Abbiamo imparato ad amare di più

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ANNO XXXI NUMERO 4 APRILE- MAGGIO 2016 Abbiamo imparato ad amare di più Al termine di quest’anno sinodale, che conclude un cammino di discernimento iniziato nel 2012, la Chiesa di Nola dichiara forte e gioiosa il suo amore a Cristo e al territorio che ogni giorno è chiamata a custodire. La storia, l’ascolto, la preghiera, la comunione, il servizio sono i cinque temi sui quali i 665 sinodali, dallo scorso ottobre, si sono confrontati indicando, attraverso le proposizioni finali, le possibili scelte per un agire che sia pianamente ecclesiale. A partire dalle conclusioni votate, il Segretario generale del Sinodo e cinque sinodali ci aiutano a guardare al futuro che quest’evento apre alla nostra Chiesa locale.

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XXXI - 4 - Maggio 2016

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Abbiamo imparato ad amare di più

Al termine di quest’anno sinodale, che conclude un cammino di discernimento iniziato nel 2012,

la Chiesa di Nola dichiara forte e gioiosa il suo amore a Cristo e al territorio che ogni giorno è chiamata a custodire.

La storia, l’ascolto, la preghiera, la comunione, il servizio sono i cinque temi sui quali i 665 sinodali, dallo scorso ottobre, si sono confrontati indicando,

attraverso le proposizioni finali, le possibili scelte per un agire che sia pianamente ecclesiale. A partire dalle conclusioni votate,

il Segretario generale del Sinodo e cinque sinodali ci aiutano a guardare al futuro che quest’evento apre alla nostra Chiesa locale.

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aprile - maggio 201602

mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 9 maggio 2016

UN’OPEROSA PAUSAdi Marco Iasevoli

La conclusione del Sinodo, unita poi ai 75 anni compiuti dal nostro vescovo, si presta a molteplici letture. Soggettive. Oggettive. Emotive. Di merito. Credo che in tanti di noi conviva un miscuglio di sensazioni e pensieri che hanno bisogno di un po’ di tempo per essere metabolizzate e portate a sintesi. In qualche modo lo stesso tempo che padre Beniamino si prenderà per stendere il documento post-sinodale occorre a ciascuno di noi per fare tesoro, criticamente e costruttivamente, dell’esperienza vissuta. Credo che tre verbi possano aiutarci a vivere questa “operosa pausa”: spingere, curare, separare.Spingere. È il verbo da associare a tutti quei temi, quei contenuti e quelle proposte che oramai sono maturate sino al punto da sembrare terreno comune. Penso all’esigenza di mettere l’inquietudine evangelizzatrice e missionaria dinanzi alle “programmazioni stanziali”. Penso alla necessità di coordinare meglio la pastorale tra parrocchie vicine o che insistono su territori omogenei. Penso al ruolo dei laici e a una formazione pensata in base ai tempi di vita delle persone in carne e ossa. Penso alla “Chiesa povera per i poveri” della quale si è parlato sino alla sfinimento. E come dimenticare i numerosissimi appelli ad avere una cornice più chiara ed omogenea circa i percorsi sacramentali, da tutti i punti di vista.Curare. È il verbo da associare a

piccoli nuovi semi che, sebbene a volte in modo poco organico, sono emersi. L’impegno politico, la sensibilità socio-culturale, la riflessione e il discernimento sul tempo che viviamo, il senso delle relazioni nell’era tecnologica, il dialogo con le agenzie educative, il discorso di rete, le alleanze. Ma anche esperienze di vita interiore ed esperienze comunitarie di fede che segnino, orientino e motivino decisamente la vita dei laici e dei presbiteri. E la sfida dei giovani, che senza lavoro e senza futuro se ne andranno. Molte di queste suggestioni erano proprio nella prima voce che insieme abbiamo ascoltato, quella di Aldo Masullo.Separare. È il verbo che dobbiamo

adoperare per mettere da parte, innanzitutto dentro noi stessi, tutti quegli atteggiamenti, impliciti ed espliciti, che impediscono di venire su al bene emerso dal Sinodo. Separare dal Sinodo, allora, sentimenti personali di rassegnazione e disfattismo. Separare quei contributi tesi a distruggere, a dire che siamo all’anno zero, che non c’è nulla, che nessuno sa fare niente. Il post-Sinodo ha bisogno di cuori e menti libere da ideologie, visioni particolaristiche del mondo, fanatismi e individualismi di varia natura. Il grano e la zizzania, lo sappiamo, crescono insieme. Ma poi, alla resa dei conti, vanno separati altrimenti tutto il lavoro è perso.In sintesi: spingiamo avanti ciò che ormai è nella nostra coscienza ecclesiale; curiamo le piccoli e grandi profezie che rischiano di restare confuse nel rumore di fondo; separiamo tutto ciò che non consente di costruire ed è finalizzato solo a distruggere. Buon post-sinodo a tutti…

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03aprile - maggio 2016

Il sinodo diocesano tra passato e futuro

IL SINODO CHE SI CONCLUDEdi Francesco Iannone

La Terza Pagina

Il Sinodo della Chiesa di Nola volge ormai al termine. È stato un cammino tanto bello quan-to faticoso: bello perché fatto dell’entusiasmo e della passione di tanti che, con animo sincero e larga disponibilità, hanno ac-cettato la sfida di fermarsi per ripensare la vita della nostra Chiesa in questo tempo; fatico-so perché il percorso che è alle nostre spalle ha richiesto a tutti lo sforzo di riflettere e discer-nere, il sacrificio di una fetta consistente del proprio tempo, l’impegno talvolta scomodo e spossante dell’ascolto dell’altro. Che cosa ha voluto fare la Chie-sa di Nola celebrando il Sinodo? Per dirlo partirei da una doman-da che Gesù rivolge ai discepoli, divenuta traccia del nostro cam-mino sinodale: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cie-lo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12, 56). In un certo qual modo, è la do-manda che la Chiesa nolana si è sentita rivolgere nei giorni del-la celebrazione del suo decimo Sinodo. Il tentativo, allora, non sappiamo quanto riuscito, è sta-to quello di mettersi nuovamen-te dinanzi a questo interrogativo

del Signore e provare a rispon-dere al Suo invito a guardare il mondo con sguardo attento e amorevole, vicina agli uomini di questo tempo, alle loro fatiche e alle loro gioie, alle loro speran-ze e alle loro angosce. La Chie-sa non esiste per se stessa ma è per il mondo: in questo ‘per’ sta, in un certo qual modo, tutta la sua ragion d’essere, esattamen-te come l’essere ‘per’ gli altri ha costituito la sostanza della vita di Gesù. Il Sinodo è stato il tem-po che la Chiesa di Nola si è data per ascoltare lo Spirito e capire quali vie sono oggi concretamen-te percorribili per corrispondere a quel modello. Alla fine di que-sto lungo ascolto, cosa succede? Quali prospettive si aprono di-nanzi ai nostri occhi? A partire da ciò che è emerso nel dibattito sinodale, la Chiesa di Nola, gui-data dal suo Vescovo, è chiamata ora ad operare delle scelte e ad immaginare gli orientamenti che la aiuteranno – si spera – a vivere e annunciare in maniera sempre più autentica il Vangelo, e servi-re in modo credibile e radicale la vita degli uomini e delle don-ne che incontra; rispetto a ciò, allo stato attuale delle cose, non

è possibile certo prevedere nel dettaglio cosa accadrà o prono-sticare quale impatto concreto questo Sinodo avrà sulla vita del-la Chiesa di Nola da qui in avan-ti. Possiamo però dir qualcosa sul criterio di fondo che, mi pare, ogni aggiornamento ecclesiale dovrebbe seguire. Il Papa Eme-rito Benedetto XVI, quando era Cardinale e Prefetto della Con-gregazione per la Dottrina della Fede, durante una conferenza del 1990 disse: «la Chiesa avrà sempre bisogno di nuove struttu-re umane di sostegno, per poter parlare e operare ad ogni epoca storica. Tali istituzioni ecclesia-stiche, con le loro configurazio-ni giuridiche, lungi dall’essere qualcosa di cattivo, sono al con-trario, in un certo grado, sem-plicemente necessarie e indi-spensabili. Ma esse invecchiano, rischiano di presentarsi come la cosa più essenziale, e distolgono così lo sguardo da quanto è ve-ramente essenziale. Per questo esse devono sempre di nuovo ve-nir portate via, come impalcatu-re divenute superflue. Riforma è sempre nuovamente una ablatio: un toglier via, affinché divenga visibile la nobilis forma, il volto della Sposa e insieme con esso anche il volto dello Sposo stes-so, il Signore vivente». Ciò di cui la Chiesa ha sempre profonda-mente bisogno, in altri termini, non è l’aggiunta di nuove strut-ture o un riassetto organizzati-vo – certo, di tanto in tanto ci si dive occupare anche di questi aspetti – ma una purificazione da tutto ciò che in essa soffoca la bellezza del Vangelo e ostacola la forza della fede. Solo se si im-bocca questo sentiero sarà possi-bile riannodare i fili del dialogo tra vangelo e storia, tra fede e cultura, tra Cristo e uomo.

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aprile - maggio 201604

mensile della Chiesa di Nola

La prima sessione sinodale, dedicata al tempo che stiamo vivendo, si è svolta il 16-17 ottobre

PER DARE FORMA AL TEMPOdi Vincenzo Formisano

Quando si inizia a leggere un libro, le prime pagine sono

fondamentali. Che ti catapultino subito nell’azione o che dipinga-no paesaggi e personaggi servono a definire la cornice all’interno della quale ci si muoverà nei ca-pitoli successivi. Quanti libri, ma-gari bellissimi, densi di riflessioni profonde o evocatori di immagini suggestive passano la loro esi-stenza nella libreria di casa senza essere mai stati terminati perché i primi capitoli non sono riusciti a trasmettere l’entusiasmo, la pas-sione, la curiosità di sapere come andasse a finire.

Le prepositiones della pri-ma sessione – il cui tema era la Chiesa di Nola in questo tempo - avevano il compito di delimitare appunto i confini delle riflessio-ni che avremmo condiviso nelle sedute successive, dirci da dove partivamo e, non sapendo dove saremmo arrivati, quali erano le cose a cui non potevamo rinun-

ciare e che reputavamo fonda-mentali. E a rileggerle a sinodo pressochè finito, rappresentano un po’ un bigino di tutto il cam-mino percorso insieme.

Il primo elemento chiaro emer-so è stata la necessità di avere uno stile di vera simpatia ver-so il mondo. Si può essere te-stimoni e non maestri solo se si cammina accanto, condividendo la fatica e la bellezza del vive-re, perché “niente di ciò che è umano è estraneo alla fede cri-stiana”. Questo impegno deve necessariamente tradursi in una conversione pastorale che alle cose da fare preferisca “le perso-ne da incontrare e alla quantità di eventi da organizzare la quali-tà di cammini personali e comu-nitari per la maturazione di una testimonianza cristiana convinta e convincente”.E le prime perso-ne da incontrare sono quelle che condividono con noi la voglia di edificare il Regno di Dio: come ha

detto papa Francesco “la Chiesa non è altro che il camminare in-sieme del Gregge di Dio sui sen-tieri della storia incontro a Cristo Signore”. Ecco allora che Chiesa e Sinodo sono sinonimi, ecco che “corresponsabilità è il nome nuo-vo della comunione e lo stile di ogni autentica comunità umana, sociale, politica ed ecclesiale”.

Sin da subito, inoltre, è stata posta al centro della discussione la questione della formazione, una formazione seria, non episo-dica, ma neanche cattedratica, che sappia coniugare Vangelo e vita, “che al ragionamento che convince unisca il racconto che avvince e spinge al coinvolgimen-to”, che sia capace di innescare processi di dialogo e confronto con tutti anche mediante lin-guaggi nuovi e adeguati ai tempi che cambiano.

