente. Tuttavia ho l'impressione che l'impianto progettato per le bocche di porto, il Mose, sia un po' pericoloso. Personalmente sarei più favorevole a una difesa specifica, ma se il Mose si rivela necessario, facciamolo. A questo punto però il discorso non è locale ma di tutela nazionale o sovrannazionale.Per tutto il resto, la salvaguardia puntuale, ragionieristica del chiodo o della trave o dell'antica porta veneziana, della típologia immobilíare, andrebbe valutata in rapporto alle dinamiche tra ambiente e azioni antropíche.Quale approccio al tema di Marghera? Direi che, allo stato attuale, per essere competitivi parlare di specializzazione industriale non èproprio possibile. Il modello di sviluppo economico del Veneto, basato sulla distribuzione decentrata di piccole e medie aziende industriali e artigianali, presenta da quasi quindici anni una forte richiesta di infrastrutture e servizi terziari. Ma questa è una regione dove l'infrastruttura del traffico è ancora monostrutturata (prevalenza di stra-de) e dove la terziarizzazione è spesso insufficiente. Le aziende ora chiedono un'infrastruttura informativa e comunicativa adeguate alle esigenze emergenti, quindi servizi finanziari, servizi all'impresa, autostrade informatiche... Tutti servizi che attualmente non esistono e, così, per le consulenze specifiche le aziende del Triveneto si rivolgono all'area lombarda, a Milano. Per risolvere questa lacuna non serve un intervento pubblico, basta favorire condizioni adatte allo svíluppo di mercato.

Detto questo, per ora il prodotto della piccola impresa veneta, rozzo nel suo approccio con la realtà che la circonda, è focalizzato sulla produzione materiale e su un buon coínvolgimento della forza lavoro, molto spesso a base familiare e quindi motivata anche emozionalmente a far bene le cose. Per il resto, l'approccio imprendítoriale non indaga problematíche ambientali o localizzative, né di rícaduta sociale.Marghera è un enorme spazio libero o liberabile, ma il suo riutilizzo richiede una gestione della ristrutturazione spazíale che la piccola impresa veneta non sa dare per conto suo. Sono convinto che nuovamente sia necessario un intervento pubblico.

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Oppure bisognerebbe intervenire, in qualche modo, sui modelli culturali e sull'approccio che questi determinano. Forse è necessario attivare forme di scambio diretto tra università e impresa? Esiste una messa in rete tra questi soggetti?

Questo può essere vero, perché dall'università di Venezia esce un numero di laureati ormai pari a quelli della Bocconi, però le aziende preferiscono avvalersi di consulenti laureati a Milano. Anche se a Venezia c'è il corso di laurea in Economia aziendale da oltre venticinque anni e la carica di direttore amministrativo del personale, direttore finanziario nella piccola impresa è ricoperta, generalmente, da laureati provenienti da Ca' Foscari, non si è ancora prodotta una ri-caduta di capacità di messa in rete di queste aziende, né dei loro manager. Il motivo è, a mio avviso, di natura storica. Uofferta di laureati in Economia aziendale si rivolgeva a un mercato industriale locale prevalentemente pubblico, come la Montedison e tutta la grande industria della chimica di base, settore che non aveva bisogno di que-ste professionalità. I laureati hanno lavorato come liberi professionisti su altri settori ed è mancata l'opportunità di attivare una dinamica d'interscambio fra questi, l'università e le industrie, fenomeno che invece è radicato alla Bocconi da quasi duecento anni.

Si può dire che l'università veneziana si sia forse adeguata al mercato locale, senza cercare spazi' di sviluppo esternì?

Non dico che questa sia un'università di serie B, ma non nasce come università. Uuniversità era solo quella di Padova con le facoltà scientifiche, teologiche, umanístiche ecc. A Venezia venne attivato a cavallo del secolo, l'Istituto universitario per i ragionieri, ponendo le prime basi per gli studi economici, uscendo dal vecchio impianto culturale che inseriva questi studi come sottoprodotto di quelli giuridici. Era comunque una Scuola superiore di economia e commercio.Ma ora, forse, non sarebbe sbagliato se l'università di Venezia rícercasse un collegamento con Padova, o comunque si mettesse in rete non solo con Padova ma anche con altre università, trovando in un certo senso un suo spazio. Ma finora ha scelto un'altra strada, che in parte si sovrappone ad alcuni spazi culturali occupati anche da altre università. Venticinque anni fa è stata costituita la facoltà di Lettere, quella di Chimica, mentre recentemente è nata l'esperienza di Architettura.

