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G.I.O.T. 2006;32:174-197 174 Accesso transfemorale a losanga Lozenge-shaped transfemoral approach. A new technique for revision hip arthroplasty RIASSUNTO Nelle revisioni di steli protesici femorali, l’utilizzo sempre maggiore per i primi impianti di modelli non cementati lascia in fase d’intervento un miglior patrimonio osseo a disposizione per il reimpianto: nel passato, la gravità delle osteodistrofie cau- sate soprattutto alla metafisi dalle cementazioni giustificava metodi d’asportazione e sostituzione degli steli poco attenti a rispettarla nell’obbligo di cercare più affidabili ancoraggi alla diafisi; il miglior trofismo osseo riscontrabile di solito attualmente nel femore prossimale ne permette integralmente od almeno parzialmente l’utilizzo a scopo di stabilizzazione primaria e secondaria attraverso strumentari e soluzioni chi- rurgiche che la valorizzino. Da questo punto di vista, presupposto indispensabile di un buon reimpianto è un eco- nomico espianto. Nei casi di maggior impegno, con necessità cioè di accessi diretti al canale femora- le tramite apposite osteotomie per la rimozione di materiale molto approfondito, le tecniche finora descritte e maggiormente usate penalizzano univocamente la metafi- si, prevedendone la dissezione e lo scoperchiamento, emblematicamente “a libro aperto”: ciò preclude a fine intervento una valida ricostruzione strutturale a scapito della fissazione protesica intraoperatoria e della osteointegrazione a distanza. In questa presentazione si propone una variante originale delle fenestrature diafisa- rie, descrivendo una osteotomia transfemorale a losanga collocata e sagomata in modo da risparmiare rigorosamente il massiccio intertrocanterico, nel contempo ade- guata a rimuovere agevolmente qualsiasi precedente impianto, per quanto tenace, ed a permettere alla fine una sintesi molto efficace: si danno di questo illustrazioni bio- meccaniche e chirurgiche, anche a raffronto di tecniche similari. In una casistica numerosa e di molti anni, se ne valutano i risultati anatomo-funzionali, riscontran- done la buona qualità. Parole chiave: osteotomia femorale per espianto di steli protesici SUMMARY Following the ever increasing recurrence to uncemented components in primary arthroplasties, the bone stock which is found at the operating table in revision surgery of femoral stems may be properly-suited to the implant of new femoral com- ponents. In the past, the severity of the bone loss caused by the cementing techniques, particularly in the metaphyseal region, justified surgical interventions that, in order ULSS 5, Montecchio Maggiore, U.O.A. Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Civile, via Ca’ Rotte 5, Montecchio Maggiore (VI) Ricevuto il 20 giugno 2006 Accettato il 6 novembre 2006 E. Castaman C. Bergamasco A. Musetti A. Loro C. Scialabba

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G.I.O.T. 2006;32:174-197

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Accesso transfemorale a losanga

Lozenge-shaped transfemoral approach. A new technique for revision hip arthroplasty

RIASSUNTO

Nelle revisioni di steli protesici femorali, l’utilizzo sempre maggiore per i primiimpianti di modelli non cementati lascia in fase d’intervento un miglior patrimonioosseo a disposizione per il reimpianto: nel passato, la gravità delle osteodistrofie cau-sate soprattutto alla metafisi dalle cementazioni giustificava metodi d’asportazione esostituzione degli steli poco attenti a rispettarla nell’obbligo di cercare più affidabiliancoraggi alla diafisi; il miglior trofismo osseo riscontrabile di solito attualmente nelfemore prossimale ne permette integralmente od almeno parzialmente l’utilizzo ascopo di stabilizzazione primaria e secondaria attraverso strumentari e soluzioni chi-rurgiche che la valorizzino.Da questo punto di vista, presupposto indispensabile di un buon reimpianto è un eco-nomico espianto.Nei casi di maggior impegno, con necessità cioè di accessi diretti al canale femora-le tramite apposite osteotomie per la rimozione di materiale molto approfondito, letecniche finora descritte e maggiormente usate penalizzano univocamente la metafi-si, prevedendone la dissezione e lo scoperchiamento, emblematicamente “a libroaperto”: ciò preclude a fine intervento una valida ricostruzione strutturale a scapitodella fissazione protesica intraoperatoria e della osteointegrazione a distanza.In questa presentazione si propone una variante originale delle fenestrature diafisa-rie, descrivendo una osteotomia transfemorale a losanga collocata e sagomata inmodo da risparmiare rigorosamente il massiccio intertrocanterico, nel contempo ade-guata a rimuovere agevolmente qualsiasi precedente impianto, per quanto tenace, eda permettere alla fine una sintesi molto efficace: si danno di questo illustrazioni bio-meccaniche e chirurgiche, anche a raffronto di tecniche similari. In una casisticanumerosa e di molti anni, se ne valutano i risultati anatomo-funzionali, riscontran-done la buona qualità.

Parole chiave: osteotomia femorale per espianto di steli protesici

SUMMARY

Following the ever increasing recurrence to uncemented components in primaryarthroplasties, the bone stock which is found at the operating table in revisionsurgery of femoral stems may be properly-suited to the implant of new femoral com-ponents.In the past, the severity of the bone loss caused by the cementing techniques,particularly in the metaphyseal region, justified surgical interventions that, in order

ULSS 5, Montecchio Maggiore,U.O.A. Ortopedia eTraumatologia, Ospedale Civile,via Ca’ Rotte 5, MontecchioMaggiore (VI)

Ricevuto il 20 giugno 2006Accettato il 6 novembre 2006

E. CastamanC. BergamascoA. MusettiA. LoroC. Scialabba

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E. Castaman et al.

to remove and replace the femoral stems, while aiming atfinding a valid diaphyseal anchorage, gave minorattention to the metaphysis itself.On the other hand, the better bone quality which is usual-ly found, nowadays, in the proximal femur enables thesurgeon to rely, entirely or at least partially, on the meta-physis, so as to gain a primary or secondary stabilizationby recurring to surgical techniques and instrumentationsthat do exploit the proximal femur itself.From this point of view, the basic requirement for a sta-ble revision is a removal of the former implant with atechnique as bone sparing as possible.In the most complex cases, when the need arises to openthe femoral shaft through well-designed osteotomies inorder to remove deeply-seated materials, the techniquesthat have been described so far and that are widely uti-lized, as the one which is known as “open book”, areinclined to damage the metaphysis by dissecting andsplitting it.In doing this, at the end of the surgery, there is no solidstructural reconstruction, to the detriment of the immedi-ate intraoperative implant fixation and of a valid osteoin-tegration in the long run.In this paper an original version of a diaphyseal femoralwindowing is presented, by describing a lozenge-shapedtransfemoral osteotomy, placed and shaped in such a wayto spare, strictly, the intertrochanteric massif. At the sametime it is suitable to remove, in an easy way, any previouscomponent, as fixed as it may be, and to allow a very sta-ble bone reconstruction.Biomechanical and surgical figures are given to supportthese statements; furthermore the technique is comparedto other ones currently employed.The functional and anatomical outcomes, seen in anumerous and properly followed-up record of cases, havebeen evaluated in this paper; overall speaking, they havebeen rated as good.

Key words: femoral osteotomy, hip revision surgery

INTRODUZIONE

In protesica d’anca, l’utilizzo ormai pluridecennale esempre maggiore per i primi impianti di steli non cemen-tati sta modificando la tipologia delle revisioni in caso difallimento rispetto a quella su cementati, storicamenteprecedente e non desueta.

