ACCADEMIA DEI ROZZI · suoi figli più illustri e l’Accademia dei Rozzi il ... ma la Città si...

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ACCADEMIA DEI ROZZI Anno XV - N. 29

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ACCADEMIA DEI ROZZI

Anno XV - N. 29

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Zio Gigi ci ha lasciato in una notte d’estate,due giorni dopo il Palio del Bruco. Lì per lìnon ci ho pensato, ma se ne è andato comeha sempre vissuto; da vincitore. È stata unavita particolare quella dell’ingegner LuigiSocini Guelfi, mio zio che poi era lo zio dimio padre, nella nostra famiglia era unpatriarca e i racconti che ho sentito dall’in-fanzia lo raccontano meglio di quanto potreifare io. Due o tre soprattutto, e guarda casosono quelli più connessi con la Città. Ilprimo ricordo è breve, aveva appena finitol’Università a Pisa e si trovò nel mezzo a unacrisi che avrebbe potuto lasciare cicatriciamare. Era l’epoca dell’IRI, la grande depres-sione aveva atterrato tutte le grandi banche eMussolini agiva come fa ora il governo ame-

ricano e molti di quelli europei, le stavanazionalizzando per salvare i risparmi egarantire il credito. Il Monte dei Paschi se lapassava un po’ meno peggio delle altre, comesempre, però il Duce non voleva corrererischi e intendeva assolutamente acquisirlo. IlPodestà di Siena si rifiutò di acconsentire, efu dimissionato. Ne seguì un altro che si sup-poneva più accondiscendente, e la storia siripeté; allora come ora i senesi si tenevanoben stretta la loro banca. Non sapendo piùche pesci pigliare cercarono un giovane dibuona famiglia, uno che non avrebbe di certobuttato alle ortiche un brillante futuro peruna ripicca di campanile. Decisero per zioGigi, che così si trovò davanti alla scelta chemolti titolari di quella seggiola hanno cono-

IN RICORDO DELL'ACCADEMICO

LUIGI SOCINI GUELFI

Con la scomparsa di LUIGI SOCINI GUELFI alla veneranda età di 102 anni, Siena perde uno deisuoi figli più illustri e l’Accademia dei Rozzi il Virtuosissimo decano.Socio dal 1931 ed Accademico Rozzo dal 1955, mise più volte a disposizione del nostro sodalizio indub-bie capacità intellettuali ed un'autorevolezza unanimemente apprezzata, sottraendo tempo prezioso aimolti e importanti impegni che costellarono la sua lunga esistenza. Come amministratore pubblico fu Podestà negli anni drammatici della seconda guerra mondiale e del pas-saggio del fronte; come appartenente alla Contrada del Bruco fu Capitano vittorioso e Rettore delMagistrato delle Contrade; come Rotariano fu il primo senese a ricoprire la carica di Governatore. Comeimprenditore fu Presidente della Camera di Commercio, Dirigente dell’Unione Provinciale Agricoltori,nonché appassionato e competente produttore sia di Brunello, sia di Chianti Classico. Insomma fu un personaggio a tutto tondo e – come si dice oggi – di grande spessore, condotto dalla forzamorale, dalle non comuni doti professionali ed umane, dal dinamico spirito manageriale ad operare pres-so enti ed associazioni sempre in ruoli di alta responsabilità. Un personaggio capace di manifestare lo spi-rito senese più autentico, che è espressione dell’antica cultura di Siena ma anche della straordinaria realtàterritoriale che la circonda e che con essa proficuamente si integra.Socini Guelfi predilesse questo territorio vivendo tra Siena, Montalcino e San Gusmè, animato da valo-ri ed interessi che l’Accademia dei Rozzi condivide da sempre e che suggeriscono di aprire questo numerodella rivista nel ricordo del Benemerito decano con un affettuoso ritratto delineato dal nipote StefanoCinelli Colombini.

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sciuto bene; se non obbedisco ai capi mi bru-cio, ma se scontento i senesi….. Le nostre leg-gende familiari parlano di lunghe nottateinsonni, e di un viaggio tormentato versoRoma fino all’incontro cruciale con il Duce.Mussolini amava le maniere spicce, per cuisenza tanti discorsi gli porse le carte da fir-mare. E zio Gigi lì per lì si inventò una bellafrase che molti economisti avrebbero copiatoin futuro, che sembra dire molto ma in realtànon significa granché: non c’è bisogno dinazionalizzare il Monte dei Paschi, perchè giàoggi è una Banca Privata di InteressePubblico. La frase e il giovane ingegnere piac-quero entrambi e, al misero prezzo di un paiodi consiglieri nominati dal Ministero in dele-gazione fu rimandato a Siena. E fu così, conun giro di parole, che il Monte restò senese.Un altro racconto l’ho preso da mio nonnoGiovanni Colombini, che in tempo di guerradirigeva l’alimentazione nelle Province diSiena, Arezzo e Grosseto. Il fronte si avvici-nava, e si sentivano storie molto brutte di rap-presaglie e devastazioni. Cassino e il suomonastero millenario erano stati rasi al suolo,e non c’era motivo di pensare che non avreb-bero fatto lo stesso con Siena. Zio Gigi fececoprire i tetti dei monumenti con lenzuolacucite con grandi croci rosse e dichiarò cheerano tutti ospedali, e lo stesso fece conPiazza del Campo. Ma non bastava, se sifosse combattuto in Città tanta gente inermeavrebbe rischiato di morire e un patrimonioculturale insostituibile sarebbe forse sparito.Così Zio Gigi si trovò di nuovo a tentare l’im-possibile; mediare un accordo tra i tedeschi, ipartigiani, i fascisti, il vescovo e mio nonno,che avrebbe dovuto nutrirli tutti. In queitempi confusi anche le famiglie erano spacca-te, gli odi erano forti e da entrambe le partibastava un’accusa di tradimento per finire almuro; i capi partigiani devono aver avuto uncoraggio inumano per venire a parlare inPalazzo Pubblico con i tedeschi, ma anchemio zio e mio nonno sapevano di rischiare lavita se qualcosa fosse andato storto. Non honotizia di come siano andati i colloqui, quel-lo che so è che tutti tennero fede all’accordoe i tedeschi combatterono solo fuori dai cen-tri urbani, i partigiani non disturbarono i loromovimenti e i tanti nascosti nei conventi, tra

cui molti ebrei, non furono catturati. Miononno si occupò di nutrire tutti, tedeschi,partigiani, rifugiati e civili e Siena, donata allaVergine da Zio Gigi, non fu toccata dai com-battimenti. Se ragioniamo nei termini di un’e-tica assoluta fu sbagliato, non avrebbero dovutolasciar agire indisturbati i nemici tedeschi emolti ex capi partigiani pagarono duramenteper quell’accordo, ma la Città si salvò e zio Gigi,come lui amava ricordare, fu l’unico Podestàd’Italia che all’arrivo degli alleati e dei partigianiuscì dal suo ufficio con la fascia tricolore, con-segnò le chiavi e andò a casa sua tranquillamen-te senza che nessuno lo contestasse.L’ultimo ricordo è il più amato in famiglia, eforse quello che dipinge meglio il personag-gio. Era il 1944, il fronte era da poco passatooltre Siena e zio Gigi aveva lasciato la caricadi Podestà pur rimanendo in città, a casa sua.Erano tempi duri e la famiglia l’aveva man-data in campagna, in giro c’erano tante armie gli animi erano eccitati, però lui era rimastoperché “un uomo resta al suo posto”. A queitempi si ragionava così. Una sera, a nottetarda, sentì bussare forte al portone; gli si gelòil sangue nelle vene ma si fece animo e così,con un sorriso tirato sulle labbra, aprì. Fuoric’era un gruppo di uomini vestiti da lavoroche, senza tanti complimenti, entrò e disse“ingegnere, siamo venuti per lei”. Zio Gigicominciò a raccomandare l’anima a Dio, erispose che era a loro disposizione. Un attimodi silenzio, poi il più grosso si fece avanti eprecisò “s’ha bisogno di lei come Capitanodel Bruco” a quel punto il sangue riprese acircolare forte e Zio Gigi capì che avrebberiabbracciato moglie e figlie e così, comeniente fosse, iniziò una nuova vita sempre alcomando e sempre perfettamente calato nelruolo. E sempre da vincitore. Così amo ricor-darlo, e così mi auguro che lo ricordino i cit-tadini di quella Siena che lui ha amato tantis-simo. E vorrei chiudere con una sua frasedetta in Comune, quando il Sindaco Cennivolle celebrarlo in occasione del suo centesi-mo compleanno; “e ricordo al mio giovanecollega che confidi sempre nei suoi concitta-dini, che non lo deluderanno mai, e nellaDivina Provvidenza che, a Siena, si chiamaMonte dei Paschi”. Seguì un applauso, e unarisata generale. (S.C.C.)

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Degli strumenti anteriori al sec. XVI, salvorarissime e poco significative eccezioni, nonesistono esemplari superstiti né loro particostitutive residue, per cui è necessariodocumentarsi dalle poche fonti storiche dis-ponibili e soprattutto dall’iconografia. Lepoche fonti storiche medievali si dimostra-no assai deludenti, le loro informazioni,che raramente affrontano tematiche orga-nologiche, sono contraddittorie, insuffi-cienti, raramente attendibili. È quindi l’ico-nografia dell’epoca a fornirci le più prezio-se informazioni. Si rende tuttavia necessa-rio saper riconoscere raffigurazioni fantasio-se, allegoriche, mitologiche, le deformazio-ni prospettiche, nonché compresi i manieri-smi e le bizzarrie di pittori e scultori, cosìcome i loro simbolismi teologici o filosofi-ci. È comunque intuibile che nessuna operaiconografica potrà fornirci informazionisulle parti costitutive interne, sugli spessori,sulla convessità di tavole armoniche efondi, tutti elementi di primaria importan-za per la resa acustica degli strumenti.La materia è quasi inesauribile. Nuove sco-perte e deduzioni mi hanno fatto più voltericonsiderare soluzioni già adottate. Non èpoi raro che alcune scelte mi sembrinoviziate dalla mia incapacità di rendermiimmune dagli attuali paradigmi, e dall’im-possibilità di calarmi nella cultura dei musi-cisti e degli ascoltatori medievali, nondimenticando che gusti e ricettività si modi-ficano continuamente e uno strumento cheall’epoca comunicava un certo stimoloemotivo, oggi non garantisce affatto un’i-dentica percezione.

In ossequio al Vasari accettiamo il secolo diDante come l’inizio dell’epoca pittoricaattuale. L’arte figurativa perde i suoi conte-nuti meramente ieratici ed ornamentali, perassumerne altri più umani e confidenziali,in una società plasmata da apporti islamicie barbarici. Non dimenticando che moltipittori e scultori dell’epoca conoscevanobene anche musica e poesia, adesso le loroopere d’arte, oltre alla loro intramontabilebellezza, ci forniscono informazioni prezio-se anche delle arti musicali.Anche Ambrogio Lorenzetti sembra chenon avesse un rapporto occasionale con lamusica: la raffigurazione degli strumenti èaccurata ed emergono anche alcuni dettagliminimi, molto significativi, della tecnicaesecutiva (come, ad esempio, il modo disuonare il salterio o di impugnare l’arco).La Maestà di Massa Marittima fu realizzata,secondo i più recenti studi, intorno al 1335-37 e ritenuta di grande interesse iconografi-co per le personificazioni allegoriche, per lascelta dei santi e la rarità della composizio-ne. È dipinta a tempera su sfondo dorato emisura metri 2,08 per 1,63.La mia indagine inizia con lo studio delleproporzioni e dei rapporti dei vari perso-naggi ed altri elementi figurativi, al fine dideterminare anche quelle degli strumenti.Fissati alcuni parametri e fatti i calcoli, èemerso un rapporto di 1:2,4 - 1:2,5 del vero. Calcolati poi l’inclinazione,la rotazione ed il punto di osservazione sideterminano le misure esterne degli stru-menti, informazioni minime di partenzaper la ricostruzione.

Gli strumenti musicali nellaMaestà di Ambrogio Lorenzetti aMassa MarittimaAnalisi storica e ricostruzione di FABIO GALGANI

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Gli strumenti raffigurati in mano agli ange-li musicanti sono due vielle, un salterio eduna citola. Le vielle, i più importanti cordofoni impor-tati dal vicino oriente intorno all’anno1000, prìncipi della propria epoca e precur-sori di tutti gli strumenti ad arco moderni,sono di tipo assemblato (in precedenza,fino al 1200, si costruivano scavandole daun unico blocco), con il manico innestato,provviste di capotasto, armate con cinquecorde. Il loro profilo, che andava dall’ovaleal piriforme, fino ai modelli più evoluti aforma di otto, è privo di incavatura per ilpassaggio dell’arco, deponendo a favore distrumenti concepiti prevalentemente perl’accompagnamento.Antichi liuti ad arco o la lira bizantina sonoprobabilmente i loro precursori. SecondoSachs le vielle sono probabilmente un’evolu-zione europea di antichi liuti sagomati a bot-tiglia la cui prima testimonianza si riscontrain manoscritti spagnoli dal sec. X e XI. L’altraipotesi indica la lira bizantina come stru-mento precursore, che Bisanzio avrebbepotuto esportare insieme ad altramercanzia.

L’importanza e la diffusione delle vielle futale da far definire il periodo storico dal 1000al 1400 come “saecula viellatorum”. Mai nes-sun altro strumento fu soggetto a così sensi-bili ed ininterrotte trasformazioni, tanto cheoggi non è possibile neppure definire corret-tamente e tanto meno classificare.Il salterio, precursore di tutti gli strumenti atastiera, è strumento biblico (Daniele III/5e segg.) di spiccato simbolismo teologico, lacui presenza, con l’arpa e la lira, risultadocumentata da millenni. Pare che il primosignificativo sviluppo del salterio sia avve-nuto nel vicino oriente già nel decimo seco-lo avanti Cristo. Il prototipo ideale del sal-terio è il psalterium decacordum, correlativoall’ebraico Asor, ricorrente nell’esegesi bibli-ca medievale. Nella pratica musicale euro-pea devono però essere presi in considera-zione quelli introdotti a seguito delleCrociate, in particolare un modello islami-co a pizzico, derivato direttamente dalmonocordo greco, raffigurato già nel 1184in un rilievo della chiesa di Santiago deCompostela, definito anche salterio ad ala.

Nel Trecento era prevalente-mente armato con 22 - 24

La Maestà di Ambrogio Lorenzetti a Massa Marittima. (Foto Gruppo Fotografico Massetano).

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corde. Purtroppo nel dipinto del Lorenzettinon sono visibili né le corde, né i piroli, néi ponti, la cui omissione potrebbe essereimputabile ad uno dei tanti frettolosirestauri subiti dalla tavola, ma sanabile percomparazione con l’abbondante iconogra-fia coeva.Il quarto strumento, visibile molto parzial-mente, che ho già definito citola, potrebbe,in prima analisi, per carenza di informazio-ni, essere confuso con un liuto. Ma alcunidettagli come il ponte, la posizione dellarosa, il battipenna, fanno chiarezza. La cito-la è spesso definita anche mandola o mando-ra, il cui più celebre esemplare è raffiguratonell’affresco di Simone Martini, nellaBasilica Inferiore di Assisi (Investitura di SanMartino Cavaliere). La sua genesi ed il perio-do di penetrazione in Europa rimangonooscuri. Si può supporre che la tendenza deipopoli mediterranei a preferire il pizzicoall’arco abbia creato l’abitudine di suonarea pizzico alcune fidule ad arco, che con pro-gressivi adattamenti dettero origine ai con-generi delle citole.Anche se, a mio giudizio, il simmetricoconcerto angelico del Lorenzetti, mezzo

evocativo abituale nell’iconografia trecente-sca, pare privilegiare l’equilibrio compositi-vo, l’organico strumentale, pur non comu-ne, ma di usanza secolare, pare anche lato-re di contenuto simbolico. Tutto il dipinto,nel suo complesso, si presenta ricco di figu-re allegoriche che, con i loro attributi,diventano simbolo di concetti teologici,pare prevalentemente collegabili al pensierodi Sant’Agostino, confermando così anchevarie ipotesi sulla commissione e colloca-zione agostiniana dell’opera (Chiesa di S.Agostino a Massa Marittima).La tipologia degli strumenti, tutti a corda(apollinei), simboleggia la nobiltà e lapurezza, in contrapposizione con quelli afiato (dionisiaci), terreni e rumorosi.Emblematica è la presenza del salterio, dalsuono etereo e purissimo, di forte connota-zione biblica. La citola, che la letteraturacoeva associa al gentil sesso, allude allapurezza e dolcezza della Vergine, oltre aravvisare, in analogia alla cetra biblica, ilrichiamo teologico di lode al Signore. Levielle, con il loro suono nello stesso ambitodella voce umana, richiamano ancor piùall’astratta purezza di musica e canto, esal-

Dettaglio degli angeli musicanti.

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tando la potenzialità evocativa dell’insiemestrumentale. Tutt’oggi presso varie cultureextraeuropee si fa musica non come attivitàprevalentemente estetica, ma come comple-mento e mezzo evocativo per le funzionirituali o magiche.Il corretto approccio alla ricostruzione distrumenti appartenuti ad un periodo storicolontano, in un contesto sociale tanto dissi-mile dall’attuale, con atteggiamenti cultura-li ed artistici estranei ai modelli di oggi, pre-vede una scelta adeguata di metodi e mezzi,che consentano il compimento dell’operasenza l’introduzione di elementi arbitrariod estranei, mirando anche al connubioestetico-musicale che lasci trasparire l’im-pronta del liutaio, nel rispetto del rigorefilologico.Definita l’idea costruttiva ed il progetto dimassima è prevista la stesura del progetto,da cui si ricaveranno le misure definitive edi modelli di lavoro. La prima fase pratica, quando è necessario,consiste nella costruzione della forma, dafare in legno duro, molto stagionato, allecui estremità verranno ricavati gli incavi peril successivo l’alloggio dei blocchetti per lefasce.Segue la scelta del legno. Anche se è accer-tato che almeno fino al XIV secolo nonfosse sentito il concetto di durata degli stru-menti che venivano quindi costruiti conlegno locale non selezionato, con ilTrecento entra progressivamente in uso illegno di abete, cedro (o altra conifera) per letavole armoniche, rimanendo ampia alter-nativa per manico, fondo e fasce. Per i suoivantaggi estetico-acustici, si diffonde ancherapidamente il taglio radiale del legno prati-camente uno spicchio di tronco, unito poilongitudinalmente. Le tavole sezionateradialmente presentano infatti perfetta rego-larità e simmetria, migliori caratteristichemeccaniche, sono poco soggette alle defor-mazioni ed esteticamente più pregevoli.Per la sua compattezza, uniformità ed inde-formabilità, nonché per il suo colore, hodeciso l’impiego del legno di pero per ilcorpo delle due vielle e per i montanti delsalterio, mentre ho ritenuto idoneo l’impie-go dell’acero (acer pseudoplatanus), oggi il

legno più diffuso in liuteria ed indispensa-bile negli strumenti classici, per il corpodella citola e di altre parti secondarie.Le due vielle e la citola richiedono la costru-zione preventiva della forma esterna. Laprima operazione è quella di montare iblocchetti in legno di salice o di abete negliappositi incavi, che serviranno ad ancorarele fasce. Segue la costruzione delle fasce, ilcui spessore deve essere abbastanza sottileda consentire una buona fonazione. La loropiegatura si effettua con vapore acqueo oaria surriscaldata (in questo caso devonoessere bagnate ripetutamente). Si procede

Vista frontale vielle.

Progetto viella piccola.

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quindi alla costruzione ed assemblaggiodelle controfasce, che, sagomate come lefasce, si faranno aderire al loro bordo, siaper rinforzarle, sia per aumentare la superfi-cie di incollaggio della tavola e del fondo.Seguirà la costruzione dei fondi e delletavole armoniche. Preferisco costruire ifondi in due parti speculari (come le tavo-le), non tanto per la minima influenza posi-tiva sulla sonorità, ma per creare la simme-tria delle emifacce, esteticamente preferibi-le. Lo spessore di tavole e fondi non è deter-minabile, se non indicativamente, in fase diprogetto. La misura idonea viene decisa dalliutaio, valutate le caratteristiche tecnologi-che del legno impiegato. In via di principioè preferibile tenere gli spessori sottili, entroi limiti di un sapiente compromesso fra larigidità della struttura e la sua libertà dirisuonare in armonia con le corde. Se conspessori troppo consistenti si limita la capa-cità di vibrazione dei legni, il danno acusti-co derivante da spessori troppo sottili si tra-duce in un suono che si esaurisce subitodopo la sua produzione, associato allacarenza di armonici.Tagliati i fondi si rinforzeranno all’internocon dei listelli sagomati con venatura “inpiedi”, detti catene, la cui funzione non èsolo meccanica, ma partecipe nella produ-zione del suono, specialmente nelle tavolearmoniche. La posizione e la misura dellecatene, non raramente asimmetriche, è pro-gettualmente determinabile solo perapprossimazione e viene decisa “legno inmano” dal liutaio, che in genere avrà le ideechiare solo dopo una lunga esperienza, nonpotendo neppure fare riferimento a prassiormai consolidate, come per gli strumentimoderni.I fondi si assembleranno per primi, dopodi-ché sarà estratta la forma. Segue la messa apunto della tavola armonica, montata poi achiusura della cassa dello strumento.Le tavole armoniche, più complesse e piùimportanti per una buona emissione, richie-dono il taglio dei fori di risonanza, una loropur modesta bombatura, la costruzione dicatene molto accurate e uno spessore nonuniforme. Per il modesto angolo di curva-tura non è necessaria la modanatura delle

fasce. La struttura delle vielle non prevedel’anima; del resto la tensione delle corde èminima e la pressione del ponte sulla tavo-la assai moderata.Chiusa la cassa armonica devono esserecostruiti i manici. Nella maggior parte dellevielle, comprese quelle in esame, i manicinon hanno un vero e proprio “piede”, ma laloro parte terminale acquisisce progressiva-mente lo spessore delle fasce. Il cavigliere,sempre solidale con il manico, si presenta diforma tondeggiante, il cui retro, nella viellapiù grande, è scavato, fungendo da scatoladei piroli. La base è di forma ovoidale, bor-data, senza noce. Le tastiere sono assenti, omeglio costituite dal semplice prolunga-mento del manico.Il manico della citola presenta invece l’in-confondibile forma “a falcetto” (non visibi-le nel dipinto) e, contrariamente alla mag-gior parte degli strumenti assemblati, deve essere costruito per primo in quanto lasua base servirà da ancoraggio per le fasce.La costruzione del salterio non richiede laforma. In ossequio ai più antichi esemplari,si realizza infatti partendo da una semplice

Progetto citola.

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struttura portante a telaio, intuitiva elabora-zione di ancora più arcaiche cetre. Sui lati lunghi del telaio trapezoidale siassembleranno i due montanti in legno dipero e nella parte inferiore il fondo inacero. La tavola armonica, la cui venaturadeve essere parallela alle corde, non saràformata da due emifacce simmetriche, mada alcune tavole ricavate dallo stesso bloccodi cedro, incollate longitudinalmente. Ilsuo spessore è pressoché costante e moltosottile (circa 2 mm). Le catene sono cinqueed asimmetriche. Sono previste 22 corde doppie, con la con-seguente necessità di costruire, con tantapazienza, ben 44 caviglie coniche a testasvasata, che si realizzano partendo da grossichiodi lavorati all’incudine, poi temperati ebruniti.Non trascurabile anche il calcolo dellecorde, che oltre a rispettare la modesta ten-sione di lavoro in uso all’epoca, devonoessere concepite per produrre suoni nello

steso ambito della voce umana, con un dia-pason di La=460 Hz (circa un tono e mezzopiù alto di quello odierno), evitando rap-porti di terza e con un’accordatura pitagori-ca (che prevede una successione di quinteperfette). L’attuale sistema temperato, imper-fetto, prevede invece quinte “mosse” perpoter modulare a qualsiasi tonalità, appiat-tendo però il “carattere” dei singoli toni edeteriorando la purezza delle consonanze.Partendo dall’equazione di Newton, che tra-dusse a livello scientifico ciò che era già statoosservato da altri studiosi, ho elaborato unaformula che introduce la costante k, un valo-re che tiene conto del tipo di materialeimpiegato e dell’accelerazione di gravità:dove:

d = diametro della corda in millimetrit = tensione della corda in grammi*f = frequenza di vibrazione in Hertz (1/sec)l = lunghezza vibrante in centimetri k = costante del materiale impiegatovalore medio di t su strumenti antichi = 2,5 - 3 kgLe vielle e la citola montane corde di budel-lo nudo (k = 153), il salterio corde di bron-zo (k = 59) e di ferro (k = 63).

Sorretto dalla storia, dall’amore per la mate-ria, dall’esperienza, coinvolto nell’afflatoche la preziosa fonte iconografica ha effuso,ho tentato, dopo sette secoli, con un per-corso inverso a quello del pittore, di tra-scendere l’immagine e restituire corpo esuono agli strumenti del simbolico concer-to angelico, ma non estraneo alla praticasecolare, forse oggi riproponibile.

Progetto salterio.

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Una redazione più estesa di questo saggio di Fabio Galgani è stata pubblicata con lo stesso titoloa cura del Centro Studi Storici di Massa Marittima “Agapito Gabrielli” nel 2000; ad essa rin-viamo per la bibliografia e per eventuali approfondimenti sulla materia.

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Fabio Galgani, nato nel 1950, già liutaio di scuola cremonese, studioso di organologia e musicolo-gia medievale e rinascimentale, diviene rapidamente noto per le sue ricerche storico-iconografiche eper le sue opere liutarie, verifica e complemento dei suoi studi, con le quali si esibiscono i più notiprofessionisti del settore e facenti parte della dotazione strumentaria di conservatori italiano, este-ri ed altre istituzioni, fra cui il Museo di Atri (TE) e l’Università “La Sapienza” di Roma. Ampiaproduzione discografica è realizzata con i suoi strumenti.

I quattro strumenti ricostruiti (Foto dell’Autore).

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Un sogno chiamato realtà“Pio II e la forza di un’idea” di GIACOMO ZANIBELLI

Per riuscire a comprendere fino in fondol’ambizioso disegno politico di Enea SilvioPiccolomini dobbiamo fare un doverosoexcursus sulla caduta di Bisanzio, solo ana-lizzando questo nefasto evento, che scon-volse la cristianità, potremmo tentare dicapire cosa provasse Pio II quando, quasifuori dalle logiche del suo tempo, riproposealle nazioni cristiane la necessità di indireuna nuova crociata, quella che avrebbe risol-to definitivamente la questione orientale.Il Piccolomini vedeva l’impegno dei signorieuropei come un tributo necessario neiconfronti di quella “Societas IuridicePerfecta” che è la Chiesa Cattolica, forteanche del potere temporale che il Papa eser-citava sullo Stato della Chiesa.Il 29 Maggio 1453, alle prime luci dell’alba,cadeva l’ultimo simbolo della romanità edello splendore di quel grande macrocosmoche era stato l’Impero Romano, che avevasaputo far coesistere al suo interno culture emodi di vivere diversissimi fra loro, tantoche i barbari che si spartirono il territoriodell’Impero finirono per essere affascinatidal modello Roma e da tutto ciò che signi-ficava, si potrebbe quasi dire capovolgendouna frase di Catone: “Roma Capta FerumCepit”.Ritornando alla presa di Costantinopoli adopera del Sultano Maometto II le cronacheci narrano di una guerra epocale, quasi apo-calittica che si combatté in terra, in mare eperfino nel sottosuolo, il Sultano turcospese tutte le proprie energie in questaimpresa schierando sulle colline di fronte aBisanzio più di 100.000 uomini, le crona-che parleranno di turchi numerosi come lestelle nel cielo.La Capitale dell’Impero era difesa solo dapoche migliaia di uomini tra cui anche igenovesi della città di Pera, le difese si ridu-

cevano alle due cinte murarie della Città, edalla grande catena che bloccava il passaggiovia mare dal Corno d’Oro alla Città di Pera.I bizantini potevano contare anche su diver-si cannoni che però nel corso dello scontronon poterono essere utilizzati a causa dellascarsità di salnitro presente in Città e perchéle forti scosse, al momento dello sparo, fini-vano per danneggiare le fortificazioni. Sipotrebbe parlare di una catastrofe annun-ciata, Bisanzio ultimo baluardo della cri-stianità in Oriente era chiusa in una morsamicidiale dal nemico che era disposto atutto pur di riuscire ad espugnarla.Nei giorni prima della caduta seguirononumerosi scontri, i greci cercarono in tutti imodi di resistere all’orda turca che si abbat-teva contro le vecchie mura di una Cittàormai in decadenza e corrotta, che era statada sempre teatro di congiure ed intrighi.Maometto II vinse soprattutto grazie allapotenza di fuoco che era riuscito a schiera-re, la costruzione di cannoni e bombardeera stata affidata ad un ingegnere europeo,un certo Urban, che si era occupato dicostruire un super cannone in grado di lan-ciare proiettili dal peso di 400 kg a più di unchilometro di distanza. Una macchina infer-nale progenitrice della celeberrima Bertausata durante la Prima Guerra Mondiale.Il giorno dell’assedio potrebbe essere para-gonato a quello dell’apocalisse, una pioggiadi fuoco si abbatteva incessantemente sullaCittà, un fiume inarrestabile di uomini siscagliava contro le mura.Il momento cruciale della battaglia si ebbequando scesero in campo i giannizzeri: l’èli-te dell’esercito turco, la guardia personaledell’Imperatore.Maometto II aveva deciso di concentraretutto il fuoco a disposizione contro la portadi San Romano che appariva essere quella

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maggiormente vulnerabile, il Sultano ebberagione, infatti, con la morte di un coman-dante italiano, i bizantini furono presi dalpanico ed i turchi riuscirono ad aprire unabreccia nel muro; i greci si ritirarono nellaseconda cinta muraria, ma non ci fu piùnulla da fare, gli assedianti irruppero inCittà e per l’Impero Romano d’Oriente fula fine, lo stesso Imperatore Costantino XIIperse la vita durante la battaglia.Le truppe, comeci narrano alcu-ni cronisti, silasciarono anda-re al massacro,uno storico del-l’epoca ci dicein proposito:“…Nel pomerig-gio del 29 maggio1453 il sangue hafluito come acquadopo una tempe-sta inattesa sullevie diCostantinopoli edi corpi hanno flui-to in mare come imeloni in uncanale…”.Non appena ilSultano entrò inCittà fece cessa-re le barbarie,ma ormai eratroppo tardi.A poco meno dimille anni dalladeposizione daparte di Odo-acre del giovaneRomolo Augu-stolo, ultimoI m p e r a t o r edell’Impero Romano d’Occidente, crollaval’ultimo baluardo della romanità.Con la conquista di Bisanzio ad opera diMaometto II, che per il successo ottenutonell’impresa acquisirà il titolo di Fatih, ilConquistatore, scompariva per sempre quelgrande sogno che era stata Roma.

L’Occidente ne uscì sconvolto, se i turchiavevano preso Costantinopoli potevanobenissimo arrivare in Europa.Enea Silvio Piccolomini salì al Soglio diPietro nel 1458, pochi anni dopo la presa diBisanzio, egli sentiva dentro di sé la neces-sità di intervenire, di dover fare qualcosaper salvare la Cristianità, forse era divenutoPapa in uno dei momenti più difficili per laChiesa.

Pio II si trovòsolo, i principioccidentali pre-ferivano nonprendere unaposizione defi-nita a causa deimoltissimi pro-blemi politiciinterni ai propristati, ma lui no.Lui non potevapermettere ildeclino dellaCristianità edavrebbe fattotutto quello cheera possibile,lui era il Vicariodi Cristo interra ed avverti-va fortemente ilpeso di questoruolo, lui dove-va fermare,anche da solo,l’avanzata mus-sulmana.La Dieta diMantova, doveil Papa tenneuna splendidaorazione, nonportò i frutti

sperati, in pochi decisero di seguirlo e datutta una serie di eventi Pio II arrivò, nel1461, a scrivere l’Epistola a Maometto II,l’uomo che aveva preso Bisanzio e mirava aconquistare l’Europa intera.Su questa famosa lettera, che non verrà mairecapitata al destinatario, e della quale si

Maometto II.