Gli indirizzi di politica economica industriale del paese stanno cercando dífavoríre il processo di privatizzazi . one per portare sul mercato grandi gruppí, originariamente pubblici, come Stet, Enel, Eni, Ina e Imi, allo scopo di concorrere sul mercato azionario internazionale. Provocatoriamente, questo termine potrebbe trovare spazio anche nellapolitica urbana per lo sviluppo di Venezia. Rispetto ad una strategia per la città, che cosa è possibile «privatizzare»?

Penso che nel settore dell'accessibilità siano costruíbili alcuni elementi di buona qualità, di buona redditivítà. Per esempio tutto il discorso dell'aeroporto è sacrosanto. Qualsiasi viaggiatore può constatare come intorno agli aeroporti si siano sviluppate aree nuove, non più industriali, ma di trasformazione del terziario, o di deposito per la trasformazione del terziario. Il caso dell'aeroporto di Marsiglia, che non è importante per le sue dimensioni, lo diventa se considerato in un sistema a rete con le altre strutture aeroportuali del territorio francese. Lo stesso vale per Venezia, che ha creato attorno a se un'area di deposito, lavorazione delle merci in transito, di specializzazíone veramente enorme. Questa infrastruttura è sempre stata considerata come un'entità dotata di vita propria, invece deve essere valorizzata perché rappresenta l'analogo moderno della storica funzione portuale della città.Che sia privatizzato o meno il soggetto gestore, mi interessa poco. Tutte le attività intorno sono private, dai depositi agli uffici, ma naturalmente si tratta di coordinare la volontà di gestione territoriale del Comune e della Regione nella programmazione urbanistica. Questo è, a mio avviso, uno dei punti fondamentali.

Uno deifattori che potrebbe spostare gli interessidei gruppi d'investimento nelle dinamiche di sviluppo nazionale e internazionale nei prossimi anni' è l'applicazione del concetto di qualità nella politica urbana, dai serviziper il turismo a quelli per la residenza, dagli spazi urbani al patrimonio paesaggistico, architettonico, storico...Come si rapporta Venezia rispetto al concetto di qualità?

Personalmente leggo questo tema strettamente connesso con la capacità o con la volontà politica. Ad esempio, l'offerta turistica odierna non è in grado di assorbire né i flussi a cui è soggetta la città durante quasi tutto l'anno, né di garantire un livello qualitativo standardizzato. è un tema su cui ragionare e agire, ma per fare ciò bisognerebbe edificare strutture ricettive alberghiere con capacità di contenimento adeguate. è una realtà evidente, ma il fatto di non riuscire a farle crescere in termini qualitatíví è anche dovuto all'inefficíenza della leadership politica. A chi giunge a Venezia con l'auto non viene offerta alcuna indicazione riguardo i parcheggi, l'utilizzo dei vaporini, i percorsi da seguire per Rialto o piazza San Marco... Gli imbarcaderi non si vedono da piazzale Roma, sono dietro una quinta o di case o di alberi, ma non c'è nemmeno una segnaletica che indichi la loro posizione. Tutti abbiamo girato il mondo abbastanza per sapere che si è guidati da codici, ma se a Venezia una persona non trova niente di tutto ciò e chiede informazioni al primo passante, questo gli dice «ghe pensi mì»: lo fa salire su un motoscafo abusivo e lo porta a Murano...

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Questi servizi al turista sono indispensabili e minimi, ma chissà perché a Venezia non si depositano.

Forse si potrebbe affrontare la questione coordinando strategia culturale, sociale e imprenditoriale verso un obiettivo di largo respiro, ossia modificare il modo di pensare Venezia e superare posizioni estreme sia di puro conservatorismo sia di modernizzazione indifferente...

Questo è un discorso di autoreferenza e Giuseppe De Rita ha scritto un libro molto interessante su questo tema. A Venezia esiste una forte considerazione di se stessi dovuta a ragioni storiche. La città era una capitale mondiale fino a duecento anni fa, quando con il Trattato di Campoformido, nell'ottobre del 1797, ha perduto il ruolo di realtà politica autonoma. Ma fino allora era una capitale mondiale, molto versata nel controllo finanziario. Poi è sparita, è diventata una frangia dell'Impero austriaco, una frangia periferica, non è stato neanche uno dei luoghi in cui si è creata l'ideología dell'unità italiana, che è arrivata dopo.Tutto questo è storia, ma una storia priva della coscienza di sé. Dopo di che è arrivato il turismo. A partire dalla seconda guerra mondiale è scoppiata la questione turistica, abbinata a una domanda illimitata, perché non c'è persona al mondo che non pensi nella sua vita di visitare almeno una volta Venezia. Al contrario, però, l'offerta è limitata e gode tutti i vantaggi di monopolio con una domanda crescente. Ma prima o poi, questo meccanismo introdurrà elementi di diseconomia, e allora cosa succederà? 0 si fermerà tutto, o si creerà una congestione: un destino drammatico... Tre milioni di turisti giapponesi l'anno Venezia li può sopportare, ma trenta milioni di turisti cinesi come h gestirà? Si dovrà costruire un'altra Venezia per fargliela vedere, perché se arrivano in quella vera la distruggono. E i cinesi prima o poi faranno turismo anche loro...Il turismo è veramente uno dei problemi più grossi e, in questo senso, bisognerebbe pubblicizzare il discorso più che non privatizzare. Mi spiego meglio. C'è bisogno di un controllo che superi le attività dirette, altrimenti le attività private in campo turistico finiranno con l'assorbire tutto, e sarà sempre peggio.