In effetti, patogeneticamente, biomeccanicamente e chi-rurgicamente l’insuccesso di uno stelo senza cemento sidiversifica molto da quello del cementato: dal punto divista operativo la differenza è data soprattutto dal gradodi conservazione o, reciprocamente, di distruzione morfo-logica e strutturale dell’astuccio femorale ospitante laprotesi, cioè del patrimonio cortico-spongioso sopravvis-suto alla vicenda protesica (bone-stock).La cementazione, se da un lato offre una valida stabilitàiniziale, in seguito, per lo più a causa di una spongiosiz-zazione meccanica dell’osso attiguo, poco sollecitato dacarichi d’interfaccia dispersi su una superficie di contattotroppo ampia, determina un’osteodistrofia circostantel’impianto, che ne indebolisce la tenuta. In aggiunta allafrequente necrosi istotossica da detriti polietilenici infil-tranti la rima d’adesione con l’osso si produce attorno allaprotesi una graduale alisteresi ed alla fine lo scollamento

Fig. 1. Necrosi istotossica da detriti polietilenici con scollamento massivodell’impianto.

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massivo (Fig. 1); in senso disgregativo si innesca a que-sto punto un ciclo vizioso alimentato dai basculamenti edagli stantuffamenti del gambo mobile, traumatici e cre-scenti, con la formazione limitrofa di vaste osteolisi lacu-nari o pseudocistiche, destruenti talvolta fino alla scom-parsa ossea. Questi fenomeni si propagano lungo il femo-re quasi sempre in senso prossimo-distale, coinvolgendoper prima e principalmente la metafisi (Figg. 2 a, b).Se questo è il destino ricorrente degli impianti cementati,la storia degli impianti ad infissione diretta, ben lungidalle conclusioni e da una possibilità di lettura esaustiva,dimostra però chiaramente come i cattivi risultati, a causadi mobilizzazione od altro, si caratterizzino per la scarsacompromissione dell’osso attiguo ad ogni livello, anchemetafisario (Fig. 3).È pur vero che, relativamente al degrado scheletrico,anche modelli non cementati, di solito avvitati o sovradi-mensionati all’apice, possono indurre degenerazioni con-simili alle cementazioni, sui medesimi processi da inazio-ne fisica ed erosione biochimica (Fig. 4); questi casi nonsono però statisticamente significativi.In questa evoluzione si comprende e si giustifica la scel-ta in passato di tecniche d’avulsione e di sostituzione

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Fig. 4. Osteolisi lacunare istotossica e da inazione meccanica in impianto avvitato.Fig. 2 a, b. Osteolisi progressiva prossimo distale.

Fig. 3. Alisteresi di limitata entità in impianto ad infissione diretta.

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degli steli poco attente al rispetto dell’osso metafisarioresiduo: la sua esiguità trofica e di massa ne scoraggiavail recupero a scopo di presa sui reimpianti e obbligava,scavalcandolo, ad ancoraggi francamente diafisari, gliunici disponibili e sufficientemente affidabili. Si è cosìverificata in questa fase una netta discrepanza fra l’ideo-logia dell’impianto primario, tesa ad una fissazione pros-simale, e quella dell’impianto da revisione, di necessitàfissato distalmente (Fig. 5).In termini biomeccanici, tale polarizzazione è comunqueuna contraddizione; rappresenta una rinuncia all’ottimaleed un suo sovvertimento, accettabile solo come soluzionedi compromesso con cui ovviare a destrutturazioni dellametafisi spesso catastrofiche; è però concettualmente edoperativamente scorretta nella misura in cui essa risultiinvece integralmente o parzialmente usufruibile a scopodi presa.

Attualmente, in una casistica delle revisioni decisamentevirata verso quadri con miglior osso di partenza, tecnichedi reimpianto che sistematicamente sacrifichino la meta-fisi o ne precludano l’utilizzo risultano anacronistiche.In quest’ottica conservativa, da vari anni, accanto a pro-tesi femorali di seconda intenzione disegnate esplicita-mente per ancoraggi isolatamente diafisari, sono statiprogettati modelli prossimalmente più riempitivi, allaricerca della presa o almeno di un contatto sulle corticaliperitrocanteriche; si tratta per lo più di esemplari modu-lari a componenti intercambiabili secondo le dimensionipiù appropriate ad un “fit”, se non ad un “press fit”, coin-volgente la maggior porzione possibile di femore (Figg. 6a, b): sono la testimonianza di una linea di tendenza, com-parsa timidamente da oramai un decennio e sempremeglio definita, che ipotizzando negli impianti secondarila possibilità di comportamenti biomeccanici almeno par-zialmente sovrapponibili ai “pensieri” e alle “azioni” deiprimi impianti, sposta la ricerca dell’osteointegrazioneanche alla metafisi, in base al massimo e miglior utilizzodel patrimonio osseo (Figg. 7 a, b).Da questo punto di vista, presupposto irrinunciabile peruna valorizzazione a scopo di presa della parte prossima-

E. Castaman et al.

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Fig. 5. Impianto a presa diafisaria con abbandono della metafisi. Fig. 6 a, b. Reimpianto press-fit a presa meta-diafisaria.

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le del femore è il suo risparmio in fase di espianto: unreimpianto economico nasce da un economico espianto.

L’ESPIANTO

Le modalità con cui svellere dal femore uno stelo d’ancafallimentare variano estremamente in base alla facilità o,reciprocamente, alla difficoltà con cui lo si può fare; que-ste dipendono soprattutto da tre fattori:1) il grado di stabilità dell’impianto, potendosi distinguere

da un lato le protesi mobilizzate, dall’altro quelle dolo-rose, lussabili, rotte ma fisse;

2) la cementazione o meno, che caratterizza le categoriedegli steli cementati ed a semplice pressione;

3) la qualità di osso residuo, nel senso di difetti morfologi-ci o strutturali del femore periprotesico, di tipo litico,quali l’alisteresi, le lacune isolate, le pseudocisti, maanche addensante, con iperostosi ed osteosclerosi.

Nelle mobilizzazioni di impianti cementati, il gambo,solitamente scollato dall’attiguo mantello plastico, è diestrazione relativamente facile; risulta però indaginosa larimozione del metacrilato per mensole di tenuta, isolottiaderenti, tappi distali ecc. che impongono la necessità diaccessi multipli al canale e comportano rischi di frattureiatrogene (Figg. 8 a, b); la spesso coesistente osteodistru-zione peri- e sotto-trocanterica esaspera la fragilità corti-cale e diminuisce la successiva reattività osteogenica. Gliimpianti non cementati mobili sono d’asportazione moltomeno impegnativa per la possibilità di una loro fuoriusci-ta in blocco dall’alto consentita dal lasco.Negli impianti stabili, per qualche motivo comunque dasostituire, gli steli cementati pongono rispetto alle mobi-lizzazioni ben maggiori difficoltà nel distacco della cro-sta di cemento, con l’obbligo frequente di fenestraturecorticali attraverso cui accedervi; di solito presentanoperò circonferenzialmente un astuccio osseo più resisten-te, che ne favorisce l’aggredibilità. Gli steli non cementa-ti, diffusamente osteointegrati o rinserrati in anelli ipero-stosici, risultano alla fine i più difficili da rimuovere,richiedendo la demolizione della solida interfaccia di col-legamento e quindi la sua esposizione per tutta la lun-ghezza dello stelo.In questa congerie di variabili anatomiche, biologiche,meccaniche, è utile definire la mappa dei possibili acces-si all’interno femorale, attraverso cui isolare e togliere ilmateriale estraneo; tipi e varianti vanno considerati inlinea ad una nuova valenza del rapporto costo-beneficio,in cui, equivalentemente alla considerazione in cui si è dasempre tenuta la presa diafisaria per il successo di unreimpianto, si prospetti l’opportunità di un buon riutiliz-zo anche della metafisi.

