Accademia n1 2015

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IL Dottore Commercialista E L’IMPRIMATUR DELLO STATO VERSO L’ETICA di Sergio Caramella DOTTORE COMMERCIALISTA ED ETICA Anno 2015 - Serie II - Numero 1 P. 03

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IL Dottore CommercialistaE L’IMPRIMATUR DELLO STATOVERSO L’ETICAdi Sergio Caramella

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“Accademia del Dottore Commercialista”Periodico dell’Associazione Nazionale Dottori CommercialistiDirettore ResponsabileGiuseppe VillaResponsabile della RedazioneAmedeo SacrestanoRedazioneSergio Caramella (Varese), Antonio D’Errico (Bologna), Antonella Di Pucchio (Cassino), Gioacchino Galizia (Nocera Inferiore), Luigi Lovecchio (Bari), Grazia Zeppa (Rimini)EditoreAssociazione Nazionale Dottori CommercialistiComposizione e Grafica7 Segmenti (www.7segmenti.it)

Presidente Amedeo Sacrestano (Roma)VicePresidenti Michele De Tavonatti (Brescia) - Federico De Stasio (Roma)Segretario Danilo Picano (Cassino)Tesoriere Vincenzo Gattagrisi (Bari)Consiglieri Rosario Cacopardo (Catania), Sergio Caramella (Varese), Emilio Cardosi (Latina),Domenico Contini (Presidente d’onore - Roma), Riccardo Losi (Past President - Roma), Vittorio Maugeri (Past President - Roma), Ugo Mangia (Napoli), Paolo Pensotti Bruni (Past President - Varese), Sandro Riberzani (Cremona)Amministrazione e Redazione Via Groenlandia, 31 - 00144 Roma tel. 06.203967 - Fax 06.20396797www.ANDoC.info | [email protected] e Stampa Associazione Nazionale Dottori Commercialisti | Reg. Trib.di Varese n. 596/90 del 07.11.1990 Riproduzione RiservataDiffusione gratuita Gli articoli esprimono esclusivamente il pensiero personale degli autorie non impegnano in alcun modo il giornaleNumero chiuso in redazione il 11.02.2015 – Diffusione via web ed e-mailASSOCIAZIONE NAZIONALE

DEI DOTTORI COMMERCIALISTI

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L’INTERVENTO

di Amedeo Sacrestano | Presidente Nazionale ANDoC

PROfESSIONISTI E STATO: IL CONTRIBUTO DegLI ORDINIe DeLLe AssOCIAzIONI

Quelli che stiamo vivendo sono “tempi di crisi” che, per la Professione economico giuridica, appaiono ancora più cupi e difficoltosi per una serie di adempimenti burocratici e legislativi i quali, progressivamente e incessantemente, hanno collocato il Dottore Commercialista “tra l’incudine e il martello”. Per dati di fatto inoppugnabili, la funzione di “corpo intermedio” tra Stato e Cittadini appare oggi caratterizzata più da “oneri” che da “onori” ma, questa, è una costatazione nota che si vuole qui richiamare solo per evidenziare l’apparente “stranezza” della grande attenzione che la nostra Categoria ha - opportunamente e saggiamente - dedicato, negli ultimi mesi, ai temi dell’Etica e della Legalità.

Praticamente, tutte le “Associazioni sindacali” e molti Ordini locali si sono interrogati su come “rimettere in moto il Paese” e, nel contempo, rendere più agevole ed apprezzata la nostra opera professionale. Alla fine, in tutti questi consessi, è emersa l’idea di fondo che la nostra società sta vivendo una “crisi di fiducia”, generata da una progressiva quanto inesorabile “crisi” di quei “valori” che devono essere alla base di qualsiasi collettività democratica. Per “ridare fiducia al Paese” – e, dunque, superare il grave momento di difficoltà che stiamo vivendo – occorre ritrovare il senso della “collettività”, mediante l’accrescimento dell’etica nelle relazioni (anche, e soprattutto, quelle economiche).

C’è chi ha sviluppato questa tesi in chiave confessionale e chi in chiave laica. Monsignor Bruno Forte - che ci ha autorizzato a riportare, in questo numero di Accademia, alcuni stralci di un suo significativo intervento su Il Sole 24 Ore - ha espressamente fatto riferimento ad una “etica del commercialista” incentrata sui tre criteri fondamentali del dovere morale di ogni cittadino di contribuire al bene comune, dell’esigenza che questa contribuzione sia equamente distribuita e dell’affidabilità delle garanzie offerte da chi governa circa il buon uso del denaro pubblico. Lo stesso Papa Francesco non perde occasione per richiamare il principi del “discorso della montagna” del Vangelo secondo Matteo – “tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” – che, in chiave laica, costituiscono la cosiddetta “etica della reciprocità”. Per l’equilibrio in un sistema interattivo, ciascuna parte deve avere diritti e doveri: i diritti di ciascuno sono un dovere per l’altro. L’etica della reciprocità tra individui è il fondamento della dignità, della convivenza pacifica, della legittimità, della giustizia, del riconoscimento e del rispetto tra individui, delle religioni civili. La reciprocità è la base essenziale per il moderno concetto di diritti umani. Eugenio Scalfari – in un suo recente numero del “vetro soffiato” dell’Espresso – ha addirittura richiamato i valori della rivoluzione francese (quali valori di tutto l’Occidente) e si è soffermato su quello della “fraternità”, da lui definito “Spirito Santo laico”, vocazione verso il bene comune e un potere partecipato e responsabile.

Tra i diversi interventi - tutti interessanti e autorevoli - nel dibattito interno alla nostra Categoria sul tema dell’e-tica, ho particolarmente apprezzato quello di Vilma Iaria, per la quale “dobbiamo fare propri il rispetto dei va-lori civili (dignità, libertà, solidarietà, sicurezza) che non possano considerarsi acquisiti per sempre ma debbo-no essere protetti, custoditi con i comportamenti quotidiani per poter essere trasmessi alle generazioni future quale segno di civiltà e cultura”. Confliggono, queste affermazioni di principio, con le tesi - pure legittime e, per certi versi, condivisibili - di chi vorrebbe che “i commercialisti si occupino meno della collettività e più di se stessi”.

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L’INTERVENTO02

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NTO Al di là del merito della questione, evidenzio la pericolosità che una simile espressione del “diritto di critica politico”

promani dalle Istituzioni di Categoria. L’ordinamento nazionale delle libere professioni - amministrate da enti pubblici non economici - si basa sulla “tutela della fede pubblica” attribuita, quale missione precipua, al sistema ordinistico. Ovviamente, è legittimo ritenere una simile impostazione culturale “superata dalla storia” ma non si può, nel contempo, rivendicare l’utilità (e la permanenza) del sistema ordinistico e pretendere che gli ordini “facciano la politica della pro-fessione” o, in maniera ancora più inopportuna, che questi rappresentino le pur legittime rivendicazioni sindacali degli iscritti. Se non vogliamo correre il pericolo di mettere noi stessi in discussione il sistema ordinistico nazionale, le Istitu-zioni della nostra Categoria devono limitarsi ad “amministrare” la stessa mentre le Associazioni degli Iscritti possono (e devono) farsi portavoce delle esigenze dei singoli professionisti e rivendicare (in chiave politica) particolari evoluzioni del sistema normativo e regolamentare. In questo convincimento mi lascio, consapevolmente, influenzare dal rapporto da sempre strutturato tra Consiglio Superiore della Magistratura e Associazione Nazionale Magistrati: il primo Ente, in quanto soggetto Pubblico, lavora per lo Stato (e, quindi, tutti noi); il secondo Ente, in quanto soggetto privatistico, espri-me la visione “particolare” di società civile fornita da una specifica categoria professionale (e spesso, e legittimamente, si propone anche di tutelare in chiave sindacale gli interessi degli iscritti).