Questo però presuppone che l'investimento privato rimanga sempre attestato sul settore turistico. Ma se i soggetti economici privati individuano altri spazi possibili di sviluppo della città, creando economia, ricchezza materiale, ma anche nuove forme di socialità e nuove ricchezze immateriali, forse la questione diventa più controllabile, meno squilibrata.

Certo... comunque non come produzione di beni, ma come produzione di servizi diversi da quello turistico con la stessa capacità di coinvolgimento.Uidea coltivata negli anni ottanta di una città destinata a contenere produzione nel campo informatico, secondo me, non funziona e non ha funzionato in molti casi. Ad esempio l'Ibm ha dovuto chiudere l'ufficio studi informatici perché non riusciva a partire. Condizioni favorevoli per queste attività non si creano solo perché la città ètranquilla. Il produttore di informatica è un operaio alla catena di montaggio, anche se magari lavora a casa propria, e i suoi prodotti non propriamente materiali sono pur sempre prodotti veri e propri.

L'ufficio informatico è un luogo di produzione di servizi e deve funzionare in un certo modo e con certi ritmi.Personalmente ritengo che per affrontare questo problema manchi un passaggio di progettazione, che in qualche modo era stato immaginato con l'Expo. Poi il progetto non è decollato e il problema èancora lì... Qualcosa si dovrà pur pensare. Forse per questo l'idea di Gíuseppe De Rita di costruire una struttura che aiuti a «scegliere» Venezia mi è sembrata importante. Ma è anche vero che qualsiasi impresa o persona che intenda investire su Venezia, o per ragioni di ottimismo personale, o di immagine, o di reale convenienza, molto spesso non riesce assolutamente a farlo, perché si scontra con una situazione locale del centro storico destrutturata. Non c'è un mercato immobiliare trasparente e non c'è un leader di questo mercato. Sui giornali locali sono decine le agenzie che offrono le stesse case, manca uno sportello unico del Comune che spieghi al nuovo venuto che cosa deve fare, non ci sono attrezzature di servizio per un'iniziatíva di questo genere...

E possibile prevedere un progetto unitario di strutture, servizi' spazi, qualità urbana esteso sia all'isola sia alla terraferma, riqualificando gli abitatí di Mestre e Marghera con servizi e infrastrutture di una certa consistenza sia a livello regionale, interregionale, ma anche internazionale?

La città, insulare e di terraferma, è un sistema urbano molto complesso che però soffre di una programmazione urbanistica non funzionale allo sviluppo né di una né dell'altra, esiste solo una politica di conservazione, di tutela... Questa città è passata a poco più di 300 mila abitanti, con flussi migratori verso la terraferma, e da questa verso gli altri comuni vicini. Case nuove a Mestre non si trovano e Mogliano sembra la Svizzera rispetto a Mestre.La gestione del territorio è carente in questa realtà, perché, secondo me, gli influssi culturali degli anni settanta per la conservazione del centro storico si sono ribaltati, paradossalmente, sull'intero territorio comunale.D'altronde come può svilupparsi e migliorare una città se non ha un piano regolatore?

La Fondazione della Cassa di Risparmio di Venezia quale ruolo può avere nelfavorire una strategia di sviluppo coordinato?

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Nessuno, è un soggetto troppo nuovo, non ha storia, non ha strutture, ha sette dipendenti e un portafoglio. Almeno per il momento la Fondazione è un soggetto in sé, che è null'altro che un portafoglio contenente le azioni della banca. E' un contenitore senza altre funzioni.