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Fig. 7 a, b. Sistema di steli protesici per primo impianto e revisione a comune bio-meccanica.

Fig. 8 a, b. Inclusi di cemento profondamente indovati.

a b

a

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A livello tegumentario, è convenienteripercorrere la precedente via chirurgi-ca, eventualmente allargata, così daevitare aggiuntive cicatrici in tessutiintegri; le indicazioni per una modificasostanziale dell’approccio sono rare,per lo più in relazione al dover aspor-tare calcificazioni o mezzi di sintesiscomodamente indovati o ripulire eborrare cavità ossee controposizionate.A livello scheletrico, gli accessi allostelo si possono distinguere, sullabase del settore femorale coinvolto, in4 categorie:a) accessi prossimali, in sede trocanteri-

ca e metafisaria sottotrocanterica;b) accessi distali, in sede condilica e

metafisaria sovracondilica;c) accessi prossimali allargati, estesi

associatamente dalla regione trocan-terica alla diafisi;

d) accessi diafisari o metadiafisari, conrisparmio degli estremi trocanterici econdilici.

In senso morfologico e tecnico-chirur-gico vanno dalla semplice scoperchia-tura di forami ossei preesistenti, anato-mici o patologici, ad opercoli artificia-li di piccole dimensioni in zone sele-zionate, a fenestrature di vario profiloed ampiezza ricavate lungo il femore.

ACCESSI PROSSIMALI

Sgombero trocanterico (Figg. 10 a, b)Nell’espianto di qualsiasi stelo, obbli-gatoria e comune prima fase è la com-pleta visualizzazione della sua torrettaall’imbocco prossimale tramite losgombero accurato del materiale tes-sutale che lo ricopre a ridosso del grantrocantere: è costante la presenza dicotenne cicatriziali, pseudomembra-ne, calcificazioni, ossificazioni più omeno abbondanti ed estese, tanto piùse è migrato in affondamento. Ciò ha da un lato l’irrinun-ciabile funzione di rimuovere il vincolo anatomico che lo

sbarra a mo’ di tappo o coperchio, dall’altro serve adidentificare nella sua massa laterale o sotto il collo even-

E. Castaman et al.

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Fig. 9. Tabella delle difficoltà.

Fig. 10 a, b. Sgombero trocanterico.

ESPIANTO DI STELO FEMORALE:algoritmo delle difficoltà.

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tuali congegni utili ad una presa d’estrazione, quali filet-tature longitudinali, asole per agganci, mensole o scalina-ture su cui martellare ecc. In assenza di tali facilitazioni,un tentativo di avulsione forzata dello stelo, a questopunto ben isolato e libero in alto, può effettuarsi conestrattori a ganascia in grado di ancorarsi per grippaggioal collo conico, interscambiabili per ogni modello prote-sico, su cui esercitare efficacemente degli strappi (Figg.11 a, b, c). Nella cementazione, ciò è solitamente suffi-ciente a sgusciare almeno il gambo, molto raramente ilcomplessivo blocco cementato (Fig. 12); analogamente,si possono svellere steli non cementati mobili o loro com-ponenti prossimali rotte (Figg. 13 a, b). In caso di stelistabili, molto difficilmente se ne ottiene in questo modol’estrazione per la loro forte coesione all’osso; esasperan-do la fuoriuscita, si incorre facilmente in spaccature oframmentazioni scheletriche: la manovra va quindi dosa-ta prudentemente. Persistendo il cemento, occorre sman-tellarlo: pur prevedendo accessi complementari in basealla sua diffusione endocanalare, individuata la sua inter-faccia con l’osso, né è comunque opportuna l’asportazio-

ne dall’alto nelle sue porzioni raggiungibili. In caso dicementazioni ancora tenaci, ciò non aiuta, risultandosemmai pericoloso per possibili cricche corticali daimpatti ed effetti leva. Tramite l’accesso cervicale dell’o-steotomia primaria la colata di cemento può venir frantu-mata, scollata e rimossa per una profondità variabile inbase al maggior o minor grado di adesione ed agli attrez-zi usati. Lo strumentario può consistere genericamente discalpelli, pinze, frese, aspiratori in normale dotazione,così come risultare specifico e costoso, per tentativi sofi-sticati di demolizione con osteotomi di forma e dimen-sioni apposite, microfrese ad alta frequenza, sonde adultrasuoni; in questo, ci si può avvalere del sussidio difonti luminose a fibre ottiche per una visione a tunnel e diaspiratori sottili a forte risucchio.

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Fig. 11 a-c. Estrattore a ganascia.

Fig. 12. Stelo cementato avulso in toto.

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Tutto ciò già a pochi centimetri al di sotto del piccolo tro-cantere risulta solitamente laborioso e poco produttivo,con rischio di perforazioni e false vie corticali; il tentati-vo, secondo la tecnica descritta da Glassman et al. nel1987, di approfondire l’escavazione con carotatori azio-nati attorno ad inclusi cilindrici nel canale, quali spezzo-ni protesici o blocchi di cemento, così da enuclearli allacieca, indebolisce eccessivamente la parete corticale ero-dendone lo spessore, tanto più in situazioni anatomiche divarismo o procurato femorale ove nei punti di convessitàla fresa può sfondare e fuoriuscire; lascia inoltre a perde-re abbondante segatura plastica o metallica (Fig. 14). Ècorretto insistere nell’asportazione dall’alto solo in casi dimobilizzazioni molto avanzate o scollamenti particolar-mente agevoli, demolibili a grossi frammenti; in questicasi, fortunati ma infrequenti, si può giungere al tappodistale, che si può a quel punto rimuovere similmente conla frantumazione, l’aggancio o l’aspirazione dei pezzi, oper erosione, consumandolo con perforatori prolungati;per una completa ricanalizzazione, lo si può anchesospingere in basso, senza che, per quanto corpo estraneo,produca significativi inconvenienti, purché asettico.

Osteotomia prossimaleIl semplice imbocco prossimale può venire allargato daosteotomie limitrofe: la transtrocanterica e la trocantericadi scorrimento.

E. Castaman et al.

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Fig. 13 a, b. Steli non cementati o loro monconi asportabili facilmente con acceso prossimale.

Fig. 14. Possibile carotatura di moncone diafisario ritenuto.