In questa prospettiva, Ordini e Associazioni devono confrontarsi e collaborare, per dare maggiore vigore ad un’azione culturale (prima ancora che politica) che rimetta il bene comune, la giustizia, il merito, al centro dell’attenzione di tutti i decisori strategici del Paese. Ribadisco, a nome dell’ANDoC, che - oggi più che mai - intendiamo aggregare e rappre-sentare il pensiero di chi - nell’immaginare la Professione Economico Giuridica - prevede di mettere l’interesse della Collettività, la Giustizia (in tutte le sue declinazioni) e la Conoscenza al centro del suo quotidiano operare. Tutto ciò, chiaramente, senza tralasciare la rivendicazione di legittimi “interessi corporativi”, la cui tutela sarà declinata sempre secondo i nostri Valori fondanti di “Cultura, Meritocrazia ed Etica”.

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EDIT

ORIA

LE

IL DOTTORECOMMERCIALISTA E L’IMPRIMATUR DELLO STATO VERSO L’ETICA

Con l’ordinamento, lo Stato dà l’imprimatur alla nostra professione.

Il primo insegnamento etico è l’osservanza delle regole giuridiche.

La deontologia esprime i comportamenti etici di una categoria professionale. Il codice deontologico articola i comportamenti etici a cui sono tenuti i professionisti e vengono sanzionati quelli ritenuti in contrasto con i doveri generali di dignità, probità e decoro a tutela dell’interesse pubblico, al corretto esercizio della professione, come da prefazione del nostro codice.

Il nostro codice deontologico afferma che il professionista ha il dovere e la responsabilità di agire nell’interesse pubblico e soltanto nel rispetto dell’interesse pubblico egli potrà soddisfare le necessità del proprio cliente. E’ nell’interesse della collettività che i suoi appartenenti osservino le leggi, le norme, i regolamenti ed i codici deontologici.

Le imprese hanno più che mai bisogno, per vivere e prosperare, di un contesto di legalità. Ormai viviamo in un mondo globaliz-zato di imprese ed ove prosperano le imprese prospera la società. Noi Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili siamo i pro-fessionisti delle imprese di cui curiamo la nascita, la vita e l’estinzione. Vi sono delle aree della nostra professione molto sensibili all’etica. Tra le altre, assumono particolare rilievo quella fiscale, quella patrimoniale e quella relativa alla lotta alla corruzione intesa nel senso più ampio ed invasivo.

Come l’Avvocato difende il ladro ma non consiglia il furto, così noi Dottori Commercialisti affermiamo che difendiamo tecnica-mente l’incolpato di evasione ma non consigliamo l’evasione nelle sue più svariate forme. E’ già difficile pagare le giuste imposte e così assolvere al dovere verso la collettività. Così come deve essere naturale che il debitore risponda verso i suoi creditori con tutto il suo patrimonio presente e futuro per le obbligazioni assunte e non si devono consigliare comportamenti distrattivi o elusivi. E’ prima di tutto un principio di buona fede. La corruzione è il male peggiore per una società civile perché si insinua ovunque e soprattutto corrompe le nuove generazioni che, crescendo insieme al virus, possono ritenere normale la malattia che non è solo la volgare bustarella.

A noi professionisti delle imprese, fulcro dell’economia nazionale, il dovere assoluto di tenere comportamenti professionali etici.

di Sergio Caramella | Presidente ODCeC Varese - socio Fondatore ANDoC

L’EDITORIALE 03

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L’ORGOGLIO DELLA CATEG...04 03

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COSTRuIRE CATTEDRALI... 05

COSTRUIRECATTEDRALI PERTORNARE A PENSARE IN gRANDE

“Ogni volta che passo davanti a una cattedrale immagino la storia della sua costruzione: quanta passione e quanta fatica e che ardire in quei capomastri, scalpellini, mura-tori, artisti, intarsiatori, marmisti che ci hanno consegnato il loro capolavoro. Tutti anonimi e sconosciuti. Hanno speso la vita per costruire un’opera che durerà nei secoli e che sapevano non avrebbero visto finita. Altro che archistar contemporanei e sponsor con il marchio in bella vista! Le cattedrali, di cui il nostro Paese è così fortunatamente disseminato, sono l’emblema di un lavoro collettivo ciclopico e avveniristico, nel quale ognuno poteva essere chiamato a dare un determinato, quanto oscuro, contributo”.È questo l’incipit di un lavoro editoriale di Enrico Letta, dato alle stampe nel 2009 per i tipi della Mondadori edizioni. L’autore - come noto, parlamentare della Repubblica e già presidente del Consiglio dei Ministri - ricordava quando Nino Andreatta, per spronare lui e gli altri suoi collaboratori a lavorare sodo e insieme, citava la “fatica ingrata” degli scalpellini medioevali i quali, peraltro, mettevano la stessa dedizione nella loro decorazione, “si trattasse della facciata o dell’interstizio più nascosto, quello nell’angolo là dietro che solo i piccioni erano in grado di apprezzare”.La metafora della cattedrale non spiega solo l’utilità del “lavorare insieme” ma anche quella del “sognare in grande”, della soddisfazione di partecipare a un progetto per il quale “il contributo dell’ultimo dei cittadini era importante tanto quanto quello di tutti gli altri. Qualcosa con cui dare un significato al lavoro e, forse, anche alla propria vita”. Per quanto ci riguarda, se questa “espressione figurata” deve essere di utile esempio per tutti - al fine di meglio intendere e strutturare i rapporti tra Stato e Cittadini - lo deve essere ancora di più per i “liberi professionisti” (due concetti difficili e dibattuti) che, se ed in quanto tali, rappresentano una parte importante della cosiddetta “classe dirigente del paese”. Al riguardo, ci permettiamo di aggiungere che l’esempio dello scalpellino medievale appare di grande utilità (se non d’attualità) nella strutturazione dei rapporti tra le Istituzioni della nostra Categoria professionale e gli Iscritti. La nostra Professione ha - oggi più che mai - bisogno di essere “ispirata” da chi è in grado di anteporre i propri interessi personali a quelli della collettività, secondo l’idea più “nobile” che si usa attribuire all’impegno politico. Per noi Dottori Commercialisti e per il Paese tutto c’è bisogno di uno “sforzo corale”, inteso ad introdurre e radicare la cultura della conoscenza e del merito, tanto quanto elementi di selezione della “classe dirigente” quanto come valori (semplici ma fondamentali) da comunicare e ispirare negli altri per non fare venire mai meno la “speranza” in un percorso evolutivo verso il meglio.Non neghiamo che oggi i professionisti - in particolare i Dottori Commercialisti - lavorano in condizioni di estremo disagio. Intraprendono una vera e propria lotta contro una normativa mutevole e sempre più confusa. Sono schiacciati da troppi adempimenti burocratici che non vengono riconosciuti dai propri clienti e né ricompensati dalle amministrazioni richiedenti. Ciò nonostante, l’esempio del proprio lavoro e della propria abnegazione verso la crescita del paese devono venire prima della pur giusta ed auspicabile manifestazione di dissenso per la tutela dei propri diritti. Non si dimostra, in tal modo, un becero asservimento al potere ma si “diffonde e consolida” un’auto-rità morale e culturale da offrire quale esempio al lavoro degli altri. È questo quello che devono oggi ricercare i Dottori Commercialisti: diventare un esempio per il lavoro degli altri, in termini di competenza, onestà, senso dello Stato ed efficienza.Enrico Letta - nello scritto che qui si ricorda - ha dimostrato che, dei “tre tempi”, il passato e il futuro sono sempre più compressi, con poca o nulla influenza sulle nostre scelte di vita. “Categorie astratte, senza alcuna ricaduta pratica; dimensioni oscurate da una dilatazione del presente – che è diventato ormai il tempo per eccellenza – a scapito degli altri”. È proprio vero che, così, per noi “il passato finisce con l’essere passato remoto e il futuro diventa lontano, sempre più lontano”.I Dottori Commercialisti possono oggi aiutare gli italiani a ritrovare il senso dello Stato, dello stare insieme, del condividere un progetto di lungo periodo di crescita e prosperità. Possono fare tutto ciò anche con piccoli gesti, con l’esempio, con loro agire quotidiano.“Due operai” - raccontava Pietro Nenni in Parlamento nel 1959 - “lungo una strada stanno ammucchiando mattoni. Passa un viandante che s’informa sulla natura del loro lavoro; uno modestamente risponde: sto ammucchiando mattoni; l’altro risponde: innalzo una cattedrale!”

