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LA REGOLAMENTAZIONE DELLE SPESE DI L ITE
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AIGA – SEZIONE MONZA
«LE SPESE DI LITE: RIFLESSIONI IN TEMA DI
RESPONSABILITA’ AGGRAVATA PER LITE TEMERARIA.LE
NOVITA’ DELLA RIFORMA»
R e l a z i o n e:
“I NCIDENZA DELLA PROPOSTA CONCILIATIVA NEL GIUDIZIO D I REGOLAMENTAZIONE DELLE SPESE DI LITE : LA PROPOSTA PRE-TRIAL (D.LGS 28/2010) E QUELLA IN CORSO DI GIUDIZIO (LEGGE 69/2009)”
Pomeriggio di studio in Monza,
27 settembre 2010
DOTT. GIUSEPPE BUFFONE _________________________________________________________ Magistrato ordinario. Dottore di ricerca in Teoria del diritto ed Ordine giuridico Europeo www.tribunale.varese.it
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Riferimenti Bibliografici e di giurisprudenza IL TESTO DELLA RELAZIONE È TRATTO DA :
BUFFONE (con prefazione del Prof. F. Danovi) La riforma del processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69), Buffetti ed., 2009 BUFFONE, La lite temeraria danneggia lo Stato ed i contribuenti: alla scoperta del nuovo “ DANNO STRUTTURATO” da responsabilità processuale aggravata in Giur. Merito, 2010,
BUFFONE, Mediazione e conciliazione (commento al d.lgs. 28/2010), in Il civilista, Fasc. Monografico, 2010, Giuffré ed. BUFFONE, La riforma del processo civile in www.neldiritto.it, 2009, 37
PER LA GIURISPRUDENZA
Massimario di Giurisprudenza su www.tribunale.varese.it
LA REGOLAMENTAZIONE DELLE SPESE DI L ITE
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Regolamentazione delle Spese di Lite: Legge 69/2009
1. CONDANNA ALLE SPESE E PROPOSTA CONCILIATIVA. – 2. COMPENSAZIONE DELLE SPESE DI LITE.
1. Il Legislatore della riforma modifica in modo significativo le norme da cui il
giudice deve attingere per la regolamentazione delle spese di lite. L’intenzione legislativa è
quella di scoraggiare la compensazione e favorire condanne più pesanti e mirate onde
dissuadere da azioni aventi carattere meramente dilatorio o palesemente infondate.
Un “manifesto” in tal senso si rinviene nella importantissima sentenza Cass. Civ.,
Sezioni Unite, 16 luglio 2008 n. 19499 con cui le SS.UU. hanno licenziato un “maggior
danno” ex art. 1224 c.c., nelle obbligazioni pecuniarie, avente carattere “automatico”.
La lentezza dei processi, infatti, può produrre effetti negativi anche sul sistema
economico; da qui la volontà della Suprema Corte di introdurre un meccanismo di calcolo
del maggior danno tendente a “scoraggiare” il debitore dall’inadempimento e,
conseguentemente, a ridurre anche il numero, oltre che la durata, delle liti giudiziarie.
Da questo punto di vista, la decisione vuole evitare che la lite giudiziaria costituisca un
ricorso anomalo al credito: il debitore preferisce subire il processo perché, comunque,
all’esito del giudizio, verserà un saldo minore di quello che avrebbe dovuto sostenere in
caso di finanziamento con gli strumenti creditizi ordinari.
Ebbene: appesantire, pesantemente, il regime delle spese contribuisce a rendere meno
vantaggioso il ricorso al credito anomalo.
D’altra parte, i ritocchi al regime delle spese non prendono di mira sono i debitori
inadempienti ma anche le liti cd. temerarie ove, per le più disparate ragioni, la parte che ha
torto rifiuta di riconoscere la ragione altrui.
Una prima rilevantissima modifica è stata inserita nell’art. 91 c.p.c.
VECCHIO TESTO 91. Condanna alle spese. Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Eguale provvedimento emette nella sua sentenza il giudice che regola la competenza
NUOVO TESTO 91. Condanna alle spese. Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
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Il nuovo comma I, secondo periodo, dell’art. 91 c.p.c. regola l’incidenza, sulle spese di
lite, dell’ingiustificato rifiuto di una proposta concili ativa coincidente con la soluzione
della controversia. Se, infatti, il giudice accoglie la domanda in misura non superiore alla
proposta di conciliazione intervenuta nelle more del procedimento, condanna la parte che
ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo
maturate dopo la formulazione della proposta, salvo non statuisca la compensazione.
Secondo taluni la norma avrebbe introdotto una vera e propria sanzione processuale
(DEMARCHI, 16) ma è preferibile ricondurre l’istituto al principio di causalità che governa
la regolamentazione delle spese.
Come noto, infatti, la regolamentazione delle spese di lite segue il citato principio di
causalità (di cui la soccombenza è solo un elemento rilevatore)1, poiché vengono addossati
gli oneri del processo “alla parte che allo stesso dà causa”.
La giurisprudenza, peraltro, ha già ampiamente sostenuto, anche di recente, che il
principio di causalità, ai fini delle spese, guarda anche “al comportamento tenuto fuori del
processo” (cfr. Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25141). Certo è, in tal senso, che
la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è
quella che col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto,
ha dato causa al processo o al suo protrarsi (Cassazione civile, sez. III, 30 maggio 2000, n.
7182).
La Cassazione, in tale direzione, è ferma nell’affermare che la condanna della parte
soccombente alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., non ha natura
sanzionatoria. Essa non avviene a titolo di risarcimento dei danni (il comportamento del
soccombente non è assolutamente illecito, in quanto è esercizio di un diritto), ma è
conseguenza obiettiva della soccombenza.
La condanna alle spese è, dunque, scevra da connotazioni sanzionatorie e, dunque,
prescinde dalla valutazione dell’elemento soggettivo. Rievocando gli insegnamenti del
CHIOVENDA, essa segue il principio costituzionalizzato (art. 24 Cost.) per cui la necessità
di agire o resistere in giudizio non deve andare a danno della parte che ha ragione2.