13La Dieta di Mantova in un’affresco del Pinturicchio. Duomo di Siena, Libreria Piccolomini

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scoprirà l’esistenza solo dopo la morte delPontefice e precisamente nel 1475, sonostati fatti numerosi studi alcuni anche inno-vativi, ma prima di analizzare la lettera e lemotivazioni che indussero un ormai stancoma indomito Enea a scrivere a Maometto IIproviamo a capire chi fosse in realtà EneaSilvio Piccolomini.La vita di Enea Silvio Piccolomini è sempreaccompagnata da una figura misteriosa chesi prende cura di lui in ogni momento dellasua vita: la Predestinazione.Enea è consapevole di essere in qualchemodo stato scelto per compiere un percor-so, Dio ha per lui progetti grandiosi. Come ci spiega nei suoi Commentari sonomolte le circostanze in cui, soprattutto da

bambino, Enea rischia di perderela vita. Si possono analizzare alme-no otto momenti in cui è chiarol’intervento di Dio.L’evento cruciale in cui ilPiccolomini esplicita l’interventodivino è quando, giovanissimo,viene caricato da un bove e riescemiracolosamente a salvarsi. Altroaspetto a cui Pio II dà moltaimportanza è quello del “viaggio”.Si possono riscontrare chiaramentealmeno due esempi, il primo quan-do con il Cardinale Capranica siimbarca per raggiungere il porto diGenova, l’altro quando scampapiù volte al naufragio duranteun’ambasceria in Scozia; proprionel corso di questo viaggio avvieneil vero miracolo. Enea, che si erarecato con i piedi congelati ad unsantuario della Vergine, per rende-re grazie di essere riuscito ad arri-vare incolume, miracolosamenteriprende a camminare. Quest’ul-timo evento diviene testimonianzaemblematica del rapporto partico-lare che il Piccolomini ha con laDivinità.Tornando al tema del viaggio inmare, Enea è come Odisseo el’Enea Virgiliano, sente di possede-re quel quid in più che gli permet-te di affrontare qualsiasi pericolo,

tanto la fortuna ha scommesso in lui; con ilpassare del tempo il termine fortuna vienesostituito dalla parola Fede.Infatti, la personalità di Enea è formata daun io tripartito che va letto come tappacomplementare della sua esistenza, nondiceva forse Musil che l’io dell’uomo ècome un arcipelago? Le tre personalità checompongono l’io del Piccolomini sonoquella dell’Umanista, quella del Politico edinfine la più rilevante di tutte quella che loinnalza al ruolo più importante a cui unuomo possa arrivare: la MissioneEvangelica.Questi tre momenti scandiscono con estre-ma precisione le fasi della maturazione delPiccolomini. Il giovane Enea mostra sicura-

Pio II in un ritratto quattrocentesco. Urbino, Palazzo Ducale.

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mente un animo versatile ed affascinante,volenteroso d’ imparare e di cercare la veri-tà. Un grande uomo deve necessariamenteinteressarsi di politica per comprenderefino in fondo l’animo umano, per capirecome dirà Hobbes: “Bellum Omnium ContraOmnes”, oppure: “Homo Homini Lupus”. Lapolitica è per Enea il banco di prova che loporterà a comprendere che non c’è salvezzaal di fuori della Chiesa Cattolica, anche leprofezie narrate nei Commentari ci presen-tano l’elezione a Papa come inevitabile. Enea Silvio Piccolomini arriva al Soglio diPietro grazie anche alle sue doti politiche,come lui stesso ci dice, ma sicuramente pervolontà Divina.Un animo sicuramente complesso e di dif-ficile decodificazione ma, al tempo stesso,un libro aperto per chi riesce a vedere oltrela storia.Enea vive il rapporto con i turchi come untrauma, il desiderio della Crociata è per luiun’idea nitidissima, un progetto ambiziosoma realizzabile. I potenti cristiani nonriuscirono a comprendere quanto Pio IIguardasse lontano; molti vedevano nel pro-getto del Piccolomini un velo di follia, inrealtà quella di Enea poteva essere follia, mauna lucida follia che la storia ha saputoricompensare.Arriviamo adesso al nodo centrale di questeriflessioni: l’Epistola a Maometto II.Con uno stile bellissimo, degno diCicerone e di Demostene, il Piccolominiriesce ad argomentare egregiamente le suetesi arrivando a fare una dichiarazione chesicuramente avrebbe sconvolto i principicristiani, rivolgendosi al giovane SultanoMaometto II, che arriva a paragonare adAlessandro Magno, scrive le seguenti paro-le: “Se vuoi propagare il tuo impero fra i cristia-ni e avvolgere di gloria il tuo nome, tu non haibisogno né di oro né di armi, né di eserciti, né dinavi. Una piccola cosa può renderti il più gran-de, il più potente e famoso fra quanti oggi vivo-no. Domandi cosa sia? Facile a indovinare, nélontana da te, se la vuoi. Dove ci sono uomini,essa c’è pure: si tratta di un po’ d’acqua che tibattezzi e ti dia modo di intervenire ai riti cri-stiani e credere nel Vangelo…”.Queste parole avrebbero sicuramente scos-

so il mondo, questa frase è il massimoesempio della teocrazia espressa dalPiccolomini, simbolo della superiorità dellaChiesa sul potere temporale, l’apoteosi del-l’autorità Papale.Il Papa riguardo all’Islam non aveva unaposizione definita in quanto in lui coesiste-vano due diverse visioni.La prima era quella intransigente portataavanti dall’inflessibile cardinaleTorquemada nella sua “Contra PrincipalesErrores Perfidi Machometti”, la secondaposizione era quella più mite espressa dal-l’amico fraterno Nicola Cusano nella sua“Cribatio Alchorani”. Nella stesura dell’epi-stola a Maometto il Pontefice, per chiarimotivi politici e retorici, si avvicina alle teo-rie del Torquemada.La cosa che colpisce è come avrebbe fattoil Piccolomini a nominare Maometto IIImperatore d’Oriente, forse come fece PapaSilvestro con Costantino, dopo tutto ilpotere temporale si fondava sulla conces-sione Divina. Alcuni storici hanno provatoa spiegare questo documento con nuoveargomentazioni, sono arrivati a teorizzareche la lettera avesse dei destinatari nascosti:i signori europei; si suppone che il Papavolesse spronarli ad intervenire, poichénegli stessi signori si sarebbe potuto insi-nuare il timore di perdere il loro potere seMaometto II si fosse convertito.Anche se il documento resta un enigma dif-ficilmente risolvibile, evidenzia come ilpensiero del Piccolomini sia profondo edattuale e si concentri sulla forza di un’idea,la sua idea di ordine cosmico.Al termine di queste brevissime riflessioni,occorre soffermarsi ad analizzare quello cheEnea Silvio Piccolomini aveva portatoavanti nel corso del suo Pontificato. Nonpuò non essere evidenziato il fatto che, nelpoco tempo avuto a disposizione, Pio IIabbia lasciato una testimonianza indelebilee che non deve essere dimenticata.

Intestazione della Epistola ad Mahometem nella primaedizione a stampa del 1475, Treviso, Geraert van der Leye.

La battaglia di Lepanto (Martino Rota, 1571).

Si potrebbe parlare di un uomo, che purvivendo pienamente il suo tempo, nellavisione del mondo è avanti di un secolorispetto ai suoi contemporanei; infattipochissimi riuscirono a comprendere finoin fondo la profondità morale e spiritualedel Piccolomini: una cultura vastissima, unintelletto vivace, un animo geniale che rac-chiudeva dentro di sé una forza di volontàincredibile. Lo testimonia, d’altra parte, lasua partenza per Ancona, nonostante la gravemalattia, al fine di dare vita alla crociata.Pio II si dimostrò un grande uomo anchenel momento più angoscioso della sua vita,la morte, che lo colse poco prima che dalporto della Città marchigiana si intravedes-

sero all’orizzonte le prime galee veneziane.Analizzando a posteriori il disegno politicodel Pontefice possiamo concludere che ilvero vincitore è proprio Enea SilvioPiccolomini. Qualcuno riferendosi a Pio IIdefinisce il progetto della crociata come ilsogno di Enea; considerando che a pocopiù di un secolo di distanza, precisamentenel 1571, ci sarà la battaglia di Lepanto chebloccherà definitivamente le mire espansio-nistiche degli Ottomani sull’Occidente,possiamo dire che quello del Piccolomini èstato sì un sogno, ma un sogno poi divenu-to realtà.

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Nei mesi successivi alla caduta diCostantinopoli avvenuta il 29 maggio 1453,il Piccolomini deplorava amaramente l’at-teggiamento del mondo cristiano che erarimasto inerte dinanzi ad una catastrofeannunciata da tempo. A suo avviso nelladissoluzione interiore e nell’impoverimen-to culturale della sua epoca si poteva ravvi-sare l’antecedente della calamità occorsa ecosì il suo invito al riscatto ed all’azionemilitare contro i Turchi si accompagnavaall’augurio di una rigenerazione spiritualein virtù della quale far fronte ad una situa-zione di pericolo gravissimo1.Il progetto della crociata nel pieno fioriredell’Umanesimo è sembrato a molti criticicome uno strano residuo medievale, ilvagheggiamento di un sogno del passatopoco plausibile in una personalità come ilPiccolomini così addentro alle vicende sto-riche della sua epoca. Anche di recente uncritico avveduto come lo Scafi non ha esi-

tato a concludere in maniera perentoria par-lando dell’umanista senese, che ”L’idea dellacrociata si estinse con lui”2, in realtà è possibi-le rettificare tale valutazione dal momentoche, dopo la scomparsa di Pio II, le ideeche avevano sorretto il suo progetto politi-co, anziché scomparire, ritornano a piùriprese permeando delle loro istanze ildibattito culturale e politico3. E’ significati-vo in tal senso soffermarsi sulle opere didue autori che hanno goduto di una straor-dinaria notorietà nella loro epoca e cioèSebastian Brant ed Erasmo da Rotterdam. Apochi decenni di distanza dal Piccolomini,e pur da angolature diverse e con valutazio-ni contrastanti, entrambi fanno comunquecapire come l’idea della crociata abbia con-tinuato a permeare della sua suggestionel’immaginario occidentale, al di là e controcerte visioni stereotipate dell’epoca cheimpediscono l’obiettiva ricostruzione stori-ca del passato restio, nella sua complessità,

L’idea di Crociata in SebastianBrant ed Erasmo da Rotterdam di ALFREDO FRANCHI

1 A.Franchi, Pio II fra arte, storia, cultura, “BullettinoSenese di Storia Patria”, CXIII, 2006, AccademiaSenese Degli Intronati 2007, pag. 337-Nota lo Scafi come le lettere scritte tra il 1453 ed il 1454manifestino in maniera evidente lo sgomento provatodal Piccolomini per una sconfitta che aveva ingeneratouna profonda angoscia nella constatazione che le mera-viglie dell’architettura bizantina e i tesori della lettera-tura classica accumulati nell’impero romano d’orienteerano ora bottino di guerra dei turchi, popolo feroce esacrilego. In particolare nella lettera inviata a Carvajal,che godeva di una particolare influenza sulPiccolomini, si coglie con evidenza il suo stato d’ani-mo: “Quis enim christianus non doleat tantum vulnusillatum esse catholicae fidei? Tristor et ego vobiscum” epoi “Me quidem Costantinopolitana clades magnopereangit”.

2 E.S.Piccolomini, Dialogo di un sogno, Torino 2004,p. 23 dell’introduzione a cura di A. Scafi.

3 A.Franchi, op.cit, p. 400-401: “E’ noto che

Cristoforo Colombo nel Giornale del primo viaggioaccennava alla possibilità di usare l’oro scoperto perrecuperare Gerusalemme e che Carlo VIII, nella suaimpresa del 1494, realizzata la conquista della penisolaitaliana, aspirava a guidare una crociata finalizzata ariconquistare Gerusalemme. Nel marzo del 1516 ilPapa Leone X con la bolla Constituti, dopo aver confer-mato le deliberazioni del Concilio Lateranense V, ricor-dava lo scopo per cui il Concilio era stato indetto, ossiaquello di realizzare una Universalis et firma pax, per poiintraprendere una Sancta et pernecessaria expeditio contracatholicae fides hostes. All’invito di Leone X che avevamesso in moto la raccolta della decime nell’intera cri-stianità rispose nel 1518 Ulrich Von Hutten con la suaesortazione all’Imperatore Massimiliano e ai principitedeschi Ad Principes Germanos ut bellum in Turcas concor-diter suscipiant perché, accantonate le rivalità, si muo-vessero unanimi contro il turco che in quel torno ditempo aveva invaso l’Egitto e conquistatoGerusalemme”.

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a risolversi nelle edulcorate visioni di certoirenismo contemporaneo4. Nel 1494 com-pare a Basilea “La nave dei folli”dell’umani-sta Sebastian Brant, libro che oggi molticitano, ma ben pochiconoscono nella sua inte-rezza. Composta di oltre7000 versi a rime baciatel’opera narra il grottesco edisastroso viaggio deimatti, ossia della gran partedegli uomini, verso il nau-fragio finale5. Sotto il profi-lo contenutistico Brantappare come un conserva-tore teso al mantenimentoed alla salvaguardia dell’or-dine antico, d’altra parteperò, come afferma il cura-tore dell’opera nella tradu-zione italiana, Brant illustraperfettamente, con la vita e conl’opera, il carattere dell’interomovimento umanistico6 e comunque il suolibro ha avuto nell’epoca e nei secoli suc-

cessivi una straordinaria diffusione pressouna cerchia variegata di lettori dotti edappartenenti ai ceti popolari. Chi si risolvaa leggerlo oggi nella sua interezza avrà la

sensazione di averlo inparte già conosciuto incerte riflessioni ed in certiaforismi che si sono incor-porati in maniera indelebi-le nell’immaginario occi-dentale7. Brant si servìdella stampa in manieramoderna utilizzando l’ope-ra di illustratori, tra i qualiDurer, che eseguirono lexilografie che arricchisconol’opera dando al messaggiocosì congegnato maggiorforza e perspicuità.Il capitolo 99 della “Navedei folli” con il titolo “Deldeclino della fede” è dedi-cato interamente al tema

della crociata8, presentata come rimediofondamentale per far fronte alla situazione

4 A.Franchi, op.cit, p. 398-9. Come ben si vede nel-l’analisi effettuata da Luca D’Ascia: “ Pio II non facevauna questione di principio della soluzione del proble-ma islamico e non avrebbe provato rimorsi se il prezzodella riconquista di Gerusalemme fossero stati i massa-cri che un secolo dopo Tasso descriverà nell’ultimocanto del suo poema. Era la normalità della guerra diallora che probabilmente Pio II considerava necessariadal punto di vista dell’ordine cosmico e sociale”. In taleprospettiva storiografica la preoccupazione edificanterende discutibile l’interpretazione storica. Non si devedimenticare che nella prospettiva globale del Picco-lomini si era dinnanzi ad un vero e proprio scontro diciviltà, da tale punto di vista la caduta diCostantinopoli appariva non come il momento con-clusivo bensì come tappa intermedia di una espansioneislamica indirizzata alla conquista dell’intera Europa.

5 S.Brant, La nave dei folli, Milano 2002, introduzio-ne di F.S.Sardi.

6 Op. cit., p.XII, p.240: “Di orgoglio matti moltiSono strapieni per essere, gli stolti, tornati qui da unpaese latino, e aver studiato a Padova ed Urbino, aBologna, Parigi oppur Pavia, e la sapienza in buonacompagnia, aver appreso ad Orléans o a Siena.. come sequi in terra Alemanna stesse in difetto la scienza, e sidovesse in paesi lontani a scuola andare”.

7 Op.cit, Brant, p.5: “Nessuno che non abbia alcundifetto tanto da poter dire: io son perfetto mentre chi

invece matto si ritiene più vicino a saviezza se ne vienecome va il mondo, qui si può imparare, e nessunodovrà il libro comprare la verità dovranno tutti udireanche chi non ne abbia alcun desire. Chi dice il vero,in Terenzio si legge, raccoglie odio, ed è una triste legge;p.9; Con i libri ho sempre un gran daffare e molti neho saputo accumulare. Spesso neppure un’acca necomprendo, eppure grande onore loro rendo. Forse chedovrei rompermi la testa per fare di nozioni una grancesta? Chi troppo studia si riduce scemo! p.13: Unpazzo a eredi e amici assai procura, ma dell’anima suanon si dà cura; penuria tiene nella vita odierna, e nonha mente per la vita eterna chi sol di quanto transitorioè vago l’anima sua seppellisce nel brago; p.14: Chi nelpaese nuove mode importa scandalo e il mal esempioanche vi apporta e a matti e pazzi spalanca la porta ciòche un tempo era detta infame cosa oggi più non appa-re vergognosa; p.20: Sono nel mondo le lodi un orna-mento grato, ma vano e lieve come il vento; p.71:Gioventù in poco conto tien la scienza dando piuttostopreferenza a cose che non recan frutto alcuno; p.93:Chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolisseme-volmente; p.240: Di orgoglio matti molti sono strapie-ni per essere, gli stolti, tornati qui da un paese latino.

8 Op. cit, pp.257-63: “Piccoli e grandi, vi imploro,signori: Del bel comune siate difensori! Altri sian delberretto i portatori! Se io in rassegna passo le omissio-ni, Scandali e molte perdute occasioni Da principi e dasignori di città, Nessuno certo meraviglia avrà Se ho gli

Sebastian Brant ritratto da Hans Burkmaier.

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di sfacelo complessivo della cristianità. Sitratta di una proposta criticabile e discutibi-le, come del resto si verifica in ogni presa diposizione relativa a tematiche gravi edirompenti, in ogni caso appare come

documento prezioso al fine di ricostruirepaure e speranze, non semplicemente del-l’autore, ma di un’epoca intera dal momen-to che l’opera di Brant ebbe una straordina-ria diffusione e numerosissimi appassionati

occhi di lacrime pieni Al veder dove il mondo tuttomeni Della Fede il tristissimo declino. Nessun mi vogliamale se persino Principi e grandi in ballo ho tirato!Ormai a tutti è stato svelato Il frangente e il periglioognor crescente Della Fede cristiana oggi giacenteNell’oblio. Degli eretici la schiera Per prima in essa haportato bufera, La Chiesa assai lacerando e minando.Di Maometto dall’animo nefando Ancora più essa èstata straziata, Che l’errore ha diffuso ed ha oltraggiataQuella che prima in Oriente regnava, E alla quale l’Asiaintera s’inchinava Con l’Africa e la terra mauritana.Ormai laggiù la Fede è resa vana; e la pietra più durapiangerebbe Pel detrimento di ciò che dovrebbe Esserenostro, e che abbiamo perduto Nel Levante ed inGrecia, e posseduto E’ oggi da quel che chiamiamo ilGran Turco Che d’inghiottirli s’è mostrato lurco E dallanostra fede ha distaccato; Ben sette Chiese avevanoospitato, Come leggiamo nell’Apocalisse E mai nessu-no nel mondo predisse Che avremmo noi quei paesiperduti. Ma ben altri possessi son caduti Nostri inEuropa, e in tempi molto brevi: Due imperi, regni,cittàmolte e pievi, Forti paesi e, per nostra onta,Costantinopoli e con essa Trebisonda, Monarchie intutto il mondo molto note: Acaia, Etolia, Beozia e ledevote Terre d’Attica, Misia e della Tracia, E Tribuli pri-gionieri di fallacia Islamica, Scordisci e Negroponte,Bastarni, Tauri e la città di Idronte, E con essa l’Eubea,Caffa e poi Pera, Senza contare i danni e la buferaToccati a Stiria, Corinzia e Croazia, Alla Morea e allapovera Dalmazia, All’Ungheria ed alle Marche Vende.E il dominio dei turchi ancor s’estende; Non son sol-tanto del mare padroni: Nelle mani è il Danubio deipredoni. In ogni terra essi fanno irruzione, E delleChiese fan profanazione; Oggi la Puglia, domani laSicilia, Magari il Turco l’Italia si piglia, Ed entra quindifacilmente in Roma, E Lombardia e la Francia posciadoma! E’ davanti alle porte oggi il nemico: Ma ciascunpreferisce, io ve lo dico, Essere colto nel sonno da morte!Il lupo è nella stalla, e triste sorte Attende dunque dellaChiesa il gregge Poiché il pastore non veglia e nonregge…. .…..Disobbedienza e la discordia nera Stan struggendola Fede e l’unità; Cristiano sangue ancor si verseràInutilmente. Nessuno ha più esatta Nozion dell’ormaiprossima disfatta E di restare libero vaneggia Finchédella capanna e della reggia Non sia alla porta disgraziae la sfonda: Soltanto allora accade che rispondaLevando il capo. Sono spalancati D’Europa gli usci, evi sono portati Nemici ad ogni spiffero di venti, Chenon son pigri e neppure sonnolenti Ma sol di sanguecristiano assetati. O Roma! Quando i tuoi re sono stati,Per lunghi anni vivesti in servaggio; Poi fu il Senato tuotalmente saggio Da garantirti infin la libertà. Ma poi

l’orgoglio trionfò e la vanità, Brama di gloria e di gran-de bottino, Ed il vicin mosse guerra al vicino, Senzapensare al comune vantaggio; Decadde allora il roma-no retaggio: Dai Cesari tu fosti soggiogata, Per mille ecinquecento anni obbligata A viver di lor gloria nelriflesso. Ed a tutt’oggi ancor non è successo Che nonsia andata tu pur declinando, Come la luna quando vacalando Ed il suo raggio scema lentamente; Così tu,Roma, oggi non conti niente. Ah, se soltanto IddioSignor volesse Che l’Impero Romano risorgesse, E tor-nasse a risplender come la luna! La mano saracena, persfortuna, I Luoghi Santi nel pugno trattiene; E tanti nehanno ormai le turche iene Presi che non si posson piùcontare; Riprenderli? Ahimé, c’è da disperare. Alle armihan dato man molte città, Dall’Impero ottenendo liber-tà;………………… Un Sovrano Avete buono, che conforte mano Vi guida, e tiene alta la bandiera, E la nazio-ne può piegare intera Al suo volere se voi l’aiutate:Massimiliano è il nobile ottimate Cavalleresco che s’èmeritato La corona romana, e al quale è dato Di ripren-dere un giorno i Luoghi Santi Se voi non vi mostratetitubanti Ed egli si potrà di voi fidare. L’obbrobrio e l’i-ronia da voi gettare Vi conviene, e tenere ben presenteChe Dio sostiene esercito coerente.Sebbene abbiam perduto terre molte, Sotto la Crocealtre ne stan raccolte Numerose, ed i principi ed i re, Inobili e le città potran, purché Restino uniti e fusi sal-damente, Riprendere e governare pienamente Il mondointero. Fedeltà bisogna, Concordia, amore, e non più lavergogna Tollerare, ed allora Iddio Signore Ci aiuteràcon tutto il Suo valore!

9 Erasmo, Elogio della Follia, Milano 1989, p.223 : “Ebenché la guerra sia una cosa tanto inumana da confar-si a bestie feroci, non a uomini, tanto folle che anche ipoeti immaginano venga inviata sulla terra dalle furie,tanto pestilenziale da introdurre in uno stesso tempouna generale corruzione etica, così ingiusta che i sog-getti adatti a condurla sono i peggiori briganti, tantoempia da non essere assolutamente compatibile conCristo, nonostante tutto questo tralasciano ogni altracosa e si dedicano a essa soltanto”.

10 Erasmo, I Colloqui, Milano 1967, p.185: “Tutte leregge hanno una gran fame, fame di denaro, e poi cisono i pericolosi moti dei contadini, i quali, nonostantei massacri, non si danno per vinti. Il popolo va verso l’a-narchia, l’edificio della Chiesa crolla per le diverse fazio-ni che lo mettono in pericolo… a causa delle decime isacerdoti perdono il loro prestigio, i teologi la dignità, imonaci ogni grandezza. La confessione traballa, i votivacillano, i decreti pontifici cadono nel nulla… Si atten-de l’anticristo, il mondo intero partorisce non so qualiflagelli, frattanto c’è la minaccia dei turchi. Se non la siarresta, saccheggeranno, devasteranno tutto.”

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lettori che, per suo tramite, portavano allaluce idee, sentimenti, desideri che, magariinconsciamente, urgevano in fondo al loroanimo. Nell’opera di Erasmo l’analisi della guerra edelle atrocità che l’accompagnano fa dasfondo alla valutazione critica e negativadella crociata9. Di continuo nei suoi scrittisi fa riferimento aduna situazione genera-le altamente dramma-tica in cui l’anticoassetto politico, socia-le, religioso vienemesso a soqquadro10.Coloro che sono inve-stiti delle maggioriresponsabilità politi-che, accecati da unodio mortale, sonocoinvolti in una lottasanguinosa e nessunoè ormai al riparo dalleconseguenze esizialidi una guerra feroce ecrudele11. Non senzaironia Erasmo nota:Persino nella spiegazionedel Vangelo si mettono asbraciare che è una guer-ra giusta, santa e pia. Lestesse cose predicano inun campo e nell’altro,mostrando di possedere uno straordinario corag-gio. Ai francesi assicurano che Dio è coi francesi,come potrà essere vinto colui che ha Dio come pro-tettore? Agli inglesi e spagnoli dicono invece chequesta guerra non è condotta dall’imperatore mada Dio in persona, e che debbono solo mostrarsicoraggiosi, perché la vittoria è assicurata.Che sepoi qualcuno dovesse crepare, costui non perirà dicerto ma, bello e armato, salirà diritto al cielo12.Quando Erasmo parla delle sofferenze

indotte dalla guerra non opera come storicoche registra vicende lontane ed estranee alsuo personale coinvolgimento. Proprionegli “Adagia” informa della morte in batta-glia di un amatissimo allievo lasciato allesue cure nel periodo in cui aveva soggior-nato a Siena (nell’anno 1509) Al fianco delvalorosissimo padre, cadde vero figlio di suo

padre, Alessandro Ar-civescovo di St. Andrewche alla giovane età divent’anni non manca-va di nessuna dellequalità che possonoadornare la pienamaturità di un uomofuor del comune.Straordinaria bellezza,straordinaria nobiltàd’aspetto, figura disemidio, temperamentodolcissimo, sì, ma gran-demente dotato perl’apprendimento diogni disciplina. ASiena feci per un certotempo vita in comunecon lui: in quel tempolo addestravo in retori-ca e in greco. ChiamoDio a testimone dellamia ammirazione perla prontezza, la felici-

tà, la duttilità, per la grande versatilità e capaci-tà assimilativa di quella intelligenza. A Sienastudiava giurisprudenza, senza grande trasporto,però, per i barbarismi frammischiati al linguag-gio giuridico e per l’insopportabile verbosità deicommentatori…. Se mai uomo si dimostròall’altezza della sua nascita regale, e figlio di untale Re , quell’uomo fu Alessandro. Magari il suo amore filiale avesse incontrato ilfavore della sorte così come meritò il plauso degli

11 Op. cit., p.312: “Tre monarchi accecati da un odiomortale, si sono gettati in una guerra di reciproco ster-minio…e nessuna parte del mondo cristiano è al riparodalle stragi del conflitto, perché quei tre trascinano secotutti gli altri nel comune destino della guerra …nep-pure la Turchia se ne sta in ozio, ma anzi va tramandocose molto gravi; la peste infuria ovunque… aggiungi-

ci poi un nuovo contagio sorto da una discordanza diopinioni che ha così profondamente guasti tutti glianimi da rendere ormai impossibile ogni amicizia sin-cera: il fratello diffida del fratello, la moglie è in disac-cordo col marito”

12 Op. cit., p. 312-3

L’effige di Erasmo da Rotterdam in un ritratto cinquecentesco.

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uomini! Per non separarsi dal padre in nessunacircostanza, lo accompagnò in guerra… Ma checi fa, in mezzo a tanta violenza, la tua bellezza,la tua giovinezza, la tua mansuetudine, il tuocandore? Che ci fa l’uomo di scienza sul campodi battaglia? Che fa un vescovo con le armi inmano? Ti sei lasciato fuorviare dalla tua smoda-ta carità filiale, e per attestare al padre il tuointrepido –troppo intrepido -amore, hai trovatoaccanto al padre una tristissima morte: è bastatauna battaglia ad annientare come un turbinetanti doni di natura, tanti talenti, tante fervidesperanze. Anche una parte di me è morta: quelche impiegai nell’istruirti, quel tanto di te che miappartiene, frutto del mio impegno13. “Periit etnostrarum rerum nonnihil”. Questa la frasecon cui Erasmo compendia nel tragico epi-logo la sua permanenza senese. Si compren-de pertanto dalle sue commosse parole daquale profonda ferita fosse stato colpito ecosì ogniqualvolta si trova a parlare dellaguerra s’avverte l’eco di un dramma perso-nale mai risolto.Il suo sdegno si fa più aspro e la criticadiviene acre quando coglie nelle voci diguerra contro i turchi il pretesto per spre-mere denari in spregiudicate avventure bel-liche14 e del resto per lui non hanno sensole conversioni imposte con la violenza: Chiha mai visto fare dei cristiani, dei cristiani vera-ci, a forza di fuoco e ferro, di carneficine e di sac-cheggi? Meglio… un turco sincero che un cristia-no ipocrita15. Con singolare stravolgimento sigabella per altissimo sentimento religioso16

un’impresa bellica che per difendere il peculiodei preti… travolge tutta la vita religiosa17.Erasmo, recuperando la visione agostinianadelle organizzazioni politiche come“Magna latrocinia”, si domanda con ironia:

Chi deve imitare il Vicario di Cristo? Chi se nonCristo, duce e imperatore unico della Chiesa?Oppure è più conveniente che imiti i vari Giuli,Alessandri, Cresi e Sersi, i quali altro non furo-no che briganti in grande formato?18

Ma è sicuramente nel “ Dulce bellum inex-pertis” che la visione antibellicista diErasmo perviene alla sua espressione piùvibrante e commossa anche perché, in taleimpegno ed in tale scelta, l’umanista avver-te una dolorosa solitudine: Al giorno d’oggila guerra è un fenomeno così largamente recepito,che chi la mette in discussione passa per strava-gante e suscita la meraviglia; la guerra è circon-data di tanta considerazione, che chi la condan-na passa per irreligioso, sfiora l’eresia: come senon si trattasse dell’iniziativa più scellerata e altempo stesso più calamitosa che ci sia19. E cosìErasmo ci rende edotti di una situazionecomplessiva in cui la scelta bellica, non-ostante la sua mostruosità20, appare in con-creto la più congeniale alla natura umana:Fra uomo e uomo, fra tutti gli uomini presi unoa uno, c’è guerra perpetua: non esiste nel genereumano un’alleanza veramente salda21.Erasmo, facendo ricorso ad un topos desti-nato ad avere grande fortuna nella letteratu-ra illuministica, immagina un extraterrestrein visita nella terra al fine di trovare lacomunità cristiana di cui aveva ricevuto inprecedenza la raffigurazione ideale.Ebbene, mai e poi mai la potrà riconoscereove concretamente esiste avendo però deltutto accantonato i suoi tratti ideali22.Erasmo peraltro non è interprete di un paci-fismo ingenuo e sentimentale, ben cono-scendo gli aspetti torbidi ed inquietantidella natura umana23, per cui nelle vicendestoriche dell’umanità non esiste pratica, per

13 Erasmo, Adagia, Torino 1980, p.51-5.14 Op. cit., p. 275: “Sento aleggiare nell’aria un

sospetto che non voglio neanche formulare, un sospet-to che in troppi casi, ahimè, si è trasformato in certez-za: che le voci di guerra contro i turchi vengono messein giro apposta per avere il pretesto di spremere il popo-lo di Cristo, per opprimerlo, per fiaccarlo in tutti imodi e indurlo così a sottostare più servilmente allatirannide dei principi secolari e non secolari.”

