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Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) dell’arresto cardiaco recuperato Protocollo di trattamento con ipotermia terapeutica Torino, 30 Novembre 2009 r r e e s s s s A A A A g g e e n n z z i i a a R R e e g g i i o o n n a a l l e e p p e e r r i i S S e e r r v v i i z z i i S S a a n n i i t t a a r r i i

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Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale

(PDTA) dell’arresto cardiaco recuperato

Protocollo di trattamento

con ipotermia terapeutica

Torino, 30 Novembre 2009

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Ente strumentale della Regione Piemonte istituito con L.R. n. 10 del 16.03.1998

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Documento redatto a cura di:

Giulio RADESCHI Sergio LIVIGNI Giacomo BERTA Felice URSO Simone FURLAN Laura TAVERNA

Progetto AReSS Oscar BERTETTO Monica VIALE

Gruppo di lavoro AReSS Giulio RADESCHI (Referente per il progetto) Danilo BONO Sergio LIVIGNI EmilPaolo MANNO Vincenzo SEGALA GianLuca GHISELLI Giacomo BERTA Laura TAVERNA Maria Rita LA TORRE (segreteria)

Referenti clinici indicati dalle Aziende Sanitarie che hanno contribuito alla elaborazione del Protocollo di trattamento

Luca CHECCO AOU S. G. Battista Anna Grazia DE MICHELI AOU S. G. Battista Rosario URBINO AOU S. G. Battista Bruno ORIA ASL TO5 – Chieri Massimo GULINELLI ASL TO5 – Chieri Gilberto FIORE ASL TO5 – Moncalieri Alessandra CHINAGLIA ASL TO2 – M. Vittoria Marco BASSO ASL TO2 – M. Vittoria Felice URSO ASL TO2 – G. Bosco Patrizia NOUSSAN ASL TO2 – G. Bosco Vincenzo SEGALA AO Mauriziano Gabriele CORDERO AO Mauriziano Davide PERZOLLA ASL TO4 – Chivasso Francesco PINNERI ASL TO4 – Chivasso Mauro TORTA ASL TO1 – Martini Bruno BARBERIS ASL TO3 – Rivoli Alberto PIOLATTO ASL TO3 – Rivoli Paolo NARCISI AO CTO-M. Adelaide Simone FURLAN AOU S. Luigi Gonzaga Sandra TANTILLO AOU S. Luigi Gonzaga Roberto VACCA Emergenza 118 Gianluca GHISELLI Emergenza 118 Laura TAVERNA Emergenza 118

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Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per il trattamento dell’arresto cardiaco recuperato con ipotermia terapeutica

Il presente documento ha lo scopo di fornire un supporto scientifico ed operativo al

progetto di miglioramento della gestione dell’arresto cardiaco recuperato con

applicazione dell’ipotermia terapeutica dal territorio all’ospedale di destinazione.

Il documento è costituito da quattro sezioni: la prima riassume le conoscenze

scientifiche attualmente disponibili inerenti l’argomento, la seconda descrive il

protocollo di trattamento clinico del paziente, la terza il percorso organizzativo nelle

varie fasi, dal territorio al Pronto Soccorso e da qui al reparto di destinazione definitiva;

la quarta sezione, infine, comprende il set di dati da raccogliere sia per la fase

extraospedaliera, sia per quella intraospedaliera durante il ricovero in Terapia Intensiva

nonchè il follow up a sei mesi dalla dimissione.

Tutti i clinici partecipanti riconoscono l’importanza rilevante della raccolta dati, ritenuta

pertanto indispensabile per valutare gli esiti e per garantire un programma di

miglioramento continuo della qualità e dell’efficienza.

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A. Background ed evidenze scientifiche

1. Definizione ed epidemiologia L’arresto cardiocircolatorio (ACC) è la cessazione dell’attività di pompa meccanica del cuore con interruzione immediata del circolo e quindi del flusso ematico che conduce ad una rapida deplezione di ossigeno ed alla depressione delle funzioni cerebrali. L’incidenza dell’arresto cardiaco nei paesi industrializzati è mediamente di 0,8 - 1/1.000 abitanti/anno per l’età compresa tra 20 e 75 anni. Il 65% degli arresti cardiaci che occorrono in ambito extraospedaliero nella popolazione adulta riconosce una causa cardiologica e di questi l’80% dei casi è riconducibile ad una patologia coronarica. Per questi motivi il 60% degli arresti cardiaci extraospedalieri insorge con la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare senza polso, percentuale che scende al 40% se si considera il ritmo riscontrato al monitor alla prima analisi poiché la fibrillazione ventricolare tende ad evolvere rapidamente in asistolia. In letteratura la sopravvivenza complessiva alla dimissione dall’ospedale riportata dopo un ACC extraospedaliero è del 6% circa; in alcuni studi viene riportata una sopravvivenza dell’8% per l’arresto cardiaco improvviso in casa e del 18% quando esso avviene fuori casa. La sopravvivenza infine presenta un range variabile tra <1% se il ritmo di esordio è l’asistolia o la PEA ed il 30-45% se il ritmo di esordio è invece FV/TV senza polso. Nell’arresto cardiaco extraospedaliero i fattori indipendenti associati ad un aumento del ripristino del circolo spontaneo sono: accesso precoce - arresto cardiaco testimoniato da un astante che attiva il sistema di

emergenza sanitaria; rianimazione cardiopolmonare precoce effettuata dagli astanti; qualità della rianimazione cardiopolmonare; defibrillazione precoce/defibrillatore utilizzato in < 8 minuti dall’arresto cardiaco.

