Aikido e La Risoluzione Dei Conflitti
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Stage Nazionale Aikido - Fesik e D.A. Diretto dal M. Dott. Michel Nehme – Gaeta 25-27/09/ 2009
Aikido e la risoluzione dei conflitti Riflessioni di Roberto Antonietti
“ L’aikido è la via della pace”.Morihei Ueshiba
In queste pagine si cercherà di dare contribuire a trovare una risposta a queste duedomande: “Può l’aikido avere un ruolo nella gestione dei conflitti quotidiani? E se sì,in che modo?”
Non è possibile sostenere che l’etica dei Samurai sia un esempio di “Via della Pace”,perché è storicamente noto che i clan dei Buke, che dominarono il Giappone per oltre5 secoli, furono costantemente in guerra tra loro.
Buffo (1998) ritiene doveroso ricordare che il termine “marziale” (col quale sitraducono il giapponese Bu e il corrispondente Wu cinese) assumerebbe in oriente unsignificato opposto a quello occidentale. Esso infatti:
“... rappresenta l’abilità marziale richiesta per sospendere il combattimento e per renderlo superfluo;in altre parole, la capacità di avere una tecnica marziale tanto efficace da rendere del tuttoimproponibile l’idea stessa del combattimento” “così il Bu esprime tanto il suo aspetto esteriore diattività (bellica o militare) quanto il suo scopo ultimo (l’ottenimento della pace).”
Il detto latino “Si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra), puòessere considerato l’equivalente occidentale del pensiero di Sun Tzu. Entrambi nonhanno però un riscontro storico: per secoli, gli eserciti di Roma e quelli Giapponesinon furono un deterrente per le guerre, che rappresentarono, invece, uno strumento
per mantenimento dell’impero e delle rispettive classi dominanti.Il paradosso risulta evidente: se l’Aikido è un’arte marziale (marziale= appartenente aMarte, il dio della guerra) come può essere uno strumento di pace?
Forse esistono alcune risposte per risolvere la contraddizione; ad esempio:
1) l’aikido non è un’arte marziale, benchè abbia nel Budo le sue radici. Alcuneparole del Fondatore (“ L’aikido non è né un’arte marziale né una disciplinasportiva”) sembrano dare credito a questa interpretazione. Molti praticanti sirifiutano di considerare l’Aikido in questo modo, ritenendo che ciò gli facciaperdere la sua marzialità;
2)
parlando di pace, con la stessa parola si possono intendere quella tra lenazioni, quella sociale e quella individuale: sono tre condizioni che hannopunti di contatto, ma che sono diverse tra loro. La pace interiore è unaesperienza soggettiva che può avere motivazioni diverse; ad esempio, potrebbeessere, per qualcuno, la condizione determinata dall’assenza di paura. Quindi,l’Aikido potrebbe concorrere al conseguimento di una pace interiore senzaalcun riflesso sulla pace degli altri (fino al punto di poterne costituire unaminaccia). Noi pensiamo che Morihei Ueshiba indicasse nella relazione conl’altro la via dell’Aikido, come testimoniano le sue riflessioni (ad esempio:“ Dai il benvenuto ad un avversario che ti viene incontro; saluta un avversarioche si ritira. Mantieni l’equilibrio originale e così il tuo avversario non sapràdove colpire. In realtà, il tuo avversario non saprà dove colpire perché voi
sarete un tutt’uno.”) Costruire condizioni di pace con l’altro (gli altri)significa mantenere relazioni soddisfacenti, evitando e/o risolvendo gli
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inevitabili conflitti che le relazioni portano con sé. Ecco quindi che sel’Aikido fosse in grado di formare persone capaci di gestire e risolvere iconflitti quotidiani, ricostruendo l’armonia nelle relazioni, sarebbe proprio ildono all’umanità auspicato dal Fondatore.
A questo punto della riflessione sembra prendere conferma l’ipotesi che Aikido econflitti possano essere due parole tra loro associate. Effettivamente lo sono?La Rete è stata “interrogata” con Google per verificare se e con quale frequenza itermini, associati, vi compaiono, usando una frase in italiano e l’equivalente in inglese(Tabella 1).
Ricerca con Google Sititesto italiano - inglese Italiani Tutto web
“aikido e la risoluzione dei conflitti” – “Aikido and conflictresolution”
7 4140
“Aikido” + “arte marziale” – Aikido + “martial art” 10.500 331.000Percentuale dei siti che rispondono a “Aikido e risoluzione
dei conflitti” rispetto a quelli che lo associano ad “artimarziali”
0,07 1,25
Tabella 1: numero di indirizzi Web individuati da Google usando i termini in italiano e in inglese.
La constatazione ovvia (e attesa) è che il numero di siti nel web che contengono iltesto “Aikido and conflict resolution” è molto maggiore dei siti italiani checontengono “aikido e la risoluzione dei conflitti”. Dato atteso perché l’Italia è solouna parte dell’intero Web.Per cercare di togliere l’effetto dovuto alla dimensione differente tra Italia e resto delWeb, Google è stato interrogato con le parole Aikido “arte marziale” (e la lorotraduzione inglese Aikido “martial art”).Come si può osservare, anche in questo caso i siti elencati per l’intero web sono moltopiù numerosi di quelli italiani. Però se si valuta quale sia la percentuale dei siti cheassociano Aikido a “risoluzione dei conflitti” rispetto a quelli che lo associano ad “artimarziali” troviamo che per l’Itaia in rapporto è dello 0,07 % mentre per i sitidell’intero Web è dell’1.25%. Si potrebbe valutare questo risultato come unaconseguenza del ritardo del mondo akidoistico italiano nel considerare la valenzadella disciplina in questa ottica, rispetto al resto del mondo.(per inciso “Karate and conflict resolution” nell’intero Web indica 1 solo sito e tre sitisono il risultato della ricerca con “Judo and conflict resolution” (nessun sito initaliano.)
Se si entra nel merito del gruppo formato dai 7 siti italiani, si rileva che tre di essi siriferiscono al testo “Aikido e la risoluzione dei conflitti” comparso sulla rivista
Mediares, - Semestrale di mediazione n° 11 del 2008 Edizioni Dedalo a cura dellapsicologa Ilaria De Vanna. Però, in questo testo, così come negli altri 4 siti, comparequanto è scritto nella voce “Aikido” in Wikipedia. La conclusione è che i 7 siti italianifanno riferimento ad un unico testo.Prima di illustrare il quadro emerso dalla lettura di una piccola parte del materialescaricato dalla rete o reperito in testi, si ritiene opportuno dedicare alcune riflessionial conflitto e alle modalità con le quali le persone interagiscono in tali situazioni.