Tali criteri non sono estranei alla nuova previsione in seno art. 91, comma I, c.p.c.:
anzi, proprio la collocazione topografica della nuova disposizione denota la scelta precisa
di ricondurre la norma a quel principio, ivi tipizzato.
1 Cass. civ., Sez. I, 15 aprile 1987, n.3740. La soccombenza costituisce un'applicazione del principio di causalità, che pone le spese a carico della parte che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo stesso e al suo protrarsi.: Cass. civ., Sez. II, 26 gennaio 2006, n. 1513 in Mass. Giur. It., 2006 2 CHIOVENDA, La condanna alle spese giudiziali, II, Roma, 1953
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Se la norma fosse stata sanzionatoria, il disposto avrebbe previsto una condanna
svincolata dal segmento temporale (dalla proposta in poi) e valorizzato l’incidenza
dell’elemento soggettivo. E, invece, essa recepisce solo il principio di causalità: dalla
proposta conciliativa, in poi, la lite è continuata a causa di chi l’ha rifiutata. E’, dunque,
costui a dover sostenere il costo delle spese processuali.
La norma, peraltro, comporta una certa “moralizzazione” del processo: le parti
avranno interesse a presentare un’offerta seria e di qualità poiché questo le manleva dalle
spese di lite. Su altro versante, chi riceve la proposta dovrà rifiutare solo in presenza di un
giustificato motivo o dovrà sostenere i costi del processo da quel momento in poi.
Un istituto neofita, dunque, che si presenta con due volti come Giano bifronte.
Va segnalato che la norma trova degli antecedenti nel d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5
(istitutivo del rito societario, abrogato in parte qua dalla riforma): all’art. 16, comma II,
secondo periodo, si prevedeva che “ove il tentativo non abbia esito positivo, il tribunale
può tenerne conto ai fini della distribuzione delle spese di lite, anche ponendole, in tutto o
in parte, a carico della parte formalmente vittoriosa che non è comparsa o che ha rifiutato
ragionevoli proposte conciliative”. L’art. 40, comma V, invece: “la mancata comparizione
di una delle parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice
nell’eventuale successivo giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai
sensi dell’ articolo 96 del codice di procedura civile. Il giudice, valutando
comparativamente le posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza che
definisce il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle
spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione, e può anche condannarlo, in
tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente”.
Va, comunque, ricordato che le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 3 settembre 2008,
n. 20598) avevano già, di recente, ribadito che nella regolamentazione delle spese il
giudice deve tenere conto “di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a
proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali”.
La nuova disposizione è, comunque, di difficile interpretazione: pone, infatti, molti (e
non semplici) dubbi ermeneutici.
La proposta conciliativa deve rivestire una particolare forma o seguire determinate formalità? Entro che termine deve pervenire la proposta conciliativa? Quale la provenienza soggettiva della proposta? Quali caratteri e forma deve avere il rifiuto della proposta? Quando il rifiuto è giustificato? La norma si applica anche nei confronti del contumace?
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Un primo problema interpretativo riguarda la forma che deve rivestire e le formalità
che deve seguire la proposta conciliativa per produrre l’effetto di cui all’art. 91 c.p.c.
Un dato è indubbio: essa deve rivestire la forma scritta e deve essere portata a
conoscenza del giudice per confluire, quindi, nel fascicolo d’ufficio. Sicuramente efficace,
ex art. 91, comma I, c.p.c., è la proposta conciliativa fatta a verbale o raccolta nell’udienza
ex art. 185 c.p.c.; del pari efficace è quella notificata stragiudizialmente e depositata in atti.
A ben vedere, la forma richiesta è minima (forma scritta) e del pari flessibile è il regime
procedurale (deposito nel fascicolo d’ufficio). Ciò che conta è, dunque, ben altro, dando
all’istituto una lettura orientata dal fine che mira a perseguire.
I) La proposta conciliativa deve essere idonea a definire il giudizio: deve, cioè, avere
un contenuto tale da risolvere la controversia. Deve, dunque, essere chiara, precisa
e valida. Deve, quindi, avere ad oggetto diritti disponibili.
Deve anche essere completa.
Una proposta conciliativa “parziale” non va, dunque, ritenuta inidonea a
perfezionare il meccanismo causale di cui all’art. 91 c.p.c., anche perché verrebbe frustrato
il fine perseguito dalla Novella e, cioè, quello di deflazionare il contenzioso (con la
conciliazione parziale il giudizio comunque continua per il residuo).
II) La proposta conciliativa deve intervenire in tempo utile per potere essere
vantaggiosa. Un dato in tal senso si ricava proprio dalla norma di nuovo conio: la parte che
rifiuta a torto è condannata alle spese “maturate dopo la formulazione della proposta”.
Con ciò si dà per implicito un segmento temporale non irrisorio. In genere, e guardando
alle prassi, il tipico alveo della proposta sarà la conclusione della fase istruttoria o
l’esaurirsi dei singoli scaglioni istruttori (es. prove orali, CTU, etc..), ove le parti possono
avere una percezione della “verità” emersa processualmente. Ma tale arresto
procedimentale costituisce anche l’ultimo momento utile: sarebbe, infatti, di poco valore
una proposta conciliativa formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni.
III) La proposta conciliativa deve pervenire dalla parte personalmente ovvero dal
difensore (così come è previsto per l’interrogatorio libero e la conciliazione): in questo
caso deve essere conferita apposita procura speciale recante la firma del rappresentato
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autenticata dal proprio difensore. La procura per transigere/conciliare deve essere
comprensiva del potere di definire per via bonaria la controversia (art. 84, comma II, c.p.c.)
Una diversa questione interpretativa riguarda, quindi, il “rifiuto” della controparte.