La rianimazione cardiopolmonare immediata effettuata dagli astanti può raddoppiare o triplicare la sopravvivenza. Negli arresti in fibrillazione ventricolare la percentuale di sopravvivenza è inversamente proporzionale all’intervallo temporale dall’arresto cardiaco con un massimo di successo a <1 min ed una progressiva riduzione col trascorrere dei minuti. L’esecuzione di rianimazione cardiopolmonare immediata e la defibrillazione entro 3-5 min dall’ACC possono produrre sopravvivenze fino a 49-75%. L’arresto cardiaco intraospedaliero, si presenta invece prevalentemente con l’asistolia o la PEA. L’incidenza di FV/TV senza polso nel paziente ricoverato scende approssimativamente al 15-20%. Questo diverso comportamento è dovuto alle particolari caratteristiche della popolazione ospedalizzata, all’età sempre più avanzata e alla contemporanea presenza di molteplici comorbidità. In molti casi però, anche quando la defibrillazione ha ripristinato un ritmo spontaneo e le procedure di ALS sostengono il circolo tutto ciò non si rivela sufficiente ad impedire che si instaurino danni neurologici anche gravi e successivamente la morte del paziente. Nel 1970 Vladimir Negovsky osservò e descrisse per primo questa condizione fisiopatologica definendola sindrome post-rianimatoria.

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2. Sindrome post-rianimatoria

La sindrome post-rianimatoria è una complessa combinazione di processi fisiopatologici che includono 1) danno cerebrale; 2) disfunzione miocardica; 3) risposta sistemica al danno da ischemia/riperfusione e 4) eventuale persistenza della causa precipitante. La severità di questi disordini dopo il ROSC è estremamente variabile dipendendo dalla durata dell’ischemia, dalla causa dell’arresto, dalle comorbidità e dalla tempestività e qualità delle manovre rianimatorie. 1) Danno cerebrale: I meccanismi che sono alla base del danno cerebrale da ischemia sono complessi ed includono: formazione di radicali liberi (ROI), attivazione di proteasi, perdita dell’omeostasi del Calcio, ed attivazione di processi che portano ad apoptosi. Durante la fase ischemica (not low), l’elemento chiave del danno tissutale è l’ipossia, con blocco della fosforilazione ossidativa mitocondriale, e marcata diminuzione dell’ATP cellulare (sintetizzabile solo attraverso la poco efficiente via della glicolisi anaerobia), acidosi intracellulare, deficit delle pompe ioniche, rilascio di glutammato, perossidazione cellulare, morte delle cellule. Nella fase di riperfusione (reflow), il perpetuarsi e l’amplificarsi di eventi iniziati durante il periodo ischemico causa ulteriori effetti deleteri sistemici, proporzionali alla durata dell’ischemia, ma dipendenti anche da altri fattori come concentrazione di O2, pH, e temperatura (il rischio di outcome sfavorevole cresce di 2,7 volte per ogni grado centigrado di temperatura oltre i 37° C). Il danno ischemico cerebrale dopo ACC è, quindi, in parte incompleto e reversibile poiché è nelle ore successive all’arresto che diviene irreversibile. L’iniziale danno ischemico e successivamente quello da riperfusione, scatenano una risposta infiammatoria cronica, che conduce ad un circolo vizioso fino ad una lenta e progressiva neurodegenerazione. 2) Disfunzione miocardica: La disfunzione miocardica nel post-arresto cardiaco è un fenomeno trattabile e potenzialmente reversibile.La definizione di "myocardial stunning" utilizzata per descrivere la disfunzione contrattile miocardica regionale successiva a occlusione di un vaso coronarico, descrive bene la disfunzione miocardica globale che si verifica dopo ripresa di circolo post-arresto cardiaco; essa è caratterizzata da deficit sistolico (ridotta FE) e diastolico ventricolare sinistro e destro (aumento pressioni di riempimento ventricolari); l’instabilità emodinamica che spesso ne consegue può essere estremamente severa. Un CI persistentemente ridotto alla 24ma ora post-ROSC ha significato prognostico sfavorevole. L'approccio terapeutico deve essere aggressivo, considerando che, superata la fase acuta, l'outcome funzionale a lungo termine è buono. La dobutamina (5-10 mcg/kg/min) è il farmaco di scelta per il supporto emodinamico in presenza di disfunzione miocardica post -arresto cardiaco, in modelli animali e nell’uomo. 3) Danno sistemico: L’arresto cardiaco rappresenta lo stato di shock più severo possibile durante il quale il trasporto di ossigeno e substrati energetici e la rimozione dei cataboliti cessano

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immediatamente .La CPR corregge solo parzialmente questa condizione assicurando un CO ed un DO2 di molto inferiori al normale solo in parte compensati da un aumento dell’estrazione di ossigeno da parte dei tessuti. Questa condizione può persistere anche dopo il ROSC a causa della disfunzione miocardica, dell’instabilità emodinamica e per l’alterazione del microcircolo. La sindrome da ischemia-riperfusione presenta alcune importanti analogie con la sepsi: entro 3 ore dall’arresto si assiste ad un considerevole aumento dei livelli sierici di citochine, recettori solubili ed endotossine; queste ultime sono responsabili della “tolleranza alle endotossine” ovvero della depressione globale della funzione leucocitaria che, da un lato può proteggere da una risposta pro-infiammatoria esagerata, ma, può giungere d’altra parte sino all’immunoparalisi con elevato rischio di infezioni nosocomiali. L’attivazione della cascata della coagulazione senza un adeguata attivazione dei processi fibrinolitici endogeni è alla basa dei disordini del microcircolo che si osservano dopo riperfusione. 4) Persistenza della causa precipitante: Il persistere della patologia che ha contribuito oppure causato l’arresto cardiaco (sindrome coronarica, TEP, sepsi, shock emorragico, ARDS etc.) può complicare il decorso della sindrome post-rianimatoria; è necessario quindi diagnosticare e trattare adeguatamente l’eventuale causa precipitante.