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L’osteotomia transtrocanterica, di rima obliqua, con laconservazione inserzionale dei glutei ed il ribaltamentocraniale del trocantere, è semplice, poco cruenta, ma disintesi problematica per le piccole dimensioni dell’apicestaccato su cui la presa e la tenuta di stabilizzazione,rispetto alle robuste distrazioni teno-muscolari ivi eserci-tate, risultano precarie: è frequente la sua diastasi e lamancata consolidazione (Fig. 15a).Lo scorrimento trocanterico, a rima longitudinale, con ilmantenimento delle inserzioni muscolari sia glutee chedel vasto laterale e la possibilità di una mobilità trasver-sale vincolata del trocantere, consente un’ampia trasla-zione anteriore o posteriore, guadagnando esposizionechirurgica nonostante le sue connessioni; si avvale quin-di di un miglior apporto sanguigno e di una più favorevo-le massa di sintesi con minor rischio di pseudoartrosi emigrazione cefalica (Fig. 15b).In relazione ai vantaggi che se ne ricavano, tali osteoto-mie risultano esageratamente invasive, migliorando dipoco l’accessibilità e comportando cospicui problemi diconsolidazione, specie nei casi frequenti di osteoporosi,con perdita di riduzione, pseudoartrosi o rifratture.Risultano utili abbastanza raramente nell’espianto di stelistabili molto corti o integrati solo in alto; comunque,anche quando ben consolidate, sono spesso il substrato ditenaci quanto fastidiose trocanteriti per sequele callogeni-che o ritenzione di mezzi di sintesi.

ACCESSI DISTALI

Ripulita la parte superiore dell’impianto, nel caso si intui-sca la mobilizzazione franca di componenti intermedienon accessibili dall’alto, cementate o meno, in alternativaa più impegnative aperture diafisarie, se ne può ottenerel’espulsione spingendole in risalita lungo il canale attra-verso una fenestratura condilica, solitamente laterale e didimensioni molto ridotte, nel cui tramite si possono intro-durre punzoni sottili. I battitori sono arcuati od a baionet-ta per adeguarsi all’elitorsione femorale, con apice botto-nuto o tronco per un’azione d’urto, di diametro non supe-riore ai 6-8 mm, in grado di scorrere nel canale ma suffi-cientemente robusto (Fig. 16). Questo tipo d’estrazione èfortunoso, con buon successo quasi soltanto per la rimo-zione di cemento mobile a grossi pezzi o di fittoni noncementati residui di una rottura in alto, purché mobili odalmeno poco integrati; nel post-operatorio, l’opercolocondilico, punto d’indebolimento della continuità seg-mentaria, espone inoltre alla possibilità di fratture secon-darie (Fig. 17).

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Fig. 16. Percussore a baionetta per pulsione distale degli steli.Fig. 15 a, b. Osteotomia transtrocanterica e di scorrimento.

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ACCESSI PROSSIMALI ALLARGATI

Il prolungamento della rima osteoto-mica al di sotto del trocantere caratte-rizza due accessi allargati al canalefemorale che sono l’osteotomia tran-sfemorale prossimale e l’osteotomiatrocanterica estesa:– l’osteotomia transfemorale prossimale

(open book), descritta da Wagner nel1978, si caratterizza per un percorso cherispettando il gran trocantere con le sueinserzioni muscolari, lo scavalca ven-tralmente e dorsalmente per prolungarsilongitudinalmente al bisogno sulla diafisifemorale, con un margine posteriore inprossimità della linea aspra, un margineanteriore parallelo sezionato attraverso lefibre del vasto laterale, un terminale tra-sverso delimitato tramite due fori di tra-pano agli angoli anterolaterale e poste-rolaterale; si ottiene così una stecca cor-ticale vascolarizzata di forma rettangolareche, cautamente rovesciata da dietro in avanti sulla cerniera vir-tuale costituita da residue connessioni fibrose della breccia an-teriore, come appunto “aprendo un libro”, espone l’intera pro-tesi e ne permette facilmente la rimozione; a termine, si lasciabene riaccostare per una sintesi con punti o cerchiaggi (Fig. 18);

– l’osteotomia trocanterica estesa, descritta da Paprosky etal. nel 1993, è una variante tecnica dell’open book, deli-neata secondo lo stesso profilo ma con una maggior auto-nomizzazione del tassello osseo che viene francamentemobilizzato, così da consentire, assieme alla visualizza-zione diretta di una buona porzione dell’invaso femorale,la traslazione longitudinale del frammento con un precisotensionamento degli abduttori che incrementa la stabilitàarticolare dell’anca (Fig. 19).

Ai fini dell’espianto, tali osteotomie si dimostrano versa-tili ed agibili su qualsiasi infisso protesico, cementato onon cementato, mobile od ancora stabile, indipendente-mente dalla lunghezza.Ai fini del reimpianto, comportano considerevoli limiti distabilizzazione primaria e secondaria: per quanto solida-mente si attui la loro sintesi e per quanto favorevolmentene avvenga la consolidazione, modificano sostanzialmen-te la zona femorale coinvolta, minimizzandone la poten-zialità di stabilizzazione primaria e inibendone quellaosteointegrativa.

E. Castaman et al.

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Fig. 17. Frattura iatrogena su opercolo condilico.

Fig. 18. Osteotomia transfemorale prossimale (Wagner).

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Intraoperatoriamente, la scissura a coperchio indeboliscepesantemente la metafisi prossimale, sacrificata ed inuti-lizzabile per la fissazione del nuovo impianto, che dev’es-sere cercata molto più in basso: ciò ha ispirato la proget-tazione e l’uso pluridecennale degli storici steli a presaesclusivamente diafisaria (Fig. 20).La diminuzione della resistenza fisica provocata dall’o-steotomia avviene in due diversi settori, ciascuno a causadi uno specifico processo:a) l’area meta-diafisaria prossimale in base alla fessurazione

d’espianto;b) l’area terminale della fessura d’espianto per il suo profilo

angolare.In ciascuno di essi sono identificabili come particolar-mente deleteri e pericolosi alcuni momenti di forza, di cuisi considerano gli effetti fratturativi sul femore in relazio-ne alla sua capacità portante, nella fattispecie dipendentedall’integrità o meno dell’astuccio corticale, ed alla loro

incisività, nella fattispecie collegata alla presenza o menodi focolai critici nella struttura.Le forze agenti su una struttura tubulare si possono ricon-durre a tre fondamentali stati di sollecitazione: longitudi-nale, trasversale e torsionale.In base al principio di “azione e reazione” di Newton, adognuno di essi la struttura oppone una forza uguale e con-traria. Il femore umano, in ordine alle richieste antigravita-rie e locomotorie del bipedismo, si è filo-ontogeneticamen-te conformato sviluppando correlatamente ad esse un preci-so sistema interno di sostegno con linee resistenti deputatea contrastare prevalentemente anche se non unicamente icarichi verticali, funzionalmente preponderanti. Tale ordi-namento, configurabile meccanicamente come una fittapalizzata di travate prossimo-distali formate da fasci osteo-nici, condiziona la capacità di reazione alle forze applicatein base alla direzione in cui si esprimono, modificandonel’effetto; nel suo ambito e per causa della sua assialità, a

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Fig. 19. Osteotomia trocanterica estesa (Paprosky). Fig. 20. Stelo da revisione a presa isolatamente diafisaria.