La cosa più importante è comprendere che il conflitto è una caratteristica della naturaumana e che non può essere eliminato. Ciò che noi possiamo fare è scegliere in qualemodo gestire una simile condizione. Ma è fondamentale riconoscere il conflitto eaccettarlo come occasione di crescita. Poiché il conflitto è una esperienza di disagio e
di sofferenza, bisogna fare in modo di accogliere questi stati come trasformarli in unaoccasione di sviluppo, per sperimentare nuovi modi di gestione dei conflitti.
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Ancora una osservazione fondamentale: il conflitto interpersonale non è unacondizione “tutto/nulla”. Esso si struttura e si evolve attraverso alcuni stadi che sonofacilmente riconoscibili, che in Figura 1procedono dal basso verso l’alto (condizionedi crisi).
Figura 1: esempio di stadi attraversati per passare da una condizione di benesseread una di crisi (o scontro)
La conclusione dello scontro viene determinata dal modo con il quale le partidecidono di affrontarlo; in genere si individuano tre tipi di atteggiamento dentro alconflitto: quello aggressivo, quello della rinuncia (passività e fuga) e quello assertivo(Figura 2).
Il comportamento passivo-aggressivo viene dalla posizione dell’io bambino. I suoitipici comportamenti sono: mentire, tenere il broncio, incolpare qualcun altro di ciò
che si prova (mi fai sentire…), di non essere diretti, di essere sarcastici e manipolativi.Sono comportamenti che manifestano solo in parte le emozioni provate. Quando
Figura 2: Possibili comportamenti durante il conflitto
qualcuno ci tratta così è come se ci desse uno schiaffo, ci tendesse un’imboscata o cicolpisse al ventre. E’ una sensazione molto fisica. Questo succede se qualcuno michiedesse: “sei arrabbiato?” ed io rispondessi: “NOO!” Con le parole si dice “no” mail corpo, la voce, il volto dicono “sì”. E’ un atteggiamento che confondel’interlocutore che reagirà, tendenzialmente, a non dire più nulla, Questo modo dicomunicare (che impariamo ad usare da piccoli e che continuiamo ad adottare per altri18 anni) impedisce ogni forma di buona relazione. La persona aggredita quindi fugge(tacendo o allontanandosi), cercando di evitare lo scontro.
Il secondo comportamento è quello aggressivo: le emozioni non sono più trattenute evengono manifestate. E’ un comportamento che assomiglia a quello di un genitore,che ci critica. In genere si critica la persona invece che criticare il suo comportamento.Ad esempio, il bambino prende un brutto voto perché non ha studiato. La critica sisposta dal comportamento (“sei stato pigro, avresti potuto impegnarti di più”) alla sua
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personalità (“Sei un fannullone!”). Le caratteristiche quindi sono: valutare l’interapersona, colpirlo, etichettarlo, insultarlo o iniziare una frase col “tu”. Tutte azioni chemanifestano la ricerca di una posizione di superiorità nei confronti dell’interlocutore.La tendenza di quest’ultimo sarà quella di difendersi. Questo tipo di aggressivitàverbale equivale ad una bastonata in testa, a un pugno in faccia. La prima cosa cheaccade è che l’interlocutore ascolta ciò che viene detto, poi si tappa le orecchie perché
una cosa che inizia così non può che peggiorare e poi incomincia a pensare al puntopiù debole dell’aggressore. Questo tipo di comportamento cerca lo scontro, che puòtrasformarsi in vera e propria rissa.
Il terzo modo per gestire il conflitto è quello assertivo, che si basa su una buonacomunicazione. Esso afferisce all’io adulto: è aperto, onesto, diretto, paritario.Assertivo è un approccio che ci mette in condizione di gestire in modo positivo ecostruttivo i rapporti interpersonali. È una tecnica che può essere appresa e, conla pratica, diviene una capacità che può essere migliorata.
E’ assertiva una persona che sia in grado di:
1°. comunicare, senza troppe paure, il proprio vissuto, adottando unlinguaggio fisico e verbale non aggressivo
2°.
esporre il proprio punto di vista senza sopraffare quello degli altri,sapendo che la verità è merce rara e quasi mai appartiene esclusivamentead una persona.
3°. tendere ad una soluzione che si avvicini il più possibile ai suoi obiettivi,senza essere aggressiva, rispettando i desideri e gli obiettivi degli altri,
4°. valutare le persone in maniera attiva, ascoltando come parlano e come siesprimono ma anche osservando il loro atteggiamento corporeo, al fine dicomprendere le loro reali intenzioni;
5°. assumersi le proprie responsabilità con coraggio e consapevolezza deipropri limiti.
Purtroppo, nella nostra cultura questo tipo di comportamento non è stato molto
diffuso.Tutto ciò è possibile quando la persona ha fiducia in sé stessa e negli altri, quandoriconosce che ognuno può commettere errori, quando è consapevole che ogniproblema può essere affrontato e risolto nel migliore dei modi. Pertanto haun’immagine positiva di sé, si accetta ed è pronta a difendere i propri diritti senzacalpestare quelli degli altri. È ottimista e realista allo stesso tempo, sa esserefiduciosa e riflessiva di fronte ai problemi, dei quali valuta i rischi; manifesta lesue emozioni “positive” (curiosità, eccitazione, serenità, gioia di vivere,benessere ...) e gestisce quelle “negative” (ansia, irritazione, paura ...). aesprimere con franchezza il proprio punto di vista e le proprie convinzioni.Interagisce con gli altri, s’impegna nel proprio lavoro, si assume la responsabilitàdei propri errori, ecc. E’ una persona che può sperimentare un giusto sentimentodi altruismo. E’ quindi una persona che agisce per la propria dignità e per quelladelle altre persone.
Chi pratica AiKiDo si sarà reso conto, leggendo il testo in corsivo, che molteconsiderazioni sono simili a quelle che guidano il suo impegno sul tatami. E’ questaesperienza che ci fa sostenere che l’assertività è connaturata alla disciplina. Infatti,se obiettivo della pratica è la gestione dei propri impulsi bellicosi e delle proprie paure(cercando di riportare l’aggressore verso una condizione di equilibrio), allora si puòasserire che un simile atteggiamento è, in una situazione di conflitto fisico, un agireassertivo.La rappresentazione di uno scontro che ha portato ad una rissa che venga gestitopotrebbe essere quello di Figura 3, dove i demoni dello scontro irrazionale che sonocontrollati dall’Aikido (rappresentato con la simbologia ying-yang).
