ALCOL-OLTRE · I giovani sono tra i più influenzati, spinti a supe - rare ogni limite, ad andare...

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DOSSIER ALCOL-OLTRE TESTI DI: Giordano Rigamonti, Mariacaterina Barcella, Paolo Franceschi, José Luis Ponce de León, Laura Poretti, Maria Raffaella Rossin, Emanuele Scafato, Laura Scomazzon, Lino Tagliani. A CURA DI: Luca Lorusso D ITALIA-AFRICA L’EPIDEMIA DELLA DIPENDENZA Rebcenter Moscow/flickr.com

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DOSSIER

ALCOL-OLTRETESTI DI: Giordano Rigamonti, Mariacaterina Barcella, Paolo Franceschi, José Luis Ponce de León,

Laura Poretti, Maria Raffaella Rossin, Emanuele Scafato, Laura Scomazzon, Lino Tagliani. A CURA DI: Luca Lorusso

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Internet e gli spazi d’incontro virtuali chestanno rivoluzionando il pianeta rendonotutto apparentemente possibile e imitabile,riducendo la capacità critica, in un vortice di

notizie e contatti cui non sempre siamo preparati.I giovani sono tra i più influenzati, spinti a supe-rare ogni limite, ad andare «oltre» senza avvertireil pericolo, pur di emulare modelli di forza e suc-cesso. Parte integrante di questi mondi fragili è ilricorso all’alcol e alle droghe. Milioni di personeannegano così le loro speranze nelle dipendenze.Europa e Africa sono due continenti accomunatida questa stessa schiavitù: l’uso disordinato di al-col che colpisce qualsiasi fascia di età, e chespesso è l’inizio di un degrado profondo, l’ingressoin un labirinto dal quale è poi difficile uscire.Chi beve per noia, chi per non sentire la fame. Chibeve per sballarsi, chi per sopravvivere. La spintaverso l’alcol può essere diversa alle diverse latitu-dini. Intanto, una volta iniziato, dopo un po’ non sene può più fare a meno.La Campagna AlcolOltre è nata allo scopo di sen-sibilizzare l’opinione pubblica, sia in Italia che inalcuni paesi africani nei quali operano i missionaridella Consolata su questo problema.

Il caso dello SwazilandPerché tra tanti paesi africani abbiamo scelto pro-prio lo Swaziland? Perché esso è uno di quelli conmaggiore incidenza del problema dell’alcolismo.Nelle classifiche mondiali del 2012 era il terzopaese al mondo per consumo procapite di birra.Tra i paesi africani è uno di quelli nei quali è piùalta l’incidenza dell’alcol come causa di morte.Il «Rapporto globale su alcol e salute 2014», l’ul-timo redatto dall’Organizzazione Mondiale dellaSanità (Oms), conferma un alto consumo di alco-lici prodotti artigianalmente, quindi con grada-zione alta e senza controlli e, di conseguenza, coneffetti peggiori sulla salute. Il rapporto dell’Omsdenuncia anche la totale mancanza di politiche diprevenzione, a parte interventi volti alla semplicerepressione e all’aumento delle tasse.Altro motivo importante per la scelta dello Swazi-land è la presenza nel paese dei missionari dellaConsolata, in particolare del vescovo monsignorJosé Luis Ponce de León a capo della diocesi diManzini. La sua presenza e il suo ruolo offronoalla Campagna un supporto locale per lo svolgi-mento delle attività e dei progetti.

Senza scoraggiarsiLe storie di vari amici e conoscenti che mi descri-vono i traumi subiti dai giovani, ma anche dalleloro famiglie, a causa dell’alcol mi spingono aspendermi in questa campagna e a lottare per farconoscere questo nemico subdolo della nostra so-cietà globalizzata.Dobbiamo agire insieme senza fermarci davanti aifallimenti ma godendo di ogni adolescente che im-para a liberarsi dalla schiavitù.

Giordano Rigamonti

Chi beve per noiae chi per fame

DI GIORDANO RIGAMONTI

L’abuso di alcol tra i giovani e gli adolescenti accomuna i popoli di tutto il mondo. Alcuni mis-sionari della Consolata, osservando il fenomeno nei luoghi in cui operano, hanno dato vita auna campagna che coinvolge l’Italia e alcuni paesi africani, tra cui, in particolare, lo Swaziland.

LA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE CONTRO L’ABUSO DI ALCOL

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La parola alcol viene dall’arabo al-kohl cheindica la polvere finissima di antimonioche, fin dall’antichità, le donne del MedioOriente utilizzavano per colorare di nero

ciglia, sopracciglia e l’orlo delle palpebre. Indicaqualcosa di finissimo, che non si vede quasi, che èvolatile. Ma l’alcol è stato «scoperto» intorno al1200 d.C., quando gli arabi hanno portato in Eu-ropa l’alambicco, indispensabile per produrlo.Oggi, in America Latina, troviamo l’aguardiente,che vuol dire «Acqua che brucia». Noi parliamo di«superalcolici».In tutte le culture si è sempre bevuto. Potremmoindividuare una bevanda tipica per ogni zona delmondo: in Europa c’è il whisky, la vodka, in Ame-rica Latina la tequila. Tutti i paesi hanno da bere.

Il tenente è ubriacoIn America Latina, soprattutto in Colombia, cisono due problemi: il problema della violenza equello della droga.Il problema della violenza è legato alla guerriglia.A questo proposito posso raccontare unfatto: un giorno devo recarmi inuna scuola in un luogo che sichiama El Pato. In auto siarriva fino a un certopunto. Quando finiscela strada iniziano isentieri, lungo iquali ti puoi muo-

vere a cavallo o a piedi. Dove finisce la strada c’èl’ultimo posto di blocco dell’esercito. Ho già pas-sato cinque blocchi. Arrivato lì, mi perquisiscono.Se non hai armi e fai vedere i documenti, puoiprocedere. Verificano i miei documenti, vedonoche non sono ricercato e mi dicono che posso an-dare. Ma improvvisamente avanza il tenente. Èubriaco, con una bottiglia di birra in una mano econ un mitra nell’altra, ci viene incontro barcol-lando.«Cosa succede?», chiede. Il vecchietto che è conme gli fa vedere cinque pacchi di sale e dieci sca-tole di fiammiferi, un po’ di candele e qualcheaspirina. «Tu collabori con la guerriglia!», lo ac-cusa l’ufficiale, «Sono sicuro che di tutte questecose, una parte la dai alla guerriglia!».Io conosco quel vecchietto: vive con la moglie,qualche mese fa, durante uno scontro tra esercitoe guerriglia, gli hanno ammazzato l’unico figlio.

