Accordo di Parigi sul clima del 2015 - icefcourtpress.org · Come raccontano, ad esempio, Piero...

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Accordo di Parigi sul clima del 2015 1. Notizie preliminari. - 2. Ritardo della risposta dei Governi. - 3. Azzeramento totale della produzione e delle emissioni di gas serra: un’utopia? - 4. Meccanismo solo «interno» di controllo dei contributi nazionali. - 5. Assenza di una governance globale «esterna» della Comunità internazionale. - 6. Cambiamento climatico in atto: pericoli reali per la sostenibilità della vita dell’ecosistema terrestre. - 7. Natura giuridica dell’Accordo di Parigi e problema delle responsabilità. - 8. Finanza e clima: un approccio parziale e non risolutivo. - 9. Ruolo della cultura, della scienza, dell’etica, delle religioni, della società civile. - 10. La giustizia internazionale per il clima e l’ambiente: attualità politica della problematica. 1. - Notizie preliminari. Come è noto si è svolta a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 la 21esima sessione della Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle NU sui cambiamenti climatici. Questa Conferenza ha approvato un Accordo ( Paris Agreement) con la quasi unanimità dei Paesi coinvolti (centonovantacinque, compresa l’Unione europea quale autonomo soggetto di diritto internazionale). Il presente contributo ha per oggetto l’esame ed il significato di questo importante documento internazionale nel contesto del processo di risposta della Comunità internazionale alla sfida globale del mutamento climatico in atto. Il cambiamento climatico quale preoccupazione comune dell’umanità ( common concern of humankind) ha ricevuto una prima risposta politica e giuridica in sede internazionale con la Convenzione apposita adottata alla Conferenza ONU di Rio de Janeiro del 1992 1 . In precedenza era stato il mondo scientifico a sollevare il problema, insieme con quello della necessità di proteggere la fascia di ozono nell’atmosfera: problemi globali allora ancora lontani dalla percezione della pubblica opinione 2 . Occorre premettere che l’effetto serra naturale che ha accompagnato l’evoluzione terrestre da lunghissimo tempo costituisce un fenomeno importante per la vita, cioè ha benefici effetti rispetto ai flussi energetici della vicina stella, il sole, nel senso di operare come uno schermo di protezione, intrappolando una parte della radiazione irradiata dalla superficie terrestre verso l’esterno, sicché la temperatura del Pianeta invece di essere di meno 18° C si eleva in media fino a più di 15° C. È la dannosa accentuazione dell’effetto serra naturale operata dall’uomo a seguito della rivoluzione industriale con le sue note caratteristiche di inquinamento, che sconvolge l’equilibrio climatico e la 1 La bibliografia sul punto è vastissima. Si segnala per l’Italia il libro di G.G. GARAGUSO - S. MARCHISIO, Rio 1992: vertice per la Terra, Milano, 1993, ossia di due Autori che facevano parte della Delegazione italiana alla Conferenza ONU. Alla stessa Conferenza partecipò anche per l’Italia una delegazione della società civile presentando il Progetto di una governance globale amministrativa e giurisdizionale con il volume: A. POSTIGLIONE, The Global Village Without Regulations, Firenze, 1992 e 1994, contenente argomenti a favore della creazione di una Corte Internazionale dell’ambiente già avanzati nel 1989 a Roma e nel 1991 a Firenze da una apposita Fondazione (ICEF) in due importanti eventi internazionali. Questo Progetto riscontrò un notevole interesse a livello internazionale (es. Japan Bar Association), anche per l’impegno diretto dei membri della numerosa delegazione, tra cui Deidre Exell Pirro, che aveva curato la traduzione in inglese del volume. A livello internazionaleso si segnalano i riferimenti bibliografici di prima e dopo Rio, in D. HUNTER - J. SALZMAN - DURWOOD ZAELKE, International Environmental Law and Policy, University Casebook Series, New York, 1998. 2 Per la fascia di ozono la Comunità internazionale interviene prima: Convenzione di Vienna sulla Protezione della Fascia di Ozono, del 1985 e soprattutto il Protocollo di Montreal del 1987 con i successivi sviluppi. Per la protezione dell’atmosfera era già intervenuta la Convenzione di Ginevra del 1979 con relativi Protocolli. 1 Copyright 2016 - www.osservatorioagromafie.it

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Accordo di Parigi sul clima del 2015

1. Notizie preliminari. - 2. Ritardo della risposta dei Governi. - 3.Azzeramento totale della produzione e delle emissioni di gas serra:un’utopia? - 4. Meccanismo solo «interno» di controllo dei contributinazionali. - 5. Assenza di una governance globale «esterna» dellaComunità internazionale. - 6. Cambiamento climatico in atto: pericolireali per la sostenibilità della vita dell’ecosistema terrestre. - 7. Naturagiuridica dell’Accordo di Parigi e problema delle responsabilità. - 8.Finanza e clima: un approccio parziale e non risolutivo. - 9. Ruolo dellacultura, della scienza, dell’etica, delle religioni, della società civile. - 10.La giustizia internazionale per il clima e l’ambiente: attualità politicadella problematica.

1. - Notizie preliminari. Come è noto si è svolta a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 la21esima sessione della Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle NU suicambiamenti climatici. Questa Conferenza ha approvato un Accordo (Paris Agreement) con la quasiunanimità dei Paesi coinvolti (centonovantacinque, compresa l’Unione europea quale autonomosoggetto di diritto internazionale).Il presente contributo ha per oggetto l’esame ed il significato di questo importante documentointernazionale nel contesto del processo di risposta della Comunità internazionale alla sfida globaledel mutamento climatico in atto.Il cambiamento climatico quale preoccupazione comune dell’umanità ( common concern ofhumankind) ha ricevuto una prima risposta politica e giuridica in sede internazionale con laConvenzione apposita adottata alla Conferenza ONU di Rio de Janeiro del 19921.In precedenza era stato il mondo scientifico a sollevare il problema, insieme con quello dellanecessità di proteggere la fascia di ozono nell’atmosfera: problemi globali allora ancora lontanidalla percezione della pubblica opinione2.Occorre premettere che l’effetto serra naturale che ha accompagnato l’evoluzione terrestre dalunghissimo tempo costituisce un fenomeno importante per la vita, cioè ha benefici effetti rispetto aiflussi energetici della vicina stella, il sole, nel senso di operare come uno schermo di protezione,intrappolando una parte della radiazione irradiata dalla superficie terrestre verso l’esterno, sicché latemperatura del Pianeta invece di essere di meno 18° C si eleva in media fino a più di 15° C.È la dannosa accentuazione dell’effetto serra naturale operata dall’uomo a seguito della rivoluzioneindustriale con le sue note caratteristiche di inquinamento, che sconvolge l’equilibrio climatico e la

1� La bibliografia sul punto è vastissima. Si segnala per l’Italia il libro di G.G. GARAGUSO - S. MARCHISIO, Rio 1992:

vertice per la Terra, Milano, 1993, ossia di due Autori che facevano parte della Delegazione italiana alla ConferenzaONU. Alla stessa Conferenza partecipò anche per l’Italia una delegazione della società civile presentando il Progetto diuna governance globale amministrativa e giurisdizionale con il volume: A. POSTIGLIONE, The Global Village WithoutRegulations, Firenze, 1992 e 1994, contenente argomenti a favore della creazione di una Corte Internazionaledell’ambiente già avanzati nel 1989 a Roma e nel 1991 a Firenze da una apposita Fondazione (ICEF) in due importantieventi internazionali. Questo Progetto riscontrò un notevole interesse a livello internazionale (es. Japan BarAssociation), anche per l’impegno diretto dei membri della numerosa delegazione, tra cui Deidre Exell Pirro, che avevacurato la traduzione in inglese del volume. A livello internazionaleso si segnalano i riferimenti bibliografici di prima edopo Rio, in D. HUNTER - J. SALZMAN - DURWOOD ZAELKE, International Environmental Law and Policy, UniversityCasebook Series, New York, 1998.

2� Per la fascia di ozono la Comunità internazionale interviene prima: Convenzione di Vienna sulla Protezione della

Fascia di Ozono, del 1985 e soprattutto il Protocollo di Montreal del 1987 con i successivi sviluppi. Per la protezionedell’atmosfera era già intervenuta la Convenzione di Ginevra del 1979 con relativi Protocolli.