Riflessioni sugli scritti di Enrico Letta

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IL DOVEREETICO DEICOMMERCIALISTI

Nel marzo dello scorso anno, Sua Eccellenza Bruno Forte - Arcivescovo di Chieti e Vasto - ha tenuto una relazione su “L’etica del commercialista”, su invito della Fondazione dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Chieti. Ne è scaturito un interessante articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore, nel quale l’arcivescovo ha rammentato che “l’attività del commercialista riguarda non solo gli interessi del cliente, ma anche e propriamente quelli della collettività”, trovando peraltro una sintesi molto efficace in questo ragionamento nel momento in cui afferma che “suo compito specifico è mediare in maniera corretta fra interessi pubblici e privati, non contrapponendoli, ma commisurandoli, affinché il bene comune sia effettivamente il bene dei singoli, e questo sia a sua volta finalizzato al bene di tutti”.

L’impegno del Dottore Commercialista a favore della collettività non può essere, però, assoluto. L’etica del commercialista deve tenere conto del dovere morale di ogni cittadino di contribuire al bene comune ma anche dell’esigenza etico-sociale che questa contribuzione sia equamente distribuita nonché dell’affidabilità delle garanzie offerte da chi governa e dal quadro economico-politico generale circa il buon uso del denaro pubblico. Il nesso tra questi tre principi appare dunque fondamentale. La naturale propensione a sviluppare il bene comune viene fortemente minata, ostacola e soffocata da un carico fiscale non equamente distribuito ed ancor di più può apparire inutile se non addirittura dannosa in un quadro di utilizzo inefficiente o addirittura illegittimo delle risorse erariali.

Ecco, dunque, il Dottore Commercialista deve impegnarsi per il rispetto delle leggi fiscali ma deve altrettanto fare per pretendere che queste distribuiscano in maniera giusta l’onere impositivo e soprattutto che prevedano idonei meccanismi di controllo e sanzione dello spreco del denaro pubblico. “Che contri-buire al bene comune sia un preciso dovere morale dovrebbe essere un’evidenza: come tutti hanno il diritto di beneficiare dei servizi pubblici, così ciascuno in rapporto alle proprie possibilità deve contribuire ai costi che essi comportano” - conferma Monsignor Forte - “dove l’equilibrio fra servizi e risorse fosse minato da una parte o dall’altra, ci troveremmo di fronte a forme di assistenzialismo o all’enfatizzazione anarchica dei diritti di alcuni”.

“L’evasione fiscale è un furto al bene di tutti, una colpa morale frutto di egoismo e di avidità, negazione di quell’esigenza di solidarietà verso gli altri, specie i più deboli, che deve regolare la società e l’impegno dei singoli”: per Monsignor Forte, il Dottore Commercialista ha il dovere di tenerlo sempre presente e di ricordarlo a chiunque gli si rivolga per valersi delle sue competenze, con una valenza perfino testimoniale rispetto ai doveri verso il bene comune, cui a nessuno è lecito sottrarsi.

Alle istituzioni statali - però - viene ricordato che i sacrifici (tassazione) vanno commisurati alle effettive risorse e possibilità di ciascuno: chiedere a tutti lo stesso prezzo secondo un criterio di ripartizione paritaria è un “somma ingiustizia”. Emerge così la valenza “politica” della responsabilità etica del com-mercialista, che “deve far sentire la propria voce - sia di singolo, che nella forma dell’associazione di categoria - per contribuire a migliorare l’equità delle leggi in materia tributaria”.

Infine, “ciò che proviene dalla contribuzione dei cittadini deve essere effettivamente speso al servizio del bene comune: sprechi, leggerezze ed errori nella spesa pubblica, corruzione e indebite appropriazioni, vanno combattuti con tutti i mezzi legittimi: lo spreco del denaro pubblico è offesa specialmente ai deboli e ai poveri”! In questo ambito, ci sentiamo di affermare che Dottori Commercialisti possono aiutare la politica a garantire un’azione trasparente di governo, che dia ai cittadini la percezione chiara dell’affidabilità di chi gestirà le risorse provenienti dal contributo di ciascuno. “La responsabilità etica del commercialista non potrà non portarlo a dar voce all’esigenza di giustizia e trasparenza nell’uso del denaro pubblico, condizione perché anche le altre esigenze morali che lo riguardano possano essere propriamente perseguite”.

di Bruno Forte | Arcivescovo di Chieti e Vasto

RIFLessIONI sULL’ARTICOLO PUBBLICATO sU IL sOLe 24 ORe DA sUA eCCeLLeNzA BRUNO FORTe, ARCIVesCOVO DI CHIeTI e VAsTO

IL DOVERE ETICO DEL COM...06

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LA STORIADELLA NOSTRAPROfESSIONE

Nel 1979, Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, festeggiava il Cinquantenario della Professione. Negli scritti in onore dell’evento, abbiamo rinvenuto un articolo del Dott. Giovanni Vallerani che, anche se scritto oltre 35 anni fa, appare ancora evidentemente attuale, segno che - probabilmente – il dibattito interno alla nostra Categoria deve essere alimentato in maniera ancora più marcata e continua. Ne riproponiamo, di seguito, alcuni brani.

ORDINI E SINDACATI: DIFESA E PROGRESSO DELLA PROFESSIONEdi Giovanni Vallerani

La professione di Dottore Commercialista è regolamentata per legge (D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067) e per legge sono, pertanto, disciplinati gli Ordini professionali locali e il Consiglio Nazionale. Gli Ordini pro-fessionali sono sorti nel nostro Paese perché lo Stato ha riconosciuto che le professioni – e, quindi, pure la nostra - perseguono e soddisfano anche un interesse pubblico e quell’interesse deve essere tutelato au-torizzando con norme di legge la formazione degli Ordini professionali.

