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In copertina. Suggestiva immagine del paesaggio salentino, ripreso da un complesso di antiche dimore rurali ubicate sulla Serra di Pozzo Mauro (132 m s.l.m.), in agro di Presicce in provincia di Lecce (Foto Urso). In quarta di copertina. Il Salento, impresso in una tavolozza dove predomina l'azzurro del cielo, adagiato su di un mare cristallino solcato a volte da pennellate di bianco spumeggiante, caratterizzato dal colore rosso della sua terra attraversata dalle linee irregolari dei muretti a secco, punteggiato dal verde delle pinete, dei boschi secolari di olivi maestosi e delle distese di vigneti e dai grigi delle torri, dei trulli e delle masserie, accarezzato dalla melodia diffusa dal vento, impreziosito dal barocco delle chiese e dei palazzi, con sforzi immani cerca di uscire dall'isolamento, proponendosi nel mondo, oltre che per le sue bellezze paesaggistiche e il patrimonio storico-culturale, anche per 1'alta qualità dei prodotti. "Separato da un profondo divario dalle regioni europee più evolute, può sicuramente svolgere una funzione determinante nell'ambito di un'avanzata politica ambientale e socioeconomica, mirata al contenimento dell'abusivismo edilizio, salvaguardia e valorizzazione delle risorse, incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, diffusione della raccolta differenziata dei rifiuti, sensibilizzazione delle coscienze in difesa degli habitat e, infine, costruzione di una mentalità cosmopolita aperta alla solidarietà, cooperazione e rispetto dell'altro". Adele Quaranta è Ricercatrice di Geografia economico-politica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell‟Università del Salento. Ha pubblicato numerosi contributi scientifici, incentrati su tematiche ampiamente diversificate (si rinvia al sito: www.associazioneculturalegecos.it)

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In copertina. Suggestiva immagine del paesaggio salentino, ripreso da un complesso di antiche dimore rurali ubicate sulla

Serra di Pozzo Mauro (132 m s.l.m.), in agro di Presicce in provincia di Lecce (Foto Urso).

In quarta di copertina. Il Salento, impresso in una tavolozza dove predomina l'azzurro del cielo, adagiato su di un mare

cristallino solcato a volte da pennellate di bianco spumeggiante, caratterizzato dal colore rosso della sua terra attraversata

dalle linee irregolari dei muretti a secco, punteggiato dal verde delle pinete, dei boschi secolari di olivi maestosi e delle

distese di vigneti e dai grigi delle torri, dei trulli e delle masserie, accarezzato dalla melodia diffusa dal vento, impreziosito

dal barocco delle chiese e dei palazzi, con sforzi immani cerca di uscire dall'isolamento, proponendosi nel mondo, oltre che

per le sue bellezze paesaggistiche e il patrimonio storico-culturale, anche per 1'alta qualità dei prodotti.

"Separato da un profondo divario dalle regioni europee più evolute, può sicuramente svolgere una funzione determinante

nell'ambito di un'avanzata politica ambientale e socioeconomica, mirata al contenimento dell'abusivismo edilizio,

salvaguardia e valorizzazione delle risorse, incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, diffusione della

raccolta differenziata dei rifiuti, sensibilizzazione delle coscienze in difesa degli habitat e, infine, costruzione di una

mentalità cosmopolita aperta alla solidarietà, cooperazione e rispetto dell'altro".

Adele Quaranta è Ricercatrice di

Geografia economico-politica presso la

Facoltà di Lingue e Letterature Straniere

dell‟Università del Salento. Ha

pubblicato numerosi contributi

scientifici, incentrati su tematiche

ampiamente diversificate (si rinvia al

sito: www.associazioneculturalegecos.it)

QUARANTA A., 2004, Il Salento tra identità e specificità territoriali, Argo, Lecce.

Ai miei nipoti,

affinché le eredità della società contadina,

divengano strumenti di riflessione per proiettarsi nel futuro.

“Si possono percorrere

milioni di chilometri in una sola vita

senza mai scalfire la superficie dei luoghi

né imparare nulla dalle genti appena sfiorate.

… Viaggiare con occhi sgranati sulle meraviglie altrui è inutile,

quando l’anima resta chiusa nella cassaforte di casa”.

Pino Cacucci

Nel saggio Il Salento tra identità e specificità territoriali vengono analizzati oltre al profilo geografico

della Penisola Salentina, caratterizzato dal predominio del carsismo e dalla siccità – fattori che

condizionano da sempre l‟organizzazione economica e le forme dell‟insediamento rurale, in particolare

quelle dell‟edificato abitativo (trulli, case a corte, masserie, muretti a secco, ecc.) e produttivo (frantoi,

palmenti, fornaci di calce, ecc.) –, anche gli ordinamenti colturali (dalla “triade mediterranea” alle

innovative, dall‟utilizzo di energia eolica e fotovoltaica ai recenti progetti di ricerca industriale, senza

trascurare la laboriosità espressa, nel corso dei secoli, da uomini semplici e instancabili, che manifestano

la loro interiorità attingendo alla bellezza del paesaggio di questo estremo lembo dell‟Italia meridionale.

Per questo motivo, il recupero del passato – come viene messo in evidenza dalle foto realizzare da Adele

Quaranta e pubblicate nel libro – va incoraggiato allo scopo di proteggere gli ambienti originari dal

processo distruttivo innescato dai nuovi generi di vita, dalla globalizzazione del mercato, dal progresso e

dalla tecnologia, di riscoprire radici e spiritualità proprie e di salvare dal totale abbandono un prezioso

mondo testimone di attività e azioni umane millenarie. Rivitalizzare antiche abitazioni, frantoi e palmenti

attraverso l‟attivazione di circuiti museali, così come creare itinerari orientati alla fruizione di beni

architettonici e paesaggistici, può costituire il volano ideale per un turismo esteso all‟intero arco

dell‟anno e un buon investimento sia per le generazioni di oggi che per quelle di domani.

Introduzione di Cosimo Damiano Fonseca

La subregione del Salento con i suoi caratteri originari tipici ed emblematici ha costituito da sempre una

opima risorsa per lo studio delle tematiche geografico-culturali colte nel loro contesto territoriale sul

quale si proiettano plurimillenarie forme di organizzazione socio-economico, politico-culturale e

insediativa.

Geografia e storia assumono così robuste e salde interrelazioni per verificare le trasformazioni

territoriali, i fenomeni di accelerazione e di regressione, i processi evolutivi e le fasi stagnanti prodottesi

nell‟arco di differenti stagioni ad opera dell‟uomo.

Del resto Arnold Joseph Toynbee sosteneva, rifuggendo dalle teorie deterministiche di Oswald

Spengler, che le civiltà nascono da una “sfida” – continuamente rinnovata – lanciata da un gruppo di

individui contro le provocazioni dell‟ambiente, si sviluppano fino a identificarsi con il proprio sfidante

(cioè con l‟ambiente stesso) e falliscono, arrivando al suicidio, quando, esaurita l‟iniziale

autodeterminazione, la competizione rimane senza risposta.

E‟ pur vero che, nella visione di questo filosofo inglese della storia, l‟ambiente assume molteplici

connotazioni, ma entro il suo orizzonte convergono sia elementi strutturali che fattori di altra natura

ponendo al centro la capacità degli esseri umani d‟intervenire sulla gestione del territorio.