La proposta conciliativa, ovviamente, ha natura recettizia e va, dunque, portata a
conoscenza del destinatario. Una prima modalità comunicativa è la notifica della proposta
direttamente alla parte (e non al difensore ex art. 84, comma I, c.p.c.), la quale, dunque,
potrà esprimere la propria volontà in ordine alla proposta per mezzo del proprio difensore,
cui conferita procura ad hoc. Ma potrà anche respingere la richiesta semplicemente con
missiva di ritorno, sottoscritta personalmente con autentica del difensore.
In linea di principio, il destinatario potrebbe non rispondere affatto: il silenzio sulla
proposta equivale a rifiuto.
L’impalcatura delle nuove norme consiglia, tuttavia, un intervento più incisivo e
diretto del giudice. Deve ritenersi, infatti, che la parte interessata alla conciliazione
dovrebbe (meglio) notificare la proposta alla controparte e depositarla, contestualmente,
presso la cancelleria del giudice (o formularla a verbale). Questi, dunque, dovrebbe
procedere a fissare l’udienza ex artt. 185, 117 c.p.c. disponendo la comparizione personale
delle parti onde renderle edotte delle conseguenze giuridiche della proposta e
dell’eventuale rifiuto ingiustificato, raccogliendo il consenso o la reiezione dell’accordo.
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Ma quando il rifiuto è giustificato?
Il rifiuto determinato da giustificati motivi paralizza l’applicazione dell’art. 91, comma
I, c.p.c. E’ ovvio che una plausibile giustificazione è l’incongruità della proposta ma, in tal
caso, non v’è questione dell’art. 91 poiché la domanda sarà accolta in misura superiore
all’accordo proposto.
L’inciso fa, dunque, riferimento al precipuo caso in cui effettivamente il giudice
accoglie la domanda nei limiti della proposta conciliativa è ciò nonostante non pone le
spese a carico di chi ha rifiutato la conciliazione.
Quale può, allora, essere un motivo giustificato per rifiutare una proposta congrua?
Una prima ragione va sicuramente individuata nelle ipotesi in cui la conciliazione può,
quantitativamente, offrire quanto dà la sentenza ma non anche qualitativamente. E’ il caso,
ad esempio, in cui l’attore miri alla pubblicazione della sentenza (ora anche con finalità
riparatorie, v. art. 120, comma I, c.p.c.) ovvero, comunque, alla divulgazione di un titolo
giudiziale ove viene suggellata la condanna del convenuto.
Del pari ha efficacia giustificante l’interesse meritevole di tutela, cioè serio, al
conseguimento della pronuncia giurisdizionale.
LA PARTE INTERESSATA formula proposta conciliativa
Il giudice, preso atto della proposta, FISSA L’UDIENZA DI COMPARIZIONE DELLE PARTI
Le parti si conciliano IL GIUDICE procede ex art. 185 c.p.c.
Le parti NON si conciliano IL GIUDICE dispone il prosieguo del giudizio
La domanda è accolta in misura superiore alla proposta conciliativa
La domanda è accolta in misura NON superiore alla proposta conciliativa
Il giudice condanna la parte che ha rifiutato la proposta alle spese del processo maturate dopo la proposta
Il giudice applica l’art. 92 c.p.c.
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Una ulteriore ipotesi di giustificato motivo va, probabilmente, intravista nella
definitiva rottura delle relazioni tra le parti per motivi particolarmente gravi: in questi casi,
la conciliazione è vista, da taluni litiganti, come elemento indecoroso, quasi svilente. Si
pensi alle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno subito in conseguenza
della consumazione di reati contro la persona.
In tali ipotesi, peraltro, la parte trova spesso compiuta realizzazione delle proprie
ragioni solo con la “sentenza di condanna”, quale elemento socialmente rilevante del
servizio pubblico di Giustizia.
Problematico è il rifiuto avanzato nella convinzione che l’offerta non sia congrua.
L’atteggiamento colposo è, cioè, rilevante? Si pensi alla controparte che crede,
fermamente, che la propria pretesa sia di valore superiore all’offerta conciliativa, ad es. per
avere visionato una casistica simile alla propria conclusasi con somme maggiori di quella
offerta.
Al riguardo occorre distinguere.
La legittimità o non del rifiuto va valutata ex ante e non ex post: occorre, cioè,
verificare, in primis, se quando l’offerta è stata fatta essa non apparisse, effettivamente,
incongrua.
Ad esempio.
L’attore evoca in giudizio il convenuto con una CTP che quantifica il danno biologico
nel 9%. Il convenuto formula una proposta conciliativa per un importo pari ad un danno
biologico del 3%. L’attore rifiuta.
E’ ovvio che quel rifiuto appare, in quel momento, giustificato.
Il giudizio prosegue e disposta CTU, il consulente del giudice quantifica il danno
biologico in misura del 3%. Alla luce dei fatti sopravvenuti, l’attore ha rifiutato una
proposta congrua ma tanto non poteva sapere al momento del rifiuto.
In questi casi non opera l’art. 91, comma I, cit.
Stesso dicasi per il rifiuto retto dalla convinzione (frutto di errore scusabile) che
l’offerta non fosse congrua. Deve, però, trattarsi di circostanze che avrebbero indotto, un
modello di riferimento medio, a rifiutare l’offerta.
Fuori dai casi in esame, il rifiuto, non giustificato, sarà censurato mediante la
condanna alle spese causate con il proprio contegno processuale e non.
La disposizione ex art. 91 (nuovo testo) si applica (in astratto) anche nei confronti del
contumace.
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In via generale, la Corte ha precisato che, ai fini dell’art. 91 c.p.c., non rilevano i
comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioè quelli che
non implicano l’esclusione del dissenso nè importano l’adesione all’avversa richiesta –
quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda
dell’attore – e sta di fatto che è ritenuto soccombente e merita la condanna al rimborso
delle spese processuali il convenuto contumace, oppure il convenuto che, pur avendo
riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, sì da
rendere superfluo il ricorso all’autorità giudiziaria (v. Cass. civ., Sez. III, 28 marzo 2001,
n. 4485).
