ABORATORIO D’IDEE E DI SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI · 2013. 10. 11. · 9 - L. Santarella, Il...

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IL TEMA DELLA PALAZZINA LABORATORIO D’IDEE E DI SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI Palazzina. Questo termine, entrato nell’uso nel Rinascimento come vezzeggiativo di palazzo designò alle sue origini piccoli edifici posti all’interno di parchi e giardini destinati ad offrire asilo durante feste e partite di caccia ... La palazzina, figlia del «villino signorile»... iniziò così negli anni ’20 la sua parabola distruttiva nei confronti dell’organismo città, sostituendo il tessuto con- tinuo tipico della città antica, un tessuto discontinuo in cui i volumi edilizi sono accostati l’uno all’altro senza che alcuna relazione formale li colleghi divisi solo da un’esile striscia di verde, di solito suddivisa dalle alte murature erette sui confini dei lotti ... (P. Portoghesi, L’angelo della storia, Laterza, Bari 1982). La principale motivazione di “palazzine romane” è quella di affrontare il «tema della valutazione economica di tale tipo edilizio». Ed anche di riguardare quest’ulti- mo sotto un nuovo angolo visuale, per considerare e dibattere della possibilità di conservazione e di restauro di dette palazzine. La ricerca è destinata ai proprieta- ri–possessori, assai spesso inconsapevoli di abitare opere d’arte. Anche agli studiosi ovviamente, appassionati delle “atmosfere” alle quali s’ispiravano gli autori. È destinata alla nuova e diversa borghesia quella che si dovrebbe, a detta di molti, ripresentarsi in un immediato futuro sulla scena italiana; è destinata a coloro che in- tendono l’architettura come costruzione di qualità e tassello essenziale della cultura. Per questo le palazzine debbono essere riportate nel loro proprio alveo di ricerca: il frenetico sviluppo edilizio di Roma e le conseguenti novità legislative che allora s’imposero. Ma qualsivoglia operazione specificatamente tecnica, storica, sociologi- ca, politica, letteraria non potrebbe essere valida se rinunciasse a indagare circa le vere ragioni che hanno spinto, all’inizio del Novecento, a ricorre a tale tipo edilizio. Manca forse oggi, una più approfondita analisi di certe espressioni, dei precipui caratteri distintivi degli imprenditori–costruttori di palazzine, delle qualità (non solo tecniche, ma soprattutto intellettuali) degli architetti e ingegneri che progettarono e realizzarono palazzine di qualità per almeno cinquanta–sessanta anni. Dai primi esperimenti al quartiere Pallavicini, a nord–est di Villa Borghese, giudicate con favore dall’amministrazione municipale, si passò infatti rapidamente, all’applicazione costante di regole spesso provvisorie, eppure sufficienti ad innescare una produzione inarrestabile. Ebbe inizio così, la più straordinaria avventura edilizia che Roma possa annoverare tra le non poche “occasioni architettoniche” della sua storia urbana, con caratteri di originalità incondizionati e illimitati. Oggi la palazzina è una semplice (a volte assai banale) volumetria che ha perso il valore intrinseco della costruzione progettata. Le responsabilità? L’incultura, gli immobi- liaristi, la corsa famelica al mattone, l’incapacità di costruttori e di imprenditori di realizzare architetture, mentre per alcuni di essi contano solo i metri cubi. 1 - C. M. Busiri Vici, Palazzina in via Pinciana, 1914-15 2 - L. Fratino, Progetto di casa ampliabile e flessibile, 1948 - Vari modi di mutare il soggiorno a mezzo di pareti flessibili in doppia lamiera ondulata 3 - M. Paniconi, G. Pediconi, Complesso residenziale in via Cassia Antica , 1961 1 2 3

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  • IL TEMA DELLA PALAZZINALABORATORIO D’IDEE E DI SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI

    Palazzina. Questo termine, entrato nell’uso nel Rinascimento come vezzeggiativo di palazzo designò alle sue origini piccoli edifici posti all’interno di parchi e giardini destinati ad of frire asilo durante feste e partite di caccia ... La palazzina, figlia del «villino signorile»... iniziò così negli anni ’20 la sua parabola distruttiva nei confronti dell’organismo città, sostituendo il tessuto con-tinuo tipico della città antica, un tessuto discontinuo in cui i volumi edilizi sono accostati l’uno all’altro senza che alcuna relazione formale li colleghi divisi solo da un’esile striscia di verde, di solito suddivisa dalle alte murature erette sui confini dei lotti ... (P. Portoghesi, L’angelo della storia, Laterza, Bari 1982).La principale motivazione di “palazzine romane” è quella di affrontare il «tema della valutazione economica di tale tipo edilizio». Ed anche di riguardare quest’ulti-mo sotto un nuovo angolo visuale, per considerare e dibattere della possibilità di conservazione e di restauro di dette palazzine. La ricerca è destinata ai proprieta-ri–possessori, assai spesso inconsapevoli di abitare opere d’arte. Anche agli studiosi ovviamente, appassionati delle “atmosfere” alle quali s’ispiravano gli autori. È destinata alla nuova e diversa borghesia quella che si dovrebbe, a detta di molti, ripresentarsi in un immediato futuro sulla scena italiana; è destinata a coloro che in-tendono l’architettura come costruzione di qualità e tassello essenziale della cultura. Per questo le palazzine debbono essere riportate nel loro proprio alveo di ricerca: il frenetico sviluppo edilizio di Roma e le conseguenti novità legislative che allora s’imposero. Ma qualsivoglia operazione specificatamente tecnica, storica, sociologi-ca, politica, letteraria non potrebbe essere valida se rinunciasse a indagare circa le vere ragioni che hanno spinto, all’inizio del Novecento, a ricorre a tale tipo edilizio. Manca forse oggi, una più approfondita analisi di certe espressioni, dei precipui caratteri distintivi degli imprenditori–costruttori di palazzine, delle qualità (non solo tecniche, ma soprattutto intellettuali) degli architetti e ingegneri che progettarono e realizzarono palazzine di qualità per almeno cinquanta–sessanta anni. Dai primi esperimenti al quartiere Pallavicini, a nord–est di Villa Borghese, giudicate con favore dall’amministrazione municipale, si passò infatti rapidamente, all’applicazione costante di regole spesso provvisorie, eppure sufficienti ad innescare una produzione inarrestabile. Ebbe inizio così, la più straordinaria avventura edilizia che Roma possa annoverare tra le non poche “occasioni architettoniche” della sua storia urbana, con caratteri di originalità incondizionati e illimitati. Oggi la palazzina è una semplice (a volte assai banale) volumetria che ha perso il valore intrinseco della costruzione progettata. Le responsabilità? L’incultura, gli immobi-liaristi, la corsa famelica al mattone, l’incapacità di costruttori e di imprenditori di realizzare architetture, mentre per alcuni di essi contano solo i metri cubi.

    1 - C. M. Busiri Vici, Palazzina in via Pinciana, 1914-152 - L. Fratino, Progetto di casa ampliabile e flessibile, 1948 - Vari modi di mutare il soggiorno a mezzo di pareti flessibili in doppia lamiera ondulata3 - M. Paniconi, G. Pediconi, Complesso residenziale in via Cassia Antica, 1961

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  • BORGHESIA E ATMOSFERE

    La ricerca ruota intorno ai documenti, analizzandoli, cercando di mostrare le intenzioni progettuali e, soprattutto, concettualizzando le ragioni di una progettazione destinata alla borghesia, esclusiva destinataria del tipo a palazzina d’autore. Essa ha rappresentato un primato tutto italiano, e romano in particolare. Di cui oggi do-vremmo andare orgogliosi per la sperimentazione che fu operata. Forse la palazzina romana ha sdoganato la borghesia del Novecento, ne ha segnato il futuro. Anche se, attualmente, il tema sapiente della palazzina non è più “ripetibile”. Lo sarebbe solo a condizione di liberarla dalla damnatio memoriae che, per decenni, ha colpito la palazzina considerata – a torto o a ragione – la causa della “speculazione edilizia e fondiaria” di Roma. Le migliori palazzine sono destinate alle riviste spe-cializzate; in tutte le pubblicazioni di architettura del Novecento veniva documentata la “fine del cantiere” e l’imminente consegna ai proprietari del bene. Immagini di straordinaria forza espressiva. Non manca mai, davanti al portone, l’automobile d’epoca, diversa da periodo a periodo e simbolo di prestigio. Interessantissimo il riflesso: casa di qualità per un’utenza agiata, auto di pregio per la ricca borghesia.Quadrante 11 - G. Capponi, Palazzina Nebbiosi al Lungotevere, particolare della scala2 - Soluzioni d’angolo anni ‘303 - L. Moretti, Viale della Pineta 11, Ostia, 19324 - P. Aschieri, Palazzina in piazza Trasimeno 6, 1931-325 - Ritratto a schizzo di P. Aschieri6 - M. Tufaroli-Luciano, Palazzina in via Panama , 1935

    Quadrante 27 - U. Luccichenti, Via Panama 86, 1936-378 - M. De Renzi, G. Calza Bini, Palazzina Furmanik, Lungotever e Flaminio 18, 1941-42, disegno oroginale9 - L. Santarella, Il Cemento Armato, frontespizio del testo degli anni ‘3010 - A. Libera, Via San Fiorenzo 2, 1936-37 (villino tipo A)11 - Scorcio di casa popolare anni ’3012 - M. Ridolfi, W. Frankl, Palazzina Colombo in via San Valentino, 1936

