Accompagnamento Spirituale in Andrè Louf
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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
- CATANIA -
COCO IGNAZIO
SORBELLO MARIANGELA
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Chiar.mo Prof. SALVATORE GARRO
Anno Accademico 2003 / 2004
ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
E SCIENZE UMANE IN ANDRÉ LOUF
ELABORATO DEL SEMINARIO DI RICERCA
Accompagnamento spirituale e Scienze Umane - Prof. SALVATORE GARRO – A.A. 2003 / 2004 2
INTRODUZIONE
Il seminario in questione tratterà dei vari metodi di approccio ri-
guardo al problema della direzione-accompagnamento spirituale. Il pro-
fessore ci ha suddivisi in quattro gruppi che abbracciano diversi correnti
e autori: stile classico-gesuitico, stile classico-morbido, stile antropologi-
co, stile umanistico-esistenziale. Noi in questo elaborato ci occuperemo
del secondo filone: quello denominato classico-morbido ed analizzere-
mo, a riguardo, il pensiero del monaco domenicano André Louf.
André Louf, nato nel 1929 a Lovanio, è entrato nel 1951
nell’Abbazia cistercense-trappista di Mont-
des-Cats (nelle Fiandre francesi), nella diocesi
di Lille.
Ne è divenuto il Padre Abate nel 1963
(durante il concilio Vaticano II), ed ha dato le
dimissioni nel 1997, ha contribuito con i suoi
scritti e la sua umile sapienza alla riscoperta
degli elementi essenziali della vita cristiana in occidente e al rinnova-
mento della vita monastica invocato dal concilio. Lasciato nel 1998 il
servizio abbaziale, vive oggi ritirato in un eremo in Provenza, presso un
monastero di monache benedettine.
I testi di riferimento da noi utilizzati per il presente elaborato sono
stati: ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano
(BI) 1994; e ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqajon,
Magnano (BI) 1990 (per questo secondo testo abbiamo utilizzato soltanto
il capitolo della “Paternità spirituale” pp. 86-115).
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André Louf in Generati dallo Spirito, tratta della direzione spiri-
tuale che nasce tra la relazione di due persone, una delle quali si sforza di
insegnare all’altra come cercare Dio e vivere con Lui. Il Nostro preferi-
sce utilizzare il concetto di “accompagnamento spirituale” piuttosto che
di “direzione spirituale”, poiché mai come oggi la domanda di aiuto spiri-
tuale da parte di giovani e meno giovani è stata così grande e così urgente
nel cercare una guida o un maestro.
Questa avventura non è sola dei monaci o delle monache, ma in-
teressa ogni battezzato che voglia prendere sul serio il germe della vita al
fine di farlo crescere e sviluppare. Per fare ciò ha bisogno di un padre
spirituale, il quale è molto più di un maestro, poiché egli nel momento in
cui viene scelto dal discepolo diventa il modello da seguire, come lo fu
Gesù con i suoi discepoli. André Louf cita alcuni personaggi: secondo
Sören Kierkegaard il padre spirituale è più di un amico, mentre Dante
parlando della sua guida spirituale (si riferisce a Virgilio) confessa che
per lui è più di un padre.
A questo punto ciò che ci proponiamo di fare è quello di eviden-
ziare come l’autore intende definire:
� che cos’è l’accompagnamento spirituale;
� qual è il suo scopo e il suo fine
� e chi è l’oggetto e il soggetto di questo accompagnamento.
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1. ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
Per André Louf accompagnamento spirituale è come una conver-
sione continua, non solo dell’accompagnato, ma in primo luogo
dell’accompagnatore. Si tratta infatti di due esseri che si trovano a con-
fronto, che sono chiamati a fare un pezzo di strada insieme e tra i quali
deve accadere un evento importante, che non è quello di una vita qualsia-
si, ma la vita stessa di Dio. Il Nostro definisce questo evento come
l’incontro con Colui che dà la luce e la forza del Suo Spirito. L’evento si
trova a servizio del mistero della Parola di Dio, che costituisce la chiave
essenziale di ogni discernimento spirituale. Un tale discernimento pre-
suppone una disponibilità continua dell’evento della Parola, evento che si
rinnova incessantemente nel cuore del lettore cristiano, ma rimane scono-
sciuto per chi si limita a una semplice esegesi storica. Un esempio con-
creto potrebbe essere la lettura dell’AT sulla storia del popolo di Israele,
in un primo momento possiamo trovarla banale, ma attraverso di essa se
ne può discernere una storia che noi
chiamiamo santa in quanto viene
condotta da Dio.
