Adeste43 domenica 25 ottobre2015c

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25 Ottobre Si ricorda il Beato

Il “padre” dei mutilatini

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Beato don Carlo Gnocchi,

il “padre dei mu�la�ni”

Il 25 ottobre 2009 fu stato elevato all’onore degli alta-ri don Carlo Gnocchi.

San Colombano al Lambro, Milano, 25 ottobre 1902 - Milano, 28 febbraio 1956

Nacque da famiglia povera nelle vicinanze di Lodi nel 1902. Entrato in seminario, venne ordinato prete nel 1925. Dopo alcuni anni tra-scorsi in oratorio, venne tra-sferito all’istituto Gonzaga dove poté studiare e scrivere alcuni saggi di pe-dagogia. Allo scoppio della guerra, decide di partire cappellano militare per il fronte greco-albanese, per condividere la sorte dei suoi giovani. Ritorna nel 1942 ma, nello stesso anno, parte per la Russia con gli alpini della Tridentina. La dramma-tica esperienza della guerra e della ritirata dei soldati italiani lo getta in una crisi profonda. Ma come ricor-dava un suo commilitone, il ve-scovo di Novara Aldo del Monte, don Carlo non si attarda ad auto compiangersi. Si prodiga per con-solare i soldati e, a quanti piango-no per i figli piccoli destinati a rimanere orfani, promette di oc-cuparsi di loro. Al ritorno in Ita-lia, comincia a raccogliere gli orfani di guerra e i mutilatini.

Li ospita in una casa di Arosio, poi gli viene concessa una casa più grande a Cassano Magna-go.(**) Da allora i collegi si molti-plicano in tutta Italia. L’ultimo progetto è la costruzione di un cen-

tro di riabilitazione nei pressi dello stadio di San Siro a Milano. Affetto da un male incu-rabile, don Carlo muore nel 1956. Prima, tuttavia, la carità lo induce a un ultimo gesto eroico. All’epoca in Italia i tra-pianti erano proibiti. Il sacerdote convinse un dottore a trapiantare le sue cornee a due ragazzi non vedenti. È stato bea-tificato nel 2009.

R icorda don Giovanni Barbare-

schi, amico fedele ed esecutore testamentario di

don Gnocchi, che tre o quattro giorni prima di morire don Carlo gli chie-se: "Sei pronto a rischiare la prigio-

ne per me? Io voglio donare le cornee. Se ti senti, vai a cercare un oculista che si ten-ga a disposizione. Se ti va

male sappi che an-drai in galera per me". Nei mesi precedenti l’evoluzione finale della malattia aveva incon-trato nel Centro di Inverigo un ragazzo abruzzese cieco. Don Carlo lo aveva subito notato e aveva avviato le pratiche per tra-sferirlo e farlo operare in Svizze-

ra, visto che in Italia i trapianti di cornea non erano ancora possibili. Sfidando la legge, il doppio intervento di trapianto con le cornee di don Carlo Gnocchi fu eseguito dal professor Cesare Galeazzi, direttore del Pio Ospedale Oftalmico di Milano(oggi Fatebenefratelli), che ricorda nel suo diario: "Improvvisamente, domenica 26 febbraio alle 2 del pomeriggio suona il telefono. Era una suora della cli-nica Columbus che mi diceva di andare subito perchè don Carlo aveva chiesto di me. Quando lo vidi giaceva nel letto, sotto la tenda a ossigeno, il viso esangue, le belle mani stanche e bianche. Mi disse: «Cesare, ti chiedo un grande favore, non negarmelo. Fra poche ore io non ci sarò più, prendi i miei occhi e ridona la vista a uno dei miei ragazzi, ne sarei tanto felice. Parti subito per Roma, là nella mia casa c’è da pochi giorni un bel ragazzo biondo e poi forse anche un altro, mi hanno detto che un trapianto di cornee potrebbe farli rivedere, avrei già dovuto parlartene, parti subito, pro-mettimelo, io ti ringrazio. Addio...». Non dimenticherò

L’ultima volontà di don Carlo Gnocchi fu la donazione delle cornee. Lo aveva detto già un anno prima di morire: "Se dovessi morire, voglio che cerchiate di dare i miei occhi a due dei miei ragazzi. Mi restano so-lo gli occhi, anche questi sono per i miei mutilatini".

Don Carlo

Gnocchi in

divisa da

Alpino

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mai quegli attimi di stravolgente commozione; non ricordo nemmeno che cosa dissi, so che piangevo e so che promisi. Ricordo che lo baciai in fronte. Uscii frastornato, pieno di paura per l’incombente gravoso im-pegno così solennemente assunto. Non sapevo nulla di questo ragazzo, ero spaventato e commosso.