    Quadrante 313/14/15 - U. Luccichenti, Complesso in piazzale delle Medaglie d’Oro 45-74, 1949-53

    Quadrante 416 - M. Ridolfi, W. Frankl, M. Fiorentino, Via Giovanni Paisiello 38, 1948-5017 - U. Luccichenti, Via Fratelli Ruspoli 10, 1941-47

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  • GLI INEDITI

    Palazzine romane è inoltre costituito di materiali reperiti dagli studenti di Roma Tre presso gli Uffici del Comune di Roma. Una ricerca paziente, che ha portato alla luce i progetti delle palazzine presentati per le “licenze edilizie”. Cioè, i disegni preparati dagli architetti per tale indispensabile “atto autorizzativo”. Essi sono di vario genere: molto tecnici con informazioni dedicate alle misurazioni più che alla qualità, normalmente privi di prospettive e/o orpelli figurativi, perché destinati ai tecnici comunali abilitati alle autorizzazioni. Oggi diremmo, disegni per il permesso di costruire.

    1 - M. Piacentini, Via Savoia 82, 19202 - L. Moretti, Viale della Pineta 11, Ostia, 19323 - U. Luccichenti, Piazzale delle Muse, 1938-40

    4 - P. Sforza, Palazzina in via B. Oriani 67, 19355 - P. Aschieri, Palazzina in piazza Trasimeno 6, 1931-32, disegno originale6 - A. Busiri Vici, Via Bruxelles 47, 1934-36

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  • GLI INEDITI

    1 - U. Luccichenti, Via Fratelli Ruspoli 10, 1941-47, disegno originale2 - L. Moretti, Palazzina Il Girasole, viale Bruno Buozzi 64, 1950, pianta originale3 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, disegno originale4 - L. Piccinato, S. Radiconcini, B. Zevi, Via dei Monti Parioli 13-15, 1948, pianta originale con soluzione interna di arredo5 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, disegno originale

    6 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, tempera di una soluzione progettuale7 - S. Radiconcini, B. Zevi, Via Giuseppe Pisanelli 1, 1950-52, prospettiva di una prima soluzione8 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, disegno originale9 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, tempera di una soluzione progettuale

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  • CAPPONI - NEBBIOSI

    Il fronte principale è in travertino, per richiamare la monumentalità del sito; mentre sono di carattere convenzionale gli altri prospetti, lavorati a finto marmo. Tali soluzioni restituiscono, al contempo, la misura dell’abilità delle maestranze degli anni Venti e Trenta e la “preziosità” dei materiali: se confrontati con il costo della manodopera, questi elementi rappresentano una scelta decisiva, dovuta anche alla capacità dell’autore di prospettare al committente un edificio altamente qualitati-vo. La bellissima scala a chiocciola dell’atrio è in cemento armato ed è rivestita in marmo, con lavorazione a “marmorino” (eseguita con polvere di marmo) per il corrimano e il battiscopa.

    La palazzina, che si rivelerà tra le più rappre-sentative del periodo e che fu costruita in un momento di passaggio e di sperimentazione degli Venti e Trenta del Novecento, mostra, genera e introduce in modo evidente - come la pubblicistica del tempo sottolineò - non sol-tanto la volontà di ricerca di un linguaggio nuovo, ma anche il dialogo con la storia della città, le tecniche tradizionali, l’uso del cemento armato (vera eccezione per le case private dell’epoca), all’interno dello “sperimentalismo costruttivo” che permeava l’architettura romana in quel periodo.

  • LIBERA - OSTIA

    Nel villino B (comunemente detto palazzina B di Libera a Ostia, Lungomare Duilio) il forte dinamismo, impresso ai balconi da un ardito impiego della mensola, denota al di là della suggestione costruttiva, la ricerca di Libera della forma esatta. L’impiego di materiale innovativo comporta - in questo caso il cemento armato - il rispetto della sua vocazione costruttiva. Il tema della sopraelevazione, infatti, è risolto con un aggetto, allo scopo di eliminare i piedritti in facciata ed ottenere lo svuotamento dell’angolo sul loggiato; soluzione che, in quel periodo, troverà esito ottimale nella quasi coeva palazzina Furmanik di Mario De Renzi e Giorgio Calza Bini al Lungotevere Flaminio. Realizzata nel 1933 dalla Società Immobiliare Tirrena, la palazzina di Libera rappresenta una “scommessa”. La Società Tirrena, gui-data dall’eminente figura di Pietro Campilli, intravide la possibilità di ricavi addirittura maggiori rispetto a quanto il mercato di allora potesse prospettare. Campilli seppe cogliere l’occasione di chiamare il giovane architetto trentino Adalberto Libera di 29 anni a progettare due palazzine (inserite nel lotto di proprietà e per le quali era stato indetto un Concorso di Architettura, dove Libera si classificò terzo), fiutando che il progettista sarebbe stato prossimo al successo professionale. La palazzina di Ostia è la prima occasione di Libera di lavorare da solo.