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3. Ipotermia Moderata

Con il termine ipotermia terapeutica si intende l’induzione di una temperatura corporea compresa fra i 32°C ed i 34°C con lo scopo di limitare il danno cerebrale conseguente ad arresto cardiaco. L’ipotermia terapeutica rallenta l’attività degli enzimi responsabili della formazione dei ROI e del danno cellulare: Sopprime i radicali liberi Protegge e stabilizza la membrana lipoproteica cellulare Riduce la richiesta di O2 nelle aree ischemiche Riduce l’acidosi intracellulare (riduce i lattati) Inibisce la biosintesi, il rilascio e l’uptake dei neurotrasmettitori eccitatori.

Barone e coll. hanno dimostrato che l’ipotermia è il trattamento più potente in grado, sperimentalmente, di ridurre il danno ischemico cerebrale. È stato stimato che per ogni riduzione di 1°C della temperatura corporea il metabolismo cerebrale si riduce del 6-7%. L’applicazione dell’ipotermia moderata dopo l’arresto cardiaco, descritta per la prima volta negli anni ‘50, ha ormai definitivamente dimostrato possedere un effetto protettivo per le cellule cerebrali. Nel 2002 due trials prospettici randomizzati controllati hanno utilizzato l’ipotermia terapeutica in pazienti con danno anossico cerebrale post ACC in ambito extraospedaliero: 1) Holzer e coll (6), in Europa, hanno arruolato 275 pazienti con ACC da FV; 137 son stati trattati con ipotermia, 138 in normotermia. L’ipotermia è stata ottenuta con device ad aria fredda ed impacchi freddi, mantenendo una temperatura costante tra 32-34°C per 24 ore. L’outcome neurologico migliore è stato ottenuto nel 55% nel gruppo ipotermia vs un 39% nel gruppo normotermia (p=0.009). 2) Bernard e coll (2) in Australia hanno arruolato 77 pazienti tutti con ritmo di presentazione iniziale FV; 34 trattati in normotermia e 43 in ipotermia a 33°C per 12 ore con impacchi freddi. E’ stato ottenuto un migliore outcome neurologico nel 49% dei pz ipotermici vs un 26% del gruppo in normotermia (p=0.049). Sulla base di questi studi l’American Hearth Association (AHA) e l’European Resuscitation Council (ERC) raccomandano l’uso dell’ipotermia terapeutica come trattamento nei pazienti incoscienti con ROSC post arresto cardiocircolatorio in ambiente extraospedaliero (3). Nel Novembre 2005 l’ALS Task Force of the International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) raccomanda l’uso dell’Ipotermia Terapeutica in pazienti incoscienti con ROSC dopo un ACC con classe di raccomandazione IIa qualora il ritmo di presentazione sia una FV e IIb in caso di asistolia/PEA (7) . Uno “Scientific Statement ILCOR”, pubblicato su Resuscitation (2008 Dec; 79:350-379) include l’ipotermia come strategia fondamentale nel trattamento della sindrome post rianimatoria (8)

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Bibliografia

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2. Bernard SA. Therapeutic Hypothermia after cardiac arrest. MJA 2004;181:468-469.

3. Nolan JP, Hazinski MF,et al. Controversial topics from the 2005 International Consensus Conference on cardiopulmonary resuscitation and emergency cardovascular care science with treatment reccommendations. Resuscitation 2005;67:175-179.

4. Al-Senani FM, Graffagnino C, et al. A prospective, multicenter pilot study to evaluate the feasibility and safety of using the CoolGard System and Icy catheter following cardiac arrest. Resuscitation 2004;62:143-150

5. Safar PJ,Kochanek PM. Therapeutic hypotermia after cardiac arrest. N Engl J Med 2002;346:612-3

6. Holzer M, Cerchiari E, Martens P, et al. The hypothermia after arrest study group: mild therapeutic hypothermia to improve the neurologic outcome after cardiac arrest.NenglJMed2002;346:549-556

7. Raccomandations on therapeutic hypotermia from the International Liaison Committee on Resuscitation. MJA volume 181 number 91 november 2004

8. Nolan JP, Neumar RW, et al.Post-cardiac arrest syndrome: epidemiology, pathophysiology, treatment, and prognostication. A Scientific Statement from the International Liaison Committee on Resuscitation; the American Heart Association Emergency Cardiovascular Care Committee; the Council on Cardiovascular Surgery and Anesthesia; the Council on Cardiopulmonary, Perioperative, and Critical Care; the Council on Clinical Cardiology; the Council on Stroke. Resuscitation. 2008 Dec;79(3):350-79

9. Kette F, Increased servival despite a reduction in out-of-hospital ventricular fibrillation in north-east Italy. Resuscitation 2007; 72, 52-58

10. Aimone-Cat C, Cerchiari E, De Blasio E – Trattamento post-rianimatorio (in press)

11. Rundgrena M, Karlssonb T, Nielsenc N, et al - Neuron specific enolase and S-100B as predictors of outcome after cardiac arrest and induced hypothermia. Resuscitation 2009; 80: 784–789

12. Kupchik N L, RN, MN Development and implementation of a therapeutic hypothermia protocol. Crit Care Med 2009 Vol. 37, No. 7 (Suppl.)