Questo legame epistemologico e metodologico fra le due discipline, rispettivamente del tempo e

dello spazio – maggiore sensibilità della geografia ai processi diacronici che hanno per protagonista

l„uomo e crescente interesse della storia al paesaggio entro cui si realizza l‟interazione tra natura e

cultura, come ha sostenuto a più riprese Domenico Novembre durante il suo magistero leccese –, nonché

l‟interdipendenza dei modelli storici con i processi socioculturali (cui va aggiunta la convinzione che la

geografia non è solo scienza dei luoghi ma degli uomini e che nessun intervento di carattere operativo

può essere intrapreso senza una preventiva lettura, analisi e interpretazione della “costruzione”

territoriale), hanno costituito, pertanto, la pista entro la quale si sono inserite numerose e arricchenti

esperienze scientifiche, non ultima quella relativa al “popolamento rupestre” in Terra d‟Otranto

espressivo, come aveva rilevato lo stesso Novembre, di area culturale (secondo l‟ipotesi della “civiltà

rupestre”) e di “campo” sociale e di “campo” culturale rapportati al disegno e alle vicende dell‟habitat.

Da questo retroterra storiografico e da una consuetudine di comune lavoro con i geografi scaturisce

l‟interesse per questo volume che, in una prospettiva multidisciplinare – non ultima quella della

utilizzazione corretta del corredo iconografico realizzato dall‟Autrice e considerato non come

“ornamento” quanto come indispensabile supporto al testo – mira a fornire innanzitutto ai cultori di

materie geografiche e antropogeografiche, ma anche agli operatori del territorio sia a livello decisionale e

politico, sia a livello economico e sociale, sia livello di strumento tecnico di rilevazione e di analisi,

informazioni e immagini su alcuni aspetti dell‟edilizia rurale nell‟intimo e includibile rapporto con le

complesse vicende antropiche e fisico-ambientali.

Non è certamente sottesi all‟orizzonte culturale dell‟Autrice l‟impegno per la salvaguardia e la

tutela di questo singolare patrimonio e la preoccupazione di indirizzare un messaggio didattico-

pedagogico inteso come esercizio di riappropriazione della memoria, anche se prevale su tutto l‟interesse

per una comprensione corretta del fenomeno attraverso una pluralità di risposte guadagnate attraverso

metodi di rilevamento, elaborazioni cartografiche, riferimenti documentari precisi e minuziosi.

E ciò che colpisce ancora di più, scorrendo le pagine di questo volume è l‟impellente urgenza di

articolare competenze e di collaborazione con le istituzione per il recupero dei manufatti rurali –

testimonianze uniche e preziose della memoria della Terra Salentina – la messa in cantiere di nuove

iniziative e, in particolare, l‟adozione di strumenti di intervento che garantiscano il superamento degli

squilibri strutturali e inneschino un modello di sviluppo, dove i settori economici interagiscano

armonicamente tra di loro e con il mondo esterno, in nome non solo della rinascita del primario e del

recupero del rapporto città-campagna, ma anche del contenimento dell‟esodo rurale e della crisi

dell‟economia agricola.

Questa subregione ha attratto l‟attenzione della geografa – proiettata nella sua quotidiana avventura

spaziale (“mito di Icaro e Ulisse”) – per studiare le vicende del popolamento e le trasformazioni del

paesaggio (fissate spesso attraverso le documentazioni iconografiche), per comparare i fenomeni visibili,

per cogliere i mutamenti antropologico-culturali (non escluse le interazioni esistenti fra loro) e,

soprattutto, per penetrare in un “passato” che, sebbene così lontano, risulta, ancora oggi, fortemente

impresso nel tessuto sociale e culturale locale e, malgrado le istanze, la volontà di miglioramento e

l‟evoluzione degli usi, costumi e ritmi di vita, è tanto vivo e attuale da evidenziare le sue significative

specificità, creatività e identità, le quali, potranno essere opportunamente valorizzate nell‟interesse delle

comunità locali.

Gli argomenti trattati vengono inseriti dall‟Autrice – con scelte autonome e coerenti alle idee che

contraddistinguono il suo operato, umano e professionale – nell‟ambito di una fitta rete di relazioni

dinamiche fra storia, cultura e territorio, la cui analisi potrebbe sembrare, a volte, non esauriente sia per

la lacunosità delle fonti, sia per la complessità dei fenomeni strettamente collegati fra loro (peraltro

oggetto di numerose discipline), che ne rendono difficile l‟ approfondimento in un volume di sintesi

come questo, rivolto al raggiungimento di ben altri obiettivi e finalizzato, secondo una valenza

prospettica e propositiva, alla conoscenza delle componenti territoriali, attraverso l‟ottica e il metodo

d‟indagine della ricerca geografica, dove lo studio diretto del territorio – come ben chiaro emerge dai

puntuali riferimenti ai luoghi – è ovviamente essenziale.

Il saggio nasce dalla passione fotografica dell‟Autrice e dall‟abitudine di fissare oggetti, forme e

fenomeni anche geografici (armonicamente inseriti nel contesto territoriale) nel loro aspetto statico, poi

osservati nel loro divenire attraverso la distribuzione spaziale, la connessione e l‟associazione – le

influenze e le interdipendenze sono state ricercate anche in rapporto con le altre scienze (meteorologia,

archeologia, economia, statistica, geologia, urbanistica, botanica, sociologia, ecc.) – per approfondire e

meglio comprendere l‟azione esercitata sugli uomini, sui componenti plastici, idrografici, vegetali, edilizi

e sui fattori determinanti geodinamici, climatici, economici, sociali e biologici del paesaggio. Là dove

non è stato possibile consultare la relativa documentazione storico-cartografica, i dati statistici ufficiali

comparabili, le fonti e i documenti attendibili (almeno sino alla metà del secolo XV), i Catasti onciari

esaustivi, Adele Quaranta ha concesso largo spazio all‟intuizione e all‟ispirazione, pervenendo ad

apprezzabili e suggestive conclusioni.

In definitiva, l‟analisi sulla complessa realtà fisica ed antropica del Salento, considerata in una

prospettiva diacronica (e non solo nell‟interpretazione sincronica), insieme con l‟indagine sul terreno, da

un lato, ha favorito l‟individuazione dei condizionamenti (naturali e culturali, non escluso quello

tecnologico, che s‟inseriscono nel rapporto uomo-ambiente) e dei tipi di interventi (a volte discutibili) e,

dall‟altro, ha delineato una visione integrale dei problemi di questo contesto spaziale (una delle esigenze

primarie della geografia), pervenendo ad una lettura originale del paesaggio, rimanendo alquanto lontana

da una funzione celebrativa, in quanto gli obiettivi operativi e propositivi dell‟Autrice esprimono il

desiderio di mettere a frutto le esperienze maturate.

L‟ampio corredo grafico e iconografico, l‟utilizzazione di termini dialettali seguiti da una sintetica

definizione in lingua italiana e il nutrito apparato delle note – arricchite anche con frequenti

puntualizzazioni di carattere geostorico, socioeconomico ed etico-politico – rendono, infine, il lavoro di

grande interesse e di appagante lettura.

Castello di Lagopesole, settembre 2004

Cosimo Damiano Fonseca

DIRETTORE DELL‟ISTITUTO INTERNAZIONALE

DI STUDI FEDERICIANI

Premessa di Adele Quaranta

Il Salento, crocevia di genti e di culture diverse, è stato tormentato, per lunghi secoli, da guerre,

pestilenze, carestie, incursioni e malgoverno dei feudatari locali (nobili, ecclesiastici e grandi ufficiali), i

quali, abituati al lusso, agli agi e allo sperpero di risorse finanziarie, hanno vessato e sfruttato con

determinazione le classi subalterne, represso i loro slanci rivolti ad elevare la condizione di vita,

impedendo sia la realizzazione di iniziative autonome, sia la conquista di una certa indipendenza. Nel

quadro di una esistenza di miserie e di incertezze, la campagna – nella sua diversità territoriale e

ambientale, ora paludosa e malarica, ora rocciosa, arida e priva di acque superficiali –, caratterizzata dal

predominio della pastorizia, affiancata dalle colture estensive e da quelle introdotte da monaci e civili

orientali (carrubi, fichi, gelsi, aranci, limoni, mandarini, piante leguminose, ecc.), ha rappresentato la

principale fonte di sostentamento e di serenità nei secoli bui prima del Mille, in grado di cementare

affetti e legami di parentela e conservare tradizioni, istituzioni, usi e costumi dei gruppi etnici

(longobardi, latini, greci, arabi, slavi, ebrei, ecc.), i quali, integratisi con gli indigeni, hanno determinato

la stratificazione e la fusione di un‟ampia gamma di elementi (politici, culturali, insediativi ed

economico-demografici originali), le cui tracce sono ancora impresse sul territorio.