Partii subito per Roma angoscia-to dai dubbi. Se l’intervento non mi fosse riusci-to? Avrei fatto in tempo a rien-trare da Roma con il ragazzo? Don Carlo pale-

semente agonizzava. La mattina dopo, il 27 febbraio, di buon ora, sono alla casa dell’Opera di Don Carlo, chiedo del ragazzo, stentano a individuarlo, poi lo ri-conoscono in Silvio Colagrande di 12 anni. Me lo por-tano in osservazione; sono visibili gli esiti di un’ustio-ne gravissima, cornee opache in misura sub-totale, certo un caso molto difficile, ma ancora in limiti di operabilità. Mi sento già più tranquillo. Dispongo per l’immediata partenza per Milano del giovane e richia-mo l’ospedale affinché tutto sia pronto per operare in qualsiasi momento. Preannuncio il mio rientro, con la notizia che ormai è già di pubblico dominio. Del resto fin dal mio arrivo a Roma ero stato aggredito da gior-nalisti e fotografi. Poco prima di ripartire il 28 febbraio mi giunge la tri-ste, ma purtroppo attesa, notizia: don Carlo è spirato. Eterno, ansioso viaggio di ritorno. Quasi sgomento pensavo alla prova che mi aspettava: come un princi-piante andavo ripetendomi i tempi dell’intervento. Ma se il colpo di trapano per il prelievo del disco da inne-stare per l’emozione non mi fosse riuscito? E tutti quei vasi sulla cor-nea? Ci sarà emorragia? Il lembo resterà trasparente? Pensavo al mio aiuto, il dottor Mario Celotti, che in quel momento stava prelevando i bulbi dal volto spento di don Carlo e ringraziavo Dio per le circostanze che mi avevano rispar-miato il compito. Ero preoccupato per l’esito dell’intervento. Poi, a tratti mi rasserenavo e dicevo: «don Carlo mi aiuterà». Successivamente venni a sapere delle diffi-coltà frapposte a Celotti dalla polizia a causa della legge italiana di allora che non permet-teva il prelievo di cornee da un defunto. All’uscita dalla clinica la sua auto fu per un tratto seguita da quella della polizia che poi fece volutamente finta di perderla. La mattina dopo, il 29 febbraio, nel momento di ese-guire l’intervento, mi sentivo stranamente tranquillo, all’angoscia era succeduta una sorta di fredda determi-nazione. A un impegno assunto con un «santo» ago-nizzante non vi erano alternative ed era in me, lo con-fesso, anche una punta di orgoglio.

Per il secondo trapianto era pronta una giovane ragaz-za, Amabile Battistello di 17 anni, l’unica resasi di-sponibile il giorno prima. Arrivo in ospedale, vedo i giornalisti fermi all’ingresso e li evito entrando dall’ambulatorio. La camera operatoria è pronta, vi è un silenzio particolare, è una giornata diversa. L’indu-zione, l’anestesia. «Può cominciare professore...», la voce amica di Laura, la mia anestesista. So-no sereno, i tempi pre-liminari evolvono sen-za complicazioni e arriviamo al momento cruciale. Un attimo, ma solo un attimo di commozione, ho nelle mani, e ancora fisso, l’occhio azzurro di don Carlo che non c’è più. Ma mi aiuta, la mano non trema, il giro di trapano è sicuro. L’insediamento della cornea risulta facile, la pupilla è centrata, il cristallino perfettamente trasparente, il ragazzo vedrà. Anche il secondo trapianto non subì complicazioni. Il lembo innestato venne protetto da un dischetto di pelle d’uovo sterilmente preparato e tenuto in sito da due anse di filo incrociato. Il decorso post-operatorio fu ottimo per entrambi i pazienti, avvolto solo da un cli-ma di grande clamore per quanto era avvenuto." Ricorda Silvio Colagrande, operato all’occhio sini-stro, rimasto legato a don Gnocchi e alla Fondazione, oggi direttore dell’Istituto di Inverigo: "Avevo perso quasi completamente la vista all’età di sette anni; uno zampillo di calce viva mi aveva colpito agli occhi mentre stavo giocando, causando un’ustione gravissima con la compromissione della cornea. Poi al centro Pro Juventute che don Carlo aveva aperto a Roma, avevo imparato il linguaggio Braille, nell’atte-sa di un trapianto possibile soltanto all’estero. Il 27 febbraio 1956, vigilia del giorno della morte di don

Gnocchi, tutti i suoi alunni non vedenti furo-no chiamati per una visi-ta oculistica. Quando

entrai nell’ambulatorio riconobbi la voce del professor Galeazzi. Dopo la visita mi fu semplice-mente detto che occorreva anda-re a Milano, destinazione l’Isti-tuto Oftalmico. Non mi dissero altro. Mi resi conto di quanto mi era accaduto soltanto il giorno dopo, al risveglio dall’anestesia; ricordo che ero completamente bendato e un peso mi circondava la testa (era tenuta ferma da un cuscino di sabbia legato dietro al

collo). Sentivo la voce dell’infermiera che mi racco-mandava di restare immobile. Rimasi così per cinque giorni e cinque notti, vegliato dalle due infermiere Re-nata e Gina, perché anche nel sonno non facessi bru-schi movimenti. Venne in ospedale a trovarmi anche l’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, che poi divenne Papa; la sua voce mi è sem-

All’epoca i trapianti di organi erano proibiti. Il gesto di don Gnocchi fu eccezionale e riscosse vasta eco nel mondo. Questo epi-sodio stimolò il mmdo politicoe di lì a poco venne approvata una legge che autorizzava i trapianti.