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parità di valore vettoriale i tre stati disollecitazione hanno risvolti criticidiversi e rispettivamente crescentiovvero minimi per le forze longitudina-li, già maggiori per le trasversali, mas-simi per le torsionali:– le forze longitudinali, in grande mag-

gioranza di pressione, sono largamen-te ammortizzate come carichi puntel-lati in relazione all’organizzazioneintrinseca a fibre dell’osso, che virisponde con un validissimo contrasto a cricco: nonostan-te che la riduzione di sezione provocata dall’osteotomia necomprometta nettamente la capacità portante, la sollecita-zione longitudinale è la meno rischiosa (Fig. 21);

– le forze trasversali, di taglio, producendo flessione, sonoscomponibili sulla sezione e rispetto ad un asse neutro chela divide approssimatamente al centro in risultanti longi-tudinali di compressione e di trazione: le prime, assimila-bili alle sollecitazioni in carico già descritte, sono ammor-tizzate dalla reazione intrinseca sul versante concavo dellaflessione; le seconde generano, al versante convesso,distacchi termino-terminali, “diastasi infrastrutturali”, inquanto l’organizzazione del materiale è sfavorevole epoco congeniale a sopportare tensioni a strappo, con cric-che e spaccature a partenza dal colmo della curvatura; ciòtanto più in presenza di assottigliamenti osteotomici (Fig.22). Il loro effetto è quindi significativo ma di entità con-tenuta in relazione alla loro parziale dispersione;

– le forze torsionali, decorrendo circonferenzialmente all’in-terno della struttura tubulare, producono nell’organizzazionea fibre parallele dell’osso distacchi latero-laterali, “scolla-menti infrastrutturali”, di ben più frequente e facile evenien-za per la peggior risposta al taglio fornita dalla coesioneinterfibrillare rispetto alla potente reazione ai carichi assialidelle medesime fibre in funzione di piloni (Fig. 23). È quin-di lo stato di maggior impegno, in cuianche minime riduzioni di sezione perosteotomie di varia dimensione posso-no avere conseguenze devastanti.

Allo scopo di valutare il grado d’inde-bolimento provocato in una strutturaassimilabile al femore da una scissuraartificiale, emblematicamente si con-siderano quindi i comportamenti e laquantificazione delle forze torsionaliin quanto di gran lunga le più dimo-strative.

Fessurazione longitudinaleLa caduta di resistenza prodotta su una struttura tubulareda una fessurazione longitudinale è relativa alla trasfor-mazione della struttura stessa da aperta a chiusa, verifi-candosi a parità di forze applicate un abbassamento dellasoglia di rottura della seconda rispetto alla prima in modoquantitativamente correlato all’ampiezza della breccia.Nei due casi, comportamenti vettoriali e formule matema-

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Fig. 21. Ottimale neutralizzazione delle forze longitudinali.

Fig. 23. Rottura longitudinale per forze torsionali.

Fig. 22. Rottura all’apice di convessità per forze trasversali.

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Tab. I. Si studiano gli effetti della torsione su una struttura cilindrica in cui è praticata un’apertura longitudinale ed in particolare si analizza la differenza di stato tension-ale interno tra la sezione chiusa (1-1) e la sezione aperta (2-2) in un modulo riproducente la conformazione di un femore medio.

In una sezione chiusa, le forze corrono circonferenzialmente in un’unica direzione (Fig. 1).

La relativa espressione matematica è:T = [2M / π (Re

4-Ri4)]. r

doveT è lo sforzo, cioè la forza applicata su unità di superficie,M è il momento torsionaleRe è il raggio esternoRi è il raggio interno, dalla cui differenza si ricava lo spessore S della pareter è la distanza dal centro della sezione.

Si osserva che all’aumentare di r aumenta lo sforzo T fino al valore Tmax in corrispondenza del raggio esterno (quando r= Re).La formula diventa allora:

Tmax = [2M / π (Re4-Ri

4)]·Re

Tmax è quindi lo sforzo che si genera sulla superficie del cilindro per effetto della torsione applicata.Il valore dello sforzo massimo nel caso specifico si ottiene imponendo esemplificatamene:

Re = 1,5 cm S = 0,4 cm Ri = Re - S = 1,1 cmPer cui, Tmax = [2M / π (Re

4-Ri4)]·Re = Re = [2M / π (1,54 - 1,14)]·1,5 = 0,26 M

Tale valore è inversamente proporzionale alla resistenza offerta alla rottura.In una sezione aperta le forze corrono circonferenzialmente, ma alle rime di sezione si riflettono con una percorrenzabidirezionale (Fig. 2).

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In questo caso l’espressione matematica diventa:

Tmax = 3M / (s2·perimetro)

doveR = raggio medio = 1,3 cma = apertura fissae il perimetro dipende dall’ampiezza della fessura.Pertanto, Tmax risulta molto superiore che nel caso precedente.Si considerano in questo senso tre ipotesi di apertura longitudinale (Fig. 3):

Caso A: fessura lineare, di larghezza minima

Perimetro = 2π·r → Tmax = 3M / s2·2π·r = 3M / 0,42·2π·1,3 = 2,29 M

La resistenza è 8,8 volte inferiore rispetto alla struttura chiusa.

Caso B: fessura a trincea, di larghezza utile (1,5 cm = 15% della circonferenza femorale media)

Perimetro = 2π·(r-a) → Tmax = 3M / s2·2π·(r-a) = 3M / 0,42·2π·(1,3-1,5) = 2,81 M

La resistenza è 10,8 volte inferiore rispetto alla struttura chiusa.

Caso C: fessura a libro (open book = 50% della circonferenza femorale)

Perimetro = (2π·r) / 2 = π·r → Tmax = 3M / s2·π·r = 3M / 0,42·2π·1,3 = 4,59 M

La resistenza è 17,7 volte inferiore rispetto alla struttura chiusa.L’andamento di tali fenomeni è rappresentabile con la relativa curva (Fig. 4):

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tiche cambiano sostanzialmente (Tab. I).In pratica, la semplice incisione per il lungo del femore nediminuisce di circa 9 volte la resistenza; uno scoperchia-mento a libro aperto la riduce di circa 18 volte. Tali valo-ri sono poi compensati dalla successiva sintesi ossea, masolo parzialmente ed in misura dipendente dalla validitàdella sintesi stessa: meccanicamente, nell’open book laricostruzione del femore realizzabile attraverso la ricon-giunzione delle due valve, solo con cerchiaggi o suturecorticali, è necessariamente precaria, in ordine alla sfug-genza intrinseca delle rime osteotomiche; prive di puntid’incastro che forniscono qualche misura di autososte-gno, al contrario appena giustapposte, danno adito a pos-sibili slittamenti e scomposizioni. La riunificazione inte-rossea avviene quindi con caratteristiche di stabilitàintrinseca ben lontane da quelle necessarie a trattenere erinserrare il nuovo stelo; al contrario è bisognevole dellasua tutela in funzione di stanga portante per conservarel’assetto di riduzione.

Profilatura tronca dell’estremo di fessuraSu una struttura tubulare, il momento torsionale agisceperpendicolarmente all’asse longitudinale e tangenzial-mente alla parete, esprimendo in questa direzione tutta lapotenza. In conformazione chiusa, la sua azione vieneammortizzata dalla reazione del materiale; in conforma-zione aperta, potrà produrre rotture in relazione alla man-cata reazione nel vuoto di fessura.

All’estremità tronca della feritoia si determina così unabrusca variazione del regime di forze, con massima effi-cacia ed effetto rotatorio per tutta la sezione aperta e mas-sima resistenza, cioè contrasto alla rotazione, all’iniziodella sezione chiusa: in corrispondenza della disconti-nuità si determina una coppia di scorrimento tendente atranciare il tubo (Fig. 24).Il profilo a spigoli retti conforma quindi la trincea così daagire nel femore come focolaio di sforzo predisponente laspaccatura: ciò richiede in compenso l’introduzione diuno stelo molto prolungato, il cui apice oltrepassi abbon-dantemente il settore critico, armando ma anche invaden-do il canale midollare (Fig. 25).Oltre al crollo della capacità meccanica nel femore supe-riore, la difficoltà di una sintesi a compressione che com-patti le valve a ridosso dello stelo in modo realmente effi-cace lascia alla sua superficie ampie diastasi contropro-ducenti l’osteointegrazione. Questa osteotomia realizzaquindi una presa marcatamente polarizzata alla diafisi,

come in realtà nell’intendimento dell’Autore e giustifica-ta a suo tempo da mancanza di alternative; ma la rinunciaad una presa metafisaria per una fissazione prevalente-mente od esclusivamente diafisaria è uno spreco nella

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Fig. 25. Necessità di prolungata presa distale dopo fenestratura prossimale tronca.