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Figura 3: Rappresentazione del ruolo dell’aikido nella gestione dello scontro, in caso di conflitto
E’ evidente però che se il ruolo dell’Aikido fosse quello delineato avremmo conclusala nostra ricerca. Ma questo non basterebbe a realizzare l’Arte della Pace, l’obiettivoche il Fondatore attribuisce all’Aikido.La gestione del conflitto implica che debbono essere investite risorse per far sì che larelazione non sfoci nella crisi (o scontro). Ecco allora che l’Aikido potrebbe svolgereun ruolo importante collocandosi anche ad altri livelli del processo degenerativo dellarelazione, per fermarlo ed invertirlo (Figura 4), rendendo così inutile quindi il ricorsoalla disciplina per il controllo fisico dell’aggressore.
Figura 4: L’Aikido come metodo per il rispristino del benessere relazionale e la prevenzione delloscontro.
In questa prospettiva, la disciplina si darebbe un obiettivo molto più importante, alivello sociale, che non quello di essere semplicemente un’arte marziale giapponese.
Con questo quadro di riferimento, è possibile tornare alla documentazione raccolta,per comprendere quali siano le ragioni per un uso dell’aikido nei confitti quotidiani.
L’Aikido affonda le proprie radici nella concezione etica della Via della Pace diMorihei Ueshiba: “ L’arte della Pace è il principio della non resistenza. Poiché chi
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non resiste è vittorioso fin dall’inizio. L’Arte della Pace è invincibile perché non
compete contro nulla.”
Il pensiero di Ueshiba può apparire in contraddizione con quello del Mahatma
Gandhi, il quale sosteneva che “ Non esiste una via della pace. La stessa Pace è la
via”. In realtà sono i praticanti dell’Aikido che decidono se esiste o meno una
contraddizione. Chi pratica Aikido in Pace sta percorrendo la Via della Pace,soddisfacendo così il pensiero di entrambi. Ancora una volta è l’uomo a fare grande la
via: chi, mentre pratica, costruisce relazioni conflittuali, non sta praticando l’Aikido di
Ueshiba. Non sta cerando la padronanza su sé stesso ma quella sugli altri. Le tecniche
potrebbero essere perfette (nella loro marzialità e nella loro potenza distruttiva) tanto
da essere essere la fotocopia di quelle mostrate dal Fondatore, ma non costruirebbero
Pace. “Questo è l'ambizioso traguardo spirituale, morale e sociale dell'Aikido, chechiede all'aikidoka di essere sempre prioritariamente disposto a rinunciare alla
finalità di ricercare la sconfitta di chi si è posto nel ruolo di avversario.” (Wikipedia)
Ueshiba credeva che i principi di conciliazione, armonia, cooperazione ed empatia
potessero essere applicati coraggiosamente a tutte le sfide che affrontiamo nella nostravita: nelle relazioni personali, nelle nostre interazioni con gli altri esseri umani nellasocietà, nel lavoro e negli affari e nel nostro rapporto con la natura (Stevens John)
La pratica dell’Aikido, consente di acquisire valori e tradurli in comportamenti in
modo subliminale. Perché? Perché si pratica in coppia, senza obiettivi agonistici, con
lo scambio continuo dei ruoli. Tutte le persone (salvo rare eccezioni) che praticano
Aikido per molti anni, portano con sé questo modo di vivere le relazioni con gli altri.
Inconsapevolmente, prima, poi con maggior consapevolezza, si affinano sensibilità e
disponibilità. Sotto il profilo psicologico, Seisser sostiene che l’Aikido è un modello
per :
1) la consapevolezza del conflitto, ne accetta l’esistenza mantenendo il corporilassato e la mente calma. Il conflitto esso sembra essere componente naturaledella condizione umana. Per questo, la nostra sola decisione è sul comescegliere di rispondere ad esso;
2) la valutazione del conflitto e dei suoi rischi. Quanto costerà e dove ticondurrà il conflitto nascente? Comprendere l’entità del pericolo potenziale edel danno è la intelligenza-chiave per valutare il corso più appropriatodell’azione;
3) la prevenzione del conflitto, anche con l’uso dell’umiltà, del senso comune edelle buone maniere.
4) la gestione del conflitto. Non si può gestire qualche cosa senza qualcheimplicazione con il conflitto o con l’attacco. L’aikido insegna a unirsi, entraree fondersi e ridirigere un attacco;
5) la risoluzione del conflitto, condotta verso una situazione dove nessuno perdeIn ogni persona che perde nasce un risentimento che la induce a rifarsi appenapossibile.
Inoltre, esso allena ad accogliere il disagio del conflitto e la sofferenza che essoproduce, per prenderne coscienza, per accoglierla, come un’esperienza da elaborare.(Dogliotti Marasso)
Aikido è non-violento, non competitivo e non opponente. Ciò significa che con cercadi ferire, vincere o resistere a ciò che una persona ci offre (Lynn Seiser).
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Tutti questi benefici nascono dal fatto che si ricostituisce, nella pratica, l’unità tracorpo e mente, spesso trascurata nella vita di tutti i giorni. Non si tratta di proprietàesoteriche o metafisiche, bensì di aspetti molto semplici, quali la relazione trarespirazione e rilassamento mentale, tra capacità di muoversi nello spazio mantenendol’equilibrio mentale, senza essere condizionati dalla eventuale presenza di altri. Sottoquesto profilo possiamo ricordare:
1) La percezione del proprio centro in modo diretto e semplice per indurre aquello stato dell’unità corpo/mente ottimale per la soluzione dei conflitti(rilassatezza, consapevolezza, focalizzazione). (Judith Warner)
2) La respirazione consente di porre in sintonia controllo mentale, azionecorporea e respirazione, per giungere, attraverso una respirazione adeguata almovimento, alla calma e alla chiarezza mentale. (Homma)
3) Stratching e cadute: consentono di verificare i propri limiti ed essere in gradodi superarli con attenzione consapevole. Vincere la mente negativa (quella chedice “basta, non ce la faccio più”) senza bisogno di aiuto esterno. Questaesperienza migliora il senso di sicurezza
4)
Con la posizione di seiza s’impara a cercare le ragioni delle consuetudini, adesprimere intenzioni pacifiche, comunicando così rispetto e cortesia (Homma)5) Con i movimenti di contrazione e rilassamento (associati alla respirazione) si
gestisce l’alternanza di stati di tensione e di rilassamento (Homma)
Infine, il “guardare nella stessa direzione”, significa togliere lo sguardo dall’altro eridurre la situazione psicologica di conflitto.
Le relazioni, in Aikido, sono solo in parte condizionate dalla ritualità. Il più dellevolte sono conseguenza naturale del contesto della pratica; ad esempio:
1) Diversamente dalla maggior parte delle arti marziali, l'Aikido non si basa suuna strategia competitiva, e non è finalizzata alla vittoria mediante la sconfittadell'avversario. Al contrario, l'Aikidoka impara a modificare la relazione conun soggetto arrogante, trasformando un rapporto di tipo oppressore-vittima inuna relazione tra soggetti uguali.