15 Op. cit., pp.XXII-XXIII.16 Op. cit., p.93317 Op. cit., pp.93-4.

18 Op. cit., p.101.19 Op. cit., p.199.20 Op. cit., p.221: “ Che cos’è la guerra? Un omici-

dio collettivo, di gruppo; una forma di brigantaggiotanto più infame quanto più estesa. Ma questo generedi riflessioni muove a riso e a scherno gli stolidi perso-naggi che stanno oggi al vertice. Son farneticamenti damaestri di scuola, sentenziano, sentendosi al livello diDio”.

21 Op. cit., p. 209.22 Op. cit., p.239-41: “Facciamo un’ipotesi, supponi

che inaspettatamente ci piombi qui, sulla terra,, un

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quanto infame, per quanto atroce, che non s’im-ponga, se ha la consuetudine dalla sua parte24, ecosì la sua esclusione dalla guerra non èassoluta come avviene in certo pacifismocontemporaneo: Con questo non intendo con-dannare in tutto e per tutto la guerra contro i tur-chi, se i turchi prendono l’iniziativa25.Erasmo nota con orrore come la consuetu-dine induca l’uomo ad accettare come nor-male la situazione più sconvolgente26 e così,anticipando i pensatori tragici, coglie nelleguerra e nella violenza generalizzata la con-dizione più diffusa e comunque caratteriz-zata da un singolare paradosso: nella visio-ne codificata dell’epoca difatti i militari cheuccidevano persone innocenti erano consi-derati uomini degni di onore ed ammira-zione, mentre il boia che giustiziava presu-mibili malfattori era considerato persona

infame e priva di onore27. E’ interessantenotare come il famoso ”Elogio del Boia” diDe Maistre rinvenga nei passi di Erasmo lasua scaturigine come facilmente si evincedal raffronto testuale28. Il passo di DeMaistre isolato dal suo contesto è diventatouna sorta di argomento risolutivo per quali-ficarlo come esponente di punta del pensie-ro reazionario e conservatore nella sua acce-zione più negativa, quando al contrario –come avviene in Erasmo – la considerazio-ne positiva del boia serviva a rimarcare inmaniera suggestiva il carattere assurdo ebrutale delle uccisioni in guerra.Sebastian Brant che auspica la crociata perarrestare lo sfacelo della sua epoca, edErasmo che risolutamente la combatte neilimiti accennati documentano come le ideecare al Piccolomini non siano cadute in

ospite eccezionale, proveniente da quelle città dellaluna immaginate da Empedocle, o uno degli innume-revoli mondi escogitati da Democrito. L’ospite vuolfarsi un’idea delle condizioni di vita sulla terra. Vieneragguagliato particolareggiatamente. Sente parlare diuna creatura che sorprendentemente associa corpo (cheha in comune con gli animali) e anima ( fatta ad imma-gine dell’intelletto divino). La nobiltà di questa creatu-ra è tale che essa detiene un potere sovrano su tutti glialtri animali, pur essendo sulla terra in esilio; la sua ori-gine celeste la pungola e la sospinge senza tregua versoobiettivi celesti e immortali; l’Eterno l’ha cara al puntodi mandar quaggiù il Suo Unico Figlio a portare unnuovo genere di sapienza…L’extraterrestre s’informeràaccuratamente di tutta la vita di Cristo e dei suoiammaestramenti. Dopo di che, vorrà scegliersi un osser-vatorio elevato e di lassù verificare con gli occhi leinformazioni acquisite per via orale. E che cosa vedrà?Vedrà che tutti gli animali vivono all’interno della lorospecie secondo certe regole, che seguono le leggi dinatura, che non hanno appetiti innaturali; vedrà che unsolo animale ingaggia con i suoi simili traffici e merca-ti, zuffe e guerre. A questo punto,direi, il nostro extra-terrestre sarà pronto ad identificare l’uomo, oggetto ditutti quei discorsi, con un qualsiasi animale. Ad ecce-zione, appunto, dell’uomo. Sennonché la sua guida lotrarrà d’errore, gli dirà: quello è l’uomo. Ed ecco l’ex-traterrestre cercare con lo sguardo la comunità, che glihanno celebrato, dei cristiani quella che dovrebbe offri-re un’immagine della città degli angeli. Finirà, direi, perlocalizzare la società cristiana in una qualsiasi parte delmondo, fuorché in quella che è teatro di tanta sfacciataopulenza, dissipazione, libidine, superbia, dispotismo,ambizione, frode, invidia, ira, discordia, risse, battaglie,guerre, sconvolgimenti. Insomma una cloaca di tutti ivizi che Cristo ripudia, cose da Turchi o saraceni, eforse peggio.

23 Op. cit., p. 209.24 Op. cit., p. 215.25 Op. cit., p. 275.26 Op. cit., p. 215: “La forza della consuetudine si

estende dappertutto ed è tanto grande che presso certipopoli passava per un gesto di pietà prendere a basto-nate il vecchio padre, gettarlo in una fossa e togliere lavita a chi ti aveva fatto il dono della vita; mangiar lacarne di amici e parenti valeva come pratica devozio-nale; si considerava edificante prostituire al popolo unavergine nel tempio di Venere. E vigevano molti usiancora più assurdi.”

27 Erasmo, I Colloqui, op. cit., p.279-80: ” Nessuno siabbasserebbe a dare la propria figlia al boia il quale, persalario, serve le leggi proprio come il giudice, ma chi dinoi rifiuta di imparentarsi con un soldato di ventura ilquale, molte volte contro il parere dei genitori e non-ostante l’espresso divieto del magistrato, si è dato allaguerra mercenaria lordandosi di innumerevoli stupri,rapine, sacrilegi e di ogni altra sorta di delitti che sicommettono di solito quando si è alle armi, quando siva in guerra, e quando se ne ritorna: un uomo comequesto noi siamo ben contenti di prendercelo comegenero, e la verginella se ne innamora nonostante cheegli sia più ributtante di un carnefice”. E dagli Adagiaop.cit., p. 249 “Il boia vive fra l’abominio generale, per-ché è assoldato per mettere a morte delinquenti e reiconvinti, secondo i dettami della legge. E chi abbando-na genitori, moglie, figli e di propria volontà si precipi-ta in guerra, non perché assoldato, ma perché aspira afarsi assoldare per un’infame carneficina- ebbene costuitorna a casa fra il favore generale… sembra che i delitticonferiscano un’aurea di nobiltà”.

28 De Maistre, Le serate di Pietroburgo, Milano1971,p.378: “ Immagino che un essere intelligente extraterre-stre giunga sul nostro globo….gli racconteremo moltecose curiose e gli diremo tra l’altro che la corruzione e

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oblio dopo la sua scomparsa. Almeno fino a quando il pericolo turco saràvenuto meno si potrà cogliere la loro pre-

senza nel dibattito culturale e politicodell’Occidente29.

Erasmo da Rotterdam ritratto da Hans Holbein il Giovane.

i vizi… esigono che l’uomo muoia in date circostanzeper mano dell’uomo; e che questo diritto di uccideresenza commettere un delitto è affidato, fra noi, al boiae al soldato. Il boia, aggiungeremo, dà la morte ai col-pevoli, processati e condannati, e le sue esecuzionisono fortunatamente così rare che in ogni provinciabasta un solo ministro di morte. Quanto ai soldati nonve ne sono mai a sufficienza, perché devono uccideresenza limiti e devono uccidere sempre uomini onesti.Fra questi due uccisori di professione, il soldato è l’ese-cutore di una condanna, l’uno è molto onorato, e lo èsempre stato fra tutte le nazioni che hanno finora abi-tato sul globo in cui siete giunto; l’altro invece è dichia-rato sempre e dappertutto infame; indovinate….. suquale dei due cade l’anatema. Certamente il genio viag-giatore non esiterebbe nemmeno un istante: farebbedel boia tutti gli elogi…. Voi sapete, signori, come stan-no le cose, e quanto si sbaglierebbe quel genio! Il mili-tare e il boia occupano effettivamente le due estremitàdella scala sociale ma nel senso inverso a questa bella

storia. Nessuno è più nobile del primo, nessuno è piùabbietto del secondo”.

29 Francisco de Vitoria (1483-1546) sui temi etico-politici è certamente uno degli autori più significatividel Rinascimento. I temi da lui maggiormente affronta-ti sono la “guerra giusta” e lo “ jus gentium”. .Per comprenderne il pensiero lo dobbiamo collocarenel suo contesto storico; da un lato la conquista delNuovo Mondo e dall’altro, le vicende dell’Europa delprimo Cinquecento, divisa al suo interno tra potenzecristiane antagoniste e minacciata dall’esterno dal peri-colo ottomano. L’interpretazione della “guerra giusta”varia secondo l’ambito di riferimento: nel caso delNuovo Mondo, De Vitoria si preoccupa di condannarele atrocità dei conquistadores, per quanto attiene allevicende europee invita i principi cristiani alla pace ed èdurissimo nei riguardi degli infedeli mussulmani consi-derati come “perpetui hostes“.

Veduta di Montalcino alla fine del XVII sec.

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La storia di una città si può ricostruiresecondo varie prospettive, come ad esem-pio i cambiamenti delle forme di governo,l’andamento demografico e l’influenza dieventi politici di portata ultra territorialeche si riflettono nel contesto socio – econo-mico o il susseguirsi degli stili architettonicie delle correnti artistiche che si fondono neltessuto urbano. Montalcino rappresenta una realtà multisfaccettata, in parte ancora da scoprire, tut-

tavia, chi si avvicina a questa città ed allasua Storia non può fare a meno di notareche essa è costellata dalle storie di moltedonne, che hanno lasciato i segni del pro-prio passaggio ed hanno contribuito a ren-derla un centro apprezzato ed ammirato inmolti ambiti1.Dal Medioevo ai giorni nostri, il panoramadi testimonianze, notizie appena accennate,veri e propri racconti sulle Donne montal-cinesi è ricco e variegato. Ognuno di essi

Montalcino: la storia in rosa di FRANCESCA MONACI

1 Il panorama femminile della storia ilcinese si arric-chisce continuamente di notizie che svelano realtà fino-ra poco conosciute o puntualizzano fatti già noti. Unaricerca complessa e continua è alla base di interessantiaggiornamenti in entrambe le direzioni. Questo artico-

lo riporta notizie relative ai secoli XIV-XVII, per ulte-riori informazioni si rimanda a FRANCESCA MONACI, Ledonne nella storia montalcinese, in Gazzettino e Storie delBrunello e di Montalcino (d’ora in poi GSBM) anno II n.16, maggio 2008, pp.29-30.

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2 Per un approfondimento cfr. FRANCESCA MONACI,Un testamento trecentesco ed il dipinto voluto da DonnaGiovanna, in GSBM, anno II n. 18, luglio 2008, p.22.

3 Archivio di Stato di Siena (d’ora in avanti ASSi),Diplomatico Patrimonio dei resti ecclesiastici, Compagnie,sec. XIV 2° metà giu. 11 (cas. 1157). Pizzetti A DCCCXe DCCXV. Per un inventario e per i regesti delle perga-mene delle Confraternite cfr. Le pergamene delleConfraternite nell’Archivio di Stato di Siena (1241 – 1785).Regesti a cura di Maria Assunta Ceppari Ridolfi, in par-ticolare, 967 e 968 pp.424-425.

4 Cfr. tra gli altri: Bruno Bonucci, Feste e mercati nellaMontalcino industriosa del Quattro-Cinquecento, SanQuirico d’Orcia 2004; Anabel Thomas, Le fratesse e lemantellate terziarie della corte di Montalcino, in MarioAscheri – Vinicio Serino (a cura), Prima del Brunello.Montalcino capitale mancata, San Quirico d’Orcia 2007,pp. 78 e ss; Giulia Zoi, Il Convento di san Francesco, inGSBM, anno I n.5 maggio 2007, pp.10-11.

5 Giovanni Antonio Pecci, Notizie storiche della Cittàdi Montalcino, (a cura del Circolo A.R.C.I. Montalcino),Sinalunga 1989, p.1.

rappresenta un tassello che si aggiunge almosaico storico di questo paese delle colli-ne senesi e ci aiuta a scoprire dettagli finorapoco conosciuti, in particolare per quantoriguarda l’apporto femminile. L’analisi dei documenti archivistici mostradonne impegnate in prima linea in attivitàtipicamente femminili o co-protagoniste dialcuni degli eventi più significativi dei seco-li passati, che meritano di essere ricordate eche hanno lasciato le tracce della loro pre-senza in molti campi del quotidiano. Nesono esempio Giovanna di Cenne vissutanel Trecento, donna Lina e donna PetraRettrici dello Spedale di santa Maria dellaCroce, così come le donne che hanno dife-so la città durante gli assedi nel Cinque-cento, e le loro concittadine che, con amoree passione, hanno fatto conoscereMontalcino per i tessuti damascati vendutilocalmente ed esportati, come accade ancoraoggi grazie alle imprenditrici del vino, checontribuiscono a rafforzare e diffondere ilprestigio del pregiato Brunello nei calici ditutto il mondo. È un percorso che si snodanei secoli ed è il segnale di una forte identi-tà culturale nella quale le donne ilcinesi siriconoscono e della quale fanno parte. Uno dei testi più antichi che documentanouna committenza artistica privata è una per-gamena trecentesca inedita2. È datato 11giugno 1363, infatti, il testamento diGiovanna di Cenne di Bono, moglie diBartalo di Salvino, con il quale essa disposedei propri beni mortis causa. Giovanna desti-nò e vincolò una parte dei suoi averi per larealizzazione di un dipinto raffigurante SanNicola da Tolentino; inoltre ne fissò la col-locazione nella Chiesa di Sant’Agostino,nella quale desiderava essere sepolta3.

Allo stato attuale il dipinto di cui parla iltestamento non risulta presente in edificireligiosi o laici dell’area montalcinese, per-tanto se ne può ipotizzare la dispersione.Ciononostante, è interessante notare che ladisposizione di donna Giovanna si colloca-va in un contesto profondamente segnatodalle considerevoli committenze artistichedei privati e delle compagnie religiose, sullascia del quale furono realizzatati numerosiinterventi, come la fondazione della cap-pella di Santa Maria nella piazza del merca-to per volere di donna Petra Cacciati, gli attimunifici di sua sorella Lina di Ser Griffo4 edi donna Gemma di Luca di Memmo, chearricchì l’altare di san Francesco per l’omo-nima fraternità.L’attenzione per il bello e la cura dei detta-gli tipica delle montalcinesi traspare anchedalla loro abilità nei lavori prettamentefemminili. L’erudito senese del SettecentoGiovanni Antonio Pecci, nelle sue Memoriestoriche, lo indica nella prima carta dellasua relazione come uno dei segni distintividella piccola comunità senese, “la più nobi-le, la più popolata e la più mercantile”. “Einfine le donne, oltre a tutti i lavori chesogliono l’altre femmine esercitare, in que-sta città lavorano a telaio finissimo panni dilino a damasco con tanta delicatezza e per-fezione, che non sdegnano i gran personag-gi servirsene per imbandire le loro tavole5”.Le donne di Montalcino, quindi, eranoconosciute anche per la loro abilità nellafilatura, nella tessitura e nel ricamo: i loroprodotti non erano apprezzati solo local-mente, infatti, la loro diffusione oltre i con-fini, era un esempio di intraprendenza e diindustriosità, quasi ad anticipare gli ottimirisultati ottenuti nel XX secolo dalle loro

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concittadine in campo vitivinicolo … La passione per le manifatture traspareanche dalla lettura dello Statuto del dannodato. La provenienza della notizia è certa-mente insolita in quanto si trattava di untesto avente un carattere essenzialmentelegislativo, che si occupava di tutelare laproprietà privata. Se leggiamo tra le righe,però, appare un’altra informazione interes-sante. La filatura era talmente diffusa daessere praticata dovunque dentro e fuoridalle abitazioni, tanto che si era arrivati adaffiancare ai consueti divieti in tema di igie-ne, il divieto di filare in determinati luoghi,come la stanza in cui si cuoceva il pane edin prossimità dei pozzi6.Ciò non deve far credere che le donne aMontalcino si dedicassero solamente a lavo-ri tipicamente femminili, tutt’altro… Inquesto breve viaggio fra le piccole storiedelle Signore ilcinesi, possiamo incontrarele donne che difesero strenuamente la cittàinsieme ai loro compagni nel 1526, in occa-sione dell’assedio dell’esercito papale invia-to da Clemente VII contro Siena.Nonostante che il Commissario avesseespressamente bandito il divieto per ledonne e i giovani di avvicinarsi alle mura,come raccontano Tullio Canali e GiovanniPecci, l’ordine fu disatteso, le donne siarmarono di attrezzi di ferro e di legno, dipietre ed altri strumenti idonei alla difesa edall’offesa7. L’esito dello scontro fu netta-mente favorevole ai montalcinesi tra le cuifila si registrarono poche perdite, al contra-

rio di quanto accadde al nemico8. Un altro esempio della loro versatilità risaleagli anni cinquanta del XVI secolo, quandole donne non si limitarono a dispensarecibo agli uomini impegnati nel rifacimentodella Rocca, ma collaborarono material-mente per una migliore e più rapida realiz-zazione delle fortificazioni9.Da non dimenticare è la presenza femmini-le in un centro di potere enorme: loSpedale di Santa Croce amministrato da unRettore: un cittadino montalcinese ultra-quarantenne sposato (“dovrebbe avermoglie, ma senza figliuoli”10), incaricato tral’altro di scegliere una matrona che si dove-va occupare di far maritare venticinque fan-ciulle. Inoltre, nell’organico dello Spedaleera tassativamente richiesto che il canovaioavesse una moglie, che ci fossero una for-naia ed una serva, oltre ad un cerusico -anch’egli sposato - in modo che i coniugi sipotessero dedicare alla cura dei malati diambo i sessi, col massimo rispetto del pudo-re altrui.Infine, una considerevole messe di informa-zioni è tramandata dallo Statuto, specchiodella realtà comunale, che custodisce ildiritto vigente nel territorio a partire dalXVI secolo11. Alle disposizioni rivolte alle donne e tradi-zionalmente contenute anche in altri codicilegislativi dello Stato senese, come quelleche regolavano la dote e le modalità per lasuccessione ereditaria o che riducevano lesanzioni penali in ragione del sesso, si

6 ASSi, Statuti dello Stato 72, cap.16 c.20r. Il testo èstato oggetto della tesi di laurea in giurisprudenza diGiacomo Ceccariglia, relatore Prof. Mario Ascheri, cor-relatore Prof.ssa Donatella Ciampoli, che ringrazio peravermi messo a disposizione la trascrizione del testo.

7 Tullio Canali, Notizie istoriche della città diMontalcino in toscana, (a cura di A. Brandi), EditriceAbricola, 2008, pp. 294 e ss., Giovanni Antonio Pecci,Notizie storiche cit., p.59 e p. 80. Cfr. Emanuele Repetti,Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze,1833-1843, ad vocem p. 207, “Fu allora che iMontalcinesi, uomini, donne e ragazzi, non solo conpochi soldati seppero respingere l’ostile assalto delletruppe papaline battagliando nove ore intorno allemura, ma restarono morti degli assalitori più di cento,e molti feriti, mentre furonvi solo quattro morti e due

feriti di dentro”.8 Fermo restando l’esito dello scontro, la consisten-

za numerica dei feriti e dei deceduti riportata da storicied eruditi dell’epoca presenta significative divergenze.

9 Cfr. Giovanni Antonio Pecci, Memorie storico criti-che della città di Siena, volume II, Siena 1988, p.69 eMario Ascheri, Montalcino nella storia: alle “sorgenti” delBrunello, con edizione di un inedito contratto delComune (1499) trascritto a cura di Francesca Monaci,in Mario Ascheri – Vinicio Serino (a cura), Prima delBrunello cit., p.25.

10 Giovanni Antonio Pecci, Notizie storiche cit., pp.9-10.11 Si fa riferimento al codice conservato a

Montalcino ed indicato con segnatura: ArchivioStorico Comunale di Montalcino (d’ora in poi ASCM),Preunitario 3.

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12 ASCM, Preunitario 3, D.2 cap. LXXXIII cc.92v-93r.

13 ASCM, Preunitario 3, c. 92v.14 Ibidem.

15 ASCM, Preunitario 3, D.3 cap. CXVI c. 182r.16 ASCM, Preunitario 3, D.2 cap. CLXVII cc. 132v-

133r.

affiancano alcuni capitoli, espressione tan-gibile di una realtà del tutto peculiare. Ne èun esempio la rubrica contenuta nellaseconda distinzione dello Statuto cinque-centesco di Montalcino intitolata: “dellequestioni tra marito e moglie”12. Con questaprevisione veniva identificato un sistema disoluzione delle liti tra i coniugi “essendoinconveniente che le questioni tra marito emoglie si mandino in lungo”13. Entrambipotevano rivolgersi al giudice (personal-mente o mediante dei procuratori), che sce-glieva due arbitri “confidenti e non sospet-ti” per sciogliere la controversia. Nel caso incui gli arbitri non avessero raggiunto unaccordo, era concessa al giudice la facoltà disceglierne un terzo, individuato tra iMassari o tra gli uomini più anziani dellaCittà e incaricato di dirimere la questioneinsieme ai due arbitratori precedentementenominati. Il capitolo in esame contiene un’altra curio-sa norma utile a comprendere i diritti delledonne montalcinesi. Infatti, essa prevedeval’obbligo per il marito di corrispondere allasposa un assegno di alimenti “se […] saràscacciata dal marito, o che con esso nonabiti, se per il marito starà che non ritorni astare da lui”14. Senza dubbio la norma espri-me una considerevole attenzione per ledonne, ma va oltre, obbligando il marito apagare gli alimenti anche per una fantesca,se le sue condizioni economiche e sociali loconsentivano, “e se il marito non bene etonestamente e non come si conviene vogliavivere e viva, e si provasse e la tratti male”.Si tratta, quindi, di una antica previsione ditutela che anticipa di secoli la possibilità peril coniuge più debole di ottenere una sortadi “mantenimento”, in determinate situa-zioni che pregiudicavano il proseguimentodi una vita di coppia serena, modulato inrelazione alle sostanze e allo status socialedelle parti. Nella seconda metà del Cinquecento, la

normativa aveva superato lo stato embrio-nale ed appare sviluppata ed articolata.Infatti, nel caso in cui il marito si fosseassentato dalla Città o si fosse recato fuoridai confini dello Stato senese senza provve-dere agli alimenti per la moglie, era conces-sa ai parenti di lei (sia dal lato paterno cheda quello materno) la facoltà di richiederliin suo nome, mediante un procedimentopiù snello, sommario “e de facto e non ser-vata alcuna solennità di ragione”.Lo Statuto mediceo ci fornisce ulterioriindicazioni. Esso contiene un capitolobreve, ma denso di implicazioni, dal titolo:“della pena del supposto parto”15. Recita lanormativa: “se alcuna donna si metteràsotto il parto di altri, sia condennata in lirecento e nella medesima pena sia punitoqualunque di Montalcino, che alle predettecose darà aiuto, consiglio o favore”. Ci tro-viamo di fronte ad un illecito penale nonfrequente negli Statuti contemporanei del-l’area, che sanzionava pesantemente (sebbe-ne la pena prevista fosse solo pecuniaria) edin ugual misura sia l’esecutrice, che even-tuali complici o aiutanti. È possibile ipotiz-zare che sia stato inserito nel libro degliStatuti in seguito a determinate vicende percolmare un vuoto legislativo e rispondereall’esigenza di punire il verificarsi di episodisimili. La normativa montalcinese del Cinque-cento contiene un’altra preziosa rubrica ditutela per le donne e la loro prole: “Checerte cose fatte dalla donna non si osservi-no”16. Il capitolo limitava l’efficacia dei con-tratti conclusi prima del matrimonio trauna donna e un’altra persona (padre, ascen-denti e parenti compresi), nel caso in cuifosse seguito il matrimonio e fossero natidei figli. L’accordo, infatti, non poteva pre-giudicare le figlie - il testo parla espressa-mente di figliuole, nulla si dice a propositodi figli maschi - che non avessero una dote,nel qual caso il contratto era nullo. Era,

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inoltre, disciplinato il caso in cui non fosse-ro nati figli. In questa ipotesi, era “riservatoil mezzo per nuziale guadagno al marito”,mentre la donna era libera di disporre del-l’altra metà. Si tenga presente che eraespressamente stabilita l’efficacia retroattivadi questa previsione, come se fosse statainserita per definire controversie irrisolte.Questo excursus sulle donne di Montalcinonella storia, seppur breve, mostra il ruolodecisivo che esse hanno avuto nei secoli e

quanto sia complesso il legame che, qui piùche altrove, le unisce al territorio.Ognuna di queste piccole storie si intrecciae si fonde nella Storia montalcinese, fatta dibattaglie, di amore per il territorio, di vitarurale, di attenti produttori e … di donneche, con i loro interventi talvolta silenziosi,hanno concorso a formare l’odierna storiadella Città che si scopre man mano, comeun affresco riportato alla luce.

L’emblema di Montalcino in un’antico volume a stampa (1585).

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Valente archivista, letterato e filologo, cul-tore dell’arte ed appassionato Sindaco,Luciano Banchi ha senza dubbio lasciatotracce indelebili del suo operato nella Sienapostunitaria. L'altissimo senso di responsa-bilità e l'amore per lo studio furono le dotiche gli consentirono di diventare un perso-naggio eminente della scena cittadina enazionale della seconda metà dell’Otto-cento. Fu uomo devoto alla patria, alla reli-gione e alla famiglia. D’ingegno versatile edi un’operosità instancabile - che lo portò adedicare tutto se stesso al bene della cittàtrascurando perfino la sua salute - fu l’ani-ma di Siena e dei suoi principali istituti permolto tempo, fino alla morte prematurache lo colse all’età di soli cinquant’anni1.Luigi Banchi, padre di Luciano, si era tra-sferito da Siena, sua città natale, nell’anticoborgo di Radicofani nel 1794 quando a ven-t’anni era diventato subaffittuario del localeservizio postale e vi era rimasto con la suc-cessiva qualifica di direttore fino al 1837.Quell’anno, già vedovo e ormai sessanta-duenne, sposò Barbera Modesti, una giova-ne del paese che dopo tre mesi dette allaluce Luciano Vittorio Giovanni InnocenzoTeodoro Torello. Il neonato fu presto porta-to in Arezzo, dove il padre era stato chia-mato a ricoprire il ruolo di Amministratore

del Regio Uffizio Postale e dove nacquerodue fratelli: Adele, che però rimase in vitasolo otto giorni, e Vittorio. Luciano trascor-se poi la sua infanzia a Pisa e quando ilpadre, ormai in pensione, decise nel 1848 ditornare nella sua città natale per farvi cre-scere i figli, il Banchi aveva undici anni.Troppo giovane per comprendere il signifi-cato degli eventi che si stavano verificando,ne respirò comunque il clima innovatore.Il fermento cospirativo ispirato alle idee dilibertà e di indipendenza e diretto contro ilGranduca di Toscana Leopoldo II avevafatto la sua prima comparsa a Siena neglianni '30, ma era stato subito messo a taceresia dalla repressione granducale che dallaclasse dirigente moderata senese sostenutadall’energica azione antiliberale dell’Arci-vescovo. Si era però ripresentato nel 1847,dopo il ferimento e la morte dello studenteLodovico Petronici2. Nei circoli politicisenesi l’idea dell’Unità d’Italia non eraancora ben definita, ma quella dell’indipen-denza dallo straniero echeggiava frequente-mente, ripresa anche dalle pagine del primogiornale politico sorto in città3. La fede nelrisorgimento del paese era viva e trovavaterreno fertile soprattutto in ambito univer-sitario4. Quando il padre del Banchi morì, lasciò la

L’Arcirozzo Luciano Banchi:impegno civile e politico di unavita troppo breve (1837-1887)di GIULIA BARBARULLI

1 Per la sua vita ed il suo operato di amministratorepubblico si rimanda alla pubblicazione da me curatanel 2002 per l'Archivio storico del Comune di Siena daltitolo Luciano Banchi. Uno storico al governo di Sienanell’Ottocento.

2 Per un’interessante ricostruzione del periodo risor-gimentale a Siena vedi G. Catoni, Siena nell’Ottocento:un limbo come valore, in La cultura artistica a Sienanell’Ottocento, a cura di C. Sisi e E. Spalletti, Siena,

Monte dei Paschi, 1994, pp. 33-43.3 “Il Popolo”, che nacque nel 1847 ma che dopo soli

due anni venne chiuso.4 Per il ruolo degli studenti universitari senesi nel

Risorgimento vedi G. Catoni, I goliardi senesi e ilRisorgimento. Dalla guerra del Quarantotto al monumentodel Novantatrè, Siena, Università degli Studi - FeriaeMatricolarum, 1993.

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famiglia in precarie condizioni economi-che5. Luciano e il fratello Vittorio crebberosotto le cure della madre, che li educò alculto della religione cattolica e della patria,decidendo di affidare la loro istruzione aiPadri Scolopi che dirigevano il CollegioTolomei, fucina della classe dirigente localeche oltre ai nobili convittori ospitava nellesue scuole pubbliche anche scolari esternidi più umili origini6. Nell’istituto il Banchivenne guidato ai principi della fede cattoli-ca e all’amore per gli studi classici da padreEustachio Della Latta. Fu grazie a lui che ilgiovanetto si appassionò subito allo studio:

coltivò l’amore per Virgilio, Omero eTacito, per Dante Alighieri e per ilLeopardi, si distinse nella retorica e nellalingua greca, frequentò i corsi di grammati-ca superiore, umanità, storia e geografia, fuavviato alla lingua francese e a quella tede-sca. Risale proprio al periodo scolastico ilsuo primo componimento a soli diciassetteanni, un sonetto del 1854 dal titolo AFederigo Prosperi maestro di Umane Lettere eRetorica nelle R. Scuole della Metropolitana diSiena.Nel frattempo la famiglia si era trasferita davia del Casato di Sopra a via dei Maestri. IlBanchi partecipava alla vita del rione e gio-vanissimo fu nominato cancelliere dellaContrada della Tartuca7 .Dopo il Collegio Tolomei Luciano passòall’Università di Siena per frequentare ilcorso di notariato e prepararsi così a soste-nere l’esame di idoneità per poter lavorareagli Uffizi del Censo ed ottenere in pocotempo un impiego.Durante l’esperienza universitaria entrò afar parte di un gruppo di studenti di leggeche dette vita all'accademia letteraria 'deiCallofili' ed iniziò a comporre i suoi primilavori: Degli uffizi di M. Tullio Cicerone e LeScienze e le Lettere in Italia e l’influenza che lescuole straniere v’hanno esercitata. Quest'ulti-mo scritto fu la sua prima occasione peresprimere la speranza in un risorgimentoculturale della società italiana a cui secondolui avrebbe fatto seguito quello politico.Nel 1857 scrisse la tragedia PandolfoCollenuccio, che venne letta in quella Societàdei Callofili che in realtà era molto più di

5 Dagli Stati della popolazione della Comunitàrestaurata di Siena relativi al reparto della tassa di fami-glia del 1848 il capofamiglia Luigi Banchi, ex direttoredelle Regie Poste di Pisa, risultava ‘povero’. Nel settem-bre del 1850 venne concessa alla vedova una pensioneannua di 1.000 lire.

6 Vittorio diventerà padre scolopio dedicandosi pertutta la vita all’educazione della gioventù. Insegneràinfatti filosofia e fisica nel liceo-ginnasio di Empoli permolto tempo rimanendovi proprio fino all’anno dellamorte di Luciano; poi tornerà a Siena per svolgere l’in-carico di Rettore del Regio Istituto Pendola, carica chericoprirà per ben sei lustri.

7 Luciano Banchi ricoprirà la carica di cancelliere

della Contrada della Tartuca fino al 1857. Avrà poi unruolo molto importante come uno dei massimi diri-genti della Contrada nel periodo 1858-1861 durante ilquale la Tartuca si troverà ad affrontare una difficilesituazione a causa dei suoi colori giallo e nero nei qualila popolazione senese vedrà i colori austriaci. Per qual-che tempo la guida della Contrada verrà affidata a treReggitori ed il Banchi sarà uno di essi. La Tartuca, perl’opinione pubblica sfavorevole, deciderà di non parte-cipare ad alcune carriere ed i problemi si risolverannosolo con il cambio dei colori in giallo e celeste (pertutta la vicenda vedi G.B. Barbarulli, Dal nero al turchi-no, in Il costume di un Popolo, Contrada della Tartuca,2002)

Busto in marmo di Luciano Banchi, opera di TitoSarrocchi. Siena, Palazzo Pubblico.