13. Seder DB, Thomas E. Van der Kloot, - Methods of cooling: Practical aspects of therapeutic temperature management. Crit Care Med 2009 Vol. 37, No. 7 (Suppl.) 211-222

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B. Protocollo operativo per il trattamento con ipotermia terapeutica dell’arresto cardiaco recuperato

L’ipotermia terapeutica si applica in tutti i pazienti adulti rianimati da arresto cardiocircolatorio (ACC) che dopo la ripresa del circolo spontaneo (ROSC) mantengono uno stato di coma identificato come assenza di risposta alla stimolazione verbale con incapacità a eseguire comandi semplici. L’applicazione dell’ipotermia terapeutica rispetta le seguenti indicazioni, controindicazioni, timing e modalità.

1) Indicazioni all’Ipotermia Terapeutica Le indicazioni, sulla base delle raccomandazioni per l’Ipotermia Terapeutica e dell’evidenza clinica riferite al trattamento dell’arresto cardiaco, includono il coma persistente dopo ROSC post ACC con ritmi di presentazione defibrillabili (FV, TV senza polso) (IIa) e non defibrillabili (Asistolia, PEA) (IIb).

2) Controindicazioni all’Ipotermia Terapeutica ACC con ripristino immediato delle normali funzioni cerebrali; ACC recuperato in pazienti terminali o con prognosi scadente; ACC in stato di coma preesistente; tempo dal ROSC > 6 ore; coagulopatia nota o sanguinamento in atto (non indotta da farmaci); lesione emorragica cerebrale; gravidanza; storia di chirurgia maggiore recente ( < 72 h ); t < 30°C; grave infezione sistemica; trauma maggiore e ustioni estese

N.B. Lo shock persistente dopo ripresa di circolo è una controindicazione relativa: l’ipotermia ha sul cuore un effetto cardioprotettivo analogo al beta-blocco; se si decide di attuarla è necessario un attento monitoraggio emodinamico invasivo (PiCCO, PAC,Vigileo).

3) Temperatura target e timing

La temperatura target è di 33° C. Tale temperatura deve essere raggiunta il più precocemente e il più velocemente possibile (entro due ore dal ROSC); l’ipotermia deve quindi essere indotta già in fase extraospedaliera. L’ipotermia va mantenuta per 24 ore consecutive dal momento dell’induzione (non dal momento del raggiungimento della temperatura target).

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4) Modalità di attuazione

L’approccio pratico all’ipotermia terapeutica tiene conto di tre fasi: induzione, mantenimento e riscaldamento. - Induzione Non è definito in letteratura quale sia il metodo di raffreddamento ottimale ma qualunque sia la tecnica adottata essa deve permettere di raggiungere i 33°C nel più breve tempo possibile. Se vi è scarsa risposta iniziale al trattamento scelto si suggerisce di aggiungere e combinare le varie tecniche. Esistono diversi modi per indurre il raffreddamento. I più comuni sono: a. Raffreddamento esterno (di superficie) Si tratta di tecniche relativamente semplici da utilizzare, ma lente nel raggiungimento del target (2-8 h): utilizzo di un presidio di raffreddamento esterno che agisce per conduzione tramite l’utilizzo di aria o acqua fredda a contatto con la superficie corporea del paziente, applicazione di borse del ghiaccio al collo, ascelle, torace ed inguine del paziente frapponendo un telo fra la borsa e la pelle per prevenire danni tissutali. Meno sofisticati sono gli impacchi freddi, l’utilizzo di spugnature con soluzioni alcoliche e l’immersione nell’acqua fredda. b. Raffreddamento interno ( invasivo) L’infusione endovenosa di liquidi freddi, è stato dimostrata essere generalmente ben tollerata e attuabile anche, in casi selezionati (tempi di trasporto lunghi, non segni clinici di sovraccarico polmonare) in ambito extraospedaliero. Altri metodi includono l’applicazione di device endovascolari che permettano una circolazione di sangue attraverso un circuito extracorporeo consentendo una rapido raggiungimento dell’ipotermia. L’uso di questi sistemi è più complesso e richiede spesso la presenza di uno staff dedicato reperibile 24/24h. Molto più semplice risulta l’utilizzo di un altro sistema di raffreddamento endovasale che prevede l’inserimento di un catetere a scambio di calore nella circolazione venosa centrale da un sito di inserzione nella vena giugulare, succlavia o femorale. Il catetere dispone di cinque lumi dei quali due costituiscono il sistema a circuito chiuso attraverso cui circola la soluzione salina raffreddata mentre gli altri tre sono standard e possono essere usati come vie di infusione. L’accesso femorale è preferibile perché evita eventuali complicanze aritmiche correlate al posizionamento del catetere. Il catetere viene collegato ad un set di tubi ed al sistema di raffreddamento del sangue che avviene per conduzione, al passaggio della soluzione salina raffreddata nel suo interno servendosi di glicole propilenico. Il sistema consente di evitare il sovraccarico di liquidi, riduce in maniera controllata la temperatura del paziente fino a raggiungere il valore target impostato e lo mantiene costante durante la fase di mantenimento; permette inoltre una fase di riscaldamento controllata. Un’altra tecnica consiste nel flush retrogrado in vena giugulare, come alternativa per il rapido raffreddamento cerebrale. Il bypass femoro-carotideo o il raffreddamento intraventricolare cerebrale sono anch’esse tecniche descritte, ma di uso sporadico nella pratica clinica. Sono stati inoltre effettuati studi sul raffreddamento tramite inalazione di gas freddi.