Fig. 24. Tendenziale rottura torsionale agli estremi di fessura.

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misura in cui la metafisi anatomo-biologicamente esista esia fisicamente reclutabile per la tenuta del reimpianto.

ACCESSI DIAFISARI

La necessità di accedere a materiale endocanalare neltratto intermedio del femore suggerisce aperture mirate inquel settore, contraddistinte dall’importante prerogativadi rispettare chirurgicamente gli estremi trocanterico econdilico; consistono in fenestrature diafisarie “a mini-ma” e nell’osteotomia femorale a losanga, di seguito perla prima volta descritta.– Qualora alla diafisi sia sufficiente un’apertura circoscritta

vi si possono incidere tasselli o fenestrature di ampiezzaridotta sul versante anteriore, laterale od anterolaterale, adaltezza opportuna: per primi Nelson e Weber nel 1981descrissero una tecnica di fenestratura femorale per larimozione di alcune parti del cemento con visualizzazionediretta; Sheperd e Turnbull riportarono nel 1989 una seriedi casi con piccole trincee corticali (1 x 2 cm), focalizzateal tratto terminale di colate cementizie per smantellarlemiratamente; allo stesso scopo Klein e Rubash presenta-rono nel 1991 una variante di fessura di 2 x 5 cm.Univocamente, tali aperture vengono tutte delineate con sa-gomatura quadrangolare, essendo iquattro angoli identificati e marcatitramite perforatore. Con queste carat-teristiche di dimensione e forma han-no indicazione molto selettiva, ser-vendo all’asportazione di tappi di ce-mento profondamente indovati od al-la scopertura di parti limitate di unostelo in iperpressione corticale per ri-durla nel settore irritativo (effetto pun-ta). La tecnica descritta da Morelandnel 1986 di punzonare in risalita at-traverso una piccola breccia del gene-re spezzoni di stelo residui nel canaleha successo solo se sono mobili: ancheun modesto grado di osteointegrazio-ne resiste agli aleatori trascinamenticosì praticabili (Fig. 26). Per quanto a-perture “a minima”, comportano co-munque una rilevante modifica criticadella struttura femorale per il bruscopassaggio da configurazione piena adinterrotta della sezione, con una peri-

colosa concentrazione delle forze di taglio nei punti di tran-sizione: ne deriva la predisposizione a fratture iatrogene.

– L’osteotomia transfemorale a losanga consiste in unafenestratura longitudinale sulla faccia laterale del femore,

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Fig. 26. Punzonatura retrograda (Moreland).

Fig. 27. Osteotomia transfemorale a losanga.

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anteriormente all’inserzione del grande gluteo che vienerisparmiata, di larghezza variabile dal 20% al 40% dellacirconferenza ossea in base alle necessità di esposizionetrasversale, con inizio a 7-8 cm dal gran trocantere così darispettare rigorosamente l’integrità anulare della metafisi,prolungata distalmente al bisogno in base alle necessitàd’esposizione, sagomata nei due estremi ad angolo acutosecondo un profilo complessivo a losanga, di sezione tron-co-conica (Fig. 27).

Dell’“open book” raccoglie i vantaggi ed evita gli incon-venienti.– Ai fini dell’espianto, risulta altrettanto versatile consen-

tendo un’ampia visione del letto canalare poiché, oltre chescoprirlo direttamente nel tratto diafisario, raggiunge pros-simalmente il segmento esplorabile dall’alto a corticaleintegra, con un’associazione di accessi che domina l’inte-ra interfaccia di ogni tipo di stelo.

– Ai fini del reimpianto, ha varie positività:1) la sua partenza sottotrocanterica salvaguarda integral-

mente il massiccio prossimale preservandone tutta lacapacità biologica e meccanica (Fig. 28 a, b);

2) la forma ad angolo acuto degli estremi, secondo unmeccanismo di resistenza a ponte che disperde abbon-dantemente le componenti dannose delle forze trasver-sali e torcenti, riduce al massimo l’indebolimentoiatrogeno in obbligo per il settore diafisario (Fig. 29).

Per la sua importanza biomeccanica l’apice a losanga del-l’osteotomia merita qualche precisazione.Il momento torsionale, in azione perpendicolarmenteall’asse longitudinale del femore e producente, nel caso diuna sezione tronca all’estremo di fessura, un pericolosoeffetto fratturativo a quel livello, viene scomposto inmeno deleterie risultanti laddove il profilo terminaledecorra in sfuggenza: viene quindi parzialmente ammor-tizzato (Tab. II).Inoltre, laddove una sezione tronca determina una super-ficie di scorrimento spiccatamente sensibile allo sforzotorcente ed in misura proporzionale alla sua ampiezza, lasezione in sfuggenza vi si oppone molto più validamentepoiché lo sforzo torcente riesce ad esprimere effetto discorrimento solo al suo apice e molto limitatamente, inquanto l’indebolimento strutturale è puntiforme (Fig. 30):in pratica, un tassello prolungato a losanga offre reazioneomogeneamente, con minima discontinuità.Se tali considerazioni spingono a snellire la feritoia èevidente come biologicamente ciò comporti un’invasi-vità, relativamente a scollamenti e resezioni di trattiosteo-periostali aggiuntivi, nonché obbligando in fine a

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Fig. 28 a, b. Rispetto della metafisi.

Fig. 29. Favorevole profilo a losanga.

a b

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steli più lunghi per sopravanzare e rinforzare il livellocritico.Buon compromesso sembra un angolo apicale di circa30°, tale da prolungare di appena 25 mm una fessura lar-ga 15 mm, offrendo però già con questo un utile smalti-mento delle forze: in tal caso infatti la componente frattu-rativa della forza torcente assume un valore di solo il 50%di quando agisce totalmente come su un’estremità tronca.

La maggior tenuta del punto di transito, se da un lato dimi-nuisce il rischio di rotture, dall’altro pretende una stabiliz-zazione endomidollare esigua, permettendo nel reimpian-to l’inserimento di steli relativamente corti, che oltrepassi-no appena la rima osteotomica distale (Fig. 31).3. La forma tronco-conica delle sezioni consente in fase

di successiva ricostruzione un accostamento ed unacoartazione del coperchio osseo a ridosso della sua

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Tab. II. Essendo T lo sforzo agente sul cilindro, al tratto obliquo della sezione distale si produce una sua scomposizione con una risultante Tp perpendicolare alla rima edun’altra T1 lungo di essa: Tp viene contrastata dalla reazione del tassello di riempimento, mentre T1 ha un effetto fratturativo in quanto concorre a determinare il fenomenodi scorrimento. Il valore della componente fratturativa diminuisce all’aumentare dell’angolo di incidenza e la risultante d’effetto, comunque minore della forza iniziale, ètanto meno efficace quanto minore sia l’angolo finale: in pratica lo sforzo incide totalmente solo su una superficie ortogonale, laddove, qualora questa si inclini si scarica indirezioni diverse (Figg. 1 e 2).