Infine, sono stati sottolineati i primi destinatari della pastorale ripensata: le famiglie e i giovani , ovvero “il luogo dove si impara la sobrietà e l’autenticità della vita e delle sue relazioni costitutive, dove le diverse generazioni pos-sono ancora incontrarsi in un ab-braccio solidale e fecondo, dove si respira la concretezza della corresponsabilità e si apprende l’amore vero” e chi ha “bisogno non di facile quanto vuota retori-ca, ma di compagnia e di propo-ste a misura delle loro speranze e del loro futuro”.

La prima volta di ogni cosa la si vive sempre con un po’ di timo-re misto ad entusiasmo, spirito di avventura ammantato da senso di responsabilità. E’ valso anche per questa prima votazione del-le prepositiones dove forte era la consapevolezza di tracciare la rotta che sarebbe stata seguita nei mesi successivi dai sinodali e, sotto la guida dello Spirito, da tutta la Chiesa di Nola nei prossi-mi anni.

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05aprile - maggio 2016

La seconda sessione, dedicata all’ascolto, si è svolta lo scorso 20 - 21 novembre

ASCOLTARE, PER CREDERE E TESTIMONIAREdi Luisa Iaccarino

“Solo una Chiesa che ascolta fedelmente può diventare una

Chiesa che annuncia efficacemen-te” Queste parole, contenute nella relazione presentata duran-te la seconda sessione sinodale e dedicata al tema “Per una Chiesa che ascolta”, ben racchiudono la straordinaria portata della tap-pa sinodale di che come Chiesa ci ha messo fortemente in di-scussione: ci siamo guardati con la sincerità e col coraggio di chi ama la propria comunità e il pro-prio territorio, abbiamo capito che l’ascoltarsi è una condizione imprescindibile per poter conti-nuare a testimoniare la gioia del Vangelo. Si tratta di un ascolto che assume i caratteri di uno sti-le nuovo, che ci invita a scendere dal piedistallo e andare incontro all’altro: per troppo tempo ci siamo interessati più a salvaguar-dare il nostro orticello, stando sempre sulla difensiva, che non a occuparci dell’annuncio del Re-gno. L’ascolto attento del mon-do e dell’uomo ha le sue radici e trova il suo senso nella Parola: “è ormai convinzione diffusa che una fede matura, che non si ri-duca a sentimento rassicurante o a pura appartenenza sociologica alla Chiesa, nasce e cresce nel rapporto con la Parola ascoltata,

compresa, meditata, realizza-ta”: solo riscoprire e imparare a vivere il dono di avere Dio come interlocutore e coltivare con im-pegno questo rapporto, ci spinge a ricercare e a guardare l’umano con gli occhi di Dio e ci permette di “allenarci” a cogliere i segni della sua presenza nel quotidia-no. Ecco perché, fondamentale è la scelta della formazione, intesa come un educarsi reciproco, nel-la riscoperta della vocazione di ciascuno. Essa viene presentata come un cammino da percorrere insieme, secondo un discernimen-to che è possibile solo ascoltando la voce dello Spirito, come padre Beniamino, il nostro vescovo, ha più volte sottolineato. Ci è chie-sto di abitare i nostri luoghi con consapevolezza e responsabilità, di testimoniare il nostro essere comunità in relazione con Cristo anche e soprattutto fuori dalle mura delle nostre parrocchie, in ascolto del mondo della famiglia, della scuola, del lavoro, della po-litica, della cultura.

Una scelta, quella della for-mazione, che viene fuori anche dalle propositiones di questa ses-sione sinodale hanno indicato un percorso possibile per la chiesa di Nola del “dopo-Sinodo”. Si è infatti posto l’accento sulla ne-

cessita di una riqualificazione dei momenti di incontro con la Parola di Dio: la lectio divina come ap-puntamento fisso e punto cardine per la vita della comunità parroc-chiale, la cura nella preparazio-ne dell’omelia e l’istituzione di centri di ascolto, in vari contesti, come occasione essenziale per la formazione e l’annuncio. Il tutto senza dimenticare di ripensare con impegno e creatività i tempi e i modi della catechesi e dei per-corsi di iniziazione ai sacramenti, evitando catechizzazioni vuote e interessate soltanto al numero delle adesioni, bisogna favorire, invece, la partecipazione alla vita della comunità e il coinvolgi-mento delle famiglie, prestando attenzione alle esigenze e ai bi-sogni della persona. L’assemblea sinodale non ha poi dimenticato di far emergere la necessità di azioni quali la valorizzare la bi-blioteca diocesana, l’istituto di scienze religiose e gli uffici di curia come fonti dalle quali at-tingere strumenti differenti per l’annuncio della Parola, per po-ter parlare attraverso linguaggi e mezzi di comunicazione adeguati all’uomo di oggi in ogni stato di vita e luogo ma soprattutto “per imparare a credere e a testimo-niare”.

abbiamo imParaTo ad amare di Più

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aprile - maggio 201606

mensile della Chiesa di Nola

La terza sessione sinodale, dedicata alla liturgia, si è svolta lo scorso 8-9 gennaio

IMPARARE A LODARE PER SAPER VIVEREdi Nicola De Sena

I lunghi anni che ci separano dalla conclusione del Vaticano II, han-

no fissato nella memoria di cia-scuno di noi l’adagio sulla litur-gia: “fonte e culmine della vita del cristiano”(cfr. Sacrosantum Concilium, 10). Se la liturgia è azione della comunità che viene sempre e comunque vissuta dal-le nostre parrocchie, è altresì vero che essa porta con sé un frainten-dimento di fondo. Spesso associa-mo in maniera diretta la liturgia con la celebrazione eucaristica, rendendola incompleta del suo senso più pieno. La vita stessa è un’azione liturgica ed ogni ge-sto compiuto e vissuto nel nome della Trinità, dalla quale scaturi-sce la liturgia stessa, porta con sé una simbologia, un rito di rin-graziamento e di lode al Signore. Nella prospettiva esistenziale, la liturgia non risulta essere un appannaggio ecclesiastico o uno sviluppo tecnicistico di parole al-tisonanti e gesti incomprensibili, ma si riveste di comprensione per ciascun credente che tocca con mano la realtà teandrica di una comunità radunata dal Risor-to. Nel contempo, il simbolismo liturgico disvela la sua efficacia proprio nel mostrare i segni del creato come veicoli di grazia, attraverso i quali noi tutti sia-mo uniti a Cristo e tra di noi (il pane, il vino, l’olio, l’acqua, il fuoco, ecc.). Le indicazioni sca-turite dall’assemblea sinodale sulla liturgia, lette nella prospet-tiva descritta poc’anzi, sono un vademecum, non più derogabile, affinché le nostre comunità non si preoccupino dell’apparato ce-rimoniale senza innestarsi nel senso di quella determinata azio-ne liturgica. Vorrei sintetizzare le Propositiones emerse con due concetti.

Custodi e non padroni. La litur-gia ha la sua scaturigine nel seno

trinitario e si concretizza nella comunione ecclesiale, invocan-te ad un’unica voce il Dio uno e trino. È per noi dono di Dio e, in questo senso, siamo stati resi cu-stodi ed interpreti, non padroni. Essa ci è stata consegnata a noi oggi dalla Tradizione bimillenaria della Chiesa e, per questo, non siamo altro che depositari di un tesoro che non ci appartiene e che non siamo chiamati a modifi-care. Questa prospettiva eviterà che le nostre realtà parrocchiali assumano dei “riti propri”, diso-rientando i credenti e falsando il senso e il significato delle azioni liturgiche. Troppe volte abbiamo confuso l’actuosa participatio con l’arbitrio ed abbiamo voluto dare senso nuovo a gesti e sim-boli svuotandoli però del senso autentico o, ancora più grave, ne abbiamo voluti inserire altri, vio-lentandone ancor di più il senso.

Mistagogia e vita ecclesiale. Come scrivevo nelle prime righe, risignificando la liturgia come ce-lebrazione della vita innestata nella vita di Dio, nelle Proposi-tiones giustamente si sottolinea-va un cammino mistagogico, che faccia riscoprire la bellezza e lo

spirito autentico della liturgia. In questo particolare momento, in cui le nostre comunità avvertono una crisi della prassi sacramenta-le, dovremmo iniziare a proporre cammini che non si trasformino in lezioni di catechismo “old style”, ma sappiano mostrare la bellezza dei segni santi che il Signore ci ha lasciato, che si esplicano ancor più efficacemente in una testimo-nianza concreta. Nel contempo, nella vita di una comunità non può più essere derogata la pre-senza di un gruppo liturgico, che non sia tanto la regìa delle cele-brazioni, ma sensibilizzi tutti allo spirito autentico della liturgia.

Il battesimo ci impegna, in quanto popolo sacerdotale, ad essere mediatori dell’amore infi-nito del Padre, e lo spirito del Si-nodo spero abbia suscitato mag-gior interesse sulla liturgia, che non potrà più essere considerata “affar per preti”, ma sia incarna-ta nello stile del cristiano più che del collaboratore parrocchiale, del credente più che dell’opera-tore pastorale. Impegno e compi-to che esige cuore e polmoni, per intraprendere la strada solcata dal Vaticano II.

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07aprile - maggio 2016

abbiamo imParaTo ad amare di PiùLa quarta sessione, dedicata alla comunione, si è svolta lo scorso 18-19 febbraio

CONTEMPLARE IL MISTERO PER CAMMINARE INSIEMEdi Raffaele Dobellini

Leggendo le propositiones ap-provate nella quarta Sessio-

ne del Sinodo diocesano si può cogliere quello che mi sembra il cuore del messaggio sinodale.

Fin dalla prima sessione, si è infatti percepito forte il desi-derio dei sinodali di riscoprire il senso di fraternità e di comunio-ne. Qualsiasi proposta o rifles-sione era accompagnata sempre dalla consapevolezza che prima di agire era necessario stare in-sieme intorno a Cristo. È, infat-ti, pian piano emerso quello che poi è stato, con estrema chia-rezza, riportato nel prologo del-le propositiones della sessione sulla comunione: “La comunione è innanzitutto dall’alto: essa è la vita del Dio Trino offerta a noi dal Crocifisso risorto e continua-mente vivificata dall’Eucaristia. ... Solo da qui può nascere … quella “conversione pastorale” che ci faccia passare da una lo-gica e da pratiche individualisti-che e campanilistiche a uno stile e una prassi “sinodali”. Il “cam-minare insieme”, da tutti auspi-cato, rischia infatti di ridursi a esortazione paternalistica o a strategia funzionale se non na-sce dalla fede nel Mistero che è la Chiesa (Credo Ecclesiam) che si traduce poi nell’agire sinoda-le”.

Solo in quest’ottica si può comprendere la prima propositio che chiede una “decisa e convin-ta opera di riforma di strutture e di servizi”. Non è una scelta funzionalista, ma la presa d’atto che le attuali strutture non sono adeguate per esprimere una rin-novata comunione ecclesiale, che si fondi sua una rinnova-ta corresponsabilità pastorale. Analogo fondamento hanno la scelta di riorganizzare la presen-za delle parrocchie della Dioce-si, per garantire un maggiore co-ordinamento pastorale, e quella

di valorizzare degli Organismi di partecipazione (es. Consigli pa-storali parrocchiali e diocesano) quali luoghi e scuole di discerni-mento comunitario.

Anche le “figure di mediazione ecclesiale” (es. Vicari episcopa-li, Responsabili di Uffici dioce-sani) sono invitati a recuperare il loro ruolo di promotori di co-munione più che di coordinatori di attività. Presbiteri e diaconi sono chiamati a riscoprire la ne-cessaria amicizia con il Vescovo, a curare al meglio la propria for-mazione per diventare sempre più uomini di comunione e pro-tagonisti della missione.