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una semplice accademia letteraria. L’azionerepressiva della polizia si abbatté infatti sudi essa con il divieto della rappresentazionein un teatro privato del dramma GioacchinoMurat scritto proprio dal Banchi.Intanto Luciano, superato l’esame di ido-neità, veniva nominato Aiuto delCancelliere Ministro del Censo diMontalcino, suo primo impiego. La suaproduzione letteraria stava aumentando eper la prima volta aveva dato alle stampe unsuo lavoro (Proemio alle poesie estemporanee diGiannina Milli dette in Siena nella Sala deiVirtuosissimi Accademici Rozzi il 1 settembre1857). Sul giornale “L’Indicatore senese”erano invece apparsi, anche se con la firmaanagrammata Labano Cinuchi, due suoiarticoli, I pregiudizi sull’istruzione e L’istruzionee la moda, in cui affermava che l’istituto del-l’istruzione era un diritto e un dovere ditutti, poveri o ricchi, indistintamente.Le sue pubbliche e nette prese di posizionesu argomenti così importanti, e soprattuttonei confronti delle autorità governative,seppur celate dietro uno pseudonimo facil-mente riconoscibile, non passavano certoinosservate alle autorità. Ma ormai il risor-gimento della Toscana e dell’Italia era pros-simo. Per i Lorena era arrivato il momentodi lasciare il Granducato ed infatti il 27 apri-le 1859 Firenze insorse pacificamente.L’entusiasmo per l’avvicinarsi dell’indipen-denza italiana era ormai diffuso anche aSiena ed il pensiero andava ai giovani che aCurtatone e Montanara avevano dato lavita in nome di quell’ideale. Proprio nel-l’anniversario della loro morte il Banchivolle dare alle stampe Gli ultimi giorni di reCarlo Alberto il Magnanimo in Oporto (conte-nente anche un inno nazionale diAlessandro Manzoni) per ricordare il sacri-ficio del monarca piemontese a favore dellacausa nazionale e per incitare gli italianiall’indipendenza.Il Municipio di Siena fu il primo tra quellitoscani ad esprimersi a favore dell’immedia-ta annessione agli altri stati sotto il Governo

costituzionale di Vittorio Emanuele II (17giugno 1859). Ma ben presto gli entusiasmidei senesi si spensero, perché nel lugliogiunse la notizia dell’armistizio diVillafranca che, ponendo fine alla II Guerrad’Indipendenza, prevedeva il ritorno delGranduca a Firenze. Sul momento l’eventolasciò attoniti tutti i toscani, ma dopo unmese l’Assemblea Legislativa proclamò ladecadenza di Casa Lorena e l’unione dellaToscana al Piemonte. I tentativi dei legitti-misti di conseguire comunque una restaura-zione non tardarono a manifestarsi; l’uomochiave dei reazionari toscani fu il padovanoEugenio Alberi, al quale il Banchi si rivolsedirettamente dalle pagine de “L’Indicatoresenese” confutando e contrastando le sueidee antiunitarie e bonapartiste8.Ormai Luciano Banchi era conosciuto intutta la città, non solo per le sue opinioni incampo politico e civile, ma anche per la suapreparazione storica e per le competenzeletterarie. La permanenza alla Cancelleria di

Stemma di Luciano Banchi. Il bassorilievo marmoreo ècollocato nella facciata del Palazzo del Monte dei Paschi.Siena, Piazza Salimbeni.

8 Le cronache narrano che Eugenio Alberi fosse unagente segreto di Napoleone III in Italia.

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Montalcino fu di breve durata e nel settem-bre del 1859 gli fu proposto di assumerel’incarico di aiuto e collaboratore di FilippoLuigi Polidori, direttore del neonatoArchivio di Stato di Siena9.La proposta, rivolta ad un giovane di nonancora ventidue anni, non deve stupire,dato che il Banchi era già noto ed apprez-zato per le sue capacità intellettuali in ambi-to nazionale, tanto da intrattenere una cor-rispondenza anche con Giosuè Carducci10.Gli scritti La Toscana e il suo reggimento dal 27aprile 1859 al 31 dicembre 1859 ed Orazionefunebre in lode di Giovanni Bindi luogotenentenell’esercito dell’Italia Meridionale erano statilodati proprio dal Poeta; il canto Il giura-mento della Guardia Nazionale era statomesso in musica dal maestro Rinaldo Ticciin occasione della visita a Siena del baroneBettino Ricasoli per festeggiare il risultatopositivo del plebiscito sull’unione dellaToscana al Piemonte. Era insomma già con-siderato un elegante scrittore11.Lo studio del vasto materiale dell’Archiviodi Stato che il Banchi potè consultare comesottoarchivista gli consentirà in seguito dipubblicare numerose opere ed opuscoli illu-strativi degli atti e dei fondi della nuova isti-tuzione. La sua competenza storica, giuridi-ca ed archivistica ed il suo apporto nell’im-pianto dell'Archivio saranno decisivi, tantoda consentirgli di ottenerne la direzionedopo la morte del Polidori (1865) e di man-tenerla fino alla fine dei suoi giorni12.Nel frattempo era diventato direttore delgiornale politico-amministrativo “La Postadi Siena”, poi “La Venezia”. La posizione

del Banchi tra gli schieramenti politici che sistavano formando in città divenne cosìassai chiara: in quel momento l’appartenen-za al partito liberale non comportava unaprecisa connotazione politica, ma certa-mente si poneva in contrapposizione ai‘granduchisti’ e ai clericali. Fedele a questaimpostazione anche Luciano si inserì nel-l’acceso dibattito senese che vide le autoritàcivili contrapporsi a quelle ecclesiastiche,specchio dello scontro più generale in attoin Italia in merito alla questione di Roma eal potere temporale del Papa.L’anticlericalismo fu certamente una dellecaratteristiche della stampa moderata senesenegli anni intorno all’Unità d’Italia e l’i-struzione fu uno dei temi su cui lo scontrosi fece più duro; gli attacchi più violenti neiconfronti dell’educazione confessionaleimpartita nelle scuole senesi giunsero pro-prio da “La Posta di Siena” e da “LaVenezia” quando il Banchi ne era il diretto-re. Il suo impegno politico e civile si con-cretizzò ulteriormente quando entrò a farparte del Comitato Senese per l’Unitàd’Italia, sorto nel 1860 e promotore di molteiniziative di pubblica utilità per la città, chesi trovò a gestire in un’ottica liberal-modera-ta le prime elezioni politiche del nuovoregno che si svolsero nel giugno 186113.Tutto ciò non distolse certo il Banchi daisuoi studi storici, che lo portarono a darealle stampe la prima pubblicazione illustra-tiva, Alcuni documenti che concernono la venu-ta in Siena nell’anno 1312 dei lettori e degli sco-lari dello Studio bolognese, uscita nel 1861 sul“Giornale Storico degli Archivi Toscani”14.

9 L'Archivio di Stato di Siena era stato fondato nel1858 ed il professor Francesco Corbani ne era stato ilprimo direttore. Era stato lui ad indicare il Banchi alPolidori come possibile sottoarchivista.

10 Sul carteggio ed i rapporti intercorsi tra GiosuèCarducci e Luciano Banchi si rimanda alla pubblica-zione da me curata nel 2007 per l'Archivio storico delComune di Siena dal titolo Giosuè Carducci e LucianoBanchi. Lettere 1859-1886.

11 Per la consistente e variegata bibliografia diLuciano Banchi rimando a Luciano Banchi. Uno storico algoverno di Siena nell’Ottocento, cit.

12 Fu proprio il Banchi ad intraprendere il primoriordinamento del materiale conservato nell'Archivio di

Stato di Siena. Sui meriti e demeriti del suo lavoro vediG. Cecchini, Il riordinamento dell'Archivio di Stato diSiena, in “Notizie degli Archivi di Stato”, VIII (1948), n.1, pp. 38-44.

13 Tra le attività del Comitato Senese per l'Unitàd'Italia è curioso segnalare la creazione della Società deltiro a segno provinciale di Siena per la quale il Banchiformulerà un progetto di statuto dedicandolo aGiuseppe Garibaldi. All'epoca ciò sembrò confermarela voce che circolava in città, ossia il fidanzamento trail Banchi e la figlia del generale, Teresita, anche se dallepagine de “La Posta di Siena” era già stato precisato chela notizia era del tutto falsa.

14 Il Giornale era edito dall'Archivio Storico Italiano

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La sua fama di giovane cultore delle letteree degli studi sulle ‘patrie antichità’ stavacontinuando a diffondersi in tutta la peni-sola. All’età di venticinque anni aveva giàdato alla luce un considerevole numero dipubblicazioni.La serietà che lo contraddistingueva si pale-sò anche in occasione di un importanteevento che si svolse a Siena nel settembredel 1862, il Decimo Congresso degli scien-ziati italiani, “il fiore della sapienza italia-na”15. Il Banchi ricoprì il ruolo di segretarioper la Classe di Archeologia e Storia dellaSezione Scienze morali e sociali presiedutaproprio da Filippo Luigi Polidori16. Il Comune di Siena lo aveva anche chiama-to a far parte di una commissione che aveval’incarico di redigere per gli scienziati inter-venuti all’assise una pubblicazione chedocumentasse le abitazioni senesi nellequali erano vissuti alcuni uomini illustri delpassato17. Dal Soprintendente agli ArchiviToscani era stato infine incaricato di compi-lare un primo importante inventario delmateriale presente in Palazzo Piccolominiper offrire agli intellettuali giunti a Sienauna guida dell’Archivio di Stato18.Per lui il Congresso aveva un duplice inte-resse: quello scientifico e soprattutto quellopolitico al quale attribuiva un’importanzafondamentale per dimostrare che “i confinid’Italia son l’Alpe e il mare”19. L’intento delBanchi, come quello degli altri rappresen-tanti della città, era di offrire alla societàsenese l’opportunità di confrontarsi con le

altre realtà italiane, ma anche l’occasioneper promuovere l’istituzione di una societàprivata per lo studio e la valorizzazionedella storia di Siena. L’anno seguente nac-que infatti la Società Senese di Storia PatriaMunicipale che elesse come direttoreFilippo Luigi Polidori, suo ideatore e pro-motore. Il Banchi fu invece ‘conservatore’dell’archivio e della biblioteca ed infinedirettore alla morte del Polidori. Sarà anchetra i promotori di quel “Bullettino” che laSocietà pubblicherà dal 1865 al 1870, annoin cui essa andrà a fondersi con la SezioneLetteraria della Regia Accademia dei Rozzi.Proprio sotto l’energica ed instancabile pre-sidenza del Banchi la Sezione Letteraria e diStoria Patria Municipale della RegiaAccademia dei Rozzi pubblicherà gli “Atti eMemorie”, seguito naturale del“Bullettino”20. L’Accademia dei Rozzi lovedrà anche Arcirozzo nel 1875 e dal 1880fino alla morte21.Questa sua attività frenetica, andando adaggiungersi alla sua già debole costituzionefisica, lo portava a contrarre frequentimalanni che lo costringevano a lunghe con-valescenze. Le ricerche però proseguivano edavano forma ad opere letterarie, rarità filo-logiche e pubblicazioni illustrative di docu-menti inediti. Si dedicò anche alla Piccolaantologia senese dall’edito e dall’inedito contri-buendo ad essa con vari ed importanti lavo-ri. Diventò inoltre collaboratore e socio delperiodico “Archivio Storico Italiano” chepubblicò molte delle sue fatiche. Una sua

diretto da Giovan Pietro Vieusseux. Luciano Banchivenne nominato anche socio corrispondente dellaCommissione per i Testi di Lingua nelle Provinciedell’Emilia presieduta dal professor FrancescoZambrini per la quale pubblicherà in seguito importan-ti lavori.

15 L. Banchi, Decimo Congresso degli Scienziati Italianiche potrebbe farsi in Siena nel settembre 1861, in “La Postadi Siena”, 1 dicembre 1860.

16 Sul Congresso vedi M. De Gregorio, Un'occasioneperduta: Siena e il Congresso degli Scienziati italiani del1848, in “Bullettino senese di storia patria”, LXXXVI(1979), pp. 206-231.

17 Delle case ove abitarono in Siena uomini illustri.Memoria della Commissione a ciò eletta dal Comune di Sienanella seduta del dì 13 febbraio 1862, Siena, tip. Mucci,

1862, p. 3. Lo scritto ebbe una certa risonanza ancheall'estero, come conferma un annuncio di questo opu-scolo che apparve nel giornale “L'Investigateur deParis”.

18 Il R. Archivio di Stato in Siena nel settembre del 1862.19 L. Banchi, Decimo Congresso degli Scienziati Italiani

che potrebbe farsi in Siena nel settembre 1861, cit.20 Il periodico “Atti e Memorie della Sezione

Letteraria e di Storia Patria Municipale della RegiaAccademia dei Rozzi in Siena” che aveva sostituito il“Bullettino Senese di Storia Patria Municipale” cesseràle pubblicazioni proprio con la morte del Banchi.

21 Luciano Banchi era iscritto anche all'Accademiadei Fisiocritici e ne sarà presidente dal 1870 fino allamorte.

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opera, Il Gazzettino di Girolamo Gigli del1864, venne pubblicata nella “Bibliotecarara” dell’editore Luigi Gino Daelli (direttada Salomone Eugenio Camerini) che sioccupava a Milano della ristampa di opererare.Sensibile anche alle problematiche socialinel 1865 prese parte alla compilazionedell’“Annuario corografico amministrativodella Provincia di Siena” occupandosi diredigere la parte relativa al settore della pub-blica beneficenza22. Due anni prima si eraoccupato dell’ordinamento delle nuovescuole serali della città istituite gratuitamen-te per gli operai dalla Società Operaia diMutuo Soccorso di Siena23.Il Banchi dunque aveva già raggiunto gran-di soddisfazioni ed importanti incarichi. Leamicizie con i rappresentanti della classedirigente cittadina certo non gli mancava-no24 e grazie alla sua cultura e al suo impe-gno negli studi storici, filologici ed archivi-stici intratteneva stretti rapporti con impor-tanti studiosi e letterati italiani dell’epoca,come Giuseppe Canestrini, Angelo DeGubernatis, Pietro Fanfani, NiccolòTommaseo, Isidoro Del Lungo, SalvatoreBongi, Alessandro D’Ancona e GiovanPietro Vieusseux. Era inoltre socio di acca-demie e società nazionali e straniere.Ma tutto questo al suo animo irrequietonon bastava e nel 1867 intraprese una nuovaavventura: il diretto impegno politico.Dopo l’Unità d’Italia il contesto senese fucaratterizzato da una lotta tra consorterielocali. Lo schieramento liberale monarchicoche aveva guidato l’unificazione italiana inaperta opposizione con i clericali si divise

in conservatore e progressista senza in real-tà grosse differenziazioni. Le elezioni politi-che dell’ottobre 1865 furono il primo veroappuntamento elettorale della nuova realtàamministrativa e del giovane Stato. La cam-pagna elettorale senese vide all’interno delgruppo liberale che governava saldamentela città la contrapposizione delle due fazio-ni, che però al momento delle elezioni siriunirono per opporsi al candidato dei cle-ricali.Nel marzo dell’anno successivo, per evitareche avvenisse di nuovo una scissione, venneistituita l’Associazione Nazionale: il Banchifu il relatore dello statuto e ne fu presiden-te. La concordia fu però di breve durata,perché quando nel febbraio 1867 si riunì ilcomitato elettorale permanente per orga-nizzare la campagna dei liberali fu proprioil Banchi a guidare la scissione dei progres-sisti formando e presiedendo un comitatoelettorale che sostenne come candidatoTiberio Sergardi, Sindaco della città, in con-trapposizione alla candidatura conservatricedi Policarpo Bandini. La campagna elettora-le fu molto dura, ma alla fine Bandini riuscìad essere rieletto in Parlamento.In questo contesto il Banchi, che nei dueanni precedenti si era già presentato alle ele-zioni amministrative, ma non era riuscito afarsi eleggere, propose la sua candidaturaper il rinnovo del Consiglio comunale(luglio 1867)25. Questa volta riscosse piùsuccesso, entrando subito nella Giuntacome quarto assessore26.Luciano si guadagnò in breve tempo lastima del Prefetto Cornero, tanto da pro-porlo e sostenerlo come Sindaco davanti al

22 Brevi cenni intorno all'origine degli Stabilimenti dipubblica beneficenza nella Città e Provincia di Siena, in“Annuario corografico amministrativo della Provinciadi Siena”, Siena, tip. Sordomuti, 1865, pp. 319-321.

23 Sulla Società Operaia di Mutuo Soccorso vedi A.Cherubini, Il problema sociale e il mutuo soccorso nella stam-pa senese (1860-1893), I, Siena, Accademia Senese degliIntronati, 1967.

24 Luciano Banchi era infatti molto amico, tra glialtri, di Antonio Ricci (deputato), Scipione BichiBorghesi (conte e senatore), Francesco Carpellini (con-sigliere comunale), Tiberio Sergardi (gonfaloniere) ed

Augusto De' Gori Pannilini (conte e senatore).25 I consiglieri comunali senesi venivano eletti dai

cittadini che avevano compiuto 21 anni, che godevanodei diritti civili e che pagavano annualmente nel comu-ne contribuzioni dirette superiori a 20 lire ed inoltre daalcune categorie specifiche di elettori: gli accademici,gli impiegati pubblici, alcuni professionisti. Le donnenon avevano diritti elettorali, ma era consentito loro ditrasferire il proprio censo sul marito o sul padre. Glieleggibili erano tutti gli elettori iscritti, eccetto alcuneparticolari categorie. I consiglieri comunali (30 nel casosenese perché la popolazione del comune superava i

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Governo dopo che nel luglio 1869 il conteTolomei aveva annunciato le sue dimissionidalla carica. Il 3 gennaio 1870 un decretosovrano nominava Luciano Banchi primocittadino di Siena27.Fino ad allora la classe di governo seneseera formata da quei ‘notabili’ che con ilcenso, la capacità professionale e soprattut-to il prestigio nobiliare avevano occupato iprincipali posti di rilievo della città. IlBanchi non era uno di loro e soprattuttodue elementi lo rendevano profondamentediverso: le origini modeste ed il modestocenso. Orfano di un padre ‘semplice’ diret-tore delle Poste, con una madre ed unanonna da mantenere, una domestica ed unaffitto da pagare28, percepiva come direttoredell’Archivio di Stato di Siena uno stipen-dio annuo di circa 4.000 lire29, cifra allaquale era arrivato dopo che il Consigliocomunale aveva deliberato (gennaio 1867)di parificarlo ai professori dell’Università30.Il fatto di non appartenere ad una blasona-ta famiglia, di non avere possedimenti ter-rieri e di essere un impiegato governativo lorendeva un ‘uomo nuovo’, un’eccezionenell’ambito di quel patriziato cittadino cheesprimeva da sempre la classe dirigentesenese. Proprio per le sue doti e la sua cul-tura aveva trovato nel Prefetto Cornero unaperto sostenitore e ciò gli aveva permessodi diventare il primo Sindaco senese dimodeste origini, andando così a ricoprireuna carica che fino ad allora era stata adappannaggio di ricche e nobili famiglie.Il giornale repubblicano “Il Volontario”

aveva annunciato ai lettori la notizia dellasua nomina con queste entusiastiche paro-le: “Pochi anni or sono sarebbe stata un’e-resia il profferire un nome plebeo a gonfa-loniere o sindaco della nostra Siena. Conti,principi, marchesi, caterva di minori nobilie titolati - ove siete? vi accorgete voi delprogresso? ...oggi un nome plebeo ammini-stra la cosa municipale della aristocraticaSiena; ché il blasone più nobile ch’ei puòmostrare, sono le virtù della sua mente e delsuo cuore! ...E questo è già un passo sul sen-tier del progresso”31.Il 1870 fu un anno impegnativo per ilBanchi e cruciale per il giovane Stato italia-no che ancora non aveva risolto il problemaannoso della collocazione definitiva dellaCapitale strettamente connesso a quelloancor più grande della convivenza con ilpotere temporale del Papa. Gli effetti dellatassa sul macinato e la crisi economicagenerarono poi un diffuso malcontento eforti agitazioni popolari. La propagandacontro il Governo e la monarchia si intensi-ficò in tutto il Regno ed alcuni episodi ditensione si ebbero anche a Siena, dove glioperai dettero vita alle prime proteste col-lettive. Finalmente il plebiscito del 2 otto-bre sancì l’unione di Roma al Regno costi-tuzionale d’Italia dando vita in tutta lapenisola ad entusiastici festeggiamenti checontagiarono anche Siena.Il Banchi svolse il suo incarico di Sindacocon molto entusiasmo, ma alla fine si reseconto che mal si conciliava con il suo lavo-ro all’Archivio di Stato e nell'ottobre 1870

10.000 abitanti) dovevano rimanere in carica 5 anni,ma anche rinnovarsi annualmente di un quinto, purrestando sempre tutti eleggibili. Dopo l'elezione gene-rale la scadenza nei primi 4 anni era determinata dallasorte, poi dall'anzianità. Il Banchi rimase nell'ammini-strazione comunale, salvo una brevissima interruzione,fino alla sua morte.

26 I componenti della giunta municipale, scelti tra (eda) i consiglieri a maggioranza assoluta, erano 4 (datoche la popolazione del Comune di Siena superava i3.000 abitanti) e rimanevano in carica 2 anni. In realtàla legge prevedeva che ogni anno si procedesse al rin-novo di metà degli assessori, anche se i membri che altermine dell'anno uscivano d'ufficio erano comunquetutti rieleggibili.

27 Il Sindaco veniva nominato dal re, scelto tra iconsiglieri comunali, ed il suo mandato durava 3 anni;poteva essere riconfermato se conservava la qualità diconsigliere.

28 Dal registro della popolazione del Comune diSiena del 1865 risulta che il Banchi abitava in una casadi proprietà degli eredi Bargagli in via dei Termini.

29 Giusto per riferimento si precisa che un apparta-mento medio in città valeva tra le 5.000 e le 10.000 lire.

30 Ricordiamo che allora per gli incarichi in senoall'amministrazione comunale non era prevista alcunaretribuzione, solo il rimborso delle spese, come pertutte le nomine comunali e provinciali.

31 Nobili, cittadini e plebei, in “Il Volontario”, 19marzo 1870.

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rassegnò al Governo le proprie dimissioni,decidendo comunque di rimanere consi-gliere. Nel 1871 fu chiamato alla carica diSoprintendente del Regio Orfanotrofio32,ma questo nuovo e serio impegno, oltre aquello di consigliere comunale, non loallontanò dai suoi studi storici; continuòinfatti a pubblicare antichi statuti ed impor-tanti lavori.Agli inizi del 1872 una crisi municipale cau-sata da una divergenza tra il Consiglio e laGiunta sul bilancio preventivo impose lanomina di nuovi assessori ed il Banchi funuovamente chiamato a ricoprire tale cari-ca. Si ritrovò così ad occuparsi degli affarilegali33 ed in quanto assessore anziano asvolgere anche le funzioni di Sindaco, datoche dopo le dimissioni dell’avvocatoFederico Comini il Governo non aveva pro-ceduto ad una nuova nomina.Per l’amministrazione comunale era unodei momenti più difficili di quegli anni. Ilprimo decennio dopo l’Unità d’Italia nonaveva portato grandi cambiamenti nell’as-setto economico e sociale della città; Sienaera rimasta una città di piccole-mediedimensioni, la popolazione disoccupataaumentava, un numero crescente di indi-genti versava in precarie condizioni igieni-che, poche erano le prospettive di sviluppoanche dopo la costruzione della ferrovia chenon aveva prodotto i risultati sperati.L’unico punto di forza dell’economia sene-se era il Monte dei Paschi, che a partire dalla

seconda metà degli anni sessanta avevaconosciuto un rapido sviluppo e che pro-prio nel 1872 grazie all'opera di LucianoBanchi ebbe un nuovo ed importanteStatuto34.Il Municipio viveva una situazione finan-ziaria precaria, come accadeva del resto inmolte altre città italiane, e ad aggravarlacontribuivano le ripetute rinunce dei consi-glieri comunali ad accettare la carica diSindaco e la breve durata delle Giunte. Lacittà era stata addirittura ribattezzata ‘insin-dacabile’35 ed anche la gestione amministra-tiva del Banchi fu di breve durata. Le dimis-sioni (gennaio 1873) furono dovute soprat-tutto alle numerose polemiche che il suooperato aveva sollevato in città e che aveva-no trovato una vasta eco nelle pagine deigiornali locali: era stato accusato di farsiguidare dall’ambizione e dalla presunzionee di creare divisioni e screzi tra i consigliericomunali. Restò comunque a PalazzoPubblico come consigliere.Nell’agosto il mandamento di Chiusi loscelse come suo rappresentante per ilComune di Cetona nel Consiglio provin-ciale, dove rimarrà per molti anni svolgen-do anche l’ufficio di vice-presidente36.Nel 1874 il Consiglio comunale di Siena lonominò deputato del Monte dei Paschi,incarico che manterrà fino al 1877 con lafunzione di Presidente della Deputazione37.Nel settembre dello stesso anno decise dinon accettare la nomina ad assessore, ma si

32 All’orfanotrofio egli si dedicherà con entusiasmoe con passione - dotandolo anche di un nuovo regola-mento interno e riuscendo così a migliorarne notevol-mente la struttura ed il funzionamento - per ben 16anni fino alla sua morte.

33 La sezione degli affari legali si doveva occuparedella polizia municipale, della sicurezza pubblica, degliatti d'incanto, delle carceri, del contenzioso, della con-ciliazione, dei contratti, delle fiere e dei mercati, dell'il-luminazione pubblica, dei mercuriali ed infine dei pesie delle misure.

34 Per l'operato di Luciano Banchi a favore dellaBanca rimando a Luciano Banchi. Uno storico al governodi Siena nell’Ottocento, cit.

35 “La Vita Nuova”, 16 luglio 1871.

36 Il Banchi aveva stretto un particolare legame conla zona della Val di Chiana fin dai primi anni sessanta,quando aveva iniziato a recarsi a Montepulciano duran-te le proprie vacanze per occuparsi del riordinodell’Archivio comunale. Inoltre aveva stretto saldi rap-porti con la città di Chiusi a seguito del suo interessa-mento per l'allestimento del Museo archeologico alquale collaborerà in qualità di socio della Commissionearcheologica. A tal proposito segnalo che fu proprioLuciano Banchi a proporre che all'interno della pubbli-cazione dell'Accademia dei Rozzi “Atti e memorie dellaSezione Letteraria e di Storia Patria Municipale della R.Accademia dei Rozzi in Siena” fosse introdotto il reso-conto dei lavori della Commissione archeologica diChiusi.

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impegnò nella campagna elettorale per leelezioni politiche sostenendo, a differenzadi quello che aveva fatto nel 1867, il candi-dato liberal-conservatore Pietro Burresi, ret-tore dell’Università di Siena, preferendoloall’altra candidatura conservatrice diStanislao Mocenni. Lo schieramento libe-ral-progressista presentava invece l’avvocatoTiberio Sergardi. Poiché al primo turno nes-suno dei due schieramenti raggiunse il quo-ziente necessario alla nomina, si dovettericorrere al ballottaggio finale che portò allavittoria di Mocenni38.Intanto il Banchi continuava a trascurare lasua salute senza preoccuparsi dei numerosimalanni che lo costringevano a restare aletto frequentemente e che non gli impedi-rono infatti nel dicembre 1875 di ospitarenella sua casa di via del Casato di Sotto l’a-mico Giosuè Carducci, giunto in città perun giorno ed una notte, reduce dalla glori-ficazione certaldese di Giovanni Boccaccio,alla quale anche il Banchi stesso aveva par-tecipato39.Alle elezioni amministrative del luglio 1876Luciano venne riconfermato consiglierecomunale con il maggior numero di voti40.Anche questa volta comunque la sua perso-na era stata oggetto di accuse, ma contraria-mente ai pareri locali il Governo italianodimostrava invece di apprezzare il suo ope-rato e nel giugno dell’anno successivo undecreto reale lo nominò per la secondavolta Sindaco della città di Siena41. Dopoqualche mese ebbe un’altra soddisfazionericevendo l’incarico di Soprintendente delRegio Istituto Provinciale delle Belle Arti di

Siena, carica che ricoprirà fino al 188142.Mentre il Banchi si trovava a capo della civi-ca amministrazione il Regno d’Italia vennecolpito da un terribile lutto, la morte diVittorio Emanuele II (1878), e fu proprio ilBanchi a guidare personalmente la delega-zione senese a Roma per i solenni funerali43.Nonostante stesse affrontando l’incarico diSindaco con il solito entusiasmo e la con-sueta dedizione ancora una volta il suomandato ebbe termine prima del previsto acausa di un conflitto verificatosi tra ilConsiglio e la Giunta in merito ad una que-stione finanziaria. Dopo le dimissioni rasse-

37 Ancora oggi possiamo ammirare lo stemma delBanchi sul lato sinistro dell'attuale porta d'ingressodella Banca in Piazza Salimbeni (vedi fig. a pag. 31).

38 Il confronto tra i due candidati liberal-conserva-tori era stato molto duro, con scambi di reciprocheaccuse ed incentrato sulla qualifica professionale deidue contendenti quale elemento discriminante; gli inte-ressi locali avevano prevalso ancora una volta sui prin-cipi e sui programmi.

39 Su questo vedi Giosuè Carducci e Luciano Banchi.Lettere 1859-1886, cit.

40 Dei sette consiglieri liberali eletti era stato l’unicocandidato comune dei conservatori e dei progressisti

(ma svolgendosi la votazione sui nominativi, e non suisimboli di partito, non era raro trovare uno stessonome in più liste).

41 In realtà era la terza volta che il Banchi ricoprivala carica di primo cittadino, anche se quella precedenteaveva svolto il ruolo di 'facente funzione' di Sindaco.

42 Durante il suo mandato il Banchi pubblicheràogni anno un rapporto statistico e morale sulla scuola.

43 Nell’affresco Trasporto della salma di VittorioEmanuele II al Pantheon (Sala del Risorgimento delPalazzo Pubblico di Siena) Cesare Maccari raffiguròanche il Banchi a capo della delegazione senese.

Palazzo Bellugi, via del Casato di Sotto. Abitazione diLuciano Banchi.

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gnate nell'aprile 1878 non accettò nemme-no la rielezione a consigliere comunale44. IlBanchi tornò dunque a dedicarsi solo allasua vita privata45 ed ai suoi studi, ma nelmomento in cui la città si trovò ad avermaggiormente bisogno di lui non riuscì atirarsi indietro.Nel dicembre1879 un decre-to reale avevasciolto il Con-siglio comuna-le di Siena enominato und e l e g a t ostraordinarioper l’ammini-strazione prov-visoria. Nelmarzo succes-sivo si eranopoi svolte leelezioni e cosìla città si erapotuta dotaredi un nuovoC o n s i g l i o .Anche ilBanchi, candi-datosi nuova-mente, erastato rieletto,mentre il po-sto di Sindacorimaneva an-cora vacanteperché ilGoverno nonsi era deciso aprocedere alla nomina. Intanto Luciano eradiventato assessore alla finanza, iniziandocosì a svolgere di nuovo le funzioni diSindaco. Alla fine, nel marzo 1881, vennechiamato ufficialmente dal Governo a capodell’amministrazione comunale e finalmen-

te questa volta riuscì a portare a termine ilsuo mandato. Agli inizi del 1883 un Regiodecreto lo riconfermò Sindaco per un altrotriennio. Nel luglio del 1885 dovette poiripresentarsi anche alle parziali elezioniamministrative perché era scaduto il suo

m a n d a t ocome consi-gliere comu-nale e vennerieletto senzaproblemi econ succes-so46. Nel gen-naio dell’annoseguente veni-va di nuovoriconfermatoSindaco.L u c i a n oBanchi avevaaffrontato lagestione am-ministrat ivacon impegnoe dedizione,senza rinun-ciare agli studistorici ed allepubblicazioni.In realtàavrebbe volu-to dare allaluce moltealtre opere,ma la salute,divenuta per-sistentementecagionevole,

non gli consentì di portare a termine i suoipropositi ed anche i progetti amministrativirisentirono dei suoi continui malanni47. Giàdall’estate 1886 iniziò a manifestare ai col-leghi della Giunta la ferma intenzione diritirarsi dalla vita pubblica per attendere ai

44 Il Banchi era risultato il quarto eletto.45 Nel 1878 aveva sposato la giovane Giuseppina

Brini che gli avrebbe poi dato tre figli.46 Candidato comune nelle liste dell'Unione libera-

le monarchica, del Comitato dei conservatori edell'Associazione provinciale senese Italia e CasaSavoia, risultò il primo eletto.