2) Lavorare in coppia porta a: rispettare il partner - sviluppare atteggiamentiempatici e collaborativi – accettare la diversità dell’altro – assumersi leresponsabilità del lavorare con altre persone – rapporto di fiducia e di aiutoreciproco (Homma).
3) La capacità di comunicare, anche in situazioni conflittuali, si acquisisceattraverso un articolato corollario degli strumenti messi a disposizione dallapratica – livello corporeo, emozionale e psichico – (Gianmarco Olivè)
4) Con la pratica si sviluppa la sensibilità nell’incontro con l’altro (GianmarcoOlivè)
5) L’Aikido insegna a proporre il proprio punto di vista, nel rispetto di sé stessi e
dell’altro. Il suo agire è assertivo: ossia chiaro e rivolto ad un preciso scopo, e
consente di esprimere ed esercitare l’abilità di manifestare le proprie
intenzioni e decisioni, rispettando appieno l’interlocutore. (Beatrice Corsale)
6) L’aikido consiste in incontri , scontri e interazioni: è comunicazione attraverso
il movimento ed evoluzione continua. (Stan Wrobel)
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Questo punto sembra ampiamente dimostrata la valenza formativa dell’Aikido
nell’ambito delle relazioni.
Tutto questo quadro di riferimento porta a sviluppare la riflessione su come possa
essere applicato l’aikido nela vita di tutti i giorni.
Una prima risposta è nella tabella sottostante dove vengono formulate alcuneconsiderazioni a titolo d’esempio (Tabella 2). Questa tabella è parte di un testo scritto
in collaborazione con Maria Bonassi.
AiKiDo sul tatami AiKiDo di tutti i giorniUsare tutta l’unità corpo/mente
l’AiKiDo utilizza l’intero corpo come strumentodi difesa. Se si usasse solo la forza di una partedel corpo (es. le braccia) il risultato sarebbedeciso dal predominio fisico. Ma questo non è ilsenso dell’ AiKiDo. La tecnica si origina se tutta lamente e tutto il corpo lavorano insieme. Il lavorosul tatami, con la ricerca degli angoli giusti perarmonizzarsi col partner, è finalizzato soprattuttoa un coinvolgimento di tutto il corponell’esecuzione della tecnica.
Per affrontare la vita è necessario essere
consapevoli di tutte le proprie potenzialità;
dobbiamo esercitarci a pensare, ad essere critici,
ad usare la parola per esprimere concetti edobbiamo imparare ad ascoltare. Giorno dopo
giorno dobbiamo affinare i nostri strumenti e
renderli sempre più efficaci nelle relazioni.
Non basta un sorriso stereotipato per esprimere un
gesto distensivo: dobbiamo essere veramente
disponibili dentro di noi. Dobbiamo sperimentarci
nei rapporti con gli altri per capire e gestire le
interazioni.Mantenere la giusta distanza (mahai):
Mantenere la giusta distanza (mahai): le tecnichedell’ AiKiDo possono essere utilizzate solo se ladistanza tra attaccante ed attaccato è ottimale. Iltempo di reazione, il rapporto dei corpi il tipo diattacco e la sua intensità determineranno il tipo ditecnica di difesa nonché la sua efficacia.L’eccessiva vicinanza aumenta i rischi derivantida un colpo imprevisto. Per controllare uke è beneche egli sia costretto a lunghi spostamenti perchéquesto consente di avere più tempo per reagire.
Mantenere la giusta distanza significa non esserepsicologicamente troppo vicini agli altri. Nètroppo lontani. La sofferenza proviene quasisempre da persone alle quali ci siamo avvicinatitroppo. Persone nelle quali avevamo ripostotroppa fiducia. O da coloro che abbiamo tenutotroppo lontano. La vita implica costantementequesto equilibrio tra avvicinamento (un lasciarsiandare che implica fiducia) e l’incertezza dellaevoluzione dei rapporti (diffidenza).
Mantenere il proprio centro fisico e mentaleMantenere una posizione stabile e rilassata significa conseguire un equilibrio traabbassamento del baricentro e mantenimentodella capacità di movimento. Se le gambevengono piegate eccessivamente il baricentro siabbassa (facendo aumentare la stabilità del corpo)ma allo stesso tempo si riduce la capacità direagire rapidamente spostandosi. Bisogna quindiavere la consapevolezza del proprio baricentro epercepire la sua posizione ottimale. Il baricentro èil punto nel quale immaginiamo sia condensata
tutta la nostra massa. Ma significa anche unarespirazione efficace e una mente attenta marilassata. Il rilassamento si avverte quando sisupera la paura dell’attacco, perché si conosconole proprie capacità di risposta, grazie all’eserciziocontinuo. .La risposta assertiva sul piano fisico (controllodell’avversario senza causargli sofferenza inutile)necessità che sia stata appresa e sviluppata lacapacità di mantenere la calma interiore; ciò èpossibile solo quando si è acquisita la sicurezzadelle proprie capacità tecniche
Il mantenimento del proprio equilibrio fisico ementale dentro una relazione potenzialmenteaggressiva è alla base dell’assertività. Anche inquesto caso la calma interiore deve prima esseresperimentata nello stare soli, con sé stessi. Solodopo aver scoperta questa condizione e solo dopoaverla fatta diventare un tratto del proprio agire,possiamo pensare di adottarla delle relazioni conaltre persone. Ricordiamoci che le emozioninascono dentro di noi, che hanno origine nellanostra mente. Bisogna quindi imparare a
riconoscerle e a capire i motivi della loro origine.Quando saremo in grado di gestire l’emozioni(grazie alla nostra intelligenza emotiva) saremonella possibilità di sostenere in modo assertivo unconflitto
Attendere il momento giustoLa fragilità di uke si manifesta nel breve periododi tempo in cui cerca di colpire. Per una frazione
di secondo la sua energia gli impedisce dimodificare il colpo; questo può esseresperimentato con gli esercizi di migi no awase e
Nulla è più inibente della perdita di attenzione cheaccompagna l’ansia o la paura. Dobbiamo essere
consapevoli che, anche nella quotidianità, unattacco serio richiede che venga preparato. Ciòsignifica che una battuta cattiva o una
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hidari no awase eseguiti col ventaglio (ma anchecon ken o jo), che ci fanno sperimentarel’esistenza di un tempo che intercorre tra l’iniziodell’attacco e il suo compimento nel quale èpossibile agire (spostarsi, allontanarsi,contrattaccare). Grazie a questa certezza, neltempo che precede l’attacco si sperimenta una
condizione di vigile calma, sostenuta dallarespirazione diaframmatica.
scorrettezza, seppure seccanti, non devono essereconsiderate come un attentato alla nostra stabilitàemotiva. Se così fosse avremmo bisogno di unsupporto terapeutico. Per un attaccante, creare lecondizioni per danneggiarti seriamente richiedetempo e lavoro. E questo può essere percepito. E’necessario quindi leggere l’avversario e intuire
l’attacco: “Siate dunque prudenti come i serpenti esemplici [candidi] come le colombe” – Vangelo diMatteo, 10,16-23).