Seguendo, cioè, la direttrice del principio di causalità, ha rilevanza il dare causa ad un
corso del giudizio civile che poteva essere evitato. L’attore, dunque, nella contumacia del
convenuto, potrà far notificare a questo, personalmente, la proposta conciliativa.
E’, in realtà, ovvio che la questione è meramente teorica.
L’art. 91 nuova versione, torna utile al litigante che mira ad evitare il costo di parte
delle spese giudiziali pur laddove soccombente. Orbene: dove il convenuto sia contumace,
l’offerta conciliativa a questi non avrebbe alcun senso poiché nel caso il cui l’attore stesso
dovesse risultare soccombente, il giudice non potrebbe comunque condannarlo alle spese.
La Suprema Corte, al riguardo, ha chiarito che il giudice di merito non può condannare
il soccombente al pagamento delle spese di lite in favore della parte vincitrice ove
quest’ultima sia rimasta contumace (Cass. civ., Sez. II, 21 gennaio 2004, n. 904).
Presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è, infatti, quello che la parte,
a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute, per lo svolgimento
dell’attività difensiva correlata alla sua partecipazione al giudizio. La parte risultata in
definitiva vittoriosa, pertanto, non può richiedere, né il giudice può attribuire, il rimborso
di spese non erogate, perché attinenti a una fase processuale in cui essa era rimasta
contumace (Cass. civ., Sez. II, 29 novembre 2002, n. 16967).
Cosa accade, infine, se la proposta conciliativa è fatta alla prima udienza di
comparizione o, addirittura, subito successivamente alla notifica dell’atto di citazione?
In questo caso, infatti, si arriverebbe a dover affermare che la parte (pur) vittoriosa
che, però, ha rifiutato (a torto) l’offerta conciliativa “giusta”, dovrebbe essere condannata
per l’intero processo alle spese.
E’ noto, al riguardo, che il principio della soccombenza fa si che le spese processuali
non possano mai essere poste interamente a carico della parte vittoriosa3.
3 Ex multis Cass. civ. 25 marzo 2002 n. 4201
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La nuova regola introdotta dalla riforma, non disegnando eccezioni, deve essere
applicata anche in questo caso cosicché si avrà, da ora in poi, una forte eccezione al
principio della soccombenza, per il caso in cui l’attore abbia rifiutato senza giustificato
motivo l’offerta risultata congrua. Vincerà la causa ma sarà condannato alle spese di lite
Resta, in ultimo, da chiarire come il giudice debba ripartire le spese in caso di
applicazione dell’art. 91 c.p.c., come riscritto.
Ed, infatti, in caso di sentenza che accoglie la domanda in misura non superiore
all’offerta conciliativa proposta dalla parte soccombente, il giudice dovrebbe:
a) Condannare il convenuto alle spese in favore dell’attore, per il segmento
processuale dall’instaurazione della lite alla proposta conciliativa;
b) Condannare l’attore alle spese di lite in favore del convenuto, per il segmento
processuale dalla proposta conciliativa alla definizione
In questo caso il giudice deve necessariamente provvedere alla “doppia” condanna o
può regolare i rapporti di dare e avere mediante la compensazione?
Un primo caso riguarda l’ipotesi in cui il difensore antistatario abbia (o i difensori
antistatari abbiano) fatto richiesta di distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c. L’autonomia
del credito del difensore rispetto a quello del cliente esclude che al difensore possa essere
opposto in compensazione dal soccombente il credito vantato verso la parte vittoriosa
(Cass. civ. 19 novembre 1985 n. 5695).
Ed, allora, in questo caso dovrà procedersi alla doppia condanna: l’attore verso il
difensore del convenuto; il convenuto verso il difensore dell’attore.
Inizio LITE Interviene la proposta conciliativa Sentenza
Spese di lite a carico del convenuto Spese di lite a carico dell’attore
IL CASO: L ’ATTORE RIFIUTA INGIUSTIFICATAMENTE L ’OFFERTA GIUSTA DEL CONVENUTO
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ATTO DI CITAZIONE
OMISSIS
P.Q.M .
Voglia il Tribunale accogliere le seguenti conclusioni
OMISSIS
CONDANNARE parte convenuta alla refusione delle spese del giudizio in favore della
parte attrice, comprensivi di onorari, diritti, IVA, CPA e rimborso forfetario come da
tariffa vigente (D.M. 8 aprile 2004 n. 127), da distrarsi, ex art. 93 c.p.c., in favore del
difensore legale che se ne dichiara antistatario, anche ove intervenga giudizio su
eventuali proposte conciliative ex art. 91 c.p.c.
Nell’ipotesi, invece, in cui non vi sia richiesta di distrazione, a dispetto del dato
normativo ex art. 91 c.p.c., non è impedito al giudice di provvedere a “compensare” le
spese di lite, motivando sul punto prima di decidere.
IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI. . . .
Omissis FATTO
Omissis DIRITTO
Omissis SULLE SPESE Per i motivi che precedono, parte convenuta, avendo senza giustificato motivo rifiutato
l’offerta conciliativa “giusta” di parte attrice, va condannata verso questa alla refusione delle spese di lite, dall’udienza ex art. 183 c.p.c. (momento in cui formulata la proposta) alla decisione. OMISSIS
L’attore deve, dunque, rifondere al convenuto le spese di lite pari a complessivi Euro 2.300,00; il convenuto deve versare per le spese di lite, all’attore, la somma di Euro 3.300,00. Trattandosi di rapporti di dare e avere parimenti liquidi, pare opportuno farsi luogo a compensazione e, per l’effetto, parte convenuta è tenuta a versare all’attore la sola somma di Euro 1.000,00.
PPPP....QQQQ....MMMM.... Il Tribunale di….., sez.., in composizione …, definitivamente pronunciando sulla
domanda di … contro …., disattesa ogni ulteriore istanza ed eccezione, così provvede: ACCOGLIE la domanda dell’attore e per l’effetto . . . . CONDANNA parte convenuta alla refusione delle spese del giudizio in favore della
parte attrice, che liquida in complessivi €. 1.000,00 comprensivi di onorari, diritti, IVA, CPA e rimborso forfetario come da tariffa vigente (D.M. 8 aprile 2004 n. 127).