La comunione e la missione della Chiesa domandano anche un riconoscimento convinto del-la vocazione dei fedeli laici, ai quali è chiesta formazione seria, corresponsabilità reale, testimo-nianza matura. Proprio per que-sto si auspica un maggior coin-volgimento dei fedeli laici, e delle donne in particolare, negli Uffici e negli Organismi diocesa-ni. Non è - ed è emerso con chia-rezza dagli interventi - un coin-volgimento democraticista. È un coinvolgimento familiare e fra-terno. Come nelle famiglie tutti sono resi partecipi delle gioie e dei dolori, delle responsabilità e dei riconoscimenti, così nella Chiesa ognuno è tenuto a dare il proprio contributo. Su tutto, però, deve prevalere l’approc-cio all’inizio descritto. Questo lo si coglie anche nell’invito ai religiosi e alle religiose presen-ti in Diocesi a testimoniare, con la loro vita, “la radicalità della conversione, l’avvento del Re-gno, la necessaria apertura del-la Chiesa locale agli orizzonti della Chiesa universale”.

La preoccupazione emersa, quindi, in questa Sessione è sta-ta quella di evitare una deriva sociologica. Si è voluto chiarire

che non basta darsi una migliore organizzazione o rispondere più prontamente alle richieste dei fedeli.

Ci si è dimostrati consapevoli, invece, che non bisogna lasciarsi condizionare dalla superficiale velocità con cui oggi spesso di affrontano tutti i fenomeni. L’a-spirazione e la buona volontà a colmare il deficit di comunione devono partire, si legge nella relazione Per una Chiesa capa-ce di comunione, dall’impegno a “ridire la fede, ridare la spe-ranza, rifare la carità” perchè “l’azione pastorale non può più limitarsi a conservare e custo-dire una fede data per sconta-ta, chiudendosi negli ambienti e nelle prassi tradizionali, ma deve suscitare cammini di fede inediti che chiedono modalità rinnovate di annuncio e di for-mazione”. Si è, quindi, cercato di evitare che questa forte istan-za di cambiamento si riducesse ad una riorganizzazione o, peg-gio, alla narcisistica e leaderi-stica esaltazione di singoli: è la comunità intera che deve cam-minare, ponendo attenzione al passo e ai tempi degli ultimi, degli incerti, dei lontani. Evitan-do grandi discorsi, con la quarta sessione, sia attraverso la rela-zione sia attraverso le proposi-tiones, si è ribadito un principio semplice: “la costruzione della comunione ecclesiale è la chia-ve della missione” (Benedetto XVI – Messaggio per la Giornata Missionaria mondiale 2010). La credibilità del nostro annuncio passa, infatti, inevitabilmente attraverso una vita ecclesiale re-almente fraterna e comunitaria, basata sulla cura delle relazioni interpersonali e forte di quan-to ci ha detto Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei di-scepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).

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aprile - maggio 201608

mensile della Chiesa di Nola

La quinta sessione si è svolta lo scorso 1-2 aprile

PER UNA CHIESA CHE SERVEdi Alfonso Lanzieri

Ho sentito in giro, tempo fa, una storiella inventata che coglieva

per me in modo fulminante alcune derive presenti nella vita ecclesiale. Racconta di un gruppo di persone, laici molto impegnati nelle iniziative parrocchiali, sempre in chiesa dalla mattina alla sera, che si stanno recando in una parrocchia per l’ennesimo incontro di formazione. Hanno fatto tardi e camminano a passo veloce. Lungo la strada incrociano un mendicante che avrebbe davvero bisogno di loro. Si fermano qualche secondo a riflettere sul da farsi per poi proseguire oltre senza prestare soccorso al povero. “Se al nostro ritorno sarai ancora qui ti aiuteremo. Adesso abbiamo da fare in parrocchia: è nostro dovere essere presenti!”.

Il significato della storiella è fin troppo chiaro: se non siamo vigilanti, rischiamo di scadere in una chiesa-azienda nella quale fatalmente le cose da fare vengono prima delle persone, e si può arrivare al colmo di considerare nostro dovere primario favorire il buon funzionamento dell’apparato anziché soccorrere il prossimo. E tutto questo – e qui sta il dramma – spesso in assoluta buona fede, credendo cioè di star lavorando per il Vangelo.

Questa storia mi è venuta in mente quando ho pensato al tema dell’ultima tappa del cammino sinodale della Chiesa di Nola che è stato “Per una Chiesa che serve”. La domanda che in me sorge

spontanea ogni volta che leggo espressioni simili o uguali a questa è: ma a che serve la Chiesa? Perché esiste? Il Concilio ci ha detto che essa esiste «per continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (GS 3). Rispetto a tale “modello”, le comunità parrocchiali della Chiesa di Nola, stando a quanto è emerso dal dibattito sinodale, oscillano tra esempi rimarchevoli di generosità, gratuità, accoglienza, capacità di entrare con amore nei problemi concreti delle persone, e tentazioni neanche troppo isolate di funzionalismo ed efficientismo. In questo secondo caso, l’obiettivo della vita della comunità smette di essere la persona concreta, soprattutto la più povera ed emarginata, che viene sostituita dalle cose da fare. «Questo funzionalismo – recita la V Relazione Generale del Sinodo di Nola – rischia di produrre una sorta di processo di cosificazione anche di realtà alte e importanti. Gli stessi ministeri ecclesiali rischiano di ridursi a cosa fra cose, cose fatte e da farsi: lo smarrimento del fine della vita e dell’agire della Chiesa, che è la missione a servizio del Regno, rappresenta il pericolo sempre incombente». Come recuperare il fine e lo slancio di un servizio che non sia auto-referenziale, ma impegno fattivo

per le mille ferite di cui il territorio è segnato? Anzitutto ricordandosi che Gesù non aveva una missione ma era missione: il suo vivere per gli altri era l’essenza stessa della sua persona. Se questo è corretto, allora la Chiesa più che avere una missione è missione essa stessa: può autocomprendersi sempre e solo come servizio in atto, non come una realtà che ha tra i suoi attributi il servizio. Nella Evangelii Gaudium di Papa Francesco, inoltre, si dice che:“Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7). Sappiamo che l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo» (n. 180-181).

In altri termini, la testimonianza cristiana ha una essenziale connotazione sociale. Denunciare i mali della nostra terra, lavorare – ciascuno secondo il proprio ruolo e le rispettive competenze – per disarticolare le logiche perverse della criminalità, dell’illegalità diffusa, dell’inquinamento etc., non è un compito dal quale il cristiano è esonerato dal suo rapporto con Dio che è trascendenza; anzi è proprio questo rapporto che sostiene quell’impegno.

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09aprile - maggio 2016

Cristiani per sceltaIl documento della Conferenza Episcopale Campana sul rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana

La Carovana Evangelizzazione interparrocchiale per l’AC di San Vitaliano e Scisciano

Siamo tutti migrantiIV Edizione del Festival dei diritti dei ragazzi

Napoletano di nascita, swazi d’adozione Padre Angelo Ciccone, missionario di Piazzolla di Nola

Dialogare per sperareA Madonna dell’Arco la II edizione del meeting promosso dal Movimento Giovanile domenicano

In Diocesi

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aprile - maggio 201610

mensile della Chiesa di Nola

Il documento della Conferenza Episcopale Campana sul rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana

CRISTIANI PER SCELTAdi Filippo Centrella

È stato pubblicato, lo scorso10 febbraio, il documento Cri-

stiani per scelta. Iniziare alla vita buona del Vangelo in Cam-pania. In esso i Vescovi campani auspicano un rinnovamento dei percorsi di Iniziazione Cristiana (IC) nelle chiese locali in grado di trovare delle forme adeguate di risposta per garantire la co-municazione della fede e la for-mazione cristiana di tutti i cer-catori di Dio.

Oggi, infatti, l’IC avviene in un contesto culturale che non sem-bra favorirne i dinamismi. Si as-siste sempre più alla progressiva scomparsa della “società cristia-na”.1 Anche la regione Campania risente di questi influssi culturali che tendono ad emarginare la fede cristiana o, quanto meno, ad “allinearla” alle tante altre forme di religiosità che interes-sano l’uomo d’oggi. Per questo

motivo, i Pastori hanno espres-so fortemente il desiderio di proporre «alcuni criteri generali e una modulazione comuni, capaci di accompagnare la formazione dei ragazzi senza creare vuoti tra una tappa e l’altra».2

Nel Documento si constata an-zitutto che, nonostante gli sfor-zi compiuti in numerose dioce-si campane per la revisione del percorso di IC, di fatto prevale ancora un modello di iniziazione «ai sacramenti», piuttosto che «attraverso i sacramenti». Molta gente che avvicina le comunità parrocchiali per chiedere di ri-cevere i sacramenti di IC, non sembra essere motivata dall’in-tenzione di conoscere Cristo per conformarsi sempre di più a Lui, ma semplicemente da quella di “collezionare” i sacramenti, così da non “tradire” la tradizione.

In che modo, allora, è possi-

bile ripensare e progettare un itinerario di IC che trasformi la mera richiesta di sacramenti in opportunità di percorsi di primo annuncio e di fede seri e coinvol-genti? Senza voler predetermina-re o imporre ad ogni Diocesi una possibile soluzione, il Documen-to suggerisce «un minimum, una base comune di cui ogni itinerario diocesano debba tenere conto».3 Quattro sono le tappe che ogni cammino dovrebbe prevedere: • accoglienza ed evangelizzazio-ne della famiglia. Obbiettivo di questo primo momento è pre-sentare alle famiglie che chie-dono il Battesimo per il proprio fanciullo, un primo annuncio del Vangelo, in grado di far riscopri-re le radici della fede cristiana. • socializzare i fanciulli alla vita della comunità. È il periodo nel quale il fanciullo viene aiuta-to ad inserirsi sempre più nella

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comunità fino a maturare in lui il desiderio di accogliere Gesù nella celebrazione della Prima Comunione. In questo secon-do momento, il coinvolgimen-to della famiglia è ancora più importante: questa, infatti, è chiamata ad integrare o comple-tare il cammino di maturazione di fede iniziato in precedenza. • evangelizzare la vita dei pre-adolescenti. Celebrare la Prima Comunione non vuol dire aver completato il percorso di IC. Da adesso diventa importante ac-compagnare i bambini, ormai preadolescenti, a fondare il pro-prio “progetto di vita” su Gesù e in Gesù. Gli accompagnatori sono chiamati ad offrire ai ragazzi quei “criteri evangelici” su cui strut-turare la propria esistenza che va sempre più consolidandosi. • catecumenato crismale. Que-sta tappa rappresenta, meto-dologicamente, il novum della proposta. Si tratta di un vero e proprio «itinerario mistagogico» durante il quale il preadolescen-te, in vista della Cresima, si pre-sta ad un “apprendistato” di vita cristiana. Aiutato dalla comunità ecclesiale, il ragazzo «si riappro-pria dei sacramenti celebrati e fa la propria scelta consapevole di “discepolato”».4

Affinché questo piano formati-vo trovi corretta realizzazione, è necessario, sottolineano i Ve-scovi campani, creare una nuova figura di catechista dell’IC.

L’importanza di questa sotto-lineatura è giustificata dal fatto che non è pensabile un rinno-vamento globale dell’itinerario di IC senza considerare, al con-tempo, la formazione di coloro che più direttamente avranno il compito di trasmettere e comu-nicare la fede ai fanciulli ed ai ragazzi.

Nell’immaginario collettivo, il catechista è visto soprattutto come colui che, a nome e per conto della comunità ecclesiale, ha il compito di “insegnare” le principali verità di fede, qualche nozione biblica, le preghiere del

buon cristiano, i comandamenti e, immancabilmente, l’atto di dolore, così da risultare prepa-rati per la prima Confessione. Dietro questa convinzione c’è dietro l’idea di catechismo come dottrina, alla quale il popo-lo partecipava, soprattutto nei tempi forti dell’anno liturgico.

Le mutate prospettive dell’IC dei fanciulli e dei ragazzi im-pongono di rinnovare anche le caratteristiche fondamentali del catechista. Il catechista, in-fatti, deve essere «una persona trasformata dalla fede che, per questo, rende ragione della pro-pria speranza instaurando con coloro che iniziano il cammino, un rapporto di maternità/pater-nità nelle fede, dentro un’espe-rienza comune di fraternità».5

Nei documenti magisteria-li degli ultimi anni, al termine catechista si vanno sostituendo (o quanto meno aggiungendo) termini più appropriati: accom-pagnatore, compagno di viag-gio, educatore, evangelizzatore. Ciascuno di questi termini, ov-viamente, porta in sé uno speci-fico stile formativo, ma nessuno di essi si esclude a vicenda. In certo qual modo, il catechista è tutto ciò.