I ricordi del chirurgo che effettuò i trapianti e dei due fortunati ragazzi che beneficiarono delle cornee di don Gnocchi

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pre rimasta impressa. L’occhio operato riacquistò in breve sei decimi di diottrie ma rimasi in ospedale al-cuni mesi prima di essere dimesso e tornare a Inverigo per riprendere gli studi elementari. Questa volta però leggendo e scrivendo come tutti gli altri alunni." Ricorda Amabile Battistello, operata all’occhio de-stro: "Da bambina, accompagnata da uno zio, partivo dal mio paese, Cusano Milanino, per bussare alla por-ta del professor Galeazzi affinché facesse qualcosa per ridarmi la vista. Tutte le volte che tornavo là, lui ripe-teva sempre la medesima frase, quasi fosse il ritornel-lo di una triste filastrocca diventata col tempo anche noiosa: «Per curare le lesioni corneali come la tua, serve un trapianto, ma i tempi non sono maturi e la scienza è ancora indietro, abbi pazienza e fidati di me, un giorno lo faremo e tu guarirai». Poi il trapianto. Il giorno in cui mi tolse le bende dagli occhi e mi fece guardare verso un luogo lontano e io individuai una finestra aperta, il professor Galeazzi pianse. Poi accese un grosso registratore, azionò un pulsante e la voce debole e sofferente, ma serena, del mio benefattore, incisa su un nastro dallo stesso pro-fessor Galeazzi disse le frasi che non scorderò mai: «Cari amis, ve raccomandi la mia baracca... ve la lasi, pusse d’inscì ho minga podù fa. E tu professor Ga-leazzi, devi promettermi che alla mia morte prenderai questi occhi e li utilizzerai affinché due ragazzi possa-no vedere, è tutto quello che mi resta da dare anco-ra!». Era la sua voce, che per me non aveva ancora un vol-to. Volli ascoltarla tante volte fino ad imprimermi nel-la mente quel timbro sofferente ma deciso. Il professor Galeazzi, nel risentirla insieme a me, più volte si asciugò le lacrime che gli scendevano sulle gote. Fu così, senza che ci incontrassimo, senza che ci cono-scessimo, che da quel giorno don Gnocchi camminò insieme a me. Il professor Galeazzi gli disse il mio nome, me lo confermò lui stesso, e a me sembrò già un grande onore che un uomo così santo conoscesse quel poco di me." Dunque don Gnocchi aveva fatto dono delle sue cor-nee a due giovani ciechi, Silvio Colagrande e Amabile Battistello. La donazione, allora non ancora normata, farà scalpore nell’opinione pubblica e accelererà il dibattito in materia, con la promulgazione a breve del D.L. n. 235 del 3 aprile 1957. Anche la riflessione etica e teologica, che ancora non aveva articolato una piattaforma di indicazioni sulla materia della donazione degli organi, subì un’accele-razione decisiva. Lo si rileva dagli interventi di Papa Pio XII. L’elogio all’atto di don Carlo che fece la do-menica successiva all’Angelus e il discorso pronuncia-to ai clinici oculisti e ai medici legali dell’Associazio-ne dei Donatori di Cornea e dell’Unione Italiana Cie-chi il 14 maggio 1956: "Il cadavere non è più, nel sen-so proprio della parola, un soggetto di diritto, perchè è privo della personalità che sola può essere soggetto di diritto ... In generale non dovrebbe essere permesso ai medici di intraprendere asportazioni su un cadavere senza l’accordo di coloro che ne sono depositari. Con-sentire espressamente o tacitamente a seri interventi contro l’integrità del cadavere non offende la pietà

dovuta al defunto, quando per questo esistono valide ragioni".

Da “Cristo con gli Alpini” Don Car-lo Gnocchi 1946 la Scuola Editrice

Bimbi mutilati di guerra

Da un mese, la guerra con tut-ti i suoi incubi atroci, coi suoi pungoli e i suoi rimorsi in-quietanti mi è rientrata insop-portabile nell’anima. Da che il chirurgo, sollevandomi din-nanzi i moncherini di Bruno (un bimbo mutilato di ambo le braccia; tagliava l’erba per i conigli e urtò col falcetto in una bomba) mi disse, un poco estraneo e scolastico: “Lo ve-de? Sono già in suppurazione. Bisogna riaprirli, segare l’osso per corciarlo e rin-chiuderli di nuovo”. Perchè lei deve sapere che l’organismo umano non cresce contemporaneamente in tutte le sue parti. Pri-ma cresce la parte ossea e poi quella muscolare, Quindi l’osso dei monconi preme e avanza; il mon-cone si fa conico e facilmente si irrita e suppura. Tanto più trattandosi di ragazzi che, naturalmente, si muovono, giuocano, saltano, muniti come sono di apparecchi artificiali che aumentano la pressione e l’irritazione, Ogni tanto bisogna intervenire chirurgi-camente per regolarizzare il moncone. Magari tre o quattro volte prima del termine della crescita. Tre, quattro volte prima del termine della crescita! Questa condanna mi pare davvero insopportabile; più della disgrazia iniziale e irreparabile. Non posso pensare, per tre o quattro volte, questi bimbi sul lettino opera-torio, risentire il loro pianto atterrito (perchè la pri-ma operazione si può farla di sorpresa, ma le al-tre...) vedere il bisturi frugare alacre e irrequieto in quelle teneri carni innocenti. Per questo, nei miei occhi e in quelli di Bruno che si sono improvvisamente incontrati, c’è lo stesso terro-re e la stessa ribellione. Se non ci fosse nella corsia tutta quella gente estranea e indifferente potrei alme-no buttargli le braccia al collo, piccolo martire inno-cente e chiedergli perdono di farlo tanto soffrire. Per-chè le sue lacrime e il suo sangue innocente mi accu-sano insopportabilmente. Quando noi si farneticava di spazi vitali e di supre-mazie di razza egli non chiedeva che di vivere e di. giuocare un poco. Ora, piccolo Bruno, come fa-rai? .La tua madrina ti ha portato un bel giocattolo di lusso. Ma è ancora là sul tuo comodino bianco di ospedale. Più per la curiosità e la gioia degli infer-mieri e delle Suore che per la tua. Come puoi fare senza manine?...