Non promuove ricerche? Può essere utile il riierimento alla Fondazione Olivetti che dagli anni ottanta promuove studi sull'ímpatto esercitato dalle nuove tecnologie e dall'informatica sulla struttura e sulle relazioni sociali e industriali? Forse t'n un'ottica di «privatizzazione» la Fondazione della Cassa di RisparmiO potrebbe inserirsinel mercato fi-nanziando progetti di interesse pubblico e, perché no, promuovendo anche una nuova idea di Venezia...

La Fondazione Olivetti è stata fondata con il capitale dell'índustriale Adriano Olivetti, per promuovere studi e ricerche politiche, economiche, sociali, industriali.... mentre la Fondazione della Cassa di Risparmio detiene solo il capitale di una banca pubblica. E' possibile che in futuro costruisca altre funzioni, ma ci vuole tempo. Non ha storia.Se fosse un soggetto con capacità di intervento potrebbe effettivamente finanziare progetti di interesse pubblico, ma in realtà non lo è. E' solo un portafoglio che contiene le azioni della banca e quando ne riceve un dividendo può spenderlo, ma non ha iniziativa sua. Attualmente però la banca dà dividendi molto bassi o nulli, quindi non ci sono soldi da investire. In prospettiva c'è una interessante direttiva del Ministero del tesoro uscita nei giorni scorsi sulla Gazzetta Ufficiale, in cui si dice che le Fondazioni di origine bancaria devono vendere metà delle azioni rappresentative della banca che esse possiedono, entro cinque anni, sempre ammesso che questo governo rimanga. In questa meccanica è possibile trovare elementi interessanti, perché se la Fondazione vende metà della banca, dovrà investire il capitale seguendo le regole date dal Ministero del tesoro.Ritengo che possa rivelarsi un volano interessante, ma su questo non sono in grado di anticipare nulla perché è una cosa talmente nuova.

E' interessante constatare come la direttiva Dini, Ministro del tesoro, nasca in un periodo in cui «privatizzazione» sembra essere la parola d'ordine nel campo economico e finanziario.

La questione è questa. Fino al 1990 esisteva la vecchia banca, nel caso specifico la Cariplo, che era rappresentata da un soggetto pubblico-economico. Un soggetto di cui nessuno poteva essere proprietario. Nel 1990 con la legge Amato il soggetto unitario è stato distinto in due soggetti: un ente pubblico, la Fondazione, e un ente economico, la banca. I due soggetti anziché coesistere nello stesso corpo istituzionale si rapportano in questo modo: l'ente pubblico possiede l'ente economico sotto forma di società per azioni e ne possiede il 100% del capitale. Il primo, i cui amministratori sono ancora nominati da Comune, Provincia, Regione, Camera di commercio e altri Comuni, possiede l'intero pacchetto azionario di una società per azioni, il secondo esercita l'attività di banca. Con i ricavati di questo possesso la Fondazione potrebbe spendere qualcosa, come un ricco signore proprietario di azioni che fruttano reddito, consentendogli di andare in vacanza alle Bahamas.La nuova direttiva Dini ha introdotto un elemento più specifico, ossia che le Fondazioni devono vendere le aziende bancarie e rimanere con il 50% della proprietà delle banche. La Cassa di Risparmio di Venezia vale 800 miliardi e se la Fondazione deve vendere metà del capitale sorgono alcuni problemi. Primo, non è facile vendere; secondo, se per caso arrivasse a quell'ammontare bisognerebbe investirlo. Ma come? Certamente non in investimenti locali, ma nel mercato finanziario.Questa è la novità della direttiva Dini ed è, senz'altro, nella logica dell'ipotesi di De Rita.

Ho letto recentemente su un quotidiano locale un articolo relativo alla crisi del gruppo Galiteo di Marghera, la più prestigíosa azienda ottica italiana. In esso si metteva in evidenza che, tutto sommato, le banche creditrici rispetto ad aziende in via difallimento dovrebbero riconsiderare il loro ruolo non come creditrici. ma come azioniste. In sostanza si sollecitava il cambiamento di registro delle banche da intermediario passivo a soggetto attivo e di «riferimento» per le aziende, seguendo il modello renano.In quest'ottica generale, qual è il ruolo che intende ricoprire la Cassa di Risparmio di Venezia?