Per questo motivo, ogni manifestazione dell‟attività umana e soprattutto le vicende relative al

popolamento, non possono essere validamente interpretate senza la conoscenza della realtà storico-

geografica, socio-culturale ed economica da cui derivano. L‟intenso processo di interazione tra

popolazione/territorio e soddisfacimento dei bisogni/sfruttamento delle risorse, emerge soprattutto

dall‟analisi della dinamica evidenziata dai componenti e dai determinanti del paesaggio, che esprimono il

processo di umanizzazione e l‟organizzazione dello spazio, in cui l‟uomo s‟insedia definendolo – grazie

all'abbondanza di materiale litologico – con l‟innalzamento di muri divisori tra le varie unità particellari,

allestendo depositi e dimore (trulli, caseddhre, case a corte e masserie), utilizzando con razionalità e

ingegno le esigue riserve idriche (captate e conservate nei modi più disparati) e le materie prime per

ricavare numerosi attrezzi agricoli dal legno (torchi, aratri, forconi, porte, cavalletti, treppiedi, ecc.), dal

giunco (panieri, contenitori in genere, ecc.), dalla pietra (abbeveratoi, macine, panche, sedili, ecc.) e

dall‟argilla.

L‟edilizia e la cultura rurali esaminate evidenziano, pertanto, una società genuina, industriosa e

dotata, pur nella elementarità di costumi e tecnologie, di fine intuito, di grande saggezza, di infinito

spirito di sacrificio e di notevoli capacità di adattamento all‟ambiente naturale di questo estremo lembo

della Puglia, ancora oggi in grado di legare fortemente il contadino, il quale, conquistate le terre

coltivabili – “strappate alle paludi, alle pietre, ai boschi e al disimpegno del latifondo” – ed

assoggettatele sapientemente alle proprie esigenze, incide, anche se in maniera lenta e graduale, sullo

sfruttamento e utilizzazione delle risorse disponibili e sulla rete viaria, accoglie le ultime riforme di

politica agricola dell‟Unione Europea e le più sofisticate innovazioni tecnologiche, fino ad usufruire del

sistema d‟informazione multimediale, dove può consultare la legislazione (regionale, nazionale e

comunitaria) relativa alla qualità e sicurezza dei prodotti agroalimentari, modalità di accesso alle

agevolazioni, ecc.), documentarsi sulle notizie più strettamente tecniche, inerenti alle coltivazioni,

allevamenti, lavorazione e commercializzazione dei prodotti, difesa delle colture, gestione e

organizzazione aziendale e aggiornarsi sulle località turistiche, piatti tipici, ricorrenze religiose,

tradizioni locali, ecc.

Il paesaggio agrario del Salento, nel corso dell'ultimo trentennio, subisce una profonda

trasformazione lungo la fascia costiera e nelle aree interne in cui, grazie all'irrigazione, gli ordinamenti

colturali tradizionali (impostati sulla "triade mediterranea") vengono integrati – almeno in parte – con le

ortoflorofrutticole, che garantiscono redditi più elevati e l‟attiva presenza del contadino nelle campagne

in un periodo dominato dall‟esodo rurale, presenza che risulta nettamente diversa da quella nazionale e,

in parte, anche dalla pugliese. Il cambiamento del ruolo sociale e professionale degli addetti agricoli

ancora attivi, l‟apertura alle pratiche agrarie, lo sviluppo tecnologico e commerciale e, in generale, il

riordino agrofondiario (che genera anche la proliferazione delle micro e medio-piccole aziende),

favoriscono, infatti, la valorizzazione del territorio circostante, generano l‟incremento demografico e

svolgono un ruolo rilevante ai fini del miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie.

Questo lavoro, perciò, nel cogliere sia i rapporti uomo/ambiente e condizionamenti fisici ed

umani, sia il “peso” degli elementi storici stratificatisi nel tempo, si propone di analizzare le conseguenze

prodotte dal processo di antropizzazione sulla struttura insediativa rurale e sul tessuto edilizio – come

testimoniano le fonti documentarie (iconografico-cartografiche, bibliografico-statistiche, storiche,

socioeconomiche, ecc.) allegate – viste da molteplici ottiche, tutte riferibili alle complesse interrelazioni

territorio/risorse e razionale utilizzo delle stesse (dal riuso degli antichi manufatti al recupero delle

tradizioni, dal nuovo impiego dello spazio agricolo scaturito dalla disponibilità di acqua allo

sfruttamento delle potenzialità turistiche, dalla valorizzazione del patrimonio culturale alla diffusione dei

prodotti tipici, ecc.).

Il “mutamento” è colto non solo attraverso la lettura e l'interpretazione della Carta Topografica

d'Italia (scale 1:25.000 e 1:50.000), Carta Geologica d‟Italia (1:100.000), documentazione bibliografica,

catastale (scale 1:1.000, 1:2.000 e 1:4.000) ed aerofotogrammetrica (1:10.000), ma altresì mediante

l'analisi dei dati censuari dell'Istituto Nazionale di Statistica, le interviste presso amministrazioni

pubbliche e organizzazioni di categoria – Ispettorati e Consorzi agrari, Assessorato provinciale alla

formazione e all‟agricoltura, Associazioni di produttori, ecc. – e, soprattutto, la raccolta di foto

particolarmente significative, di cui si allega un campione. Il documento fotografico – assai utile, nella

fase di riflessione in classe, come sottolineano molti insigni geografi, al dibattito su quanto si è osservato

sul campo – riproducendo il territorio in maniera spesso suggestiva, fornisce informazioni che senz'altro

esaltano le incomparabili bellezze paesaggistiche e completano le articolate realtà economiche ed umane

(destinate, in caso contrario, a restare note a pochi o custodite nei ricordi delle vecchie generazioni), oltre

ad offrire l'opportunità di attivare, con la riproduzione delle testimonianze tipiche di un periodo storico

ben preciso, il processo di collegamento analogico e il confronto stridente fra passato e presente,

indispensabile ai fini delle scelte future (come emerso anche nella giornata di studi Ciclopi e Sirene.

Geografia del contatto culturale – Cefalù, 20 settembre 2002 – in memoria di Costantino Caldo). I nuovi

ordinamenti colturali (kiwi, mais, ortive pregiate, ecc.) e il massiccio ricorso alla pratiche irrigue, ad

esempio, se da un lato garantiscono cospicui guadagni ed elevate rese unitarie, dall‟altro determinano la

scomparsa di migliaia di sementi (selezionate nel corso dei secoli) e l‟utilizzazione di quelle ad elevate

esigenze idriche, insediate, fra l‟altro, in aree semiaride nelle quali, a volte, anche l‟irrigazione di

soccorso in favore dell‟olivo e della vite si trasforma in pratica costante per accrescere la produzione.