OMISSIS . . . . CITTÀ LÌ , IL GIUDICE
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2. Le regole della compensazione si ramificano verso la sua assoluta eccezionalità.
Ove non fosse bastata la riforma del 2005, il Legislatore rincara la dose: la compensazione
può intervenire solo in caso di soccombenza reciproca ovvero ove concorrano altre gravi
ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione.
Si segnala che la norma avvicina la regola di rito a quella già vigente per i
procedimenti instaurati dinnanzi alla Corte di Giustizia della Ce, ove all’art. 69 sono
richiesti “motivi eccezionali” per poter procedere alla compensazione (DEMARCHI, 17)4.
E’ chiaro che con questa modifica la compensazione diviene strumento del tutto
residuale e legato a situazioni del tutto peculiari e di cui dovere dare adeguata motivazione
in sentenza.
Le ragioni che reggono una pronuncia compensativa devono assumere due caratteri:
1) la gravità: deve trattarsi di ragioni serie, di notevole spessore e particolarmente
pregnanti, distanti dal modello di quotidianità;
2) la eccezionalità: le ragioni devono essere del tutto straordinarie, assolutamente
peculiari.
Una ipotesi di compensazione resta, pur dopo la riforma, il repentino cambio di
giurisprudenza. Si pensi al caso in cui l’attore ha introitato la controversia sulla base di un
indirizzo di Cassazione assolutamente pacifico che gli dava ragione, mutato in corso di
causa.
Un esempio è chiarificatore. Di recente, le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un.,15
novembre 2007, n. 237265) cambiando una giurisprudenza pure delle Sezioni Unite, hanno
affermato, con diktat ormai consolidato6, che non è consentito al creditore parcellizzare un
credito unitario mediante frazionamento della tutela giudiziale: a fronte di un credito unico,
il credito che propone distinte domande, soggiace alla sanzione, in rito, della
improponibilità7. L’orientamento pregresso riteneva, invece, che dovesse riconoscersi al
creditore di una determinata somma, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, la
facoltà di chiedere giudizialmente, anche in via monitoria, un adempimento parziale. 4 GIORDANO, Responsabilità delle parti per le spese ed i danni e abuso del processo in Giur. Merito, 2007, 12, suppl., 52 5 In Foro it. 2008, 5 1514 6 Se non altro per l’intervento dell’art. 20 commi 7-9, della legge 6 agosto 2008 n. 133 (di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 7 In passato, era prevalso l’orientamento opposto: Cass. civ., sez. un., 10 aprile 2000 , n. 108 in Giust. civ. Mass. 2000, 691: «In assenza di espresse disposizioni, o di principi generali desumibili da una interpretazione sistematica, deve riconoscersi al creditore di una determinata somma, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, la facoltà di chiedere giudizialmente, anche in via monitoria, un adempimento parziale, in correlazione con la facoltà di accettarlo, attribuitagli dall'art. 1181 c.c., con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere che risponde ad un interesse meritevole di tutela del creditore stesso senza sacrificare in alcun modo il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni».
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Ebbene, l’attore che abbia frazionato il credito nel 2006, proponendo domanda per
l’adempimento parziale, si vedrà rigettata la domanda, nel 2008, alla luce del nuovo
indirizzo delle Sezioni Unite. Ma è chiaro che le ragioni giustificative del rigetto della
domanda (invero: declaratoria nel rito) sono gravi ed eccezionali: eccezionali perché, per
l’appunto, il revirement della Cassazione è fatto sopravvenuto alla domanda, imprevedibile
e non altrimenti evitabile; gravi perché la regolamentazione delle spese prescinde
dall’avervi dato causa l’attore che, infatti, al momento della introduzione della citazione
non era nel torto.
Si tratta, a ben vedere, dei principi desumibili dalla “sentenza – decalogo” Cass. civ.,
Sez. Un., 3 settembre 2008, n.20598 che ha, per ipotesi tabellate, individuati i casi in cui la
compensazione può trovare spazio nella sentenza del giudice: sono, a titolo
esemplificativo:
1) la presenza di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva
2) la presenza di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto sulla esatta conoscibilità
a priori delle rispettive ragioni delle parti,
3) la presenza di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte
vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste
4) la presenza di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte
conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.
Nell’arresto in commento, le Sezioni Unite, guardando anche all’evoluzione
legislativa dell’istituto ex artt. 91-92, indicano quale sia la l’interpretazione della norma
dell'art. 92 c.p.c. da seguire perché il disposto possa dirsi in conformità agli artt. 111 e 24
cost., interpretazione che certamente, ancor più alla luce della riscrittura dei principi
dell'art. 111 cost., non potrebbe in alcun modo condurre ad individuare nel potere del
giudice di compensare le spese “un potere sostanzialmente arbitrario, e, cioè svincolato
dal rispetto della regola che, in piena aderenza con i principi del giusto processo e
dell'effettività del diritto di difesa, impone - in linea di principio - di addossare al
soccombente il costo del giudizio”. Se il potere in questione non può che ritenersi
vincolato, “devono essere espresse o, comunque, intellegibili le ragioni che hanno ispirato
il concreto esercizio di quel potere derogatorio rispetto al principio della soccombenza
riconosciuto al giudice dall'art. 92 del codice di rito, onde consentirne l'effettivo controllo
di legalità”.
Tanto premesso, continuano le Sezioni Unite, deve rilevarsi che la decisione del
giudice sia da ritenere sprovvista di motivi specifici di supporto alla statuizione di integrale
LA REGOLAMENTAZIONE DELLE SPESE DI L ITE
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compensazione delle spese, ove contenga la mera tautologica affermazione secondo cui
«SUSSISTONO GIUSTI MOTIVI PER COMPENSARE TRA LE PARTI LE SPESE DEL GIUDIZIO».