Effettivamente si tratta di una questione generale. Nel 1936, il sistema bancario italiano stava per fallire perché si era riempito di azioni di imprese, che non erano più in grado di pagare i debiti contratti con le banche. Infatti alla fine degli anni venti era stato impostato un meccanismo che, molto semplicemente, può essere tradotto così: «cara banca, siccome non riesco a restituirti i soldi, ti vendo le mie azioni». Il sistema italiano subì un forte contraccolpo correndo il rischio reale di fallimento, attuatosi in alcuni casi, come ad esempio per la Banca Italiana di Sconto. Per ovviare a questa situazione, nel 1936 usci una nuova legge bancaria che impediva alle banche comportamenti di questo tipo. Ecco perché le banche si sono specializzate nel ruolo di intermediari, ossia si indebitano con i depositanti e diventano creditori di altri imprenditori.Con l'applicazione della n Direttiva comunitaria del 1992-93 la Banca d'Italia ha modificato l'impianto per cui le banche possono, adesso, seppure fra mille cautele, trasformare il credito in equities, come diceva lei prima. Però a un progetto di questo genere si oppongono alcune ragioni. Primo, motivi cautelativi, in quanto i capitali d'investimento non sono di proprietà della banca ma dei depositanti. Secondo, ragioni di carenza di know-bow specifico, poiché comprare azioni ed amministrarle non è una cosa semplice, ma è tipico delle merchant bank, attività che la banca italiana non ha mai fatto. Al contrario la banca giapponese è inserita nei gruppi finanziari, fa attività di merchant bank.

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Per concludere, questo tipo di progettualità all'apparenza così facile da applicare, in realtà per aziende come la Galileo, la Fiat, l'Olivetti, la Fininvest, tutte fortemente indebitate con le banche, non èoperativa e non consente la trasformazione del credito in equities.

La figura del progettista imprenditore, modellato sull'esperienza di Adríano Olivetti per perseguire la reductio ad unum, ossia l'intreccio unitario tra economia, cultura e sodalità, non può trovare né nella banca né nella Fondazione un soggetto rappresentativo. P questa la «morale della favola»?

Si. Le banche, a mio parere, non possono assolutamente svolgere un ruolo da protagonista di una svolta e, in ogni caso, non sono mai protagonista di nessuna svolta. Le banche sono più dipendenti dallo sviluppo economico che causa dello sviluppo economico. Se l'economia va bene, le banche pure. Se l'economia è in crisi, le banche non sono capaci di invertire la direzione... ovunque, in America, in Italia, a Venezia. La banca è sempre l'esito di un'attività, economica, commerciale... Le grosse banche inglesi sono l'esito della leadership economica dell'Inghilterra dell'Ottocento, così come i banchi veneziani erano l'esito della leadership veneziana nel Seicento. Ma A processo inverso non esiste.Non nascondo che il progetto dell'Associazione Venezia 2000, quello del progettista imprenditore, mi abbia incuriosito molto. Un soggetto funzionale alla «privatizzazione» di Venezia, immaginare una struttura che possa accompagnare l'insediamento di altre attività in questa realtà, che ne consenta l'uso in maniera razionale e coordinata dall'intervento pubblico è un'ipotesi molto interessante. Ma parlando di «privatizzazione», possono essere molto più utili strutture di livello nazionale o internazionale che operano in quel campo come la Comit, molto più efficiente della Cassa di Risparmio di Venezia in queste operazioni. Quest'ultima è invece più efficiente della Comit nel prestare fondi d'investimento al «piccolo imprenditore di San Donà che produce stampi in plastica per gelati». Sono due dimensíoní diverse.Nei grandi interventi di «privatizzazione» per la città valgono di più le grandi banche, le grandi strutture tra banche o le strutture finanziarie. Dubito che la Cassa di Risparmio di Venezia possa contribuire a produrre socialità in un simile meccanismo, anche perché fisicamente è emigrata dal centro storico alla terraferma, mentre nella struttura istituzionale è diventata parte di una holding più grossa che fa capo a Padova.Credo che i prerequisití per la privatizzazione siano molto più formali che non finanziari, anche perché la finanza non trova ostacoli nei suoi movimenti. è l'accessibilità alla città che va assicurata e, in questo, l'aeroporto è il punto di eccellenza.Ricapitolando. Penso che nel centro storico non siano possibili iniziative di piccolo livello, mentre anche per l'intero territorio comunale forse c'è un problema di accessibilità di trasporto, prerequisito per il riutilizzo delle aree industriali di Porto Marghera per la sua «privatizzazione». Solo dopo averla sistemata potrà ospitare tutta la piccola impresa del Veneto.