Nel consentire la nascita di questi ultimi, la legge ne ha stabilito con precisione le funzioni, che si limitano (in effetti) all’accertamento dei re-quisiti per l’iscrizione negli Albi e negli Elenchi, alla tenuta dei medesimi e all’esercizio del potere disciplinare sugli iscritti. In sostanza, le funzioni degli Ordini possono definirsi - e la definizione non è polemica - notarili, in quanto - come si è detto – prendono nota della vita della professione dal punto di vista anagrafico, curando l’aggiornamento dell’Albo pro-fessionale ed esercitando il potere disciplinare sugli iscritti. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti non va oltre, in quanto a compiti di tutela da svolgere nei confronti della Categoria, perché l’ordinamento professionale prescrive che esso vigili sul regolare funzionamento degli

Ordini locali e dei loro Consigli direttivi ed eserciti il potere disciplinare di seconda istanza. In materia di ordinamento professionale, il Consiglio Nazionale dà il proprio parere soltanto dietro formale richiesta da parte delle autorità competenti.Come abbiamo visto, Ordini e Consiglio Nazionale debbono sottostare a limitazioni di natura giuridica non lievi al loro operare, ciò che costi-tuisce una grave remora per il progresso della professione, costretta e ristretta nei termini angusti di norme cogenti. Che, poi, negli Ordini e nel Consiglio Nazionale vi siano Colleghi che mettono al servizio della Categoria la loro stessa personalità professionale, con l’assunzione di responsabilità pur di fare progredire la professione, è una constatazione che convalida quanto andiamo esponendo.

Il problema dell’articolazione agile, efficiente e moderna della profes-sione si aggrava - fino a diventare talvolta insolubile – quando sono in discussione problemi di carattere generale (politici, economici, sociali) che riguardano la professione e dei quali per legge gli Ordini e il Con-siglio Nazionale non possono occuparsi; l’ultimo, in ordine di tempo, è stata la stipulazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti degli studi professionali, siglato il 20 dicembre 1978 da sin-dacati e associazioni professionali aderenti alla CONSILP.

L’azione del Sindacato, in generale, è diretta alla tutela degli interessi economici e professionali, individuali e collettivi dei propri iscritti, uni-tamente al perseguimento di fini economici e sociali di ampia portata. I Sindacati professionali, al contrario degli Ordini, non nascono da norme giuridiche ma da esigenze concrete, di fatto, vitali. Come libere associa-zioni essi hanno infatti la sola forza della concretezza dei problemi, dei temi e delle aspirazioni degli iscritti e la capacità, la volontà e la tenacia degli iscritti stessi e dei loro dirigenti e rappresentanti, nel vederli rispet-tivamente trattare, risolvere e realizzare. Questa connessione dunque tra la realtà ed i protagonisti di tale realtà, cioè gli iscritti considerati nel loro insieme come Categoria, è la grande forza del Sindacato che, così, riesce ad inserire la Categoria stessa a livello nazionale nel contesto delle altre classi sociali, mentre ciò risulta estremamente difficile, se non impossibile, per gli Ordini e per il Consiglio Nazionale, per le ragioni istituzionali che abbiamo esaminato e che ne condizionano l’attività.

Dove non possono operare gli Ordini e il Consiglio Nazionale operino le Associazioni e i Sindacati e viceversa. La professione deve essere infatti pronta a reagire alle sollecitazioni e, spesso, agli attacchi che le vengo-no portaci da tempo e da diverse parti. Questa capacità di reazione può e deve essere espletata in completa armonia tra i diversi rappresentanti degli organismi professionali. La nostra collaborazione partecipativa a tutti i livelli (Ordini, Consiglio Nazionale, Associazioni e Sindacati) è as-solutamente necessaria e indispensabile per dare risposte sollecite e idonee a difendere e a far progredire la professione di Dottore Commer-cialista in una società che cambia, è vero, ma che non sa ancora dove il cambiamento la condurrà.

di Giovanni Vallerani

LA STORIA DELLA .... 07

gLI sCRITTI PeR IL CINQUANTeNARIO DeLL’ORDINe DeI Dottori Commercialisti

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IL CODICE ETICODEL DOTTORECOMMERCIALISTA

che il “suggerimento” da parte del consulente di comportamenti (o soluzioni tecniche) non conformi alla legge ha ben poco a che fare con il tema dell’e-tica, trattandosi invece di deprecabili situazioni nelle quali il professionista in questione è soggetto che agisce dimenticando le più elementari regole dell’ordinamento e della deontologia professionale. In questi casi non si può parlare né di etica né, tanto meno, di professione.

Si possono verificare, invece, situazioni nelle quali il Dottore Commercialista può trovarsi a disagio con la propria coscienza ed essere chiamato ad un’at-tività professionale che, nel rispetto delle norme, è in grado di consentire – magari per un cavillo giuridico, un vizio procedurale ovvero di notifica – un considerevole risparmio di imposte altrimenti dovute. Può (o addirittura deve) il professionista, in casi del genere, porsi dei problemi di equità, di giustizia, di morale e suggerire al cliente di pagare le somme richieste - in quanto corret-tamente quantificate e, nel merito, dovute - pur sapendo che una preliminare eccezione di diritto consentirebbe l’annullamento dell’atto? Può (o addirittura deve) il professionista lasciarsi andare a valutazioni di natura etica ed ergen-dosi a giudice della morale indirizzare il contribuente sulla retta via? Si tratta di interrogativi di non facile soluzione.

Se, infatti, si guarda alla figura del difensore tecnico, ci si rende conto che si tratta di un’attività nella quale non è consentito porsi problemi di coscienza: anche il peggiore degli assassini, il più incallito degli evasori, ha diritto ad una difesa, ha diritto all’assistenza tecnica di un professionista che lo sup-porti al fine di una corretta applicazione delle norme e, se del caso, di una equa quantificazione della pena ovvero della sanzione. In tali circostanze, il difensore è un professionista che, umilmente, mette a disposizione dell’as-sistito le proprie cognizioni e competenze tecniche fornendo allo stesso una prestazione che si configura come un’obbligazione di mezzi, i migliori di cui dispone.

Se si guarda, invece, alla figura del consulente globale dell’impresa, è age-vole notare che si tratta di un’attività professionale nella quale il Dottore Commercialista è a fianco della parte contribuente già nella fase della pia-nificazione fiscale e dell’organizzazione aziendale: in questi casi, è naturale che l’attività di consulenza sia orientata ad ottimizzare il risparmio fiscale, a massimizzare i benefici per gli attori del processo produttivo, il tutto cercan-do di non oltrepassare mai i limiti previsti dalla legge.

In tali circostanze, per quanto arduo possa apparire, è auspicabile ipotizzare che l’attività professionale, e dunque la consulenza fornita, tenga conto di una impostazione di fondo del professionista imperniata su principi morali dai più condivisi. Il rigore, in tali circostanze, diventa doveroso anche laddove si scontri con la stessa volontà del cliente-contribuente.