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temperatura. L’incremento degli apporti termici supplementari (rispetto a quelli naturali) è dovutoalle concentrazioni di gas ad effetto serra prodotti dalla attività umana.Come raccontano, ad esempio, Piero Pozzati e Felice Palmieri (nel volume Verso la cultura dellaresponsabilità. Ambiente, tecnica, etica, Milano, 2007, cap. 2 e 3) i primi studi scientifici sullacorrelazione tra emissioni inquinanti ed effetto serra risalgono ai contributi di Jean Baptiste Fourierfisico e matematico (Note generali sulla temperatura del globo terrestre e degli spazi planetari,1824); di Johon Tindall, fisico e glaciologo irlandese (Sull’assorbimento e l’irraggiamento delcalore da parte di gas e vapori, 1861); di Svante Arrhenius, chimico svedese e premio Nobel(Sull’influenza dell’acido carbonico sulla temperatura de suolo , 1896); di Guy Stewart Callendar,ingegnere minerario inglese (La produzione artificiale di anidride carbonica e la sua influenzasulla temperatura, 1938); di Gilbert Norman Plass, climatologo (La teoria dei cambiamenticlimatici causati dall’anidride carbonica, 1956) e di numerosi altri scienziati di diverse discipline.Quando a partire dalla seconda metà del secolo scorso gli effetti non solo positivi della rivoluzioneindustriale si fanno sentire ed appaiono le prime evidenze di un mutamento del clima terrestre,cominciano a moltiplicarsi le iniziative del mondo scientifico, della società civile e degli organismiinternazionali: il clima terrestre forma oggetto di particolare attenzione da parte del Club di Romadiretto da Aurelio Peccei negli anni ‘70; del Worldwatch Institute diretto da Lester Brown a partiredal 1974; dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organismo specifico delle NUche pubblica report a partire dal 1990 3; di numerosi organismi internazionali come IMO, WMO,UNEP, UNDP, UNESCO, FAO. In particolare l’Organizzazione metereologica mondiale aveva giàorganizzato una Conferenza a Ginevra nel 1979.La questione climatica comincia in tal modo ad essere affrontata in modo sistematico edinterdisciplinare in ogni parte del mondo con riferimento al comportamento sia della atmosfera, siadella biosfera, sia della geosfera, sia della idrosfera (tutte componenti dell’unico concetto di«sistema climatico» ex art. 1 della Convenzione che sarà poi adottata a Rio nel 1992) ed i dati sonoresi pubblici: il dato dell’aumento della temperatura terrestre non solo viene confermato ma mostrauna preoccupante accelerazione.L’influenza dell’attività umana sul clima viene descritta nel tempo con aggettivazioni sempre piùgravi e preoccupanti a mano a mano che le osservazioni sistematiche forniscono dati precisi sulterritorio, sugli oceani e nell’atmosfera e sugli effetti in relazione alla biodiversità 4. Pur tenendoconto delle componenti naturali del mutamento climatico (macchie solari, variazioni dell’asseterrestre, eruzioni vulcaniche...), la componente umana appare evidente per una serie di cause(aumento della popolazione, occupazione di sempre nuovi spazi sottratti alla natura, espansionedelle città, modi di produzione e consumo fondati sulle energie di origine fossile come carbone, gasnaturale e petrolio con conseguenti emissioni climalteranti, espansione della crescita economicaanche nel Sud del mondo non dotato di tecnologie adeguate...).La destabilizzazione del clima viene ora osservata con riferimento a fenomeni che la pubblicaopinione può constatare: scioglimento dei ghiacci nell’Artico, nell’Antartide, in Siberia, in Alaska,nel nord del Canada, nella Groenlandia, nell’arcipelago delle isole Svalbard a nord della Norvegia,

3� Questo importante e specifico organismo fu creato nel 1988 su iniziativa dell’UNEP e dell’Organizzazionemeteorologica mondiale (WMO). È organizzato in tre gruppi principali dedicati a: scienza del sistema climatico; impattidel cambiamento climatico e risposta della politica; dimensioni economico-sociali del mutamento climatico. Il VRapporto prodotto è del 2014 (IPCC - Climate Change 2014). La sintesi per gli operatori è particolarmente importante(Synthesis Report-Summary for Policymakers).

4� «Extremely unlikely», estremamente improbabile; «Very unlikely», molto improbabile; «Unlikely», improbabile;

«More likely than not», più probabile che non; «Likely», probabile; «Very likely», molto probabile; «Extremely likely»,estremamente probabile; «Virtually Certain», virtualmente certo. L’ultimo aggettivo è utilizzato dal V Rapporto IPCCdel 2014 con riferimento al 99 per cento di probabilità della incidenza umana sull’evento del mutamento climatico inatto.

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nelle grandi catene montuose di tutti i Continenti, dalle Montagne Rocciose alla Ande, dalle Alpialle montagne del Caucaso, dalla catena dell’Himalaya fino alle grandi montagne dell’Africa; graviripercussioni sul regime delle acque dolci di laghi e fiumi e relativi usi; espansione dell’acquamarina per effetto del riscaldamento e crescita del livello con effetti su varie isole 5 e sulle costebasse; desertificazione di vastissime aree del Sud Sahara; intensificazione di eventi estremi congravissimi danni ambientali, sociali ed economici...In questo quadro appare necessario ed urgente il contributo delle Nazioni Unite che si manifestaattraverso la voce dell’Assemblea generale con la risoluzione 43/53 del 1988 e poi con quella del1990 n. 45/212, diretta alla creazione di un Comitato negoziale per preparare il testo di unaConvenzione internazionale specifica.Nella Conferenza di Rio de Janeiro del giugno 1992 fu finalmente adottato il testo, che dopo unampio preambolo, contiene alcune definizioni, come quelle di «cambiamento climatico», «sistemaclimatico», «emissioni», «gas ad effetto serra» ed enuncia l’obiettivo della necessità di stabilizzarele concentrazioni di gas serra in atmosfera ad un livello non pericoloso e consentire agli ecosistemidi adattarsi naturalmente ai cambiamenti climatici (art. 2).La Convenzione enuncia anche in modo chiaro alcuni princìpi: protezione delle generazioni future;equità; responsabilità comuni; prevenzione; precauzione; doveri prioritari ed iniziativa dei Paesisviluppati; particolare considerazione delle esigenze di sviluppo socio-economico dei Paesi in via disviluppo e necessità di sostegno da parte dei Paesi industrializzati. Si tratta di uno strumentointernazionale quadro molto importante, aperto ad integrazioni nella forma di Protocolli od altriaccordi analoghi aventi comunque effetti legali. È l’inizio di un processo politico difficile maassolutamente necessario.

2. - Ritardo della risposta dei Governi. Occorre però riconoscere che la risposta dei Governi èarrivata tardi ed in modo non deciso, considerando la gravità ed accelerazione del fenomeno. Lasfida climatica presenta una straordinaria complessità non solo a livello scientifico, ma ancheculturale, perché la pubblica opinione non è preparata a rinunciare ai benefici dello sviluppo, siaquello già conquistato dai Paesi industrializzati, sia quello sperato dai Paesi in via di sviluppo:l’ostacolo reale è quello di una economia troppo fondata su un paradigma energetico non sicuro enon duraturo.La politica dei Governi nazionali, condizionata da interessi divergenti, senza un quadro forte digovernance sovranazionale, è continuamente tentata di rinviare le scelte, pur ritenute necessarie, persoddisfare gli interessi economici e sociali dello sviluppo. Le conferenze o riunioni delle Parti risentono fortemente di questi condizionamenti a cominciare daquella di Berlino del 1995, anno successivo alla effettiva entrata in vigore della Convenzione. Inquella circostanza fu particolarmente forte la presenza della società civile sia tedesca che austriaca,con un gran numero di ONG che invocavano l’utilizzo delle energie alternative ed a livelloistituzionale globale un Internationales Klima Tribunal (aspirazione sostenuta anche dallaFondazione ICEF presente all’evento, che si era mossa per prima a livello internazionale sullaproblematica ed era già nota per precedenti eventi tenuti a Roma, Firenze e Venezia, aventi respirointernazionale, dedicati alla necessità della creazione di una Corte internazionale per l’ambiente,

5� Tanto da costringere quarantatré Paesi a creare una Alliance of Small Island States-AOIS preoccupati del livello

crescente del mare. Questa grave preoccupazione è anche documentata dalla pronta adesione al Progetto di una Corteinternazionale per l’ambiente promosso dalla Fondazione ICEF, come risulta da alcune risposte di Governi pubblicatenel volume; A. POSTIGLIONE, Giustizia e Ambiente Globale, Milano, 2001.Vedi sul punto anche G. GARDNER, La sfida di Johannesbourg: creare un mondo più sicuro, in Worldwatch Institute,2002. Si tratta di un gran numero di isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano che rappresentano circa il 5 per cento dellapopolazione mondiale da non abbandonare e costringere a migrazioni, come pur riconosce l’Accordo di Parigi, di cui sidirà in prosieguo, che domanda la solidarietà finanziaria e tecnica della Comunità internazionale.

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accessibile anche alle Organizzazioni internazionali ed alle persone ed ONG in nome di un dirittoumano)6. Dopo la seconda Conferenza delle Parti di Ginevra nel 1996, a Tokyo (COP3) nel 1997, fu possibilearrivare alla firma di un Protocollo con impegni giuridici più specifici, sia pure solo per i Paesisviluppati: rimaneva fuori per ragioni politiche ed economiche la maggioranza dei Paesi, compresialcuni in fase di sviluppo come Cina, India e Brasile. Seguono ogni anno, per circa venti anni, Riunioni delle Parti senza decisivi progressi in attesa dinuovi strumenti giuridici internazionali con efficacia vincolante sempre invocati (v. Plateform deDurban pour une action renforcèe, decision 1/CP.17).Finalmente si arriva alla Conferenza di Parigi del 2015, ossia alla 21esima Riunione dei Governisullo stesso tema. Il ritardo nella risposta dei Governi è scandito da alcune date:- la Convenzione del 1992 arriva a distanza di venti anni dalla Conferenza di Stoccolma, quandosegni evidenti del mutamento climatico erano stati segnalati già dal mondo scientifico e dal WMO;- la Convenzione, frutto di un inevitabile compromesso, non ha un carattere universale (la potenzaeconomica più forte nel mondo, gli USA, non si mai impegnata adeguatamente). Essa è entrata invigore nel 1994;- il Protocollo con maggiore forza giuridica (Kyoto 1997), entrò in vigore addirittura dopo otto anni,nel 2005, a dimostrazione delle gravi difficoltà frapposte dal tipo di economia vigente;- le ulteriori riunioni periodiche dei Governi sono state un fallimento, sempre per le medesimedifficoltà incrociate: riluttanza ad impegni dei Paesi poveri o in via di sviluppo; scarsa solidarietàdei Paesi sviluppati e soprattutto incapacità a modificare il modello di produzione e consumo persua natura climalterante, perché fondato su produzione e consumo di carbone, gas naturale epetrolio.Si deve aggiungere la responsabilità morale e politica (anche dell’Occidente) di avere favorito difatto in Africa e Medio Oriente movimenti violenti fondamentalisti islamici lasciando il mondoprivo di una accettabile governance, con spazi vuoti e con Governi deboli, per non contrastare iPaesi del Golfo ricchi di risorse petrolifere (soprattutto l’Arabia Saudita): la crisi economica globalesi è innescata con conflitti geopolitici complessi, che trovano una base – sia pure non esclusiva – nelpossesso di energie che danneggiano il bene comune universale del clima terrestre necessario allaconservazione della vita7. Secondo il nostro punto di vista, occorreva muoversi molto prima, prevenendo il mutamento delclima in atto o almeno mitigandolo: buona parte della percentuale del limite del 2 per cento da nonsuperare è stata già compromessa per precise responsabilità dei Governi, che hanno messo inpericolo l’equilibrio del sistema climatico in tutte le sue componenti come atmosfera, idrosfera,biosfera e geosfera con le loro reciproche relazioni.