Queste contraddizioni sono emerse nelle conferenze che hanno animano il dibattito sull‟ “oro blu”

– tematica peraltro collegata a quella del clima – in occasione dell‟ “Anno Internazionale dell‟Acqua”. Si

ricordano, in particolare, il secondo vertice dell‟ASEM Ambiente (Lecce, 11-14 ottobre 2003) sui

problemi della salvaguardia ambientale (sviluppo sostenibile, tutela delle biodiversità, cambiamenti

climatici, impiego di energie rinnovabili, ecc.) e sulle relazioni commerciali fra Unione europea e dieci

Paesi asiatici; il convegno internazionale Geografie dell’acqua. La gestione di una risorsa fondamentale

per la costruzione del territorio (Rieti, 5-7 dicembre 2003), in cui vengono avanzate diverse proposte

relative all‟utilizzazione di un bene destinato a diventare sempre più scarso e a mettere a dura prova

l‟esistenza di tutte le forme di vita del pianeta, la IX Conferenza Internazionale sul Clima (Milano, 1-12

dicembre 2003) dove è stato rilevato che inquinamento, effetto serra, deforestazione, ecc., influiscono sul

ciclo delle risorse idriche e sulla conseguente penuria che colpisce oltre la metà della popolazione

mondiale, ecc. Dagli interventi degli esperti sempre più forza acquistano, inoltre, i giudizi critici sia sulle

politiche adottate nel corso dell‟ultimo cinquantennio dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario

Internazionale, sia sulla “rivoluzione verde” (per i disastri ecologici prodotti soprattutto nel Sud del

Mondo) e l‟intensivizzazione degli allevamenti zootecnici (fenomeni che hanno accentuato la

desertificazione, l‟erosione, la salinizzazione dei suoli e lo spreco di acqua in zone aride e siccitose e

prodotto le infezioni da Bse).

L‟indagine sul terreno ha consentito, inoltre, di elaborare le numerose didascalie, che non ripetono

pedissequamente parti del testo, ma vivificano le immagini, soprattutto quelle che illustrano un “vissuto”

irripetibile, ricostruiscono e spiegano i complessi fenomeni geografici e socioeconomici, pur con le

inevitabili “restrizioni” spaziali e iconografiche, a causa della complessità delle tematiche affrontate, in

cui interagiscono fattori di natura diversa ed in continua evoluzione – ambientali, linguistici, tradizioni,

usi, costumi, ecc. –, che condizionano non solo gli insediamenti e le migrazioni, ma anche le direttrici di

sviluppo, così come emerge dall‟analisi dei dati censuari, non sempre confrontabili fra loro, per la

diversità strutturale delle tabelle statistiche.

Vari ostacoli hanno impedito di offrire al lettore, perciò, un lavoro più completo e approfondito.

Fra questi, in particolare l‟impossibilità di collocare con precisione nel tempo alcuni monumenti –

derivati da culture caratterizzate da profonde radici comuni a molte civiltà –, la cui origine, spesso, è

stata esclusivamente ricostruita dalle testimonianze fornite dai reperti archeologici o dalle informazioni

orali, tramandate da padre in figlio. In qualche caso, la “data di nascita” è scaturita dal confronto di

elementi architettonici, stilistici e storico-culturali, di materiali usati e di artefici che hanno operato

esclusivamente in quel territorio e non in altri, risultando spesso approssimativa perché, da un lato, la

realtà agricola (insieme con i manufatti della società contadina) si evolve rapidamente senza restare

ancorata alle tradizioni e, dall‟altro, numerose varianti della medesima struttura edilizia sono presenti

nella stessa località.

La Geografia, peraltro, è forse, tra le materie di studio scolastiche, quella che, negli ultimi anni, ha

introdotto le maggiori innovazioni, trasformandosi profondamente e avvicinandosi alle esigenze della

società attuale. Pertanto, da disciplina descrittiva e nozionistica dei luoghi (mari, monti, laghi, città,

ecc.), diventa scienza crono-spaziale, in quanto spinge la propria indagine in un mondo in rapida

evoluzione sia nelle componenti fisico-ambientali e territoriali, sia in quelle antropiche, affina

contemporaneamente i propri strumenti metodologici per cogliere e misurare il cambiamento tanto a

livello globale o regionale, quanto nell‟ambito delle micro realtà locali, allargando i propri obiettivi non

solo sul secondario e terziario, ma anche sul primario. Il mondo rurale, infatti, ormai da tempo viene

stimolato dalle politiche comunitarie a proiettarsi al di là dei confini tradizionali, a interagire con la

globalizzazione dell‟economia, a innalzare gradualmente il proprio contributo in termini di valore

aggiunto e a incidere sul processo di ammodernamento del sistema produttivo, razionalizzazione degli

ordinamenti colturali e ampliamento delle specie coltivate, onde, da un lato, fronteggiare adeguatamente

la domanda in rapida ascesa e le esigenze espresse da consumatori sempre più lontani dai luoghi di

produzione e, dall‟altro, attenuare il deficit agroalimentare e realizzare un‟agricoltura sostenibile ed uno

sviluppo durevole ed equilibrato, come proposto anche nella IX Conferenza mondiale dell‟Unione

Internazionale dei Geografi. Tale sviluppo non dovrà, tuttavia, essere più settoriale, ma integrato, perché

scaturito dall‟interpretazione storico-geografica ed economico-culturale delle realtà spaziali regionali da

strappare al degrado mediante un razionale progetto di valorizzazione e di salvaguardia contro

l‟artificiosità delle tecnologie, che, soprattutto in questi anni, si affermano in maniera esponenziale,

modificando il tessuto socioproduttivo. Questi orizzonti sono emersi anche dagli interventi degli esperti

al XXVIII Congresso Geografico Italiano sul tema Vecchi Territori, Nuovi Mondi: la Geografia nelle

Emergenze del 2000 (Roma, 18-22 giugno 2000), alle giornate di studio del Gruppo di ricerca

dell‟Associazione dei Geografi Italiani “Geografia comparata delle Aree Agricole Europee ed

Extraeuropee” su La nuova ruralità in Italia in rapporto alla politica dei fondi strutturali della Ue

(Roma, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, 22-23 febbraio 2001) e alla Conferenza regionale

della Unione Geografica Internazionale (Geographical Renaissance at the Dawn of the Millennium,

Durban, Sud Africa, 4-7 agosto 2002), nella quale sono state affrontate le complesse problematiche –

soprattutto di carattere ambientale – che impegneranno la Geografia agli inizi del Terzo Millennio.

Quello appena indicato è un compito gravoso dal momento che mutano gli stessi strumenti di

elaborazione delle conoscenze che la disciplina adotta per le sue descrizioni ed interpretazioni della

realtà complessa del mondo, insieme con le implicazioni territoriali connesse all‟irruenza e alla portata

dei cambiamenti, già da tempo riscontrati anche nel settore primario, malgrado la sua perdurante debole

posizione occupata all‟interno del sistema economico italiano. Il vigoroso impulso espresso dalla politica

comunitaria – unitamente al varo della cosiddetta Agenda 2000 e al previsto allargamento dell‟Ue a

numerosi altri Paesi – ha determinato, tuttavia, un ripensamento profondo delle strategie di

modernizzazione delle aree rurali, elevate ormai – come scaturisce dall‟analisi dei dati del 5° Censimento

dell‟agricoltura – a contenitori “multifunzionali” in cui interagiscono processi socioeconomici

diversificati, rivolti a incrementare le produzioni tipiche, quelle biologiche e le forme di artigianato

legate all‟agricoltura, sviluppare l‟agriturismo, salvaguardare l‟ambiente, agevolare l‟integrazione con

gli altri comparti produttivi, valorizzare le capacità imprenditoriali e le politiche infrastrutturali, di

comunicazione e di trasporto, conservare tradizioni, toponimi e culture locali, ai fini dell‟incremento

delle opportunità occupazionali, crescita della redditività e rilancio degli investimenti.

La documentazione fotografica è ampia ed articolata – costituita da migliaia di foto, pazientemente

catalogate –, ma gli elevati costi di pubblicazione e l‟intenzione di continuare questa ricerca anche negli

anni futuri, impongono, con profondo rammarico, una laboriosa selezione incentrata su scelte rivolte a

evidenziare meglio i collegamenti tra le diverse cause che hanno influenzato, nel corso dei secoli, il

paesaggio salentino.