Trasporto della salma di Vittorio Emanuele II al Pantheon, affresco di CesareMaccari. Siena, Palazzo Pubblico. Il particolare in colore mostra l’effigie diLuciano Banchi.

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suoi studi e per curare la sua salute.I suoi propositi si rafforzarono quando nel-l’ottobre venne accusato della cattivagestione delle casse comunali. Il suicidiodel cassiere municipale Natale Bagnacci chein punto di morte aveva invocato in unalettera il perdono del Sindaco per il suo irre-golare operato aveva reso la situazione ulte-riormente drammatica e le accuse mossecontro la sua persona, imputata di esserecolpevole alla stregua del suicida cassiere,procurarono al Banchi una grande amarez-za. Consapevole di dover provvedere anchealla propria salute nel maggio del 1887 deci-se di prendere un congedo perché si sareb-be dovuto recare a Firenze per un consultomedico; proprio in quella città venne colpi-to da un’emorragia cerebrale che lo avrebbecondotto ad una lenta e progressiva parali-si. Su consiglio dei medici venne così por-tato a respirare l’aria della campagna pressoMonistero, nel Comune delle Masse. Suomalgrado, nonostante i miglioramenti cheseguirono, non poté essere presente all’arri-vo dei Sovrani d’Italia che erano giuntinella città alla metà di luglio e che appenascesi alla stazione ferroviaria avevano chie-sto notizie in merito alla sua salute48. Allafine del mese sembrò poter riprendere lesue funzioni pubbliche, tanto che si recòanche in città per visitare alcuni degli istitu-ti dei quali era sempre a capo, ma più tardi,nel settembre, una nuova ricaduta locostrinse a rassegnare definitivamente le

dimissioni da Sindaco.Dopo appena qualche mese fu colpito daun’ulteriore emorragia cerebrale che loportò ad uno stato di coma profondo. Fucosì che il 4 dicembre 1887 Luciano Banchicessò di vivere all’età di soli cinquanta anni,lasciando la famiglia in precarie condizionieconomiche.La Giunta municipale fece chiudere insegno di lutto le porte del Palazzo comuna-le ed i suoi funerali furono solenni.All’imponente corteo presero parte tutte leassociazioni cittadine e, tra le altre, le rap-presentanze del Parlamento, del Governo,del Comune, del Monte dei Paschi,dell’Accademia di Belle Arti, degli Archividi Stato e dei Municipi di Montepulciano edi Cetona. Tutte le Contrade avevano invia-to il loro stendardo. Durante il trasportofunebre i principali negozi della città resta-rono chiusi in segno di lutto. LucianoBanchi venne sepolto per sua espressavolontà nel Cimitero della Misericordia,nella tomba di famiglia, accanto ai genito-ri49. Il Consiglio comunale volle immediata-mente commissionare a Tito Sarrocchi unsuo busto che fu collocato all’interno delPalazzo Pubblico proprio nella Sala delRisorgimento.Alcuni mesi dopo la scomparsa l’amicoGiosuè Carducci, scrivendo alla vedova,definì Luciano Banchi “onore di Siena pervirtù civili e per istudi”50.

47 L’operosità e l’eclettismo, nonostante la precarie-tà della salute, erano due delle peculiari caratteristichedel Banchi ed avevano contribuito nel corso della suavita a portarlo ai vertici di importanti istituzioni citta-dine: era stato infatti Operaio del conservatorio di S.Maria Maddalena e componente della relativa commis-sione amministratrice, membro della Società di esecu-tori delle Pie Disposizioni, amministratore delloSpedale di S. Maria della Scala e presidente dellaSocietà economica del lavoro.

48 L'interessamento del Re Umberto I e della ReginaMargherita verso il Banchi non era solamente una delle

tante formalità protocollari, ma dimostrava anche lasincera preoccupazione che i Sovrani avevano per lasalute di un uomo che si era sempre distinto per lafedeltà alla patria e alla monarchia, prima sabauda e poiitaliana.

49 La madre del Banchi era scomparsa nel 1876(anche il fratello Vittorio nel 1916 verrà sepolto nellatomba di famiglia, tomba che oltretutto andrebbeurgentemente restaurata).

50 Giosuè Carducci e Luciano Banchi. Lettere 1859-1886, cit.

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Intervengo non come esperto di storia deigiochi storici, ma solo da studioso di diritto eistituzioni nella storia che si sente a casa adAscoli, la città in cui – come a Siena - ha lavo-rato Lodovico Zdekauer, il benemerito edito-re degli importanti statuti ascolani del 1377.Lo faccio con piacere, perché come studio-so di storia del diritto devo muovermi attra-verso i secoli con un’agilità e anche un’ardi-tezza, diciamolo pure, non del tutto usualeper gli storici ‘normali’, che sono di regolaspecialisti di epoche determinate.Del resto, mi sono soffermato più voltenegli ultimi anni, sia occupandomi di storiae istituzioni del Medioevo, sia in un manua-le che arriva fino al diritto contemporaneo,dei momenti di svolta, di quei periodiappunto in cui si pone più pressante la que-stione della tradizione e dell’innovazione

che è al centro del convegno ascolano.In più sono ormai divenuto senese quasiper usucapione - come dicono i famigeratigiuristi, appunto – per cui il problema l’hosempre sott’occhio nel Palio e, aggiungerò,anche nelle questioni politico-istituzionali. Il convegno non poteva essere più tempe-stivo, perché è chiaro che intorno a questodilemma si gioca, scusate il gioco di parole,il nostro futuro. Fino a che punto si puòinnovare, in materia di giochi storici e nonsolo, senza stravolgere la tradizione? E finoa che punto questa è veramente tale? Qualè da riconoscere come tale, cos’è la tradi-zione?La storia della ‘nuova’ Quintana è ora cin-quantenaria, ma con solide radici nellaQuintana antica e in altri giochi che sonostati fatti giustamente oggetto di tante e

Tradizione ludica e innovazione: qualche spunto traSiena e Ascoli PicenoNote introduttive ad un recente convegno tenutosi nella città marchigiana

di MARIO ASCHERI

Il corteo della Quintana mentre sfila nell’antica Piazza del Popolo.

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belle pubblicazioni. Perciò, giustamente oraè opportuno riflettere, guardare indietro e alfuturo. Ebbene, non c’è da essere indovinia ipotizzare che gli studiosi rileverannocome il contesto in cui si situa oggi il giocosia ben diverso da quel lontano 1955, epocache sembra lontanissima: per quanto avve-niva in Italia e altrove. Questo è quanto sideve dire anche per il Palio di Siena, che hamolti aspetti in comune con la complessaarticolazione della Quintana. E non mera-viglia, del resto, perché le forti tradizionicomunali di Ascoli, come di altri centrimarchigiani, sono in sintonia con quelle diSiena (tra l’altro Zdekauer è stato anchebenemerito perché editore d’un fondamen-tale statuto medievale senese del 1262).Questo è un punto credo molto importan-te. Il privilegio di possedere e dover garan-tire al futuro un gioco importante come laQuintana non è comune, ma è quasi tipicodella civiltà comunale – e di nuovo miscuso per l’assonanza. Non parliamo di Paesi esteri anche importan-ti sul piano politico ed economico che nonhanno nulla delle tradizioni come i nostrigiochi peculiari alle varie località, ma anchein Italia di eventi di questo genere bisognaessere orgogliosi. E non è tanto o soltanto illoro aspetto turistico che va qui considerato.Direi che quello culturale è il più importante,perché i turisti passano, ma i problemi dell’i-dentità cittadina rimangono; i problemi delradicamento, del riconoscersi in una realtàurbana da considerare come la propria casaallargata, sono fondamentali. E giochi comela Quintana aiutano enormemente, bisognaesserne consapevoli fino in fondo.Intanto se vogliamo partire dall’aspettovolontaristico, sul quale a volte si sorvola eche a me pare invece pregio di primo piano.Cosa vuol dire oggi, in un tempo di mone-tizzazione e sindacalizzazione di ogni atti-vità, fare attività pienamente gratuite,volontarie? Ad Ascoli sfilano in corteo unmigliaio di comparse, ad esempio. Qualescuola è per i giovani la dedizione a obietti-vi non traducibili in compensi? Un tempolo era anche la politica – consentitemi que-st’osservazione un po’ retro – e forse ancheper questo – parlo in generale, prescinden-

do ovviamente da situazioni particolari –un tempo andava meglio il rapporto trapalazzo e cittadini. Ma non voglio divagare,e tornerei ad insistere sull’aspetto per cosìdire educativo del gioco inteso come impe-gno volontario, gratuito, spontaneo, comeresponsabilità a reggere un compito condelle regole, un ruolo – che per di più con-ferisce un onore, un momento di distinzio-ne, di primato riconoscibile. Non diventano sempre più rare per i giova-ni queste situazioni, iper-protettivi comesiamo noi adulti, e sempre più tendenti loroal gruppo chiuso al proprio interno? E lastessa concorrenzialità del gioco non è unaltro elemento dirompente contro certoimmobilismo cui i giovani possono essereacquiescenti? La competizione impone pre-visioni, valutazioni delle proprie possibilità,accordi con gli altri, capacità di districarsi ecosì via.Ma al di là di queste osservazioni generiche,il vasto campo dell’innovazione possibilemi sembra che debba fare riflettere sull’op-portunità che il gioco venga intrecciatoanche temporalmente con altri eventi colle-gabili all’evento. In quei giorni di festa col-lettiva e partecipata più di ogni altra chi haresponsabilità politico-culturali a mio avvi-so non deve perdere l’occasione di far dive-nire patrimonio comune e noto, che dire adesempio?, la visita di un sito poco noto, odi un restauro, di un monumento, di un’o-pera d’arte, o la ricorrenza di un centenariodi fatti o personaggi da ricordare perchécostitutivi dell’identità cittadina. Questo è un piano sul quale l’innovazionepuò fare solo bene, nel senso che non silede nessuna tradizione legittima se – comenei musei dove ci sono le esposizioni tem-poranee – accanto/e sul gioco s’innescanoeventi collaterali ritenuti degni di ampiapartecipazione. Perché questo è il grandevantaggio che comporta il gioco civico. Cheimpegna tutti, che è un evento popolarecome nessun altro: da un lato interclassista,per usare un linguaggio démodé ma sempreespressivo, e dall’altro intergenerazionale.Sul primo punto non mi soffermo, perchéfortunatamente tante contrapposizioni sulpiano sociale sono state superate o non

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hanno più l’asperità di quegli anniCinquanta, ad esempio, le cui difficoltàsono a tutti note. Il gioco civico, con il suocoinvolgimento totale, corale della cittadi-nanza, e il suo (solo apparente) disimpegno,per l’aspetto ludico, evasivo, non è mai pia-ciuto a chi desiderava fare crociate controcerte ideologie o ceti sociali – anche per ilsuo tradizionale legame con quella religio-ne che non a caso è stata definita ‘civica’ eche è di fondazione medievale – e, dinuovo non a caso, tipica delle città conforte tradizione comunale. Un tempo non lontano, da laici incalliticome da illuminati di sinistra, le feste popo-lari erano ritenute cose da ‘fiasco e chiesa’, enon a caso snobbate dagli intellettuali edagli studiosi. Ora, che se ne parli in con-vegni (come questo), in pubblicazioni spe-cialistiche e quindi nelle sedi più sofisticate,superate tante incomprensioni, è segno chele feste civiche hanno vinto: sono ricono-sciute come costitutive delle identità locali. Ma darei giusto rilievo al secondo punto:delle occasioni di incontro che con esse sirealizzano tra generazioni. Nella misura incui la festa ha un suo prolungamento al dilà dell’effimero dell’evento, nella misura incui essa diviene un momento di aggregazio-ne a livello dei quartieri, sestieri o che altroin città nel corso dell’anno, ecco che il fattointergenerazionale assume subito grandeevidenza formativa. I ‘grandi’ raccontano,tramandano la memoria degli eventi, dellefeste passate, dei loro segreti, e con essa èuna tradizione che assume il carattere dipatrimonio condiviso, di memoria colletti-va vissuta e acquisita. E nel ricordo la festadiviene mitica, s’incarna per così dire nellastoria delle generazioni e degli individui,diviene un momento preciso nella storiadella città. Che però, credo, non bisognaimbalsamare. La festa non deve divenire unostacolo a guardare avanti, e perciò le inno-vazioni devono anch’esse avere uno spazio.Innovare per conservare, per arricchire, peradeguare; ma si proceda con grande cautelaperché si ha a che fare con un patrimoniodelicato, che si può dissipare facilmente sesi gestisce senza grande prudenza. Perciòogni innovazione va valutata con prudenza

e possibilmente coordinata con le sensibili-tà che stanno già maturando nel corposociale. La novità deve nascere dentro lospirito della tradizione perché non la siindebolisca. E qui i problemi sono tanti, naturalmente.Ad esempio, c’è da considerare fino a chepunto l’aspetto religioso che a volte ha ere-ditato qualcosa delle antiche crociate debbaessere conservato nella forma unilaterale chea volte ha, con tanto di identificazione e disimbolizzazione dell’avversario che puòoggi risultare anti-storica. La Chiesa stessa,pur fedele ai valori della tradizione comepoche altre istituzioni, ha profondamenterinnovato la propria presenza nel politico enel sociale: basterà anche solo – e facile è ilriferimento nelle Marche già terre pontificie- un confronto con il Sillabo di metàOttocento per averne chiara percezione. Ma certo non sempre la percezione delcambiamento è chiara o non è offuscata dafatti recenti. Tempo fa, ad esempio, dallecolonne del “Corriere della sera” il sempreacuto Angelo Panebianco diceva che, a dif-ferenza degli Americani, non è nella nostratradizione europea esportare con le armi lalibertà. Non è che si sia dimenticato comeprocedevano le armate napoleoniche o, contutte le differenze del caso, enormi, nonerano speranze di liberare dalla schiavitùcapitalistica e affermare la vera libertà anchecon le armi quella che ha alimentato i rivo-luzionari del Novecento? Già i crociatimedievali motivavano in modo analogo(anche allora di ‘liberazione’ si parlava), percui c’è stata una tradizione europea diaggressività libertaria, se così si vuol chia-mare, più di quanto non si pensi: solo chenoi l’abbiamo fortemente innovata… Tutto questo per dire che questa occasionecolpisce nel segno: su un tema che dovreb-be essere al centro delle nostre riflessionianche al di là dello specifico ludico. Delresto, se si fa festa vuol dire che ci sono lepremesse di libertà e di benessere anche percelebrarla. E allora dev’essere un’occasionenon solo ludica, ma di riflessione sui pre-supposti della festa. Che risiedono nellacentralità della città e della sua esperienzamedievale-rinascimentale contro le facili

accuse spesso rivolte a un’età in cui sidimentica troppo spesso che il nostro Paeseè stato all’avanguardia in assoluto. L’aver ricondotto, come in genere vienfatto, a quell’età i costumi dei nostri giochinon è arbitrario né casuale; e allora bisognaanche aver il coraggio di dire che fu allora(come mai più da allora) che il nostro Paeseseppe stupire il mondo, e non solo nelcampo artistico e architettonico – il piùfacilmente apprezzabile oggi – e quello cheha creato una ‘cultura delle forme’, una cul-tura del bello sfortunatamente spesso tra-volta nei secoli successivi e oggi ancora. Ma, di nuovo, quell’incredibile successo dicui anche una città come Ascoli può vanta-re tante testimonianze, fu realizzato in col-loquio intenso col passato, sapendo i nostriuomini di quel tempo lontano, uomini dichiesa, i consoli, i doctores delle università, imercatores e così via, che cosa selezionare edinnovare del grande patrimonio della tradi-zione antica.Chiudo con un’ultima considerazione.

Come a Siena ed in altre località, anche adAscoli si è passati da un pluralismo di gio-chi a un gioco, al Gioco, che è divenuto rap-presentativo di tutta una tradizione. Giocoche diviene anche oggetto di studio, quicome altrove, e giustamente. Ma dobbiamoanche essere consapevoli che in questomodo la festa assume un carattere istituzio-nale forte, che può finire in un certo sensoper isterilirla o comunque renderla menospontanea, meno popolare. E’ un rischio che credo vada evitato: dinuovo passando per il passaggio obbligatodell’innovazione attenta alle sensibilità deiprotagonisti del gioco, senza sovrapporsi adesse. Del resto, l’abbiamo già detto: è laforza della nostra cultura, di quella europeae di quella italiana comunale in particolare,di aver saputo evitare di adagiarsi sulla tra-dizione; di essersi sempre messa e ri-messain discussione.

Pianta di Ascoli Piceno (Emidio Ferretti e Pietro Miotte, 1646).

44Medaglia con l’effigie di Giacoppo Petrucci attribuita a Francesco di Giorgio Martini.

I due saggi che seguono, scritti rispettivamente da Riccardo Terziani, attento studioso della storia di Sienanel Rinascimento purtroppo prematuramente scomparso e da Antonella Festa, incaricata dell’insegnamen-to di Storia dell’Architettura presso l’Università de l’Aquila, analizzano l’intensa attività edilizia dellafamiglia Petrucci a Siena e nel territorio tra il XV e il XVII secolo.Diversi autori si sono già proficuamente interessati all’impegno mostrato dal ‘Magnifico’ Pandolfo nellacostruzione e nella decorazione artistica del Palazzo di via dei Pellegrini , che del committente conservatutt’oggi il nome; ma non altrettanto si può dire in riferimento ai cantieri aperti da altri membri dellafamiglia, come i fratelli di Pandolfo: Giacoppo e Alessandro, ai quali si devono significativi interventi diampliamento e di ristrutturazione, rispettivamente nel Palazzo di via del Capitano e nella Villa di SantaColomba, meritevoli di attenzione per la storia di una delle primarie famiglie senesi ed ancor più per lastoria dell’architettura nel Rinascimento.Mentre il saggio della Festa offre utili chiarimenti sulla vicenda edilizia di Santa Colomba, affrontatain passato con scarsa applicazione critica, quello di Terziani contiene opportune precisazioni sulla quali-tà e sulla consistenza architettonica del Palazzo di Giacoppo Petrucci, descrivendo con precisione l’asset-to tardo-cinquecentesco delle facciate degli edifici prospicienti via del Capitano e Piazza del Duomo.

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In questa sede si ripropone e si sviluppa unbreve saggio pubblicato su un libro di PetraPertici.1 È opportuno ricordare, infatti, cheGiacoppo Petrucci e Antonio Bichi posse-devano in Via del Capitano due palazzi, cheoggi sono inglobati nel Palazzo delGovernatore mediceo. Giacoppo Petrucci,2

fratello del più famoso Pandolfo3 e perso-nalità eminente nella vita pubblica del

secondo Quattrocento, oltre che facoltosis-simo mercante,4 iniziò la costruzione delsuo palazzo, situato all’angolo fra la Via delCapitano e la Piazza del Duomo, a partiredal 1489.5 Antonio Bichi, tra i più potentiuomini politici senesi della seconda metàdel XV secolo, era alleato ai Petrucci.6 Glistudi della Morviducci7 hanno stabilito chel’edificio attuale (il Palazzo del

Politica e architettura a Siena nel Rinascimento

Un’ipotesi innovativa sui palazzidi Giacoppo e Pandolfo Petruccie di Antonio Bichi di RICCARDO TERZIANI

1 Si v. Una ipotesi sui palazzi di Giacoppo Petrucci e diAntonio Bichi, in P. PERTICI, La città magnificata.Interventi edilizi a Siena nel Rinascimento. L’Ufficiodell’Ornato (1428-1480), Siena, 1995, pp. 143-144.L’Autore ringrazia la Provincia di Siena, l’Accademia deiRozzi, Mario Ascheri, Donatella Ciampoli, AlbertoCornice, Ettore Pellegrini per la loro preziosa collabo-razione.

2 Sull’importanza politica di Giacoppo Petrucci(1434-1497), si v. R. TERZIANI, Il governo di Siena dalmedioevo all’età moderna. La continuità repubblicana altempo dei Petrucci (1487-1525), Siena, 2002, pp. 57-59,85-87, 97-99, passim. Risale proprio al tardo ’400 la bellamedaglia celebrativa in bronzo. La medaglia, attribuitaa Francesco di Giorgio, riporta nel diritto il busto diGiacoppo con l’iscrizione «IACOBUS PETRUCCIUS

SENENSIS DE RE PUBLICA BENE MERITUS». Nel rovescio sitrova, invece, un’aquila ad ali spiegate su un monte anove cime e l’iscrizione «HVNC IURE AD NOVEM COELOS

EXTOLLAM». Il rovescio celebrerebbe la protezioneimperiale sulla nuova stabilità cittadina realizzata dalMonte dei Nove. Si v. la scheda di R. BARTALINI, inFrancesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena, 1450-1500,a cura di L. BELLOSI, Milano, 1993, pp. 400-401. Cfr. lariproduzione della medaglia a pagina 44.

3 Riguardo a Pandolfo (1452-1512), cfr.: C. SHAW,L’ascesa al potere di Pandolfo Petrucci il Magnifico, signore diSiena (1487-1500), Siena, 2001, passim; TERZIANI, Ilgoverno di Siena, cit., passim.

4 A tal proposito, si v. TERZIANI, ibidem, pp. 57-58.

Giacoppo era il principale referente senese dei Medici,v. SHAW, L’ascesa al potere di Pandolfo Petrucci, cit., passim.Lo stesso sarà per il figlio Raffaele (1472-1522), v.TERZIANI, ibidem, pp. 153-198.

5 Giacoppo «acquistò delle case, per la precisionesei, il 20 agosto 1489 dallo Spedale della Scala, per 4000lire, sulle quali intendeva costruire la propria residenza.Dal contratto di vendita si deduce l’esatta coincidenzadel sito dove sorgevano tali case con l’ubicazione del-l’attuale palazzo e che si tratti poi sempre dello stesso,almeno nelle sue strutture fondamentali, si deduce dalfatto che nel contratto di compravendita successiva-mente stipulato con i Medici, si fa appunto menzionedi un palazzo e non più di sei case distinte; un edificiofornito anche di stalle, rimesse per cavalli, cisterne ecantine. Insieme al corpo centrale furono comprateanche due piccole case poste vicino al cortile del palaz-zo da utilizzarsi anch’esse come rimesse per cavalli», M.MORVIDUCCI, Dai Petrucci alla Provincia. Il Palazzo delGovernatore come sede del potere a Siena, in Il Palazzo dellaProvincia a Siena, a cura di F. BISOGNI, Roma, 1990, pp.58-59. L’Autrice ha un piccolo lapsus, poiché nel docu-mento si parla di 4000 lire e non di 400; cfr. p. 58 conp. 78, nt. 5.

6 Riguardo ad Antonio Bichi, cfr.: SHAW, L’ascesa,cit., passim; TERZIANI, Il governo, cit., passim.

7 Si v. supra, nt. 5 e M. MORVIDUCCI, Note storiche sulPalazzo Reale di Siena, in I Medici e lo Stato senese, 1555-1609. Storia e territorio, a cura di L. Rombai, Roma,1980, pp. 165-170.

46 Peducci in pietra decorati con lo stemma della famiglia Petrucci.

47Altri elementi architettonici in pietra decorati con lo stemma Petrucci.

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Governatore) non è altro che il risultato diuna serie di ristrutturazioni e ingrandimen-ti della dimora di Giacoppo. La studiosaritiene che le strutture esterne siano rimastesostanzialmente invariate e che l’acquisto diquesta prestigiosa domus da parte deiMedici dopo la caduta della Repubblicas’inserisca nella volontà di manifestare unasorta di continuità con il potere precedente,sostituendosi nel possesso di un edificiocosì significativo ad una famiglia che avevarivestito tanta importanza nella storia citta-dina.8 Il palazzo, oggi sede della Provincia edella Prefettura, è stato oggetto di un accu-rato studio,9 dove sono ricostruite le vicen-de architettoniche e decorative dell’edificiodalla fine del ’500 in poi. All’interno dell’edificio sono riconoscibilielementi e strutture del ’400 o di primissi-mo ’500: i bei capitelli in pietra serena conlo stemma dei Petrucci,10 presenti al pianoterra e ai piani superiori, una loggia e unsalone con il soffitto magnificamente deco-rato e oggetto di una breve, ma attenta ana-lisi di Laura Martini.11 Loggia e salone si tro-vano al termine dei due terzi di quella partedel palazzo che si affaccia su Via delCapitano e, vista la loro posizione, origina-riamente non dovevano essere compresinella domus di Giacoppo Petrucci, bensì inquella del Bichi. Il Pecci, infatti, parla diuna casa d’Antonio Bichi situata di fronte alpalazzo che anticamente era degli

Squarcialupi, oggi conosciuto comePalazzo del Capitano, e contigua al palazzoPetrucci.12 L’indicazione dello storico sette-centesco è confermata dalla Processione inPiazza del Duomo d’Agostino Marcucci(1610 circa).13 Nel dipinto sono rappresen-tate con notevole precisione Piazza delDuomo prima delle modifiche seicenteschee Via del Capitano. Nella successione diedifici: sul lato sinistro della via (dopo ildemolito Palazzo Arcivescovile), provenen-do dal Duomo, si riconoscono il Palazzodel Governatore,14 a quel tempo assai menoesteso lungo la strada, un edificio di note-voli dimensioni, che dovrebbe appuntoessere il palazzo Bichi, una costruzione piùpiccola compresa tra Via del Capitano e Viadel Poggio, infine il palazzo Forteguerri, poiBardi, con la torre in pietra che a quell’epo-ca era ancora molto alta. Con l’ampliamen-to del Palazzo del Governatore, avvenutanella seconda metà del XVII secolo gli edi-fici circostanti furono inglobati nella nuovafabbrica, che estese la facciata originariaall’intero isolato.«Le trattative del passaggio di proprietà tra iPetrucci e i Medici furono lunghe e com-plesse. Risalgono, infatti, al 1568 i primicontatti con Antonio Maria Petrucci, che siconclusero nel 1593, il 20 settembre, quan-do Pandolfo, figlio del suddetto AntonioMaria, firmò la vendita per il prezzo di8000 scudi con Francesco Franchino,

8 Nonostante non esista ancora una biografia dellafamiglia Petrucci, si rimanda a SHAW, L’ascesa, cit., pas-sim e TERZIANI, Il governo, cit., passim.

9 Si v. supra, nt. 5.10 Cfr. le tavv. a pagina 46 e 47.11 Si v. L. MARTINI, La decorazione del palazzo dal

1597 fino all’insediamento di Mattias de’ Medici, in IlPalazzo della Provincia, cit., p. 112. Di grande interesse è«il soffitto a cassettoni lignei con cornici dipinte a fregivegetali nel grande salone al secondo piano che si apresulla Via del Capitano, oggi suddiviso in più stanze adi-bite ad uffici. Lungo i bordi perimetrali corre tra travee trave un elemento decorativo a stampo, in cartapestapolicroma (azzurro, bianco, oro), di eccezionale inte-resse. Si tratta di due putti contrapposti, seduti su unapiccola candelabra, chinati in avanti nell’atto di sorreg-

gere un’anfora da cui esce un ricco girale d’acanto. È unmotivo di origine classica che appartiene al repertoriodecorativo diffuso dalla seconda metà del Quattrocentocon la riscoperta dell’antico», MARTINI, ibidem. Cfr. letavv. a pagina 49.

12 Cfr. G. A. PECCI, Memorie storico-critiche della cittàdi Siena, 1480-1559, Siena, 1755-1760, 2 voll., rist.anast., Siena, 1988, con una presentazione di M.ASCHERI, vol. I, parti 1, 2 (1480-1527), vol. II, parti 3, 4(1527-1559), Siena, 1988, I, 1, p. 161, I, 2, p. 62.

13 Si v. Santa Maria della Scala. Archeologia e edilizianella Piazza dello Spedale, a cura di E. BOLDRINI, R.PARENTI, Firenze, 1991, pp. 57-63. Cfr. la tav. 15.

14 Cfr. la fig. a pagina 51 (sotto).

49Motivi decorativi del soffitto ligneo del grande salone che si apre al secondo piano.