Essere pienamente consapevoleOsservare l’avversario in modo completo, senzafissare una parte del suo corpo. Se guardiamo lemani potremmo non notare un altro pericolo, se loguardiamo negli occhi potremmo distrarci.Questo ci potrebbe far commettere un erroreletale: sottovalutarlo o sopravvalutarlo.Percepire l’altro nella sua globalità significatenere uno sguardo “femminile”. Il maschio dellaspecie umana tende a focalizzare lo sguardo su unpunto e quindi “scannerizza” lo spazio muovendolo sguardo. Lo sguardo femminile coglie
l’insieme della situazione (non a caso le donnesono più abili nell’intessere e mantenere relazionisociali)
Osservare le persone nella loro globalità. E’evidente che una parte delle loro personalità cisfuggirà ma da un’osservazione complessivapotremo raccogliere più indizi su chi ci sta difronte: come parla, come si muove, comeinteragisce con gli altri ecc. Tutto questo puòfornirci indicazioni su come interpretare i suoicomportamenti nei nostri confronti. Anche quil’errore da non commettere riguarda la valutazionecorretta delle sue reali volontà e capacità.Potremmo anche intuire quando sta per
“attaccarci”. Ciò che spesso ci confonde in unattacco è che esso giunge inatteso.Capire la ragione di un conflitto è possibile ancheosservando le persone. Ad esempio, ci si puòchiedere se una di esse stia subendo un’invasioneda parte nostra, o se stia percependo qualcheforma di competizione o di pericolo dalla nostrapresenza, oppure se voglia richiamare la nostraattenzione, se sia un soggetto litigioso odisperato, se stia scaricando su di noi le suefrustrazioni.
Non esserci“Non esserci” significa non essere lì dove arrivail colpo. Quando il colpo arriva non trova che il“vuoto”. Questo sbilancia chi attacca, che ormaisi è scoperto. Il fatto di non trovare il corpo sulquale scaricare la propria energia induce ad undisequilibrio che può essere sfruttato. “Nonesserci” non vuole dire “fuggire”: nella fuga siperde la capacità di controllo della situazione (ameno che non sia una finta fuga). Il “non esserci”deve quindi avvenire sempre in un modoadeguato, che deve essere appreso.
Nei conflitti psicologici “non esserci” non assumeuna connotazione spazio/temporale. Non significafuggire. Significa limitarsi a percepire l’attacco e aesserne indifferenti, ma non ignorarlo. Percomprendere questo aspetto dobbiamo essereconsapevoli che le emozioni nascono dentro di noie non possiamo incolpare altri di ciò. Una personanon può “farci irritare”: siamo noi che ci irritiamo.Siamo noi che decidiamo come interpretare unafrase, un tono. Siamo noi che decidiamo quantoprofondo debba essere il nostro dolore. Ciò nonsignifica essere apatici e accidiosi. Significa ilcontrario: mantenere il nostro equilibrio mentaleche qualcuno vorrebbe mettere in crisi. Ma il “nonesserci” potrebbe significare anche un modo perristrutturare la relazione, rivedendoapparentemente la propria opinione per sedarel’aggressività (Scaglione e Vergnani, 2000).Inoltre può essere il modo per uscire dallasituazione di conflitto parlando del conflitto inquanto tale (metacomunicazione, secondoScaglione e Vergnani, 2000)
Darsi strumenti e tecnicheEssere consapevoli delle proprie capacità tecnicheè importante perché ci rende prudenti.Cercheremo di fare in modo che chi ci attacca lofaccia nel modo più congeniale alle nostrecapacità di difesa. E’ evidente che disporre di unsolo strumento difensivo può essere pocoefficace. Noi potremo continuamente cercare disottrarci al conflitto ma chi ci attacca puòperseverare. Per questo è necessario adottare
molteplici possibilità di difesa e non limitarci auna soltanto.
Quali strumenti possediamo per far fronte ad unaaggressività psicologica (verbale)? Questa è ladomanda che dovremmo porci. Riteniamo che lamigliore strategia difensiva sia una coerenteonestà. Così come nello scontro fisico le tecnichesono esercitate per bloccare l’avversario senzadanneggiarlo seriamente, anche nello scontropsicologico è possibile adottare tecniche neutre intermini morali. Spostare un attacco che usa la
derisione sul piano della serietà o sorridere di unaargomentazione seria può essere un modo perdelegittimare chi ci attacca. Ma ciò è possibile
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anche per persone disoneste (essendo appuntoqueste semplici tecniche dialettiche). La forza veraproviene da una onestà che faccia riferimento aprincipi etici forti: il rispetto reale di ogni persona,il senso della sua e della nostra dignità.
Gestire la pauraSapersi confrontare con la paura in caso di
conflitto fisico significa impedire che il terrore ciimmobilizzi. Gran parte dell’attività di SensuAiKiDo è dedicata proprio a questo aspetto:mantenersi in movimento attivo e controllato.Cogliere l’attacco e rispondere senza pensare.Come nell’uso Zen della Spada, non si puòscegliere l’azione sulla base di un ragionamento.La risposta deve provenire da meccanismiautomatici. Per questo sul tatami le tecnichevengono ripetute, ripetute e ancora ripetute.
Affrontare la paura e dominarla è una grande
conquista. Non si può ragionevolmente pensare diaffrontare la paura di una situazione improvvisa senon si è sperimentato un percorso adeguato. Ognigiorno dovremmo chiederci di cosa stiamo avendopaura.Essendo la paura un’emozione basilare (vedicapitolo della Ia Parte) non è possibile rimuoverla.E’ forse possibile rimuovere la “paura di averepaura” diventando consapevoli di potersiconfrontare con le singole situazioni che possonoevocare paure. Sia Dobson e Miller, sia Hommaindicano nella dipendenza dal giudizio degli altrila radice di molte nostre paure.
Correre il rischio di “aprirsi”Aprirsi: aprire la guardia è un modo per indurre
chi vuole attaccarci a sferrare il proprio colpo.Aprirsi è possibile solo se la paura è stata gestita.Ma aprirsi non significa necessariamente che ilcolpo arrivi. L’apertura può essere percepitacome una riduzione dell’atteggiamentoaggressivo e quindi può innescare un percorso dipace. Aprirsi in modo consapevole, sapendo chepotrà avvenire qualche cosa, ed esserequietamente pronti ad ogni evenienza: ad un gestodi offesa come ad uno di pace. Per questo l’aprirsiè possibile a condizione di mantenere la giustadistanza (ma hai).