In questo senso, ogni vera
lettura della Scrittura, che i monaci
di Occidente la identificano con il
termine di Lectio divina. Essa im-
plica un continuo esercizio di di-
scernimento in quanto raggiunge il cuore di ogni credente, il cuore diven-
ta una “ascoltante” e un “vedente” della Parola di Dio.
È importante evidenziare anche ciò che dice il NT nei confronti
del discernimento spirituale, esso non è concepibile se il soggetto non si
lascia coinvolgere in un insanabile movimento di conversione. Citando
Paolo, possiamo dire, che un tale discernimento dipende da un rinnova-
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mento del “�����” (cuore) nel senso che il soggetto in questione (Paolo) al
cuore della conversione è diventato un altro, poiché è stato rinnovato dal-
lo Spirito Santo. Solo un vero discernimento può determinare una obbe-
dienza cristiana che produca quella di Cristo accettando di andare fin do-
ve Cristo stesso è andato, nel Mistero della sua Pasqua: è stato obbedien-
te fino alla morte1, nel senso che Gesù morì in adesione alla volontà del
Padre. A riguardo è interessante l’etimologia del termine obbedienza: in
ebraico obbedire è semplicemente ascoltare «�����», in greco obbedire
«�������� = ���� + ����» indica l’atteggiamento di chi avendo ascolta-
to non si sottrae all’ascolto, ma rimane saldo in esso. L’obbedienza im-
plica la dimensione umana di persona a persona, in questo senso essa si
distingue dalla esecuzione; eseguire implica soltanto fare quello che vie-
ne detto senza pertanto che sia implicata la condivisione dell’animo, ob-
bedire significa fare proprio quello che si è ascoltato e quindi attuarlo
come proprio. L’obbedienza di Gesù non fu l’esecuzione di quello che il
Padre voleva, ma fu prima di tutto la profonda accoglienza, la profonda
condivisione di quello che il Padre voleva, cosicché Gesù ha agito per
propria libera adesione.
Per il Nostro l’obbedienza non indica in significato di avere “la
coscienza a posto”, in quanto mette il soggetto ad impegnare la sua liber-
tà, perché partecipa di un vero dramma, ma che si identifica come un
dramma salvifico, cioè essere salvati, poiché ci trasforma a diventare
uomini nuovi dotati di una sensibilità nuova e di uno sguardo nuovo.
Fino adesso abbiamo parlato di accompagnamento e di discerni-
mento spirituale, ma ancora non si è detto a chi spetta il ministero
dell’accompagnamento. In principio esso era riservato ai presbiteri, ma
per sua natura è un carisma che è disponibile per tutti e quindi può essere
esercitato da ogni cristiano. Questo ministero affonda le sue radici nel sa-
cerdozio battesimale (o comune) e non richiede “di per sé” il sacerdozio
1 Cfr. Fil 2,8.
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ministeriale, e perciò non è riservato unicamente agli uomini, ma anche
alle donne. L’accompagnatore spirituale deve rendere testimonianza delle
meraviglie che sono state a lui operate da Dio e trasmettendole ai fratelli.
2. LO SCOPO DEL COLLOQUIO SPIRITUALE
Per la tradizione l’accompagnamento si basa sul dialogo: il disce-
polo interroga suo padre nell’attesa di una parola che si presume che que-
sti sia in grado di offrirgli ed è per questo che il contenuto di questo dia-
logo lo chiamiamo comunemente: apertura del cuore o manifestazione
dei pensieri. Sarà utile distinguere, al fine di avere diversi livelli di pro-
fondità, nella relazione di accompagnamento tra:
1) dialogo di accompagnamento;
2) pedagogia spirituale;
3) paternità spirituale.