Considerata la vastità del materiale bibliografico relativo all‟edilizia rurale e alle tradizioni

popolari legate al mondo agricolo, si è ritenuto opportuno consultare in particolare quello reputato

fondamentale, in quanto fornisce informazioni di base e favorisce l‟approfondimento di argomenti

specifici. Fra i testi citati, maggiore attenzione viene data, tuttavia, a quelli di carattere geografico che

affrontano le tematiche sviluppate nel presente lavoro di ricerca, tematiche che, giustamente, non

possono rispettare un preciso quadro cronologico, perché ogni “eredità” della società contadina è legata a

molteplici fattori di carattere socioeconomico, culturale e ambientale, i quali, strettamente collegati fra di

loro, ribaltano qualsiasi forma di scansione temporale, in quanto il passato diventa presente e, se

opportunamente recuperato, anche futuro e, quindi, patrimonio dell‟umanità.

Adele Quaranta

RICERCATRICE DI GEOGRAFIA ECONOMICO-POLITICA

(UNIVERSITÀ DEL SALENTO)

PARTE I: IL PAESAGGIO AGRARIO DEL SALENTO

Le iniziative di tanti privati, spesso impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche varietali, determinano positive ricadute economico-occupazionali, contribuendo anche a vivacizzare il paesaggio agrario. Carciofeto (esteso circa 2 ha), a rotazione triennale, coltivato secondo metodi tradizionali e a conduzione familiare. La coltura, che inizia ad ottobre con l'impianto dei polloni basali, è molto diffusa nel Brindisino e richiede terreni

profondi, poco umidi e soffici (Zona Caracci, Brindisi).

Impianto vitato a tendone, dove i contadini praticano la “spollonatura” eliminando foglie e tralci superflui che sottraggono sostanze nutritive alle piante (Contrada Curezze, Carosino - TA).

Impianti climatizzati impegnati nella coltivazione di "senza

suolo", costituiti da "navate" in polietilene (sorrette da

strutture metalliche) e dotati di schermi mobili (in tessuto-

non-tessuto) per garantire un’ade-guata luminosità ed

evitare la dispersione del calore nella stagione

invernale. La struttura occupa una superficie di circa 1 ha,

utilizza, a seconda delle esigenze colturali, quattro

operai fissi ed altri a tempo determinato e produce

gerbere e fragole – coltivate su supporti in perlite e lana di

roccia, irrorati con acqua prelevata dalla falda freatica

– commercializzate in ambito provinciale (Località Li Foggi,

Gallipoli - LE).

In alto, le foglie di tabacco, raggiunta la maturazione, vengono raccolte, essiccate al sole (prima di essere imballate e inviate alle manifatture) su telai di legno. Sullo sfondo, capannoni con telaiatura metallica e copertura fissa in polietilene,

proteggono dall'umidità della notte e dalle intemperie (a destra, Località Aia Vecchia, San Cassiano - LE). In basso, tabacco posto ad essiccare su telai di altezza e dimensioni varie (Via Moravia, Villa Baldassarri, frazione di Guagnano - LE).

PARTE II: IL CARSISMO NELL’EDILIZIA RURALE E NELL’ORGANIZZAZIONE AGRICOLO-PRODUTTIVA.

TRULLI

La planimetria, eseguita nell’ottobre del 1998, riproduce l’articolata struttura – parzialmente riportata nella foto precedente – in pietre a secco, formata dalla pagghiara (1), il vano con caminetto per la trasformazione casearia (2), stalla (3), liàma (4), depositi (5), recinti (6), cisterna (7), aia (8), riparo per il cane (9). Maestranze senza cultura e cognizioni scientifiche, ma guidate da un'esperienza maturata sul campo e tramandata da una generazione all'altra, realizzano un complesso in grado di soddisfare pienamente le esigenze espresse dalle comunità contadine (disegno di Tody Leggieri).

Complesso di dimore stagionali – riportato

planimetricamente nella Fig. a dx – composto da più strutture (le più antiche risalgono al XVII secolo) armonicamente inserite nel paesaggio

agricolo e adibite a varie funzioni: a sinistra della foto, pagghiara e liàma (aggredite in più punti dalla vegetazione spontanea e pareti in

parte diroccate) costituivano gli ambienti utilizzati durante la notte, mentre il vano dotato di caminetto (addossato a un piccolo ricovero per animali dal tetto crollato) era usato per la

produzione di formaggi; al centro, la stalla (dalla copertura di embrici poggianti su

un'incannucciata, sostenuta da travi in legno) e, a destra, spazi definiti da muretti a secco

(per espletare le funzioni tipiche dell’allevamento di ovicaprini e ospitare animali

da cortile) ed altre unità (riconoscibili dalle tegole) destinate a depositi degli attrezzi da

lavoro e delle derrate. La carreggiata, infine, è una vecchia "cicatrice" lasciata dalle ruote dei

traini, mentre i pali della rete elettrica, che emergono dall'oliveto tradizionale,

rappresentano il segno del progresso (Località

Volito, Castrignano del Capo - LE).

struttura rustica

In alto: complesso rurale con forno, abitazione, stalla e cisterna (dal parapetto elevato di circa 1 m rispetto al piano di campagna) che raccoglie l'acqua piovana (convogliata dai tetti e destinata ad usi potabili). Negli anni Cinquanta viene aggiunto un vano-rimessa per il traino e gli attrezzi agricoli (oggi garage). A destra: particolari che mettono in evidenza soprattutto gli "espedienti tecnico-costruttivi" finalizzati alla raccolta dell'acqua piovana (per usi irrigui e domestici), incanalata attraverso percorsi obbligati in una grande pila scoperta, detta localmente pilùne (Contrada Pal- marino, Francavilla Fontana - BR).

Caseddhre e trulli, ubicati su terreni appena arati e pronti per essere investiti, a sinistra, a tabacco (le piantine sono protette nel vivaio da una copertura in polietilene), le cui foglie, nella stagione estiva, vengono essiccate al sole su telaietti di legno (taraletti) che s'intravedono nella foto appoggiati su blocchi di pietra (Zona Celsi, Martano - LE) e, in basso, a cereali e ortive affiancati ad altre colture, fra cui carciofo, alberi da frutta (mandorli e fichi), giovane oliveto, ecc. Due piccoli depositi per attrezzi agricoli completano, infine, la struttura (Località Feudo, Corigliano d'Otranto - LE) .

Sulla costa ionica settentrionale salentina a circa 500 m dal mare, si ergono, sullo sfondo (a sinistra) la maestosa cupola di un manufatto in discreto stato di conservazione e, in primo piano, l'imponente complesso rurale formato da due trulli comunicanti e composti da due soli ambienti che ricevono la luce da un finestrino retrostante e dalla porta d'ingresso, caratterizzata dal "sistema trilitico" (su due ritti verticali poggia un'architrave disposta a triangolo per scaricare il peso della parte sovrastante). All'interno della muraglia sono ricavate, inoltre, tre nicchie utilizzate come mangiatoie o dispense per la conservazione dei prodotti alimentari (Contrada Pepe, Maruggio - TA).

Abitazioni rurali in pietre a secco ristrutturate,

intonacate e utilizzate nel periodo estivo. Si articolano in più corpi, conservano quasi intatti

gli elementi costitutivi originari e ricadono lungo il litorale ionico meridionale del Salento leccese in prossimità di Punta San Gregorio,

Via A. Vespucci, Patù (LE). Le dimore presentano la caratteristica scaletta esterna

per l'accesso sulla liàma, al centro una cisterna e, a sinistra, la tradizionale pila.

