Affermazione delle lingue nazionali e la riscoperta dei classici. L a cura di Matteo B., Alessio B.,...

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’affermazione delle lingue nazionali e la riscoperta dei classici.

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a cura di Matteo B., Alessio B., Giacomo B.

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Il movimento, che si sviluppò dalla metà del XIV sec. all’inizio del XVI e si caratterizzò per la riscoperta dei classici latini (e greci), con la conseguente riaffermazione dei valori etico-culturali del mondo antico, prenderà il nome di “umanesimo”.

Il termine deriva dall’espressione "studia humanitatis", che indica la formazione dell’uomo colto secondo il principio educativo dello sviluppo della persona nella complessità dei suoi aspetti attraverso lo studio della letteratura e della filosofia.

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L’entusiasmo con cui Poggio Bracciolini, segretario pontificio al concilio di Costanza (1414-1418), racconta in una lettera del 15 dicembre 1416 ad un amico, del ritrovamento, presso l’abbazia benedettina di San Gallo, dell’ Institutio Oratoria di Quintiliano, testimonia la passione che, sulla via aperta da Petrarca e Boccaccio, animava l’amore per i classici e la ricerca dei testi antichi.

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Ritratto di QuintilianoMiniatura, XV sec.Reg.lat. 1881, f.2v, B.A.V.,Città del Vaticano

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Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio.

Frammento del IX secolo.

Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio.

Frammento del IX secolo.

Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio.

Frammento del IX secolo.

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Tuttavia la riscoperta dei testi classici non si limita ad un ampliamento quantitativo, ma implica soprattutto un cambiamento qualitativo dell’interpretazione. Gli uomini dei secoli precedenti (quell’età che gli umanisti percepirono come “media”, ossia frapposta tra lo splendore degli antichi e la loro riscoperta) non trascurarono affatto il patrimonio dell’antichità anzi, si premurarono di assicurarne la conservazione. Tuttavia si prodigarono a trasmettere le opere degli antichi, per assimilarne il valore nella visione cristiana.

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Le Tragedie di Seneca (XV sec.)

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Le Notti attiche di Aulo Gellio (XV sec.)

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La Storia Naturale di Plinio (XIV sec.)

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La Guerra gallica e la Guerra civile di Giulio Cesare (XV sec.)

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Dante nutre la massima ammirazione per Virgilio, lo assume come guida nel suo viaggio ultraterreno, in quanto è “il savio gentil che tutto seppe”, rendendolo figura allegorica della Ragione umana, ossia assegnandogli un significato che valica il limite della sua esistenza storica attribuendogli un valore attuale. Si ignora, insomma, quel distacco temporale dall’antichità che, invece, gli umanisti cominciarono a percepire e dal quale avrà origine un approccio diverso alle opere degli antichi.

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Opere di Caio Sallustio Crispo (VX sec.)

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Il Cristianesimo aveva valorizzato la dignità umana riconoscendo in Cristo Dio fatto uomo, tuttavia quando la visione cristiana raggiunge l’apice del teocentrismo, l’uomo avverte il bisogno di riscoprirsi e di porsi di nuovo al centro (antropocentrismo). Gli umanisti incontrano nei classici latini e greci (rimasti ignoti al Medioevo) i compagni ideali nella riscoperta dei valori umani. Di qui la febbrile ricerca dei testi rimasti esclusi dai canoni tradizionali di letteratura, di qui l’esigenza di ampliare il raggio delle voci udibili, di qui la necessità di interpretare il testo antico nella consapevolezza della sua distanza cronologica e di restituirgli la purezza e la correttezza originaria: nasce la filologia.

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Copia di un’opera aristotelica posseduta dal Boccaccio

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Il culto umanistico dei classici e la volontà di recuperare l’autentico messaggio dell’antichità si traducono, a livello linguistico, in un nuovo predominio del latino. Se l’età comunale aveva segnato il trionfo del volgare, il primo Quattrocento riporta in auge il latino. Gli umanisti scrivono esclusivamente in latino, perseguendo la purezza originaria della lingua. Modello per eccellenza della loro prosa resta Cicerone, le cui opere non solo esaltano i valori dell’humanitas , ma presentano quello stile armonioso ed elegante tanto ambito.

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Il trionfo del latino relega il volgare agli usi pratici della comunicazione quotidiana, degli atti pubblici, delle cancellerie, ma non per molto. Mantenuta viva nelle tradizioni popolari, come ad esempio le sacre rappresentazioni e i cantari cavallereschi, la “volgar lingua” si prepara a riemergere e ad affermarsi definitivamente come lingua di cultura dalla metà del Quattrocento . Il volgare comincia a riconoscere come propri classici i grandi del Trecento, Dante , Petrarca e Boccaccio.

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La dinamica del rapporto tra il latino e il volgare non finisce qui anzi, prende inizio un processo molto fecondo di reciproca influenza. La letteratura volgare, ripartita con nuovo slancio, matura il proprio sviluppo con gli esiti originali e di grande valore che conosciamo, senza perdere la consapevolezza di un confronto sempre attivo con la tradizione.