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- Mantenimento: E’ la fase in cui si realizza il mantenimento della temperatura interna a 33±1°C per 24 ore dall’inizio del raffreddamento (quindi: fase di induzione + fase di mantenimento = 24 ore). I presidi utilizzabili per il mantenimento dell’ipotermia sono gli stessi usati per l’induzione o variamente combinati tra loro; va tuttavia ricordato che l’infusione di liquidi freddi non può essere utilizzata come metodo unico per il mantenimento dell’ipotermia ma va associata ad altre tecniche di superficie. - Riscaldamento: Il riscaldamento può essere passivo oppure guidato da dispositivi intravascolari o di superficie muniti di sistemi a feed-back. La velocità di riscaldamento deve essere compresa tra 0,25 e 0,5° C all’ora sino al raggiungimento della normotermia (36,5° C). In caso di riscaldamento troppo rapido rallentare il processo, utilizzando nuovamente materassino refrigerante e/o borse del ghiaccio. In caso di riscaldamento troppo lento (temperatura interna <36°C a 12 ore dall’inizio del rewarming): considerare l’applicazione di coperta termica ad aria calda, ma non riscaldare mai attivamente il paziente a velocità >0.5°C / ora, né oltre una temperatura interna di 36°C (rischio di “overshoot”). Qualora la T interna oltrepassi i 37°C nelle 72 ore successive al ROSC riattivare i device utilizzati per l’ipotermia ed eventualmente somministrare antipiretici (FANS o paracetamolo): è infatti dimostrato che la febbre nelle 72 ore successive al ROSC peggiora l’outcome. - Monitoraggio della temperatura interna: E' fondamentale un continuo e affidabile monitoraggio della temperatura interna, per limitare il più possibile le oscillazioni termiche rispetto al target terapeutico. Il monitoraggio della temperatura può essere effettuato a livello timpanico, esofageo, vescicale, o tramite devices endovasali qualora posizionati per i loro specifici obiettivi. La temperatura della membrana timpanica riflette con precisione la temperatura cerebrale ed epidurale, non è invasiva, ed è facilmente rilevabile. Tuttavia, la presenza di ostruzioni del canale uditivo possono ridurne la precisione. Inoltre, il raffreddamento del volto dovrebbe essere evitato, per non ridurre la temperatura della membrana timpanica senza corrispondente diminuzione della temperatura cerebrale. La rilevazione della temperatura vescicale (cateteri dotati di termistore) può essere un valido compromesso tra attendibilità della rilevazione termica e semplicità d’uso; occorre però tenere presente che la rilevazione può essere influenzata dalla validità del flusso urinario. Un buon compromesso tra semplicità d’uso e precisione delle rilevazioni pare essere la sonda esofagea posizionata nel terzo medio a 32-34 cm di profondità. E’ sempre consigliabile confrontare i dati ottenuti con la tecnica di rilevazione scelta, con misurazioni da siti alternativi. La temperatura rettale è sconsigliata perché scarsamente correlata con quella intracranica. Durante il raffreddamento rapido è opportuno utilizzare due tecniche per la rilevazione della temperatura: consigliabile l’utilizzo di termometro timpanico e catetere vescicale.

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5) Effetti fisiologici dell’ipotermia e gestione dei problemi correlati:

L’ipotermia terapeutica migliora l’ossigenazione delle aree ischemiche cerebrali, riduce la pressione intracranica e determina le seguenti variazioni fisiologiche: a. Brivido Il brivido è frequente, soprattutto durante le fasi di induzione e di riscaldamento, ed è una risposta fisiologica tesa alla produzione di calore; normalmente scompare per temperature < 33,5°C. Il brivido aumenta il consumo di ossigeno del 40-100% e può determinare dissincronia paziente-ventilatore; per questi motivi deve essere abolito prontamente con sedazione e miorisoluzione (vedi oltre). Qualora l’ipotermia venga indotta e mantenuta con devices intravascolari, il brivido può essere ridotto anche riscaldando la cute; è stato dimostrato, infatti, che la soglia del brivido si riduce di 1° C per ogni incremento della T cutanea di 4°C. b. Alterazioni del ritmo ECG Durante l’induzione ipotermica può manifestarsi tachicardia da attivazione adrenergica. In fase di mantenimento, prevale invece la bradicardia (non trattare se asintomatica). Non c’è evidenza scientifica a supporto della profilassi con farmaci antiaritmici. L’ipotermia induce un aumento delle resistenze periferiche che determina una riduzione del CO. c. Diuresi e profilo elettrolitico plasmatico L’ipotermia determina un aumento della diuresi a causa della riduzione del riassorbimento idro-elettrolitico a livello del tubulo e del dotto collettore; in fase di induzione e mantenimento dell’ipotermia occorre quindi prevedere e prevenire la conseguente diminuzione assoluta della volemia, mentre durante la fase di riscaldamento è necessario invece contrastare la tendenza all’ ipovolemia relativa da vasodilatazione. L’aumento della diuresi accentua la perdita di elettroliti, occorre quindi monitorare le concentrazioni plasmatiche di potassio, magnesio, calcio. In particolare: K+: il potassio tende a diminuire non solo per le perdite renali ma anche per shift

intracellulare; la concomitante infusione di insulina per il controllo glicemico può accentuare l’ipopotassiemia. E’ necessario tuttavia correggere il deficit cautamente tenendo conto che durante il riscaldamento il K shiftato all’interno delle cellule tenderà nel compartimento extracellulare.