Nel gennaio del 2007, nel corso di un Convegno ANDoC a Siracusa, la nostra Associazione ha presentato al Presidente Nazionale della categoria allora in carica il Codice Etico del Dottore Commercialista. Regole di com-portamento che vanno oltre la deontologia e che diventano il biglietto da visita di ciascuno di noi. Valori etici e i principi deontologici cui si ispira la nostra azione professionale, al fine di affermare l’affidabilità e l’integrità della nostra reputazione nonché di tutelare i legittimi interessi del mercato e dei terzi, che fanno affidamento sul nostro giudizio professionale e sulla nostra indipendenza.

Analizzare il rapporto tra etica e professione è compito piuttosto arduo, per una duplice ragione. Innanzitutto, per la difficoltà di definire in maniera univoca l’etica e, successi-vamente, per comprendere in che modo la stessa possa essere declinata nell’attività professionale.

L’etica ha connotati sicuramente soggettivi, legati alla coscienza di ciascun singolo individuo. Non è facile sintetizzarne il significato in termini assoluti. In linea generale, l’e-tica è definita come quella dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane.

Non vi è dubbio che troppe volte i principi etici si scontrino, nella realtà, con esigenze di carattere pratico: a quel punto, si impongono delle scelte difficili, che richiedono riflessione, ma sulle quali non dovremmo avere molte incertezze. Infatti, il dilemma di cosa fare di fronte ad un problema, con risvolti di carattere pratico opposti rispetto ai principi ed alle regole che ciascuno si è imposto, dovrebbe essere risolto, facilmente, agendo secondo coscienza.

Nella vita professionale, i problemi legati al rispetto dei principi etici sembrano addirittu-ra aumentare. Qui, però, è necessario sgomberare il campo da equivoci ed evidenziare

di Massimo Conigliaro Presidente ODCeC siracusa – già Vice Presidente ANDoC

IL CODICE ETICO DEL DOT...08

Scarica il codice etico dell’ANDoC

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COSA CHIEDE ANDOCAL NUOVO PRESIDENTEDEL CNDCEC

di Riccardo Losi Consigliere ODCeC Roma – Past President ANDoC

Caro Presidente, caro Gerardo, innanzitutto complimenti per il successo ottenuto ma.. ….. siamo, però, certi che il compito che attende Te e la tua squadra rappresenti più un onere che un onore. L’ANDoC, come sempre, sarà al vostro fianco in tutte le situazioni in cui ci sarà da difen-dere la nostra categoria e, siamo certi, di occasioni ce ne saranno tante.

Di seguito, elenchiamo in maniera sintetica quelle che, per l’ANDoC, sono le priorità da affrontare e sulle quali Ti offriamo, fin da ora, tutta la nostra collaborazione.

1) Recupero dell’aspetto deontologico della professione che si deve ba-sare su principi di etica e meritocrazia. Ciò permetterà, tra l’altro, di mi-gliorare l’immagine della categoria. La riabilitazione dell’immagine della categoria dovrà passare anche attraverso una forte attività tesa a far conoscere ad istituzioni e cittadini la figura, le competenze e le attività del Dottore Commercialista.

2) Vigorosa azione di contrasto al fenomeno dell’abusivismo profes-sionale; oggigiorno tutti si definiscono “Commercialisti”, spesso senza averne il titolo e tanti svolgono abusivamente le nostre attività.

3) Forte azione di presenza presso le istituzioni necessaria per recupera-re autorevolezza presso i tavoli tecnici. Sarà compito del nuovo Consi-glio Nazionale coinvolgere i colleghi (anche non consiglieri del CNDCEC) che per immagine, esperienza, capacità, specializzazione, ecc. possono meglio rappresentare le istanze della categoria nelle varie situazioni.

4) Maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria (anche in at-tuazione del punto 3) sia in fase di condivisione dell’attività del CNDCEC sia in fase di sostegno delle proposte che il Consiglio Nazionale ema-nerà all’esterno.5) Ripresa di un colloquio costruttivo con il Mef e con l’Agenzia delle Entrate che possa portare ad una drastica riduzione degli adempimenti

a cui siamo soggetti (tra l’altro gratuitamente), all’applicazione dello Sta-tuto del Contribuente e alla riconquista di un ruolo di confronto e di con-divisione delle politiche economiche e fiscali del nostro Paese che possa portare a raggiungere, tra gli altri, l’obiettivo di una “sburocratizzazione” degli adempimenti per le imprese.

6) Rivisitazione della normativa antiriciclaggio che, ad oggi, risulta essere piena di inutili adempimenti per i professionisti che la rendono, sostan-zialmente, inapplicabile e che, soprattutto, non permette di raggiungere gli obiettivi che la normativa si prefigge. Il primo obiettivo, in tal senso, è l’abolizione del Registro della clientela.

7) Attività di “informativa ed educazione” delle istituzioni sul ruolo e l’im-portanza del collegio sindacale, con rafforzamento dell’attività di controllo e ritorno alla formula collegiale anche attraverso, eventualmente, proposte di modifica del soggetto che nomina il Collegio Sindacale. Introduzione di una limitazione al numero degli incarichi e riduzione della durata della carica a due mandati consecutivi.

8) Forte impulso dell’attività di Mediazione, con recupero del ruolo fonda-mentale della nostra figura professionale anche attraverso la proposta di modifiche alla normativa vigente.

9) Rilancio dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che, con un forte incremento del numero di ricercatori, dovrà diventare il “fiore all’occhiello della nostra categoria”.

10) Sostegno alla Casse di Previdenza (Dottori e Ragionieri) nella battaglia di difesa e tutela della loro natura di ente privato; protezione dalle aggres-sioni dello Stato.

11) Applicazione della normativa “quote rosa” alle partecipate del Consi-glio Nazionale.

COSA CHIEDE ANDOC... 09

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UNA VITAPER LA PROfESSIONEIN CHIAVE ETICARIFLessIONI sUgLI sCRITTI DI LUIgI MARTINO

Ho conosciuto Luigi Martino nel 1998. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti aveva bandito un concorso per l’assegnazione di borse di studio da conferire a gio-vani ricercatori da impiegare nel neonato Centro Studi di Categoria. Luigi era Vicepresidente del Consiglio Nazionale e aveva la responsabilità politica di quel progetto che condivideva con Franco Michelotti, a quell’epoca direttore del Centro Studi. Nel 1998 avevo circa 30 anni ma avevo maturato già diverse esperienze lavorative alla ricerca di quella che doveva diventare la mia dimensione umana e professionale. Dal 1996 ero tornato a lavorare a Roma quale Ufficiale in Servizio permanente effettivo della Guar-dia di Finanza presso il locale Nucleo di Polizia Tributaria. Amavo lavorare per un’Istituzione dello Stato ma ero affascinato dalla conoscenza e pieno di voglia di fare espe-rienza e di esplorare realtà differenti. Non sapevo esattamente cosa fosse il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ma avevo visto che operava le selezioni per il Centro studi con un bando pubblico, riportato nella Gazzetta Ufficiale dello Stato. C’era lo stemma della Repubblica su quell’avviso e, così, pensai si trattasse di una cosa importante e mi presentai alle selezioni. Fu lì che incontrai Luigi il quale, dopo avere appurato che avevo un “posto fisso” (e, per di più, “statale”) mi chiese perché mai ero pronto a metterlo in discussione per una “borsa di studio”. La risposta fu semplice ed immediata ed era stata Luigi stesso a fornirmela quando mi aveva spiegato che vo-leva costituire un centro studi di livello, in grado di “confrontarsi alla pari” con quello di Assonime (allora, forse ancora più di oggi, un vero riferimento in termini di autorevo-lezza e rigore scientifico). Avevo scambiato poche battute con quell’Uomo - tanto elegante e forbito quanto affabile e disponibile – ma avevo immediatamente trova-to un modello di riferimento (il vero oggetto della ricerca che, allora e sempre, più mi ha appassionato). Negli anni della nostra frequentazione - che è andata ben oltre l’esperienza del Centro Studi di Categoria, che sia io che Lui dovemmo abbandonare presto - Luigi è stato per me un “ideale” di Uomo e di Professionista. Amedeo Sacrestano