2.1. Dialogo di accompagnamento
Esso rappresenta il caso più frequente, si stabilisce a poco a poco
una intimità con una persona del proprio ambiente di cui si apprezzano
certe qualità: la capacità di accoglienza, il dono di simpatia, l’esperienza,
la prudenza, lo spirito di fede. Ci si sente a proprio agio con lei, si perce-
pisce che si possono condividere quelle cose che non con tutti si condivi-
dono. Una relazione di questo tipo è fraterna e amichevole poiché si vive
su piani di parità e nonostante la sua apparente semplicità merita di esse-
re presa sul serio perché alla lunga può diventare profonda. Ma non deve
essere necessariamente né duratura, né unica perché si dovrebbe cercare
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di far coesistere contemporaneamente più legami di questo tipo, senza
mettersi in concorrenza e senza danneggiarsi a vicenda.
2.2. Pedagogia spirituale
Essa è più specifica, ma meno comune. Come indica il termine
stesso suppone un pedagogo (inteso come educatore) e una situazione in
cui un soggetto chiede di essere preparato o formato in vista di un obiet-
tivo molto concreto: un impegno da preparare, una scelta da fare, una
prova da assumere, una svolta decisiva dell’esistenza d’affrontare.
Solo in questa circostanza l’accompagnatore non viene scelto dal
soggetto stesso, ma gli viene designato da altri, poiché in questo partico-
lare compito si richiede una persona esperta e preparata.
2.3. Paternità spirituale
La paternità spirituale si rivela all’interno di relazioni preesistenti:
due amici, padre-maestro e novizio, superiore e fratello. Ma è necessario
evidenziare che nessuno può arrogarsi il titolo di padre o madre da sé
stessi, ma perché si è scelti ad esserlo, poiché Gesù ha detto E non chia-
mate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro,
quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il
vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi inve-
ce si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato2.
Adesso cerchiamo di individuare in modo dettagliato gli effetti in
relazione all’accompagnamento spirituale. Intanto in questo colloquio
l’accompagnato è come se dicesse al suo accompagnatore: oh, se almeno
2 Cfr. Mt 23,9-12.
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tu potessi accogliermi così come sono, e continuare ad amarmi, nono-
stante tutto ciò che ti confido! E il compito di quest’ultimo sarà quello di
accogliere l’altro così come Dio lo accoglie. Dio non dice mai: ti amo
perché sei bello, ma: ti amo perché sei tu, chiunque tu sia e quali che
siano e tuoi peccati e torti.
Prima di continuare nella esposizione del colloquio è bene distin-
guere l’accompagnamento spirituale dalla confessione (o sacramento del-
la penitenza). Al presbitero, ministro del sacramento, si confessano i pec-
cati commessi per i quali si richiede l’assoluzione, con la consapevolezza
che è un sacramento, al padre spirituale, al di fuori di qualsiasi contesto
sacramentale, si manifestano i desideri e le tendenze che affiorano nel
cuore e nella immaginazione, anche se nessun peccato è stato commesso.
Perciò alla propria giuda non si manifestano i peccati commessi,
ma piuttosto ciò che i monaci chiamano i “logismoi” (i pensieri), da qui
la pratica universale del monachesimo antico chiamata apertura del cuo-
re o manifestazione dei pensieri. Usare il termine confessione, quindi, in
questo contesto, sarà errato in quanto si tratta di mettersi in luce, di sco-
prirsi di fronte al proprio interlocutore. Colui che apre il proprio cuore
non chiede una assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una parola
rassicurante, anche se così potrebbe sembrare a prima vista, chiede di es-
sere accettato per poter esprimere ad un altro desideri e sentimenti così a
lungo repressi e rimossi. Costituisce per lui un evento straordinario che
già di per sé rappresenta un enorme sollievo.
Un tale processo avviene nella terapia psico-analitica tra l’analista
e il suo paziente a cui Freud dà il nome di transfert. Freud constata con
piena ragione che i suoi pazienti erano soliti trasferire su di lui (loro ana-
lista) i sentimenti che avevano provato un tempo nei confronti dei loro
genitori. Questo miscuglio di sentimenti positivi e negativi avevano dei
prolungamenti nella loro vita di adulti e coloravano in modo abituale il
loro atteggiamento dinanzi a tutte le forme di autorità fino ad estendersi
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poi come una macchia d’olio su tutta la loro vita: alle relazioni di lavoro,
di amicizia, alle relazioni dei figli e noi possiamo aggiungere, quando si
tratta di credenti, fino ai loro legami con Dio3.
I primi momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più
difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti.