Quando il tenentecolombiano è ubriaco

DI LINO TAGLIANI

Quando uno beve non sa più quello che fa. È ciò che capita a molti in tutto il mondo. Spessocon brutte conseguenze. Padre Lino, antropologo missionario della Consolata in Colombia perlunghi anni, ha incontrato più volte l’alcol come causa di eventi tragici. Anche nel contestodella guerra dove un militare ubriaco con i gradi e il fucile può decidere della vita o della morte.

UNA CATENA CHE SI PUÒ SPEZZARE CHIEDENDO AIUTO

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Non si sa se ucciso dagli uni o dagli altri.Allora intervengo: «No, è un semplice vecchietto.Lui tutti i mesi prende un po’ di caffè e un po’ difagioli, va giù al mercato e li scambia con questecose. Fa la scorta perché per un mese non va piùal mercato».A questo punto il tenente distoglie lo sguardo daJosè Luis e guarda me. Mi chiede i documenti. Ioho anche il permesso del generale che mi auto-rizza ad andare nella zona occupata dalla guerri-glia dove l’esercito non va. Senza quel documentoti considerano collaboratore della guerriglia. Io in-vece ce l’ho e faccio vedere la firma del generale,che è il suo superiore. Ma il tenente è ubriaco, noncapisce più nulla e impreca. Mi dice: «Tu ti fermiqua» e, con il fucile M14 in mano, chiama due sol-dati che mette davanti e dietro di me. «Di qui nonti muovi. Se ti muovi applichiamo la legge dellafuga» (se fai due passi, ti sparano).I capelli mi si drizzano, ma rispondo: «Non mimuovo. Sto fermo come una statua».Sono le 17.30. Alle 18 calerà la notte. Io ho da fareancora tre ore a piedi. Sicuramente il tenente èconvinto che, scendendo nella foresta al buio, laguerriglia mi ammazzerà. Alle 18 mi dice: «Puoiandare».La guerriglia non mi fa nulla ed io arrivo a desti-nazione alle 23.

Un ubriaco non sa più nientePerché racconto questo? Perché quando uno èubriaco non sa più cosa sta facendo. Non si rendeconto. Purtroppo ho visto parecchi morti, anchegiovani, per ubriachezza.In Colombia mi dicevano: «Quando due ubriachilitigano, non ti mettere in mezzo». Solo una volta,per sbaglio, mi sono intromesso e, infatti, il ma-chete di uno dei due mi ha sfiorato il torace strap-pandomi mezza camicia. Non l’ho mai più fatto.Proprio perché un ubriaco non ti riconosce: nonsa se sei un amico, un fratello, una sorella, lamamma o il papà. Non sa più niente.

La «catenella» dell’alcolismoTutti bevono e dicono che lo fanno perché hannosete o perché piace, per stare con gli amici o perdimenticare. Ma nessuno dice che beve perché lofanno bere. Se prendiamo una catenella, osserviamo che hatanti anelli. L’ultimo anello siamo noi che be-viamo. Salendo su per la catenella troviamo illuogo in cui beviamo. Dove beviamo? In un parco,in un bar, in una discoteca. Salendo ancora lungola catenella troviamo chi ci dà da bere. Il barista.Ma chi fornisce questi posti di bevande alcoliche?In parole povere, arriviamo all’ultimo anello e vitroviamo i soldi.Questa è la catena che lega i giovani. Se si entra inquesto giro e a un certo punto non si decide dichiedere aiuto per spezzarla, la catena uccide.Quando invece si ha la forza di dire «dammi unamano per uscire», allora si riesce a farlo vera-mente. Io sbaglio, tu sbagli, tutti sbagliamo, maquando ammettiamo «ho sbagliato, ho bisogno dite», allora ne usciamo.Da soli non andiamo da nessuna parte.

Come una mucca nel fiumeMi è capitato una volta di cadere in un fiume agi-tato che mi ha portato via persino i vestiti didosso, lasciandomi in mutande. Per fortuna sonoriuscito ad attaccarmi a una radice, ma per moltotempo sono rimasto lì perché non passava nes-suno. Dopo un paio d’ore finalmente è arrivato unmio amico, grande cowboy che tirava benissimo illazzo ai cavalli e alle mucche. È arrivato tutto fe-lice e contento con il lazzo e il suo sigaro puzzo-lente e mi ha detto: «Ohe padre, ci crede alla sal-vezza?» e, trattandomi come una mucca, mi halanciato il lazzo. Mi ha agganciato e mi ha salvato.Mi ha dato una mano e mi ha tirato fuori dai guai.

Lino TaglianiTrascrizione dell’intervento tenuto al

convegno «Alcol e Giovani» di Torino, 3/11/2017

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In questi ultimi anni si parla spesso di giovanie alcol soprattutto per segnalare le abitudinialcoliche di molti ragazzi italiani che bevonoda giovanissimi utilizzando, alcuni di loro, an-

che modalità rischiose come il binge drinking(«abbuffata alcolica»).Secondo l’Istat il consumo fuori pasto è diffusosoprattutto tra i giovani (18-24 anni) e i giovaniadulti (25-44 anni). Altro dato preoccupante èquello che indica negli ultimi dieci anni una cre-scita del consumo fuori pasto tra le femmine: dal14,9% del 2005 al 16,5% del 2014.Nel nostro paese troppe persone (quasi 6 milioni)superano i limiti del consumo abituale che, se-condo il ministero della Salute, prevede due unitàalcoliche al giorno per gli uomini (un’unità alco-lica corrisponde a 12 g di alcol puro: un bicchiereda 125 ml di vino, una bottiglia di birra da 330 ml,o 40 ml di superalcolico), un’unità per le donne eper le persone sopra i 65 anni, nulla per chi hameno di 18 anni e per le donne in gravidanza.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)dice chiaramente che non è possibile individuarequantità di alcol «raccomandabili» o sicure per lasalute: l’unica strada sicura è non bere affattoperché le bevande alcoliche sono tossiche, poten-zialmente cancerogene, in grado d’indurre dipen-denza e di causare danni diretti alle cellule dimolti organi, soprattutto del cervello.