6� Una sintesi dell’importante evento è contenuta nel volume Giustizia ecologica nel mondo, Rapporto ICEF 1996,

Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, Roma, 1996, 105-107. Nello stesso anno fu inviato a tutti i Governie Parlamenti del mondo l’International Report 1996 ICEF «The Global Environmental Crisis: the Need for anInternational Court of the Environment», Firenze, 1996. Il volume illustra le linee essenziali del Progetto: la suapossibile base legale; le iniziative di studio realizzate dalla UE; le iniziative promozionali già svolte nell’ambito dellaCampagna di promozione; le prese di posizione a livello politico del Parlamento europeo e di singole personalità di variPaesi.

7� Nel 2014 è stato presentato dall’UNEP e dalla UE in Bruxelles uno strumento online relativo a più di mille conflitti

ambientali in tutto il mondo soprattutto in Africa e Asia: Ejolt Environmental Justice Organisation Liabilities and Trade(www.ejatlas.org). Ai conflitti ambientali in senso stretto vanno aggiunti quelli etnici, economici, politici, religiosi inuna mappatura per continenti e nazioni come si è tentato di realizzare con il contributo recente: A. POSTIGLIONE,Ambiente Giustizia e Pace, Ariccia (RM), 2015.È interessante che UNEP ed UE leghino giustamente i conflitti alla necessità di una loro soluzione secondo «giustizia»intesa ovviamente non solo come valore morale ma anche politico e giuridico: i conflitti devono trovare uno sboccosecondo le regole del diritto sia a livello nazionale che internazionale a seconda della loro natura e rilevanza.

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L’aspetto più grave è che i Governi sembrano nutrirsi di retorica autoreferenziale e non rispondonoal mondo scientifico ed alla società civile per i loro inadempimenti e soprattutto non accettanol’autorità della Comunità internazionale sovraordinata, custode della vita delle generazioni future 8.

3. - Azzeramento totale della produzione e delle emissioni di gas serra: un’utopia? Venendoall’esame del contenuto del c.d. Accordo di Parigi (Paris Agreement) sorprende che sia stato eluso ilvero problema che è alla base e causa del mutamento climatico: la produzione delle energie diorigine fossile9.L’Accordo non prevede il divieto di produzione e neppure una data di scadenza certa: l’estrazione,la commercializzazione, il trasporto anche a grande distanza via terra e via mare continuano adessere leciti, ubbidendo alla logica economica e politica dei Governi ancora ricchi di gas ad effettoserra, ovviamente contrari a privarsene, lasciandoli nel sottosuolo ove si trovano da milioni di anni.Se questa è la realtà e se è contradditorio vietare o limitare i consumi, cioè le emissioni senzatoccare la produzione, che cosa si deve dire per essere realisti?Certo che è utopistico vietare oggi l’utilizzo di tutte le energie di origine fossile con effettoimmediato, anche se sarebbe logico, perché il consumo presuppone la produzione e va consideratounitariamente con essa.La verità è che il fenomeno globale del mutamento climatico interessando un bene assoluto eprioritario comune a tutta l’umanità esige scelte nel segno di una nuova solidarietà, sicché anchel’energia non può sottrarsi a questo principio10. Non si possono curare gli effetti senza aggredire le cause. Le energie fossili climalteranti non sonofrutto di un investimento con rischio economico significativo dei Paesi sul cui territorio si trovano.La scoperta del petrolio in Arabia Saudita avvenne nel 1930, facendo di questo Paese l’arbitro degliequilibri economici non solo nel Medio Oriente ma nel mondo intero, con il consenso delle setteSorelle multinazionali americane.Le energie fossili sono servite nella prima fase dello sviluppo economico, ma ora danneggiano inprospettiva la stessa economia globale e non solo l’ambiente. La Comunità internazionale deveporsi con urgenza il problema di stabilire regole economiche-ecologiche serie e certe per i Paesiproduttori, perché anche essi devono concorrere alla difesa del clima terrestre. Questo manca deltutto nell’Accordo di Parigi, compromettendone l’efficacia.Mancando una data certa sulla cessazione della produzione di energie fossili, lo stesso mondoeconomico più innovativo non può programmare per tempo adeguatamente l’impiego massiccio di

8� Nella rivista OUEST-FRANCE del 15 ottobre 2015, in coincidenza con la Conferenza sul clima, sono pubblicate le

voci di molti esperti tra cui Gilles Boeuf, Università Pierre e Marie Curie, applicato allo Osservatorio oceanografico diBanyuls-sur-Mer, il quale dichiara: «La mer c’est l’avenir de l’humanité. L’Océan, jusqu’à présent, a toujours étéextraordinairement stable. Son acidité, sa température, sa lumière.En un siècle la température moyenne de l’eau a augmenté d’un degré. La vitesse de fonte des glaciers en l’espace de 10ans, est impressionnant. Il faut savoir que si on arrêtait d’émettre du CO2 aujourd’hui, il faudrait 1000 ans pourl’éliminer. La crise économique et financière a des bases qui sont écologiques avant tout».

9� Questo aspetto è stato giustamente sottolineato da George Monbiot del The Guardian, Regno Unito, 13 dicembre

2015 «Mentre a Parigi i delegati si sono solennemente impegnati a ridurre la domanda, a casa loro i Governi continuanoad aumentare la produzione. Quello britannico si è perfino imposto l’obbligo, in base alla legge sulle infrastrutture del2015, di sfruttare al massimo il petrolio e il gas del Regno Unito. L’estrazione dei combustibili è un fatto concreto. Mal’Accordo di Parigi è pieno di fatti molto meno concreti, di promesse che possono non essere mantenute o fatte slittare.Finché i Governi non si impegneranno a lasciare i combustibili dove sono, continueranno a vanificare l’Accordo chehanno appena stretto». Uno studio accurato della problematica può essere consultato in Osservatorio di politicainternazionale, Camera dei Deputati, Servizio studi, Dipartimento affari esteri, 2015.

10� Una speciale attenzione al tema è dedicato dal volume Energia, giustizia e pace, Libreria Vaticana, 2013, a cura del

Consiglio Pontificio Giustizia e Pace presieduto dal Card. Turkson.

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energie alternative (come auspica per il 2050 Greenpeace International «Energy Revolution 2015. Asustainable world energy outlook. 100% renewable energy for all», Amburgo, 2015).