Ma, quando, in concreto, le spese possono essere compensate?
La giurisprudenza più recente ha fornito delle prime direttive ermeneutiche.
Secondo Trib. Lamezia Terme, ordinanza 12 luglio 2010 (Pres. Fontanazza, est. Danise, in www.ilcaso.it; www.dirittoegiustizia.it) la regolamentazione delle spese di lite, secondo il principio di soccombenza, risponde anche ad una funzione di deterrenza; tale funzione non consiste nel voler precludere ai cittadini l’accesso alla giustizia statale ma mira ad evitare un uso spregiudicato della giustizia, avviando giudizi per finalità meramente dilatorie, defatiganti o esplorative. In senso rafforzativo della funzione de qua, la Legge 69 del 2009 ha modificato l’art. 92 co. 2 c.p.c. ammettendo la compensazione solo con la causale delle “gravi ed eccezionali ragioni”. Tale causale ricorre in ipotesi di istruttoria particolarmente problematica caratterizzata dalla sovrapposizione ed incompatibilità tra elementi fattuali in parte favorevoli ad una parte ed in parte all’altra (c.d. complessità in fatto); ovvero in ipotesi di controversia specialmente complessa perché vertente in materia interessata da ius superveniens oppure oggetto di oscillanti orientamenti giurisprudenziali (c.d. complessità in diritto).
Quanto all’ammontare della liquidazione, va ricordato quanto affermato dalle Sezioni
Unite dell’11 settembre 2007 n. 19014: le spese di lite vanno liquidate giusta la natura ed il
valore della controversia, l’importanza ed il numero delle questioni trattate, nonché la fase
di chiusura del processo. Il principio di adeguatezza e proporzionalità impone, peraltro,
una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l'entità degli
onorari per l'attività professionale svolta. Il decisum prevale quindi, di regola, sul
disputatum (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n.
19014) salvo il caso in cui vi sia rigetto integrale della domanda attorea ove consegue che
il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall'attore
(Cass. civ., Sez. I, 11 marzo 2006, n. 5381).
RICHIAMI INTRATESTUALI AA.VV., Nuovo processo civile in Il civilista, Giuffré ed., 2009 AA.VV., Guida alla lettura del Nuovo processo civile in Guida al diritto, 2009, 28 BOVE, Brevi riflessioni sui lavori in corso nel riaperto cantiere della giustizia civile in
www.judicium.it BUFFONE, Decalogo della giurisdizione, della nuova translatio iudicii e della nuova disciplina
sulla rilevabilità del difetto di giurisdizione, alla luce delle sentenze delle più Alte Corti in www.neldiritto.it, 2009, 36
BUFFONE, Ecco le disposizioni della riforma che presentano profili di interesse per i giuslavoristi riepilogate nelle tavole sinottiche in www.dirittoegiustizia.it, 2009
BUFFONE, La riforma del processo civile in www.neldiritto.it, 2009, 37 CONSOLO, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614
bis) va ben al di là della sola dimensione processuale in Corriere Giuridico, 2009, 6 CORRADO, Un passo avanti (e due indietro) verso la codificazione del principio di non
contestazione in www.dirittoegiustizia.it, 2009 CSM, Delibera del Comitato di Presidenza in data 25 settembre 2008
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DEMARCHI, Questioni pregiudiziali di rito, condanna alle spese e consulenza tecnica nella miniriforma del processo civile (Relazione al convegno di studi su “L’imminente ennesima riforma del processo civile, Milano, 18 maggio 2009) in www.ilcaso.it, sez. dottrina, 2009
FINOCCHIARO, Processo civile: vademecum della Riforma in Guida al Diritto, 2009, 1 (dossier online)
GARUFI, Filtro in Cassazione, quando scatta l'inammissibilità del ricorso in www.dirittoegiustizia.it, 2009
IANNI , Domande ed eccezioni nuove in appello in diritto&processo,2009 LUISO, Il procedimento sommario di cognizione in www.judicium.it NANIA , Il procedimento sommario di cognizione in Atti del convegno (Catanzaro, 14 luglio
2009) in diritto&processo NATALINI , Competenze più estese ai Giudici di pace con l'obiettivo di ridurre il carico dei
tribunali in www.dirittoegiustizia.it, 2009 PORRI, La testimonianza scritta, un nuovo strumento semplificatore da accogliere in positivo.
Resta la zavorra dei formalismi generati dalla irrisolta moltitudine (27) tra riti e modelli processuali in www.dirittoegiustizia.it, 2009
SASSANI, A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il processo di cognizione in www.judicium.it
SILECI, Bene l'ottica della semplificazione. Ma sono troppe le incombenze ai giudici di pace assegnate senza un previo riordino normativo. E il "filtro" per la Suprema corte arriva a sfidare anche i precetti costituzionali in www.dirittoegiustizia.it, 2009
TALLARO , La translatio iudicii tra le giurisdizioni. Brevi riflessioni sullo stato dell'arte in www.neldiritto.it, 2009, 26
TRAPUZZANO, Art. 614-bis: attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare in Codice della nuova esecuzione, 2009, neldirittoeditore, sub art. 614-bis c.p.c.