Aprirsi agli altri è sempre rischioso. Ma è un
modo per capire le intenzioni. Dice il Fondatore:“Quando i vostri occhi saranno in contatto conquelli di un’altra persona, salutatela con unsorriso e lei ricambierà il vostro”. Come si possono disinnescare i conflitti?Aprendosi, con la consapevolezza che troverà ilvuoto chi decidesse attaccarci approfittando dellanostra apertura. Ma sapendo che l’aperturapotrebbe determinare una risposta positiva (ildisarmo unilaterale proposto da Scaglione eVergnani, 2000) Ciò significa essere in grado digestire un rapporto diverso da quello conflittuale.
Guardare nella stessa direzione
Guardare nella stessa direzione significa perprima cosa evitare lo sguardo frontale, la tipicacondizione che favorisce il conflitto. Guardarenella stessa direzione significa anche utilizzarel’energia fisica dell’attacco per ritorcerla controall’aggressore.
Guardare nella stessa direzione ha,psicologicamente, un’ulteriore valenza: significacapire o intuire le motivazioni del comportamentodell’altro. Questo può fornire la possibilità dirisoluzione del conflitto riconoscendo la validitàdelle scelte dell’antagonista, in relazione alle sueesigenze e chiedendo, per coerenza, l’applicazionedello stesso approccio ma dal proprio punto divista.Riteniamo che guardare nella stessa direzione siala premessa per attuare la ristrutturazione dellarelazione, una delle strategie per gestire il conflitto(Scaglione e Vergnani, 2000)
Conoscere le caratteristiche degli attacchi
Studiare gli attacchi: conoscere in quali modi unavversario può colpire il nostro corpo e la nostramente è indispensabile per strutturare le rispostepiù opportune, in funzione delle condizioniambientali. La postura del corpo, la distanzareciproca, la posizione delle mani, lo sguardo:sono tutti elementi che ci possono aiutare acomprendere se e come saremo attaccati, comepotremmo difenderci e come agire perchél’attacco non venga realizzato.
Come si può affrontare un conflitto se non si èprima riflettuto sulle forme di attacco che possonoessere portate? Il procedere di una discussione puòfar emergere la volontà del conflitto. Palesiindicatori di una propensione al conflitto vannodall’aggressività verbale alla volontà di impedireall’altro di esprimersi, dal mancato ascoltoall’interpretazione strumentale di piccole parti deldiscorso, dalla derisione al tentativo di screditare,e tanti altri. Essi ci consentono di valutare sesiamo noi a connotare come aggressivo un modopersonale di esprimersi oppure se è agli stadiiniziali di un’aggressione e di quali obiettivi essaabbia.
Accettare gli altri
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La pratica dell’AiKiDo non può esserediscriminatoria. Per essere quel ponte di cultureauspicato dal Fondatore esso deve esserepraticato senza alcuna discriminazione. Lavorarecon persone di altre nazioni induce ad estenderela fiducia all’altro non sulla base di aspetti fisici oculturali bensì sui valori che ciascuno esprime col
proprio agire. Si apprende così che il grado dicollaborazione o di aggressione non dipende dalcolore della pelle.
La nostra è una società destinata sempre più adessere multietnica. Ciò impone il rispettoreciproco tra le culture, in un dialogo che deveessere assertivo. Quale miglior modo percomprendere gli altri se non lavorando con loro osperimentandosi in un rapporto diretto? Guardaregli altri senza veli ideologici, per quello che
intimamente sono, è l’unica via per superare ilrazzismo sociale.
Tabella 2: parallelismo tra comportamenti sul tatami e quelli nella vita di tutti i giorni.
A conclusione di questa nota, si ritiene opportuno accennare al lavoro di Dobson eMiller (1978).Abbiamo già sostenuto il fatto che l’AiKiDo è un esempio di risposta assertiva ad unaaggressione fisica e che, in quanto tale, possa essere assunto quale metafora di unarisposta assertiva all’aggressione verbale.Infatti, come si comporta un aikidoka di fronte ad un attacco fisico? Egli non fugge,né risponde con la stessa modalità aggressiva del contendente, ma applica insuccessione le tre fasi, che Ueshiba identifica con le forme geometriche del triangolo,
del cerchio e del quadrato; infatti, O’Sensei invita ad entrare nella sferadell’avversario secondo il triangolo, a guidarlo secondo il cerchio e a sottometterlosecondo il quadrato. In questa istruzione, le tre figure sono legate alle successive fasidi esecuzione di una tecnica: entrata, conquista del centro, proiezione oimmobilizzazione, impiegando il minimo sforzo e producendo il minor dannopossibile all’avversario. Il fluido succedersi delle tre forme geometriche determina ilparticolare stile armonico dell’AiKiDo.Questa possibilità, cioè di essere una metafora utile per esemplificare ilcomportamento assertivo nelle relazioni, rende l’ AiKiDo una disciplina unica nel suogenere. In realtà, la metafora porta ad alcune constatazioni: nell’AiKiDo il confrontosi conclude sempre con tori che “vince” e uke che “perde”. Anche se la “vittoria” puòessere il prodotto della tecnica e non ricercata dall’individuo, è innegabile che chi
viene fermato nella sua azione aggressiva si senta sconfitto.
Figura 6: la simbologia usata da Ueshiba per descrivere il comportamento di tori ad una aggressionefisica. La condizione di scontro viene rappresentata con un triangolo avente un vertice rivolto verso
l’altro soggetto.
Ma si potrebbero attribuire ai simboli geometrici le caratteristiche delle diversemodalità di gestione del conflitto. E’ quello che propongono Dobson e Miller, nel loroun libro “Aikido in everyday life”.A una lettura superficiale, il contenuto non sembra corrispondere al titolo: in effetti, adifferenza di tutti i testi che si richiamano a questa pratica, in esso non compare unasola tecnica di AiKiDo. A un successivo approfondimento si comprende invece comegli Autori abbiano utilizzato gli aspetti più sottili della disciplina per elaborare un
metodo per la gestione dei conflitti.
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Essi partono da una considerazione quasi banale, ma di fondamentale importanza:l’aggressività è costitutiva nella specie umana e con essa è obbligatorio rapportarsi.Perché i conflitti sono così frequenti?Perché molto spesso le persone si trovano a vivere un conflitto come se fosse unacompetizione, che non vogliono perdere; alla base di questo comportamento vi èl’idea (errata) che perdere equivalga ad essere sconfitti: da qui la paura di perdere
prestigio e di potere agli occhi di qualcuno.