CASE A CORTE

Case a corte affiancate le une alle altre – con copertura di embrici poggiati su incannucciata sostenuta da travi di legno – che conservano il pavimento originario (all'interno sono presenti pile, cisterne e granai scavati nella roccia). Nel passato hanno ospitato molte famiglie, mentre, attualmente, solo "Corte Grande" è abitata e sottoposta a interventi di restauro (le

altre sono abbandonate e fatiscenti). L’area scoperta, fino a qualche decennio fa riservata ai traini e biciclette dei residenti, mentre oggi a quello delle auto (Via Catumerèa, Martano - LE).

A sinistra: l’edicola al lato del portale d’ingresso di una casa a corte (del 1789) – Via Monsignor D'Urso, Ruffano (LE) – testimonia la fervente religiosità che dominava la vita quotidiana della società contadina. A destra: la foto riprende un tipo

abitativo semplice che, nella forma originaria, non si sviluppa mai al di là del piano terreno. Attualmente ospita due famiglie e presenta due cisterne interrate, la pila, le panche e il pozzo nero, ubicato nel giardino retrostante (Piazza Dante, Vaste,

frazione del comune di Poggiardo - LE).

A Diso, in Via Pier Antonio Stasi, le abitazioni – ormai abbandonate e indipendenti (un tempo di proprietà di un solo nucleo

familiare) – sono provviste di pila e cisterne nello spazio antistante scoperto, di giardino nella parte retrostante, mentre l’ingresso è rappresentato da uno spazioso vano carraio con volta a botte. A sinistra della foto si apre un'altra corte, che

risale al 1793 restaurata – come la maggior parte di quelle che si trovano nel centro storico del comune, caratterizzato da questa tipologia abitativa – e attualmente abitata da quattro famiglie.

Eleganti mignani sul prospetto di moduli abitativi con la corte, a

sinistra, abbelliti da una balaustrata – presente anche nei ballatoi interni – che si armonizza con il complesso

architettonico (Corte Dei Droso cui si accede da Via Roma, Maglie - LE) e, a destra, poggianti su mensole aggettanti (Via

Vittorio dei Prioli, Lecce).

MASSERIE

Masseria Scorcara (nell'omonima località in agro di Manduria - TA) è dotata di un fabbricato fortificato ubicato nella parte retrostante, di 16 ha di superficie agraria investita a seminativi (grano e avena) e di un patrimonio zootecnico costituito

solo da caprini, dal cui latte vengono prodotti formaggi tipici.

Le foto (fornite da M. Ciracì), risalenti agli anni Quaranta, mostrano alcune fasi della trebbiatura: in alto, uomini e donne separano i chicchi del cereale dalla pula con forche e forconi

e selezionano le ariste con setacci e ventilabri, mentre, a sinistra, cavalli e buoi pestano con grosse pietre (pisare in

gergo) il grano mietuto (Località Masseria Abate Nicola Grande, Ceglie Messapica - BR).

Riutilizzazione del patrimonio edilizio rurale di Masseria Brunese – nell'omonima località in agro di Melendugno (LE) – nel passato (in

alto,in una foto fornita da Francesco Previtero) fiorente centro di attività agricola e

oggi (a destra) complesso turistico-alberghiero. La tipologia architettonica

originaria è rimasta intatta, il vecchio muretto a secco (sul lato sinistro della strada) risulta

ben conservato, la palma (al centro della foto) abbellisce il prospetto e la riapertura

delle porte e delle finestre del vecchio manufatto (murate per un

lungo periodo) restituisce all'edificio l’antica fisionomia.

Prospetto di Masseria San Martino (nell'omonima località del comune di Lizzano - TA), oggi azienda a conduzione familiare – con le stalle (a destra della foto), i ricoveri per gli attrezzi agricoli, l'agrumeto recintato (a sinistra) e i terreni di pertinenza

(estesi 60 ha) – specializzata nella coltivazione di arboree, erbacee e nell'allevamento del bestiame.

Masseria Torcito – abitata fino agli anni Settanta e composta da due corpi, di cui uno moderno, risalente al secolo XIX

("Piccinna", dimora dei contadini) e l'altro fortificato del XIII ("Torcito", riservato ai proprietari e al massaro) – con l'antico viale di accesso, delimitato da muretti a secco e caratterizzato da profondi solchi incisi dai traini e da un canale di

convogliamento delle acque piovane (a sn. della foto) in una riserva idrica. La struttura comprende le colombaie (una monumentale e l'altra incastonata nel prospetto della masseria), la neviera, la cappella di San Vito, il frantoio ipogeo, il

locale per la lavorazione del tabacco, le cisterne coperte, la cripta e la laura basiliane, i granai, il fienile e i terreni di pertinenza (203 ha), un tempo investiti a seminativo ed oggi occupati da alberi di pino, quercia, leccio ed eucalipto. Sono presenti, inoltre, numerose pozze circolari – profonde circa 80 cm, scavate nella roccia antistante all'ingresso principale –,

che, per la disposizione, in serie ordinata, su un terreno peraltro in lieve pendenza, forse erano utilizzate per il lavaggio della lana dopo la tosatura o l’abbeverata. Il complesso è stato acquistato dalla Provincia e completamente restaurato con fondi

comunitari Interreg II (Località Cerceto, Cannole - LE).

Masseria Miggianello in agro di Scorrano (LE), che denomina la località in cui è ubicata, è stata abitata, fino agli anni Settanta, dai proprietari, i quali hanno utilizzato

i terreni (circa 46 ha) per produrre fiori, tabacco ed ortaggi, con manodopera proveniente dai comuni

limitrofi. Nel 1985, è subentrata una Cooperativa che ha diversificato gli ordinamenti colturali e le forme di

conduzione precedenti, introdotto il ciclo biologico e investito 5 ha ad oliveto, 30 ad ortaggi, cereali (orzo e

avena) e foraggere, 10 a bosco (pino d'Aleppo e domestico, carrubo e leccio con funzione anche di frangivento) e a pascolo. Nel 2001, inoltre, è stato allestito, da imprenditori leccesi, un allevamento di lumache a ciclo biologico completo (esteso 1 ha),

allevamento di cui le foto mostrano, in alto, le sezioni di ingrasso e riproduzione e una piccola area coltivata a girasole (destinata all’ali- mentazione supplementare

delle chiocciole) e, in alto, un momento della conduzione del- l'impianto. La struttura masserizia,

infine, tra il 1988 e il 2000, ha ospitato Corsi di formazione professionale (finanziati dall'ENAIP), per

addetti alla manutenzione del verde e agricoltura biologica, operatori agrituristici e tecnici per la trasformazione dei prodotti agricoli (soprattutto

biologici).

Masseria Magli con le vecchie stalle, i depositi degli attrezzi agricoli e le abitazioni, ristrutturati e destinati sia a residenza estiva dei proprietari, sia a funzioni agrituristiche. L'area di pertinenza (di circa 6 ha) investita a seminativo (orzo, avena, veccia, oietto e grano) e oliveto tradizionale, ospita anche esemplari di querce secolari, mentre in primo piano, pietre a secco contengono il terreno, su cui insiste l'aia di notevole estensione e dal caratteristico pavimento originario in basolato (Zona Don Oreste, Carovigno - BR).

Originali colombaie (ricadenti in una masseria ormai abbandonata) – che garantivano un ulteriore reddito al contadino o al proprietario dell'azienda agraria – ubicate, per non sottrarre terreno utile, nel muro sudorientale di Masseria Schiavelle (Viale

Sindaco Perrone, Surbo - LE).