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Sinodo. Storia di monsignor Msusa, l’arcivescovo africano che ha convertito suo padre imam

Thomas Luke Msusa è uno dei 48 prelati africa-ni presenti al Sinodo sulla famiglia. Il missionario del-la Compagnia di Maria ha 53 anni, è arcivescovo di Blantyre, in Malawi, ma è nato in una famiglia musul-mana e dopo essersi convertito, ha battezzato suo pa-dre, che era un imam. CACCIATO DI CASA. Nato in un villaggio «al 99,9 per cento musulmano», racconta ad Aleteia, si è tra-sferito all’età di sette anni in una parrocchia, poi-ché non esisteva altro modo per ricevere un’istruzio-ne: «Nessuno nel mio villaggio poteva aiutarmi, per-ciò rimasi in parrocchia». Cinque anni dopo, a soli 12 anni, chiese il battesimo ma l’attrattiva per il parroco era tale, che aggiunse: «Come faccio a diventare come te? E così mi mandò in seminario». Quando i genitori seppero della sua conversione, gli fecero la guerra: «Non mi volevano in casa, perciò mi trasferii definitiva-mente in parrocchia». Nonostante l’opposizione della famiglia, Msusa fu comunque ordinato sacerdote.

LA MESSA AL VILLAGGIO. Al settimo cielo per l’ordinazione, chiese e ottenne dal suo superiore di «celebrare Messa a casa», anche se nel suo villaggio di origine non c’era una chiesa. La sua famiglia e la gente del villaggio lo derise, insinuando che mai nessuno avrebbe partecipato alla sua funzione religiosa all’aper-to. Invece, la celebrazione fu «piena di gente», persi-no i suoi genitori e i parenti vi presero parte. E dopo la Messa, inaspettatamente, il padre gli disse: «Vedi, mi rifiutavo di lasciarti entrare in questa Chiesa, ma ora credo che probabilmente raggiungeremo il paradiso grazie a te». LA CONVERSIONE DEL PADRE. Quando Msusa divenne vescovo, tornò a casa per assistere a un altro miracolo: «Mio padre, un imam, si inginocchiò e dis-se: “Ho bisogno del battesimo”. E io gli rispo-si: “Papà, in tutti questi anni mi hai ripetuto che sarei andato all’inferno. Vuoi venire all’inferno con me?». Il padre accettò di sottoporsi per tre anni all’insegna-mento cristiano e «nel 2006 venne battezzato». E ora che suo padre è anziano e malato, «quando torno a casa sua, [insisto perché] lui dichiari chi è diventato davanti a tutti (…), così quando morirà non ci saranno problemi per la sepoltura» cristiana. «CATTOLICI E MUSULMANI INSIEME». Nato

in un villaggio musulmano, Msusa è sempre stato accusato di tradire la cultura tradizionale. Ora invece il capo villaggio «ha fatto capo me e sono alla guida di 62 famiglie. Ma siccome da vescovo ho chiaramente molte responsa-bilità, adesso il capo è mia sorel-la Christina». Msusa ha sempre spinto «cattolici e musulmani» a stare assieme. Dal 2006, anno in cui si è svolto il Si-nodo africano, «celebriamo la Messa, ci incontriamo, mangiamo insieme. Dico loro: “Dimenticate i vostri problemi, oggi festeggiamo”. E i cattolici che sono in grazia di Dio ricevono la comunione, mentre i musul-

mani assistono». «GRAZIE A RADIO MA-RIA». Msusa e suo padre non sono gli unici convertiti dall’islam. «Ho lavorato nella diocesi di Zomba per 10 anni – continua l’arcivescovo – e ogni anno alla vigilia di Pasqua, in cattedrale, circa 100-150 adulti si facevano cristiani. Ma ce ne so-no altrettanti in altre parrocchie». Anche nella sua attuale arcidiocesi, Blantyre, «accade lo stesso (…). Quando faccio le cresime trovo dalle 20 alle 50 persone musulma-ne che si stanno convertendo al cattolicesimo». E quando domanda loro perché hanno deciso di con-

vertirsi, la risposta è sempre la stessa: «Grazie a Radio Maria». L’emittente infatti ha cambiato tutto, per-ché prima «sentivano solo la propaganda contro la Chiesa cattolica. Mentre ora hanno scoperto la verità sulla Chiesa».

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Il cris�ano è un cieco e un mendicante, come tu�. Co-

me tu� sta ai bordi della strada della vita, tende di-

speratamente le mani per avere di che vivere: a�en-

zione, affe�o, approvazione. Spesso, però, il mondo lo

invita a tacere, a non disturbare, a lasciar perdere, a

rassegnarsi.