Il compito dell’accompagnatore sarà quello di accoglierli tranquillamente
e con amore poiché non si tratta di approvare o di condannare le inclina-
zioni che si affacciano, ma si tratta di accettare una persona per come si
presenta, magari anche affetta da sentimenti che riesce ad esprimere solo
con difficoltà. Siamo di fronte ad un punto delicato di questo accompa-
gnamento in quanto, dietro questa confusione, apparentemente inaccetta-
bile, si nascondono sentimenti umani insoddisfatti e difficili da esprime-
re. L’obiettivo della paternità spirituale sarà quello di avvicinare la per-
sona ai propri sentimenti e ai propri desideri più profondi, al fine di avvi-
cinarlo allo Spirito Santo. Prima di arrivarci entrerà in conflitto con due
istanze che sono in ciascuno di noi e rappresentano il nemico giurato del
Maestro interiore (è lo Spirito Santo); queste due istanze sono:
� il censore interiore;
� e lo specchio.
3 Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 75-78.
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3. COSA È, E QUAL È IL FINE DELLA RELAZIONE SPIRITUALE
Principalmente il compito dell’accompagnatore, in termini tradi-
zionali, consiste nel correggere una coscienza alterata e di sostituirla con
una coscienza retta.
3.1. Il censore interiore4
In termini psicologici, per altro più prossimi alla realtà spirituale,
consiste nel neutralizzare l’influenza nefasta del censore interiore o del
super-ego e di permettere allo Spirito Santo di agire su costui grazie
all’amore. Tutto ciò viene fatto perché il censore interiore ha la predi-
sposizione di soffocare la vita profonda dell’uomo, mentre lo Spirito San-
to e la sua legge d’amore sono l’unica sorgente della sua vera vita.
Ritornando al discorso del super-ego viene definito come
un’istanza inconscia che esercita una certa autorità sulla nostra opzione
concreta, soprattutto nella prima infanzia. Ancora oggi ne percepiamo,
senza saperlo, l’eco di disapprovazione e di incoraggiamento di ordine,
comandi o divieti ricevuti nel passato, di punizioni che ci sono state in-
flitte e di sensi di colpa da cui siamo stati schiacciati. Inutile dire che la
formazione di questo super-ego è dovuta alle tracce giuste o sbagliate
principalmente del proprio padre ed in seguito da insegnanti, educatori,
preti, ecc… che hanno lasciato in noi. Il soggetto, divenuto adulto, si tro-
va sotto il dominio di questo censore, il quale vieta certe cose, come av-
veniva in passato sotto il controllo più o meno severo del padre.
4 Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 104-131.
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Quindi il soggetto si trova in difficoltà a svelare i suoi sentimenti
e i suoi desideri, non perché sono cattivi, ma perché si sente inconscia-
mente giudicato dalla sua istanza interiore. Tale situazione si potrebbe
verificare nel momento in cui l’accompagnato si trova di fronte al suo
accompagnatore poiché vede in quest’ultimo la rappresentazione del suo
censore interiore. Per la buona riuscita che il colloquio si conclude con la
manifestazione dei desideri e dei sentimenti più profondi da parte
dell’accompagnato è necessario che ciò non avvenga, affinché si possa
raggiungere il Maestro interiore.
A tal proposito possiamo citare il caso dello scrupoloso, il quale si
trova letteralmente schiacciato sotto il peso della censura interiore, inca-
pace di scegliere tra il bene e il male. Per potere aiutare quest’uomo è i-
nutile calmare i suoi scrupoli con frasi: “questo non è male”, “non volevi
veramente fare questo”, “non eri pienamente libero in quel momento”.
Questo non è possibile perché una volta voltate le spalle l’aguzzino inte-
riore si rimette all’opera e tutto ricomincia da capo. Il metodo da utilizza-
re ai fini di liberare questa persona dalla sua prigionia sarà intanto quello
di vedere le qualità del rapporto, il quale suppone una forte dose di amore
autentico, in grado di mettere in crisi la posizione che occupa il censore
interiore. Ciò è dovuto dagli ordini ricevuti dai genitori o da qualsiasi ti-
po di autorità che diceva: “se non ti comporti come ti dico, non sarai più
amato, non ti amerò più”. Ecco perché il legame affettivo nel rapporto tra
accompagnatore e discepolo è così importante.