Studi recentissimi, rifletten-do sui punti di congiunzione tra il mondo della catechesi ed il mondo della comunicazione, hanno “acceso i riflettori” su un terreno oggi molto importante, ma ancora poco indagato: ci si chiede che cosa comporti intro-durre nella prassi formativa dei catechisti, l’attenzione al mon-do della comunicazione digitale (del web 2.0 o 3.0), che è parte costitutiva tra i fenomeni che concorrono a definire il paradig-ma culturale contemporaneo.

In conclusione. Per evita-re, come purtroppo accade, di adagiarsi nel “si è sempre fatto così” (soluzione comodissima, che evita lo sforzo immane di ogni rinnovamento), si va im-pellente l’invito dei Vescovi nel documento a formare i catechi-sti e, prima ancora, a formare i formatori dei catechisti. Non

in diocesivengono, evidentemente, sugge-riti concretamente i passaggi ne-cessari perché tale formazione si realizzi; questi, infatti, sono già ampiamente e dettagliatamen-te additati nei vari documenti dell’Ufficio Catechistico Nazio-nale.6

Il grosso interrogativo è: come mai ancora non si riesce a pro-gettare, nelle varie diocesi, una seria prassi formativa? L’appello dei vescovi è costante; agli Uffici Catechistici diocesani il compito di tradurre in realtà questa spe-ranza.

1 Cfr. Giovanni Paolo II, Novo Mil-lennium Ineunte, 40.2 Cfr. Conferenza Episcopale Cam-pana, Cristiani per scelta. Inizia-re alla vita buona del Vangelo in Campania, Frascati (RM), EDB, 8. 3 Cfr. Ivi, 40.4 Ivi, 46-47. 5 UCN, La formazione dei catechi-sti per l’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, 19.6 Cfr. UCN, 1. La formazione dei catechisti nella comunità cristia-na 1982), 2. Orientamenti e iti-nerari di formazione dei catechi-sti (1991), 3. La formazione dei catechisti per l’Iniziazione cri-stiana dei fanciulli e dei ragazzi (2006).

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mensile della Chiesa di Nola

Il nostro vescovo Padre Beniamino, all’indomani della fine della

visita pastorale di qualche anno fa scriveva che «Non è pensabile una comunità parrocchiale venga colta unicamente come centro di servizi, per proporsi in maniera evangelica ci sia attenzione alle persone, senso vero di accoglienza e ci si predisponga all’ascolto prima

della proposta. (…) A ciascuno sia assicurata l’opportunità di crescita e maturazione di fede e culturale. Più in generale, si sia pronti a valorizzare e a curare l’esperienze d’aggregazione laicale nella loro dimensione formativa. La parrocchia poi, singolarmente o preferibilmente in collaborazione con le altre comunità vicine, è tenuta ad

accompagnare e formare gli operatori della pastorale».

Per rispondere alle esortazioni del nostro vescovo abbiamo pensato di creare “La Carovana”. Si tratta di un’esperienza di ri-evangelizzazione e di missionarietà che l’Azione Cattolica di San Vitaliano e di Scisciano intendono hanno voluto portare avanti come impegno

Evangelizzazione interparrocchiale per l’AC di San Vitaliano e Scisciano

LA CAROVANAdi Vitaliano Paone

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in diocesiinterparrocchiale.

Abbiamo voluto rilanciare il nostro servizio nella comunità parrocchiale che Dio ci ha donato. Noi siamo nella carovana con Gesù e viaggiamo nelle case. É un modo questo, per la nostra famiglia associativa, di uscire e farsi vicina a chi è lontano dalla vita della comunità. La carovana accanto alla catechesi parrocchiale, fa esperienza della catechesi per adulti e giovani nelle case. La carovana valorizza i laici nei loro doni battesimali, assume il linguaggio umile della vita concreta, crea l’ambiente adatto alla preghiera semplice, riscopre il parlare nella fede

dei problemi di tutti i giorni e dell’oggi. È un modo vero di inculturazione, di radicamento e di insediamento della fede nella vita. La strada maestra in questi casi, specialmente quando sono presenti persone “lontane” è la lettura della Parola di Dio in un clima semplice di ascolto di fede. Bibbia ,catechismo degli adulti, esercizi di laicità tratti dal percorso formativo degli adulti di Azione Cattolica sono stati i testi utilizzati da chi prepara l’incontro e sfogliati in una carovana che voglia farsi carico della fede dei fratelli.

Le quindici carovane si sono incontrate una volta al mese. Alcune figure le hanno caratterizzate: Marta o Lazzaro, che hanno accolto i componenti nella propria casa, acceso e spento una candela posta davanti ad un’icona segnando così l’inizio e la fine dell’incontro; Pietro che, dopo una preghiera introduttiva, ha proclamato la Parola ed guidato la preghiera; Maria che ha aiutato a spezzare la Parola con una breve esegesi ed invitato i membri della carovana a raccontare la ricaduta che quel Vangelo ha avuto nella loro vita. Infine ognuno ha completato un›Ave Maria attribuendo “al frutto del Tuo seno Gesù” un significato proprio. Abbiamo voluto che “La Carovana” fosse “Casa del Pane”, perché conserva sempre un pezzo e non nega a nessuno; “Chiesa della strada”, perché ama rimanere in compagnia degli ultimi della fila; “Ministra della consolazione”, perché ascolta, compatisce e non giudica; ”Pellegrina della verità”, perché preferisce porre domande che fornire risposte; “Casa della mitezza”, perché cerca di testimoniare la Verità con la vita, senza imporla con la forza o con le leggi:”Rifugio degli umili”, perché si trova a suo agio con i perdenti piuttosto che con i vincitori;”Casa del fuoco”, perché capace di alimentare la debole fiamma della Speranza;”Tenda della tenerezza”, perché non ama vivere sotto i riflettori. Ama la tenda e diserta il palazzo. Preferisce i percorsi polverosi della terra alle piazze osannati delle metropoli.

La Presidenza nazionale di Azione Cattolica incontra le diocesi

In AC con gioia tra la gente

La Presidenza nazionale Ac è impegnata in un vero e proprio “giro d’Italia” per conoscere del-le associazioni territoriali. Il 9 e 10 aprile scorso è approdata a Pompei, per incontrare l’AC della Campania: 23 diocesi e 502 par-rocchie in cui l’Azione Cattolica è presente con 32.473 soci ade-renti. Due giorni attesi e intensi, ricchi di relazioni belle, di rac-conti di vita associativa, di colori e sapori campani. Nelle parole di Clelia Rea, presidente AC della parrocchia di San Francesco in Po-migliano D’Arco risuonano ancora le emozioni della due giorni. La data era segnata nelle nostre agende da tempo e le aspettati-ve, come le domande, erano tan-te: cosa vorrà dire la Presidenza nazionale di Ac ai presidenti par-rocchiali della Campania? Questo incontro è stato talmente tanto ricco da non poter essere racchiu-so in un unico vocabolo.È stata, innanzitutto, gioia… gio-ia contagiosa che si propagava a dismisura dalla parte più giova-ne dell’Ac a tutta l’assemblea dei 706 partecipanti. È stata, poi, condivisione delle emozioni di chi ha preso l’iniziativa e con coraggio è riuscito a far nascere l’Ac nella propria parrocchia. È stato, ancora, ascolto delle pa-role di ringraziamento della pre-sidenza nazionale per l’impegno di ogni presidente nella cura e nell’attenzione alle singole per-sone. È stato ascolto delle parole di incitamento a fare bene, a non rendere indifferente la presenza o meno dell’Ac in un territorio, ad essere tessitori di trame di buo-ne relazioni. È stata crescita at-traverso il confronto con le altre realtà parrocchiali. È stata, infi-ne, opportunità per sperimentare la misericordia di Dio attraverso il passaggio della Porta Santa e la celebrazione della Santa Messa.Lo slogan che ci ha accompagna-to lungo la giornata è stato “IN Ac CON gioia TRA la gente”, un gioco di parole per formare il verbo “in-contra”. Perché in realtà, è que-sto che fa l’Ac: incontra.

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mensile della Chiesa di Nola

Ormai si va consolidando nel tempo la realtà del “Festival

dei diritti dei ragazzi”, l’evento organizzato dall’Ufficio Scuola della Diocesi di Nola, dalla Cooperativa Sociale Irene’95 e dall’Assessorato all’Istruzione e ai Beni culturali del Comune di Nola, col patrocinio della Regione Campania, giunto quest’anno alla quarta edizione.

La manifestazione si è svolta dal 7 all’11 aprile e il tema scelto per quest›anno è stato «Siamo tutti migranti».

«Negli ultimi mesi il corpicino di Aylan Kurdi – si può leggere nel documento di presentazione del Festival – morto su una spiaggia e quello del neonato

nella tendopoli di Idomeni hanno dato uno scossone alle nostre coscienze, facendoci capire che tutti i migranti sono innanzitutto persone e non potenziali terroristi;[...] Di fronte a queste storie personali, siamo tutti migranti! Nel senso che comunemente diamo oggi a slogan come questo: siamo tutti con loro, ci sentiamo tutti uniti a loro. Ma, soprattutto, nel senso che siamo impegnati a riscoprici tutti migranti: migranti sono stati i nostri padri in cerca di “fortuna”, migranti siamo tutti oggi, in un mondo-villaggio globale dove la diversità come ricchezza e la pace come “convivialità delle differenze” (don Tonino

Bello) dovranno avere ragione sui rigurgiti di nazionalismo egoista e sulle intolleranze di ogni tipo». Il “migrare” dunque, inteso quale categoria sociale e, se così possiamo esprimerci, antropologica, a partire dalla quale poi leggere anche i drammatici fatti di cronaca che ci giungono ogni giorno dal fronte dell’immigrazione epocale che sta investendo il continente europeo.

L’evento si è aperto in Piazza Duomo a Nola e il programma è stato come sempre ricco di appuntamenti interessanti di diversa natura. Giovedì 7 aprile la festa di apertura, alla quale hanno partecipato i ragazzi

IV Edizione del Festival dei diritti dei ragazzi promosso dall’Ufficio scuola diocesano

SIAMO TUTTI MIGRANTIdi Alfonso Lanzieri

Dal Documento di presentazione del Festival

Il Festival dei diritti dei ragaz-zi nasce “dal basso”, nella lo-gica della comunità educante, tra una rete di soggetti pub-blici e privati (scuole, ammi-nistrazioni comunali, enti non profit, associazioni...) acco-munati da un patto «l’intento di impegnarci a creare un mo-vimento educativo e sociale che contribuisca attivamente a conseguire il fine del rispet-to e della promozione della dignità delle ragazze e dei ragazzi del nostro territorio» (Dalla “Carta d’intenti” del Festival). Uno spazio/tempo annuale fisso di confronto, ri-flessione e, soprattutto, di in-contro sui diritti dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, af-finché cresca l’attenzione alla tutela dei loro diritti e al loro protagonismo nella comunità, ritrovandoci come “comunità educante” del territorio, in costruzione permanente, su-perando autoreferenzialità e progettualità isolate ed auto-nome, fini a se stesse.

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in diocesi

delle scuole coinvolte, gli organizzatori e i rappresentanti dell’amministrazione comunale: vari stand e iniziative hanno riempito e animato la piazza. Nel pomeriggio poi incontro di apertura del Festival, con la presenza di Paolo Mancuso, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nola.

In serata, invece, presso il teatro Umberto di Nola è stato messo in scena lo spettacolo “Memoria Migrante”, allestito dagli studenti di quattro scuole di Cicciano, Marigliano, Casamarciano e Nola. L’8 aprile, poi, si è tenuto un interessante convegno su tematiche di carattere ambientale dal titolo “Migranti in un pianeta in prestito dai nostri figli”, nell’ambito del quale sono intervenuti il professor Antonio Sasso, docente di fisica all’università Federico II di Napoli e il professor Marco

Trifuoggi, docente di chimica dello stesso ateneo federiciano, con l’animazione affidata agli studenti dei licei “Medi” di Cicciano, “Colombo” di Marigliano, “Carducci” di Nola e “Torricelli” di Somma Vesuviana, che nei mesi precedenti avevano partecipato a laboratori sulle tematiche ambientali proprio presso la Federico II.