4. - Meccanismo solo «interno» di controllo dei contributi nazionali. La filosofia ispiratricedell’Accordo di Parigi è quella di puntare sui contributi nazionali nel taglio graduale delle emissionidi gas serra, contributi da verificare periodicamente all’interno delle Riunioni delle Parti 11 (IntendedNationally Determined Contributions, INDC).Non sono stabiliti neppure standards uniformi a livello internazionale ma solo un obiettivo generalecomune di non superare: la percentuale del 2 per cento di un aumento di temperatura, dando uncontributo nazionale in questa direzione. Si raccomanda di tenersi al di sotto del 2 per cento. Icontributi nazionali, come già si è detto, riguardano non la produzione delle energie fossili ma illoro utilizzo. Ma anche per la cessazione dell’utilizzo era necessario indicare una scadenza certa equesto non è avvenuto.La de-carbonizzazione della economia è rinviata sine die o più esattamente non è affidata ameccanismi obbligatori imposti dalla Comunità internazionale, ma al decorso della economiastessa: è l’economia a dover curare un problema ambientale e non viceversa, anche se il problemaambientale è diverso da quelli precedenti per la sua unitarietà e pericolosità anche economica. Seviene meno la sostenibilità della vita dell’ecosistema terrestre non vi sarà spazio per nessunaeconomia. L’aggravamento della temperatura terrestre nei suoi equilibri fondamentali assorbiràenormi risorse economiche e finanziare per inseguire i danni ove si producono, per ripararli omitigarli e non vi saranno risorse sufficienti per la prevenzione e lo sviluppo.Il compromesso di Parigi non sembra riuscito, al di là delle buone intenzioni e degli sforzi delGoverno francese. La preparazione della Conferenza di Parigi è stata molto accurata, perchépreceduta dalla richiesta di relazioni sulla situazione da parte dei Paesi, relazioni effettivamentepervenute da buona parte di essi (esattamente 149 Paesi).Anche il Papa in occasione del Messaggio del 1° gennaio 2016 ha ricordato «lo sforzo fatto perfavorire l’incontro dei leader mondiali nell’ambito della Cop 21, al fine di cercare nuove vie peraffrontare i cambiamenti climatici e salvaguardare il benessere della Terra, la nostra casa comune».Uno sforzo necessario anche per realizzare gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile (Addis Abeba eAgenda 2030 delle N.U.).Sul piano etico e religioso questo è pienamente condivisibile, ma purtroppo occorre calarsi nellarealtà giuridica e politica dei Governi. Si può parlare di alcuni successi parziali, ma il camminoappare molto difficile. Fra i successi – ma dipende dal punto di vista che si assume – si possonoannoverare: la fissazione di uno standard unico finale inderogabile del 2 per cento di aumento dellatemperatura; la sostanziale universalità politica dei Governi presenti, compresi Cina, India, Brasile,USA e UE; la eliminazione di Paesi esclusi dall’obbligo generale; la previsione di controlli periodiciquinquennali per tutti sia pure interni e senza sanzioni.Chi parla di successi, sia pure parziali, in realtà guarda ai fallimenti delle Riunioni delle Partiprecedenti (soprattutto Copenaghen 2009). Chi parla di insuccesso, considera la mancataproibizione della produzione delle energie fossili, che era urgente almeno per il carbone; la nonadeguata valutazione del settore agricolo che influenza il clima egualmente; la esclusione di settorieconomici come quelli relativi al trasporto aereo e marittimo; i tempi troppo lunghi di entrata in

11� I meccanismi interni di controllo delle Convenzioni ambientali vengono qui criticati perché ritenuti insufficienti,

parcellizzati, senza una governance autoritativa anche esterna agli Stati parti. L’utilità dei controlli interni certo serve amigliorare il contenuto prescrittivo delle Convenzioni ed a favorirne l’attuazione; non funziona però nei casi in cuil’inadempimento persiste ed è grave rispetto agli obiettivi generali comuni da raggiungere. Si veda: C. IMPERIALI,L’effectivité du droit International de l’environnement, Université d’Aix-Marseille III, Economica, 1998 CERIC, conuna prefazione di Alexander Kiss che prospetta come necessaria in prospettiva la governance globale con veri organisovranazionali amministrativi e giurisdizionali per l’ambiente. Critiche sul meccanismo arrivano anche daCoalitionClimate, un insieme di 300 ONG nel mondo.

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vigore delle nuove norme e relativi controlli; la mancata previsione di controlli esterni agli Stati acarattere sovranazionale perché ritenuti non una necessità...Il maggior consenso è stato reso possibile per la rinuncia ad incidere sulle cause che impediscono lade-carbonizzazione della attuale economia: da una parte sono stati accontentati i Paesi produttori dicarbone, petrolio e gas naturale con relative multinazionali, dall’altra i Paesi in via di sviluppo nonpronti ad una rivoluzione tecnica ed economica per carenza di risorse finanziarie.Nel caso della fascia di ozono, la Comunità internazionale adottò strumenti efficaci con esitopositivo, tenendo presenti non solo le emissioni dei clorofluorocarburi ma i loro impieghi nellaproduzione e nel consumo in tutti i settori interessati. Così era avvenuto anche per l’inquinamentoatmosferico (Ginevra 1979 e soprattutto numerosi Protocolli successivi con relativi divieti disostanze pericolose). Questa logica-anche se è più difficile-si imponeva anche per il clima, essendonoti:- i Paesi produttori di energie di origine fossile;- i gas ad effetto serra (biossido di azoto; metano; ossidi di azoto; idrofluorocarburi;perfluorocarburi; esafluorocarburi);- i settori economici interessati: settore energetico, settore dei trasporti, settore industriale, settoreagricolo, settore chimico, settore dei rifiuti.Per i Paesi produttori di petrolio non sono stati previsti almeno obblighi di limitazione dellaproduzione e poi divieto di estrazione (come se questo fosse improponibile in via di principio): inrealtà le grandi lobby del potente settore hanno ancora una volta vinto. Per i singoli gas ad effettoserra non sono stati previsti neppure standards obbligatori internazionali quantitativi e temporali. Per i settori produttivi potevano essere stabiliti almeno criteri di priorità, senza lasciare tutto alladiscrezione dei Governi nazionali. Questo non è stato neppure tentato, anzi, di autorità, come si èdetto, l’Accordo di Parigi ha escluso dal calcolo delle emissioni il grande settore dei trasporti aerei enavali per pretese difficoltà di individuare i Paesi obbligati. Questo approccio parziale è aggravato da un’altra considerazione: se la natura, le foreste, labiodiversità diffusa, i grandi polmoni verdi del mondo, le montagne sono per natura un formidabilee non costoso aiuto naturale all’assorbimento della anidride carbonica in eccesso nell’atmosfera, erasaggio impostare la politica su un doppio binario: non solo operare su produzione e consumo dienergie di origine fossile, ma contemporaneamente estendere, anche con incoraggiamenti economicie finanziari, le aree libere della natura.L’Accordo di Parigi ha ignorato questo aspetto fondamentale, leggendo il clima in un’ottica parzialeche ignora di fatto la biosfera e la geosfera. Si legge nel preambolo che è importante «assicurare laintegrità di tutti gli ecosistemi, compresi gli oceani e la protezione della biodiversità», ma senzaalcun legame con gli altri strumenti internazionali nelle materie suddette.È noto che la Convenzione sulla biodiversità del 1992 non ha una base giuridica forte (perché iPaesi del Sud del mondo si sono opposti ad ogni forma di internazionalizzazione) e che simoltiplicano fenomeni di desertificazione e di abusi delle multinazionali nei polmoni verdi delPianeta, con la connivenza dei Governi locali (il Brasile è un caso emblematico).Nessun accenno concreto a tutto ciò nello Accordo di Parigi. Il clima poteva costituire unaoccasione propizia per una considerazione non settoriale del diritto internazionale dell’ambiente everamente un po’ rattrista che perfino grandi movimenti ambientalisti mondiali non si siano battuticon più forza per questi obiettivi ed in questa logica. Trovare risorse economiche e finanziarie peraiutare i Paesi sottosviluppati a conservare ed estendere i loro immensi patrimoni naturali sembrauna via prioritaria e più facile per proteggere il clima terrestre! Comunque appare una sceltacomplementare da percorrere.

5. - Assenza di una governance globale «esterna» della Comunità internazionale. Per un problemaglobale, la governance, per essere efficace, deve essere a vari livelli, nel senso di coinvolgere tutti ipossibili soggetti. L’Accordo di Parigi abbraccia solo il livello orizzontale dei Governi ed ignora il

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soggetto giuridico e politico sovraordinato costituito dalla Comunità internazionale 12. Ancor piùignora il ruolo reale della società civile, al di là delle parole.Si sconta l’errore di non avere trasformato l’UNEP in ONUE, ossia in un soggetto internazionalecapace di razionalizzare a livello esecutivo le questioni globali internazionali comuni, dandorisposte in termini di controlli, programmazione, risorse e razionalizzazione delle regole, comeaveva chiesto a Rio+20 nel 2012 sia la società civile, sia la stessa Unione europea: non bastainserire nell’attuale UNEP tutti i Governi se mancano poteri autonomi di indirizzo decisi amaggioranza.Si sconta l’errore di non aver creato una Corte internazionale per l’ambiente a carattere obbligatorioe sovranazionale accessibile non solo agli Stati ma anche alle numerose organizzazioniinternazionali e – a certe condizioni – anche alla società civile (persone, ONG, comunità ecc.), cherisente spesso direttamente del danno ambientale di rilevanza internazionale, come proposto davarie ONG e anche dal Parlamento europeo: la giustizia serve ad applicare le regole, compresequelle internazionali, se sono regole giuridiche distinte da quelle nazionali affidate alla competenzadei giudici statuali13. I casi di danno ambientale di rilevanza internazionale sono un numero enormee non trovano alcuna reale tutela giuridica nella sede propria.Il tabù della intangibilità della sovranità degli Stati è già di fatto superato dalla economiaglobalizzata e dalla finanza internazionale attraverso una serie di meccanismi del commerciointernazionale e dell’operare di multinazionali.Senza considerare che ormai il diritto internazionale non è più soltanto un diritto per gli Stati, comenegli anni passati, ma è divenuto anche un diritto per gli individui, le persone ed i popoli: i dirittiumani, compreso quello all’ambiente, sono di spettanza delle persone attenendo alla loro dignità evita ed hanno una dimensione universale: non ha senso affermare che già esiste una Corte digiustizia a L’Aia, che secondo l’attuale Statuto opera soltanto tra Stati che hanno l’accessoesclusivo14.Una governance orizzontale dei soli Governi nazionali per il clima non è sufficiente perché «zoppa»ed «incompleta». Con l’Accordo di Parigi si crea l’illusione di un modello di governance delmutamento climatico, sapendo che questo non corrisponde alla verità. Al di là della retorica e delleesibizioni di ottimismo, è questa la cruda realtà, che serve a mascherare la «responsabilità diproteggere» gravante sui Governi.L’interesse ambientale è stato sacrificato da quello economico, ancora una volta ritenuto prioritarioe prevalente. È questo che ha indotto i Governi a privilegiare un meccanismo di controllo solo

12� Vedi per una panoramica più generale: A. POSTIGLIONE, Global Environmental Governance, Bruylant, Bruxelles,2010.