  • MORETTI - ASTREA

    Nelle prima parte dell’attività professionale di Moretti si assiste, tra i molti suoi progetti, ad una raccolta “classicistica”, ad un inventario di elementi stilistici neces-sari all’autore, prima di spiccare il volo verso un’autonoma, indipendente linea creativa. Sono da considerarsi tali esperienze, vere e proprie sperimentazioni. Allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale Moretti scompare dalla scena. Subito dopo il conflitto, le sue posizioni fortemente conservatrici lo conducono all’arresto e alla reclusione nel carcere di San Vittore a Milano, dove incontra il conte Adolfo Fossataro. Usciti di prigione e scontata la detenzione in carcere (1945-46), i due fondano la Cofimprese con il programma di realizzare progetti firmati da Moretti attraverso il finanziamento di Fossataro. All’interno del tema più complesso della casa, Moretti affronterà e risolverà da par suo e con la massima attenzione nel secondo dopoguerra, un simile cimento. Si conoscono con certezza, perché inserite nel suo curriculum, tre palazzine progettate a Roma negli anni Cinquanta e Sessanta di Luigi Moretti: il Girasole, l’Astrea, e la palazzina San Maurizio. Nell’Astrea si assiste ad uno sconvolgimento dei piani e dei volumi: al centro della facciata, la parete si flette come una lastra in procinto di staccarsi; la figurazione che ne segue dissimula, negli sguinci, le finestre dei servizi facendo esplodere la solidità del blocco murario. I presupposti compostivi dell’Astrea sono portati al culmine della spregiudicatezza figurativa e della drammatizzazione spaziale. Oggi, purtroppo, l’Astrea è un caso: l’incuria e l’inconsapevolezza dei proprietari-possessori (tra cui due architetti!) sono caratteristiche talmente negative, da disperare si possa tentare un ripristino.

  • PELLEGRIN - PIAZZALE CLODIO

    La palazzina di Piazzale Clodio è altamente rappresentativa del clima storico-culturale nel quale fu concepita e si presta a caso di studio proprio perché racchiude in sé tutte le contraddizioni della sua epoca. Abbandonata la chiarezza distributiva degli edifici anteguerra, le palazzine post belliche sono caratterizzate da distribu-zioni interne molto flessibili, in modo da corrispondere alle più varie richieste degli acquirenti. Esistono in gran quantità ripostigli, corridoi e disimpegni, spazi che sono facilmente gestibili da un appartamento all’altro. Un argomento a parte, poi, è il tema della chiostrina, tanto esecrata dagli architetti quanto obbligatoria per legge, che viene aperta nel tentativo di eliminarla. La palazzina di Piazzale Clodio comprende tutti questi elementi, e, pur avendo risentito di certi mali del suo tempo, è tuttavia frutto di una progettazione di qualità. Essa, inoltre, costituisce un caso emblematico per due questioni irrisolte. Prima questione, il celebre rifiuto di uno degli autori, Luigi Pellegrin (l’altro, che firmerà il progetto, è l’Arch. Angelo Cecchini), che prese le distanze da questo edificio escludendolo addirittura dal suo cur-riculum. In Piazzale Clodio si sceglie il “compromesso” tra progettisti, costruttori e utenti che hanno come prezzo una riduzione delle qualità costruttive e formali che certamente ha contribuito al distacco di Pellegrin dall’opera. Questa ragione risulta, quindi, strettamente collegata all’altra questione irrisolta: quella riguardante il prematuro e ripetuto degrado della palazzina. Anche in questo caso si può fornire una spiegazione basata sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati, il che ricondu-ce al rapporto committenza-progettazione. Ma, senza dubbio, non risolve completamente le motivazioni di un perenne e costante degrado della palazzina, che a sua volta, impedisce di cogliere la complessità dell’edificio e la raffinata progettazione che si cela dietro di essa. Poiché l’edificio non è stato sottoposto a nessun tipo di manutenzione dagli anni Sessanta fino ad oggi (è abitato quasi esclusivamente da magistrati!), è possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che esso versa in tali condizioni praticamente da sempre. L’intento principale della presente documentazione è di dimostrare come un intervento di restauro, per quanto gra-voso, possa consentire una sicura rivalutazione dell’opera, e sia tale da ammortizzare i costi nel giro di pochi anni. Con un ricavo certo per gli inquilini-possessori, e con conseguente aumento di valore del bene.