Le resistenze culturali (ed economiche)Chi si è confrontato con le problematiche con-nesse all’uso delle bevande alcoliche, e soprat-tutto del vino, si sarà senz’altro reso conto che cisono forti resistenze nelle persone. L’Italia, infatti,ha una cultura vitivinicola molto importante conradici antichissime che si intrecciano anche con lastoria religiosa. Per noi la vite è una pianta sacra.Inoltre è importante ricordare il peso economicodella produzione del vino: le aziende vitivinicole inItalia sono 383.645, pari al 23,5% di tutte leaziende agricole, per un totale di 632mila ettari

Maneggiare il dolorecontro il vuoto

DI MARIA RAFFAELLA ROSSIN

La cultura e l’economia dell’alcol sono due degli elementi decisivi nella scarsa consapevolezzadei rischi legati al bere. Nella sola Italia sono quasi sei milioni le persone che dichiarano di bereoltre i limiti consigliati. Quella giovanile è la fascia più a rischio per i danni correlati all’alcol.Tra gli antidoti: genitori capaci di una comunicazione sana con i propri figli.

L’ALCOLISTA E LA SUA FAMIGLIA DENTRO L’ECONOMIA DEL VINO

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In base ai dati pubblicati dall’Organizzazione mon-diale della sanità (Oms, Who in inglese) nel GlobalStatus Report del 2014 (il più recente), l’Europa ha

la più alta percentuale di consumo di alcol nelmondo, con una quantità procapite doppia rispettoalla media mondiale. Secondo il Report 2015 di WhoEuropa, il consumo di alcol nel nostro continente ri-mane il maggiore problema di salute pubblica in-sieme al tabacco e all’obesità. La riduzione dell’a-buso di alcol e dei danni a esso correlati, in modoparticolare del fenomeno del binge drinking, è unobiettivo del governo italiano, in linea con le politi-che dell’Unione europea e dell’Organizzazione mon-diale della salute.

Alcol: prima causa di morte tra i giovaniIn Italia il consumo di bevande alcoliche sta mo-strando un profilo nuovo e preoccupante, si regi-stra un suo progressivo aumento in fasce orarielontane pasti. Secondo i dati Istat, nel corso del2015 ha consumato almeno una bevanda alcolica il64,5% degli italiani dagli 11 anni in su (35 milioni dipersone), con prevalenza notevolmente maggioretra i maschi (77,9%) rispetto alle femmine (52,0%).Si registra un incremento dei consumi rispetto al-l’anno precedente. La percentuale dei bevitori a ri-schio, elaborata attraverso l’indicatore di sintesi e idati dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istitutosuperiore di sanità, è stata nel 2015 del 23% per gliuomini e del 9% per le donne di età superiore agli

11 anni, per un totale di quasi 8 milioni e mezzo diindividui, di cui 800mila tra i minori e altri 800milatra i giovani dai 18 ai 25 anni.Secondo la relazione del ministero della Salute alparlamento per l’anno 2016, sugli interventi realiz-zati in base alla legge 125/2001 (legge quadro inmateria di alcol e di problemi alcolcorrelati, ndr.),«resta allarmante il fenomeno del binge drinking»,che comporta l’assunzione di numerose unità alco-liche al di fuori dei pasti e in un breve arco ditempo. Nel 2015 è stato pari al 10,8% tra gli uominie del 3,1% tra le donne di età superiore a 11 anni: 3milioni e 700mila binge drinkers (persone che be-vono per ubriacarsi). Le percentuali di binge drin-kers aumentano nell’adolescenza e raggiungono ivalori massimi tra i 18-24enni. Dei 900mila bingedrinkers tra gli 11 e i 25 anni, circa 200mila sono 11-17enni e 325mila 18-20enni. Il 17% circa di tutte leintossicazioni alcoliche giunte in pronto soccorso siregistrano tra giovani di età inferiore ai 14 anni.Gli alcolici preferiti sono soprattutto aperitivi, supe-ralcolici e amari e il loro consumo aumenta lontanodai pasti, quando è più dannoso per la salute.In Italia l’alcol è la prima causa di morte tra i gio-vani (Istituto superiore di sanità), come in Europa enel mondo, prevalentemente in correlazione conl’incidentalità stradale. Secondo l’Oms, il costodell’alcol in Italia, in termini di sicurezza sociale, in-cidenti stradali e sul lavoro, e violenze è stimabilein 25 miliardi di euro l’anno.

Emanuele Scafato

I DATI DELL’ALCOL IN ITALIA

coltivati che danno lavoro a oltre 200mila addetti.Tra il 70 e l’80% della produzione è destinato al-l’export. Secondo Federalimentare il peso del vinosul fatturato complessivo dell’industria alimen-

tare sfiora il 7,7%. Negli anni Novanta è esploso ilturismo del vino: accanto agli eventi enogastrono-mici in ogni regione, per tutto l’anno si susse-guono appuntamenti legati alla degustazione eno-logica. In Umbria, Toscana, Piemonte sono natimusei dedicati al vino.Questi dati economici e culturali ci aiutano a com-prendere come mai il messaggio trasmesso ai ra-gazzi sull’utilizzo delle bevande alcoliche, a diffe-renza delle droghe illegali, è completamente ina-deguato rispetto ai rischi.

Thomas Hawk/flickr.com

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DPer i giovani è più pericolosoBisogna dare ai giovani e agli adulti gli strumentiper riconoscere un comportamento a rischio, ilproprio, o quello di un amico o un famigliare.Gli studiosi ci dicono che il rischio della dipen-denza da droga o alcol non è uguale per tutti: al-cune persone sono più vulnerabili rispetto ad al-tre. Bere alcolici in età giovanile, ad esempio, è piùpericoloso: l’alcol può causare al cervello dei ra-gazzi alterazioni a delicati sistemi neuropsicolo-gici bloccandone il normale sviluppo e mostran-done i danni solo nel tempo. Il cervello dei giovani,che raggiunge la sua completa maturazione solointorno ai 20-21 anni, è più sensibile alla ricerca digratificazioni veloci ed è più esposto ai rischi delpiacere immediato che le droghe e l’alcol possonooffrire. Ma quali sono i fattori che, combinati insieme,possono determinare una situazione di alto ri-schio per un individuo? I neuroscienziati si stannoconcentrando, ormai da anni, sugli effetti che lebevande alcoliche determinano su una specifica

area cerebrale, il Nucleo Accumbens, che ci grati-fica quando assumiamo determinate sostanze(cibi, come per esempio il cioccolato, alcol, dro-ghe). Se il Nucleo Accumbens funziona bene, chimangia cioccolato o assume alcol, lo fa in modocontrollato. Se invece funziona male, il mancatocontrollo nell’assunzione di sostanze unito a uneventuale disagio psicologico, può innescare unmeccanismo di dipendenza: l’individuo ha bisognodegli effetti positivi della sostanza per placare ilsuo malessere interiore.