Le equazioni che rappresentano il fenomeno sono quelle elementari della trigonometria:

τp = τ·cosα

τ1 = τ·senα

Nel caso ad esempio di apertura con angolo acuto (α = 10°) si ottiene (Fig. 3):

τp = τ·cos (10°) = 0,98·τ

τ1 = τ·sen (10°) = 0,17·τ

Nel caso, invece, di apertura rettangolare (α = 90°) (Fig. 4):

τp = τ·cos (90°) = 0

τ1 = τ·sen (90°) = 1·τ

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culla secondo il meccanismo della coppia conica: nederiva la possibilità di una validissima quanto sempli-ce sintesi a compressione tramite pochi cerchiaggimetallici; in questo modo, le due valve si riuniscono inuna stretta ganascia anulare, dove sono fortementeimpattate ed inamovibili (Fig. 32).

È una soluzione con notevoli vantaggi meccanici, biolo-gici, biomeccanici.– Meccanicamente, in base ai principi fisici del carico di pun-

ta tale stabilizzazione produce un riassetto molto resisten-te, in quanto con una reazione a puntello all’azione torsio-nale ne neutralizza l’effetto scomponente: in pratica, l’as-semblaggio ad incastro conico ricostituisce con la pressio-ne dei cerchiaggi una struttura a sezione chiusa, un com-plesso solidale pressoché equivalente al femore integro.

– Biologicamente, in base ai principi della sintesi rigida ilcontatto stretto e l’immobilizzazione fra i due blocchiossei, uno dei quali è un vero e proprio autoinnesto corti-cale devitalizzato, favorisce la sua riabitazione vascolare:ciò riduce il rischio di necrosi ed infezione.

– Biomeccanicamente, per gli stessi principi, vicinanza erigidezza interframmentaria inducono consolidazionediretta: ciò diminuisce il rischio di pseudoartrosi.

Il sistema si comporta inoltre elasticamente, adattandosi,nella conclusiva infissione dello stelo, alla sua conforma-zione con una ridistribuzione spontanea delle forze d’in-terfaccia che le ottimizza: si favorisce così l’osteogenesi disuperficie (Fig. 33).

In sintesi, le prerogative di tale osteotomia sono:– ampia versatilità d’accesso al letto d’espianto;– assoluto rispetto della metafisi;

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Fig. 30. Riduzione della deleteria coppia fratturativa all’apice di fessura.

Fig. 31. Solidità della ricomposizione diafisaria.

Fig. 32. Semplicità ed efficacia della sintesi anulare.

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– minimo indebolimento meccanico della diafisi;– semplificazione e maggior validità della sintesi ricostrutti-

va finale.A parità di indicazioni, sembra quindi una buona evolu-zione di tecniche consimili, grazie ad un’invasività infe-riore e migliore efficacia.Dal punto di vista esecutivo, sono importanti lo studiopre-operatorio e alcune regole di tecnica chirurgica.

Pianificazione pre-operatoriaNella programmazione preoperatoria, oltre alla consuetavalutazione sulla geometria articolare ed il tipo d’espian-to con cui scegliere componenti protesiche sostitutiveadatte a compensare i frequenti problemi osteointegrati-vi ripristinando nel contempo, laddove possibile, il cen-tro di rotazione, si effettuano misurazioni indicative perle proporzioni della losanga: considerando esigenzed’ordine fisico e biologico, va disegnata nelle dimensio-ni precisamente necessarie e sufficienti alla rimozionedello stelo in situ.Si considerano per questo tre parametri:– il livello di profondità del materiale lungo il canale;– il tipo di fissazione, cementata o meno;– la qualità residua della fissazione, con mobilizzazione o

meno.Questi dati si ricavano da ordinarie indagini anamnesti-che, radiografiche e scintigrafiche.In linea di massima gli steli mobili o cementati permetto-no losanghe relativamente contenute, di lunghezza appe-na oltrepassante il livello dei depositi endofemorali e lar-

ghezza non superiore al 20% della circonferenza diafisa-ria, poiché è allora sufficiente un pertugio ristretto per ilpassaggio di attrezzi sottili e per l’estrazione di detritisminuzzati.Steli stabili, specie se integrati, richiedono scoperchiatu-re più abbondanti, con l’apice di losanga spinti vari cen-timetri oltre il loro termine e larghezza anche del 30-40%della circonferenza diafisaria in previsione di doverviesercitare attorno ed al di sotto indaginosi scollamenti,demolizioni, percussioni retrograde ecc.

Fase chirurgicaAttuato l’approccio prossimale all’anca con una delle tra-dizionali vie chirurgiche se ne prolunga longitudinalmen-te l’incisione sulla faccia laterale della coscia per quantoserve all’esposizione programmata.Si esegue prossimalmente la completa asportazione deitessuti e del materiale aggredibile dall’imbocco cervicale,curando in queste manovre, che si possono approfondiredi vari centimetri, il risparmio e l’integrità dell’astucciocorticale residuo (Fig. 34a).Per l’accesso diafisario, incisa la fascia e anteriorizzato ilvasto laterale su tutta la lunghezza della ferita, si schele-trizza la parete laterale del femore, rispettando posterior-mente le robuste inserzioni del grande gluteo e progressi-vamente caricando i tegumenti su una serie di divaricato-ri a leva. (Fig. 34b).Si segnano i contorni dell’osteotomia.Il taglio inizia prossimalmente in base al livello di curet-tatura raggiunto dall’alto, rimanendovi 2-3 cm inferior-mente: tale breve ma prezioso segmento di continuità e diaggiuntivo risparmio metafisario non ostacola il collega-mento endocanalare fra i due tratti da esplorare.Distalmente giunge al tratto pianificato in precedenza:può coincidere con il livello terminale del materiale inter-no, se di facile asportazione, o sopravanzarlo di alcunicentimetri, da 1 a 3, se si prevedono manovre complessedi enucleazione. Il punto può essere calcolato con righel-lo centimetrato da un repere anatomico ben identificabi-le, quale l’apice gran trocanterico, o con riscontro radio-scopico intraoperatorio.Posteriormente, rimane al davanti del ventaglio inserzio-nale del grande gluteo, seguendo la linea aspra in paralle-lo al profilo femorale.Anteriormente, segue a binario la linea posteriore, con uninterasse calcolato in base al materiale da estrarre: lecolate di cemento, mobili o stabili, consentono larghezzedi finestra modeste, di 1,2-1,8 cm, attraverso cui le si può

Fig. 33. Auto-assestamento elastico dell’impianto.