Luigi Martino ci ha lasciati nel 2010 e l’Ordine di Milano, di cui era Presidente, lo ha voluto ricordare intestandogli la Scuola di Alta Formazione dell’Ordine (peraltro, da Lui fortemente voluta e istituita nel 2006) ed elaborando una significativa pubblicazione, scaricabile dal sito Clicca qui e che raccoglie la quasi totalità degli scritti di Luigi. Ne riportiamo, di seguito, alcuni stralci tratti da quelli in materia di etica.

“Siamo la professione che per prima si è data delle norme etiche scritte, non per rivendicare una primogenitura, che potrebbe non trovare conforto nella realtà soprattutto storica, bensì per affermare che delle professioni di più recente formazione siamo stati i primi ad avere la sensibilità di comprendere che il patrimonio di precetti deontologici acquisito dalle professioni di più antica e nobile origine poteva andare disperso. Patrimonio che è fondamentale per svolgere l’attività professionale che non può né deve essere mai considerata solamente attività economica.La codificazione delle regole deontologiche è indispensabile per sensibilizzare i colleghi indifferenti e distratti, i giovani che si affacciano alla professione sulle regole fondamen-tali di buon comportamento professionale e sulla responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti della propria categoria, dei colleghi, dei clienti, delle pubbliche autorità, del sistema finanziario e fiscale, della magistratura e della società nel suo complesso.Nell’esercizio della sua attività, il Dottore Commercialista deve essere affrancato da asservimenti materiali e morali, politici ed ideologici. Non deve fare discriminazioni di religio-ne, di razza, di classe sociale. Deve salvaguardare, in ogni caso, la libertà di giudizio e l’indipendenza. Deve assumere comportamenti che siano consoni a tenere sempre alto il proprio prestigio. Deve assumere incarichi solo quando si è in grado di eseguirli con la diligenza, lo scrupolo e la perizia necessari. Il ruolo centrale riconosciuto dal nostro sistema giuridico alle libere professioni corrisponde alla precisa esigenza di tutelare il cittadino e la collettività. Chi si avvale dell’opera di un professionista deve avere la certezza che tale opera venga eseguita con specifica conoscenza della materia ed ineccepibile moralità. La scelta del prestatore del servizio intellettuale da parte dell’utente transita certamente da strade e da considerazioni diverse da quelle che conducono alla scelta di un bene o di qualsiasi altro servizio. Ecco perché i liberi professionisti hanno dovuto affrontare i problemi etici in modo più concreto ed anche più rigido.

uNA VITA PER LA PROF...10

di Amedeo Sacrestano | Presidente Nazionale ANDoC

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Su questi presupposti si giocherà il futuro delle professioni. Il nostro Paese che non ha potuto imporre alle Comunità Europee il suo modello giuridico ed organizzativo di attività professionale, deve trovare la forza per imporre almeno i suo principi etici.La Carta Costituzionale all’articolo 33, comma 5, espressamente prevede un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale. Tale disposizione che è un limite ad altri diritti sanciti costituzionalmente - quale quello del diritto al lavoro previsto all’art. 4 e della tutela del lavoro di cui all’art. 35 - trova la sua giustificazione nella necessità generica di limitare le libertà individuali, quando vi sia da tutelare un più rilevante interesse sociale. Il riconoscimento di rilevanza sociale nelle materie tributarie e di ragioneria è pacifico, essendo ricono-sciute come competenza tecnica nelle norme che disciplinano l’ordinamento della professione del Dottore Commercialista e del ragioniere. D’altronde il dettato costituzionale per il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, può trovare pratica attuazione, in una situazione come quella attuale, soltanto in quanto vi siano dei professionisti che riescono ad orientarsi nella intricata selva delle disposizioni tributarie vigenti, indicando al cittadino quale è la corretta applicazione ed interpre-tazione di tali complesse disposizioni. In una tale difficile situazione tributaria, il nostro legislatore invece di consolidare in aree di esclusiva tale rilevante attività sociale, prende una strada del tutto diversa e apparentemente priva di logica. Istituisce i CAAF delle imprese, destinati a svolgere attività tipica professionale con una struttura e con dei volumi che non è azzardato definire industriali. Ma non è possibile sovrapporre e fondere l’attività imprenditoriale e quella professionale. Nella prima si ha normalmente una concezione quantitativa, nella seconda una concezione qualitativa dell’attività. Nel caso Parmalat non hanno funzionato nemmeno sette livelli di controllo – amministratori, sindaci, revisori, certificatori, banche, Consob, Banca d’Italia. Mi permetto di aggiungere che, in questo caso, non hanno funzionato tre livelli etici: l’etica degli affari; la deontologia professionale; il rigore morale degli enti regolatori del mercato. Non ci si è scontrati solo contro regole giuridiche inefficaci: sovente, la cupidigia degli uomini trova modo di affermarsi attraverso la pubblicità della propria onestà e correttezza.Il mercato non può funzionare se non vi è fiducia e la fiducia la si acquisisce se sono ben definiti doveri e responsabilità. Sono le norme giuridiche che, una volta definite, vanno interpretate e ciò deve avvenire riconducendole ai principi etici che le hanno generate. Non può avvenire il contrario: le leggi vanno interpretate, guai se si immagina di interpretare i principi etici, questi vanno sentiti come fatto interiore e necessario.”

L’ORGOGLIO DELLA CATEG... 11

SOLUZIONI INFORMATICHE PER SEMPLIFICARE IL LAVORO

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Luigi Martino

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SPAzIO PREVIDENzA E ASSISTENzAPER IL DOTTORE COMMERCIALISTA

Procedendo con ordine, occorre ricordare che, negli ultimi anni, diversi inter-venti legislativi hanno minato alle fondamenta l’autonomia del nostro ente di previdenza. Bisogna, sul punto, ricordare che nel 1994 la previdenza dei pro-fessionisti (compresa, dunque, quella dei Dottori Commercialisti) fu “privatiz-zata” (o, per meglio dire, gli insostenibili “debiti previdenziali” futuri, assunti con leggi dello stato troppo “generose”, furono scaricati dalla responsabilità dell’Erario ed addossati, in maniera coatta, alle nuove generazioni di iscritti.) La manovra del 1994 – in ragione di questa “iniqua diseconomia” – non è stata mai completamente digerita dai Dottori Commercialisti i quali, però, con grandi sacrifici (in termini d’innalzamento dei versamenti contributivi ob-bligatori e di ampliamento della “vita lavorativa minima” per la maturazione dei diritti vari di quiescenza) hanno progressivamente posto rimedio a questo “onere” non da loro generato, sino ad avere bilanci attuariali prospettici pie-namente sostenibili nell’arco dei prossimi 50 anni.