L’influenza delle famigliePer poter prevenire disagi che si possono tra-durre in abitudini alcoliche patologiche è, quindi,importante conoscere, nelle famiglie, situazioni didipendenza nelle generazioni precedenti. Se unadolescente sperimenta le sostanze alcoliche, maè interiormente forte e difeso da una rete fami-liare attiva e protettiva, sa fermarsi in tempo. Se èinteriormente fragile, sensibile, vulnerabile, maha una rete familiare attiva e protettiva, può at-

Qui: prevalenza (%) di consumatori a ri-schio per genere e classi di età (dati riferitiall’anno 2015). | Prevalenza (%) di bingedrinkers (persone che bevono per ubria-carsi) per genere con età uguale o supe-riore agli 11 anni (dati riferiti agli anni2003-2015).Le figure sono tratte da Ministero della Sa-lute, direzione generale della preven-zione sanitaria - ufficio VI, Relazione delministro della Salute al parlamento sugliinterventi realizzati ai sensi della legge30/3/2001, n. 125, «Legge quadro in ma-teria di alcol e problemi correlati». Anno2016, pagg. 17 e 19. Entrambi i graficisono elaborazioni Ona-Cnesps e Who ccr+esearch on alcohol su dati dell’inda-gine Istat multiscopo sulle famiglie.

Da pag. 44 a 46: immagini dello Swazilanddi Alfredo Felletti.Pag. 47: una donna in Sudafrica lavora ilfrutto di marula, da cui la bevanda alcolicaAmarula.Pag. 49: le Tende Live a Bellusco (MB) orga-nizzate dalla campagna AlcolOltre. | Inbasso: studenti durante uno degli incontrinelle scuole del gruppo di volontari dellacampagna in Swaziland.Nella altre pagine: immagini simboliche.

DQuasi 8,5 milioni di consumatori a rischio in Italia,di cui 800mila tra gli 11-17enni

Prevalenza di binge drinker

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Sono Manuel di Milano. Ho 31 anni. Già dai 17ho iniziato ad avere dei problemi: ero arrivato abere fino a 4-5 bottiglie di Jägermeister al

giorno.L’abuso di alcol è un discorso di richiamo mentale.Tante volte si fa fatica a resistere perché manca lavolontà oppure si è fragili o si sta attraversando unperiodo difficile. Oppure può anche accadere che sivivano delle situazioni molto positive, gioie moltoforti che conducono anch’esse a ricadere nel pro-blema dell’alcolismo.Ad un certo punto mi sono molto spaventato per-ché pensavo di non poter più tornare indietro. Misentivo veramente giù. Una volta mi ricordo di es-sere finito in psichiatria per abuso di alcol e psico-farmaci insieme, e sono rimasto legato al lettodell’ospedale per parecchi giorni. Lì mi sono accortoche rischiavo di finire sotto terra o comunque diavere dei problemi grandissimi nella vita.Mi hanno proposto di entrare in comunità ed io hodetto sì. Stavamo bene, eravamo puliti e sentiviproprio la sensazione di essere amici non per qual-cosa o qualcuno. Ero abbastanza motivato all’inizioe col tempo la motivazione è cresciuta sempre dipiù. Sono stato accompagnato ed ho avuto la for-tuna di avere vicino delle persone che sono riuscitea trovare un giusto compromesso tra il dosaggio deifarmaci e la psicoterapia.Sono riuscito a farmi accompagnare finché ho sca-lato tutti i farmaci. Neanche io ci credevo! Mi sem-brava una cosa impossibile anche solo da immagi-nare: non prendere più alcun farmaco. Invece sonoriuscito. Sono riuscito ad avere dei progetti, co-struire delle cose. È stato bello e il tempo è volato.

Anche i genitori e l’intera famiglia, con il tempo, ve-dendo che stai bene, ti si riavvicinano e ci si scusa.Anche la fiducia piano piano la riconquisti. Questoriconquistare è una cosa veramente difficile: ancheadesso non è ancora del tutto avvenuto.Io non mi sento illuminato e completamente gua-rito. Il problema è comunque sempre lì. Devo sem-pre stare attento. Capitano dei momenti in cui tisenti a rischio: se uno per tanti anni ha usato dellesostanze, è normale che ogni tanto il corpo, in parti-colare il cervello, richieda la sostanza. Ciò è legatocomunque agli stati d’animo. La sensazione di dire«vorrei…» è molto presente nell’inconscio. Non èuna cosa che puoi toccare e sentire, però con la vo-lontà, con la testa che ci pensa veramente 150 mi-lioni di volte prima di ricaderci, ci si riesce.Avere delle persone che ti sono vicine, con le qualicondividi la tua vita, è fondamentale.Può capitare a chiunque di avere dei problemi, nonesiste la persona che sta sempre veramente bene,non esiste un mondo dove tutto va bene. L’impor-tante è saper vedere che comunque ci sono dellepersone che ti aiutano, che vedono che sei in diffi-coltà e non fanno finta di niente.Adesso sono una persona che tutti i giorni cerca lasua strada, cerca di stare sempre attenta, ha deimomenti di alti e bassi e comunque, un po’ più ditutte le altre persone, ci sta attenta.

Manuel

Sul canale Youtube di Impegnarsi serve, si può visionare ilvideo «Tetimonianza di Manuel» da cui è tratto il testo.