Nella stessa giornata, ancora, in serata, nella Cattedrale di Nola si è tenuto lo spettacolo “Chiaroscuro – Tableaux Vivants da Caravaggio e i Caravaggeschi”. Spazio anche allo sport, inoltre, nel week-end 9-10 aprile con una maratona, calcio, basket e scacchi, tutto con un solo leitmotiv: “il gioco non ha frontiere”, e alla letteratura con la presentazione e la discussione, presso il Teatro Umberto di Nola, del libro «Nel mare ci sono i coccodrilli» di Fabio Geda.

Queste sono solo alcune delle

numerosissime iniziative che hanno caratterizzato questa quarta edizione del festival e hanno permesso alle centinaia di ragazzi coinvolti di approfondire, in diversi modi e a diversi livelli, il tema della “migrazione” e tutto ciò che ruota intorno – le frontiere, i confini, il viaggio, l’incontro la diversità etc. – secondo un metodo che li ha visti protagonisti e non solo soggetti passivi di trasmissione di contenuti formativi.

Oltre alla molteplicità delle iniziative va segnalata anche la vastità del coinvolgimento territoriale: Casamarciano, Cicciano, Marigliano, Nola, Ottaviano, Pomigliano D’Arco, San Vitaliano, Scisciano, Somma Vesuviana i comuni toccati dall’evento; circa trenta le scuole del territorio coinvolte; una ventina le associazioni e i movimenti interessati.

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mensile della Chiesa di Nola

È deceduto all’età di 86 anni, a seguito di un incidente

automobilistico, a pochi chilometri dalla sua amata Missione di San Giuseppe, Padre Angelo Maria Ciccone, dell’Ordine dei Servi di Maria, frate conosciuto e stimato negli ambienti della Diocesi di Nola. La notizia ci è giunta nel tardo pomeriggio di lunedì 22 febbraio ed ha gettato nella più viva costernazione l’intera comunità di sostenitori, amici e parenti, che lo hanno accompagnato nel suo percorso di vita missionaria.

Da più di 60 anni in Swaziland, piccolo stato dell’Africa del Sud, Padre Angelo ha creato nella comunità di San Giuseppe un

vero e proprio “villaggio della speranza”, dove vengono accolti con dedizione handicappati, lebbrosi, malati di AIDS, poveri e disadattati. Nella missione, vasta per territorio, popolata da duemila, fra studenti e lavoratori, Padre Angelo ha fondato scuole di riabilitazione fisica e psicologica, strutture per ciechi, sordomuti, officine meccaniche, una falegnameria, laboratori artigianali, scuole primarie e secondarie, organizzate secondo il criterio dell’integrazione sociale e della solidarietà cristiana, in una terra, segnata da forti prevaricazioni sociali e da discriminazioni etniche.

Nato a Napoli nel 1930,

ordinato sacerdote nel 1955, P. Angelo iniziò il suo impegno nel 1957. Per tutta la vita non ha mai dimenticato le proprie origini di Piazzolla di Nola: radici semplici, dal forte contenuto identitario, mantenendo vivo un rapporto intenso con la comunità e i tanti amici che lo hanno amato e seguito nel suo sforzo umanitario.

Fu durante il primo decennio di attività che Padre Ciccone scoprì che, nella considerazione dei locali, gli handicappati venivano additati come “portatori di sfortuna”, soggetti da isolare, se non addirittura da eliminare. Era il risultato aberrante di quella parte della cultura Bantù dominata da credenze

Padre Angelo Ciccone, missionario di Piazzolla di Nola

NAPOLETANO DI NASCITA, SWAZI D’ADOZIONE di Davide D’Alessandro

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in diocesie pregiudizi religiosi e che trovava nei potentissimi stregoni Abatsakatsi la sua espressione più violenta ed irriducibile.

Il guanto di sfida P .Angelo lo lanciò qualche anno dopo, il 28 dicembre 1968, quando il primo gruppo di handicappati fu accolto in missione. “Forse fu proprio quel giorno - scriveva P. Angelo Ciccone - che il Signore mi ispirò a spargere un seme: valorizzare in senso sociale gli handicappati. Incominciai con i ciechi, poi i menomati fisici, poi i mentalmente ritardati, infine un centro di riabilitazione per handicappati”.

Nel 1969 in missione si contavano centoventi diversamente abili, a cui il missionario procurava cibo, vestiti, carrozzelle, stampelle, istruttori, fisioterapisti, e metteva a disposizione locali idonei; ma era sempre più difficile tirare avanti, tanto che P. Angelo decise di allestire una

campagna di raccolta fondi. Riuscì a raccogliere risorse tra Italia, Germania, Austria, che furono impiegate per lo sviluppo del primo centro di accoglienza e riabilitazione del Sud Africa, interamente dedicato agli handicappati.

Ma era solo l’inizio. Malgrado le istituzioni locali avanzassero riserve di ogni tipo, P. Ciccone si spinse oltre. Per un inserimento più organico nel mondo del lavoro, egli non volle separare gli handicappati dai ragazzi normali, atteggiamento rivoluzionario e vincente, che scatenò la reazione delle frange più oltranziste, poligamiche ed animiste Swazi, che gli procurarono due accoltellamenti ed aggressioni, a cui egli oppose il solito caparbio impegno. Alla fine degli anni settanta, il progetto di riabilitazione degli handicappati conquistò il cuore degli Swazi, i quali, cominciarono

ad aiutarlo, segno che la solidarietà e l’amore, se saputi comunicare, possono sconfiggere odio e discriminazione. Il tempo era maturo per operare il salto di qualità che si compì con il progetto Ekululameni in cui la tanto sospirata inversione di tendenza si concretizzò in maniera definitiva: “Quel seme gettato a fatica, è diventato un albero fiorente”, diceva. Oggi, chi pensa al mantenimento delle attività presenti in missione sono gli handicappati stessi, gli ex alunni del centro, diventati insegnanti esperti e qualificati. Molti di loro sposati e con figli bellissimi.

Avviato il progressivo inserimento nella vita sociale dei diversamente abili, P. Angelo ha incominciato a diffondere metodologie riabilitative che hanno trovato positivo accoglimento nel resto dell’Africa del Sud e i tanti progetti posti in essere stanno calamitando l’interesse dell’Europa che da qualche anno ha istituito osservatori specializzati e centri di accoglienza.

Di questo, e di tanto altro, parlò ospite in un’edizione di “Domenica in” e in due partecipazioni al “Maurizio Costanzo Show”. I suoi interlocutori gli chiedevano come avesse superato le difficoltà insite in un progetto di quella portata, in una terra dalle grandi emergenze sanitarie e da una cronica instabilità politica. P. Angelo rispondeva che bisognava essere un po’ napoletani e molto confidenti nell’aiuto di Dio. Dunque, tanta fede e un po’ di filosofia, la ricetta di P. Angelo che, guardando oltre,

lanciò, nel 2004, un nuovo piano umanitario, stavolta in Mozambico, che oggi è entrato nella sua fase più matura. Esso rappresenta l’ultimo impegno, in ordine di tempo, a cui P. Angelo ha lavorato. Il concetto di riabilitazione, applicato fino quel momento a soggetti con difficoltà fisiche e psichiche, è stato esteso ad una comunità di lebbrosi, la più grande del Sud Africa, che vive ai margini della foresta di Massavelene, tristemente famosa per gli eccidi perpetrati durante la guerra civile mozambicana.

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mensile della Chiesa di Nola

La storia degli MGDays è la storia di una intuizione suscitata da

un desiderio: provare ad integrare in un unico evento la molteplicità di carismi e di esperienze che costituiscono la linfa vitale della Chiesa.

Promosso per la prima volta nel 2015 dal Movimento Giovanile Domenicano di Madonna dell’Arco, il tema guida dell’edizione inaugurale è stata la Gioia: « Chiedete e otterrete, perchè la vostra gioia sia piena.» ( Gv, 16, 23-28). Quest’anno gli MGDays 2016, con il supporto e il coordinamento della domenicana Provincia San Tommaso D’Aquino guidata da Padre Francesco La Vecchia, si sono inseriti all’interno delle attività celebrative del Giubileo Domenicano e dell’anniversario degli 800 anni dalla bolla papale con cui Onorio III consentiva la fondazione dell’Ordine a San Domenico di Guzman.

Il tema della seconda edizione ha fatto eco proprio al tema del Giubileo Domenicano e richiama in maniera chiara alla prima missione della Chiesa: « Inviati a Predicare il Vangelo». Un invito a riscoprire la bellezza del servizio alla Verità nella consapevolezza che ogni cristiano, senza distinzioni, è chiamato ad annunziare il Vangelo.

L’agenda è stata ricca di contenuti e testimonianze. La partecipazione di diversi Gruppi e Comunità ha dato l’opportunità di ascoltare il racconto di fruttuose esperienze di Chiesa; la Veglia serale in Santuario ha rappresentato l’occasione per riscoprire l’importanza della preghiera tra i frenetici impegni delle nostre giornate; la formazione e il confronto intorno al tema dell’evento, grazie agli interventi dei rappresentanti della Famiglia Domenicana, è stata l›occasione per provare a condividere le proprie idee e a crescere attraverso lo scambio di opinioni; le testimonianze di

Don Giacomo Pavanello di Nuovi Orizzonti e di Don Ivan Licinio della Pastorale Giovanile di Pompei sono stati momenti unici per scoprire come la forza della Chiesa stia anche nella diversità degli approcci pastorali; il Musical Dominicus infine ha rappresentato la piacevole sintesi culturale tra religione, musica e arte del teatro.

Per coloro che si fanno promotori di una iniziativa simile, la gioia negli occhi dei partecipanti e l’interesse crescente delle persone - che in taluni casi anche solo per curiosità si sono messe in ascolto - costituisce lo stimolo a non fermarsi davanti alle difficoltà

quotidiane che ogni comunità vive nel tentativo di testimoniare la parola di speranza che ci ha lasciato Cristo.

Ma soprattutto ció che ha colpito in maniera chiara è quel senso di normalità che si respirava e che è stato percepito tuttavia come la vera originalità della testimonianza cristiana al giorno d’oggi: persone normali che fanno leva sulla loro normalità per diffondere un messaggio rivolto in maniera unica e speciale ad ognuno di noi.

Forse è proprio la semplicità delle persone comuni, che tali si sentono nel loro servizio, a trasferire quel senso di straordinario così intensamente

A Madonna dell’Arco la II edizione del meeting promosso dal Movimento Giovanile domenicano

DIALOGARE PER SPERARE di Pasquale Scognamiglio

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in diocesiricercato da giovani e adulti.

Gli MGDays sono la conferma che è Dio a rendere capaci coloro che chiama; e rappresentano anche il tentativo di avviare un dialogo sul territorio che possa permettere alle comunità cristiane di costruire una rete di fruttuosa di relazione e di condivisione.

Il Sinodo della Chiesa di Nola ha rappresentato, sulla stessa lunghezza d’onda, l’opportunità di guardarsi negli occhi e, sotto una guida sapiente, individuare percorsi di crescita comuni valorizzando parallelamente quanto di buono vive ed esiste sul territorio.

Il Dialogo è un’arma letale per chi si oppone alla Verità e in questo contesto l’incontro e la relazione diventano strumenti fondamentali a nostra disposizione per rendere concreta la nostra fede e testimoniarla coerentemente. A volte uno sguardo, un silenzio, un gesto, possono essere infatti molto efficaci nella creazione di un canale di comunicazione con l’altro. Molto più di tante parole tese a dimostrare specifiche competenze o eventuali qualità da mostrare necessariamente. Ripartiamo dunque dalle Persone. Dalla necessità di comprendere silenziosamente i loro bisogni; dal desiderio di conoscere le loro storie e silenziosamente nutrire nei loro confronti un sublime rispetto; dall’entusiasmo di entrare in sintonia con i loro cuori e trasmettere le meraviglie che Dio Compie nella vita di ognuno.