Siamo mendican�, e il mondo ci dice che siamo degli illusi. Anche Dio - ci dicono - in fondo è infas�dito dai

nostri lamen�. Se insis�amo, se urliamo più forte, ad un certo punto sen�amo

che Gesù, il Nazareno, il Figlio di Davide, ci chiama e ci incoraggia. Qualcuno,

un discepolo, un amico, un evento, ci ripete: "Coraggio! Alza�, � chiama". Ci

fidiamo (i fratelli che ci invitano ad avere coraggio lo fanno con amore e disin-

teresse!), ci alziamo dalle nostre paralisi, abbandoniamo le nostre incommen-

surabili paure, ge*amo il mantello della lamentela e siamo raggiun� dal Si-

gnore. Il Signore, oggi e sempre, ci chiede cosa vogliamo da lui. Potremmo

chiedere mille cose: fortuna, denaro, affe.o, carriera. Chiediamone una sola:

la luce. Luce: che importa avere fortuna se non sappiamo riconoscere chi ce

l'ha donata? Luce: quanto denaro serve per colmare il cuore incolmabile di

desiderio? Luce: quante volte l'affe.o diventa oppressione e dolore? Luce: che

ci importa di diventare qualcuno se res�amo tenebra? E accade: il Signore ci

ridà luce agli occhi e al cuore. Ora, illumina� come Bar�meo, possiamo diven-

tare discepoli. (Paolo Curtaz)

17 tipiche scuse per non andare a Messa17 tipiche scuse per non andare a Messa17 tipiche scuse per non andare a Messa17 tipiche scuse per non andare a Messa

4 ) La domenica è il mio unico giorno libero In questo caso chiederei parafrasando Pilato “Cos’è la libertà?” L’autentica liberazione nasce dall’a-

more, dal saperci amati e dal poter amare gli altri. “Solo chi è amato può amare. Solo chi è libero può liberare. Solo chi è puro può puri-ficare, e solo chi ha pace la può seminare”, diceva a ragione padre Ignacio Larrañaga. La seguente domanda logica sarebbe: “Chi mi può dare quell’amore, quella libertà, quella purezza, quella pace di cui ho biso-gno?” La risposta: Dio. Andare a Messa è in realtà l’attività liberatrice per eccel-lenza. È l’ora decisiva del nostro “giorno libero”, perché è il culmine e la fonte della nostra riconciliazione e della nostra libertà. Sì, perché “comunicarsi è vivere in Gesù e vivere di Gesù, come il tralcio sulla vite e dalla vite. Gesù unico princi-pio e causa di tutta la vita: della grazia, della luce, della forza, della fecondità, del-la felicità, dell’amore” (Sant’Alberto Hurtado).

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Il miracolo Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l'amore può fare meravi-glie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.

Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: "Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo".

La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.

Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista mera-vigliato, posò sul banco tutte le monete. "Per cos'è? Che cosa vuoi piccola?".

"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo". "Che cosa dici?" borbottò il farmacista.

"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c'è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo". Il farmacista accennò un sorriso triste. "Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".

"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".

C'era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall'aria molto seria, che sembrava interessato alla strana con-versazione.

Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L'uomo si avvicinò a lei. "Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".

"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa…. È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un'operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un mi-racolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho". "Quanto hai?".

"Un dollaro e undici centesimi…. Ma, sapete…." Aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa….".

L'uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici cen-tesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!". Con una

mano raccolse la piccola somma e con l'altra prese dolcemente la manina della bambina.

"Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".

Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.

Quell'uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il pic-colo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.

"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…".

La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesi-mi…. più, naturalmente l'amore e la fede di una bambina.

Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: "Spostati da qui a là e il monte si sposterà". Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).

Piccole storie Piccole storie Piccole storie Piccole storie per riflettereper riflettereper riflettereper riflettere

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HABCDE

CCFG HGIGJC A RCFEBA E KGJLGJG 5 MN L’CJC ?

In torno al 300 d.C. i soldati romani eressero sulla sponda del Danubio, a

Hinowa (prov. Mehedinti, nel sud-ovest della Romania), una piccola for tificazione che, dopo circa 1700 anni, fu indagata dagli archeologi. Essi constatarono con stupore che soltanto a un metro dalla fondazione della cinta romana si nascondeva un grande tesoro. Si trattava di bracciali, collane, un diadema, migliaia di va-ghi e di applicazioni per il vestiario, per un totale di circa 5 kg d’oro. I soldati romani si erano trovati davvero molto vicini a una scoperta sensazionale come questa, ma non ebbero fortuna! Cosa avrebbero pensato se avessero scoperto simili oggetti? Non possia-mo saperlo con certezza, sebbene anche gli au-tori antichi menzionano „scoperte archeologi-che” realizzate dai Romani. Essi credevano, per esempio, che gli utensili preistorici in pietra fossero la materializzazione del fulmine divino di Iuppiter, cioè che nel punto in cui si era abbattuto il fulmine era apparso un martello o un altro strumento in pietra. La stessa fortuna che ha voltato le spalle ai Romani ha arriso agli archeologi moderni, che hanno rivenuto il più ricco tesoro preistorico mai scoperto in Romania. Esso si data nell’Età del Ferro (Hallstatt). SUVBIGWUA IX YGJC KGZIACXABC L’CJC Gli Sciti, popolazione preistorica originaria del sud della Siberia, che fra il VII e il IV a.C. arrivò in Europa, stan-ziandosi prima nel nord del Mar Nero e poi in Transilvania e in Pannonia, conoscevano la favola del pesciolino d’oro? Chi non ha mai sentito delle ricche tombe a tumulo (kurgan) scite della Russia, nelle quali re e nobili sciti, ricoperti da gioielli d’oro, si facevano inumare insieme con le loro spose, i loro schiavi e cavalli, tutti uccisi in occasione della sepoltura del loro signore? Forse, proprio a un nobile scita appartenne il grande ornamento in oro, lungo circa mezzo metro su cui è rappresentata una creatura fantastica: un pesce con testa di cinghiale. Si tratta di un esemplare tipico della raffinatezza cui giunse l’arte scita nel IV a.C. Questo oggetto è arrivato a Stânceşti (prov. Botoşani, nel nord-est della Romania), in una delle for tezze dei Traco-Geti, forse come bottino di guerra. PCUEAZZE UBE KJABIAKGZZE NGKALE LGXXE TJEBZAXYEBAE Intorno al 500 d.C., l’accampamento della legione V Macedonica di Potaissa (oggi Turda, nel-