La testimonianza di un giovane ex alcolista

«MI SEMBRAVA IMPOSSIBILE, INVECE CI SONO RIUSCITO»

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traversare momenti difficili ma saper chiedereaiuto. I ragazzi fragili, sensibili, vulnerabili chebevono e non hanno una rete familiare attiva eprotettiva, si sentono soli e possono trovare nel-l’alcol il sostegno e la complicità che gli affettinon offrono loro. Se poi c’è una familiarità alco-lica la situazione si complica.Si parla ancora molto poco dei danni che l’abusodi alcol e la dipendenza provocano nelle relazionifamiliari e di quanto queste siano determinantinel contribuire al disagio provato dall’individuoche, da adolescente o da adulto, diventerà un be-vitore eccessivo o un dipendente.Nella storia familiare dei bevitori emerge spessoche fin dall’infanzia si sono sentiti inadeguati,non voluti, caricati di aspettative troppo alte ri-spetto alle loro capacità, incapaci di realizzare leattese dei genitori, colpevoli per le vicissitudinifamiliari. Il dolore eccessivo è un elemento fonda-mentale nel vissuto del futuro bevitore e dell’al-coldipendente, e fin dall’infanzia occupa un postoimportante nella sua interiorità. Il dolore riem-pie, di anno in anno, i vuoti lasciati nell’individuodall’affettività mancata e lo «sazia». Il dolore checausa problemi è quello che non si sa gestire. È ildolore che ci travolge e dal quale scappiamo.

Comunicare bene per maneggiare il doloreUna buona relazione familiare, invece, aiuta i ra-gazzi a fortificarsi interiormente. Se un bambino èfragile, molto sensibile, poco capace di autodifen-dersi, quando si sente inadeguato si convince diesserlo davvero. Uno strumento fondamentale peraiutare i ragazzi a «maneggiare il dolore» è la co-municazione, una comunicazione sana.La comunicazione, quella verbale e non verbale, èla modalità con cui ci relazioniamo al contesto incui viviamo. Conta molto accorgersi del modo incui comunichiamo: stiamo comunicando in modosano o disfunzionale? Spesso, in famiglia si comu-nica in modo più efficace con i gesti e le occhiate -cioè tramite il linguaggio non verbale - piuttostoche con le parole. La comunicazione non verbale èpiù difficile da controllare e valutare, ma si puòaumentare l’attenzione su di essa, in modo da ar-rivare a coordinare in modo armonico il linguag-gio verbale e quello non verbale costruendo cosìuna comunicazione sana.Che cosa bisogna fare per avere una comunica-zione verbale in sintonia con quella non verbale?Addestrarsi a essere chiari, coerenti, capaci di au-tocritica, capaci di autorettifica.Il genitore attento fa «manutenzione» al suo ruoloalmeno una volta alla settimana riflettendo, anchecon il partner, su ciò che ha funzionato e ciò chenon ha funzionato; facendo una riunione alla setti-mana con i figli nella quale tutti discutono sui pro-blemi da affrontare o sugli argomenti importantiper i singoli, e prendendo decisioni insieme. Il ge-nitore attento esprime l’affetto e lo lascia espri-mere; costruisce regole chiare e non ha paura di

sostenerle; gratifica i figli e valorizza le loro capa-cità; evidenzia chiaramente i comportamenti ade-guati e quelli inadeguati; impara, insieme ai figli,ad affrontare le loro difficoltà; non teme di chie-dere scusa.La sintonia tra il verbale e il non verbale è il risul-tato di un lavoro interiore che il genitore fa con sestesso per rispettare i figli nella loro individualitàe aiutarli a diventare quello che sono, non quelloche il genitore vuole che siano.Tutto questo serve a costruire strumenti che pos-sono essere utili ai ragazzi per affrontare le sfideche si trovano di fronte nella complessa societàglobale in cui vivono, evitando loro di cercareaiuto in stampelle artificiali come alcol, droghe ealtre dipendenze.

Maria Raffaella Rossin

BIBLIOGRAFIA:- Larn, Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti, 2014.- Tesi di laurea Università Luiss, Il mercato del vino italiano:scenario competitivo e strategie di internazionalizzazione inun settore in continua evoluzione, 2014.

- G. P. Brunetto, Alcol e giovani: cosa fare. Elementi di neuro-scienze e dipendenze, Dipartimento politiche antidroga,Presidenza del consiglio dei ministri, 2010, pg. 269.

- G. Serpelloni et al., Cervello, mente e droghe. Struttura, fun-zionamento e alterazioni droga-correlate, Dipartimento po-litiche antidroga, Presidenza del consiglio dei ministri,2014.

DI ALCOL MC HA PARLATO ANCHE IN:- S. Garini, Alcol, non abusare, MC aprile 2016- R. Novara Topino, tre puntate della ribrica Madre Terra in MCottobre e novembre 2011 e gennaio 2012.

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Sono nato in Argentina e, come missionariodella Consolata, sono stato destinato al Su-dafrica nel 1994, qualche mese prima cheMandela diventasse presidente. Dopo 11

anni sono stato chiamato a Roma per svolgere unaltro servizio finché papa Benedetto mi ha nomi-nato vescovo per il Sudafrica. Sono quindi ritor-nato nel paese nel gennaio del 2009 e vi sono statoaltri 5 anni, finché papa Francesco mi ha nomi-nato vescovo di Manzini, in Swaziland, una na-zione circondata dal Sudafrica e confinante perun breve tratto anche con il Mozambico.

Piccolo regno, grandi problemiLo Swaziland è un piccolo regno di circa 200 per150 km. I suoi abitanti sono 1.200.000. Al centro sitrova Manzini, la cittadina più importante a livellocommerciale e in posizione ottimale per gli spo-stamenti. La capitale è però Mbabane, dove hasede il governo. Il parlamento e il Re stanno in-vece a Lobamba.

La nostra bandiera riporta al centro uno scudocon lance che identificano la nazione. I colori sononero su bianco e bianco su nero per esprimere larelazione pacifica tra i popoli. A differenza del Su-dafrica, infatti, lo Swaziland non ha vissuto il pro-blema della segregazione razziale.C’è un parlamento, e un capo di stato che è il Re.Come per il Sudafrica, la poligamia qui è legale eparte della nostra cultura.Una cosa molto bella del paese è l’artigianato: lalavorazione dei tessuti, dai colori molto vivaci, lafabbricazione di candele e la lavorazione del vetro.Sfortunatamente siamo conosciuti anche perl’Aids. Siamo la nazione con la percentuale piùalta al mondo di sieropositivi: quasi una personasu tre - il 27,2% - tra i 15 e i 49 anni. Oggi, grazie aifarmaci non è più una condanna a morte. A causadell’Aids l’aspettativa di vita alla nascita nei de-cenni passati era crollata, oggi è di 57 anni per gliuomini e 61 anni per le donne.