Mg++: il magnesio è un antagonista naturale dei recettori NDMA e concorre alla riduzione del brivido, possiede inoltre un blando effetto vasodilatatore che può accelerare il raggiungimento dell’ipotermia. Il Mg possiede inoltre attività antiaritmica e, durante ipotermia, neuroprotettiva. Per questi motivi il deficit di questo catione deve essere corretto.

Ca++: anche il deficit di calcio deve essere corretto con CaCl o Ca gluconato per prevenire le aritmie.

d. Controllo glicemico L’ipotermia induce iperglicemia dovuta ad insulino resistenza ed insulinopenia. La glicemia deve essere controllata frequentemente e mantenuta <150 mg/dl mediante l’infusione continua di insulina.

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e. Ossigenazione e ventilazione meccanica Le linee guida di rianimazione cardiopolmonare raccomandano l’utilizzo di O2 al 100% durante la CPR; tuttavia dopo il ROSC è importante non fornire miscele troppo ricche in O2 ai pazienti. Crescenti evidenze pre-cliniche dimostrano che l’iperossia durante le fasi precoci del processo di riperfusione aumenta lo stress ossidativo e la formazione di ROI a livello neuronale determinando un peggioramento dell’outcome. La FiO2 deve essere aggiustata in modo da ottenere un target di PaO2 a 100 mmHg ed una SatO2 tra 94 e 96%. Nonostante nelle fasi precoci del post-arresto l’autoregolazione del flusso cerebrale sia ridotta o addirittura assente, la reattività del circolo cerebrale alle variazioni di PaCO2 sembra preservata; la vasocostrizione dovuta ad iperventilazione deve quindi essere evitata mantenendo la normocapnia. La ventilazione protettiva proposta dall’ARDS network (TV 6ml/Kg di peso predetto e Pplat < 30 cm H2O) non è supportata da evidenze scientifiche nel trattamento del post arresto cardiaco. Infatti volumi tidalici ridotti determinano spesso ipercapnia che, come detto, in questo tipo di pazienti deve essere evitata. f. Emodinamica La pressione arteriosa media (MAP) ottimale per il trattamento del post arresto cardiaco non è ancora stata definita chiaramente da RCT. Come già detto la perdita o la riduzione dell’autoregolazione del flusso cerebrale rende la CPP maggiormente dipendente dalla MAP. In linea generale, durante la fase di induzione ipotermica, la risposta adrenergica (vasocostrizione – tachicardia) tende a mantenere inalterata o addirittura incrementare la PA (e il consumo miocardico di O2). Una significativa riduzione della PA (da trattare sempre aggressivamente) è invece più prevedibile durante le fasi di mantenimento ipotermico (riduzione frequenza cardiaca, anche per diminuzione del metabolismo corporeo, e deplezione volemica da aumentata diuresi), e in fase di riscaldamento (vasodilatazione). In generale, sulla base delle limitate evidenze disponibili si possono definire i seguenti obbiettivi: MAP 65-100 mmHg; PVC 10-12 mmHg; ScVO2 > 70%; diuresi >1 ml/Kg/ora e lattati nella norma o con trend in discesa. E’ importante mantenere un accurato bilancio idrico durante le fasi di raffreddamento e riscaldamento. g. Coagulazione L’ipotermia si associa a tendenza emorragica, secondaria a diminuzione del numero delle piastrine, alterazione della funzione piastrinica, e alterata cinetica dei fattori della coagulazione e della fibrinolisi (allungamento PT / PTT). I test della coagulazione possono risultare falsamente normali, se il campione viene processato a 37°C, come usualmente e non alla temperatura reale del paziente. Il r ischio emorragico reale è tuttavia molto basso: in particolare, nessun trial clinico ha evidenziato aumento del rischio di emorragia cerebrale associato ad ipotermia, anche in pazienti con trauma cranico. Considerare la trasfusione di PFC se INR>2.0, e di PLT se PLT<30.000/mL, soprattutto in caso di manovre invasive (<50.000 / mL in presenza di diatesi emorragica). h. Farmacocinetica e farmacodinamica dei farmaci: In corso di ipotermia non somministrare sostanze instabili a basse temperature (es. mannitolo, destrano). Considerare inoltre che la cinetica di eliminazione di molti farmaci è significativamente prolungata alle basse temperature. Ad esempio, i livelli

