ai cosi (dis)uniti - Cooperazione Trentina · presumibile che le 15 banche che in giugno hanno...
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CAOSBCC/1 La riforma prevede che le banche dì credito cooperativo si uniscano tra loro, ma fin dall'inizio si sono create visioni diverse e contrapposte. Insieme sono il terzo gruppo del Paese, ma ormai una conciliazione sembra impossibile
ai cosi (dis)uniti di Manuel Follis
. ^ ^ J ^ ^ noto come l'Italia "W~~^ sia considerata da
i L J sempre il Paese dei l ' I mille campanili. Ma
J L o J negli ultimi mesi è salito alla ribalta delle cronache finanziarie per essere anche quello delle mille banche. Per essere precisi, nel caso degli istituti di credito cooperativo, le banche sono circa 360 e da mesi cercano di capire quale
sarà il loro futuro, in un clima che come spesso accade in Italia sta mescolando personalismi e guazzabugli politici con visioni concettuali talvolta innovative sul modo di fare banca nel territorio. E così c'è chi parla di scontro tra gruppi che dovrebbero invece restare tutti uniti e chi è convinto che queste frizioni potrebbero invece dare una scossa a un sistema da tempo ingessato e rappresentare una svolta. Insomma, mentre
l'Italia è concentrata sul salvataggio di Mps, nel frattempo c'è un modo bancario meno esposto al clamore mediatico - almeno finora - il cui valore quantitativo e qualitativo complessivo si può confrontare quasi da pari con quello dei grandi istituti del Paese. Per orientarsi rispetto a quanto è accaduto e sta accadendo all'interno del mondo delle bcc è necessario fare qualche passo indietro. In Italia,
come detto, ci sono 360 banche di credito cooperativo e quando una legge di riforma del sistema bancario ha decretato che questi istituti dovessero aggregarsi, il primo input di Bankitalia ha riguardato la possibilità che si creasse un solo unico polo, una maxi aggregazione che riunisse tutte queste realtà sotto una unica holding. Il progetto di un'unica gigantesca realtà fin dall'inizio è sembrato in salita, per quei famosi mille campanili. Parlare di 360 banche, infatti, non rende perfettamente l'idea di quanto sia eterogeneo il panorama di questi istituti, molto
diversi per dimensioni e sparsi sull'intero territorio italiano, dal profondo nord al profondo sud. Se prendiamo come riferimento i bilanci 2015 (nelle tabelle che corrono ai piedi di queste pagine sono riportati i dati di bilancio 2015 delle prime 150 banche della categoria), unire tutte le bcc in un unico gruppo vorrebbe dire creare un colosso bancario con mezzi amministrati per 285 miliardi di euro, che in un'ipotetica classifica si posizionerebbe dietro alle sole Unicredit e Intesa Sanpaolo e davanti a tutti gli altri istituti, da Mps al Banco Popolare
fino a Ubi Banca. La principale bcc italiana, per dimensioni, è Iccrea Banca che proprio per questo motivo fin dall'inizio è stata indicata come il naturale perno attorno al quale creare questo famoso polo unico. Come detto, però, fin dall'inizio la strada per la creazione di questo gruppo è apparsa in salita. La riforma, infatti, costringendo le banche a indossare un unico cappello, ha rappresentato anche un momento di stimolo per il sistema. In sostanza per molti banchieri e per molte realtà il concetto è stato: «Se dobbiamo cambiare, vediamo di farlo in-
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troducendo miglioramenti». Fin dall'inizio, ad esempio, la seconda bcc per dimensioni in Italia, Cassa Centrale Banca, ha presentato un suo progetto di sviluppo, con la disponibilità a condividerlo con Iccrea per valutare i punti in comune da sviluppare. Ma qualcosa non ha funzionato e i vertici dei due principali istituti non sono mai riusciti a trovare un'intesa, tanto che lo scorso 13 ottobre Ccb ha ufficialmente lanciato la propria candidatura a costituirsi come polo aggregante di banche. La normativa prevede questa possibilità e indica in 1 miliardo il livello minimo di patrimonio richiesto per dare vita a un gruppo. Il piano industriale presentato da Cassa Centrale prevede la «sostenibilità econo
mica» (quindi il raggiungimento dei livelli patrimoniali richiesti) con l'adesione di almeno 87 istituti. Ufficialmente e a microfoni aperti nessuno ha mai voluto apertamente criticare gli esponenti delle diverse posizioni, ma dietro le quinte si sono confrontate per mesi due tesi: quella delle bcc vicine al Trentino che hanno sempre sostenuto che fosse ora di cambiare la gestione romano-centrica del credito cooperativo, poco efficiente e poco industriale e quella delle bcc vicine a Iccrea che hanno sempre accusato i trentini di voler fare i separatisti anche a costo di danneggiare l'intero sistema. E qui
si inserisce uno dei punti fondamentali di questo momento cruciale per il mondo del credi