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frantumare ed asportare a pezzi con strumenti sottili; glisteli integrati richiedono aperture più dilatate, di 1,8-2,5cm, con cui esporli per una buona metà della loro gros-sezza ed indebolire la presa ossificativa di contorno.L’osteotomia viene eseguita con sega oscillante, inclinan-do la lama in modo da realizzare un tassello di sezioneconica, largo alla corticale esterna, più ristretto all’endo-stio (Figg. 34c e 34d); la presenza di materiale integratopuò ostacolarla con incompletezze e ponti residui facil-mente incrinabili a scalpello; facendo leva nella rima conosteotomi sottili, si stacca e si ribalta la losanga corticale

dosandone cautamente il sollevamento onde evitarne frat-ture, specialmente se osteodistrofica: ciò non è infrequen-te; talora, in contiguità con il trocantere è pergamenacea(Fig. 34e).Visualizzato così ampiamente l’impianto nella sua por-zione laterale ed all’apice, si procede con strumentarioadeguato alla sua asportazione.I gusci ed i tappi di cemento si frantumano con scalpelli efrese di varia misura, rimuovendone i frammenti grossola-ni con pinze ed i detriti più fini con lavaggio aspirato.Gli steli ben integrati richiedono la laboriosa dissecazione

Fig. 34 a-o. Tecnica chirurgica.

ba

c d

e f

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dell’interfaccia di saldatura su tutta la superficie accessibileattraverso osteotomi che, incuneandosi nella rima presumi-bile e sfruttando l’elasticità ossea, flettano la corticale e ladiscostino dallo stelo: tali forzature vanno attentamentedosate a scanso di scheggiature o frantumazioni della pare-te, di solito fortunatamente marginali (Fig. 34f). Per quantoin questo modo s’indebolisca la complessiva presa osteoin-tegrativa, residuano in parti non visualizzabili ampie con-nessioni: lo stelo può allora fuoriuscire solo a strappo, mar-tellandolo dall’apice con battitori a baionetta o applicandosul cono cefalico l’estrattore a ganascia (Fig. 34g): anchecon tali manovre è alto il rischio di fratture, in questo casoperò grossolane, talvolta devastanti, con lunghi decorsiobliqui o pluriframmentari.Rimosso l’impianto, si pulisce e cruenta accuratamente illetto canalare, raschiando lembi di pseudomembrana,inclusioni di cemento, frustoli necrotici, pulviscolometallosico ecc. (Figg. 34h e 34i).Si accosta la losanga alla sede di prelievo, ricercandone ilcombaciamento con il favore, in questo, della conicità di

sezione e la si sintetizza mediante cerchiaggi multipliappositamente dislocati nella lunghezza (Fig. 34l): lamodesta diastasi lasciata dal taglio di lama viene com-pensata dall’incastro conico ma anche dalla deformabilitàelastica dell’astuccio femorale che, stretto in più punti, siracchiude contro il tassello (Fig. 34m). Si ottiene così unafissazione rigida a stretto contatto interosseo, solida esicura premessa per una rapida consolidazione di primaintenzione (Figg. 34n e 34o).

MATERIALI E METODI

Dal 1995 al 2005 sono stati effettuati presso questo cen-tro 273 revisioni protesiche d’anca; di queste, 110 hannoincluso l’utilizzo dell’osteotomia femorale a losanga.Se ne è valutata l’efficacia in base a 4 parametri, tutti ditipo obiettivo anatomo-morfologico, nella fattispecie benesprimenti le prerogative meccaniche e biologiche dellatecnica:

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h

g

i

m n o

l

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a) qualità osteoriparativa dell’autoinnesto, indicata daltempo medio di consolidazione e dalla percentuale dipseudoartrosi a livello osteotomico;

b) capacità di riabitazione vascolare dell’autoinnesto, indi-cata dalla percentuale di necrosi della losanga;

c) qualità dell’osteointegrazione del reimpianto, indicata daisegni di produttività osteogenica lungo il nuovo stelo, daltempo della loro formazione e dalla percentuale di mobi-lizzazione dei reimpianti;

d) grado di indebolimento meccanico del femore a causa del-la fenestratura, indicato dalla percentuale di fratture iatro-gene intraoperatorie o successive a livello osteotomico.

RISULTATI

La guarigione dell’osteotomia, verificata attraverso lascomparsa radiografica della rima di sezione, si è rivela-ta inaspettatamente precoce, con tempi medi di circa 80-90 giorni; in nessun caso c’è stata pseudoartrosi. In modoemblematico, si riferisce di un caso ove, per frattura peri-protesica traumatica a 2 anni dal reimpianto, si esplorò infase di sintesi la pregressa sede di losanga, riscontrandovisivamente la scomparsa di ogni traccia di discontinuità;erano al contrario ben presenti segni di ossificazionediretta senza irregolarità corticali.a) La riabitazione vascolare dell’autoinnesto, valutata con la

ricerca di segni radiografici litici o sclerotici nel suoambito, si è verificata bene in tutti i casi, senza mai lacomparsa di aspetti distrofici correlati.

b) L’osteointegrazione del reimpianto, valutata attraverso lacomparsa radiografica nel lume canalare di ponti peripro-tesici di compatta sostitutivi di precedenti discontinuità,si è manifestata come abbondante, cioè maggiore del 30%circa dell’interfaccia, in 75 casi (68,5%); buona, cioècompresa fra il 20% e il 30% circa dell’interfaccia, in 31casi (28%); insufficiente, cioè inferiore al 20% circa del-l’interfaccia, in 4 casi (3,5%), con mobilizzazione. I quat-

tro insuccessi osteointegrativi si sono univocamentemanifestati in femori fortemente osteoporotici e sonostate imputate ad ulteriori riassorbimenti endostali divaria entità e su aree più o meno vaste.

c) La compromissione della capacità meccanica del femoreda parte della sottrazione osteotomica, valutabile tramitel’osservazione di fratture secondarie, si è rivelata moltocontenuta; si sono infatti verificate:

– 5 fratture marginali della corticale diafisaria imputabili adeffetti leva degli scalpelli nello scollamento del vecchioimpianto;

– 3 fratture complete longitudinali o trasverse alla metafisiprossimale diramantesi dall’apice della losanga, imputa-bili allo strappamento per forzatura retrograda di steliintegrati;

– 5 distacchi trocanterici, imputabili allo stesso meccanismo;– 2 fratture spiroidi ed una frammentaria diramantesi dal

tratto intermedio della fenestratura, tutte in osteoporosi etutte per manovre intraoperatorie torsionali.

Non si sono mai verificate fratture a distanza.In pratica le rotture direttamente imputabili all’apertura alosanga sono le tre torsionali, percentualmente di rilievomolto scarso (2,8%) (Tab. III).In termini funzionali, l’Harris Hip Score è passato da unvalore preoperatorio medio di 36 ad uno postoperatorio di88, con minimi di 42 e 45 nelle mobilizzazioni e massi-mo di 98: considerando che questi computi riguardanouna categoria di revisioni particolarmente difficile edimpegnativa, a tal punto “estrema” da richiedere per l’a-sportazione dello stelo prima la demolizione e poi la rico-struzione del femore, la bontà dei risultati si pone a livel-li d’eccellenza.

CONCLUSIONI

In una moderna ottica conservativa che nelle revisioniprotesiche femorali si ponga l’obiettivo di rispettare

Accesso transfemorale a losanga

196

Tab. III. Caratteristiche di validità dell’osteotomia a losanga.

Tempo medio di consolidazione Pseudoartrosi Necrosi Osteointegrazione Fratture iatrogenedella losanga sulla losanga della losanga del reimpianto sulla losanga

85 giorni 0% 0% abbondante 68,5% 2,8%

buona 28%

insufficiente 3,5%

Page 24: Accesso transfemorale a losanga · 2015-06-26 · osseo a disposizione per il reimpianto: nel passato, la gravità delle osteodistrofie cau-sate soprattutto alla metafisi dalle cementazioni

E. Castaman et al.

197

durante l’espianto la metafisi allo scopo di beneficiarneper l’osteointegrazione del reimpianto, l’osteotomia alosanga sembra una buona opzione tecnica grazie a pecu-liari caratteristiche di ridotta invasività e notevole effica-cia bio-meccanica.A fronte di un impegno chirurgico senz’altro superspe-cialistico ma con curva di apprendimento relativamentebreve, offre risultati di alta qualità ed un tasso di compli-cazioni limitato.

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