Il patrimonio attivo della Cassa di Previdenza dei Dottori Commercialisti supera, oggi, i 5 miliardi di euro. È, verosimilmente, su tale rilevante (e im-mediatamente disponibile) asset che i recenti governi nazionali intendono “allungare le mani”, attraverso una progressiva manovra legislativa di “ritorno al pubblico” di ciò che, non più tardi di venti anni fa, si è privatizzato. Questa strategia appare, ai più esperti, ricorrente: si privatizzano le perdite e si collet-tivizzano le utilità (meccanismo che, con gli “amici”, normalmente viene fatto funzionare al contrario).

Cambiando tema, l’ANDoC ritiene che la Cassa di Previdenza debba con-tinuare a percorrere con decisione il cammino dell’innalzamento qualitativo delle prestazioni rese agli Iscritti, prime tra tutte quelle dell’informazione e disponibilità all’inquadramento dei problemi, se non alla loro collaborativa soluzione. Il nostro ente di previdenza è già identificabile come un “modello” per le altre Casse ma è ancora lontano dal divenire un “modello assoluto”, quale i professionisti economico giuridici dovrebbero potere, a ragion vedu-ta, esibire.

Infine, l’ANDoC è particolarmente attenta alle evoluzioni della giurisprudenza sulla legittimità dei cd “contributi di solidarietà”. Anche nella nostra Categoria ci sono Colleghi che, sulla base di una normativa di gran lunga più generosa di quella attuale, hanno maturato il diritto a ricevere una pensione straordi-nariamente maggiore rispetto al “montante” dei contributi soggettivi versati. In altre parole, mentre per gli iscritti dal 2004 la dimensione della pensione futura sarà null’altro che l’effetto dell’accumulo dei contributi soggettivi ver-sati, per i Colleghi che hanno maturato il diritto in precedenza, la necessità di avere dei contributi “effettivamente versati” per avere diritto alla pensione è tanto meno forte quanto più la data di iscrizione alla Cassa si allontana dal 2004. Questo meccanismo ha creato delle enormi sperequazioni tra chi ha maturato il diritto alla pensione prima del 2004 e chi lo maturerà negli anni a venire. Per porre un parziale rimedio, la Cassa – confortata anche da una normativa nazionale, applicata però dai giudici in maniera restrittiva – ha introdotto diversi “contributi di solidarietà” per i pensionati attuali, di modo da provare a garantire una maggiore sostenibilità delle prestazioni future. Le corti continuano a dichiarare “illegittimo” questo prelievo, in quanto incidente su “diritti consolidati”. è evidente che, con buon senso ma in maniera ferma, occorre rendere chiara la profonda ingiustizia etica di questo comportamen-to, senza necessità di scomodare l’antico insegnamento cristiano del “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facciano a te”.

Nel 2014, l’ANDoC ha istituito una commissione di studio in materia di Previdenza e Assistenza. A presiederla è stata chiamata la Collega Amelia Luca di Bologna, già componente dell’Assemblea dei Delegati della Cassa di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti per due mandati e Presidente della Commissione Previdenza dell’ODCEC del capoluogo emiliano.

Il gruppo di studio ha supportato attivamente la nostra Associazione nel confronto isti-tuzionale che la Cassa ha voluto opportunamente ricercare, mediante la convocazione di specifici “tavoli di ascolto” con le principali Associazioni dei Dottori Commercialisti (UNGDC, ADC, AIDC e ANDoC).

I temi affrontati dalla Commissione, quelli che riteniamo di maggiore interesse per gli Iscritti e la Categoria in generale, sono stati quelli:

• dell’autonomia delle Casse di Previdenza privatizzate (tra cui la nostra) rispetto alle ingerenze delle Pubbliche amministrazioni, in particolare nella “gestione del patrimonio”;• dell’efficienza dell’azione dell’Istituto a favore degli iscritti e per la diffusione della cultura previdenziale;• della cosiddetta “equità intergenerazionale”;• della politica degli investimenti della Cassa.

a cura della Commissione di studio ANDoC

SPAzIO PREVIDENzA....12

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IL RuOLO DELLE ASS.... 13

IL RUOLODELLE ASSOCIAzIONI “SINDACALI”: L’ESPERIENzA DI RIMINI

Il ruolo delle Associazioni cosiddette “Sindacali”, in un contesto di scarso pre-gio di rappresentanza o addirittura di assenza istituzionale come l’attuale, è diventato di fondamentale importanza su più fronti.Nella nostra professione si sta assistendo giorno, dopo giorno, ad un degrado sempre più “grave” delle condizioni in cui ci viene imposto di lavorare. Vi sono ambiti professionali di cui nessuno o quasi nessuno si occupa, in cui il profes-sionista si sente solo e costretto a “subire”.

Ad esempio, nell’ambito della revisione degli enti locali, abbiamo assistito, so-prattutto negli ultimi anni, ad una riforma profonda del ruolo del revisore. Basti pensare ai rapporti con la Corte dei Conti e ai nuovi controlli introdotti dal D.L. 174 del 2012. Il legislatore ha affidato al Revisore sempre più responsabilità, allargandogli la sfera dei controlli a dismisura, talvolta anche in modo non chia-ro, come in tema di spesa del personale. A fronte di un aggravamento di lavo-ro con funzioni e responsabilità sempre più complesse non è corrisposto un aumento adeguato di compenso, rimasto quello fissato nella misura massima del 2005 e ridotto, con il D.L. 78/2010, del 10% per gli anni 2011, 2012 e 2013, riduzione confermata anche per il 2014. Ma questo è un tema che coinvolge un ristretto numero di professionisti, destinato a ridursi nei prossimi anni con l’accorpamento/fusione dei piccoli Comuni, e pertanto a nessuno interessa di affrontare seriamente e in modo adeguato il problema.Si discute da anni di progetti di riforma della Professione e di revisione de-gli Ordini. Personalmente, sono convinta che l’Ordine sia e debba rimanere un’istituzione fondamentale per la professione del Dottore Commercialista ed Esperto Contabile, in quanto certifica la preparazione del professionista iscritto a tutela dei terzi. Ciò non significa che il nostro Ordine, come del resto quelli delle altre Professioni, non possa essere “riorganizzato e riformato” in un‘ottica di maggiore modernità e trasparenza, anche con il supporto e la collaborazio-ne delle Associazioni.Un altro fronte in cui le associazioni dovrebbero impegnarsi attivamente, per consolidare sempre più il ruolo del professionista, è quello culturale. Le asso-ciazioni dovrebbero essere in grado di sviluppare e promuovere la formazione e l’aggiornamento continuo sui temi più interessanti. L’attività di un professioni-sta è, in genere, costituita dall’operatività quotidiana e la formazione e l’aggior-

namento continuo è certamente in grado di migliorare in modo progressivo e graduale l’efficienza nell’attività di tutti i giorni. Credo che l’attività formativa possa diventare an-che una forma di fidelizzazione e di motivazione ad iscriversi alla nostra associazione - l’ANDoC - storicamente impegnata seriamente su questo fronte.