La missione a tutti indirizzata di essere «Inviati a Predicare il Vangelo», al giorno d›oggi, diventa anche e soprattutto invito ad includere l’Altro nel nostro perimetro di attenzione defocalizzando noi stessi dal perenne tentativo di sentirci protagonisti.

Fare spazio all›altro offrendo un dialogo prima per dare e poi ricevere: è forse questa una delle sfide più importanti a cui siamo chiamati a rispondere per essere testimoni coerenti di Cristo e del suo eterno sacrificio.

E in questo contesto gli MGDays hanno voluto rappresentare proprio un tentativo di risposta a questa bellissima chiamata.

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aprile - maggio 201620

mensile della Chiesa di Nola

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21aprile - maggio 2016

Le mani nella storiaA Nola, l’Ac “Paolino Iorio” ha promosso un pomeriggio alla scoperta della cartapesta

Una casa per i più piccoliContinuano i lavori di costruzione del progetto della parrocchia S.Francesco di Paola di Scafati

La forza delle idee“Caffè teologico” a Mugnano del Cardinale dedicato a giovani e lavoro

In Parrocchia

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mensile della Chiesa di Nola

Sabato 2 aprile, alle ore 15:00, piazzale della Parrocchia

Maria SS della Stella di Nola, noi animatori dell’Acr eravamo ad aspettare i nostri ragazzi per un›attività speciale: diventare parte della storia e della cultura nolana.

Una domanda speciale ha infatti aperto l’intendo pomeriggio che ha visto coinvolti bambini dell›acr dai 5 ai 14 anni accompagnati dai loro genitori e aiutati dai giovanissimi: «Se vi dico cartapesta cosa vi viene in mente?»; «I gigli!», è stata l’immediata risposta. Sono infatti venuti a trovarci gli amici dell› «Officina dell›Arte», Leopoldo Santaniello ed Enrico Graziano che, con pazienza e dedizione, ci hanno aiutato a realizzare piccole forme in cartapesta.

Abbiamo iniziato con l›osservare la lavorazione dell›argilla e la colatura di gesso fatta dai maestri. Le loro mani grandi ed esperte accarezzavano la terracotta dandole forma e raccontavano ai bambini un po› della nostra storia. Intorno c›era silenzio! Mai, noi educatori, il sabato abbiamo assistito a così tanto silenzio. Gli unici suoni erano le loro domande curiose e il battito del loro cuore ansioso di prendere parte a quel progetto. Il nostro compito, e quello dei genitori, era di ricoprire di fogli di giornale e cartapesta le forme di gesso. «Francesca sei un po› lenta a mettere la colla, forse dobbiamo sostituirti.» mi ha detto il piccolo Salvatore che era accanto a me. Le mie mani non erano veloci come le loro e spesso, devo ammetterlo, ero lenta davvero ma i miei occhi si perdevano ad osservarli e mi piaceva ascoltare con quanta pazienza spiegavano ai genitori il da farsi.

In quel pomeriggio i veri maestri sono stati loro, le vere opere d›arte erano quelle dita piccolissime che riuscivano a ricoprire di carta ogni singolo

A Nola, l’Ac “Paolino Iorio” ha promosso un pomeriggio alla scoperta della cartapesta

LE MANI NELLA STORIA di Francesca Pia Puca

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in Parrocchiabuco dello stampo in gesso. I genitori alle loro spalle e con le mani sporche sorridevano orgogliosi: sono ritornati ad essere bambini insieme ai loro piccoli! «Quest’arte dà molte soddisfazioni e piace soprattutto ai piccoli – ci hanno raccontato Enza ed Igmer, due genitori - perché permette loro di creare partendo da materiali semplici come acqua, farina e tanti pezzetti di carta e giornali. Ma l’ingrediente fondamentale è stato l’amore, l’impegno, la gioia e l’armonia di collaborare insieme ai loro amici e ai loro genitori per creare decorazioni

stupende. Noi genitori che abbiamo avuto il privilegio di accompagnare ed aiutare i nostri figli in questo meraviglioso evento abbiamo impresso nel nostro cuore tutte queste immagini di volti così gioiosi e sorridenti dei nostri figli».

Al termine dell›attività abbiamo annunciato che ci sarebbe stato un secondo incontro, bisognava pitturare le nostre opere! La gioia dei piccoli era immensa e i grandi senza nessuna esitazione hanno confermato la loro presenza. Ecco, dopo due sabati eravamo di nuovo lì fuori, eravamo di più perché «ci siamo alzati e siamo

andati in fretta» ad annunciare la nostra gioia. Abbiamo pitturato di bianco le opere e abbiamo atteso che si asciugassero. I piccoli volevano pitturare ancora ma le opere in gesso erano terminate… e allora quale scultura migliore delle braccia di mamma e papà? Anche il secondo sabato è terminato con tanta gioia nel cuore. Siamo diventati anche noi parte di questa tradizione nolana e ora, in questo giugno e nei successivi, mentre guarderò i nostri gigli ballare penserò a quelle mani, a quei sorrisi, alla cura e all›impegno dei miei grandi artisti!

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mensile della Chiesa di Nola

Continuano i lavori di costruzione del progetto della parrocchia S.Francesco di Paola di Scafati

UNA CASA PER I PIÙ PICCOLIdi suor Patrizia Panizzini

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi

miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) è certa-mente la Parola più adatta per narrare questa storia!

Nella nostra parrocchia, per venire incontro ai bisogni dei po-veri, già da tempo, avevamo un servizio guardaroba e un centro medico per offrire visite e me-dicinali. Cercavamo di aiutare le famiglie anche con generi ali-mentari, corredini per i bambini ecc.

Ci accorgemmo però che tutto questo non bastava. L’impoten-za di fronte a certe situazioni estreme ci interrogava e ci spin-geva a cercare nuove opportuni-tà.

Come fare per dare alloggio a chi concretamente vive per strada? Dare vestiti e medicine alle volte non era sufficiente. Serviva un buon piatto caldo, un letto per dormire … una casa dove stare! Si cominciò a ipotiz-zare la realizzazione di una casa dove poter “mangiare, dormire, vestirsi” … ma dove? Con quali soldi? ... non sapevamo ancora, ma si decise di iniziare!

Nacque così l’idea de “La Casa di Francesco” (dal nostro San-

to Patrono Francesco di Paola, grande esempio di carità, tanto da scegliere Charitas come suo motto).

Subito si creò un gruppo che si occupasse della stesura di un progetto e, visione forse azzar-data, si pensò di costruirla nella parte sottostante della chiesa in una grande intercapedine, allo-ra adibita a deposito. Come San Paolino costruì il monastero so-pra la casa per i poveri, così noi avremmo avuto la nostra chiesa collocata sopra “la Casa di Fran-cesco”.

Emblematico disegno: la casa si regge grazie alle fondamenta e noi, collocando la casa di Fran-cesco nelle fondamenta della nostra chiesa, volevamo fossero i poveri a reggere e fortificare la nostra fede, sollecitata ma spes-so insufficiente di fronte a situa-zioni di profonda indigenza.

Anche la vicenda di Stefano ci scosse molto.

Stefano era un “vagabondo” che, per così dire, “alloggia-va” alla chiesa piccola, quella dell’Adorazione. Fu trovato mor-

to una mattina e proprio mentre la salma entrava in chiesa per le esequie, i tecnici stavano pren-dendo le misure per iniziare il progetto di costruzione. Per noi fu un ulteriore segno di Dio: non potevamo aspettare! I poveri ci interpellavano e ci chiedevano risposte concrete.

La Provvidenza di Dio non si fece attendere! Vincemmo il primo premio “ifeelCUD” indet-to dalla CEI e così arrivarono i primi proventi per dare inizio al nostro sogno.

Ma il Signore ha sempre visioni più ampie, rispetto alle nostre e vede oltre i nostri “progetti”.

Dio ci fornì subito l’occasione di sperimentare fattivamente la vicinanza ai poveri e prima di poter toccare i muri della co-struzione, ci chiese di toccare “la carne di Cristo”.

A gennaio, l’impellente freddo e il ricordo della vicenda di Ste-fano, ci spinse a creare un grup-po chiamato per l’appunto “Gli amici di Stefano”.

L’intento era di girare in quel-le fredde sere, nelle strade del-

I lavori per la costruzione de “La Casa di Francesco”, il pro-getto della Parrocchia San Fran-cesco di Paola di Scafati che si è aggiudicato il primo premio dell’edizione 2015 di IfellCUD (www.ifeelcud.it) sono iniziati, come testimoniano le foto che corredano l’articolo. Già attiva dal dicembre 2015, presso i lo-cali della parrocchia, la “Casa” ha svolto un ruolo importante per far fronte all’emergenza freddo di gennaio un pasto cal-do, una doccia e la possibilità di dormire.

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in Parrocchia

la nostra città, per portare una bevanda calda, una coperta, un panino agli indigenti che avrem-mo trovato.

Il 17 gennaio partì la prima “spedizione”. Quella sera faceva veramente freddo e trovammo tre persone accampate a terra sotto un portico mentre cerca-vano di scaldarsi con delle co-perte decisamente insufficienti per il freddo della notte.

Avevamo pensato di dare loro thè caldo e coperte ma non riu-scimmo a lasciarli in quelle con-

dizioni. Fu così che si decise di portarli in Parrocchia. Avevamo delle brandine e preparammo loro i letti nel salone parrocchia-le. I giorni successivi furono un grande esempio di solidarietà da parte di tutta la comunità citta-dina che, avvisata da don Peppi-no, cominciò a portare coperte, viveri e tutto quello che poteva servire per accudire i nostri ospi-ti che nel frattempo crescevano di numero.

Da quel giorno, mentre si con-tinuano a costruire e consolidare

i muri della casa, si rafforzano la solidarietà e la cura per questi nostri fratelli diventati parte in-tegrante della nostra comunità.

“È la radice che porta te” scri-ve San Paolo. E noi, da questa radice, da questa casa costruita “sotto terra” vogliamo attingere quella linfa di Carità che ci nutre e ci sostiene per essere “cristia-ni autentici, non di beneficien-za” (Papa Francesco).

Come finisce questa storia? … Stiamo continuando a scriverla con “pietre vive”!

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mensile della Chiesa di Nola

“Caffè teologico” a Mugnano del Cardinale dedicato a giovani e lavoro

LA FORZA DELLE IDEEdi Michela Ilenia Ambrosino

É bastato un primo appunta-mento con il “Caffè Teolo-

gico”, organizzato dall’Azione Cattolica di Mugnano del Car-dinale agli sgoccioli del vecchio anno, per capire che di caffè in-sieme ne avremmo presi ancora tanti.

Dopotutto ognuno di noi è abi-tato da una gran moltitudine di domande, che nascono dal pro-fondo e ci spingono a cercare risposte ad interrogativi spesso sopiti dalle mille faccende quo-tidiane che siamo chiamati a sbrigare, ma che al tempo stes-so determinano la qualità della nostra vita.

Giovani e lavoro: la forza delle idee. Questo il tema scelto per il secondo appuntamento, que-sta volta in collaborazione con il team diocesano del Progetto Policoro che, venerdì 15 aprile, ha radunato presso la caffetteria Il Caveau, un bel gruppo di gio-vani e meno giovani, per lo più del territorio mandamentale, spinti dalla voglia di confrontar-si, dialogando amichevolmente, con naturalezza e spontaneità, davanti ad una buona tazzulella e cafè.

A guidare l’incontro, Salvatore Cioffi, manager d’impresa, ami-co e membro dell’équipe dioce-sana del Progetto Policoro, che ha coinvolto tutti raccontando la sua storia, le fatiche e le gioie del complessomondo del lavoro.

Un’esperienza intensa e bellis-sima, la sua, fatta di alti e bassi, certo, ma vissuta sempre inten-samente, con impegno, lealtà e senso del dovere.