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Procuratore fiscale del Granduca».15 I lavoriiniziarono quasi subito e interessarono pre-valentemente gli interni dell’edificio.16

L’artefice della ristrutturazione fu l’architet-to Raffaello Pagni e il sovrintendente ailavori fu don Pio Nuti, Abate di MonteOliveto.17 Nel 1595 i lavori di ristrutturazio-ne dell’edificio erano terminati e ilGovernatore mediceo poteva prendere pos-sesso del palazzo.18 Circa l’aspetto esternodell’edificio, si può cautamente ipotizzareche esso abbia mantenuto le caratteristichearchitettoniche che aveva quando era abita-

to da Giacoppo e da suo figlio Raffaele.19

Due elementi ci portano a questa primaconclusione: il primo è di ordine politico,poiché lo stravolgimento del palazzoPetrucci sarebbe stato certamente pocoaccettato dall’élite cittadina, riguardo allaquale, com’è noto, il Granduca ricercavaconsenso e stima, nonostante la cadutadella Repubblica;20 il secondo è di ordinestilistico, poiché gli edifici “manieristici”progettati dal Pagni a Pisa non hanno prati-camente nulla in comune con il palazzoche è rappresentato nel dipinto di Agostino

15 MORVIDUCCI, Dai Petrucci alla Provincia, cit., p.59. È opportuno ricordare che il palazzo Petrucci diPiazza del Duomo fu utilizzato dagli stessi Petrucci edalla Repubblica come sede di rappresentanza (insiemecon il vicino Palazzo Arcivescovile) per le personalitàche passavano per Siena. Nel palazzo di GiacoppoPetrucci furono ospitati i seguenti personaggi: Piero deiMedici (1497, v. PECCI, Memorie, cit., I, 1, p. 140, nt. d.);Lorenzo II dei Medici (1516 e 1517, quando «Lorenzode’ Medici fu ricevuto e trattato da Raffaele Petrucci nelproprio palazzo a lauta cena e coll’intervento di bellegiovinette»; v. PECCI, ibidem, I, 2, pp. 57-58, 65); CarloV (1536, v. PECCI, Memorie, cit., II, 3, pp. 81-91);Margherita d’Asburgo, figlia dell’Imperatore e moglied’Alessandro dei Medici (1537-38, si rifugiò a Siena contutto il tesoro ducale, dopo l’assassinio del Duca diFirenze, v. PECCI, ibidem, II, 3, pp. 96, 101-102);Niccolò Perrenot de Granvelle, Cancelliere di Carlo V(1541, ibidem, pp. 120-121); il Cardinale Ippolito d’Este(1552-54, ibidem, II, 4, pp. 31-32, 142). Il Farulli ricordòche «alcuni Petrucci del ramo del cardinal Raffaellofurono detti Palleschi, perché Leone X le sue Palle volleinquartare nell’arme»; v. Notizie Istoriche dell’Antica eNobile Città di Siena, Opera di Gregorio Farulli, sotto lopseudonimo di Francesco Masetti, romano, SupplementoStorico, Lucca, 1723, rist. anast., Bologna, 1986, p. 32.Sugli stemmi dei Petrucci-Palleschi e sul ruolo eminen-te d’Antonio Maria Petrucci (nipote di Raffaele), duran-te la prima età medicea, v. I Libri dei Leoni. La nobiltà diSiena in età medicea (1557-1737), a cura di M. ASCHERI,Milano, 1996, pp. 54-57, nt. 149, pp. 406, 415, 448. Siha notizia, inoltre, di un grande intervento sul palazzoper opera di Raffaele Petrucci nel primo ’500 (v. PECCI,Memorie, cit., I, 2, pp. 27, 46-47), ma è probabile cheriguardasse un edificio contiguo, poiché è inammissibi-le che il palazzo rimanesse inagibile per anni, visto l’usoche ne faceva Raffaele proprio in quel periodo. Duranteil “principato” di Raffaele, infatti, alcune Balie si riuni-vano proprio nel palazzo di Giacoppo. Si v. TERZIANI,Il governo, cit., pp. 153-198. Nel tardo Cinquecento,infine, si ha una veduta del palazzo dove quest’ultimoappare con le forme attuali e confinante con altri edifi-ci disposti “irregolarmente”. Si v. la fig. a pagina 51

(sopra), particolare tratto dalla veduta di Siena diFrancesco Vanni (XVI-XVII sec.). A tal proposito, v. L.BORTOLOTTI, Siena, 1982, p. 45. Tuttavia, un documen-to recentemente pubblicato da Fabrizio Nevola, chiari-sce in maniera inequivocabile il tipo d’intervento volu-to da Raffaele. «Iacopo [Giacoppo, n.d.r.] Petrucci fra-tello di Pandolfo edificò il suo palazzo appresso alDomo poco di poi che entrorno e’ nove in Siena che fùl’anno 1490 circa. Spese in detto edifitio fiorini 12 milanel qual tempo valeva lo scudo d’oro lire sei, di modoche la spesa fù circa di scudi 8 mila ala moneta di pre-sente. Il detto palazzo fù lassato in perfetto dal dettoIacopo il qual morse senza testamento e lassò quattrofigli maschi cioè Guasparre, Giovan Francesco, M.Petruccio et il Cardinal Raffaello […]. Il cardinalRaffaello sopravisse a tutti li fratelli e acrebbe il dettopalazzo fino al termine si trova di presente, e spese frala compera della piazza e la fabbrica circa scudi 2 mila,qual compera e spesa fece sempre a nome di detti suoinipoti, Iacopo e Antonio Maria […]. Quanto alla valu-ta d’esso palazzo il S. Marcello Augustini volse compe-rarlo per scudi 4500 d’oro, e dicono no seguì la vendi-ta perche tutt’e dua le parti si pentirono per diversirespetti. Informatomi da qualcuno et inteso piu ope-nioni dico che quando si pagassi detto palazzo scudi4500 insino a scudi 5000 di moneta di lire 7 per scudoa gabella del comperatore, mi parrebbe fussi prezzoragionevole, e da contentar’ sene chi lo vende, rimet-tendomene sempre a ogni miglior giuditio, questo èquanto mi occorre dire er informatione di questofatto’» (1568), si v. F. NEVOLA, Siena. Constructing theRenaissance city, Yale University Press, New Haven andLondon, 2007, p. 259, nt. 50. Con questo intervento,quindi, il palazzo Petrucci (reiterando lo schema di fac-ciata del palazzo di Giacoppo) “lambì” la domus diAntonio Bichi.

16 Si v. MORVIDUCCI, Dai Petrucci, cit., p. 60.17 Ibidem.18 Ibidem, p. 62.19 Cfr. MORVIDUCCI, Dai Petrucci, cit., pp. 57-58.20 Si v. M. ASCHERI, Siena senza indipendenza:

Repubblica continua, in I Libri dei Leoni, cit., pp. 9-69.

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Il dettaglio del palazzo del Governo ripreso con notevole chiarezza sulla Pianta di Siena di Francesco Vanni.

Agostino Marcucci, Processione in Piazza del Duomo (1620 c.). Siena, S. Maria della Scala.L’esame ravvicinato della quinta prospettica costituita da Via del Capitano consente di individuare con esattezza la successionedegli edifici: Palazzo del Governatore (già Petrucci), Palazzo Bichi, costruzioni più piccole prima di Via del Poggio, PalazzoForteguerri (poi Bardi) prima di Via di Città (v. pag.48).

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Marcucci.21

Pertanto, possiamo essere d’accordo conFabio Bisogni, quando afferma che «soloalla fine del Quattrocento, nel palazzo diGiacoppo Petrucci (fratello del MagnificoPandolfo), il tufo sarà adoperato percostruire leggere lesene e cornici di finestre.Benché i Medici spendessero grandi sommenel rifacimento, il nucleo iniziale non fudistrutto, poiché nell’interno i peducci dellevolte sono ancora ornati dallo stemma deiPetrucci».22 È importante tener presente,inoltre, un altro elemento. L’aspetto esternodel palazzo di Giacoppo presenta un ordinetuscanico a paraste semplificato,23 dovespicca il caratteristico “dado brunelleschia-no”, cioè il pulvino a forma di dado, conmodanature classiche. Ebbene, quest’ele-mento lo ritroviamo sopra i capitelli inter-ni24 e nel monumentale scalone del palazzodel Magnifico Pandolfo. Notevole, infine,la rassomiglianza tra le paraste presenti neidue palazzi Petrucci. Anche il cornicione,con mensole e dentelli, presenta affinitàstraordinarie con altri edifici senesi delRinascimento, come la Basilicadell’Osservanza e la chiesa di Santo Spirito.Nella seconda metà del Seicento, com’ènoto, il palazzo fu investito da un generalerifacimento. Per volere del GovernatoreMattias dei Medici la facciata originaria fuestesa a tutto l’isolato e il risultato fu quel-

lo di avere «un edificio monotono e piatto,più grande che imponente. Questo esito sideve certo alla volontà, per risparmiare, diconservare il nucleo tardo-quattrocentescodella casa dei Petrucci. Ma il dado origina-rio che nell’uso del tufo univa compattezza,eleganza e colore fu ampliato a dismisuraperdendo così le sue caratteristiche e la suaqualità».25 L’ampliamento del palazzo coin-cise con l’abbattimento del vecchio PalazzoArcivescovile (seconda metà del XVII seco-lo), che si trovava tra il Duomo e il palazzoPetrucci. «Il risultato fu una grande piazzaartificiale e irregolare che fino alla fine delSettecento ebbe la funzione di esaltare lecerimonie religiose e le processioni, nume-rosissime, che avevano la Cattedrale comepunto di riferimento».26 Con gli interventivoluti da Mattias dei Medici la facciataprincipale del palazzo divenne quella che siaffacciava sulla Piazza del Duomo e fu inquesto periodo che si intervenne sui pro-spetti dell’edificio realizzando un portalenell’omonima piazza e inserendo in manie-ra abbastanza traumatica alcuni balconi suifronti del palazzo.27 Pertanto, al termine diquesta breve disamina, si espone una rico-struzione del prospetto principale che ilpalazzo di Giacoppo Petrucci doveva averealla fine del Quattrocento in Via delCapitano.

21 Il Pagni a Pisa progettò il palazzo Boileau e ilCollegio Ferdinando. Si v. G. SALVAGNINI, GherardoMechini, architetto di Sua Altezza. Architettura e territorio inToscana, 1580-1620, Firenze, 1983, pp. 41-42.

22 F. BISOGNI, La nobiltà allo specchio, in I Libri deiLeoni, cit., p. 215. Il rifacimento del palazzo, in effetti,sarebbe stato un po’ “schizofrenico” se i Medici avesse-ro rifatto l’esterno, mantenendo intatta l’intelaiaturainterna, fatta di volte con i capitelli recanti lo stemmadei Petrucci. Sul “tufo”, che in realtà è arenaria plioce-nica, v. ibidem.

23 Si veda M. QUAST, Siena: banca dati delle facciate delcentro storico, www.db.biblhertz.it/siena/siena.xq

24 Cfr. le figure a pagina 47.25 BISOGNI, La nobiltà, cit., p. 258.26 Ibidem.27 Anche le “inginocchiate” presenti nei fornici a

piano terra dovrebbero essere state inserite proprio inquesto periodo. Un particolare “curioso” è dato dagliinfissi delle finestre, che ricordano moduli quattrocen-teschi. Particolare, peraltro, sopravvissuto fino ad oggi.

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La villa di Santa Colomba è posta su un collealle falde orientali della Montagnola senese, adodici km. da Siena. E’ un complesso com-posito e stratificato che originariamenterispondeva alla tipologia del palazzo fortifi-cato e dotato di una torre con “bertesche”1. Iprimi proprietari (XIII-XIV sec.) del feudofurono gli Accarigi, ai quali successero i Celsi2

e poi, dalla fine del Quattrocento, i potentiPetrucci. La facciata principale è quella ad est e assolvealla funzione rappresentativa di tutto l’edifi-cio. Essa poggia su alte mura di originemedievale. Il linguaggio architettonico dellafacciata è riconducibile al rifacimento seicen-tesco sulla base dei dettagli decorativi in stuc-

La villa di Santa Colomba pressoSienaMetodo di ricerca, obbiettivi e questioni aperte

di ANTONELLA FESTA

Fig.1 Veduta della facciata della Villa Petrucci a Santa Colomba.

1 ASS, Lira 156, c.457.2 G. Merlotti, Memorie storiche delle parrocchie subur-

bane della diocesi di Siena, a cura di M. Marchetti, Siena,1995, p. 95.

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co. La composizione è basata su un rigidogeometrismo che la suddivide su tre piani,scanditi verticalmente da cinque arcate.L’ordine si presenta uguale in tutto il pro-spetto ed è costituito da pilastri rettangolariche reggono arcate a tutto sesto. Sui pilastri siappoggiano lesene bugnate che sorreggonol’architrave tangente agli archi e si assottiglia-no con il procedere verso l’alto (fig.1).La distribuzione interna della villa corri-sponde essenzialmente ad un sistema ad H: sia sul fronte principale ad est che su quel-lo opposto si aprono logge chiuse da avan-corpi (figg.2-3-4).A piano terra, lungo l’asse principale, è collo-cato un portico di accesso ed un grandeandrone: dal primo si accede alla cappellaprivata e ad una stanza di servizio, alloggiateentrambe nell’avanzamento successivo delcorpo; dall’androne si accede, tramite quattroporte, in due stanze. In una di queste (insie-me ai corrispondenti ambienti dei piani supe-riori) trova spazio la scala coclide, la quale èperciò decentrata rispetto all’asse di penetra-zione. La scala ( fig.5 ) è l’elemento di con-nessione di tutto l’edificio a partire dal pianointerrato fino al sottotetto. Essa rappresental’elemento caratterizzante di tutto l’edificio:

una pianta circolare modulare su sei colonnedoriche uguali ripetute ad ogni giro per tuttolo sviluppo della scala. Come nel caso di altre opere senesi tradizio-nalmente attribuite al Peruzzi e come, più ingenerale, per gran parte dell’architettura sene-se del XVI secolo, le attuali conoscenze stori-co-documentarie sulla villa di SantaColomba appaiono carenti e frammentarie. Ilmotivo per cui questa villa è stata da moltiattribuita al Peruzzi trae origine dalla presen-za di una monumentale scala a chiocciola,che ricorda la tipologia della scala delBelvedere nella Villa di Innocenzo VIII,opera di Bramante terminata probabilmentedal Peruzzi (fig.6). Per quanto, a mio parere,le due scale, se pur simili per dimensioni, sti-listicamente sono molto diverse, poiché nonappartenenti ad uno stesso periodo storico. Fino ad oggi, quindi, intorno alla vicenda sto-riografica della villa di Santa Colomba, sonostate avanzate alcune ipotesi per quel checoncerne l’attribuzione e la datazione dell’o-pera, non fondate, però, su dati inconfutabi-li. Al riguardo si hanno, infatti, pochissimenotizie e riferimenti critici abbastanza opina-bili. Una tesi degli anni Settanta: “BaldassarrePeruzzi e l’architettura in Siena nel

Fig.2 Planimetria della Villa di Santa Colomba e adiacenze, risalente al 1827. Rintracciata nell’archivio privato all’interno dellaVilla.

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Cinquecento” affronta soltanto le trasforma-zioni della villa alla fine del Settecento e pro-pone ipotesi sulle fasi cinque-secenteschesenza alcun appoggio documentario, rilievodettagliato, indagine stilistica e conoscenzadella committenza; peraltro, in merito a que-

sto ultimo argomento,gli autori della tesi ripro-pongono una “anticacredenza” che risale aglistorici dell’Ottocento,come Romagnoli,Merlotti, ecc., che vuolela villa di SantaColomba proprietà delMagnifico PandolfoPetrucci, Signore diSiena (in realtà la ricercacondotta da chi scrivenell’Archivio di Stato diSiena corregge tale cre-denza, perché, in queglianni, la villa risulta ap-partenere ad Alessandrodi Bartolomeo Petrucci,fratello del Magnifico.Alessandro, che infatti,acquistò la fortezza nel1493/95 per “fiorini400”)3. Numerosi sonoquindi i motivi di inte-resse e gli aspetti proble-matici da affrontare inuna ricerca sull’argo-mento che approfondi-remo in altra sede e chequi, brevemente, elen-chiamo: la questione,non ancora chiarita,della consistenza archi-tettonica cinquecente-sca, in rapporto allestrutture preesistenti ealle parti realizzate suc-cessivamente (fase seicen-tesca, settecentesca eottocentesca); la valuta-zione dell’opera svolta daBaldassarre Peruzzi (o da

qualche suo collaboratore) in merito ad alcu-ne preesistenze rintracciate durante il rilievo,che risultano per forma molto vicine ai dise-gni peruzziani di ville fortificate; la propostadi un possibile progetto martiniano per l’in-teressantissima scala coclide sotterranea pre-

Fig.3 Rilievi di Giorgio Vasari il Giovane. Villa di Santa Colomba appartenente, all’epocadel disegno all’Arcivescovo Alessandro Petrucci. (Firenze, Uffizi - GDSU - U 103651). Sitratta del disegno più antico rintracciato sulla Villa. All’epoca del disegno, come si puònotare, non esistevano ancora i corpi aggiunti nel XVIII e XIX sec.

3 ASS, Notarile ante-cosimiano, 528

56Fig.4 Rilievo anonimo della villa di Santa Colomba risalenti al 1893, pianta piano terra. Rintracciato nell’archivio all’internodella Villa.

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Fig.5 Scala coclide della Villa di Santa Colomba vista dal basso.

Fig.6 Scala a chiocciola della Villa di Innocenzo III del Belvedere Vaticano.

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sente nella villa; la definizione del ruolo deglialtri soggetti coinvolti nella conduzione deicorpi di fabbrica delle varie fasi costruttive,dai committenti ai personaggi che hannocontribuito all’esecuzione degli interventi;l’entità dei danni subiti dalla villa durante laGuerra di Siena, in conseguenza dell’attaccocondotto il 21 marzo 1554 dalle truppe delMarignano, comandante degli Imperiali e,quindi, la consistenza architettonica delnuovo corpo di fabbrica ricostruito a cavallotra la fine del Cinquecento e l’inizio delSeicento; la ricostruzione genealogica delle

famiglie proprietarie della villa dal XIV seco-lo ad oggi e, l’individuazione di quei perso-naggi della famiglia Petrucci che commissio-narono i lavori della fase cinquecentesca (faseII) e di quella seicentesca (fase III).

I - ANALISI FILOLOGICA

Il nostro primo approccio per ricostruire lastoria della critica e verificarne i risultati siricollega all’analisi filologica condotta negliarchivi e biblioteche di Siena e Firenze.I documenti rintracciati sono principalmente

Fig.8 Baldassarre Peruzzi, progetto per villa fortificata condoppio loggiato e fronte bastionato. Firenze Uffizi,Gabinetto Disegni e Stampe, dal f. U 616 Ar.

Fig.9 Baldassarre Peruzzi, progetto per villa fortificata condoppio loggiato, fronte bastionato e con scala a chiocciolainserita nel bastione di sinistra guardando la facciata:esattamente come nella nostra ricostruzione della Villa diSanta Colomba. Firenze Uffizi, Gabinetto Disegni eStampe, dal f. U 2069 Av.

Fig.7 BaldassarrePeruzzi, progetti pervilla fortificata concortile e frontebastionato. FirenzeUffizi, GabinettoDisegni e Stampe,dal f. U 15 Ar.

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denunce di possessione, testamenti, conces-sioni della Balia, ecc., alcuni dei quali descri-vono anche lo stato del palazzo tra la metàdel Quattrocento e la metà del Cinquecento,per poi tracimare in un eterno buio duratofino alla fine del Seicento, periodo nel qualesi è rintracciata molta documentazione.Attraverso i documenti del Quattrocento sipuò ricostruire in parte il primo nucleo dellafortezza medievale che possedeva una torrecon “bertesca”4 e poi, tutta una serie di infor-mazioni riguardanti lo stato della fortezzadopo l’incursione effettuata nel 1364 dallacompagnia di ventura inglese guidata daGiovanni l’Acuto. Il palazzo fortezza o“palazzotto” (come viene chiamato nei docu-menti) era “guasto e male in ponto” tanto danon potervi abitare. Nella denuncia di pos-sessione di Alessandro risalente al 1509, ricor-diamo, il palazzo è “non fornito”5.Altri documenti coevi ad un secondo attacco,quello più devastante sviluppato dalle truppedel Marignano nel marzo 1554, chiarisconoquali furono i danni provocati alla villa daicontinui bombardamenti. Il documento del14 febbraio del 1553 informa che “Ben libredieci di polvere fina fu battuta contro la torre

di Santa Colomba”6. Apprendiamo così chealla metà del XVI secolo la torre con bertescaesiste ancora.Un altro documento, con precisione una let-tera datata 22 marzo 1554 scritta dal Concini7

al Granduca di Firenze mentre seguiva le ope-razioni militari condotte dal Marignanointorno a Siena, informa in merito al terribi-le attacco sferrato contro Santa Colomba chel’artiglieria cominciò a “battere in canto allatorre la cui facciata alli X o XII tiri venne aterra…”8. Dal documento si evince poi ilmotivo per cui fu presa di mira la torre: all’in-terno si nascondevano 25 “villani” insieme aun prete “ribaldo” che li proteggeva.Un’altra fonte affidabile perché vicina ai fattiè Giovan Batista Adriani che nella sua Istoriadel 1587, riporta che il Marignano, con colpid’artiglieria, fece rovinare la facciata del murodella villa di Santa Colomba. Altrettantoattendibile è Sigismondo Tizio dal qualeapprendiamo che le bombarde spaccarono iltetto della villa provocando enormi danniall’interno9; mentre Alessandro Sozzini, prin-cipale fonte di parte senese, riferisce che “viscaricorno botte 25 e la scoronorno”10.Sozzini precisa anche che gli imperiali “aven-

4 Elenchiamo cronologicamente i documenti rin-tracciati che denunciano le possessioni, lo stato didegrado del palazzo nel Quattrocento e informanodella presenza della bertesca : 1466. Ristoro di Notto diNanni di m. d’Angelo Scotti denunzia metà del palaz-zo di Santa Colomba “ guasto e male in ponto, il quale michosta per la guerra affarlo guardare grandissima spesa”(ASS, Lira 156, c. 430). 1466. Michelangelo di NottoScotti denunzia l’altra metà del palazzo ovvero fortez-za di Santa Colomba “e se per l’avenire bisognasse guardarebisognia farci grande spesa di più cose e massime della berte-scha che cade”( ASS, Lira 156, c.457). 1481. Gli eredi diRistoro di Notto Scotti “denunziano di avere la meta perindiviso del palazo o vero fortezza a Sancta Colomba ..non sipuo abitarlo perché a bisogno di piu acconciami” (ASS, Lira186, c. 112). 1481. Conta e Pietro di Giovanni Savinidenunziano il possesso di mezzo palazzo nel comunedi Santa Colomba (ASS, Lira 186, c. 156). 1483.Michelangelo di Notto Scotti denunzia 1/8 del “palaz-zo o fortezza di Santa Colomba che ha bisogno di più ripara-zioni e soprattutto della bertesca che cadde” (ASS, Lira 201,c. 210). 1493, 16 Aprile. Iacobo di Massaino di Iacobodi Siena vende ad Alessandro di Bartolomeo Petrucci lametà di un palazzo a Santa Colomba –l’altra metà diquesto è di proprietà di Michelangelo Notti Scotti diSiena (ASS, Notarile ante-cosimiano, 528 ). 1495, 9

Aprile. D. Marghi olim Petri Signorini de Pecci vedo-va di Michelangelo Notti di Scotti vende adAlessandro di Bartolomeo di Iacobo, per metà proprie-tario (per indiviso) di una possessione nel comune diSanta Colomba, un palazzo per 400 fiorini (ASS,Notarile ante-cosimiano, 528).

5 Denunzia di possessione di Alessandro diBartolomeo Petrucci, il quale, nel 1509 dichiara di esse-re proprietario “di una possessione con un palazo non for-nito” posto a Santa Colomba che vale fiorini 600. (ASS,Lira 234, c.73r-v.).

6 Il 14 Febbraio del 1553 alla villa di Santa Colombafu sferrato un terribile attacco dalle truppe delMarignano comandante degli Imperiali. “Ben 10 libbredi polvere fina fu battuta contro la torre della villa di SantaColomba”. (ASS, Balia 155, c. 156)

7 Segretario di Cosimo I.8 Archivio di Stato di Firenze, Lettere del Marignano

(lett. N.36)9 S. Tizio, Historiarum Senesium Libri X, ms BCS

(BIII, 1-14) sec. XVI, libro X c.4010 A. Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena…,

Firenze, Viesseux, 1842 in “Archivio Storico Italiano”,vol. II, p. 190) a conferma di quanto scritto da Concinicirca l’abbattimento della torre.

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do fatto tutti gli uomini prigioni…. (ne)appiccorno 22 per la gola”11, non siamo peròa conoscenza dell’ esatta entità dei danniinferti alla villa, certo è che Santa Colombasubì non solo in facciata ma anche nel suointerno gravi devastazioni. E’ stato possibileprodurre alcune ipotesi circa la gravità deidanni provocati dalla batteria, grazie all’ausi-lio del rilievo, cui accenneremo più avanti.Sempre durante l’ indagine documentaria sisono ricostrui-te tutte le pro-prietà dellavilla dal XIVsec. ad oggi e,per quel checoncerne laf a m i g l i aP e t r u c c i ,abbiamo crea-to un alberogenealogicodel ramo chevi abitò daAlessandro diBar to lomeo(1470-1513) alC a v a l i e rB e n e d e t t oPetrucci (1620-1690). Inoltresono state rin-tracciate tuttauna serie diinformazioniriguardanti lascala coclidedella villa che èstata oggetto di studio di alcuni storici dallafine del Settecento fino agli anni Settanta diquesto secolo. Gugliemo Della Valle, inLettere sanesi, pubblicato a Venezia nel 1782, èil primo ad attribuire la scala a Baldassarre

Peruzzi. Intorno alla metà dell’OttocentoEttore Romagnoli e Emanuele Repetti ripro-pongono la medesima attribuzione12.Qualche decennio dopo Merlotti parla dellascala in questi termini: “Ammirabile è pure ilsotterraneo che vi esiste in proteggimento della piùmoderna magnifica e rinomata scala fatta a spirasulla idea di Baldassarre Peruzzi, per cui si scen-dono 181 scalini [noi ne abbiamo contati 168 piùun’altra decina all’inizio della discesa oggi distrut-

ti] sotterra e,quivi si proseguequell’antro tene-broso per lungospazio, nonpotendosi peròtrovare la metaper essere in piùpunti dilamatoil terreno supe-riore per esserepoco consistentee cretaceo; maogni resto è sca-vato nel vivosasso, e diconoche si comunicaa l l ’ a l t r oPalazzo diSiena un tempodel MagnificoP a n d o l f oPetrucci pressola Pieve di SanGiovanni”13. Intorno aglianni Trenta delNovecen to ,

Kent, Marri Martini, Haupt, Venturi conti-nuano ad attribuire la scala al Peruzzi14.Alberti e Guerra nel 1968 scrivono: “Quandonel Cinquecento il complesso venne modificato fuprobabilmente chiamato ad operarvi il Peruzzi, al

Fig.10 Sotterranei. Scala a chiocciola quattrocentesca che porta ai piani superioriinserita all’interno dello spessore murario.

11 Ibidem, p.19112 E. Romagnoli, Cenni storico-artistici di Siena e suoi

suburbi, Siena 1840, p.80; E. Repetti, Dizionario geografi-co fisico-storico della Toscana, Firenze 1833-46, p. 97.

13 G. Merlotti, Memorie storiche delle parrocchie..., cit.,p. 158.

14 W.W. Kent, The life and the works of Baldassarre

Peruzzi of Siena, New York 1925, p.40. L. Marri Martini,L’architettura di Baldassarre Peruzzi in Siena, in “LaDiana” IV 1929,p. 208; A. Haupt, Architettura dei palaz-zi dell’ Italia settentrionale e della Toscana, Milano Roma1933; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, 1938 , vol. XIparte I, p. 407; H. Acton, Ville Toscane, Firenze 1973,p.295.

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quale secondo alcuni è da attribuirsi l’ampia scalaelicoidale interna”15. Nel 1970 Spagnesi, con qualche dubbio,ripropone la stessa attribuzione. Qualcheanno dopo Acton e Belli Barsali, oltre adattribuire la scala a Peruzzi, propongono delledatazioni: il primo autore scrive che fu la“..famiglia Petrucci, che nel 1516 dette incarico alPeruzzi di trasformarlo ( il palazzo) in una prege-vole casa di campagna. Molti edifici senesi delPeruzzi furonodisegnati quan-do egli era aRoma ed eseguitiin base ai model-li: non era neces-sario ne possibileche ispezionasseogni luogo primadella costruzio-ne”16; la secon-da autrice anti-cipa la datazio-ne al 1509-1117.Tutte questeattribuzioni alPeruzzi lascia-no ben sperareper una possi-bile attribuzio-ne al Peruzzi,ma, ovviamen-te, non sonosufficienti. Laverifica con-dotta sulla basedi tali notizie el’elaborazionedi nuovi datied elementi,emersi durantela ricerca documentaria e l’osservazione diret-ta, danno ora l’occasione di svolgere alcuneprime considerazioni sulle numerose questio-ni aperte.Innanzi tutto la scala a chiocciola non sem-

bra, stilisticamente, riconducibile al primoCinque-cento (più precisamente tra il1495/1500 e il 1530) periodo in cui datiamola seconda fase: quella che corrisponde allatrasformazione da fortezza medievale in villafortificata rinascimentale. E non sembra nep-pure riconducibile allo stile di Peruzzi, purnon potendo escludere una sua idea di pro-getto per la pianta (basti vedere i disegni diville fortificate conservati agli Uffizi e pubbli-

cate daH e i n r i c hWurm18 (Figg.7-8-9 di cui siparlerà in altrasede) poi, pro-babilmente,ripresa da altriprima del1554, quandole truppe delMarignano,bombardaro-no e distrusse-ro parte dellavilla di SantaC o l o m b a .Non è neppu-re da esclude-re un inter-vento peruz-ziano eseguitoda allievi nelperiodo in cuiil maestrorisiedeva aRoma, ovverodai primi delCinquecentofino al dram-

matico ‘sacco’ della Città (1527). Forse unascala a chiocciola come proseguimento diquella sotterranea doveva già esistere prima diquella attuale e quindi prima dei bombarda-menti; peraltro, l’odierna scala potrebbe esse-re un rifacimento di quella precedente.

Fig.11 Sotterranei. Rampa che prosegue la discesa dopo l’ambiente circolare dellacisterna. Si osservi come da questo punto cambia la muratura, ma anche, perquanto concerne le altezze, la copertura a botte e i gradini: le mura non sono piùcostruite ma scavate nella roccia come si può notare dai solchi lasciati dagli utensili.

15 F. Alberti e P. Guerra, Siena: città e campagna, in “Casabella” n. 330 novembre 1968, p. 33

16 H. Acton, Ville Toscane, Firenze 1973, p.295 ; L.Marri Martini, L’architettura di Baldassarre Peruzzi..op.cit., p.208.

17 I. Belli Barsali, Baldassarre Peruzzi e le ville senesi delCinquecento, San Quirico d’Orcia, 1977, p.84

18 H. Wurm, Baldassarre Peruzzi,Architekturzeichnungen, volume di tavole, Tubingen1984

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L’unico punto, infatti, in cui doveva trovarecollocazione una ipotetica e precedente strut-tura di comunicazione fra i vari piani è pro-prio quello dell’attuale scala : non vi sononell’edificio tracce indiziarie che possano faripotizzare la presenza di una scala posta in unaltro luogo.

II - ANALISI OGGETTIVA(Il RILIEVO DEL MONUMENTO)

Il secondo approccio è stato l’indagine diret-ta attraverso il rilievo di tutto il complesso(effettuato con strumentazione elettronica dachi scrive) poiché il monumento è documento. Ilrilievo ha portato alla luce il proseguimento(se pur con fattezze diverse) della scala achiocciola per circa quaranta metri sottoterrae la disposizione dei sotterranei dell’anticafortezza. La presenza di una scala coclide sot-terranea simile strutturalmente a quelle dise-gnate e realizzate dal Martini, porta ad ipo-tizzare anche un possibile intervento diFrancesco di Giorgio, probabilmente prose-guito dal suo allievo e stretto collaboratoreJacopo Cozzarelli dopo la morte del maestro.Si tratta di una chiocciola sotterranea scavatanel duro e chiaro tufo: il cilindro che la con-tiene ha lo stesso diametro del cilindro chedelimita la scala sovrastante. Anche la lar-ghezza della rampa coincide con quella dellascala superiore. Quest’ultima era un tempodirettamente comunicante con la scala sotter-ranea. Al piano in cui le due scale comunica-vano vi è un altro passaggio murato che con-duceva agli altri ambienti sotterranei. Questopassaggio è caratterizzato da una copertura avolta ad unghia molto acuta e ricorda moltoquelle poste in corrispondenza delle finestredegli ambienti a piano terra, sul lato destrodella pianta guardando la facciata principale.Queste volte ad unghia sono stilisticamentetardomedievali.La scala sotterranea era stata creata, a nostroparere, per trovare la falda acquifera e tra-

sportare l’acqua alla quota della fortezza conl’impiego di animali. Essa presenta ben 179gradini.19 Scendendo i primi 26 gradini lascala conduce in un ambiente successiva-mente diviso in due da un tramezzo chelascia intravedere un’unica copertura a volta abotte. In questo ambiente vi è un passaggio,per buona parte murato, dove ci si puòaddentrare e osservare un ambiente posto adun livello di circa un metro superiore, cheporta ad una piccola scala a chiocciola inmattoni tipicamente quattrocentesca (fig. 10)che termina bruscamente. Non si intravede ilsuo proseguimento, però dal rilievo si dedu-ce che essa coincide con una scala postaall’interno dello spessore murario che va dalpiano interrato al piano nobile. Nel mezzani-no se ne possono vedere pochi gradini.Abbiamo verificato20 dove sbucava la scala: apiano terra in prossimità di un corridoio crea-to successivamente come passaggio per con-durre dall’atrio al corpo dell’ala sinistra(rispetto la facciata che dà sul giardino).Quello che ci interessa sapere è che il prose-guimento di detta scaletta è collocato all’in-terno del corpo preesistente. Dal momentoche alla piccola chiocciola si accede percor-rendo un buon tratto della scala coclide inter-rata è evidente che questa ultima è anch’essapreesistente alle trasformazioni successive.21

Scendendo ancora tre gradini ci si trovadavanti ad un ambiente circolare alto 4.62 m.e coperto con cupola in mattoni a ricorsiorizzontali che terminano in chiave con unpiccolo foro (figg. 11-12). In questo ambien-te era una cisterna per l’approvvigionamentodell’acqua ed era collegato con un pozzo di“troppo pieno” che, con appositi docci (con-dotti d’acqua), serviva, in caso di alluvioni, adequilibrare il livello dell’acqua della cisternaquando superava un certo valore critico.La scala termina al 178 gradino e ci si trova inuno stretto e basso cunicolo (fig. 13), pocopraticabile (alto circa 80 cm.), che porta asinistra ai cosiddetti bottini (gli acquedotti

19 Con un’alzata di circa 12,50 cm e una pedata di35-36 cm. La profondità del vano scala è di circa 38 m,mentre la larghezza della rampa è di 1,28 cm.