Testimonianza di una giovane iscritta Sono associata ad “ANDoC Rimini” fin dalla sua nascita, ovvero dall’anno 2008. Ricordo vivamente quando la Presidente (Grazia Zeppa, ndr), a distanza di pochi mesi dalla mia abilitazione all’esercizio della professione, mi propose di far parte del Consiglio Direttivo di questa nascente Associazione; nascente sul territorio di Rimini … ma presente da diversi anni in altre circoscrizioni. Grazia avvalorava la necessità di partecipare ad un’organizzazione sindacale “attiva, composta da giovani membri desiderosi di crescere e accomunati dalla volontà di tutelare e valorizzare la nostra professione”.Ho aderito quasi inconsapevolmente, non credendo che, in poco tempo, avrei matura-to la pragmatica considerazione di come sia importante e quasi essenziale appartenere all’Associazione, cogliendone appieno le straordinarie occasioni di accrescimento che la stessa offre, sotto diversi profili.AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE. Ogni anno, costantemente, vengono organizzati una serie di incontri con l’intento di trattare appieno una determinata questione, che può variare dal contenzioso tributario alle neuroscienze nell’ambito della professione. I Relatori sono personaggi di spicco su territorio nazionale; occorre altresì rilevare che - col pagamento della quota d’iscrizione annuale - si ha diritto a partecipare ad ogni convegno!PARTECIPAZIONE ATTIVA DI OGNI MEMBRO. All’interno della nostra Associazione vi è spazio per tutti coloro che hanno la volontà di partecipare, esternando le proprie idee (a titolo esemplificativo, suggerendo argomenti da trattare durante i convegni). In particolar modo, per i giovani professionisti è rilevante far parte di un’organizzazione all’interno della quale ci si sente a proprio agio, un’organizzazione dove non si è discriminati o prevaricati.CONVENZIONI. ANDoC Rimini ha stipulato diversi accordi/convenzioni con Software House, banca dati fiscale, riviste fiscali, al fine di permettere ai propri associati di stipulare abbonamenti a prezzi agevolati particolarmente interessanti. Insomma, i motivi per partecipare non mancano.

di grazia zeppa - Presidente dell’Accademia di Rimini

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Scarica il codice di autoregolamentazione

L’ATTIVITà INSIEME CONLE ALTRE ASSOCIAzIONI SINDACALIDI CATEgORIAL’INCITAMeNTO COsTANTe AL gOVeRNO A FARe DI PIù e MegLIOLA QUesTIONe DeLLA geOgRAFIA DegLI ORDINI DeI DOTTORI COMMeRCIALIsTI e DegLI esPeRTI CONTABILI

Da circa due anni è stato istituito, con ampia soddisfazione dei partecipanti e ottimi risultati per la Categoria, un “Tavolo di coordinamento permanente” tra le Associazioni degli Iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Il confronto portato avanti dall’ANDoC con i rappresentanti delle altre Associazioni è stato utile a comprendere il ruolo delle medesime nelle dinamiche future della Professione ed ha portato allo storico risultato dell’approvazione del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni collettive dalle attività dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili”. Grazie a questo strumento, i Dottori Commercialisti potranno esercitare il diritto di “sciopero”, anche in coincidenza con le scadenze fiscali o con le udienze in commissione tributaria.

La proclamazione dell’astensione compete alle Associazioni sindacali (tra cui l’AN-DoC), che devono darne comunicazione almeno 15 giorni prima alle istituzioni inte-ressate alla protesta: dall’Inail all’Agenzia delle Entrate, dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria al Ministero dell’Economia. Dell’iniziativa deve essere informato anche il Consiglio nazionale: questo punto costituisce una delle differenze principali rispetto al codice di autoregolamentazione dei consulenti del lavoro, il cui vertice isti-tuzionale, insieme con le componenti sindacali, può prendere l’iniziativa di indire lo sciopero. Nella nostra Categoria si è, invece, opportunamente ritenuto di sottolineare la differenza tra il ruolo del sindacato, che rappresenta gli interessi dei professionisti, e quello del Consiglio nazionale, che tutela la “fede pubblica”.

La categoria si è dotata, così, di uno strumento efficace, il cui obiettivo non è limitato, come nel caso di altre forme di autoregolamentazione, alla promozione e all’attua-zione di azioni di protesta puramente simboliche. Al riguardo, l’ANDoC non ha mai immediatamente pensato che l’astensione collettiva dovesse riguardare esclusiva-mente “adempimenti strumentali” che - per le evoluzioni legislative registratesi negli ultimi anni e per l’atteggiamento progressivo tenuto dall’amministrazione finanziaria o comportamenti di fatto della medesima - ormai si fa veramente fatica a ritenere diversi da un’attività di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione finanziaria, peraltro - e ciò è veramente un paradosso - senza alcuna retribuzione. Si è semplicemente ritenuto che potesse essere utile dotarsi dello strumento giuridico previsto dall’ordinamento, per manifestare una forma di dissenso attraverso l’astensione collettiva dalle proprie attività, al pari di quanto già fatto dagli avvocati e, peraltro, dai magistrati.

La questione della geografia degli Ordinidei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

Come noto, i decreti legislativi del 7 settembre 2012 nn. 155 e 156 hanno previ-sto la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, in attuazione della delega conferi-ta con il decreto legge 13 agosto 2011 n. 138. I decreti prevedono - tra l’altro - la soppressione di 31 sedi di Tribunale e delle relative Procure della Repubblica, l’istituzione del nuovo tribunale di Napoli nord nella città di Aversa. Solo con la Circolare ministeriale n. 122327.U del 16 settembre u.s., la Direzione generale della giustizia civile del Ministero di Giustizia ha chiarito la “soppressione ex lege”, a decorrere dal 1° gennaio 2015, dei Consigli degli Ordini degli Avvocati, costituiti presso i Tribunali soppressi.

Per i Dottori Commercialisti dovrebbe, invece, essere differente l’impatto del-la riforma della Geografia Giudiziaria. In nessuna parte del provvedimento legi-slativo vi è riferimento diretto e/o indiretto alla Professione di Dottore Commer-cialista e/o agli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, nè tantomeno, a tre anni dalla norma, si sono avuto altri provvedimenti promanati dal Ministero della Giustizia, che, sull’abbrivio della indicata riforma, avessero riguardo gli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli esperti Contabili.

Gli Ordini potenzialmente interessati dalla riforma (Bassano del Grappa, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Montepulciano, Nicosia, Rossano, Sala Consilina, Sanremo, Tortona, Vasto, Vigevano e Voghera) hanno costituito un Coordinamento permanente presso il CNDCEC per provare a fare chiarezza sugli eventuali effetti del D.Lgs. n. 155/12 citato sulle Circoscrizioni degli stessi Ordini.

Sul punto, l’ANDoC è fermamente convinta che le Istituzioni di Categoria – nei limiti delle rispettive prerogative – debbano impegnarsi per sostenere il mantenimento dell’assetto attuale delle circoscrizioni degli ordini terri-toriali, al fine di garantire un adeguato e diffuso presidio di conoscenza, servizi e legalità sui territori, legato alla presenza dell’istituzione ordinistica deputata al governo della professione economico giuridica.

L’ATTIVITA’ INSIEME CON...14

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LA DOMANDA DI SERVIz... 03