Mi dicono: «Se apro unabottiglia, devo finirla»DI JOSÉ LUIS PONCE DE LEÓN

Il piccolo paese incastonato nel Sudafrica è il terzo al mondo per consumo procapite di birra.Conta una popolazione di 1,2 milioni di abitanti e il 27% di adulti sieropositivi. In questo conte-sto la chiesa cattolica sta cercando di attivare programmi educativi che aiutino la popolazione aprendere coscienza dei rischi legati al consumo di alcol.

LE PAROLE DEL VESCOVO DI MANZINI

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Alcol, problema individuale e socialeIn questo contesto, uno dei motivi di preoccupa-zione per la salute dei cittadini e per le condizionigenerali del paese è anche l’abuso di alcol. Non sitratta solo di una sensazione: le statistiche gover-native ci dicono che il 50% degli incidenti stradalisono provocati dalla guida in stato di ebbrezza.Da noi accade una cosa che non ho mai visto danessun’altra parte: una volta alla settimana il gior-nale ci dà le statistiche di coloro che sono statisorpresi nel fine settimana a guidare in stato diubriachezza. Il fine settimana successivo al 20-22del mese, quando si prende lo stipendio, il numerodi coloro che vengono colti alla guida ubriachisale. Avendo i soldi, è più facile bere. Si arriva an-che a 170/180 persone. Negli altri fine settimana inumeri sono attorno a 100/120 persone. Di unaventina di loro il giornale riporta nome, cognomee la multa che dovrà pagare. Se non hanno i soldi,vanno in carcere per un certo periodo. Tutto èproporzionale al livello di alcol trovato nel sangue.Di queste persone arrestate i giornali raccontanoanche le storie: un ragazzo che aveva il livello dialcol tre volte maggiore a quello consentito ha te-stimoniato: «Sono andato con i miei amici e mi

hanno fatto provare il whisky. Io avevo preso sem-pre delle cose più leggere. Non ero abituato». Ilmagistrato gli ha risposto: «Ringrazia pure i tuoiantenati, perché io dovrei portarti via la patente».Allora gli è stato fatto scegliere tra due anni diprigione oppure pagare 130 euro.Un altro caso che mi ha colpito è stato quello di unragazzo che, mentre guidava, quando ha visto lapolizia, invece di fermarsi, ha accelerato. Unavolta preso e portato in tribunale, lui ha spiegato:«A me piace giocare alla playstation. E allora eroconvinto di giocare. Quando ho visto la polizia die-tro di me sono andato ancora più veloce, più forte,pensando di vincere».«Bevo per divertirmi», «bevo perché sono arrab-biato», «bevo per questo o per quello». La cosache mi colpisce è che tutti salgono su una mac-china e guidano senza accorgersi di mettere a ri-schio la propria vita e quella degli altri.

Educare contro le bugie dell’alcolDi fronte a questa situazione, noi vogliamo poterfare qualcosa per educare sia i nostri giovani siagli adulti. L’alcol infatti è presente anche tra que-sti ultimi. Lo constatiamo quando il titolare di unaditta ci dice: «Io il lunedì devo avere un po’ di pa-zienza perché so che, se hanno bevuto nel fine set-timana, arriveranno al lavoro più tardi, o addirit-tura non ce la faranno a lavorare». Lo riscon-triamo anche nelle situazioni di alcune delle fami-

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glie che conosciamo, quando i giovani ci raccon-tano che la mamma o il papà bevono e che, sesono fortunati, quando tornano a casa non par-lano con nessuno, se non lo sono, quando tornanoa casa sono violenti.L’alcol è un bugiardo: ti fa credere che hai tu ilcontrollo, che puoi decidere tu quando smetteredi bere, e invece non è così. Mi ricordo di un gio-vane con il quale ho parlato un po’ di tempo fa. Glidicevo: «Sei mal messo, devi fare qualcosa. Tutti ituoi amici e familiari parlano di te. Devi smetterladi bere, devi chiedere aiuto». Lui mi ha risposto:«No, no, vedrai che non mi capiterà mai più». Eraun mercoledì, poi ha bevuto da giovedì fino a do-

menica, quando abbiamo dovuto metterlo in uncentro per poterlo veramente aiutare.Lui non mi diceva delle bugie, era veramente con-vinto di farcela. Invece è caduto di nuovo perquattro giorni di seguito.

«Se apro una bottiglia, devo finirla»Parlavo con un giovane swazi riguardo questa si-tuazione dell’alcol. Lui mi diceva: «Sai qual è il no-stro problema? Quando abbiamo una bottiglia,dobbiamo finirla. Che sia birra o vino o qualcosadi più forte, non siamo capaci di prenderne un bic-chiere e poi dire basta. Se apro la bottiglia, devofinirla».

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Alcol è sinonimo di festa, di gioia, ma anche distordimento: si beve per divertirsi e si beveper dimenticare la difficoltà di sopravvivere.

Così anche l’Africa paga il suo contributo al dioBacco: là dove la povertà non permette di com-prare bevande alcoliche «controllate», se ne pro-ducono in modo artigianale con notevoli rischi perla salute. Il mercato illegale dell’alcol, nel qualesono frequenti la contraffazione e la sofisticazione,fiorisce tanto più quanto minore è la disponibilitàeconomica dei consumatori.I sistemi sanitari africani sono generalmente moltocarenti e spesso a pagamento. La popolazione, na-turalmente, ne subisce le conseguenze: grande in-cidenza di malattie dell’infanzia, alti rischi per ladonna gravida e per quella che allatta, anziani edisabili costretti a vivere in condizioni molto dure.In questo quadro, l’alcol dà il suo contributo au-mentando la diffusione di malattie del fegato (enon solo), la denutrizione e soprattutto il degradodella persona umana, che nei casi di alcolismo cro-nico si concretizza in situazioni di marginalità e ab-bandono, talora anche da parte dei famigliari.