GLI ORIGLI ORIGLI ORIGLI ORI

DI ROMANIADI ROMANIADI ROMANIADI ROMANIA

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la Transilvania centrale) giaceva in parte in rovina, essendo stato abbandonanto fin dal tempo dell’imperatore Aureliano (270 – 275). Fra gli edifici semidistrutti si stabilirono i Gepidi, gente di origine gotica. Le antiche terme del castro, edificio imponente, erano ancora in piedi e furono forse rifunzionalizzate nel „palazzo” di un capo gepida, così come accadde anche nelle altre città dell’Impero roma-no dove, nel V a.C., giunsero i Barbari germanici. Qui, nelle antiche terme del campo legionario, fu seppellita, alla fine del V d.C. o all’inizio del VI, una nobile gepida. Questa fu abbigliata con un cami-cione o lunga veste di lino, ricamata con perle di vetro all’altezza del busto. La veste terminava, sul davanti, con un laccio da cui pendevano grandi perle d’ambra e su di essa c’era un „peplo” di lana, trattenuto sugli omeri con due grandi fibule (lunghe 25 cm) d’argento. In vita indossava una cinta con una fibbia in oro argento e pietre semipreziose (almandina, una specie di granato). A questa cinta erano appesi uno specchio di metallo e un pettine in osso. Alle orecchie portava orecchini d’oro con almandina. Delle calzatu-re si sono conservate soltanto le fibbie d’argento. Il corpo fu poi coperto con una sindone di lino e deposto in una fossa angusta, proprio nelle antiche latrine delle terme ... La donna visse

circa 35-45 anni, era di piccola statura e, dicono gli antropologi, aveva parto-rito molte volte. Chi era questa donna? Sulla base dei gioielli che la adornavano da morta e che ammontano a circa 700 gr. d’argento e quasi 30 d’oro, dobbiamo consi-derarla una nobile. Forse era una „parente povera” dei re germanici sepolti ad Apahida, a 40 km da Potaissa. Nelle loro tombe gli oggetti d’oro erano molto più consistenti. Potremmo anche paragonare la principessa di Potaissa ad un personaggio storico: Arnegunda, la moglie del re franco Clotario I e nuora di Clodoveo, che morì intorno al 565-570. Nella sua tomba di Saint-Denis sono state rin-venute due fibule, orecchini, una fibbia, tre aghi e un anello, pari a 400 gr. di argento e 120 di oro. I „Barbari”, infatti, erano, così come riporta Ammiano Marcellino a proposito degli Unni, „accesi da una sconfinata avidità per l’oro”... GGJFAZEJE A GGJFAZEJE ICFG E FCBUEBE LA TJGYA

I Romani allestirono a Germisara (oggi Geoagiu, prov. Hunedoara, nel sud della Transilvania) le fonti terma-li, erigendo un complesso termale, caratterizzato da quattro bacini scavati nella roccia, con canali di scolo, spazi sacri etc. Le fonti con proprietà terapeutiche erano poste sotto la protezione delle Ninfe, come attestano le offerte qui deposte. Nella sabbia del fondo di uno dei bacini sono state rinvenute circa 600 monete, lan-ciate dai visitatori. Speravano, probabilmente, di ritornare ... Sempre qui, sul fondo di un altro bacino, sono state rinvenute 8 placchette votive in oro, dedicate alle Ninfe e a Diana. In tutto l’Impero romano sono noti, finora, alcune diecine di tali scoperte in oro e in argento, simili a

queste offerte. L’insieme di questi otto oggetti d’oro di Ger-misara è fra i più ricchi del mondo romano.

CONTINUA

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C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo A. Amen C. La grazia del Signore no-stro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spi-rito Santo siano con tutti voi. A. E con il tuo spirito. C. Fratelli e sorelle, per celebra-re degnamente i santi misteri, ri-conosciamo i nostri peccati.

Breve pausa di riflessione

C.A. CONFESSO a Dio onnipoten-te e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia col-pa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sem-pre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro. Signore, pietà. Signore, pietà. Cristo, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà. Signore, pietà. C. Dio Onnipotente abbia mi-sericordia di voi, perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eter-na. A. Amen. GLORIA A DIO NELL’ALTO CIELI e pace in terra agli uomi-ni di buona volontà. Noi ti lodia-mo, ti benediciamo, ti adoria-mo, ti glorifichiamo, ti rendia-mo grazie per la tua gloria im-mensa, Signore Dio, Re del cie-lo, Dio Padre onnipotente. Si-gnore Figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre, tu che to-gli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i pecca-ti del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla de-stra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Ge-sù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen.