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3.2. Lo specchio
Oltre al censore interiore che determina un’autorità tiranna che fi-
nisce per ridurre in schiavitù, l’accompagnatore dovrà liberare il suo ac-
compagnato da un altro idolo che gli impedisce di vivere secondo la Gra-
zia. L’idolo prende il nome di “specchio”, il quale, ha la capacità di al-
lontanare il soggetto dalla sua realtà profonda, dai suoi veri desideri, e al
tempo stesso, dall’unione dallo Spirito. Esso determina l’immagine idea-
lizzata di se, che si è creata nel coso degli anni e alla quale si può essere
appassionatamente legati.
Un esempio potrebbe essere il mito di Narciso, innamoratosi della
propria immagine riflessa in uno stagno e annegato nel momento in cui
volle abbracciarla. Questo mito rappresenta simbolicamente la nostra
condizione umana: “l’immagine ideale di noi stessi portata alle stelle”.
«Quello che faccio o non faccio, le imprese in cui riesco come
quella in cui fallisco vengono tutte inconsciamente valutate con il metro
di questa immagine riflessa di me stesso. Desiderando ad ogni costo di
essere ciò che non sono in realtà, rifiuto di essere quello che sono»5.
L’accompagnatore si trova di fronte ad una realtà delicata ed una
guida poco esperta potrà solo favorire l’influenza dell’immagine spec-
chio costruita dal suo discepolo. Ciò invece che dovrà fare sarà quello di
spezzare questa immagine come evidenzia la pedagogia di Dio: nel mo-
mento in cui lo specchio e l’immagine vanno in frantumi si apre una crisi
temibile.
Il soggetto di fronte ad una crisi del genere avrà l’impressione di
aver perso ogni punto di appoggio, tanto da arrivare anche ad un crollo
psicologico, ma che potrà essere evitato mediante l’amore e la misericor-
dia infinita di Dio, in una parola, la Grazia.
5 Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 132-144.
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La storia della salvezza contiene numerosi esempi della pedago-
gia divina, una di queste è l’esperienza di Paolo. Essa inizia con lo smar-
rimento sulla via di Damasco “l’uomo è scagliato a terra, interpellato,
ridotto alla condizione di uno perso nelle tenebre”. Questo evento
all’apostolo gli ha aperto le strade verso il suo cuore profondo e gli ha
permesso di recuperare tutto ciò che ha perso (l’osservanza della legge
giudaica) nel momento in cui fece la conoscenza di Gesù Cristo.
Proprio a partire da una simile esperienza, Paolo più tardi affer-
merà convinto: “per grazia di Dio sono quello che sono”6, “mi venderò
delle mie debolezze […] ti basti la mia grazia; la mia potenza infatti si
manifesta pienamente nella debolezza […] quando sono debole, è allora
che sono forte”7.
Il padre spirituale, nel momento in cui lo specchio e la sua imma-
gine idealizzata sono in frantumi dovrà favorire questo incontro con Dio,
o per lo meno, mantenere aperta la strada. Per fare ciò dovrà resistere alla
tentazione di raccogliere i cocci dell’idolo per tentarne un restauro, affin-
ché il discepolo impari a dimorare accanto ai cocci dell’idolo primitivo
senza amarezza, nella tranquillità e nell’abbandono, con il cuore ben pre-
sto colmo di riconoscenza e di speranza. Nella maggior parte dei casi, in
una crisi del genere, saranno la pace, la fiducia e la comprensione affet-
tuosa della guida ad aiutare il discepolo. Ed una parola autentica non solo
sarà possibile, ma anche assolutamente richiesta, se sarà pronunciata con
amore e con il tono appropriato, nella maggior parte dei casi è più che
sufficiente.
6 Cfr 1Cor 15,10. 7 Cfr 2Cor 12,5-10.
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4. L’OGGETTO E IL SOGGETTO DELL’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
L’oggetto dell’accompagnamento spirituale può essere evidenzia-
to in una domanda: cos’è che ha bisogno di essere “accompagnato” nel
soggetto che fa l’esperienza della fede cristiana? La parola “esperienza”
implica un altro termine: “vita”, in quanto in questo ambito la Grazia del-
la fede cristiana è essenzialmente una vita, e nel senso più forte, indica:
movimento, tensione, crescita, tendenza a realizzarsi, ad andare verso il
termine compiuto della propria maturità. Tuttavia ciò che è vita non è
senza minaccia di morte, poiché una vita può essere paralizzata, soffocata
e anche spezzata, ma in ogni caso nulla sarà rimasto immobile perché ciò
che ha vita non si ferma.