VALERINI , Il nuovo procedimento sommario di cognizione: funzionamento, vantaggi e limiti all'estensione come "modello" uniforme in www.dirittoegiustizia.it, 2009
VALERINI , Tutela del creditore: arriva un nuovo (per l'Italia) strumento generale di coercizione indiretta. Spingerà l'obbligato inadempiente alla coazione all'adempimento in www.dirittoegiustizia.it, 2009
VALERINI , Un passo avanti (e due indietro) verso la codificazione del principio di non contestazione in www.dirittoegiustizia.it, 2009
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Regolamentazione delle Spese di Lite: DLGS 28/2010
DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2010 , n. 28 Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. ( pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 53 del 5/3/2010) Omissis Art . 13 Spese processuali 1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonche' al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l'applicabilita' degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresi' alle spese per l'indennita' corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. 2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, puo' nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennita' corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4 3. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente. 4. Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
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L’articolato normativo sin qui preso in considerazione prevede che quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice condanna la parte vincitrice che ha rifiutato la proposta al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
E’ evidente che la disposizione mira a scoraggiare prese di posizione arbitrarie e dilatorie o giustificate da ragioni di mera opportunità, così inducendo il litigante a valutare con molta attenzione la proposta che gli viene rivolta dai mediatori atteso che se il risultato che consegue con la proposta de qua è il medesimo che conseguirebbe all’esito di una pronuncia del giudice, il danno al funzionamento della macchina-Giustizia, per una inflazione che poteva essere evitata, viene
sanzionato con una condanna pecuniaria associata, come si vedrà, ad altre previsioni specifiche di dettaglio. Trattasi di uno degli effetti esterni della proposta conciliativa che si avvicina molto ai meccanismi di astreintes anche se è messo in moto da finalità diverse (non garantire l’adempimento dell’obbligo ma la correttezza nella procedura di mediazione).
A. Efficacia esterna della
proposta conciliativa Come si è visto, ove
l’attività di mediazione non conduca ad un accordo amichevole, il mediatore formula una proposta di conciliazione che rappresenta l’ennesimo tentativo di indurre le parti ad accordarsi in via stragiudiziale. Se la proposta è accolta dalle parti, si forma processo verbale dell’avvenuta conciliazione e la lite si compone fuori dal processo.
Se, invece, la proposta non è accolta (perché una/più delle parti non l’ha/hanno accettata) il mediatore forma processo verbale ad hoc che deve avere il seguente contenuto
1) indicazione della
proposta 2) (nel vecchio testo:
anche l’indicazione delle ragioni del mancato accordo)
Art. 13 (Spese processuali) 1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. 2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente. 3. Salvo diverso accordo, le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
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Le ragioni del mancato accordo, pur non più previste espressamente dalla norma, potranno
comunque essere rappresentate dal mediatore e, in genere, riguarderanno il rifiuto espresso dalle parti (o da una sola delle parti).
Il verbale di cui si discute ha una rilevanza saliente poiché consente alla proposta di conciliazione di avere una efficacia “esterna” al processo di mediazione atteso che può andare ad incidere sulla regolamentazione delle spese di lite del processo giurisdizionale celebrato dinnanzi all’autorità giudiziaria.
EFFICACIA ESTERNA DELLA PROPOSTA CONCILIATIVA
ENTRO SETTE GIORNI Le parti possono accettare o rifiutare la
proposta
C’È RIFIUTO
NON È RAGGIUNTO UN ACCORDO DI
CONCILIAZIONE
Il mediatore formula una …
il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere
Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto
PROPOSTA DI CONCILIAZIONE comunicata per iscritto alle parti
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Come noto, la legge 69 del 2009 ha modificato, tra l’altro, anche l’art. 91 del codice di rito
prevedendo che: “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92”. L’art. 13 estende la regola di cui si discute anche alla proposta conciliativa dei mediatori, formulata nella fase pre-trial.
Come per l’affine previsione già menzionata (nuovo art. 91 c.p.c.), trattasi di disposto normativo retto dal principio della causalità (ritiene, invece, abbia natura sanzionatoria: DEMARCHI, Questioni pregiudiziali di rito, condanna alle spese e consulenza tecnica nella miniriforma del processo civile (Relazione al convegno di studi su “L’imminente ennesima riforma del processo civile, Milano, 18 maggio 2009) in www.ilcaso.it, sez. dottrina, 2009) che segue il principio costituzionalizzato (art. 24 Cost.) per cui la necessità di agire o resistere in giudizio non deve andare a danno della parte che ha ragione (CHIOVENDA, La condanna alle spese giudiziali, II, Roma, 1953). Ed, allora, il costo della lite va sopportato dalla parte che vi ha dato causa. Ove la proposta era “giusta”, tant’è che la sentenza non si è discostata dalla soluzione da essa proposta, va da sé che la fase processuale successiva alla medesima è stata causata dal rifiuto della parte che a torto l’ha respinta e, conseguentemente, è essa che deve sopportarne le spese avendola generata.
Nessuna sanzione, dunque, ma mero riparto causale delle spese. Ve ne è conferma nel fatto che l’ammontare delle spese è quello corrispondente a quelle
maturate “dopo la formulazione della proposta” e, comunque, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa. In altri termini, è ben possibile che la parte vittoriosa debba sostenere l’intero costo del processo, rimborsando le spese di lite alla controparte.
Va segnalato che la norma trova un antecedente nel d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (istitutivo del rito societario, abrogato dalla riforma del 2009), all’art. 40, comma V: “la mancata comparizione di una delle parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai sensi dell’ articolo 96 del codice di procedura civile. Il giudice, valutando comparativamente le posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza che definisce il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione, e può anche condannarlo, in tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente”. Va, comunque, ricordato che le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 3 settembre 2008, n. 20598) hanno anche di recente ribadito che nella regolamentazione delle spese il giudice deve tenere conto “di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali”.
Si veda lo schema che segue, tratto dall’opera BUFFONE, La riforma del processo civile, Buffetti ed., 2009. Simula una ipotesi in cui, fatta la proposta, il convenuto del successivo processo accetta mentre l’attore respinge la possibilità di accordo che, però, viene poi recepito integralmente dalla sentenza del giudice
Inizio Mediazione Interviene la proposta
conciliativa (poi recepita dalla sentenza)
Sentenza
Spese di lite a carico delle parti Spese di lite a carico dell’attore
IL CASO: L ’ATTORE RIFIUTA INGIUSTIFICATAMENTE L ’OFFERTA “ GIUSTA” DEL MEDIATORE
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Le parti NON si conciliano IL GIUDICE definisce il procedimento civile instaurato
esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa
il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto
della proposta
Queste disposizioni si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto eventualmente nominato durante il procedimento di mediazione
PROPOSTA DI CONCILIAZIONE
il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto
della proposta
IL GIUDICE
condanna la parte vincitrice che ha rifiutato la proposta al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo successivo alla formulazione della proposta
condanna la parte vincitrice che ha rifiutato la proposta al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto
IL GIUDICE
se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto eventualmente nominato durante il procedimento di mediazione
Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile
Queste disposizioni non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
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Commentando il nuovo art. 91 c.p.c. ci si chiese quali ragioni costituivano, ad onta del testo normativo di nuovo conio, motivi “giustificati” che potevano annullare il fascio applicativo della norma. Tale questione, tuttavia, appare prima facie non rilevante quanto all’art. 13 in commento.