Gli Autori immaginano una madre ed un figlio che sono coinvolti nella “partita dellavasca da bagno”:
“Le regole sono molto semplici: se lui si bagna ha perso, se rimane asciuttoha vinto. Se lei riesce a fargli fare il bagno senza utilizzare la violenza fisica,lei è una brava mamma e vince il gioco “la Brava Mamma; se invece devechiamare Papà o schiaffeggiare il bambino, lei finisce sul fondo delle
posizioni della categoria. Così come il fare all’amore, anche la genitorialitàè diventata un esercizio di abilità che troppo spesso vuole un vincitore (igenitori) e un perdente (il figlio recalcitrante, che identifica il bagno come
una perdita pari a venti atterramenti.)
Analoghe dinamiche si ritrovano all’origine di altre situazioni, molto comuni:
Come nel caso di un conflitto per lo spazio di un parcheggio? L’altramacchina ti anticipa e tu perdi la “Partita della Gara del Parcheggio”.Oppure della signora che preme il suo carrello per la spesa contro le tuecaviglie? Lei sta giocando a “Supermarket”, tu sei impaurito e pensi che sela lasci passare i tifosi ti fischieranno al tavolo di controllo. Tu stai perscivolare in basso nella graduatoria, in una categoria inferiore, alla qualetemi di appartenere.Così la tua vita diventa assolutamente piena di queste percezioni errate
degli eventi quotidiani come se fossero partite – partite che tu seidisperatamente impaurito di perdere.Se non restituiamo il calcio al partner arrabbiato, abbiamo perso. “Non mirispetterà, mi userà da strofinaccio per il pavimento, la prossima volta!”Se non ammoniamo la petulante segretaria, avremo perso: “Lei perderà ilrispetto per me!”Se non teniamo a bada il genitore cavilloso, avremo perso: “Mi è costatocosì tanto ottenere il rispetto che mi doveva per perderlo ora!” (Dobson eMiller, 1978)
Ecco perché il primo consiglio dei due Autori è quello di valutare se il conflitto sia inrealtà una competizione (che richiede un vincitore ed un perdente) o non sia invecel’espressione di un disagio interiore.
Essi fanno ricorso alle forme geometriche del cerchio, del triangolo e del quadrato,per esemplificare le diverse possibilità (o opzioni) che sono disponibili per la gestionedella relazione conflittuale. La differenza con quanto sostenuto dal Fondatore èmarcata ma lo spirito che anima i due Autori sembra essere in sintonia con quello diO’ Sensei.
Il triangolo, con le sue punte, rappresenta l’atteggiamento caratteristico dello scontroe dell’evitamento. Può apparire incongruo considerare l’evitamento come una formadi aggressione; questa critica, per altro legittima, è sensata qualora si consideril’evitamento come sinonimo di “fuga”; ma non è così: l’evitamento qui è inteso comel’azione che ha come finalità quella di trovare lo spazio e il momento giusto per agirein modo aggressivo; in questo senso quindi l’obiettivo è quello di mantenere la
consapevolezza della situazione e di controllarla. La fuga invece ha come unicoobiettivo l’allontanamento dalla condizione di pericolo e non è una sceltacontemplata nel procedere assertivo. Importante è rimarcare che lo scontro, secondo
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questi Autori, debba essere adottato solo quando ogni altra opzione sia preclusa equando ci si trovi in una condizione di pericolo estremo!
Il quadrato rappresenta la stabilità (sia da fermi sia in movimento) e, a differenza delmodello di Ueshiba, secondo Dobson e Miller è riconducibile alla fase di attesa; una
strategia quindi per consentire all’aggressore di mettere in evidenza il proprio attacco,Infine il cerchio, che rappresenta il movimento per trovare una soluzione senzaricorrere allo scontro. Due le opzioni con queste finalità: il dialogo per giungere aduna mediazione (che implica un atteggiamento che porti alla ricerca di una soluzionecondivisa dalle persone implicate nello scontro) oppure la possibilità di indurre unasorpresa che possa distogliere l’aggressore, anche se per poco, dal suo obiettivoaggressivo.
Se convertiamo la descrizione grafica dello scontro proposta da Ueshibanella“nomenclatura” di Dobson e Miller, otterremo quanto rappresentato in figura 7.Per convenzione, useremo i simboli cerchio, triangolo e quadrato con i pallini quandoattribuiamo loro il significato dato loro da Dobson e Miller.
Figura 7: comparazione della modalità di scontro usando il concetto di Ueshiba (sopra)e quello di Dobson e Miller, 1978 (sotto).
Sostanzialmente, ciò che si evince è che tori e uke nella pratica sul tatami non escono,in termini di atteggiamento mentale, dalla logica dello scontro. Ciò che caraterizza lapratica dell’AiKiDo è la grande capacità di gestire lo scontro da parte di tori versouna soluzione non troppo svantaggiosa per uke.
In Tabella 3, è sintetizzato il pensiero di Dobson e Miller.
Caratteristiche della forma geometrica
se la persona è:
Forma
geometrica
Modalità di
conflitto
Quando adottare
Centrata Non centrata
dinamico aggressivo
entrante lacerante
finalizzato confuso
scontro Ogni altra opzione è esclusa.
In caso di vita/morte o di serio
pericolo per la vita energico ostile
Triangolo
evitamento Quando rimane solo una via di forte di carattere prepotente
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forte di carattere prepotente(non fugga) movimento
orgoglioso arrogante
concreto convenzionale
deciso borioso
adamantino grossolano
affidabile seccante
Quadrato attesa Per capire meglio cosa c’è
dietro all’attacco;
l’attacco è chiaramente
assurdo
prende posizione timoroso dimuoversi
fluido sventatomediazione In una situazione win/win
vede in tutte le
direzioni
non ha opinioni
umano nevrotico
ragionevole sciocco
Cerchio
Inganno
(sorprendere
)
In tempi, luoghi e mahai non
idonei allo scontro
Prendere tempo aperto inquietoTabella 3: le caratteristiche delle modalità di conflitto, forme geometriche rappresenative ed effetto
dell’equilibrio sul comportanebto della persona (secondo Dobson e Miller, 1978.)
Come si può notare, ogni forma geometrica ha caratteristiche proprie a seconda che lapersona abbia (e mantenga) il proprio equilibrio (il proprio centro) oppure no. Si noticome, in effetti, solo le caratteristiche riconducibili ad una condizione di equilibriosono quelle decisive nella soluzione del conflitto con recupero di una condizione diarmonia e di pace per entrambi.
E’ proprio su questo elemento che si muovono Dobson e Miller: l’obiettivo daconseguire non è il proprio ego bensì l’armonia nella quale viviamo.
Riuscire ad evitare lo scontro e giungere ad una soluzione che soddisfi entrambi(vincitore/vincitore) rispetto a quella che vede un vincitore ed un perdente, produceuna condizione di benessere interiore molto forte e gratificante. Questa è la vera“vittoria” rispetto all’aggressore: quella di fargli cambiare prospettiva e modo diaggredire, non quella di umiliarlo.