Sarebbe bene chiarire, a questo punto, che cosa si intende per “vi-
ta cristiana”. Per dirlo con parole più semplici, si tratta di quel seme di
vita divina, che chiamiamo Grazia ricevuta al momento del Battesimo.
La Teologia tradizionale parla di questo seme di vita che si trova
nell’uomo sotto una forma ancora embrionale e lo invita a farsi strada
progressivamente attraverso forze che gli sono contrarie e che a prima vi-
sta sembrano opporglisi. Essa riconosce che l’uomo è un essere ferito e
che le tracce delle sue ferite sono a lungo presenti e operanti in lui.
L’uomo ferito, quindi, non vede ciò che c’è di Dio in lui, ed è questo il
motivo che spinge il soggetto a cercare una guida, affinché questo seme
di vita si sviluppi senza troppi imprevisti. È una vita chiamata a crescere,
a raggiungere una pienezza, a portare dei frutti. Un simile procedimento
avviene nel colloquio spirituale: il padre spirituale ascolta il suo accom-
pagnato allo scopo di far prendere consapevolezza che quello che cerca
come volontà di Dio, si trova già da qualche parte in se stesso e che tutto
sommato non dovrebbe essere così difficile da percepirlo. In questo senso
l’accompagnatore spirituale si avvicina a quella che Socrate chiamava
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“maieutica” oppure “ostetricia spirituale”, nel senso che la guida asso-
miglia sempre un po’ ad una levatrice.
Infine, affinché l’esperienza interiore della fede possa essere con-
tagiosa, deve traboccare in una attività di testimonianza, la quale toccherà
i fratelli e il mondo. Non si tratterà di insegnare, di esortare o di vietare,
di pianificare o di incoraggiare, ma piuttosto di lasciare che la vita segua
semplicemente il suo corso: “come l’acqua del fiume, una volta che sca-
turita dalla sorgente, si scava il letto, senza che intervenga per questo
un’altra forza che non sia la sua. È sufficiente la sua stessa forza”.
Allo stesso modo, il ruolo dell’accompagnatore si ridurrà nel la-
sciare che la vita di Dio faccia il suo corso in un altro, insegnando
all’accompagnato a stare esattamente al posto giusto, disponibile ad una
attesa instancabile senza fine.
Dio è sempre vicino a noi, siamo noi che siamo altrove, talvolta
lontanissimi e continuiamo a cercarlo là dove sarà sempre più difficile
incontrarlo. Sant’Agostino nelle Confessioni disse: “tardi ti amai […] si,
perché tu eri dentro di me ed io fuori. Lì ti cercavo […] tu eri più dentro
di me della mia parte più interna”8.
In conclusione, l’autore vuole sottolineare l’importanza che rive-
ste la Grazia di Dio, identificata con la gioia dell’uomo. Nel momento in
cui sarà percepita questa gioia basterà che il padre spirituale e il discepo-
lo le si aggrappino quasi alla cieca, ma con dolce testardaggine e nono-
stante tutto.
Quando la gioia di Dio è nel cuore del padre spirituale e quando la
gioia di Dio è nel cuore del discepolo, allora tutto diventa possibile, per-
chè “Dio ama chi dona con gioia”.
8 Cfr. SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, libro VIII.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
� ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Ma-
gnano (BI) 1994;
� ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqajon,
Magnano (BI) 1990.
INDICE
� INTRODUZIONE pag. 02
1. ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE pag. 04
2. LO SCOPO DEL COLLOQUIO SPIRITUALE pag. 06
2.1. Dialogo di accompagnamento pag. 06
2.2. Pedagogia spirituale pag. 07
2.3. Paternità spirituale pag. 07
3. COSA È, E QUAL È IL FINE
DELLA RELAZIONE SPIRITUALE pag. 10
3.1. Il censore interiore pag. 10
3.2. Lo specchio pag. 12
4. L’OGGETTO E IL SOGGETTO
DELL’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE pag. 14
� BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE pag. 16
� INDICE pag. 16