13� Il ruolo dei giudici nazionali è di grande importanza in tema di ambiente per la novità e complessità della materia el’esigenza di risolvere casi in un quadro equilibrato di sviluppo della giurisprudenza. Tenere conto dell’esperienza dialtri Paesi è ugualmente opportuno perché i casi ambientali presentano spesso caratteristiche simili. L’UNEP, sin dal2002, ha favorito incontri delle Corti Supreme dei Paesi di tutti i continenti a Johannesburg e poi a Nairobi nel 2003 persensibilizzare queste istituzioni e profittare delle esperienze maturate nei vari settori ambientali. Si sono creati Forum di Giudici per l’Ambiente su base continentale come in Europa. Per informazioni sulla prima fasedi attività del Forum europeo si veda: A. POSTIGLIONE, The Role of the Judiciary in the Implementation andEnforcement of Environmental Law, Bruylant, Bruxelles, 2008. Il Forum europeo dei giudici ha ricevuto l’appoggiodelle istituzioni della UE per alcune iniziative di studio, come avvenuto ad Ostia Antica, Roma, il 27 e 28 maggio 2005,ove fu affrontato l’argomento del danno ambientale alla luce della direttiva 2004/35/UE. Si veda: A. POSTIGLIONE,Prevention and Remedying of Environmental Damage, Bruylant, Bruxelles, 2005. Sono seguite iniziative analoghe invari Paesi come Finlandia, Lussemburgo, Belgio, Francia, Polonia ed ancora Italia (Bolzano nel 2015) sempre suargomenti di interesse comunitario (biodiversità, impatto ambientale, crimini ambientali, ai sensi della nuova direttiva2008/99/CE sulla difesa del suolo). V. anche: A. POSTIGLIONE, Il ruolo della giurisprudenza in materia ambientale, inA. PIEROBON (a cura di), Nuovo manuale di diritto e gestione dell’ambiente, Santarcangelo di Romagna, 2012.

14� Si veda il significativo titolo del volume ed il contributo scientifico di: U. LEANZA, Il diritto internazionale: dirittoper gli Stati e diritto per gli individui, Torino, 2010.

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interno ed orizzontale della Convenzione sul clima ed ora anche dell’Accordo di Parigi, affidato aReport nazionali verificati nelle Riunioni periodiche degli stessi Governi.Come già si è accennato, appare curiosa e comprensibile la coincidenza di interessi tra Statiindustrializzati e Stati in via di sviluppo: questi ultimi difendono la loro «sovranità sulle proprierisorse naturali» ai fini del proprio autonomo sviluppo socio-economico, mentre i Paesi ricchi edindustrializzati (vecchi e nuovi) non hanno interesse a contrastare formalmente il concetto disovranità nazionale orizzontale per tutti, potendo contare sulla propria forza economica, finanziariae tecnica e sul ruolo di «servizio» delle multinazionali che operano in America Latina, Africa eparte dell’Asia.La Conferenza di Parigi poteva costituire l’occasione per introdurre poche regole che in modo nontanto indiretto interessano anche il clima: divieto assoluto dei paradisi fiscali; divieto assoluto diimpiego di titoli finanziari derivati tossici; divieto assoluto di commercio di prodotti e beni noncompatibili con l’ambiente; obbligo di introduzione di una carbon tax (OECD, 2015, Taxing EnergyUse); divieto di sostegni pubblici ai settori delle energie fossili come ancora accade, ecc. È vero chela Conferenza di Parigi riguardava solo il clima ma si dà il caso che il clima è tutto l’ambiente nellasua unità, come insegna la scienza e come accertato in modo inequivocabile dai Rapporti dell’IPCC,compreso quello ultimo davvero allarmante del 2014. Si apre ora la prospettiva nuova dellasicurezza.Bisognerà pur cominciare a rafforzare il modello delle Nazioni Unite rimasto sostanzialmente fermoal concetto di «sicurezza» tra Stati dopo la seconda guerra mondiale, allorché il tema ambientalenon si era neppure posto, mentre ora domina un concetto di sicurezza ben più ampio in un mondoglobalizzato e addirittura minacciato nei suoi equilibri fondamentali: un numero enorme di conflittilocali determinati anche dal possesso delle risorse naturali, per l’acqua, le terre fertili ed unaagricoltura in grado di assicurare il cibo, si consumano in interi continenti, alimentati anche dalfondamentalismo islamico.Questa realtà sarà aggravata dal mutamento climatico a causa della desertificazione che avanza. Inquesto contesto, a nostro parere, il tema energetico dovrebbe formare oggetto di una specificaurgente Conferenza mondiale delle Nazioni Unite, per rimediare al fallimento dei Vertici diJohannesburg del 2002 e di Rio+20 del 2012, come autorevolmente denunciato anche dal Papa nellarecente Enciclica Laudato Si dedicata all’ambiente15.

6. - Cambiamento climatico in atto: pericoli reali per la sostenibilità della vita dell’ecosistematerrestre. Non occorre essere allarmisti, ma solo realisti. Oggi il clima cambia in modopreoccupante, accelerato e riscontrabile anche da parte dell’uomo comune. A livello scientifico visono le prove della incidenza sicura dell’attività umana in varie forme, in primo luogo per leemissioni eccessive di gas ad effetto serra (ma non solo). La questione che rimane sottesa è che ilmutamento climatico incide unitariamente sulla biosfera in tutte le sue componenti, compresa quellaumana. L’accumulo di sostanze alteranti per ragioni fisiche persiste per lungo tempo anche se già da orariduciamo drasticamente le emissioni: a maggior ragione il pericolo diviene grave per la vita se ilmutamento di rotta non è serio o viene eccessivamente rinviato nel tempo. Oggi produciamo 35,7miliardi di tonnellate di gas serra, soprattutto anidride carbonica. Se continua questo ritmo, nel 2030arriveremo a 55 miliardi di tonnellate: secondo gli esperti occorre non superare nel 2030 i 40miliardi di tonnellate e non superare i due gradi di aumento della temperatura terrestre, anzifermarsi all’1 e mezzo per cento.La coscienza sociale è divenuta più informata e sensibile ed avverte con vera preoccupazione cheincombe un pericolo sconosciuto finora, di nuovo tipo, imprevedibile, bizzarro, potenzialmente

15� L’Enciclica Laudato Si è stata pubblicata da Libreria Editrice Vaticana nel 2015. Nello stesso anno il ConsiglioPontificio della Giustizia e della Pace ha curato il volume Terra e cibo, a cura della stessa Casa editrice, con laprefazione del Card. Turkson e di Mons. Toso.

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minaccioso e pericoloso per i propri beni, le proprie abitudini, la propria salute, la propria vita:alluvioni devastanti, precipitazioni anomale di pioggia e neve, lunghe stagioni secche ad altatemperatura, scioglimento di ghiacciai e della neve, alterazione delle stagioni con riflessi sullepratiche agricole...Il mutamento climatico in atto fa crescere il livello di mari ed oceani per effetto delsurriscaldamento, ne favorisce l’acidificazione, influisce sulla vita di pesci ed altre forme viventi;minaccia moltissime isole del Pacifico e più in generale molte città costiere; incide su boschi eforeste; favorisce la desertificazione di vastissime aree e gli spostamenti obbligati di uomini edanimali; incide sulla struttura superficiale produttiva dei suoli e di conseguenza sulla loro fertilità...La mitigazione e l’adattamento richiedono tempo e risorse, allo stesso modo degli investimenti innuove energie e nuove tecnologie. Cambia insomma la vita dell’intero ecosistema vivente in tutte lesue componenti con riflessi sociali e sanitari imprevedibili. Nonostante le rassicurazioni più o menointeressate di varie lobby legate alla politica, la percezione sociale diffusa cambia.Le stesse leggi sul mutamento climatico saranno considerate inadeguate, come in realtà sono, aproteggere i diritti delle persone e dei popoli, se il fenomeno non è compreso anche culturalmentedalla gente: solo in tal caso sembra che il concetto di giustizia climatica anche internazionale verràconsiderato necessario, perché imposto dalla pubblica opinione a tutela del bene primario della vita.Sorprende ma non molto che il Preambolo dello Accordo di Parigi faccia riferimento ai diritti umanitra cui la salute e non richiami quello alla vita, come era doveroso fare. Allo stesso modo ildocumento nel richiamare l’importanza dei diritti umani procedimentali di informazione epartecipazione, dimentica quello all’accesso alla giustizia, che richiama l’esigenza sostanziale dieffettività. Si dirà che sono dettagli, ma sono significativi di un approccio diplomatico nonambizioso.