Nella foto a sinistra (realizzata da V. Della Ciana), piccoli tunnel mobili proteggono colture ortive (che continueranno il proprio ciclo vegetativo a cielo aperto) su un terreno di un complesso masserizio, di cui restano solamente la colombaia e il

probabile ingresso (attualmente privo dell’arco e del motivo decorativo) (Zona Gorgoni, Ugento - LE). A destra (foto di M. Ciracì), esercizio commerciale risalente alla fine dell’Ottocento, protetto da un pannello bianco per occultare una parete

murata in seguito alla cessazione di una rivendita al dettaglio di ghiaccio proveniente dalle neviere locali, oggi utilizzata da un giornalaio come ripostiglio (Piazza S. Antonio, Ceglie Messapica - BR).

MURETTI A SECCO

Il muretto a secco che circonda la parte retrostante di Torre Casciani (masseria agrituristica sulla provinciale Felline-Torre S.

Giovanni, in agro di Ugento - LE) – nel passato spazio di stazionamento degli ovini – si trova in soddisfacente stato di conservazione, al pari di tutti gli altri che corrono lungo gli stradoni all'interno del complesso. Le pietre, parzialmente cementate su un tratto del recinto perimetrale (in primo piano) per preservare la stabilità del manufatto – fungono anche da elemento decorativo e sostegno alle nuove abitazioni, tinteggiate di bianco, in sintonia con l'antico nucleo dove emerge la torre abitata dai proprietari. Al

centro, campeggiano, infine, il vecchio pozzo e la piscina ricavata nella roccia calcarea e riservata esclusivamente agli ospiti.

Manufatti allestiti con pietre ricavate sul posto delimitano strade provinciali, intercomunali, interpoderali e proprietà. A sinistra, un appezzamento di terreno investito a oliveto tradizionale e definito da un muretto a secco e da un tratto (a ds. della foto) di mura di cinta messapiche (ancora ben conservate), ricade in Località Sitrìe alla periferia di Muro Leccese (LE), il cui nome deriva proprio dall'antica e possente struttura difensiva (lunga circa 3.900 m) che circoscrive attualmente 107 ha.

Lo Iazzo (nell’omonima zona in agro di Ceglie

Messapica – BR), attiva fino al 1980, restaurata con i finanziamenti comunitari (Leader II) e destinata al

turismo rurale. E’ costituita da trulli (usati come ricovero degli ovicaprini e per espletare attività

legate alla pastorizia), stazzi definiti da muretti a secco (distinti in zone per il parto, allattamento e

stazionamento degli adulti prima della mungitura e del trasferimento nelle aree pascolative, ecc.) – dal piano calpestio in leggera pendenza per garantire il

deflusso dei rifiuti organici delle greggi –, aia, due cisterne e corpo masserizio, realizzati alla fine del

Settecento. La macchia mediterranea ha colonizzato spontaneamente, dopo il periodo di inoperosità del complesso, il territorio e ripristinato il caratteristico

paesaggio originario.

In Località Munte Lagnune (Gagliano del Capo - LE) si possono ammirare muretti a secco (fotografati da Luigi Bleve) mirabilmente integrati nel paesaggio agricolo tradizionale (caratterizzato fino agli anni Settanta da fichidindia, capperi,

carrubo, ecc.) e realizzati allo scopo di proteggere le colture dallo scirocco – che abbattendosi sulle pendici rocciose delle serre digradanti verso l'Adriatico, produce suoni molto simili ai lamenti dei cani –, contrastare il dilavamento delle acque

piovane e creare il microclima adatto allo sviluppo delle primizie seccagne, come le leguminose (fave, fagioli, piselli, ecc.). I terreni negli anni Ottanta sono stati destinati a pascolo per ovini e caprini, dal cui latte si ricavava un formaggio dall'aroma

caratteristico, scaturito dall’utilizzazione del timo nelle diverse fasi produttive (foto L. Bleve).

Muretti a secco riparano dai venti e dalla salsedine le colture e delimitano proprietà e piccoli orti. La foto mette anche in evidenza l'armonica convivenza tra "antico e "moderno", quest'ultimo rappresentato da una distesa di tunnel che protegge dalle gelate notturne le ortive (pomodori, cocomeri, zucchine, ecc.), irrigate attingendo alla falda (Località Macchia Romano, Patù - LE).

Manufatti rurali ubicati su terreni in forte pendenza –

in un tratto del litorale adriatico ricadente nel comune di Gagliano del Capo in provincia di Lecce

(Località Terra Rica) –, ubicati, in alto, lungo il pendio che scende gradatamente verso il mare e, a

destra, sulla costa adriatica del Salento meridionale. Sullo sfondo l'azzurro della distesa marina e in primo

piano il rosso del suolo agrario e il verde della macchia mediterranea, degli olivi selvatici, dei

fichidindia e dei capperi, caratterizzano l'irripetibile paesaggio del Salento.

ACQUA: RACCOLTA, CONSERVAZIONE E UTILIZZAZIONE

Masseria Lupara (Pulsano – TA) – dal nome della contrada in cui ricade – dotata, nella parte retrostante, di un pozzo con

carrucola e pile in pietra usate, ancora oggi, per abbeverare ovini e caprini. Gli edifici non intonacati (il primo a destra presenta la tipica volta a botte) sono immersi in un paesaggio agrario punteggiato da pali della rete elettrica.

Le foto riprendono, a destra, in alto, sistemi tradizionali di raccolta delle

acque piovane convogliate, dai terrazzi e dal pavimento, in due cisterne all'interno

di una casa a corte (tuttora abitata da più famiglie) – con il lastricato originario e le

pile (Via Lecce, Caprarica) –; in basso, una superficie di circa 7 ha coltivata a

legnose (vigneto e alberi da frutta tipici, come melograno, fichi, melo cotogno,

ecc.), nel passato a tabacco, lavorato in un caseggiato del 1802 (adibito a

residenza stagionale del proprietario nel periodo della vendemmia e ad

abitazione permanente del colono). Attualmente, è utilizzato come struttura

agrituristica incentrata sul turismo rurale, visite guidate e attività correlate all’educazione ambientale. Il terreno è

irrigato con le risorse provenienti da un manufatto costruito appositamente per drenare il terreno dal ristagno idrico e

dotato di una vasca usata per la preparazione degli antigrittogamici,

(Villa Prandico, nell'omonima località, in agro di Tuglie - LE).

I monasteri raccoglievano nel passato una grande quantità di acqua piovana che, dal tetto e dal pavimento, veniva convogliata in capaci cisterne (dai parapetti spesso di pregevole fattura), utilizzate per soddisfare le esigenze della comunità monastica e della popolazione locale sprovvista di riserve di “oro blu”. L’ ex Convento dei Domenicani – realizzato nel 1709, chiuso nel 1809 e utilizzato, nel corso degli anni, come fabbrica di tabacchi, caserma e scuola (elementare e media) – presenta ancora l'antico basolato, recentemente restaurato al pari del chiostro (Via Brigida Ancora, Sternatia - LE).

Pozzelle, utilizzate fino agli anni Cinquanta, restaurate e inserite in un parco (attraversato da una strada comunale), luogo

d'incontro per la popolazione locale. Il vecchio convive con il nuovo (lampioni, giochi per i bambini, teatrino, ecc.) e consente la sopravvivenza, fra le giovani generazioni, delle “eredità” del passato (Via Boccaccio, Castrignano dei Greci - LE).

A sinistra: testimonianza dell'uso di energia eolica nel XIX secolo per attingere, azionando una pompa sommersa in un pozzo in falda freatica, l'acqua che veniva convogliata in due grandi serbatoi ormai in disuso (i diametri misurano 10 e 15 m circa) e utilizzato sia per l'irrigazione, sia per dissetare i pellegrini diretti al Santuario di San Cosimo La Macchia, nell'omonima contrada in agro di Oria (BR). Il mulino a vento fa parte di un complesso formato da un corpo masserizio – i terreni di pertinenza (53 ha) sono investiti ad arboree (mandorlo e olivo) –, da un vecchio palmento, specchie, muretti di cinta a secco e da due colombaie (una cilindrica e l’altra quadrata non visibile nella foto). In alto: sistema irriguo "a scorrimento", alimentato a monte da un antico marchingegno molto diffuso nelle campagne del Salento nord-occidentale: la "noria" (detta volgarmente ngegna). Essa permetteva di emungere – mediante ingranaggi in legno, azionati da animali – l'acqua, di portarla a quota più elevata e di riversarla in canalette di distribuzione in carparo, adagiate su arcate formate da vari ordini sovrapposti (Via La Pigna, Leporano - TA).