20 Creando un solco nel muro di tamponamento.21 Le pareti dell’ambiente frammezzato di cui si par-

lava sopra hanno, insieme al tratto di scala che vi conduce, una particolarità che non si ritrova più prose-guendo la discesa della scala: sono color nero e presen-tano evidenti segni di combustione da un incendio.

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Fig. 12 Sotterranei. Ambiente circolare coperto a cupola con mattoni a ricorsiorizzontali. Un tempo doveva essere una cisterna per l’approvvigionamentodell’acqua vista la connessione diretta ad un altro ambiente (pozzo di troppo pieno)munito di docci all’estremità superiore. Quando il pozzo si riempiva in eccessoveniva in soccorso il pozzo di troppo pieno.

Fig.13 Sotterranei. Corridoio che porta asinistra ai bottini a destra al pozzo piùprofondo.

Fig. 14 Immagine dal basso della cisterna alta circa 10 metri. Il bottinoprecedentemente descritto portava l’acqua fin qui. Si intravede il solcoprecedentemente descritto. Il pozzo è, secondo alcuni speleologi chiamati adiscuterne, probabilmente, di origine etrusca.

Fig. 15 Prospetto rivolto a nord: si osservi sulmuro la traccia di un precedente bastionerinascimentale costituita da conci di pietradisposti a scarpa ed in obliquo.

Fig. 16 Bastione alpiano mezzanino: siosservi il notevolespessore murario.

Fig. 17 Rilievo diGiuseppe Mazzuoliprecedente il 1690.Pianta del secondopiano. Si osservil’inclinazione delmuro a destra esinistra della loggiadi facciata: tracciadei precedentibastioni di facciata.Bibl. Com. diSiena, ms. S. II, 7,c. 52.

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sotterranei scavati nel tufo che, dopo aver rac-colto le filtrazioni delle acque piovane e dellevene, alimentavano con le stesse acque pozziprivati e fontane pubbliche) e a destra ad unacisterna alta circa 10 m. (fig. 14). Qui s’ intra-vede un solco verticale nel muro fino alla suasommità. Esso, molto probabilmente, servivaper la calata dei recipienti ai fini del preleva-mento dell’acqua22. Inoltre si è potuta individuare, grazie al rile-vamento di un tratto di muro bastionato nelprospetto destro (figg.15-16) (guardando lafacciata attuale), una fase edilizia intermediatra quelle della fortezza medievale e dellavilla ricostruita negli anni a cavallo tra la finedel Cinquecento e l’inizio del Seicento. Ilbastione è anche visibile in un rilievo diGiuseppe Mazzuoli attestabile a prima del1690 (fig. 17) e in un anonimodell’Ottocento da noi rintracciato. Attraverso il rilevamento di alcune traccemurarie e l’analisi chimica operata sulle maltesi sono potute distinguere ben cinque fasicostruttive: la prima apparterrebbe alla for-tezza medievale (di cui si è accennato); laseconda alla trasformazione del complesso invilla cinquecentesca con il fronte bastionato;la terza al rifacimento della facciata e dellascala coclide collocabile tra la fine delCinquecento e l’inizio del Seicento; la quar-ta all’aggiunta di un corpo ad ali alla fine delSettecento; la quinta, ed ultima, fase al corpodi fabbrica costruito nell’Ottocento che va achiudere le ali creando una corte interna. In particolare per la seconda e per la terza fasequesta ricerca ha prodotto novità interessantiche qui sintetizziamo. Per la seconda fase, attestabile, tra il 1495 e il1530, si è rintracciato un fronte principalebastionato (non sappiamo però se ne esistevaun altro sulla facciata opposta dato che gliinterventi settecenteschi hanno cancellatoogni traccia delle preesistenze). Elenchiamogli elementi che hanno permesso di identifi-care la preesistenza del bastione destro della

facciata: in primo luogo, la traccia di uno spe-rone visibile sul muro esterno del prospettonord, in secondo luogo, un tratto di muro, apiano terra e al mezzanino (posto in corri-spondenza della traccia dello sperone sul pro-spetto nord), fortemente inclinato e di spes-sore notevolmente superiore rispetto gli altridell’intera struttura. Ai piani superiori sono stati rintracciati, oltreal bastione destro, anche quello sinistro nonvisibile a piano terra a causa dell’inserimentosuccessivo della sacrestia. Anche il rilievo delMazzuoli e il rilievo anonimo ottocentescooffrono una precisa testimonianza di questidue bastioni.Una volta accertata l’esistenza del frontebastionato si è potuta ricostruire la pianta del-l’ex-fortezza e confrontare con i disegni diprogetto per le ville fortificate di BaldassarrePeruzzi. Da questo esame sono emerse, comeabbiamo visto, affinità molto interessanti.Nei disegni di Peruzzi è sempre presente ilfronte bastionato, elemento innovativo,peraltro, del primo Cinquecento, di cuianche Francesco di Giorgio si era significati-vamente interessato negli ultimi anni dellasua attività progettuale. Tra i disegni delPeruzzi ricordiamo in particolare l’U 2069Av. Il foglio presenta un progetto di villa for-tificata per il senese Tommaso Politi, doveall’interno del bastione destro vi è una scala achiocciola. Peruzzi, o qualche suo collabora-tore, potrebbe aver pensato di lasciare la scalaa chiocciola della villa di Santa Colomba pro-babilmente già esistente (che aveva le fattezzee dimensioni di quella sotterranea) ingloban-dola nel bastione destro come nel f. U 2069Av (vedi fig. 9).Per quanto concerne la terza fase, si proponel’avanzamento, tra la fine del Cinquecento el’inizio del Seicento, della facciata principalee, quindi, del corpo del loggiato di circa ottometri a partire dalla traccia del bastione. Dalrilievo sono emersi indizi a sostegno di que-sta ipotesi: innanzitutto, la presenza stessa

22 Un tempo, nei pozzi di origine etrusca, questosolco era utilizzato per la discesa dello scavatore che,con le spalle rivolte verso il muro, scavava fino a creareun vero e proprio pozzo. Il bottino, le cui anse realiz-zate lungo il percorso del “gorello” consentono di man-

tenere, dove necessario, una pendenza costante al flus-so dell’acqua, conduce l’acqua alla cisterna, la qualeprovvede alla decantazione e depurazione dalle parti-celle in sospensione.

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dei resti del fronte bastionato, poi l’esistenzadi una lunga crepa sul muro del fronte destroin corrispondenza della traccia del bastione(segno evidente di una disomogeneità fra duestrutture costruite in epoche diverse), ancora,il minore spessore murario rispetto alla retro-stante struttura della fortezza rinascimentalee, infine, la presenza stessa della sacrestia edel tipo di copertura del confinante loggiatoa piano terra e a piano nobile con volta lunet-tata molto rialzata sostenuta da peducci (tipi-ci elementi stilistici seicenteschi).

III - ANALISI STILISTICA

Il terzo ed ultimo approccio è stato l’analisistilistica. Essa ha confermato e arricchito leprime tre fasi, insieme alla quarta fase (quellasettecentesca) già nota grazie allo studio con-dotto nel 1978.L’analisi stilistica ha in parte contribuito acollocare la seconda fase – quella della tra-sformazione in villa - nell’ambito della cultu-ra architettonica senese, confrontando leopere degli altri maestri di questi periodi sto-rici.Molte sono le architetture di progetto dellafine del Quattrocento e dell’inizio delCinquecento (disegni di Francesco di Giorgioe di Peruzzi) da porre a confronto con l’im-pianto che riguarda la seconda fase costrutti-

va della villa di Santa Colomba: una tipolo-gia di villa fortificata con bastioni e scalacoclide.L’ obbiettivo della ricerca in oggetto è statoquello di comprendere le trasformazionidella villa dal nucleo originario fino a ciò chevediamo oggi, focalizzando l’interesse soprat-tutto sulla fase cinquecentesca (II fase), quan-do il castello medievale venne trasformato invilla fortificata. E ciò, non per non dareimportanza alla terza fase, quando la fortezzaassunse, tra la fine del Cinquecento e l’iniziodel Seicento, le sembianze di una villa signo-rile, ma perché è stato arduo trovare, in terri-torio senese elementi di discussione, soprat-tutto dal punto di vista dei raffronti stilistici etipologici.Pochi sono, infatti, i collegamenti o meglio iraffronti che si possono effettuare tra la terzafase della villa di Santa Colomba e i palazzi ele ville senesi della metà e del tardoCinquecento. Essi riguardano infatti perlopiùelementi del linguaggio architettonico come,ad esempio, l’uso della decorazione a bugna-to. Per la terza fase si è infatti pensato ad unacerta influenza romana più che senese ancheper alcuni motivi decorativi come i triglifi aforma di freccia che nella capitale trovaronosenz’altro nascita e diffusione. Inoltre è stataindividuata una certa attinenza, dal punto divista tipologico, tra la facciata della Nostravilla e quella del palazzo Farnese diCaprarola.Riguardo alla quarta fase, quella del corpo adali aggiunto nel Settecento abbiamo verifica-to l’esattezza dei documenti già editi. Per laquinta fase possiamo osservare la presenzadel corpo della “limonaia” che va a chiuderele ali settecentesche in una planimetria del1827 da noi rintracciata, la quale costituisceun termine ante quem per la datazione dellastessa.In definitiva, per quanto diversi elementirimangano ancora da chiarire, lo studio con-dotto sulla villa di Santa Colomba consentel’acquisizione di ulteriori, importanti elemen-ti conoscitivi rispetto l’ultima pubblicazionerisalente al 1978.Grazie, infatti, ad una attenta analisi dellefonti archivistiche, ad un rilievo puntuale ead una analisi stilistica e proporzionale sono

Fig. 18 Particolare di un peduccio in una stanza al secondopiano.

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emersi alcuni elementi interessanti.L’analisi diretta del rilievo sul monumento èstata determinante per produrre delle ipotesirelativamente ai danni interni provocati dallebombarde nel marzo 1554. A mio parerefurono soprattutto il piano terra e quellonobile a subire grossi danni, mentre il secon-do piano si salvò (almeno per quanto riguar-da gli ambienti in prossimità della facciatapreesistente) conservando, come vediamooggi, le volte lunettate sorrette dai peduccirinascimentali (fig. 18). Purtroppo l’atrio apiano terra e il salone al piano primo nonconservano nulla del palazzo rinascimentalepoiché le decorazioni barocche sulle pareti esulle volte hanno cancellato ogni traccia. Macrediamo che la struttura muraria sia la stessa,sia per le maggiori dimensioni dello spessoremurario (rispetto a quelle del blocco aggiun-to) sia per le proporzioni che vi abbiamo rin-tracciato.Si ritiene che anche la scala a chiocciola subìallora grossi danni tanto da essere ricostruitacompletamente. Questo è spiegabile con unasemplice argomentazione. La torre con berte-sca che venne distrutta includeva, a nostroparere, una scala circolare (come nei disegnidei trattati martiniani, II ai ff. 83v-84r- vedi

fig. 19) ed era collocata al posto dell’attualechiocciola, dove lo spessore murario è mag-giore. Quando la torre “venne a terra” anchela scala posta al suo interno venne distrutta.E non fu risparmiata neanche la sottostantescala interrata. Infatti, ancora oggi si possonoosservare i segni di un devastante incendio:nel primo giro di discesa della scala le paretiappaiono completamente carbonizzate e igradini della rampa distrutti. Dal secondogiro della scala in poi tutto torna normale: igradini e le mura risultano intatti.Si potrebbe ipotizzare, con molta cautela,che la scala coclide attuale sia stata inserita (omeglio ripristinata) tra la fine delCinquecento e i primissimi del Seicento. Chel’attuale scala sia una aggiunta successiva sievince principalmente dal fatto che, al secon-do piano, le lunette della volta dell’ambienteconfinante con la scala terminano brusca-mente negli angoli senza proseguire lungo ilmuro di confine con detta struttura. Segno,questo, di un evidente inserimento della scalain un contesto preesistente. Inoltre, poiché ipeducci che sostengono le lunette sono stili-sticamente attestabili tra la fine delQuattrocento e l’inizio del Cinquecento(vedi i peducci della volta del chiostro cin-

Fig. 19 Esempi di scale a chiocciola all’interno di torrioni delle fortezze, da Francesco di Giorgio, Trattato II, ff. 83v-84.

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quecentesco nella Certosadi Pontignano) la scalacoclide non può che esse-re successiva a tale perio-do. A maggiore ragione, perragioni stilistiche23 si esclu-de che la scala possa risali-re alla prima metà delCinquecento, comedimostrano i triglifi alosanga (fig. 20) del fregiodella trabeazione spirali-forme che erano molto inuso nel Seicento. Il vesco-vo Caramuel in propositoscrive il trattato“Dell’architettura recta eobliqua” intorno allametà del Seicento24. Per laforma a losanga dei triglifi ricordiamo la scaladel Vignola a Caprarola (1559). Visto il pre-cedente vignolesco non ci sembra un peregri-no attestare la data della costruzione dellascala tra la fine del Cinquecento e i primissi-mi del Seicento, come si era ipotizzato sopra,sebbene nel pieno Seicento i triglifi a losangafossero più in voga.Siamo del parere che al posto dell’odiernascala ve ne fosse un’altra. Di questa nonconosciamo la fattezza, ma si può supporre,in base alle nostre ricerche, che fosse semprea chiocciola.Indizi importanti a sostegno dell’ ipotesi dipreesistenza di una scala del genere sono: lapresenza di una torre sul lato sinistro dellaprecedente facciata che, probabilmente, con-teneva una scala al suo interno (come nei trat-tati martiniani), l’esistenza di un passaggiodiretto tra la scala sotterranea e quella odier-na, la presenza stessa di una scala interratacon vano scala generato dalla distribuzionedegli ambienti sotterranei, di quelli a pianoterra e nel mezzanino.In sintesi, quando Santa Colomba venne tra-

sformata nel Cinquecento in una fortezzabastionata, al posto dell’attuale scala ne esi-steva un’altra analoga, creata in corrispon-denza con quella sotterranea o, più probabil-mente era la stessa scala sotterranea attuale,che correva a tutta altezza fino al secondolivello della villa. Ebbene siamo più propensiverso quest’ultima ipotesi per una serie dimotivi. Intanto, dobbiamo fare un passoindietro e porci due domande, premesso chela scala coclide sotterranea esisteva già all’e-poca della fortezza : dov’era l’elemento diconnessione fra i vari piani dell’edificio? E,soprattutto, com’era? Ebbene, alla primarispondiamo che, a nostro parere, analizzan-do il rilievo e la distribuzione degli ambientidella villa, non poteva esistere in altro luogose non nello stesso dove si trova la scala sot-terranea (e l’attuale chiocciola) e quindi all’in-terno della torre distrutta. Alla secondadomanda rispondiamo ancora più semplice-mente: era identica a quella sotterranea per-ché ne era il suo proseguimento. La scala venne poi ricostruita in forme più“gentili” quando i Petrucci tornarono ad abi-tarvi intorno agli anni Novanta del

Fig. 20 Immagine della trabeazione spiraliforme con triglifi in corrispondenza delle colonne.

23 E’ stato prodotto un raffronto tra la nostra scala equella bramantesca nella villa di Innocenzo VIII delBelvedere Vaticano, ed anche con le successive scale del

Vignola a Palazzo Farnese di Caprarola e delMascherino a Palazzo del Quirinale a Roma.

24 Caramuel, Dell’architettura recta e obliqua, XVII sec.

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Cinquecento. In questo periodo (terza fase),Pandolfo di Agostino Petrucci iniziò adingrandire la proprietà di Santa Colombacreando un vero e proprio contado e i figli,Cesare, Teodosio e, soprattutto, l’ArcivescovoAlessandro proseguirono i lavori iniziati dalpadre25. Inoltre, per la terza fase sono statianalizzati una serie di elementi stilistici dipura derivazione seicentesca: due volte incamera a canne al piano nobile (tecnicacostruttiva che inizia proprio in questo perio-do), la decorazione della volta a padiglionedel salone a piano nobile e dell’andronepiano terra e, infine, i portali di quest’ultimoambiente. Qui gli pseudo-triglifi a foggia difreccia contrassegnati da tre tondini ricorda-no quelli disegnati da Domenico Fontana,Carlo Maderno, ecc., rintracciabili anche inmolti palazzi romani più che senesi. Infatti lavilla di Santa Colomba rievoca temi romani.In particolare, si riscontra, sia con riferimen-

to alla posizione della scala a chiocciola(all’interno del bastione sinistro), sia con rife-rimento alla facciata principale (a tre pianicon loggiato, chiusa da avancorpi e posta suun alto basamento), una diretta corrispon-denza tipologica con la villa Farnese diCaprarola. Anche l’ubicazione topografica diS. Colomba, blocco che domina il borgo, ripe-te la situazione della villa vignolesca. Infine,entrambe le ville sono legate da un senso dimonumentalità sebbene a Caprarola sia piùaccentuato per le dimensioni maggiori.

AbbreviazioniASS : Archivio di stato di SienaASF : Archivio di stato di FirenzeBCS : Biblioteca Comunale di Siena

Tutte le foto della Villa sono state eseguitedall’Autrice.

25 Elenchiamo tutti i documenti di acquisti fatti daPandolfo per ingrandire il suo contado: 1589, 29 otto-bre. Salvatore Angeli vende a “Pandolfo del fuAgostino Petrucci” terre boscate a Santa Colomba inluogo detto il casale (ASS, Gabella dei Contratti 413,c.54).1589. Pandolfo “del fu Agostino Petrucci” acquistaterre in località la Chiocciola, San Bartolo e Pian delLago presso Santa Colomba (ASS, Gabella deiContratti 413, c.21).1590, 7 gennaio. Calisto Marci dei Magistri di SantaColomba vende a Pandolfo “del fu AgostinoPetrucci” un pezzo di terra di venti “staie” nel comu-ne di Santa Colomba nel luogo detto Valle Maria(ASS, Gabella dei Contratti 414, c.78).1590, 25 febbraio. Angelo e Gerolamo Bocci vendo-no a Pandolfo “del fu Agostino Petrucci” un pezzo diterra a Santa Colomba nel luogo detto Castagnoli(ASS, Gabella dei Contratti 414, c.108).1590, 29 dicembre. Pandolfo “del fu AgostinoPetrucci” acquista da Mariana Savini de Bocci 2“staie” di terra a Santa Colomba (ASS,Gabella deiContratti 414, c.78).1590. Pino e Domenico Mei vendono la terza partedelle terre a Santa Colomba a Pandolfo “del fuAgostino Petrucci” (ASS, Gabella dei Contratti 414,c.78).1590. Calisto e Alessandro Masti vendono un pezzodi terra di sei “staie” a Santa Colomba al CavalierPandolfo del fu Agostino Petrucci (ASS, Gabella deiContratti 414, c.78).1591, 18-19 aprile. Pandolfo del fu Agostino Petrucci

acquista un pezzo di terre boscate sito in comune diSanta Colomba nel luogo detto la Sugarella daAngelo Masso (ASS, Gabella dei Contratti 414,c.135).1591, 25 aprile. Donatis del Drago di SantaColomba vende a Pandolfo Petrucci un pezzo diterra lavorativa di cui tre quarti sono boschi in luogodetto Pereta. Matteo Mariani vende due “staie” diterra a Santa Colomba a Pandolfo Petrucci nel luogodetto il Casale (ASS, Gabella dei Contratti 414,c.135v).1592, 19 settembre. Pandolfo “del fu AgostinoPetrucci” cambia un pezzo di terra con Marcantonio“del già Domunico” per un altro pezzo di terra sito aSanta Colomba nel luogo detto “Casa Vecchia” (ASS,Gabella dei Contratti 416, c.63).1599, Cavalier Pandolfo “del fu Agostino Petrucci”acquista otto “staie” di bosco e otto “staie” di terranel comune di Santa Colomba in baratto con JacopoTommasini con terre di sua proprietà (ASS, Gabelladei Contratti 422, c.206v).1599, 4 dicembre. Pandolfo “del fu AgostinoPetrucci” acquista tre “staie” di bosco a SantaColomba in luogo detto Monte Gazzano da Pietro diPasquino Draghi (ASS, Gabella dei Contratti 423,c.86).1600. Pandolfo “del fu Agostino Petrucci” acquistadue pezzi di bosco a Santa Colomba da Gio de TeioCannucci. (ASS, Gabella dei Contratti 424, c. 86).1613, 18 giugno. Teodosio di Pandolfo di Agostinocommissiona dei lavori per la villa di SantaColomba. (ASS, Carte Coll. Tolomei n.2).

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Via di Città – via di StalloreggiL’arteria principale del Terzo di Città offreun panorama completo dell’edilizia resi-denziale di Siena. Tra la loggia dellaMercanzia e le Due Porte si trovano torrigentilizie del XI-XII secolo, case torri epalazzi del XIII, rivestiti di pietra calcarea(detta anche da torre), facciate che seguonolo standard morfologico del primoTrecento, palazzi che rispecchiano la plura-lità stilistica della seconda metà delQuattrocento e del primo Cinquecento,facciate che variano il nuovo standardall’antica secondo la chiave manierista, pro-spetti barocchi del Sei e del Settecento non-ché restauri e rifacimenti dell’Ottocento edel Novecento.Un esempio di una torre gentilizia poi tra-sformata in una costruzione abitabile è latorre Lambertini (via di Città, 55; cat. 262;

fig. 1)4. In un secondo momento, il pianoterra è stato aperto da un’arcata, protetta dauna tettoia di cui sono rimaste non solo lemensole e le buche dei travi all’altezza del-l’imposta dell’arco, ma anche, più in alto, legrosse mensole a gancio di pietra calcarea(integrate in un secondo momento in unanuova cornice di mattoni che taglia lapunta dell’arco) e, sopra l’arco, la massicciacornice gocciolatoio protettrice, sempre dipietra calcarea. Sopra questa corniceappaiono mensole e buche per il solaio diun ballatoio a cui si accedeva attraverso unacentrale apertura stretta, poi parzialmentetamponata e sostituita dall’odierna finestrainferiore. Al di sopra di una seconda fine-stra più alta (e moderna) si nota una secon-da cornice gocciolatoio, originariamente aprotezione della tettoia del ballatoio.L’altezza di questa tettoia permette di ipo-

La banca dati delle facciatedel centro storico di SienaNote sui palazzi del Terzo di Città

di MATTHIAS QUAST

1 www.comune.siena.it, procedere poi via“Territorio” o “Servizi Online”. Accesso diretto:http://db.biblhertz.it/siena/siena.xq

2 Accademia dei Rozzi, XV, 2008, 28, pp. 66-75.3 Sarebbe auspicabile, infatti, la ripresa dei lavori

alla Banca dati, fermi da quando essa è stata presentataal pubblico all’inizio del 2007. Non solo urge un aggior-

namento delle schede esistenti. C’è anche l’opzione diaggiungere ulteriori schede di facciate poste in strade diminore importanza ma comunque espressioni dellastraordinaria varietà dell’architettura senese.

4 Cfr. recentemente Klaus Tragbar, VomGeschlechterturm zum Stadthaus: Studien zu Herkunft,Typologie und städtebaulichen Aspekten des mittelalterlichen

La Banca dati delle facciate del centro storico di Siena, realizzata tra il 2004 e il 2006 per il Comune di Sienacon il finanziamento della Fondazione Monte dei Paschi e del Comune stesso, è online sul sito del Comunesin dall’inizio del 20071. Si tratta di una schedatura storico-architettonica, corredata con una documentazio-ne fotografica, di tutte le facciate delle strade più importanti del centro storico. In una nota introduttiva nelnumero precedente di Accademia dei Rozzi2, ha presentato questo suo lavoro l’autore Matthias Quast, sto-rico dell’arte e dell’architettura e collaboratore al progetto su Le chiese di Siena, curato dell’Istituto Germanicodi Storia dell’Arte a Firenze. Con il presente contributo invece si apre una serie di quattro articoli relativi aiTerzi della città nonché alla piazza del Campo. Concentrandosi sull’edilizia civile, sarà presentata una sele-zione evidentemente molto ristretta e non esaustiva; il fine di questo contributo non è quello di descriverele caratteristiche generali del Terzo ma di richiamare l’attenzione su aspetti e particolari meno noti. Sarannoconsiderate anche strade di secondaria importanza, non ancora schedate nella Banca dati3.

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tizzare un ballatoio alto due piani, corri-spondenti ai piani oggi definiti dalle duefinestre. Un caso meno frequente, dalmomento che le costruzioni medievali con-servate di solito presentano tracce di balla-toi a un solo piano.Il palazzo Bisdomini (via di Stalloreggi, 39-45; cat. 696) è uno dei più antichi palazzidella Siena medievale, databile probabil-mente alla prima metà del XIII secolo.Composto da due corpi di fabbrica, erettiimmediatamente uno dopo l’altro, lacostruzione è rimasta incompiuta; avrebbedovuto continuare nella direzione dellaPostierla. La fronte è completamente rive-stita di pietra calcarea; non presenta rileva-ture di carattere decorativo ma solo costrut-

tivo. Non sono stati seguiti crite-ri di equilibrata articolazioneformale o estetica. Infatti, la pre-senza di mensole e buche attestala completa copertura dei pianisuperiori con ballatoi. Con que-ste caratteristiche, la costruzionedel palazzo si colloca prima diquella del palazzo Rinuccini invia Cecco Angiolieri, databileintorno alla metà del Duecento.In un secondo momento, gli altiarchi ogivali del pianterreno furo-no ridotti inserendo un piccolostemma Rocchi (fig. 2). Nel fian-co (non schedato) di via diCastelvecchio sono visibili duearchi in laterizio con il frontericassato (fig. 3), testimonianze diuna ristrutturazione trecentesca.Un notevole impianto costrutti-vo presenta il palazzo via diCittà, 88-92 (cat. 271; fig. 4).Sono ancora visibili gli alti pila-stri di pietra calcarea che salgo-no fin oltre al piano terra; i rela-tivi archi ribassati, infatti, dimattoni e con il fronte ricassato,

sono stati inseriti tra i pilastri.Questi si congiungevano nel primo piano, acui seguono ulteriori piani, in laterizio.Esistono numerose costruzioni confronta-bili: molte in via di Camollia, poi il citatopalazzo Rinuccini in via Cecco Angiolieri(cat. 230) e un palazzo in via di Stalloreggi,51-55 (cat. 703). Adottano tutte una tecno-logia importata da Pisa, che si avvale di pila-stri oppure di sezioni di muro parallele traloro, per creare una specie di ossaturacostruttiva in cui si inseriscono i solaisecondo le esigenze funzionali.La datazione della costruzione originaria divia di Città, 88-92, tende verso gli ultimidecenni del XIII secolo. Il sistema costrutti-vo duecentesco si abbina agli archi del pian-terreno con il fronte ricassato e ad un appa-

Wohnbaus in der Toskana (um 1100-1350), Münster 2003,cat. SI 35; Vincenzo Castelli, Sonia Bonucci, Antiche

torri di Siena, Siena 2005, cat. 32.

Fig. 1 Torre Lambertini in via di Città (cat. 262).

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Fig. 2 Palazzo Bisdomini in via di Stalloreggi (cat. 696), particolare con lo stemma Rocchi.

Fig. 3 Palazzo Bisdomini, fianco verso via di Castelvecchio.

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rato di ferri di facciata (arpioni da tenda ebracciali da stanghe orizzontali) la cui mor-fologia corrisponde alle tipologie formal-funzionali in uso tra tardo Duecento eprimo Trecento. È pensabile che i pianisuperiori, ristrutturati in età moderna, sianostati realizzati solo nel primo Trecento dal

momento che la tipologia degli erri (arpionida stanghe nei piani superiori) con la barradiagonale inferiore appare soltanto a partireda quel periodo. Si accenna infine allostemma (fig. 5), probabilmente Della Ciaia.Un esempio contemporaneo, vale a direprobabilmente tardo duecentesco, anche se

Fig. 4 Palazzo in via di Città, 88-92.

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di costruzione non a scheletro ma massic-cia, è il cosiddetto palazzo Lombardi (via diCittà, 42-48; cat. 258; fig. 6)5, una sorta dianticipazione del palazzo Pubblico in quan-to presenta il piano terra rivestito di pietracalcarea e i piani superiori in mattoni. Siporti attenzione a questo. Sopra gli archi(rifatti) si sono conservati alcuni dispositiviindispensabili per la costruzione di una tet-toia: grossi ganci di pietra calcarea e unacornice gocciolatoio. Le tettoie a pianoterra, a protezione delle botteghe, eranomolto diffuse fino al XVI secolo; non eranosoggette alle demolizioni richieste dalle auto-rità che, ad iniziare dal XIII secolo, ordina-vano l’eliminazione delle costruzioni cheinvadevano lo spazio pubblico, come scaleesterne, archi o ponti tra le case e i ballatoi.Con gli interventi dei Piccolomini, a partiredagli anni Sessanta del XV secolo si assistealla ricerca, da parte dei committenti, di

esprimere la posizione politica o l’ambizio-ne sociale tramite scelte stilistiche di archi-tettura. Nella seconda metà del secolo con-vivono la continuità con la tradizione sene-se trecentesca – un Quattrocento gotico – enuove tipologie influenzate dall’avanguar-dia fiorentina e dalle ricerche delle corti,come quella di Urbino o quella papale,orientate più chiaramente all’antico. È pos-sibile che negli stessi anni si costruiscanoprospetti da tipologie divergenti, unoaccanto all’altro, come in via di Città ilpalazzo Marsili (cat. 284) e, sia pur limitata-mente alla facciata principale, il palazzo diCaterina Piccolomini detto delle Papesse(cat. 283)6, ambedue alzati intorno al 1460.Ma anche uno stesso edificio può presenta-re prospetti stilisticamente diversi. Proprioil palazzo di Caterina Piccolomini, con lafacciata principale a bugnato, nelle frontilaterali (non schedate nella Banca dati)espone un puro Quattrocento gotico, conla sola “contaminazione” dei capitelli classi-cheggianti (fig. 7).Un bell’ esempio del Cinquecento avanza-to è il palazzo Forteguerri (Selvi Cinotti; viadi Città, 120-124; cat. 281; fig. 8), nel qualel’architettura senese appare oramai orienta-ta a modelli del Cinquecento romano. Ilrestauro della facciata, puntando sul bicro-mismo “senese” del rosso mattone e delbianco travertino, sicuramente sbaglia, nonriflettendo il fatto che il paramento mura-rio, in questo caso, non ha la qualità di esse-re a vista, e che alcuni particolari del pro-spetto di travertino che adesso sembranoframmentari, perché contrastanti al rossomattone, dovrebbero essere integrati da unintonaco bianco in quanto parti di un insie-me completamente color travertino.

5 Cfr. Fabio Gabbrielli, “Stilemi senesi e linguaggiarchitettonici nella Toscana del Due-Trecento”, inL’architettura civile in Toscana: Il Medioevo, a cura diAmerigo Restucci, Siena 1995, pp. 305-367: 323, 324,326.

6 Pubblicazioni recenti di Fabio Gabbrielli, Il palaz-zo delle Papesse, in Il palazzo delle libertà, catalogo dellamostra, Siena, 20 giugno-28 settembre 2003, Prato-Siena 2003, pp. 172-180, e in Elisa Bruttini, FabioGabbrielli, Annalisa Pezzo, Marco Pierini, Il Palazzo

delle Papesse a Siena / The Palazzo delle Papesse in Siena,Asciano (Siena) 2006, pp. 12-36; Fabrizio Nevola,Siena: Constructing the Renaissance City, New Haven-London 2007, pp. 70-72; Matthias Quast, “IPiccolomini committenti di palazzi nella seconda metàdel Quattrocento”, in Archivi Carriere Committenze:Contributi per la storia del Patriziato senese in Età moderna,Atti del Convegno, Siena, 8-9 giugno 2006, a cura di M.Raffaella de Gramatica, Enzo Mecacci, Carla Zarrilli,Siena 2007, pp. 324-337: 326-328.