7. - Natura giuridica dell’Accordo di Parigi e problema delle responsabilità. L’Accordo di Parigisul clima (non «Trattato» termine non gradito agli USA) è preceduto da un lungo documentointroduttivo, sottoposto dal Presidente ai delegati delle Parti, che si muove nella logica dellacontinuità con la Conferenza quadro del 1992 e le Conferenze successive.La lettura è utile a fini interpretativi e consente di conoscere in dettaglio il lavoro preparatorio, nonfacile, svolto per l’approvazione del testo contenuto nell’allegato. Esso riproduce lo schemadell’Accordo:- un preambolo indicante le finalità generali;- alcuni dettagli formali (il termine utilizzato, cioè accordo e non trattato o protocollo alla luce dellepossibilità indicate dalle Parti nella decisione della XVII riunione di Durban; il ruolo del SegretarioGenerale delle NU quale depositario e organizzatore della firma; la previsione di una liberaattuazione ancor prima della ratifica ed entrata in vigore; la creazione di un Gruppo di Lavorospeciale; la sostanziale coincidenza delle riunioni delle Parti sia per la convenzione quadro che perl’Accordo di Parigi);- dettagli su come compilare le contribuzioni scritte nazionali onde favorire la comparazionesecondo criteri comuni condivisi;- dettagli sul concetto di attenuazione ed obblighi relativi;- dettagli sul concetto di adattamento ed obblighi relativi;- dettagli sul concetto di perdite e pregiudizi da considerare dovuti al mutamento climatico;- dettagli sul concetto di finanziamenti e soggetti obbligati o beneficiari;- dettagli sul trasferimento di tecnologie e soggetti obbligati o beneficiari;- dettagli sul rafforzamento delle capacità dei Paesi in via di sviluppo;- dettagli sul dovere di trasparenza;- dettagli sul concetto di bilancio globale climatico;- dettagli sul concetto della società civile e suo coinvolgimento.L’Accordo vero e proprio si compone di un preambolo e di 29 articoli. Come si è già detto, è statosottoscritto dalla totalità dei Paesi membri delle NU, cioè centonovantaquattro Paesi più l’Unione10

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europea: questo certamente ha un peso politico e giuridico, perché sottolinea il suo carattereuniversale quale voce della Comunità internazionale nel suo insieme.L’entrata in vigore è prevista per il 2020 ma, come si è accennato, il documento preliminare, pureapprovato, consente una libera attuazione anticipata da parte dei Governi che lo desiderano. Laratifica finale richiede il numero di almeno cinquantacinque Paesi, che rappresentinocomplessivamente il 55 per cento delle emissioni di gas serra.L’Accordo di Parigi non è di immediata e generale applicazione ma già da ora prevede meccanismiutili di implementazione. In base al principio giuridico generale del diritto internazionale (che havalore anche consuetudinario) si tratta di uno strumento legale che obbliga le Parti al suoadempimento (pacta sunt servanda).L’obbligazione giuridica principale prevista è contenuta nell’art. 2, punto a): «contenere l’aumentodella temperatura media del pianeta nettamente al di sotto di 2° C rispetto al livello preindustriale eproseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5° C». Si tratta di un obbligo generale comune a tutte le Parti: un obbligo di risultato. Nello stesso art. 2sono contenuti altri due obblighi giuridici:- rinforzare le capacità di adattamento agli effetti nefasti del mutamento climatico e promuovere laresilienza ad esso, nonché uno sviluppo a bassa emissione di gas ad effetto serra tale da nonminacciare la produzione alimentare;- assicurare flussi finanziari compatibili con uno sviluppo a bassa emissione di gas ad effetto serra eresiliente ai cambiamenti climatici. Queste obbligazioni vanno adempiute secondo princìpi di equitàe di rispetto della responsabilità comune ma differenziata, tenendo conto delle capacità e contestinazionali.Il contenuto dell’Accordo, con le relative responsabilità giuridiche, ruota intorno ai seguenticoncetti:- sostenibilità;- resilienza;- adattamento.Il principio dello sviluppo sostenibile enunciato negli artt. 1, 3 e 4 della Dichiarazione dellaConferenza di Rio de Janeiro del 1992 non è sconfessato ma inquadrato in un contesto più generaledella sostenibilità, riferita agli equilibri globali del Pianeta: le due vie da seguire sono da una partela prevenzione (adottare misure di contenimento dei gas ad effetto serra, per favorire in prospettival’equilibrio del sistema, cioè la sua resilienza), dall’altra la riparazione e l’adattamento alle mutatecondizioni del clima terrestre, attenuando cioè gli effetti.La prima via relativa al taglio delle emissioni costituisce un obbligo giuridico comune di tutti iPaesi, anche se più rigido per i Paesi sviluppati. La seconda via relativa all’adattamento è considerata dall’art. 7 come una «necessità» per tutti iPaesi, soprattutto per quelli meno sviluppati; un «obiettivo mondiale», un «elemento chiave dellarisposta mondiale a lungo termine nei confronti del mutamento climatico».Il concetto di sostenibilità riferito troppo alla dimensione economica (rivelatasi causa degli squilibriclimatici gravi in atto) è silenziosamente messo in discussione, dovendosi riconoscere che la naturaè più forte e può minacciare «le popolazioni, i mezzi di sussistenza, gli ecosistemi» ed aggiungiamonoi l’ecosistema vivente terrestre complessivo. Di conseguenza l’adattamento a lungo terminediventa realisticamente una necessità strutturale in attesa di radicali mutamenti dell’economia. La necessità di una politica di adattamento ai cambiamenti climatici (anche per non configgere con ipoteri forti dominanti nell’economia, finanza e commercio internazionale) era già stata avvertitanella Riunione delle Parti di Cancun nel Messico (Cadre de l’adaptation de Cancun). La novità dell’Accordo di Parigi è che l’adattamento costituisce un obbligo giuridico primario ditutte le istituzioni, anche per evitare o ridurre perdite e pregiudizi legati soprattutto a fenomeniestremi. Ogni Paese deve elaborare e tenere aggiornato un Piano nazionale di adattamento aimutamenti climatici, renderlo pubblico ed inviarlo al Segretariato della Convenzione. Si tratta di un

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processo non solo burocratico che coinvolge tutti i soggetti istituzionali anche locali, le città, ilmondo economico, il mondo scientifico, la società civile. Tutti i Paesi dovranno fornire rapporti periodici dettagliati agli organi della Convenzione (che sonosostanzialmente gli stessi dell’Accordo di Parigi) sia per le riduzioni dei gas ad effetto serra, sia perle misure di adattamento adottate, sia per i trasferimenti e la ricezione di nuove tecnologie efinanziamenti.L’Accordo di Parigi si preoccupa giustamente di introdurre alcuni criteri: trasparenza; esattezza deidati; esaustività delle informazioni; comparabilità dei dati; coerenza... allo scopo di ottenere unquadro realistico della evoluzione del fenomeno e della risposta. L’UE si è già mossa con anticipo a partire dal 2000: Programma ECCP (European Climate ChangeProgramme) della Commissione. Successivamente è stato pubblicato il Libro Verde del 2007sempre a cura della Commissione europea dal titolo «L’adattamento ai cambiamenti climatici inEuropa-quali possibilità di intervento per l’UE». Più concreto politicamente è il successivo LibroBianco: «L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro di azione europeo» del 2009.Seguono a livello europeo le «Guidelines on developing adaptation strategies» e la cosiddettapiattaforma europea sul tema denominata Climate-ADAPT. Sono già previsti specifici strumenti finanziari a favore dei Paesi membri proprio per fronteggiare lavulnerabilità climatica con misure di adattamento. Sono quindici i Paesi che hanno elaborato Pianinazionali per l’Adattamento climatico. In Italia il tema è stato affrontato da ENEA ed ISPRA, oltreche dal Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare (v. documento 12 settembre 2013«Elementi per una Strategia nazionale di adattamento ai mutamenti climatici»).Preme sottolineare che l’orientamento comunitario è nel senso di andare oltre i «consigli» perintrodurre «obblighi» giuridici precisi agli Stati membri e ciò anche alla luce degli esiti dellaConferenza di Parigi sul clima. La difficoltà sta nel rendere partecipi i cittadini, la società civile conle sue associazioni, il mondo economico, le università, il mondo istituzionale ai vari livelli per farcrescere dal basso sul territorio un programma di difesa comune che esige nuove scelte anchedolorose.Informazione, partecipazione ed accesso quali diritti umani non solo procedimentali devono esserericonosciuti sul territorio dove vivono le persone. Le istituzioni hanno il dovere di smettere l’abitodella autoreferenzialità burocratica per affrontare con umiltà ed effettività una sfida lunga e moltodifficile insieme con le persone dove queste vivono, spiegando le priorità nelle scelte e la lorologica di rispetto del bene comune. Le responsabilità giuridiche si definiscono se questo movimentodal basso viene sperimentato con trasparenza come esige l’Accordo di Parigi.