COLLETTA C. O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unige-nito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell'oppressione e nel pianto, ascolta il grido della

nostra preghiera: fa' che tutti gli uomini riconoscano in lui la tene-rezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e re-gna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Dal libro del Profeta Geremia Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esul-tate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li ricondu-co dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ri-torneranno qui in gran folla. Era-no partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una stra-da dritta in cui non inciamperan-no, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primoge-nito». Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio.

SALMO RESPONSORIALE R. Grandi cose ha fatto il Si gnore per noi. Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di so-gnare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. R/. Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. R/. Ristabilisci, Signore, la no-stra sorte, come i torrenti del Ne-gheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. R/. Nell’andare, se ne va pian-gendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni. R/.

Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini vie-ne costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compas-

sione per quelli che sono nell’i-gnoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chia-mato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sa-cerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho gene-rato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdo-te per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek». . Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio

Canto al Vangelo R. Alleluia, alleluia. Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo. Alleluia. C. Il Signore sia con Voi A. E con il tuo spirito C.Dal vangelo secondo Marco A. Gloria a te o Signore. + In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendica-re. Sentendo che era Gesù Naza-reno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pie-tà di me!». Molti lo rimproverava-no perché tacesse, ma egli grida-va ancora più forte: «Figlio di Da-vide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli dis-se: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo segui-va lungo la strada. Parola del Si-gnore. A. Lode a te o Cristo OMELIA (seduti) Credo in un solo Dio, Padre on-nipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visi-bili e invisibili. Credo in un so-

LITURGIA EUCARISTICA

LETTURE: Ger 31,7-9 Sal 125 Eb 5,1-6 Mc 10,46-52

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lo Signore, Gesù Cristo, unige-nito Figlio di Dio, nato dal Pa-dre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra sal-vezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergi-ne Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il ter-zo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signo-re e dà la vita, e procede dal Pa-dre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei pro-feti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdo-no dei peccati. Aspetto la risur-rezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. PREGHIERA DEI FEDELI

C. Come il cieco di Gerico, an-che noi gridiamo a Gesù la nostra fede, per ottenere da lui miseri-cordia e perdono. E ci facciamo voce delle tante persone che non sanno o non vogliono più rivol-gersi al Signore, chiedendo per loro il dono della fede. Preghiamo insieme e diciamo: Figlio di Davide, abbi pietà di noi. 1. Per la Chiesa: non impe-disca come la folla di Gerico di avvicinarsi a Gesù, ma faccia ri-suonare davanti a lui le grida dei poveri, degli ammalati, di coloro che sono in difficoltà, preghia-mo. 2. Per gli ammalati: perché non siano costretti a vivere in soli-tudine e nella tristezza, e trovino in Gesù conforto, luce per dare senso alla propria esistenza e speranza nella risurrezione, pre-ghiamo. 3. Per tutti i credenti: risco-prano il senso profondo della li-berazione e della salvezza donata da Gesù e siano testimoni autenti-ci della fede, preghiamo. 4. Per la nostra comunità, che ha ricevuto la grazia della fe-de e cammina seguendo il Signo-re Gesù: cresca nella capacità di contemplare la bellezza del dono

ricevuto e di adorarlo nella vita quotidiana, preghiamo. C. O Padre, aiutaci a ritrovare in Gesù il senso festoso della vita, perché è il pensiero di cammina-re sulla sua strada l'unica certezza che ci da gioia profonda e illumi-na la nostra esistenza. Per Cristo nostro Signore. . A. Amen LITURGIA EUCARISTICA C. Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci dispo-niamo a offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente. A. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chie-sa. (in piedi)

SULLE OFFERTE C. Guarda, Signore, i doni che ti presentiamo: quest'offerta, espressione del nostro servizio sacerdotale, salga fino a te e ren-da gloria al tuo nome. Per Cristo nostro Signore. A. Amen. PREGHIERA EUCARISTICA

C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. C. In alto i nostri cuori. A. Sono rivolti al Signore. C. Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. A. È’ cosa buona e giusta. C. È veramente giusto bene-dirti e ringraziarti, Padre santo, sorgente della verità e della vita perché in questo giorno di festa ci hai convocato nella tua casa. Oggi la tua famiglia, riunita nell'ascolto della parola e nella comunione dell'unico pane spezzato fa me-moria del Signore risorto nell'at-tesa della domenica senza tra-monto, quando l'umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e loderemo senza fine la tua misericordia. Con questa gioiosa speranza, uni-ti agli angeli e ai santi, proclamia-mo a una sola voce l'inno della tua gloria: Santo, Santo, Santo…... DOPO LA CONSACRAZIONE C. Mistero della fede A. Annunciamo la tua morte, Si-gnore, proclamiamo la tua risurre-zione nell’attesa della tua venuta.. DOPO LA PREGHIERA EUCARISTICA C. Per Cristo, con Cristo e in Cri-sto, a te Dio, Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen

A. P A D R E NO S T R O Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, ven-ga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i no-stri debiti come noi li rimettia-mo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma libe-raci dal male. Amen. C. Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua mi-sericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni tur-bamento, nell'attesa che si com-pia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. A. Tuo è il regno, tua la poten-za e la gloria nei secoli

R ITO DELLA PACE C. Signore Gesu’ che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli A. Amen C. La pace del Signore sia sem-pre con voi. A. E con il tuo spirito. C. Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna. A. Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.(2 VOLTE) Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. C. Beati gli invitati alla cena del Signore Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. A. O Signore, non sono de-gno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una pa-rola e io sarò salvato. DOPO LA COMUNIONE