Ecco perché Dobson pone il recupero dell’armonia come obiettivo finale delconfronto; anche qualora si utilizzasse la modalità dello scontro, dopo la fase diimmobilizzazione e di controllo dovrebbe seguire quella di ripristino dell’armonia.
Quindi una esemplificazione della gestione di un conflitto con una modalità non discontro potrebbe essere quella riportata in figura 8.
Figura 8: esempio di gestione win/win (vincitore/vincitore) di un conflitto, secondo Dobson e Miller(1978)
Questa rappresentazione può essere così descritta:
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Fase 1: tori percepisce ciò che sembra essere un attacco da parte di uke, ma nonfa nulla (posizione del quadrato).
Fase 2: uke continua il suo agire, dimostrando che cerca in modo inequivocabilelo scontro.
Fase 3: tori si muove al lato di uke utilizzando una delle caratteristiche dellafigura (dialogo o sorpresa).
Fase 4: uke cambia la propria posizione mentale e assume a sua volta laconfigurazione del cerchio e accetta la procedura del dialogo.
E’ evidente che questa soluzione non è detto che avvenga. Uke potrebbe continuare ad
“attaccare” ma nulla vieta a tori di continuare con la stessa strategia.
Una conclusione diversa è quella in cui entrambi si trovino nella posizione del
quadrato (Figura 9): il che significa che le ragioni del conflitto non sono state chiarite
e momentaneamente torna una condizione di attesa che può essere utilizzata da tori per continuare verso la soluzione win/win del conflitto.
Figura 9: evoluzione del conflitto verso una condizione di attesa.
A questo punto, è però necessario considerare che Dobson e Miller propongono unmetodo per la gestione dei conflitti elaborato partendo dalle radici dell’AiKiDo, manon lo fanno attraverso la pratica dell’AiKiDo.
La riflessione successiva è su come poter sperimentare le altre modalità di agire nelconflitto con la pratica giornaliera dell’Aikido.La prima risposta sembrerebbe negativa, poiché alcune delle opzioni di Dobsonsembrano essere tipiche di un linguaggio verbale e non di quello fisico. Ma ancheperché l’AiKiDo si rifà, nella sua elaborazione tecnica, al contesto dei campi dibattaglia, dove non vi era possibilità di mediazione. Mors tua vita mea, dicevano ilatini.
Un’altra ragione deriva dal fatto che nell’aikido generalmente si impieganoprevalentemente due forme di intelligenza: quella cinestetica e quella visivo-spaziale.
Quindi, la soluzione potrebbe essere trovata, pur nel pieno rispetto della naturaoriginale della disciplina, in un maggior stimolo delle altre forme di intelligenza(intelligenza linguistica, intelligenza interpersonale e intelligenza intra-personale) chesono implicate nella gestione dei conflitti e che sono la premessa per relazionipositive.
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Per concludere, si propongono alcune brevi osservazioni su come poter sperimentare
il “non fare nulla” (quadrato), la “mediazione” (cerchio) e la “sorpresa (cerchio) nella
pratica dell’Aikido sul tatami.
Non fare nulla (il quadrato): l’esperienza più forte, anche da un punto di vista emotivo, èquella del migi no awase e hidari no awase con il ken o col jo. Ma ugualmente valida su unotzuki o su un menuchi. Questi esercizi consentono di attendere fino a quando il colpo vienesferrato, in modo da verificare se ci troviamo di fronte ad un vero attacco oppure no, didistinguere il colpo vero da quello finto, di comprendere la reale volontà offensiva di chisembra aggredirci. Da quel momento dalla posizione del quadrato si passa a quella deltriangolo (scontro e assorbimento), o a quella del cerchio (sorpresa/inganno e mediazione).
Mediazione (il cerchio): questa è sicuramente una modalità più difficile da sperimentare.Sembra quasi impossibile pensare di “dialogare” col corpo degli altri durante un conflitto.Ovviamente, le possibilità sono molto scarse e i tempi a disposizione sono molto brevi. Quasiistantanei. Una suggestione importante è quella che ci ha fornito Gaku Homma con i suoi“primi 5 minuti”. E’ quindi nella fase di inizio dello scontro, quando una mano si allunga percolpirci che dobbiamo decidere se la mano intende veramente colpirci per farci male o è soloun gesto di stizza, un sussulto di emozione incontrollata.
La mediazione richiede tempo. Quindi, per lasciar spazio ad essa, l’unica possibilità è quelladi tardare il più possibile la risposta, di percepire l’attacco ma di non esserne coinvolti,adottando esclusivamente l’elusione: spostarsi non in funzione di prepararsi ad un attacco(come nell’assorbimento del triangolo) ma per mettersi in distanza di sicurezza, perrecuperare la distanza, per mediare, non per scontrarsi (essere cerchio sperando di non doverdiventare triangolo). La pratica dell’Aikido (anche in una interpretazione marziale) può essereillustrata come una forma di mediazione: invece di ferire o di uccidere mi limito aneutralizzare. In realtà questo è un esempio di mediazione interiore che può diventare lapremessa per portare entro la mediazione altre considerazioni (nessuno possiede la verità, chimi attacca pensa di aver ragione come me, …).
Sorpresa/inganno (il cerchio): pare più facile generare sorpresa che non mediare.Nell’ambito dell’ AiKiDo molte tecniche sono finalizzate a sorprendere l’aggressore. Lo stessouso del kiai (la liberazione del suono durante l’attacco), oltre alla finalità di liberare energia,consente di sorprendere l’avversario. Molte tecniche che producono uno sbilanciamentodell’attaccante inducono movimenti istintivi di sorpresa e di reazione, sui quali essedispiegano la loro efficacia. In questo caso però, psicologicamente non si esce daltriangolo:tecnicamente si agisce adeguandosi alle linee di forza dell’aggressore, si indirizza lasua energia in una direzione per lui inattesa, si aspetta la sua reazione e si entra con una delletante tecniche. Di fatto non si è mai usciti, in questo modo, dallo scenario dello scontro.Una delle possibilità di sorprendere l’avversario è, a nostro parere, quella di conseguire unaposizione di vantaggio e di non usarla. Se la persona che aggredisce si rende conto di questofatto potrà decidere di smettere l’aggressione. Se non lo fa vuol dire che non ha nulla daperdere (perché non ragiona, perché è ubriaco, perché si è fatto di coca…). Ma a questo puntotorna a valere la considerazione di Dobson: mai scontrarsi con una persona che non ha nullada perdere! Tra le opzioni può essere inserita anche la ritirata.
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Roberto Antonietti
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Stage Nazionale Aikido - Fesik e D.A. Diretto dal M. Dott. Michel Nehme – Gaeta 25-27/09/ 2009