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plasmatici di propofol aumentano di circa il 30% e quelli del fentanyl di circa il 15% nel paziente in ipotermia lieve. D’altro canto, l’interazione farmaco-recettore è spesso “rallentata” in condizioni ipotermiche (minore efficacia a parità di concentrazione al sito effettore). i. Rischio infettivo L’ipotermia deprime la funzione leucocitaria con un complessivo effetto immunosoppressore. In letteratura la frequenza di sepsi e di VAP è aumentata nei pazienti ipotermici rispetto al controllo senza tuttavia raggiungere la significatività statistica specie quando il trattamento non supera le 24 ore. E’ comunque necessario mantenere un atteggiamento di attenta vigilanza e prevenzione nei confronti delle possibili complicanze infettive in corso di ipotermia. E’ opportuno rimuovere/sostituire accessi vascolari posizionati in condizioni di scarsa asepsi durante le manovre rianimatorie. Mantenere inoltre la testa del paziente a 30° sul piano orizzontale (minor e incidenza di “microinalazioni”), medicare con cura i punti di inserzione cutanea dei dispositivi intravascolari, rivalutare frequentemente l’eventuale presenza di lesioni cutanee da decubito o da freddo. l. Valutazione dell’attività comiziale Un’attività epilettiforme e/o mioclono si manifestano in circa il 10-40% dei pazienti che rimangono comatosi post ROSC determinando un aumento delle richieste di ossigeno cerebrali sino al 300%. L’utilizzo profilattico di fenitoina, tipentone ed altri antiepilettici non ha mostrato benefici. La presenza di attività convulsiva può non essere clinicamente evidente e sicuramente non lo è nel paziente curarizzato; appare perciò corretta, se disponibile, una monitorizzazione EEG non inficiata dall’ipotermia nella valutazione dell’attività epilettica e quando questa non è disponibile è mandatorio sedare il paziente con farmaci ad attività antiepilettogena (propofol, midazolam): l’ipotermia stessa ha effetto antiepilettogeno. Il mioclono può essere particolarmente difficile da trattare; pur essendo il clonazepam (Rivotril) il farmaco di prima scelta, il valproato (Depakin fiale 400 mg) in infusione continua oppure pulsata ed il levetiracetam (Keppra fiale 500 mg) si sono dimostrati efficaci. m. Nutrizione La peristalsi è frequentemente ridotta in modo significativo durante ipotermia. L’apporto enterale, anche per le ridotte esigenze metaboliche, deve essere pertanto mantenuto in questa fase a volumi minimi (10–20 ml/ or a), con l’unico obiettivo di preservare il trofismo della mucosa intestinale riducendo il rischio di traslocazione batterica. Non somministrare parenterale totale a causa del potenziale aumento del rischio infettivo in pazienti già più proni alle infezioni.

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6) Gestione clinica in Terapia Intensiva: La gestione clinica ed assistenziale del paziente accettato in Terapia Intensiva prevede, seguendo il classico schema ABCDE, quanto segue: Controllo della pervietà delle vie aeree: corretto posizionamento del tubo endotracheale o sua

sostituzione, fissaggio definitivo e aspirazione bronchiale ove necessario Sedazione con midazolam (0.125 mg/Kg/h) o propofol (3-6 mg/Kg/h) e fentanyl ev (0.002

mg/Kg/h) ed aggiustamento delle dosi secondo necessità e fino almeno a riscaldamento ottenuto Monitoraggio della ventilazione con controllo degli scambi gassosi; obiettivi: mantenere PaO2

100 mmHg, SaO2 94-96% e PaCO2 35 - 40mmHg Cateterismo venoso centrale in vena succlavia o giugulare interna (se non sussistono

controindicazioni) Cateterismo della vena femorale, con catetere dedicato per il bolo di liquidi freddi ed il

successivo inizio/mantenimento del trattamento ipotermico, qualora si adoperi un sistema di raffreddamento endovasale.

Cateterismo arterioso, con incannulamento se possibile dell’arteria radiale, previa esecuzione del test di Allen

Monitoraggio emodinamico invasivo (catetere arterioso polmonare o tecniche alternative): deve essere considerato qualora sia necessario somministrare vasopressori e/o inotropi ad alte dosi oppure se è presente una acidosi metabolica persistente.

Miorisoluzione (ad esempio, cisatracurio 0.03 mg/Kg/h) nella fase di induzione dell’ipotermia e nella fase di mantenimento in caso di brivido

Sostegno vasoattivo con amine o nitroglicerina ev per mantenere la PAM > 65 mmHg e < 100 mmHg, meglio se guidati da un monitoraggio emodinamico invasivo

Controllo degli elettroliti ed in particolar modo del K+ con target sierico di 4mEq/l Controllo delle aritmie con amiodarone (900-1800 mg/die in infusione continua e.v.) Controllo della glicemia con Insulina Actrapid in infusione endovenosa continua per target

glicemico < 150 mg/dl Valutazione e monitoraggio neurologico: prevedere un esame neurologico clinico comprensivo

di valutazione dei riflessi del tronco e del Glasgow Coma Scale; EEG (può essere alterato dall’ipotermia) e quindi da effettuarsi dopo la fase di ipotermia ed entro le 72h; studio dei potenziali evocati somatosensoriali ottenuti con stimolazione del nervo mediano ove disponibili (esame con il maggior potere predittivo in III giornata); dosaggio se disponibile dell’Enolasi neurono specifica entro le 72h

Mantenimento o induzione dell’ipotermia terapeutica (vedi sopra per metodica) Monitoraggio strumentale e di laboratorio:

EGA con elettroliti, lattati, glicemia: a 1-3-6-12-18-24h Emocromo e coagulazione: a 1-12-24h ECG a 12 derivazioni all’ingresso e in caso di modificazioni rilevanti ed instabilità clinica Rx Torace all’ingresso e dopo eventuale posizionamento CVC

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C. Percorso organizzativo del paziente trattato con ipotermia terapeutica, dopo arresto cardiocircolatorio, dal territorio all’ospedale