8. - Finanza e clima: un approccio parziale e non risolutivo. 100 miliardi ogni anno è l’oneregiuridico a favore dei Paesi in via di sviluppo assunto dai Paesi sviluppati. Questa cifra ritenutainsufficiente già da ora sarà verificata dalla prassi attuativa.Il Protocollo di Kyoto non ha permesso di evitare che emissioni mondiali di gas ad effetto serracontinuassero ad aumentare: integrare tutti i Paesi nello sforzo di riduzione è una assoluta necessitàanche giuridica, perché l’obbligazione relativa al clima è per sua natura erga omnes, indivisibile etutti i soggetti coinvolti devono adempiere e possono agire «uti universi» per l’eventualeinadempimento degli altri nei confronti della Comunità internazionale e degli organi giurisdizionaliesistenti o da istituire.Secondo il nostro punto di vista, le dazioni di risorse economiche se davvero finalizzate acontrastare o mitigare i mutamenti climatici a favore dei Paesi in via di sviluppo non sono atti diliberalità ma vere obbligazioni giuridiche ispirate ad un criterio nuovo di solidarietà e perfino direciproco interesse globale: non è dunque in campo un problema ideologico di risarcimento perragioni storiche a carico dei Paesi sviluppati, ma una esigenza vitale della comunità umana nel suoinsieme già perturbata e scossa da problemi epocali dovuti al clima terrestre: migrazioni di massa dirifugiati climatici nelle aree interessate da fenomeni come l’aumento del livello dei mari (isole delPacifico e dell’Oceano Indiano; Bangladesh ed aree del Sud-Est asiatico), oppure da siccità a12

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ripetizione (area vastissima sub sahariana come denunciato ripetutamente dalla FAO e da espertiindipendenti, come Ugo Fraddosio, coordinatore del Forum di supporto all’ICEF).Il mutamento climatico interessa per problemi sanitari nuovi, per la scarsità crescente di riserveidriche, per le minacce alla sicurezza alimentare 16 per la distruzione inesorabile di moltissime speciedi piante ed animali, per la diffusa insicurezza derivante da eventi estremi che colpiscono città,comunità locali nelle persone e nei loro beni, oltre che per le minacce al patrimonio culturalemondiale esposto all’esterno.La scelta delle priorità economiche, finanziarie e di aiuto tecnologico implicherà difficilivalutazioni politiche soprattutto a carico dei Paesi del Golfo Persico e di Cina e USA (questi duePaesi da soli producono il 40 per cento delle emissioni totali) e di conseguenza a carico dellaComunità internazionale da rafforzare nel suo ruolo. Naturalmente, in modo contestuale, i Paesisviluppati devono cambiare il modello di produzione e consumo vigente, perché non più adeguatoalla sfida climatica globale [v. T. Hale (2015), «Ratchet Up: Five tools to lift climate action afterParis», Policy Memo, Blavatnik Shool of Government University of Oxford].

9. - Ruolo della cultura, della scienza, dell’etica, delle religioni, della società civile. Quando lapolitica ai vari livelli non riesce a governare alcuni fenomeni, ci si domanda se a monte può venireun aiuto risolutivo. Nel caso del mutamento climatico questo aiuto può essere davvero risolutivoperché la coscienza sociale diffusa non può fare affidamento sulla crescita economica promessa daipolitici nel momento in cui sperimenta su di sé di essere stata ingannata: se non si può più respirare[v. R.A. Rohde e R.A. Muller (2015) Air Pollution in China: Mapping of Concentrations andSources, Berkeley Earth] o bere, se si è costretti ad emigrare in massa, le persone domandano diessere difese e protette dalle istituzioni e rivendicano il diritto alla «verità ecologica» con il confortodella scienza indipendente, dell’etica della responsabilità, delle stesse religioni che tendono avalorizzare il dono della creazione ed il valore di custodia e protezione della casa comune neicomportamenti concreti.La società civile domanda di partecipare, essere informata e la conseguente necessità dell’accessoalla giustizia che si impone anche per i diritti di terza generazione con una valenza personale ecollettiva: ambiente, sviluppo, pace.Le istituzioni finora non hanno onorato questi principi ma dovranno farlo ora: le persone chiedonodi essere protette e di poter collaborare perché le sorti del clima sono legate alla loro vita.Muta lo scenario anche culturale: la sostenibilità della vita sulla Terra è minacciata dall’uomo e lanatura stessa si sta vendicando. Un nuovo patto appare necessario che coinvolga tutti.

10. - La giustizia internazionale per il clima e l’ambiente: attualità politica della problematica. Ilpreambolo dell’Accordo di Parigi contiene un accenno al concetto di «giustizia climatica»,sottolineandone l’importanza nell’azione da svolgere in relazione ai cambiamenti climatici in atto.Il punto – di per sé significativo – andava sviluppato nel testo dell’Accordo e ciò non è avvenuto.Gli Stati hanno grandi difficoltà a parlare concretamente di giustizia che inevitabilmente metterebbein discussione la effettività degli impegni da loro assunti e la relativa responsabilità giuridica.Tuttavia alcuni Capi di Stato si sono pubblicamente esposti a favore della giustizia internazionaleper l’ambiente (es. Cuba, Perù, Venezuela, Equador, prima della Conferenza di Parigi sul clima).La dottrina internazionalista, facendo riferimento ai princìpi ed alle prassi ormai maturate in tema diambiente nella evoluzione complessiva del diritto internazionale, ritiene ormai matura anchepoliticamente la problematica di una giustizia ad hoc per l’ambiente anche nella dimensionesovranazionale17.Si chiede ai Governi di inserire nella loro agenda politica il tema in tutti suoi aspetti:

16� Si veda per un esame comparato: G. CORDINI (ed), Domestic protection of food safety and qualiy rigths, Torino,2013 e Coldiretti sui dati dell’Institute of Atmospheric Science and Climate, ISAC del CNR, 2015.

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- aspetto penale riferito alle persone colpevoli di gravi crimini internazionali contro l’ambienteassimilabili ai crimini contro l’umanità di competenza della Corte penale internazionale 18;- aspetto civile della responsabilità per danno ambientale di rilevanza sovranazionale nelle areefuori della giurisdizione degli Stati ed anche nel loro territorio per omesso controllo e violazione dinorme internazionale: una responsabilità a carico anche dei Governi oltre che delle multinazionalida far valere davanti ad una Corte internazionale per l’ambiente 19 con accesso alla giustizia estesoanche alle organizzazioni internazionali, alla società civile (ONG meritevoli e singole persone innome di un diritto umano).Invocare per il clima una giustizia anche internazionale (come avvenne a Berlino nel 1995 allaPrima Conferenza delle Parti) non è improprio anche alla luce delle considerazioni che si sonosvolte in precedenza.

17� Così ad esempio F. FRANCIONI, Access to Justice in International Environmental Law, European University Instituteof Florence, Oxford University Press, 2008. V. Anche F. FRANCIONI - M. GESTRI - N. RONZITTI - T. SCOVAZZI (eds),Accesso alla giustizia dell’individuo nel diritto internazionale e dell’Unione Europea, Università di Siena, Collana diStudi, Milano, 2008.

18� La questione della punibilità di gravi crimini commessi da individui contro l’ambiente fu sollevata già dal Presidenteonorario dell’ICEF Giovanni Conso in occasione della Conferenza internazionale presso la FAO - organizzata dalMinistero degli affari esteri nel 1998 - che approvò lo Statuto della Corte penale internazionale. Il tentativo fuaccompagnato da uno specifico evento parallelo dell’ICEF, nella stessa data, in Roma, con la richiesta di inserire icrimini internazionali contro l’ambiente tra i crimini contro l’umanità. Il tentativo non ebbe successo, ma si aprì unospiraglio formale: un articolo dello Statuto (121, comma 3) consente alle Riunioni delle Parti - con la maggioranza deidue terzi, senza necessità di cambiare lo Statuto - di inserire nella competenza della nuova istituzione internazionalenuove fattispecie come i crimini gravi internazionali individuali contro l’ambiente. Questa è una delle possibilità chel’ICEF sostiene con i suoi esperti, se la volontà politica si orienta in tal senso nella prossima Riunione delle Parti,offrendo la sua collaborazione. Si veda: La Corte penale internazionale, a cura di Ezechia Paolo Reale, con prefazionedi Emma Bonino e presentazione di Cherif Bassiouni, Siracusa, 2002.Altri organismi scientifici e della società civile si muovono nella stessa direzione indicata da anni dall’ICEF: S.HOCKMAN, The case for an International Court for the Environment ICE, in Global Environmental Governance, a curadi Amedeo Postiglione, ICEF ed ISPRA, Ministero affari esteri, Roma 20-21 maggio 2010, 341 e ss., tema ripropostoalla Conferenza sul clima di Parigi insieme con l’ICEF.

19� La problematica relativa alla creazione di una Corte internazionale per l’ambiente è stata affrontata dalla FondazioneICEF per la prima volta a livello mondiale, a Roma, nel lontano 1989, come documentato dal volume Per un Tribunaleinternazionale dell’Ambiente, Milano, 1990, a cura di Amedeo Postiglione.Si veda anche l’elenco delle pubblicazioni inserito in Global Environmental Governance, a cura di Amedeo Postiglione,ISPRA, Roma, 2010. Il volume raccoglie importanti contributi di esperti ed istituzioni internazionali in occasione dellaconferenza ICEF presso il MAE, il 20-21 maggio 2010.Una sintesi delle ragioni giuridiche a favore del Progetto è contenuta anche in due recenti pubblicazioni: A.POSTIGLIONE, Diritto internazionale dell’ambiente, Ariccia (RM), 2014 e ID., Ambiente, Giustizia e Pace, Ariccia(RM), 2015. Si veda anche il sito ICEF: www.icefcourtpress.org.Si tratta di una reale esperienza a livello internazionale, molto apprezzata.Non è possibile in questa sede riassumere le ragioni giuridiche che consigliano di orientarsi verso la creazione di unanuova istituzione di giustizia specifica per l’ambiente in sede internazionale:- in vari Paesi la creazione di Corti specializzate ad hoc per l’ambiente non ha creato problemi sul funzionamentocomplessivo della giurisdizione (es. in Svezia, in alcuni Stati degli USA e dell’Australia);- la creazione di un Tribunale internazionale del diritto del mare non ha comportato una incompatibilità con la giàesistente Corte internazionale di giustizia;- l’accesso alla giustizia anche in sede internazionale per le persone e le organizzazioni internazionali costituisce unanecessità logica perché l’ambiente non è solo un interesse pubblico, ma un diritto umano universale nello spazio e neltempo ed è anche una convenienza politica per i Governi sui quali incombe la responsabilità di proteggere(responsability to protect);- nel diritto internazionale è ormai riconosciuto il principio della responsabilità per danno ambientale anche a caricodegli Stati;- la effettività negli adempimenti giuridici assunti dagli Stati in molte Convenzioni non può essere assicurata dagliattuali meccanismi interni e parcellizzati, in quanto il corpo dei principi e delle norme anche consuetudinarieinternazionali impongono il ruolo esterno ed indipendente tipico della funzione giurisdizionale;