to coop: la creazione di più poli è rischiosa (moltiplicazione di costi e disorientamento dei clienti) o potrebbe addirittura favorire la competizione e l'efficienza? Iccrea sostiene la prima tesi, Ccb ovviamente la seconda. Il risultato è che molte delle banche che hanno accettato di far parte del nuovo progetto di Cassa Centrale vanno su tutte le furie quando vengono indicate come «quelle della frattura» o quelle «separatiste» e di norma rispondono alle critiche sottolineando che hanno scelto di seguire un piano industriale credibile per numeri e prospettive. Insomma, anche se di fatto è effettivamente in atto uno scontro tra le parti, molti invitano ad abbandonare i toni da guerra e a pensare a questo momento
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GRAFICA MF-MILANO FINANZA
come a concezioni diverse sul credito. Peraltro, va detto che parte delle divergenze non fa riferimento alla gestione industriale ordinaria, ma ai sistemi informativi che oggi sono l'ossatura attorno alla quale spesso si misura l'efficienza di un istituto di credito, cooperativo e non. Le due società che fanno capo a Cccb, ovvero Informatica Bancaria Trentina ma soprattutto Phoenix Informatica Bancaria (nata nel 2002) nel corso degli anni hanno incrementato il numero di clienti e pensare a una fusione di questi sistemi con quelli di Iccrea ha sempre costituito uno scoglio quasi insormontabile. Il clima, nel frattempo, si è fatto rovente. L'assemblea di Federcasse del 25 novembre ha portato all'ennesimo colpo di scena. Il presidente Alessandro Azzi ha spiegato che a fine di
cembre potrebbe rimettere il mandato assumendosi parte delle responsabilità di non essere giunti a un'intesa tra Iccrea e Ccb, imputando ai presidenti delle due società (Giulio Magagni e Giorgio Fracalossi) molte responsabilità per questo mancato accordo. L'assemblea ha quindi deciso di rimanere aperta fino al 20 dicembre e nominato un gruppo di saggi per provare un ultimo estremo tentativo di riappacificazione. Questi saggi, ovvero lo stesso Azzi, il presidente della Federazione trentina Diego Schelfi, il vicepresidente vicario di Federcasse Augusto Dell'Erba e il numero uno di Confcooperative Maurizio Gardini si sono già messi al lavoro. C'è chi giovedì 1 dicembre ha visto Gardini a Trento, probabilmente per incontrare i vertici di Cassa Centrale e il di
rettore generale Mario Sartori, mentre Magagni e Fracalossi sarebbero stati entrambi invitati a un incontro nella sede di Confcooperative a Torino il prossimo 13 dicembre, sempre per trovare un'intesa. Il tema è diventato così caldo e delicato che nonostante le difficoltà di altre grandi banche e il referendum costituzionale è riuscito comunque a finire sui tavoli che contano del ministero dell'Economia e della Banca d'Italia, entrambe ormai consapevoli che non si può più «ignorare la questione», tanto che è presumibile immaginare che nei prossimi giorni si terranno nuovi incontri tra alcuni dei soggetti coinvolti, formali e informali, e che verranno fatte pressioni perché questa impasse si sblocchi al più presto possibile. Al momento, però, l'idea che queste «diverse concezioni del
credito» possano confluire in una sola visione comune e condivisa sembra difficile, tanto più che Cassa Centrale nel corso del suo roadshow in giro per l'Italia ha ottenuto più riscontri e consensi di quanto si sarebbe aspettata e vede la creazione di suo polo come sempre più concreta. «Le preadesioni pervenute dalle bcc e il successo riscosso negli incontri territoriali ci hanno convinto che quella del gruppo Cassa Centrale Banca credito cooperativo italiano è la sola via percorribile», ha dichiarato il 30 novembre Fracalossi. E tanti saluti al gruppo unico. Stanti così le cose, e quindi immaginando come complessa una riunificazione delle parti, si va verso la creazione di più gruppi dunque. La domanda a questo punto diventa: chi sta con chi? Per avere un'idea di massima della mappa, al momento sono previste tre aggregazioni. Una tra le Raiffeisen altoatesine, visto che la riforma ha previsto che queste non siano obbligate a confluire in una holding nazionale e quindi si unirebbero tra loro a livello locale
(non tutte, si veda box in pagina) e poi appunti i due poli attorno a Iccrea e a Cassa Centrale Banca. La vera domanda riguarda dunque quali banche aderiranno e chi hanno già deciso di aderire al gruppo di Cccb. Al momento, anche se sono indiscrezioni che nessuno vuole confermare, tra adesioni e pre-adesioni sembra che il direttore generale di Cassa Centrale Mario Sartori possa contare su un numero molto superiore a 100 istituti. È presumibile che le 15 banche che in giugno hanno scritto una lettera al Parlamento, alla Banca d'Italia e a tutte le bcc per chiedere la creazione di due gruppi, ovvero Aquara, Monte Pruno, Buonabitacolo, Civitanova, Viterbo, Borgo S. Giacomo, S. Marzano di Taranto, Pisa e Fomacette, Marcon, Regalbuto, Mazzarino, Monopoli, Credito Etneo Catania, Castagneto Carducci e Messina aderiscano in massa al progetto Ccb. Le posizioni ancora da definire sono però ancora molte, ad esempio molti si chiedono cosa deciderà di fare la bcc di Alba, la più grande del Piemonte e la quarta a livel
lo nazionale. In teoria c'è tempo per prendere una decisione, ma la sensazione è che i giochi si decideranno da qui al 20 dicembre, (riproduzione riservata)
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