Una storia cominciata vent’an-ni fa grazie ad un incontro specia-le, con l’allora nascente realtà del Progetto Policoro. Salvatore aveva assistito in parrocchia alla presentazione del Progetto dio-cesano ed aveva raccolto quel seme di speranza con grande en-tusiasmo.

Da lì, insieme a qualche com-pagno d’avventura, la voglia di mettersi in ascolto del territorio per intuirne bisogni e opportu-nità. Un percorso lungo, com-plesso, forse molto più di quanto avesse mai potuto immaginare. A piccoli passi però, il sogno pren-de forma. Nel 1999 finalmente un’occasione formativa impor-tante presso l’Interporto di Ve-rona in partenariato con l’Inter-

porto di Nola. Un’esperienza di reciprocità, valore fondante del Progetto Policoro, che tenta di costruire una rete di relazioni che favorisca la comunicazione e lo scambio di doni tra le Chie-se, la cooperazione tra il Nord e il Sud d´Italia, affinché “la co-munione ecclesiale sia fermento di solidarietà sociale e di unità nazionale” (CDCS 22).

Così, maturate le prime com-petenze nel settore della logi-stica, viene fondata nel 2001 la Fastlog, primo nucleo coopera-tivistico dell’attuale Consorzio Genesy, che oggi, dopo quindici anni di fruttuosa attività, conta oltre 450 dipendenti e 20 clienti di primaria importanza nel setto-re dei trasporti e della logistica. Insomma un fiore all’occhiello per il Progetto Policoro dioce-sano e nazionale. Un racconto intenso e coraggioso come que-sto, di speranza vera, concreta, vissuta non chissà dove, ma qui, nella nostra terra, non pote-va che alimentare uno scambio vivace di riflessioni, opinioni, esperienze personali.

A me e Don Giuseppe Autori-no, rispettivamente animatrice di comunità e tutor diocesano del Progetto Policoro, il compito di ribadire ancora il grande va-lore del Progetto ele tante op-portunità di accompagnamento e orientamento che offre ai gio-vani del territorio, in modo par-ticolare quelli che vogliono rea-lizzarsi attraverso un progetto di autoimprenditorialità.

Proprio come accaduto a Sal-vatore e ad altri come lui. Delle volte basta un caffè e la giusta compagnia per ritrovare speran-za, entusiasmo e fiducia nei ta-lenti propri e del territorio che abitiamo.

Al prossimo appuntamento.

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Vigilare con amoreVivere le opere di misericordia nel rapporto con le nuove generazioni

Istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosiLa catechesi tenuta a Pompei dai coniugi Miano

Tre città per PaolinoA Cimitile, Nola e Napoli tre incontri con al centro il Santo vescovo

In Rubrica

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mensile della Chiesa di Nola

Vivere le opere di misericordia nel rapporto con le nuove generazioni

VIGILARE CON AMOREdi Pasquale Violante

Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica “le opere di

misericordia sono azioni carita-tevoli mediante le quali aiutiamo il nostro prossimo nelle sue ne-cessità corporali e spirituali” (n. 2447). Quelle di misericordia spi-rituale sono sette: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoran-ti, ammonire i peccatori, conso-lare gli afflitti, perdonare le offe-se, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Le tre opere iniziali - consigliare i dubbiosi, in-segnare agli ignoranti, ammonire i peccatori - possono essere defi-nite opere di Vigilanza, in quan-to invitano a vigilare con amore verso coloro che hanno bisogno di sicurezza, non sanno o sbagliano.

Le suddette opere di Vigilanza sono le più vicine alla mia espe-rienza di padre, di insegnante e di diacono. Infatti sia come pa-

dre che come insegnante, soven-te devo consigliare, insegnare ed ammonire figli e studenti. E questo lo faccio sempre in un’ot-tica cristiana, in obbedienza al mandato ricevuto dal vescovo il giorno dell’ordinazione diacona-le: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziato-re: credi sempre a ciò che procla-mi, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.

Molti miei studenti (dell’Istitu-to Tecnico Industriale “E. Medi” di S. Giorgio a Cremano, in pro-vincia di Napoli) sono sorpresi di avere un professore di fisica che è anche cristiano e diacono e mi chiedono: “Ma come è possibi-le che lei sia un uomo di scienza ed anche un uomo di fede?” Ed io gli spiego che secondo il padre della scienza moderna, Galileo, tra scienza e fede non c’è alcuna contraddizione, perché il discor-

so scientifico tende a farci capire come funziona il mondo, mentre il discorso religioso si preoccupa del senso. La scienza non vede il senso della vita, mentre la fede è incompetente sui fenomeni na-turali. Scienza e fede cammina-no su binari paralleli, per cui non possono scontrarsi: la scienza ci dice “come va il cielo” e la fede “come si va al cielo”. Ed infatti ci sono sempre stati sia scienziati credenti che atei.

Inoltre spiego ai miei studenti quanto scritto dal fisico Zichichi nel suo libro Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo e cioè che “l’ateismo è una costru-zione logica contraddittoria”. In-fatti la matematica non è riuscita a dimostrare il Teorema che Dio non esiste. D’altra parte la scien-za non ha mai fatto una scoperta che porti alla negazione di Dio. L’ateo dice di credere solo in ciò

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29aprile - maggio 2016

in rubricache si può dimostrare razional-mente, ma la ragione non riesce a dimostrare la non esistenza di Dio e tuttavia l’ateo dice che Dio non esiste, cioè crede in qualcosa che non può dimostrare: ecco la contraddizione dell’ateismo.

I ragazzi manifestano un diffu-so analfabetismo religioso (molti non vanno in chiesa dal giorno della Prima Comunione), ma an-che una grande sete di conoscere più da vicino Gesù. Sono infatti tante le domande che mi fanno. Io rispondo con passione e qual-cuno mi dice che avrei potuto fare anche il professore di reli-gione.

Ma vorrei qui citare una sto-ria per me particolarmente si-gnificativa. Uno studente, Marco Di Giorgio, dice di essere ateo perché solo un folle può sceglie-re qualcuno (Dio) o qualcosa (la vita eterna), di cui non si ha la certezza che esistano. Io gli ho spiegato che l’uomo compie quo-tidianamente scelte di cui non ha certezza, per esempio chi si spo-sa non ha la certezza che il suo matrimonio sarà felice. Marco è un ragazzo molto affascinato da Gesù, che però reputa un folle ed io gli ho detto che Gesù aveva la follia dell’amore che arriva a dare la vita per chi si ama, ma Marco pensa che follia vuol dire anormalità e lui dice di voler es-sere normale. Con Marco ho sta-bilito un bellissimo rapporto, lui mi manda messaggi sulla fede ed io gli rispondo. È un dialogo con-tinuo, improntato al rispetto ed affetto reciproco, che sta facen-do crescere lui e me. Marco dice che io sono un maestro di vita, ma i maestri imparano sempre qualcosa dagli allievi. Io penso che Marco sia un ragazzo che cre-de con il cuore ma non riesce a credere con la mente, anche se ha riconosciuto che un giorno po-trebbe diventare credente. Io gli ho detto che se lo farà diventerò suo padrino di cresima e lui mi ha risposto che sarebbe una bella cosa. Il confronto tra lo studen-te ateo e il professore credente continua.

La catechesi tenuta a Pompei dai coniugi Miano

Istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosidi P.V.

Il santuario di Pompei ha proposto recentemente un ciclo di catechesi sulle Opere di Misericordia. Una di queste catechesi è stata tenuta il 30 marzo dai coniugi Franco Miano (ex presidente nazionale di Azione Cat-tolica) e Pina De Simone (ex presidente diocesana di Azione Cattolica), che hanno trattato le due Opere di Misericordia “Istruire gli ignoranti – Consigliare i dubbiosi”.Ha iniziato la prof.ssa De Simone con “Istruire gli ignoranti”, afferman-do che “la sapienza è un bene inestimabile, al cui confronto tutto è nulla. Sapienza e verità hanno un valore inestimabile”. Ma l’uomo ha davvero la possibilità di possedere la verità? Secondo la prof.ssa De Simone no, perché “la verità non è un possesso, ma un incontro con la persona di Gesù, perché è Lui la Verità. Cercare la verità è un cam-mino. E allora istruire gli ignoranti non vuol dire che c’è qualcuno che possiede una verità da trasmettere ad altri, ma significa che dobbiamo istruirci gli uni gli altri, sostenerci in questa ricerca della verità”. Ognu-no di noi ha la responsabilità di scoprire la verità senza pretendere di separare gli uomini tra chi sa e chi non sa, perché tutti hanno bisogno di imparare ed ognuno può offrire agli altri insegnamenti significativi. E allora possiamo comprendere “la dimensione spirituale dello studio. Occorre riconoscere il legame che esiste tra amore e conoscenza, per-ché l’amore è fonte di conoscenza: conosciamo ciò che amiamo e non possiamo conoscere senza amare”. La prof.ssa De Simone ha voluto evidenziare un altro importante concetto, cioè che “conoscere porta ad amare di più per servire di più, perché la conoscenza non è qualcosa che possiamo tenere per noi. Se infatti la verità è un dono, essa chiede di essere ridonata”.È seguito l’intervento del prof. Miano su “Consigliare i dubbiosi”. Egli ha affermato che “istruire gli ignoranti va di pari passo con consigliare i dubbiosi, perché ogni ricerca autentica è fatta di difficoltà. Ci sono due modi per intendere il dubbio. C’è il dubbio che non ci fa agire, oppure ci rende disfattisti. È il dubbio distruttivo, che non porta da nessuna parte. Ma c’è anche un dubbio positivo del quale non bisogna aver paura”. Il dubbio non può essere mai eliminato completamente, ma “chi si pone le grandi domande della vita, attraversando la fatica del dubbio, è già sulla strada della risposta. Riuscire a trasformare il dubbio in ricerca autentica è un’arte da ritrovare”. Ma per fare questo bisogna porsi in ascolto, per aiutare l’altro a fare un’opera di discerni-mento. Così, secondo il prof. Miano, si riuscirà a “trasformare i dubbi in domande e le domande in risposte possibili”. Il cammino dovrà esse-re sempre personale, quindi chi consiglia deve avere a cuore la libertà dell’altro, senza indicare una direzione prestabilita. Il prof. Miano ha concluso affermando che “la speranza deve essere la parola conclusiva di chi consiglia, che deve offrire ragioni di vita e di speranza”.

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mensile della Chiesa di Nola

A Cimitile, Nola e Napoli tre incontri con al centro il Santo vescovo

TRE CITTÀ PER PAOLINOdi Luigi Mucerino

Alcuni luoghi si rivestono ta-lora di significato simbolico

o quantomeno rivelano potere evocativo particolare a motivo di circostanze storiche. La re-cente pubblicazione di Giovanni Santaniello, fuori dal comune per la densità e l’estensione del contenuto, riguardante San Pa-olino da Bordeaux e Vescovo di Nola, è stata in successione cro-nologica esposta e presentata in tre vetrine speculari alla vita del Santo e all’attività di ricerca in atto intorno a lui.