A sinistra: il serbatoio ("Cisternale") scavato nella roccia – legato probabilmente ai culti delle popolazioni messapiche – riforniva d'acqua (sicuramente sin dall'epoca medievale) interi borghi. Lungo circa 12 m, largo 3 e profondo 4, è formato da grandi lastroni di pietra che poggiano su quattro pilastri. La vegetazione spontanea aggredisce purtroppo la struttura che presenta anche problemi di stabilità e di

sicurezza (Via Extramurale Nord, Vitigliano, frazione di Santa Cesarea Terme - LE). A destra: da due cisterne, alimentate dalle precipitazioni meteoriche provenienti – mediante un canale scavato nella roccia e protetto da lastre di pietra – dalla strada, vengono ancora oggi prelevate le risorse idriche destinate all’irrigazione dell'orto, mentre, dai tetti dei trulli l’acqua confluiva in altri contenitori ipogei (ubicati all’interno) per soddisfare, fino agli anni Sessanta, le esigenze potabili e domestiche (Località Angeli, Presicce - LE).

Un contadino usa l'annaffiatoio munito, all'estremità del tubo di scarico, della tipica "rosetta" (al fine di non sprecare l’acqua e non

bagnare la parte superiore delle singole piantine, successivamente trapiantate a cielo aperto, innestava invece un cannello di lamiera zincata) per distribuire il prezioso liquido in maniera uniforme – secondo il metodo tradizionale, dopo averlo attinto da una

vecchia botte – su un vivaio di tabacco, protetto con teli in polietilene (in sostituzione dei vecchi sarmenti derivati dalla potatura delle viti), sorretti da archetti di tondino di ferro (nel passato da canne) e fissati temporaneamente sul terreno dal peso di vari

oggetti (grossi secchi di plastica pieni d'acqua, mattoni, ecc.) (Località Campi San Vito, Spongano - LE).

In alto (Zona Cotarsa, Spongano - LE), la coltivazione del tabacco, pur offrendo redditi molto bassi, impegnava numerose famiglie salentine. La coltura nel Salento leccese (favorita da un editto di Ferdinando II dei Borboni che né vietò l'espansione in altre aree di Terra d'Otranto) si diffuse soprattutto negli anni Venti, sia per l'intervento statale, sia per l'introduzione della varietà levantina, che richiedeva clima secco e terreno poco pregiato. Le foto mostrano foglie coperte da teli il polietilene per preservarle dall'umidità della notte e da eventuali improvvisi acquazzoni estivi e sistemi tradizionali di raccolta dell’acqua. In basso (Località Lamia, Parabita - LE), sistema d'irrigazione innovativo per alcune componenti: recupero e reinserimento

lavorativo di ex tossicodipendenti (D.P.R. 309/90), uso di tecnologie e di materiali nel rispetto dell’ambiente e sfruttamento di energie pulite (eolica e solare), secondo i principi dell’architettura bioecologica, per distribuire gli apporti idrici alle colture in

serra. Sul suolo argilloso, individuato il sito nel punto di maggiore forza energetica, era stato trivellato il pozzo artesiano, protetto da una struttura quadrata in legno (orientata a N), poggiata, a sua volta, su una piattaforma tonda in tufo. Con la forza dell’energia eolica, l’acqua emunta veniva distribuita – attraverso tubazioni che formavano una figura piramidale –

nelle serre, utilizzate per la coltivazione biologica di piante da seme (aromatiche e officinali) e per la produzione di semenze di flora autoctona in via di estinzione, su una superficie totale di circa 1 ha. La base dell’intera struttura – entrata in funzione nell’aprile del 2000, ma attualmente in disuso – rifletteva un preciso schema geometrico, impregnato di significati spirituali e

cosmogonici, espressi mediante una complessa simbologia compositiva di cerchi e di quadrati variamente combinati: il “mandala”, rappresentazione del cosmo secondo la tradizione religiosa dell’India. Consta di un cerchio (che definisce la

totalità) – segnato da pietre disposte una dietro l’altra – e di due quadrati sovrapposti che formano otto sezioni. La ricerca e il raggiungimento di questa universalità corrispondono a un percorso di reintegrazione e d’integrazione nell’armonia dello spazio e delle sue forze vitali, in linea con altre correnti di pensiero (new age, yoga, zen, ecc.), le più recenti scommesse

sull’habitat lanciate dall’uomo alle soglie del nuovo millennio. Questa struttura era stata insediata nella realtà salentina, ricca di potenzialità ed energie rinnovabili, nel tentativo di motivare la validità del cammino intrapreso, in sintonia con i ritmi

naturali e con lo sviluppo sostenibile. Il complesso era dotato, inoltre, di una Living machine, formata da alcune vasche disposte a spirale e ad altezze diverse rispetto al piano calpestio, per la depurazione della acque reflue mediante l’uso di vegetali (lenticchie d’acqua, canne palustri, papiri, ecc.), mentre al centro della spirale è ubicata, infine, una fontana con

zampilli, per dinamizzare e migliorare ulteriormente la qualità del prezioso liquido.

FRANTOI, PALMENTI E FORNACI DI CALCE

Il frantoio “Filia” – attiguo all’antica porta d’ingresso ricadente in Via Pizzo, nel borgo medioevale di Sternatia (LE) e attivo dal 1513 al 1917 (secondo i documenti d’archivio) – era costituito da due ambienti e da altrettante vasche e macine in pietra (dalla massiccia forma circolare in posizione verticale) adibite alla molitura. La struttura – dagli anni Settanta di proprietà del comune che ha provveduto al restauro con i finanziamenti comunitari (Interreg II) – dava lavoro a tredici operai (compreso un ragazzo di 12-13 anni con mansioni di inserviente, druchicchiu), ripartiti in due squadre, guidati dal nachiru e dal suo vice, spesso di diverse fedi religiose (ortodossa, latina ed ebraica), attestate dalla presenza di simboli incisi sulle pareti (significativa testimonianza della tolleranza tipica dei Salentini – sia da parte dei regnanti dell’epoca, sia dei laici ed ecclesiastici – nei confronti del “forestiero”). Conclusa la stagione lavorativa, la manodopera si dedicava ad altre attività (pesca, ecc.) per sopravvivere.

Particolare della foto precedente con il

vano (scavato nella roccia) che ospita un contenitore in pietra leccese (pilune)

adibito alla decantazione dell’olio fino al definitivo trasporto nelle cisterne del

possidente.

Moderne strutture di due cantine sociali insediate su aree vitivinicole di particolare pregio, oggi protette da una produzione a D.O.C. In alto, il sodalizio, fondato nel 1999 con l’obiettivo di valorizzare le antiche tecniche di coltivazione ad alberello – il sarmento, che, per secoli, hanno rappresentato l’unico metodo di allevamento della vite nel Salento –, comprende un’area

vitivinicola di 20 ettari (Via Generale Cantore n. 37, Nardò - LE); in basso, l’azienda (15 ettari di terreno coltivati a Negroamaro, Malvasia nera e Primitivo) – nata nel 2002 ad opera di cinque giovani imprenditori, impegnati nella

salvaguardia soprattutto dei vigneti di Negroamaro abbandonati dagli anziani vignaioli e non più in grado di coltivarli – produce 100.000 bottiglie, di cui il 40% viene esportato (Via Cellino n. 3, Guagnano - LE).