Venezia, 28 novembre 1994

8.4) ISTITUTO MOBILIARE ITALIANO - LUIGI ARCUTI, ELLA COLABRARO

L:Associazione Venezia 2000, nata circa otto annífa come raggruppamento di privati, ha sempre avuto come obiettivo la comprensione di quale ruolo possano svolgere i privati per rilanciare Venezia, città da diversi anni in crisi strutturale. In quest'ottica intendeva porsi anche l'esperienza Expo, votata all'insuccesso forse più per il metodo che per gli obiettivi.Obiettivo di questa conversazione è invece capire se sia possibile innescare a Venezia una dinamica, dove la proprietà immobiliare abbandoni la posizione di rendita, il vero grande problema della città, e si reinnesti un rapporto tra pubblico e privato. Un rapporto fondato su un dialogo costruttivo tra i vari soggetti chiamati a progettare una stra-tegia di sviluppo per la città, dove le istanze economiche e sociali trovino un giusto equilibrio. Questo processo di «privatizzazione» dovrebbe produrre essenzialmente tre condizioni', che analizzeremo conversando ... ma prima due parole di presentazione dell'Imi a Venezia.

L'Istituto Mobiliare Italiano Spa è presente a Venezia con la sua sede che si affaccia proprio sul Canal Grande, in prossimità dell'Accademia. In quel palazzo, sede anche di rappresentanza, si svolgono gli incontri tra i membri del Club degli Istituti di credito speciale di tutti i paesi dell'Europa occidentale e molte riunioni con i maggiori esponenti delle reti di promotori finanziari Imi.A questa breve premessa vorrei aggiungere anche un breve commento d'apertura. La sede veneziana costituisce un ottimo punto di riferimento per la società, soprattutto per la forza attrattiva posseduta dalla città lagunare, ma ritengo che sia molto utile e importante verificare come sposare l'attrazione esercitata dalla città un po' su tutti i gruppi, sia industriali che finanziari e commerciali, con gli interessi privati e con gli interessi della popolazione locale. Penso che

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questa necessità derivi anche dal fatto che, sebbene a Venezía esistano già da diversi anni alcune iniziative di operatori imprenditoriali di notevole dimensione, sia italiani che esteri come ad esempio Fiat per Palazzo Grassi, Le Zitelle, Benetton..., nessuna di queste rientra in una strategia complessiva di sviluppo della città, concertata insieme all'operatore pubblico. A questo punto una seria operazione di riflessione è sicuramente doverosa.

E veniamo allora al primo quesito. Umi ba studiato una strategia d'intervento per rivitalizzare il palazzo a San Trovaso assegnandogli un ruolo più specifico all'interno del tessuto urbano? Euso attuale, sede di rappresentanZa della società, sembra infatti sottostimare le potenzialità dell'immobile che svolge per ora una mera funzione di contenitore indifferente.

Come conferire maggiore dinamismo o spingere l'utilizzazione della sede veneziana dell'Imi? Al riguardo, oltre a essere sede di rappresentanza quasi naturale, il palazzo a San Trovaso ha anche una funzione operativa perché lavora in collegamento con Padova, come succursale. I dipendentí non sono molti, anche se in passato il personale era numericamente superiore, ma con la loro presenza coltivano e rafforzano nei limiti del possibile la presenza dell'Imi presso il tessuto industriale e commerciale locale. La sede veneziana costituisce, quindi, un punto d'incontro con gli imprenditori del Tríveneto ano scopo di seminare quanto occorre per finanziare i progetti di investimento. E con questo mi riferisco sia a progetti di investimento industríali veri e propri sia a progetti di investimento, anche di natura infrastrutturale.

Secondo quesito. In quale misura l'Istituto è interessato a operazioni di project financíng, di progettazione finanziaria e di interventi privati?