In fase di avvio non si poteva concepire altra sede se non Ci-mitile, dove nel mese di settem-bre dello scorso anno ha parlato Mons. Domenico Sorrentino con spirito di partecipazione e di sa-pienza. Gli è ben riuscito met-tersi dalla parte del monaco di Cimitile per narrare l’esperienza incrociata di Cristo, della Chiesa e dei poveri; dalla parte dell’a-mico don Giovanni e condivi-derne la singolare commozione; mettersi ancora dalla parte del-la sua nativa diocesi per scor-gere in Paolino un testimone di spiritualità sinodale, secondo le suggestioni ricorrenti di Mons. Beniamino Depalma. Non serve sottolineare l’idoneità di Cimiti-le per la presenza di San Felice, per la ricchezza architettonica delle basiliche, per l’opzione sperimentale dei poveri, non meramente preferenziale atte-stata dalla sociologia religiosa degli ultimi tempi. Da Cimitile a Nola, presso il Seminario Vesco-vile, altra stazione del viaggio, perché di un viaggio si è trattato per il nostro autore, perseguito con passione e tenacia, con se-gnali chiari e sospensioni rasse-gnate. Perciò oggi l’approdo si intesse di gratificazione e plauso del tutto meritati. Era il mese

di novembre dello scorso anno, quando il salone delle conferen-ze del Seminario pur così ampio fu messo alla prova per il gran numero di studiosi, amici e cu-riosi, perché don Giovanni con il passare degli anni (dei decen-ni) si è costruito un nome serio che suscita attese e non manca di risposta. A svolgere il ruolo di “mediatore” fu il prof. Marcello Marin dell’Università di Foggia, che si diede a sfogliare il testo con garbo espressivo ed abilità intellettuale: il raccordo tra le parti, la coerenza intrinseca del dettato, la continuità discorsiva, il peso ruvido e accattivante del-la ricerca. La scelta di Nola era scontata, perché sede del Santo Pastore ed epicentro della Dio-cesi; non poteva rimanere muta la Biblioteca Diocesana San Pao-lino dove trova spazio il vagone di libri maneggiati da Santaniello e non semplicemente citati.

Dopo Cimitile e Nola siamo sta-ti a Napoli che per conto suo non ha titoli minori. Le motivazioni non sono meno belle, a comin-ciare dal verde scenario della collina di Capodimonte che fa da ringhiera sulla fitta trama della città di Napoli e il golfo azzurro senza confini.

La presentazione del volume si è avuta nell’aula magna della Casa del Volto Santo in Via dei Ponti Rossi, dove perdura da ol-tre mezzo secolo la memoria di santità di Madre Flora De San-ctis attraverso la presenza acco-gliente e missionaria delle Suore Ancelle di Cristo Re. Ci ha fatto l’onore di parlare il Rettore Ma-gnifico della Pontificia Univer-sità Lateranense, Mons. Enrico del Covolo, in coerenza con la sua riconosciuta preparazione patristica, interpretando peral-tro in modo unanime e sponta-

neo l’ammirazione per l’autore. È stata un’iniziativa organica, perché l’attenzione scientifica riservata a San Paolino si inqua-dra in un percorso quasi quaran-tennale di ricerca e di documen-tazione rispetto ai Padri della Chiesa per merito delle stesse religiose. Non si poteva tollera-re l’esclusione di un San Paolino vista la sua figura e considerate le sue correlazioni con il mondo patristico.

La Lectura Patrum Neapolita-na interroga il passato con stile accurato ed inserisce anche in-teressanti collegamenti con il nostro tempo, come testimonia la voce di Cristina di Lagopesole, solitaria religiosa della Lucania, singolare per la solidità scienti-fica poliedrica e l’ispirazione li-rica della produzione in atto. E non sono i soli motivi che porta-no Napoli verso San Paolino.

È del primo aprile di quest’an-no il riconoscimento come Patro-no secondario della Campania da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti di San Paolino “po-litico, intellettuale, artista, pa-store e servitore dei poveri”: un titolo idealmente antico, sto-ricamente proposto, due seco-li fa, dal sacerdote napoletano Gennaro Asprino Galante, oggi finalmente riconosciuto. Tutti sanno del vincolo politico-ammi-nistrativo di Paolino con la Cam-pania, la rete di relazioni con la regione. È sufficiente riportarsi alla lettera a Severo, alla te-stimonianza di Uranio, riguardo al Vescovo Gennaro di Napoli, all’ospitalità verso Melania Se-niore che da Gerusalemme arri-va a Napoli ed è scortata fino a Nola.

Per rimanere in tema di rela-zioni, piace rilevare la coinci-

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in rubricadenza che lo stesso gruppo di amicizia e di competenza che segue le ricerche, e gli studi paoliniani di Nola sostiene pa-rimenti la lettura Patrum a Na-poli, a testimonianza di come l’amicizia che si ispira a San Paolino non si contenti di poco. Ci piace con senso di gratitudi-ne e stima fare appena il nome del prof. Antonio Nazzaro, del-la prof. Teresa Piscitelli, del prof. Gennaro Luongo.

Non dovremmo a questo pun-to tralasciare, per completezza geografica nell’orizzonte cam-pano, un cenno almeno a Be-nevento, dove sono rimaste le spoglie di Paolino per circa un millennio, trafugate dai princi-pi longobardi prima di passare a Roma nell’Isola Tiberina fino al millenovecentonove. Alla sensibilità di Paolino sappiamo che non è indifferente esse-re anche dopo la morte in un luogo piuttosto che in un altro, sicché anche alla città del San-nio Egli ha esteso la sua prote-

zione come sentinella silenziosa in tandem con San Bartolomeo Apostolo.

Ai momenti ora di prima tra-smissione del testo è necessario che segua il contatto diretto, la lezione decentrata a cui singoli e gruppi devono procedere. Oltre il pregio scientifico, qui appe-na accennato, la pubblicazione su San Paolino riveste un carat-tere di sfida alla conoscenza e all’interiorizzazione, è segnale educativo, perché prevalga la profondità dei solchi rispetto all’aratura superficiale dei cam-pi. Non diciamo del significato ermeneutico, perché attenzione comparativa e soggettività di in-tervento, rispetto del dato stori-co e argomentazione teologica, libertà e limite dell’interprete si richiamano e si esaltano in modo reciproco elevando il libro di Santaniello ad un’opera senza scadenza. Pertanto San Paolino rimane in attesa di un incontro diretto personalizzato che non possiamo disattendere.

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UOMINI E DONNE DI QUESTA TERRA, ACCOGLIETECI!

A conclusione del Sinodo della Chiesa di Nola, io, pastore di questa Chiesa che il Signore mi ha affidato, insieme a tutto il popolo di Dio: presbiteri, diaconi, laici, religiose e religiosi, intendiamo rivolgerci a tutti gli uomini e le donne di questa terra, perché sappiano che davvero desideriamo incontrarli, ascoltarli, amarli, servirli.Negli anni che hanno preceduto il Sinodo, e lungo questi ultimi mesi, abbiamo percorso il faticoso sentiero del discer-nimento comunitario. Dinanzi ai nostri occhi sono emersi gli errori e le omissioni di cui siamo responsabili dinanzi al popolo che Dio ci ha affidato. Allo stesso tempo, in spirito di umiltà, sono emersi numerosi semi di bene e di solidarietà, i talenti che in tanti, instancabilmente, spendono nel campo sterminato dell’evangelizzazione, dell’educazione e della formazione, del sostegno ai poveri, dell’elaborazione e della prassi culturale e socio-politica.Ci sentiamo Chiesa fragile e ricca. Fragile, come sono fragili questi tempi. Ricca, perché accompagnata dalla Misericor-dia del Signore. Quella stessa Misericordia, che è Cristo, vorremmo invadesse i cuori di voi tutti che sentite nostalgia di Dio, di voi tutti che cercate un appiglio di senso, di voi tutti che cercate luoghi in cui sperimentare relazioni vive e autentiche.È stato costantemente richiamato, nel nostro Sinodo, l’esempio e la parola di Paolino di Nola. A lui guardiamo come possibilità concreta di vivere secondo lo Spirito ma restando pienamente incarnati in una Storia e in un Popolo. Alla sua scuola insieme a tanti e tante “ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ”*. ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ Cristo, la Parola, la Chiesa, riconoscendo in Gesù la nostra vera ricchezza, nella sua Parola l’unica fonte di gioia, nella Chiesa la comunità dei convocati dallo Spirito, chiamati a rispondere al suo appello di farci sale della terra e luce del mondo, per annunciare il Regno e il progetto di salvezza che è per ogni uomo, chiamati a farci prossimi e non protagonisti, servi e non padroni, capaci di riconoscerci come fragili vasi portatori del profumo di Dio.Ecco la prospettiva della nostra Chiesa diocesana, ecco la vetta alta che dobbiamo raggiungere: servire l’uomo con pas-sione, senso profetico e gratuità, perché questo servizio diventi preghiera di lode al Signore. Abbiamo tentato un lungo cammino d’immersione nella realtà che ci circonda al fine di cambiare mentalità, rinnovare in senso missionario la pastorale, promuovere nelle comunità cristiane della nostra terra un unico stile, quello dell’ac-coglienza e dell’apertura all’altro. In questi anni, carissimi amici, “ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ”.ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ i dimenticati, i poveri, gli ultimi e i penultimi di questa terra. Verso di voi, fratelli carissimi, abbiamo una responsabilità speciale: fasciarvi le ferite, nutrirvi di cibo materiale e spirituale, farvi sentire l’abbraccio di Dio, aiutarvi a riscoprire la vostra piena e luminosa dignità di figli prediletti del Signore. E denunciare senza tregua chi finge di ignorare la vostra esistenza.ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ i migranti, che sfidano il nostro senso dell’umano e il significato stesso della nostra fede in Gesù Cristo. La Chiesa di Nola vi dice, senza paura, che siete i benvenuti, che per noi siete persone e non nume-ri, una ricchezza, un dono e non un problema.ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ le famiglie e i giovani. La Chiesa di Nola sa che siete il grande tesoro di questa terra: avete affrontato la crisi con dignità e forza, avete protetto chi nel nucleo era più debole e indifeso: gli anziani, i disoc-cupati, i malati, i disabili, che facilmente vengono etichettati come “scarti” che non rendono nulla. Di tutto questo, grazie! Ora non lasciamo vincere la paura del futuro, non soffochiamo la speranza nella rassegnazione. Stringiamoci di più, stiamo più vicini, condividiamo i nostri timori e i nostri talenti. Non scappiamo dalle nostre città senza prima aver provato a cambiarle. Insieme. Insieme chiediamo ciò che ci spetta: opportunità di crescita e aggregazione, formazione, lavoro, ambiente salubre, trasporti dignitosi tra centro e periferia. E non lasciamo che l’individualismo ci convinca a rinunciare al grande sogno di Dio, che l’uomo e la donna stiano insieme, si amino e che il loro amore generi vita.ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ i piccoli, le nuove generazioni, e con loro i sempre più preziosi nonni, gli insegnan-ti, gli educatori, i catechisti. Abbiamo nuovamente compreso che il terreno dei bambini e dei ragazzi non è stato ancora contaminato da pregiudizi e violenza. In loro, nei piccoli, il seme attecchisce meglio. E noi abbiamo la responsabilità di gettare seme buono, di qualità. ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ i lavoratori, gli imprenditori, i sindacalisti, i commercianti. La crisi vi ha spesso messo gli uni contro gli altri, anziché persuadervi a stringere i denti insieme. Guardiamo alle potenzialità del nostro territorio, valorizziamo il nostro immenso capitale umano mettendo da parte ideologie, estremismi e fanatismi. ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ la Politica, quella che persegue il bene comune e non mediocri interessi personali e di parte. Come Chiesa, incoraggiamo ancora una volta i laici credenti a spendersi senza paura nella sfera pubblica, anche a costo di sbagliare. Restare in disparte, oggi, è sinonimo di complicità. Chiediamo politiche educative e sociali degne di questo nome, chiediamo cura dell’ambiente senza scuse, alibi e rinvii di responsabilità, chiediamo rispetto e valorizzazione del nostro immenso patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, chiediamo comportamenti retti e degni del nostro popolo!ABBIAMO IMPARATO AD AMARE DI PIÙ le grandi e insostituibili agenzie educative del nostro territorio, la scuola e l’uni-versità, l’associazionismo e il volontariato, il terzo settore. Facciamo appello a insegnanti, docenti, dirigenti, educatori e animatori perché, guardando negli occhi i nostri ragazzi, sappiano trovare ogni giorno motivazioni straordinarie per educarli allo studio, al bello, alla vita, al servizio, al dialogo, al rispetto, all’integrazione, alla convivenza civile.

+ Beniamino DepalmaArcivescovo, Vescovo di Nola

Nola, 14 maggio 2016

*Ultima sessione pubblica del Concilio ecumenico Vaticano II, Allocuzione del Santo Padre Paolo VI, martedì 7 dicembre 1965