C Signore, questo sacramento della nostra fede compia in noi ciò che esprime e ci ottenga il possesso delle realtà eterne, che ora celebriamo nel mistero. Per Cristo nostro Signore. A. Amen. C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. C. Vi benedica Dio onnipoten-te, Padre, Figlio e Spirito Santo. A. Amen. C. Nel nome del Signore: anda te in pace. A. Rendiamo grazie a Dio

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B������: Preasfantul Mantuitor (Biserica italiana), Domenica ore 11:15; Adresa: b-dul. Nicolae Balce-scu, nr. 28, sector 1, Bucureşti tel./fax: 021-314.18.57, don Roberto Po-limeni, Tel:0770953530 mail: [email protected]; [email protected]; Tel 0040 756066967. Trasmessa in diretta su www.telestartv.ro Sabato, prefestiva alle ore 18,00 a: Centrul "Don Orione", Sos. Eroilor 123-124 Voluntari.

*°* I��+: Cattedrale "vecchia" Iaşi - Adormirea Maicii Domnului Bd. Stefan cel Mare, 26, Iasi: I-II-III Domenica del mese ore 11,00-IV Domenica ore 10,30 Monastero S. Luigi Orione –Iasi,

Don Alessandro Lembo Tel 0749469169 Mail: [email protected] Trasmessa in diretta su: http://www.ercis.ro/video/iasi.asp

*°* C9:;: Chiesa romano-cattolica dei Piari-sti. Strada Universitatii nr. 5, conosciuta anche come „Biserica Universitatii” din Cluj-Napoca. Don Veres Stelian, tel 0745 386527

Mail: [email protected] Domenica alle ore 12,00

*°* A9@A I:9BA: Domenica ore 11:00 nella Chie-sa di Sant'Antonio-Piata Maniu Iuliu nr. 15. Don Horvath Istvan , tel 0745 020262

*°* TBDBEFAGA: Chiesa Sfanta Fecioara Maria Regi-na Timisoara II (Fabric). Str Stefan Cel Mare 19. Domenica ore 18:00. Don Janos Kapor Tel 0788 811266 Mail:[email protected]

Nati in questo giorno: Trilussa data di nascita: giovedì 26 ottobre 1871 (144 anni fa) data morte: giovedì 21 dicembre 1950 (65 anni fa)

D ella sua natia Roma è stato per oltre mezzo secolo il principale cantore in versi. Registrato all'anagrafe come Carlo Alberto Salustri, si affermò come poeta uti-

lizzando come nome d'arte l'anagramma del suo cognome: Trilussa. Se Gioacchino Belli aveva elevato a dignità letteraria il romanesco popolare della prima metà dell'Ottocento, lui optò per il dialetto borghese, più vicino all'italiano ed

espressione appunto della classe bor-ghese. Politici, gerarchi fascisti, lettera-ti e tutti gli altri protagonisti della cro-naca di quei tempi finirono nel mirino della sua sferzante ironia, espressa sot-to forma di favola moraleggiante alla maniera di Esopo. Celebre la teoria dei due polli, contenuta nella poesia "La Statistica", con cui svela l'ingannevole utilizzo delle stati-stiche, per fini politici, e che tutt'oggi conserva la sua validità. In pratica: se una persona mangia due polli e un'altra nessuno, secondo la media risulta che entrambi ne hanno mangiato uno. Scomparve nella sua amata città il 21 dicembre del 1950, venti giorni dopo aver ricevuto la nomina a senatore a vita dal presidente Einaudi. Molte delle sue poesie hanno ispi-rato artisti famosi, tra cui Baglioni e Jovanotti, e finanche un pontefi-ce, Giovanni

Paolo I, che lesse "La fede" nel corso di un'u-dienza.

I SANTI DELLA

SETTIMANA

DOM.25DOM.25DOM.25DOM.25 Beato Carlo GnocchiBeato Carlo GnocchiBeato Carlo GnocchiBeato Carlo Gnocchi

LUN. 26LUN. 26LUN. 26LUN. 26 S. FolcoS. FolcoS. FolcoS. Folco

MART.27MART.27MART.27MART.27 S. Evaristo, PapaS. Evaristo, PapaS. Evaristo, PapaS. Evaristo, Papa

MERC.28MERC.28MERC.28MERC.28 S. Simone e Giuda, apostoliS. Simone e Giuda, apostoliS. Simone e Giuda, apostoliS. Simone e Giuda, apostoli

GIOV.29GIOV.29GIOV.29GIOV.29 S. ErmelindaS. ErmelindaS. ErmelindaS. Ermelinda

VEN.30 VEN.30 VEN.30 VEN.30 S. GerardoS. GerardoS. GerardoS. Gerardo

SAB. 31SAB. 31SAB. 31SAB. 31 S. QuintinoS. QuintinoS. QuintinoS. Quintino

La Fede Quella vecchietta cieca, che incontrai la notte che me spersi in mezzo ar bo-

sco, me disse: - Se la strada nun la sai,

te ciaccompagno io, ché la conosco. Se ciai la forza de venimme appresso,

de tanto in tanto te darò 'na voce, fino là in fonno, dove c'è un cipresso,

fino là in cima, dove c'è la Croce... Io risposi: - Sarà ... ma trovo strano

che me possa guidà chi nun ce vede... - La cieca allora me pijò la mano

e sospirò: - Cammina! - Era la Fede.