Uobiettivo dell'Istituto è quello dìntensificare la sua presenza anche nel campo dei grandi progetti infrastrutturali, tanto è vero che anche oggi, casualmente, su «Il Sole 240re» o su qualsiasi altro quotidiano, viene riportata la notizia che l'Imi, insieme alla Cariplo e all'Istituto Bancario San Paolo, ha stipulato un finanziamento di rilevante importo per la parziale copertura degli investimenti relativa all'aeroporto di Malpensa a Milano. Si tratta di un grosso progetto in-frastrutturale, uno dei cosiddetti tense che l'Uníone europea considera príoritari. L'obiettivo è radicare una presenza sempre maggiore in questo settore, anche perché per vocazione l'Istituto si sente portato verso questo tipo di finanziamento e di investimenti.Ma l'Imi mantiene costantemente l'attenzione puntata anche su Venezia, in quanto è interessato a investire sia sulla città storica sia sulla terraferma e sul territorio circostante. A volte, può essere anche soggetto promotore. Inoltre ho sempre seguito personalmente il problema del finanziamento di opere che riguardano Venezia. In questo momento mi vengono in mente due direttrici: uno, il discorso della metropolitana, tema aperto da circa tre anni a ridosso di una legge rimasta poi inapplicata per i cosiddetti trasporti pubblici di massa. A essa si sarebbero dovuti appoggiare una serie di progetti come la metropolitana di Torino, Palermo, Messina, Napoli, in parte Roma e Milano, ma anche il metrò della laguna. Questo progetto venne esaminato dall'Imi sebbene in via superficiale per la mancanza di elementi concreti, in quanto la Regione, che era il primo organismo preposto allo studio di questo tipo di problema, all'epoca non disponeva di tutti gli elementi occorrenti per un adeguato approfondimento. Purtroppo come la legge, anche il metrò di Venezia e tutti gli altri progetti sono stati accantonati.Questo è comunque il primo filone progettuale che ha investito anche la società, ma ce n'è un altro molto più importante e su cui posso sinceramente ammettere di aver sfogato anche la mia fantasia.Nel gennaio '92 ho collaborato (Luigi Arcuti, n.d.r.) alla stesura del progetto di legge per la Legge speciale per la salvaguardia di Venezia e la sua laguna. Da quel punto di vista ho costruito, anche in collaborazione con la Regione Veneto e altri soggetti ma sospinto anche dal Ministero del tesoro, le ipotesi di intervento per la realizzazíone dei vari tipi di opere per la salvaguardia di Venezia. Finora, tutti gli interventi di salvaguardia sono stati concretizzati quasi esclusivamente dall'Imi per un ammontare di duemila miliardi. Nella sostanza, tutti questi enti preposti alla realizzazione di opere per la salvaguardia della laguna sono stati finanziati dall'Imi. Comunque l'Istituto ha fatto da solo quasi tutte le operazioni, tranne i due finanziamenti al Consorzio Venezia Nuova, dove ha richiesto la partecipazíone di altri enti presenti a Venezia. Con il Consorzio Venezia Nuova i finanziamenti sono vicini ai mille miliardi.Le esperienze condotte in questo filone hanno soddisfatto la società, anche perché gli interlocutorí e gli imprenditori si sono dimostrati abbastanza seri ed equilibrati. Gli imprenditori con l'aiuto e il sostegno della mano pubblica stanno portando avanti i progetti con regolarità, ma a volte anche con un certo ritardo. Il Consorzio Venezia Nuova sta procedendo abbastanza bene, così come sta procedendo con ritmi adeguati anche il Comune di Venezia; un po' a rilento invece sta andando la Regione, con la quale tra pochi giorni si dovrà cominciare ad effettuare le prime somministrazioni di fondi; globalmente si arriverà a duemila miliardi.

Qual è il meccanismo che consente alle operazioni per la salvaguardia di Venezia di passare dalla fase delle idee a quella operativa?

La legge prevede che alcuni enti indicati, e in particolare A Consorzio Venezia Nuova, la Regione Veneto, il Comune di Venezia, il Comune di Chioggia, l'Istituto universitario di architettura, Ca' Foscari, la Provincia di Venezia e la società dell'aeroporto di Venezia, possono contrarre mutui con durata quindícennale, utilizzando limiti di impegno

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annuali previsti già dalla Legge speciale per Venezia (e che dovrebbero essere ulteriormente incrementati con la Legge finanziaria attualmente all'esame del Parlamento), ma con le difficoltà che investono da alcuni anni i mercati finanziari non è facile inventare certi tipi di operazioni. E qui è nato il problema di progettare un mutuo limitato non tradizionale, che superasse le ristrettezze di quello tradizionale, dove invece il soggetto finanziatore eroga i mutui per un importo definito, avendo la sicurezza che lo Stato concederà x miliardi l'anno a favore di questi enti.Il nuovo meccanismo costruito prevede invece una parte finanzíaria, una parte classificabile come assicurativa e così via... In particolare, al fine di spingere al massimo l'ottimizzazione di questi limiti di ímpegno previsti dalla legge, per le operazioni condotte nei primi quattro-cinque anni, vale a dire nel periodo necessario per la realizzazione delle opere, si consente l'acceso ai fondi man mano che le opere vengono realizzate e nello stesso tempo le somme erogate vengono rimborsate all'Imi con i fondi che lo Stato mette a disposizione.Questo che cosa consente? Siccome ad esempio, l'Istituto può erogare cento miliardi, che parzialmente o totalmente rientrano e così via.... nell'arco del primo periodo e in base alla capienza consentita dai limiti di impegno previsti dallo Stato, l'Imi può moltiplicare le erogazioní a favore degli enti preposti alla realizzazione delle opere e applicare a queste operazioni un tasso d'interesse variabile. Obiettivo primario è arrivare alla fine del primo periodo (quattro-cinque anni) con uno stato di avanzamento delle opere realizzate tale per cui i fondi erogati dall'Imi siano rimborsabílí successivamente a tasso fisso con quello che lo Stato darà. Questo comporta un continuo e permanente monítoraggio delle operazioni in modo che, a opera realizzata, il debito sia sicuramente x e come tale possa essere rimborsato a tasso fisso, secondo le disposizioni previste dallo Stato per i rimanenti dieci, dodici anni.