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Per rispondere alla sfida climatica globale la prima risposta è quella economica 20. Occorrenaturalmente in parallelo una diversa risposta anche giuridica a tutti i livelli, che parta dallaesperienza maturata, comparando aspetti positivi e negativi. La domanda di base è: perché gli strumenti legali finora elaborati non riescono ad arrestare oalmeno contenere le grandi crisi globali ambientali, come clima, acqua, biodiversità? Se si scorrecon attenzione il Codice dell’ambiente di un Paese (ad esempio in Italia quello ottimo di StefanoMaglia, Piacenza, giunto alla 25esima edizione) si scopre che sono coperti quasi tutti i settori(acqua, difesa del suolo, atmosfera, clima, beni culturali e paesaggio, boschi e foreste, animali, florae vegetazione, parchi e riserve naturali, edilizia, urbanistica, infrastrutture, energia, dannoambientale, crimini ambientali, sostanze pericolose, rifiuti, rumore, certificazioni ambientali,

- in particolare le obbligazioni relative al clima sono erga omnes, indivisibili, unitarie e devono tutte essere adempiutenei tempi stabiliti per assicurare la finalità comune sicché una vera Corte appare necessaria per l’ambiente, essendo ilclima un concetto integrato di atmosfera, geosfera, idrosfera e biosfera;- la Corte internazionale per l’ambiente non rompe la unitarietà del diritto internazionale ma consente al valoreambiente di avere il peso giuridico che merita nella concreta attuazione della giurisprudenza sui singoli casi: la Corteopererebbe a nome e per conto della Comunità internazionale quale soggetto giuridico internazionale autonomo esovraordinato rispetto ai Governi che conservano il proprio importante ruolo secondo il principio di sussidiarietà.

20� È significativa la ricerca francese pubblicata nel volume di Jacques Attali, Pour une économie positive, Fayard,

2013. La ricerca, commissionata dal Presidente Hollande, mira ad individuare le linee possibili di uno sviluppoeconomico davvero sostenibile rispettoso dell’ambiente. Si tratta di quarantacinque raccomandazioni economiche egiuridiche insieme, ispirate ad una visione di lungo termine, che tengono conto della giustizia ed equità tra generazioni.Si segnalano, tra le altre, le raccomandazioni relative a:- definizione più ampia del concetto di impresa nel codice civile in senso sociale ed ambientale;- definizione di nuovi indicatori extra finanziari specificamente sociali ed ambientali;- definizione delle norme contabili internazionali delle imprese in senso sociale ed ambientale;- creare un Fondo mondiale per favorire investimenti a lungo termine a favore dell’ambiente;- favorire la micro finanza ambientale;- modificare le leggi bancarie per favorire i valori sociali ed ambientali;- perseguire la lotta contro i paradisi fiscali;- creare una tassa sulle transazioni finanziarie per colpire le frodi;- imporre l’obbligo generale della etichettatura ecologica dei prodotti;- incoraggiare le energie rinnovabili;- rendere obbligatorio il servizio civile ambientale;- adottare misure concrete per identificare e proteggere oggi le generazioni future;- preparare un nuova Carta mondiale delle N.U. per proteggere l’umanità;- creare un Tribunale internazionale per l’ambiente presso le N.U.;- imporre il rispetto prioritario dell’ambiente e dei diritti umani nelle procedure arbitrali presso il WTO- introdurre l’idea di una nuova «governance mondiale» che inglobi anche le istituzioni economiche, finanziarie e delcommercio esistenti in senso più trasparente e rispettoso dell’ambiente;- promuovere lo sviluppo di città vivibili.Si tratta di obiettivi condivisibili, ulteriormente precisabili, nell’ottica di una sfida indifferibile:passare da una filosofia di «mitigazione» a quella di una «cura radicale».Sembra perciò opportuno considerare le seguenti opzioni idealistiche ma non troppo:- fissare il limite di aumento accettabile della temperatura terrestre a non oltre il 1,5 per cento a scopo precauzionale,tenendo conto del trend non favorevole e della permanenza nell’atmosfera per lungo tempo di CO2 prima delloassorbimento naturale;- proteggere la capacità di rigenerazione degli ecosistemi marini e terrestri anche per ragioni alimentari;- estendere le aree di Parchi e Riserve naturali nel mare e sulla terraferma e lavorare per Riserve naturali mondiali, sia aiPoli che nei vari continenti, con forme di internazionalizzazione concordate e necessarie, onde creare una linea paralleladi contrasto al mutamento climatico in atto;- introdurre limiti temporali certi alla produzione ed estrazione di energie fossili;- vietare da subito ogni sussidio alle energie fossili;- accelerare la transizione a tutte le energie rinnovabili anche con strumenti economici e fiscali;- accelerare e favorire la ricerca, compresa quelle spaziale e della fusione nucleare;- adottare la strategia zero per rifiuti incidendo sulla prevenzione a carico totale delle imprese;- favorire l’agricoltura locale, biologica, compatibile con la protezione dei suoli;

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autorizzazioni ambientali, informazione, partecipazione ed accesso, VIA, VAS, rischi di incidentirilevanti, vigilanza e controllo, agricoltura, OGM e biodiversità, caccia e pesca, ecc.)Sembra ora necessario riconsiderare tutta la normativa condizionata dal primo tipo di sviluppoeconomico alla luce del tema non settoriale del clima per verificare quali adattamenti sianonecessari.Se si allarga l’orizzonte anche al quadro comunitario ed internazionale, ci si domanda quanto lenorme esistenti giovino veramente alla protezione del bene comune del clima terrestre e come ilsistema debba essere orientato a tale scopo.In conclusione anche per il diritto, il mutamento climatico in atto opera in un certo senso daspartiacque fra il prima ed il dopo.

Amedeo Postiglione

Preghiera per la Terra

Durante i lavori della Conferenza di Parigi sul clima (30 novembre-12 dicembre 2015) è statopossibile leggere occasionalmente, in una antica Chiesa del centro della città, la Preghiera chesegue, accompagnata da una bella immagine della sfera terrestre sostenuta da due mani. Si tratta diun segnale significativo di una accresciuta sensibilità per le sorti del Pianeta, che invoca protezione(le cri de la Terre). Sono racchiusi in modo semplice in poche righe alcuni valori che tutti possonocondividere: la cura della casa comune come dovere di tutti; la speciale responsabilità dei Capi diGoverno; l’urgenza dell’impegno per rispondere ad un duplice appello: il grido della Terra ed ilgrido dei poveri; l’unità della risposta comune alla sfida climatica; il coraggio della risposta allastessa sfida; l’ambiente come bene comune universale; l’ambiente come dono di Dio, inteso come«Dio di amore»; la destinazione universale dei beni comuni della Terra nello spazio e nel tempo,comprese le generazioni future. Ecco il testo:Prière pour la TerreDieu d’amour, enseigne-nous à prendre soin de notre maison commune.Inspire nos chefs de gouvernement au moment où ils vont se réunir à Paris pour:qu’ils entendent le cri de la Terre et le cri des pauvres;

- favorire gli spazi per vivere nelle città con misure radicali di pianificazione, parchi urbani, cinture verdi, fasce ecorridoi liberi, standard rigidi obbligatori per verde pubblico e servizi per ogni abitante, trasporto pubblico ecc. con unainversione di rotta ambientale ed urbanistica del territorio esterno da non occupare;- proteggere tutti i beni culturali, comprese misure di utilizzo di una apposita Polizia internazionale dell’ONU contro ledistruzioni intenzionali, costituenti crimini contro l’umanità;- favorire la riforma delle N.U. sulla base di un concetto di sicurezza molto più ampio includente i rischi globaliambientali da prevenire;- inglobare gli enti economici, finanziari e commerciali mondiali nell’unico modello delle N.U. riformato- considerare come una necessità ed opportunità politica la creazione per l’ambiente in sede internazionale di due poliequilibrati di governance: uno amministrativo ed uno giurisdizionale;- considerare l’ambiente come un interesse pubblico ed ancor più come un primario diritto-dovere di ogni persona,obbligando le istituzioni ad adempiere ai doveri di protezione: considerare i diritti umani di informazione,partecipazione ed accesso non solo come procedimentali ma anche sostanziali, compresa la dimensione giuridicainternazionale con le relative garanzie anche giurisdizionali;-introdurre una filosofia dei doveri ambientali e non solo dei diritti a tutti i livelli per reggere insieme il peso impostodai gravi mutamenti climatici in atto;- incidere sulle cause della crisi ambientale complessiva con una cultura della responsabilità, nel segno di una nuovasolidarietà necessaria per attuare i diritti di terza generazione: ambiente, sviluppo e pace.

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qu’ils soient unis de cœur et d’esprit en répondant de façon courageuse,en cherchant le bien commun et la protection de ce jardin magnifique que Tu ascréé pour nous, pour nos frères et sœurs,et pour les générations à venir. Amen

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