Fig. 5 Palazzo in via di Città, 88-92, stemma.

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Fig. 6 Palazzo Lombardi in via di Città (cat. 258).

Fig. 7 Palazzo di Caterina Piccolomini, retrofacciata, particolare.

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Infatti, come in tanti casi nella Roma rina-scimentale, è sottintesa anche qui la faccia-ta “di marmo”, topos augusteo. Così la fac-ciata del palazzo Forteguerri, com’era pen-sata originariamente, con quella peruzzianadel palazzo Francesconi (cat. 225), e con iprogetti utopistici dei portici di piazza delCampo7 e la ricostruzione del Duomo8, cidà uno spunto su come a Siena nei primidecenni del XVI secolo si sognava la cittàdal volto tutto all’antica.Anche il palazzetto in via di Stalloreggi, 54(cat. 704; fig. 9), dovrebbe essere caratteriz-zato da un prospetto tutto color travertino.Morfologicamente il dettaglio architettoni-co risponde a un gusto manierista; stilistica-mente, quindi, è collocabile agli anni poste-riori al palazzo Forteguerri (cat. 281). Ladatazione agli anni 1535-1540, proposta daSecchi Tarugi9 che può riferirsi al solo pianoterra, sembra accettabile e forse precisabileagli anni post 1537, quando fu pubblicato ilIV libro di architettura di Sebastiano Serlio

nel quale viene presentata tra l’altro la pos-sibilità di sovrapporre il bugnato a un ordi-ne architettonico. In effetti, anche nelpalazzetto di via Stalloreggi il bugnatopotente nasconde le incorniciature delleaperture, elevando a un gioco manierista ilforte contrasto del massiccio contro il sotti-le.Il distacco stilistico da ogni forma di “clas-sicità” e le raffinate intersezioni e sovrappo-sizioni nel dettaglio architettonico sonocaratteristiche comuni a due facciate diBartolommeo Neroni detto il Riccio: alpalazzo Guglielmi al Casato (cat. 186) e alpalazzo Tantucci (cat. 341). Forse anche ildisegno del palazzetto di via Stalloreggi,che per la sua espressività spicca nel pano-rama dell’architettura senese, deriva dallamano del maestro.

Via dei PellegriniLa via dei Pellegrini presenta due grandiesempi – il palazzo Venturi (cat. 453) e il

7 Si veda recentemente Fabrizio Nevola, Siena:Constructing cit., pp. 203-204.

8 Matthias Quast, “Baldassarre Peruzzis Entwürfefür einen Umbau des Sieneser Doms, um 1531/32”, inDer Dom S. Maria Assunta: Architektur (Die Kirchen von

Siena, a cura di Peter Anselm Riedl e Max Seidel, vol.3.1), Monaco di Baviera 2006, pp. 574-583.

9 Fausto Secchi Tarugi, “Aspetti del Manierismonell’Architettura senese del Cinquecento”, in Palladio,n.s., XVI, 1966, pp. 103-130: 115-116.

Fig. 8 Palazzo Forteguerri (Selvi Cinotti) in via di Città(cat. 281).

Fig. 9 Palazzetto in via di Stalloreggi, 54 (cat. 704),particolare.

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palazzo del Magnifico Petrucci (cat. 456) –per la fortuna di un concetto ricorrente nel-l’edilizia monumentale senese dell’etàmoderna: ristrutturazioni e ingrandimentiin stile di edifici non solo di origine medie-vale ma anche di origine rinascimentale. Tragli esempi più conosciuti vanno menziona-ti gli interventi seicenteschi nell’area delDuomo, il rialzamento, sempre seicentesco,delle ali laterali del palazzo Pubblico, non-ché gli ingrandimenti del palazzoSansedoni a piazza del Campo e del palaz-zo Chigi Saracini in via di Città nelSettecento. È meno noto il raddoppiamen-to in stile del prospetto del palazzo Chigi alCasato (Casato di Sotto, 11-17; cat. 201;fig. 13; si veda sotto).Nel 1709 fu notevolmente ampliato lungola via dei Pellegrini fino alla via di MonnaAgnese il nucleo originario del palazzo delMagnifico Petrucci, posto verso la piazza diS. Giovanni Battista e costruito all’iniziodel XVI secolo, inglobando preesistenzemedievali10. Mezzo secolo più tardi, anche ilpalazzo Venturi, costruito negli ultimidecenni del Quattrocento ed acquistato daFrancesco Bindi Sergardi nel 1758, fu allun-gato di alcuni assi verso piazza S. Giovanni,rispettando grosso modo il modello quat-trocentesco.Si aggiunge qui una nota che riguarda laprima costruzione dei Venturi del XV seco-lo. Al piano terra si sono conservate bellis-sime campanelle con il braccio che terminain una pigna (fig. 10). Dal punto di vistamorfologico corrispondono al gusto tipicodella seconda metà del Quattrocento, cheriproduce minuziosamente forme dellanatura (si veda anche sotto: palazzoBenassai al Casato; cat. 210; con fig. 14).

Via di Diacceto (non schedata)L’edificio di via Diacceto, 3-11 (facciata nonschedata nella Banca dati; fig. 11), è la pre-senza dominante nella strada, oltre a costi-tuire il fronte posteriore del palazzodell’Accademia dei Rozzi. Il prospetto dalledimensioni impressionanti, cavalcando la

via di Beccheria, conta cinque assi di aper-ture. Pur pesantemente alterata, la facciatamostra una combinazione di materiali euna serie di stilemi confrontabili nel palaz-zo Pubblico e databili al primo Trecento: ilparamento murario di mattoni e le doppiecornici di marmo bianco; gli archi a sestoacuto, caratterizzati dal fronte ricassato edai mattoni graffiati a spina di pesce; i ferridi facciata (arpioni da cavallo e arpioni datenda, ambedue a campanella, nonché gros-si bracciali) di cui si conservano alcuniesemplari al piano terra (al piano superioresono visibili tracce di erri); mensole di pie-tra calcarea e buche per la tettoia al di sopradelle grandi aperture (originariamente tri-partite) del piano superiore. Inoltre, con lapartizione verticale della facciata in cinqueassi viene cercata una simmetria con un assecentrale, fenomeno riscontrabile anche inaltre costruzioni di spicco dell’edilizia civi-le senese: nei palazzi Rinuccini, Tolomei,Sansedoni.

Via Franciosa (non schedata)Gli interventi del XIX secolo hanno trasfor-mato completamente l’originario aspettomedievale, prevalentemente trecentesco,della via. Solo in pochi casi è possibile farsiun’idea del suo volto medievale. Il palazzo

Fig. 10 Palazzo Venturi in via dei Pellegrini (cat. 453)campanella.

10 Si veda recentemente Fabrizio Nevola, Siena: Constructing cit., pp. 198-203.

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di via Franciosa, 24-34 (facciata non sche-data; fig. 12), presenta ancora le alte arcatetrecentesche al piano terra, con gli archi dalfronte ricassato, le cui cornici d’imposta dipietra arenaria gialla mostrano una scelta dimateriale rarissima: infatti, per le cornici,l’architettura senese del Trecento prevedevain modo pressoché categorico un materialediverso, duro e di color chiaro, di solito ilcalcare cavernoso se non il marmo.La datazione ipotetica al primo Trecentoviene confermata dai ferri di facciata: lecampanelle nel piano terra e gli erri neipiani superiori corrispondono alle tipologiein uso tra la fine del XIII e i primi decennidel XIV secolo. All’inizio del XIV secolocambia la tipologia degli erri, spostando labarra diagonale rinforzante dalla posizioneal di sopra della barra principale a una posi-zione di vero appoggio al di sotto dellabarra principale. È probabile che la facciatadi via Franciosa sia riferibile proprio a quelperiodo, presentando erri che appartengonoad ambedue le tipologie.Una bella facciata cinquecentesca ha ilpalazzo di via Franciosa, 6 (non schedato).Il portale è incorniciato da un bugnato con-tinuo con conci che si alternano in larghez-za. Se fino al secondo decennio delCinquecento il bugnato delle incorniciatu-

re appare regolare, vale a dire formato daconci uguali, posti uno sopra l’altro, a par-tire dagli anni Trenta del Cinquecento ilbugnato è invece caratterizzato da concialternati (tra i primi esempi il palazzoPalmieri in piazza Tolomei; cat. 720). Il pro-spetto del palazzo in via Franciosa è coro-nato da una grande loggia articolata a para-ste tuscaniche e munita di erri, che, se nonpiù tra le finestre, sono spesso ancora in usonelle loggie del XVI secolo.

I Casati: “di Sopra” e “di Sotto”Partendo da piazza del Campo, Casato diSotto e Casato di Sopra offrono un eccel-lente percorso, molto variato, di ediliziaresidenziale del Rinascimento. Si incontraprima il palazzo Chigi al Casato (Casato diSotto, 11-17; cat. 201; fig. 13), seguito dalpalazzo Benassai (Ugurgieri) (Casato diSotto, 37-41; cat. 210; fig. 14), dal palazzoBocciardi (Agazzari) (Casato di Sotto, 84-88; cat. 224), dal palazzo Bardi (Casato diSopra, 33; cat. 176; fig. 15), e dal palazzoGuglielmi (Casato di Sopra, 57-59; cat. 186;fig. 16).In ordine cronologico il primo di questasequenza sarebbe il palazzo Benassai. Conuna variazione delle finestre a bifora fusacon la microarchitettura semplificata di

Fig. 11 Palazzo trecentesco in via di Diacceto, 3-11, piani superiori.

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un’edicola all’antica, il prospetto cerca unasintesi tra il modello fiorentino, adottatodai Piccolomini, e la soluzione decisamenteanticheggiante; la datazione di questa speri-mentazione si basa tra l’altro sulla morfolo-gia delle campanelle a piano terra (fig. 14),vicinissime a quelle del palazzo Spannocchi(cat. 028), che si datano alla metà degli anni

Settanta del Quattrocento.Il palazzo Bardi è uno squisito esempiodella sopravvivenza del gotico intorno al1500, con bei ferri di facciata dalle barre atorciglione e la scelta del marmo per i parti-colari architettonici (fig. 15) – scelta rara nelQuattrocento gotico quando si preferiscechiaramente la grigia pietra serena.

Fig. 12 Palazzo trecentesco in via Franciosa, 24-34.

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Il prospetto del palazzo Chigi, oggi, non fapiù intravedere il suo carattere originario. Èpensabile che la sua decorazione pittorica –chiaroscuri del Sodoma, perduti, ma par-zialmente tramandati da un disegno seicen-tesco conservato alla Biblioteca ApostolicaVaticana (fig. 13) – sia stata, con quella diBeccafumi per il palazzo Borghesi, tra le piùsquisite di Siena. Questo prospetto si com-pone di due metà formalmente ugualianche se distanti nel periodo di costruzio-ne. Nel 1510, vicino alla Bocca del Casato,fu eretta una facciata moderna davanti alpreesistente palazzo quattrocentesco (diquest’edificio è parzialmente conservata lafronte verso via Duprè; si veda sotto, viaDuprè, 10-16); la nuova facciata al Casato,larga cinque campate, venne ornata con ichiaroscuri dal Sodoma a partire dall’otto-bre del 1510. Il nuovo prospetto corrispon-de solo alla metà settentrionale (quellaposta verso la piazza del Campo) della fac-ciata che vediamo oggi. Nella seconda metàdel Seicento invece, forse negli anniSessanta, il prospetto fu raddoppiato in

stile, copiando l’architettura del costruitocinquecentesco. Il palazzo è importante perquesti due motivi. È tra i pochi nei cui con-fronti esistono testimonianze di decorazio-ni pittoriche della facciata, ed è un esempiodi palazzo rinascimentale ingrandito (irrico-noscibilmente) in stile nell’epoca barocca.Con la facciata del palazzo Guglielmi siarriva al culmine dell’architettura civilesenese del Cinquecento. Il prospetto versoil Casato è opera di Bartolommeo Neronidetto il Riccio. È caratterizzato da variazio-ni del tema bugnato – il bugnato si impa-dronisce dell’incorniciatura a edicola ridot-ta – e da raffinate intersezioni e sovrapposi-zioni nel dettaglio architettonico che gioca-no con contrasti come il sottile contro ilmassiccio. Tale gusto abbinato con la curadei particolari si trova anche nel palazzoTantucci (cat. 341) e nel palazzetto in viaStalloreggi, 54 (cat. 704; fig. 9; si vedasopra), mentre manca nel prospetto dellostesso palazzo Guglielmi verso S. Agostino(via S. Agata, 24-26; cat. 730; si veda sotto).Si porta l’attenzione anche sul palazzo

Fig. 13 Giovanni Battista Contini (attr.), alzato del palazzo Chigi al Casato con parziale rilievo dei chiaroscuri del Sodoma,intorno al 1688 (Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Chigi P.VIII.17, c.31).

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Fig. 14 Palazzo Benassai (Ugurgieri) alCasato (cat. 210), campanella.

Fig. 15 Palazzo Bardi al Casato (cat. 176), particolare.

Fig. 16 Palazzo Guglielmi, particolare del prospetto verso il Casato di Sopra (cat. 186).

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Beccarini (Casato di Sotto, 78-82; cat. 221)per lo stemma di famiglia che reca un’iscri-zione11 datata 1409 (fig. 17). Con questodocumento il palazzo, anche se completa-mente ristrutturato, diventa un rarissimoesempio di edilizia civile della prima metàdel XV secolo, notevole dal momento che,dopo la peste del 1348, per l’arco di unsecolo è plausibile che non ci siano stateattività di edilizia residenziale.

Via Giovanni Duprè – via S. AgataLa via Giovanni Duprè (non schedata) èsegnata dagli interventi ottocenteschi: daun lato numerose le ristrutturazioni, spessocon speroni, che seguono il sisma del179812, tendenzialmente databili all’iniziodel XIX secolo; in via Duprè, oggi, questefacciate appaiono spesso molto degradate,con resti di decorazioni pittoriche.Dall’altro lato caratteristici i restauri classi-cisti di fine Ottocento-primo Novecento13:un bell’ esempio si trova in via Duprè, 52-56, dove al n.c. 56 si sono conservati i restidi una interessante decorazione che imitaun bugnato a piano terra e all’angolo dellafacciata (fig. 18).Per citare anche due prospetti più antichi, siaccenna a via Duprè, 64-66, con loggia cin-quecentesca di notevoli dimensioni se fossestata compiuta, caratterizzata da un monu-mentale ordine a paraste tuscaniche (fig.19). Esempio quattrocentesco, anche serifatto, è la facciata del complesso Chigiverso via Duprè (via Giovanni Duprè, 10-16; non schedata; per la facciata principaledel palazzo Chigi, si veda sopra; cat. 201;fig. 13). Presenta numerosi ferri di facciata,tra cui a piano terra le campanelle con ilbraccio attorcigliato che termina in un boc-ciolo stilizzato (fig. 20); nei piani superioriinvece erri, tipologicamente trecenteschi. Ladatazione della facciata comunque tendealla seconda metà del Quattrocento per la

lavorazione delle campanelle a torciglione,la scelta della pietra serena per le cornici deidavanzali e per la modanatura del cornicio-ne a soli dentelli e sima.Nella via S. Agata spicca il prospetto delpalazzo Guglielmi (via S. Agata, 24-26; cat.730). Articolata in tre ali che formano unaU intorno a un cortile terrazzo e posta a unlivello notevolmente superiore alla strada,la costruzione si avvale di uno schema tipi-co della villa rinascimentale, aprendosiall’infuori della città. L’apertura era sottoli-neata da un loggiato al primo piano supe-riore, in gran parte tamponato in un secon-do momento. Il prototipo più importantedi quest’impianto è senese: la villa Chigialle Volte. Sembra che il palazzo Guglielmi,con ala unica lungo il Casato di Sopra e ilfronte a tre ali volto verso S. Agostino, sia l’u-nico a Siena a fondere la tipologia del palaz-zo urbano con quella della villa a tre ali.Per quel che riguarda l’autore, viene fatto ilnome di Bartolommeo Neroni detto ilRiccio. Vista la qualità della facciata verso ilCasato (vedi sopra, Casato di Sopra, 57-59;cat. 186; con fig. 16) e considerate le raffi-nate intersezioni tra incorniciature e bugna-to, nonché l’alternanza ricercata ed elegan-te dei materiali, non sembrano sussisteredubbi, ma dal momento che si notano evi-denti differenze di qualità tra questa faccia-ta e il prospetto verso S. Agostino, che nonoffre dettagli altrettanto curati, può nascerequalche perplessità sulla paternità delRiccio.

Via delle CerchiaMentre il lato nord (non schedato) dellastrada è caratterizzato da case con speronied altri interventi successivi al sisma del1798, il lato opposto mostra palazzi e villeottocentesche con giardini verso sud. Inquesto contesto fa eccezione il palazzoMartini (Giglioli Bulla; via delle Cerchia, 3;

11 ARMA BARTHOLOMEI PA / VLI DEBECCA-RINIS POTE / STATIS KL FEBB MCCCCIX

12 Marina Gennari, L’orribil scossa della vigilia diPentecoste: Siena e il terremoto del 1798, Siena 2005.

13 Cfr. i tre esempi in Giovanni Brino, Laura Vigni

e.a., Le facciate delle case di Siena 1900-1902: I bozzetti delconcorso del Monte dei Paschi di Siena, catalogo dellamostra, Siena, 5 maggio-17 giugno 2007, Siena 2007,cat. 8, 10, 33.

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Fig. 17 Palazzo Beccarini al Casato (cat.221), stemma Beccarini.

Fig. 18 Palazzo in via Duprè, 52-56, resti di decorazionepittorica al n.c. 56.

Fig. 19 Palazzo in via Duprè, 64-66, loggia.

Fig. 20 Palazzo Chigi al Casato, fronteverso via Duprè, campanella.

Fig. 21 PalazzoMartini (Giglioli

Bulla) in viadelle Cerchia (cat.244), particolare.

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cat. 244; fig. 21), notevole per il dettaglioarchitettonico e i ferri di facciata. La costru-zione risale probabilmente al secondodecennio del XVI secolo, datazione che sibasa soprattutto sull’analisi dei ferri di fac-ciata: le campanelle dal braccio a volutarisultano quasi identiche a quelle delPalazzo Aringhieri in via dei Termini (cat.717), firmate e datate 152214; i portatorcia egli erri dei piani superiori, tutti a voluta,confermano questa datazione. Essa si basapoi sul confronto della modanatura del cor-nicione accostabile a quella dei palazziBorghesi alla Postierla, Bichi in via dei Rossie Francesconi.Il palazzo Martini fa parte di un gruppo dipalazzi senesi che proprio durante il declinodella casata Petrucci, negli anni tra il 1510 eil 1525, cerca di arricchire la tipologia dellafacciata all’antica, processo questo anticipa-to in parte dal palazzo di Pandolfo stesso.L’arricchimento può consistere in decora-zioni pittoriche, e cioè a chiaroscuro o adaffresco, sulle quali le notizie si concentra-no nel secondo decennio del XVI secolo senon più tardi. Un altro tipo di arricchimen-to della facciata all’antica è costituito dallaricerca di nuove soluzioni di incorniciature,siano a bugnato, siano a edicola ad arco,presenti, oltre che nel palazzo Martini, nelpalazzo Griffoli Bandinelli (cat. 416).

Via Tito SarrocchiSe si prescinde dalla casa di DomenicoBeccafumi (via Tito Sarrocchi, 35; cat. 718),tipologicamente importante per l’architet-tura civile senese della prima metà delCinquecento, le facciate della via TitoSarrocchi non sono state schedate. La stradaè caratterizzata dalle ristrutturazioni postsismiche del primo XIX secolo nonché dainterventi successivi, come ad esempio ilrestauro dell’arco di S. Lucia, rilevante perla tecnica spesso applicata ad intonaco stila-to e dipinto a finti mattoni15. Va menziona-

to anche il palazzo Bandinelli in S.Agostino, che fa angolo con via S. Pietro(via Tito Sarrocchi, 1-9, e via di S. Pietro,86; cat. 663; fig. 22), per il diretto dialogoeclettico con l’ambiente tramite preciseallusioni morfologiche16.

Pian dei MantelliniTra le facciate monumentali che caratteriz-zano il pian dei Mantellini, nella Banca datiè stata schedata soltanto quella del palazzoVescovi (pian dei Mantellini, 39-41; cat.339; fig. 23), opera tardiva di BaldassarrePeruzzi, iniziata forse nel 1527/28. In que-sta sede si pone attenzione su due proble-mi, di cui uno riguarda il cromatismo, pro-blema già discusso, pur brevemente, nelcaso del palazzo Forteguerri (Selvi Cinotti;via di Città, 120-124; cat. 281; si vedasopra). È possibile che anche il prospettodel palazzo Vescovi fosse stato concepitotutto di color travertino, concetto suggeritoda alcuni conci d’angolo, appunto di tra-vertino, e dai conci lavorati per le incorni-ciature delle finestre, vale a dire tagliati inmodo non solo da costituire l’incorniciatu-ra stessa ma da creare ulteriore continuumcon il paramento murario di mattoni.Queste disarmonie coloristiche avrebberodovuto scomparire sotto un unico intonacodi colore del travertino. L’altro problema èla scarpata del piano terra, estranea all’ar-chitettura aulica della facciata. Forse si trat-ta di un intervento eseguito dopo il terre-moto del 1798. Un indizio per l’ipotesi chesi tratti di un intervento posteriore, potreb-be essere il fatto che la modanatura termi-nale della scarpata, a tondino, con il pezzoangolare di travertino, non è inserita oriz-zontalmente ma sembra rimurata in unainsolita posizione inclinata. Sarebberoauspicabili studi approfonditi sulla storiadel palazzo, auspicio che vale per tutti ipalazzi del pian dei Mantellini. In questosenso si menziona in primis l’ex chiesa del

14 PAVLVS : SALVETVS : F : A : D : M : D : X : X: II

15 Cfr. Giovanni Brino e.a., Le facciate delle case cit.,cat. 35-36 e pp. 58, 72, 74.

16 Matthias Quast, “Rinascimento e neorinascimen-

to. Per una lettura del linguaggio neorinascimentale aSiena nella seconda metà dell’Ottocento”, inArchitettura e disegno urbano a Siena nell’Ottocento tra pas-sato e modernità, a cura di Margherita AnselmiZondadari, Siena-Torino 2006, pp. 104-129: 123.

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Conservatorio delle Derelitte (pian deiMantellini, 26-30; non schedata; fig. 24,seconda facciata da sinistra), per la qualeviene fatto il nome del Riccio. La facciatarisulta incompiuta. Presenta un ordine diparaste tuscaniche e bellissime edicole sem-plificate al piano terra.Il ristretto panorama dell’edilizia del primoCinquecentoa m m i r a b i l elungo il piandei Mantellinisi completacon due faccia-te, ambedue inlaterizio, chenei piani supe-riori mostranofinestre incor-niciate ad edi-cola semplifi-cata, all’antica,e un sorpren-dente apparatodi ferri, checonsta soprat-tutto di nume-rosi erri, daaspettarsi inquel periodosoltanto nelleloggie agli ulti-mi piani: piandei Mantellini,22-24 (fig. 24,terza facciatada sinistra), epalazzo Ra-vizza, pian deiMantellini, 32-34(fig. 24, prima facciata da sinistra). Infatti, ilprospetto in pian dei Mantellini, 22-24, altoquattro piani, presentava originariamente

un ultimo piano superiore aperto a loggia.Al primo piano superiore invece spiccanoportatorcia a voluta, frequenti tra il tardoXV e il primo XVI secolo. Il palazzoRavizza, anch’esso alto quattro piani, pre-senta numerosi erri con barre a torciglione,tipiche del tardo Quattrocento, nonché uncornicione modanato a dentelli, ovoli,

mensole esima, secondouno schemad e c o r a t i v ocaratteristicodella primametà del Cin-quecento.L’architetturadel Cinque-cento senese èinfatti un te-ma ricorrentein questa sin-tetica selezio-ne, un temacon aspettip a r t i c o l a r -mente affasci-nanti che sti-mola studi da-gli esiti pro-mettenti. Sarebbe auspi-cabile, adesempio, diavviare unaricerca sul Ric-cio architetto,o di ridisegna-re la visione

della Siena dalvolto tutto “antico”17.

Corredo fotografico a cura dell’Autore

17 Cfr. primi abbozzi in Christoph LuitpoldFrommel, “Umanesimo non realizzato: i grandi proget-ti di Baldassarre Peruzzi per la trasformazione di Siena”,relazione non pubblicata durante il convegno

Umanesimo a Siena: Letteratura, arti figurative, musica,Siena, 8 giugno 1991; Cristiano Tessari, BaldassarrePeruzzi: Il progetto dell’antico.

Fig. 22 Palazzo Bandinelli da S.Agostino, facciata verso via di S. Pietro(cat. 663).

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Fig. 23 Palazzo Vescovi (cat. 339).

Fig. 24 Pian dei Mantellini con il palazzo Ravizza (a sinistra) e l’ex chiesa del Conservatorio delle Derelitte.

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Un nuovo successo dellaCompagnia dei RozziLa recita del Cilombrino rivisitato da Menotti Stanghellini

di MARIA ISABELLA BECCHI

Visto il grande successo del Cilombrino laCompagnia dei Rozzi è tornata al lavoroper continuare nell’ambizioso progetto dimettere in scena le antiche opere dei nostripredecessori. L’intento è stato ancora quellodi riportare all’attenzione degli attuali socile rappresentazioni teatrali scritte moltisecoli fa dai membri dell’antica Congregadei Rozzi.Dopo Pierantonio Legacci detto Stricca(ligrittiere) è toccato a Anton Maria DiFrancesco soprannominato “lo Stecchito”(cartaio) andare in scena con la commedianuova “El Farfalla” scritta nel 1536. Insiemeall’Avviluppato (ligrittiere), al Risoluto(maniscalco) ed altri amici, lo Stecchito èstato tra i fondatori della Congrega deiRozzi compilandone i primi capitoli nel

1531. “Stecchito” da secco, intirizzito, cheva tutto d’un pezzo, ucciso, freddato. Nel1550, non a caso, era già morto, lasciandocommedie come Chiarello, Cieco Amore e IlFarfalla. La storia racconta di Farfalla, unpovero villano che si reca a Roma insiemealla bella moglie Gentile per vedere se puòguadagnare qualcosa con le di lei vistosegrazie. Ma Gentile si perde ed incontra ilricco Domizio che volentieri la prendereb-be come amante. Quando il villano la ritro-va, si arrabbia e si finge addolorato. Il suopiano di far soldi con la moglie è fallito, maha mangiato e bevuto a sazietà, e in fondosi porta via un bel mantello nuovo e unoscudo dovuti alla generosità di Domizio.Ha perso la moglie, ma dopotutto ci hafatto guadagno. “Eppoi non l’ha persa del

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tutto: in casi estremi saprà a chi rivolgersi edove trovare un aiuto”. Importante è ricor-dare che queste opere erano commediesostanzialmente rusticali e scritte per unpubblico che non guardava tanto per il sot-tile. Il tutto era condito da espressioni grevie doppi sensi spesso osceni che avevano loscopo di creare grande comicità.Naturalmente non è possibile nell’epocaattuale riportare alla lettera tali espressioni enon è stato facile il lavoro di “addolcimen-to” che prova dopo prova è stato eseguito.Il Farfalla è andato in scena giovedì 22 evenerdì 23 maggio con un grande successodi pubblico ed una Sala degli Specchi pienacome in poche occasioni si è vista. Con unanovità, però, rispetto all’anno passato: aconclusione dello spettacolo AngioloCenni detto Il Risoluto (rappresentato inogni “stanza” da un attore diverso) ha offer-to al pubblico le sue Stanze delle fanciulle damaritarsi, facendo da “ambasciatore”, omeglio “protettore”, di un folto gruppo didonne in età da coniugarsi, tutte giovani ebelle, che avevano abbandonato le famiglieperchè deluse nelle loro aspettative dallevane promesse dei padri di trovare loro unmarito. Tutto ciò è stato possibile grazie alladisponibilità del Virtuosissimo Arcirozzo edei Virtuosissimi componenti del Collegiodegli Ufficiali che hanno profuso nel pro-getto un notevole impegno organizzativo efinanziario. Nuovi soci si sono aggiunti algruppo dell’anno precedente, a dimostra-zione dell’entusiasmo e della diffusa volon-

tà di proseguire l’avventura dando vita adun progetto che trovi continuità nel tempo.Nella compagnia non ci sono primi attori oprime donne, ci sono solo amici soci ditutte le età che desiderano passare insiemepiacevoli e divertenti serate in Accademiaimpegnandosi nella messa in scena di rap-presentazioni teatrali nelle quali tutti i fre-quentatori dei Rozzi possano trovare diver-timento. Per questo è giusto che gli attori diquesta seconda stagione teatrale, abilmentediretti dal regista Giuliano Ghiselli, venga-no ricordati in ordine alfabetico: MariaGrazia Bassi Giovannelli, Lucia BatoniSpinelli, Maria Isabella Becchi, MariaGabriella Bersotti Benincasa, CaterinaBigoli, Giuliano Campatelli, MariangelaColtella Marzi, Danilo Furielli, VittoriaMarziari Donati, Piero Paradisi, LauraPiersimoni, Luigia Rottoli Bernini,Maurizio Vanni e Andrea Vigni.L’adattamento anche quest’anno è stato delbravissimo e sempre disponibile Prof.Menotti Stanghellini il quale ormai damolto tempo si dedica, infaticabilmente,alla pubblicazione ed al commento delleopere degli antichi Rozzi la cui rappresenta-zione potrà, tra le altre cose, costituireanche lo spunto e lo stimolo per una atten-ta rilettura di quanto pubblicato. Nella spe-ranza, infine, che un giorno possa essereraggiunto l’ambizioso obbiettivo di portaresul palcoscenico del Teatro dei Rozzi quan-to di meglio sia già stato rappresentatoall’interno dell’Accademia.

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ERRATA CORRIGEDal numero XXVI, p. 57

DIE KIRCHEN VON SIENAa cura di Peter Anselm Riedl e Max SeidelBruckmann München (1985-1999)Deutscher Kunstverlag Berlin (dal 2005)

1 (1985) Abbadia all’Arco – S. Biagio (1.1 Textband, 1.2 Bildband, 1.3 Planband)Monika Butzek, Hans Teubner, Alessandro Bagnoli, Michael Braune, Annelie De Palma, CarlLudwig Fuchs, Ruth Grönwoldt, Enrica Neri Lusanna, Peter Anselm Riedl, Bruno Santi, MaxSeidel et alii.

2 (1992) Oratorio della Carità – S. Domenico (2.1.1-2.1.2 Textband [2 voll.], 2.2 Bildband, 2.3Planband)Ingeborg Bähr, Heidrun Stein-Kecks, Sabine Hansen, Hans Teubner, Wolfgang Loseries, JuliaSchade, Peter Anselm Riedl, Alessandro Bagnoli, Max Seidel, Helene Trottmann, Bruno Santi,Matthias Quast et alii.

3.1 (2006) Der Dom S. Maria Assunta. Architektur (3.1.1.1-3.1.1.2 Textband [2 voll.], 3.1.2.Bildband [1999], 3.1.3 Planband [1999])Walter Haas, Dethard von Winterfeld, Monika Butzek, Andrea Giorgi, Klaus Güthlein, KaiKappel, Wolfgang Loseries, Stefano Moscadelli, Salvatore Pisani, Matthias Quast, PeterAnselm Riedl.

Beiheft 1 (1995) L’Archivio dell’Opera della Metropolitana di Siena. Inventario a cura di StefanoMoscadelli.

Beiheft 2 (1996) Il Duomo di Siena al tempo di Alessandro VII. Carteggio e disegni (1658-1667) acura di Monika Butzek.Beiheft 3 (2005) Costruire una cattedrale. L’Opera di Santa Maria di Siena tra XII e XIV secoloAndrea Giorgi - Stefano Moscadelli.

La redazione ringrazia Wolfgang Loseries per la cortese collaborazione.