Qual è il vantaggio di un simile meccanismo?

Cosa comporta? Comporta che l'Imi è in grado di assicurare somme che, come dicevo prima, si avvicinano oggi globalmente ai duemila miliardi e garantisce agli enti preposti un tasso fisso che comincia ad essere applicato a partire dal terzo, quarto o quinto anno. E con la volatilità dei mercati finanziari, oggi, è estremamente difficile assumere rischi così grossi in quanto nessuno è in grado di prevedere quale potrà essere il tasso praticabile da qui a cinque anni.UIstituto mobiliare ha però costruito appositamente questo modello, aiutato in un certo senso anche da studi con una componente assicurativa e un costo per l'Imi, perché per poter garantire l'applicazione del tasso fisso a partire da una certa data si è dovuto escogitare una maniera adeguata alla copertura. Infatti, alle condizioni di tasso vigenti fra cinque anni se, anziché Pl 1,05 % che è oggi il tasso di riferimento per le operazioni agli enti pubblici locali, agli enti territoriali, il tasso passerà al 20%, a quel punto l'Istituto, praticamente non sarà più in grado di assicurare adeguate risorse. Anziché erogare una somma per un importo x potrà erogare solo x-y, somma che probabilmente si aggirerebbe intorno al 30%, o anche il 40% di meno rispetto a quanto, invece, si riesce a erogare utilizzando il sistema che ho spiegato prima.

E veniamo al terzo, e ultimo, quesito. P ovvio che, se esiste un interesse del sistema bancario a meccanismi' di forte penetrazione nel Nord-Est, ciò è dovuto alla crescita deIprodotto interno lordo e alla circolazione di contante in quest'area, divenuta ora strategica. Però dentro questa logica di competizione molto spesso Venezia è penalizzata in quanto certamente è la meno competitiva. Qual è la logica con cui opera, o intende operare, Nmí a Venezia?

Il fatto stesso che l'Imi sia quasi l'unico istituto a essersi ímpegnato con particolare sensibilità per Venezia, dimostra quanto il vertice della società sia proiettato a risolvere i problemi della città. Non solo, ma questo atteggiamento conferma anche una piena disponibilità a esaminare tutti i progetti che operano nel campo infrastrutturale, industriale e commerciale, disponibilità che può allargarsi anche verso quei progetti che abbiano i presupposti indispensabili per assicurare un rientro finanziario e così via...L'Imi è presente a Venezia anche sulle poche iniziative industriali... E' presente da sempre. Nella sede veneziana nell'immediato dopoguerra si incontravano, addirittura, i Primi ministri dell'Italia e degli Stati Uniti e i Ministri del tesoro. Questa attenzione ha consentito una presenza capillare dell'Istituto presso le singole, sia pure poche, aziende industriali del centro storico. Cospicua poi è la presenza dell'Imi nella provincia di Venezia dove le maggiori imprese di produzione di acque minerali - tanto per non fare nomi - di produzione di cerchioni per autovetture in alluminio ecc... annoverano tutti la presenza dell'Imi sia sotto forma di finanziamenti ordinari, quindi a tassi di mercato, sia di finanziamenti agevolati, dove le norme lo consentano.Inoltre l'Imi è il socio di riferimento per conto del Fondo ricerca applicata, fondo su cui è nata anche una delle prime società di ricerca la Tecnomare, il cui obiettivo strategico è di avviare ricerche e tecnologie avanzate per le tecnologie marine. La Tecnomare esiste da oltre venti anni ed è un vero successo, non solo tra le società di ricerca, ma anche fra le iniziative industriali presenti a Venezia, in quanto occupa oggi centottanta ricercatori, ha realizzato opere di visibilità mondiale nel campo della robotica sottomarina, nel campo dei collegamentí. Il Fondo ricerca applicata è gestito ancora oggi in esclusiva dall'Imi, anche se con il nuovo contesto europeo la società ha più volte stimolato la partecipazione di altri istituti, affinché svolgessero ruoli analoghi a quelli svolti dall'Istituto nel campo della ricerca ap-plicata. Comunque una partecipazione in questo settore proviene anche da Olivetti, Pirelli e altri.

Roma, 5 dicembre 1994