Il pericolo dell’alcol artigianaleLa nostra esperienza in Congo RD, a Kinshasa, nel2015, ci ha messi di fronte a una società nellaquale molte persone vivono ogni giorno una batta-glia per giungere a sera. Molti, e tra essi tanti gio-vani, trovano nell’alcol la medicina che per qual-che ora permette loro di estraniarsi dalla miseria,dall’abbandono e dalla desolazione in cui versano.Per le stradine del quartiere nel quale eravamoospiti dei missionari della Consolata, vedevamo ta-volini su cui venivano proposte in vendita bottigliedi alcol artigianale. Abbiamo voluto comprarne al-cuni campioni per farli analizzare in Italia e capirecosì cosa beve la popolazione che non ha i soldiper acquistare la birra o altre bevande alcolichenei negozi. Una volta tornati dal Congo, li abbiamoportati a un laboratorio di analisi e ne è venutofuori un quadro preoccupante: su sei campionianalizzati, ben quattro avevano un tasso alcolicosuperiore al 34% (come un nostro superalcolico),in più in essi erano presenti quantità considerevolidi sostanze tossiche (forse provenienti dalla faldaacquifera) come rame e zinco.

L’esperienza di due medici italiani

SPUNTI DALL’AFRICA

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Non solo sanzioni, ma cura e prevenzioneLa cosa che più ci ha colpito, non solo in Congo,ma anche in altre realtà africane che abbiamo visi-tato, è la negazione del problema da parte delleistituzioni e anche dei colleghi medici che tendonoa sminuire l’importanza del rischio dell’alcol per lasalute. È vero altresì che spesso in Africa le prioritàsono altre e più drammatiche (malnutrizione, Aids,

malaria).Anche nei paesi in cui il problema

è preso in maggiore considera-zione, come nello Swaziland,l’abuso di alcol viene affron-tato più come un vizio dasanzionare (ad esempio con

multe) che come una di-pendenza da curare e

per la quale fareprevenzione. Il ri-sultato è che il pro-

blema ri-mane.

Che fare?Che fare allora? La risposta, ci pare, sta nella pre-venzione. Ad esempio nelle scuole, come in quelledei missionari; negli ambulatori medici, dove già sifa prevenzione per Aids, Tbc, malaria; negli am-bienti di vita, per esempio nei mercati.Questo implica ovviamente formare gli operatori:a Manzini, in Swaziland, la Caritas che va nei vil-laggi ad assistere le famiglie più bisognose, si è di-chiarata disponibile a svolgere educazione sanita-ria per la prevenzione dell’abuso alcolico.Ma prevenzione è anche aiutare i giovani a cre-dere nel loro futuro. Là dove il bere è una rispostaalla mancanza di speranza in una vita degna di es-sere vissuta, occorre adoperarsi per costruire oc-casioni di lavoro e di aggregazione sociale, occorrela fantasia e la creatività di chi sa operare il bene eanche il sostegno finanziario di chi non è in primalinea, ma vorrebbe poter fare qualcosa.

Mariacaterina Barcella e Paolo Franceschi

Io non sono un esperto, parlo soltanto di quelloche vedo e vivo, che trovo nella mia diocesi, nellamia nazione. Vedo ad esempio che l’alcol dà unsenso di appartenenza a un gruppo. Ti dicono: «Iobevo per poter stare con i miei amici». Ma questaè un’altra grande bugia dell’alcol. Perché inizial-mente ti senti accolto, poi però, quando le cosevanno male, l’accoglienza finisce. Rimani più solodi prima. Quando mi dici che bevi per stare con gliamici, che amici sono quelli che ti lasciano salirein macchina anche se sei ubriaco?Ricordo soltanto un’occasione in cui un gruppo diamici, dopo aver bevuto insieme, vedendo che unodi loro aveva esagerato, hanno preso le chiavidella macchina dicendo: «Tu oggi dormi qui».

Alcol «dopo le lacrime»L’alcol, in modo particolare da noi, trova semprestrade nuove per entrare nella tua vita. E non tene accorgi neanche. In Sudafrica, dove ho lavo-rato diversi anni, è entrato in un modo molto «ori-ginale»: quando muore qualcuno noi facciamo, sepossibile, il funerale di sabato. Si aspetta fino alsabato per permettere ad amici e parenti di arri-vare. Tutto comincia venerdì sera con una vegliadi preghiera nella casa di colui che è morto. Silegge, si prega e si canta tutta la notte fino al mat-tino. Al mattino si fanno discorsi: amici e parenti

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parlano della persona che è morta. Dopo un’altrapreghiera si va al cimitero. Dopo il cimitero tuttitornano a casa della famiglia. Fin qui è tradizione.Da qualche anno, però, si è aggiunta una nuova«usanza» che si chiama after tears, cioè «dopo lelacrime»: abbiamo pregato, abbiamo pianto eadesso è il tempo di celebrare, e allora si va avantibevendo.

Sognare un futuro diversoLa nostra sfida è: come educare al bere in modoresponsabile? Non si tratta di non bere più, ma diavere una relazione diversa con l’alcol. Quandodico che in Swaziland un adulto su tre è sieroposi-tivo all’Hiv, non sarà forse anche frutto dell’abusodi alcol? Dopo che uno ha bevuto, si sente più li-bero e non ci pensa tanto. E poi, la violenza fami-liare che troviamo quasi ogni giorno sui giornali inSwaziland, da dove viene?La nostra intenzione allora è di lavorare sulla pre-venzione. Se un po’ di anni fa la nostra sfida eracome poter sognare un futuro diverso davantiall’Aids, oggi il nostro sogno è poter aiutare i no-stri giovani a scegliere di vivere, a scegliere unavita diversa, ad appassionarsi alla vita.

José Luis Ponce de LeónTrascrizione dell’intervento tenuto al

convegno «Alcol e Giovani» di Torino, 3/11/2017

La Campagna in Swaziland

«EDUCARE PERPREVENIRE»

«Educare per prevenire» è il nome del pro-getto che è stato impostato in Swazilandper allontanare i giovani dal pericolo

dell’abuso di alcol.Perché lo Swaziland? Lo Swaziland è un piccolopaese nel quale è presente un’unica diocesi il cuivescovo è monsignor José Luis Ponce de León, mis-sionario della Consolata. La disponibilità sua e deisuoi collaboratori, in modo particolare di padreGiorgio Massa, ha permesso di conoscere da vicinola realtà in cui vivono i suoi abitanti.Durante la prima esperienza missionaria di ungruppo di volontari nell’agosto 2016 è stato possi-bile capire quanto il problema dell’abuso di alcolfin dall’età giovanile sia molto diffuso. Successiva-mente, a marzo 2017, sono andati in Swaziland al-cuni volontari medici che hanno potuto verificarela scarsa consapevolezza nella cittadinanza deiproblemi fisici causati dall’abuso di alcol.Per questo motivo è nato il progetto «Educare perprevenire» che ha l’obiettivo di sensibilizzare i ra-gazzi delle scuole secondarie sulla problematica,approfondendo le motivazioni che portano a ca-dere nella trappola dell’abuso di alcol e gli effettidi questo sul corpo. Nel mese di agosto 2017 un al-tro gruppo di volontari ha visitato sei scuole delloSwaziland incontrando oltre mille studenti e ri-scontrando tra essi grande interesse.Ma questo è stato solo l’inizio: dopo la fase di spe-rimentazione dell’estate scorsa, nell’agosto 2018ci sarà una sessione di formazione di animatori lo-cali che potranno dare continuità al progetto, dif-fondendo e approfondendo i temi della preven-zione in più scuole (almeno nelle 60 gestite dalladiocesi).