Ed, infatti, il testo normativo è diverso sul punto: solo l’art. 91 c.p.c. e non anche l’art. 13 include, nell’enunciato normativo, il requisito dell’assenza di giustificato motivo per il rifiuto.
Proposta endoprocessuale
Art. 91 c.p.c.
Proposta pre-trial Art. 13 d.lgs. 28/10
Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo
condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta
condanna la parte che ha rifiutato la proposta
… domanda in misura non superiore all’eventuale
proposta conciliativa …
… provvedimento che definisce il giudizio
corrisponde interamente al contenuto della proposta …
Nonostante l’omissione (sicuramente inopportuna), il requisito di cui si discute va
recuperato per via interpretativa. Ed, infatti, vuoi che si tratti di istituto espressivo di una sanzione civile, vuoi che si tratti di istituto che esprime la causalità, l’elemento soggettivo è nell’uno e nell’altro caso, condicio sine qua non del meccanismo introdotto dal Legislatore.
Ed, invero, l’assenza di giustificato motivo nell’esprimere il rifiuto rappresenta un elemento “implicito” dell’istituto atteso che, altrimenti, si andrebbe ad incidere in misura irrazionale ed ingiusta sul diritto di azione e di difesa che, se sopporta temperamenti nel balancing con altri interessi primari dello Stato non può essere sacrificato senza un baricentro che sia ragionevole. E la ragionevolezza delle previsioni di cui si discute è proprio da rinvenire nella rimproverabilità della condotta della parte che ha rifiutato la proposta. Un grimaldello normativo è, comunque, rinvenibile nell’art. 11 ove si prevede che, nel verbale di infruttuosa conciliazione, il mediatore debba dare atto, mediante apposita trascrizione, “delle ragioni del mancato accordo”. E’ dato ritenere che tanto sia necessario proprio per fornire al giudice elementi di giudizio.
Quanto al rifiuto che sia “giustificato”, una prima ragione – in seno all’art. 91 c.p.c. – è stata individuata nelle ipotesi in cui la conciliazione può, quantitativamente, offrire una forma di tutela identica a quella offerta dalla sentenza ma non anche qualitativamente. E’ il caso, ad esempio, in cui l’attore miri alla pubblicazione della sentenza (ora anche con finalità riparatorie, v. art. 120, comma I, c.p.c.) ovvero, comunque, alla divulgazione di un titolo giudiziale ove viene suggellata la
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condanna del convenuto. In tali casi, però, in realtà non vi è questione quanto all’art. 13 atteso che se l’art. 91 c.p.c. parla di domanda accolta in misura non superiore, l’art. 13 discorre di provvedimento che corrisponde interamente alla proposta. Ebbene: ove vi sia pubblicazione della sentenza (elemento sicuramente estraneo all’accordo di conciliazione) semplicemente non vi sarà corrispondenza integrale tra proposta e sentenza, quanto basta ad escludere la falcidia dell’art. 13 cit.
Problematico è il rifiuto avanzato nella convinzione che l’offerta non fosse congrua o giusta. Orbene, certo è che la legittimità o non del rifiuto va valutata ex ante e non ex post: occorre, cioè, verificare, in primis, se quando l’offerta è stata fatta essa non apparisse, effettivamente, incongrua o quantomeno opinabile da un punto di vista oggettivo.
Tanto potrebbe accadere nelle ipotesi di responsabilità medica. Si pensi al caso di una proposta conciliativa del mediatore che proponga al danneggiante di
risarcire, separatamente, danno biologico e danno morale. E si pensi a costui (il danneggiante) che la rifiuti adducendo che secondo le Sezioni Unite del 2008 (n. 26972), il danno morale non può essere più risarcito uti singuli. Si ipotizzi, infine, un giudice di merito che disattendendo la giurisprudenza gemella del novembre 2008, ed aderendo ai più recenti interventi legislativi (d.P.R. 37/2009; d.P.R. 180/2009, su cui sia consentito rinviare a BUFFONE, Risorge il danno morale in www.tribunale.varese.it), riconosca proprio la somma indicata dai mediatori liquidando separatamente danno morale e danno biologico. Ebbene, in tali casi, lo tsunami giurisprudenziale sulla questione di diritto può essere ignorato dal giudicante applicando in modo automatico il meccanismo ex art. 13 cit.?
La risposta non può che essere negativa. Dinnanzi a materie in cui è vi è sussistenza di rinomate questioni di diritto oggettivamente
controverse, l’impasse della macchina-Giustizia non può riverberarsi in modo negativo sugli utenti che, senza colpa, vengano indotti a ragionare secondo un percorso interpretativo poi non recepito dal giudice della causa. Si pensi ai revirement giurisprudenziali, agli interventi di pronunce della Corte di Giustizia Europea, alle sentenze interpretative della Corte costituzionale, allo jus superveniens che induce, re melius perpensa, a mutare ermeneutica. In tutti questi casi, come negli altri di volta in volta rilevati dal giudice, la valutazione ex art. 13 d.lgs. passa necessariamente per l’assenza di giustificati motivi.
Diversamente ritenendo, la disposizione si presterebbe a dubbi di legittimità costituzionale, già per la differente formulazione, rispetto all’art. 91 c.p.c., pur in presenza di situazioni essenzialmente analoghe.