Laura Scomazzon

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IL SALUTO DI PAPAFRANCESCO«Abbiamo chiesto a papaFrancesco nei prossimigiorni di dire una parola diappoggio a questo progetto,che aiuterà i giovani a capireche cosa significa amare sestessi», aveva detto mons.José Luis Ponce de León inun’intervista a fine ottobre.Puntuale è arrivato il salutodel pontefice all’Associa-zione Impegnarsi Serve incoda alla preghiera dell’An-gelus del 1° novembre 2017in piazza San Pietro.

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QUESTO DOSSIER È STATO FIRMATO DA:• GIORDANO RIGAMONTI - missionario della Consolata, è fon-

datore dell’Associazione Impegnarsi Serve Onlus - Odv e coor-dinatore della Campagna «AlcolOltre».

• MARIACATERINA BARCELLA - è dirigente medico di I livello.Ha esperienza di volontariato internazionale in Africa e recen-temente in Congo e Swaziland per la Campagna «AlcolOltre».

• PAOLO FRANCESCHI - dirigente medico di I livello del Noa(Nucleo operativo alcologia) di via Perini, Milano. Ha espe-rienza di volontariato internazionale in Africa.

• JOSÉ LUIS PONCE DE LEÓN - missionario della Consolata, ve-scovo della diocesi di Manzini in Swaziland. Argentino, già su-periore regionale dei missionari della Consolata in Sudafrica esegretario generale dell’Istituto Missioni Consolata, è partnerdella Campagna «AlcolOltre».

• LAURA PORETTI - da 10 anni nell’Associazione ImpegnarsiServe, ne è attualmente consigliere nazionale con rappresen-tanza legale e amministratrice della Campagna «AlcolOltre».

• MARIA RAFFAELLA ROSSIN - è psicologa e psicoterapeuta re-sponsabile del Noa di via Perini, Milano e del coordinamentotecnico scientifico del Noa Asst Fatebenefratelli-Sacco. È mem-bro del direttivo nazionale della Società italiana di alcologia.

• EMANUELE SCAFATO - direttore del Centro dell’Oms per la ri-cerca sull’alcol; direttore dell’Osservatorio nazionale alcol, Cen-tro nazionale dipendenze e doping dell’Iss; presidente della So-cietà italiana di alcologia e vicepresidente della Federazione eu-ropea delle società scientifiche sulle dipendenze (Eufas).

• LAURA SCOMAZZON - referente dei progetti dell’Associa-zione Impegnarsi Serve in Swaziland.

• LINO TAGLIANI - missionario della Consolata in Colombia edEcuador, antropologo.

• PER APPROFONDIRE: www.impegnarsiserve.org

• DOSSIER A CURA DI: Luca Lorusso, redazione MC.

La Campagna in Italia

TENDE E SCUOLE

Impegnarsi Serve, forte della sua decennale espe-rienza con i giovani, unisce a una informazionecorretta sull’alcol e sui rischi connessi al suo con-

sumo, un’apertura sul mondo per stimolare un con-fronto al fine di una formazione umana globalenella logica dell’interculturalità.Oltre ai convegni con medici, operatori, testimonie missionari e a giornate di animazione, due sonole attività su cui ha scelto di investire.

Tende Live AlcolOltre - Un coinvolgente percorso che affronta il temadell’alcol tramite stimoli diversi offerti in tre tendenelle quali giovani e adulti trovano racconti di chil’alcol l’ha vissuto sulla propria pelle in Italia e inAfrica; grandi immagini, video, dinamiche di ani-mazione e esperienze sensoriali; un labirintocreato per far sperimentare lo smarrimento di chicade vittima dell’alcol; stimoli alla riflessione perfare scelte alternative.Filo conduttore è una rete: rete liberante di rela-zioni umane o rete da pesca che imprigiona.Un animatore interagisce con i partecipanti perpresentare l’atteggiamento costruttivo del perso-naggio Nemo che offre una via alternativa.

Progetti educativi interculturali -La Campagna propone alle scuole un percorso di-dattico che avvicina ad alcuni paesi africani pre-sentando i loro modi diversi di vivere, le loro cul-ture con le loro ricchezze e povertà. Sottolineandoche in tanta diversità però i desideri sono gli stessie anche le difficoltà: la fragilità delle relazioni e ildisagio interiore che oggi più di ieri vengono col-mati dall’alcol, in Italia come in Africa. Partire dalontano aiuta a superare la diffidenza iniziale deiragazzi e rende possibile il confronto con l’espertoche li aiuta a riflettere sull’influenza del mondoesterno e delle reti sociali sulle proprie scelte divita. Il fine è quello di sostenere cambiamenti posi-

tivi.Il progetto prevede tre incon-tri nelle singole classi:1. Conoscenza del problemaalcol in Africa. 2. Avvicinamento alla realtàitaliana, con dinamiche digruppo e visione di filmati.3. Intervento dello psicologosulle esperienze dei ragazzi.I destinatari sono gli alunnidelle classi terze delle scuolesecondarie di primo grado edel biennio delle secondariedi secondo grado.

Laura Poretti

L’ASSOCIAZIONEIMPEGNARSI SERVEONLUSSi costituisce nel 1998con il patrocinio deimissionari della Conso-lata di Torino.Si ispira ai principi cri-stiani di solidarietà e divisione dell’uomo e hacome finalità lo sviluppointegrale dei popoli e ladiffusione di una culturadella giustizia e dellapace, del dialogo tra re-ligioni e dello scambiointerculturale.

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FINE

DOSSIER

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