Il presente protocollo descrive il percorso terapeutico-assistenziale del paziente in coma dopo ACC recuperato ed ha l’obiettivo di garantire la uniformità e la continuità del trattamento con ipotermia dal territorio al reparto ospedaliero di definitiva destinazione. Vengono prese in considerazione due fasi: 1. Fase pre-ospedaliera 2. Fase intraospedaliera 1. Fase pre-ospedaliera Equipe del mezzo di soccorso avanzato 118 Avvia il trattamento con ipotermia terapeutica, già sul territorio, e lo mantiene durante il trasporto in ogni paziente adulto sottoposto a manovre di RCP, alla ripresa del circolo spontaneo. Fanno eccezione i casi per i quali l’ipotermia è controindicata. Le tecniche di raffreddamento prevedono tutte le seguenti: - rimozione degli abiti e l’esposizione del paziente all’aria ambientale il più precocemente

possibile, garantendo comunque il rispetto della dignità della persona; - applicazione di due sacchetti di ghiaccio sintetico ai lati del collo, nelle cavità ascellari, sul

torace e sull’inguine - infusione di soluzioni cristalloidi fredde (0-4°C); l’indicazione pratica per garantire le

raccomandazioni di letteratura è somministrare una quantità di circa 500 ml ogni 10’. Tale infusione è ovviamente controindicata in caso di edema polmonare.

La Centrale Operativa 118 - utilizza il “Codice H” per individuare e definire un arresto cardiaco recuperato con ipotermia

terapeutica in corso. - allerta l’ospedale di riferimento dell’arrivo del paziente, comunicando come codice di arrivo il

“Codice H” L’Ospedale: - l’Infermiere di Triage o il Medico di pronto Soccorso, alla ricezione di un “Codice H”, attivano

immediatamente il Cardiologo e l’Anestesista Rianimatore. E’ compito dell’Anestesista Rianimatore farsi carico della gestione del paziente dal suo arrivo in Pronto Soccorso fino all’eventuale ricovero in Terapia Intensiva garantendo la continuità assistenziale durante il percorso diagnostico terapeutico intraospedaliero concordato con gli altri colleghi specialisti (Medico d’Urgenza e Cardiologo) e descritto più avanti.

- garantisce la immediata continuità del trattamento proseguendo l’ipotermia con le stesse tecniche già avviate sul territorio

- In PS devono essere sempre disponibili almeno tre litri di soluzione fredda, preferibilmente in sacche comprimibili, da reintegrare dopo l’utilizzo, e sacchetti di ghiaccio sintetico.

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2. Fase intraospedaliera All’arrivo del paziente in pronto soccorso, già attivato con “Codice H” il personale infermieristico accetta immediatamente il paziente e l’equipè del 118 in sala di emergenza mentre le responsabilità mediche sono così ripartite: A. Medico d’urgenza - Garantisce la corretta applicazione del protocollo, dalla ricezione del “Codice H” alla

attivazione di tutte le competenze specialistiche previste (anestesista rianimatore – cardiologo – radiologo se necessità di TAC)

- Gestisce le prime comunicazioni con i parenti del paziente - Predispone la richiesta degli esami ematochimici basali (es. emocromo e coagulazione, indici di

funzionalità renale ed epatica, emogruppo e profilo cardiaco, EGA e lattati, …, ) - Riceve dagli operatori del 118 la scheda “Arresto cardiaco” completandola per le parti di

competenza e verificando che la parte pre-ospedaliera sia stata compilata correttamente - Attiva eventuali procedure interne per il trasporto del paziente B. Anestesista rianimatore: - Assicura via aerea definitiva (se non presente), o controlla via aerea presente, - Connette paziente al ventilatore e valuta EGA per mantenere PaO2 100 mmHg e PaCO2 35 -

40mmHg - Incannula un secondo accesso venoso di grosso calibro, ove richiesto - Garantisce, in collaborazione con il cardiologo, la stabilità emodinamica intervenendo sulla

triade pompa-frequenza-volume; in particolare sostiene il circolo con supporto aminico, ove necessario, al fine di mantenere la MAP > 65 mmHg e < 100 mmHg

- Esegue valutazione neurologica di base prima di sedare il paziente e richiede TC encefalo, se necessaria per escludere una emorragia cerebrale

- Induce o prosegue l’ipotermia terapeutica con mezzi a disposizione: somministrazione rapida, se non ancora effettuata, di un bolo freddo ad es. soluzione Ringer lattato o soluzione salina allo 0,9% (30ml/Kg) alla temperatura di 4°C in 30 minuti circa salvo controindicazioni (rischio di sovraccarico); prosecuzione dell’infusione di liquidi freddi se già avviati sul territorio e mantenimento dei sistemi di raffreddamento di superficie

- Richiede cateterismo vescicale per il controllo e il monitoraggio della diuresi oraria - Garantisce il monitoraggio in continuo della temperatura del paziente durante tutto il percorso

intraospedaliero sino al ricovero in Terapia Intensiva - Assicura il trasferimento protetto e la prosecuzione del trattamento intensivo ed ipotermico in

sala di emodinamica, se il cardiologo pone indicazione ad angioplastica - Assicura il trasferimento protetto e la prosecuzione del trattamento intensivo ed ipotermico in

Rianimazione se il posto letto è immediatamente disponibile - Assicura la prosecuzione del trattamento intensivo ed ipotermico in sala di emergenza del

Pronto Soccorso sino a disponibilità di un letto di Terapia Intensiva. B. Cardiologo - Valuta e referta ECG a 12 derivazioni, nonché ecocardiogramma di routine - Assicura, in collaborazione con il Rianimatore, la stabilità emodinamica intervenendo sulla

triade pompa-frequenza-volume - Pone indicazione a eventuale procedura di rivascolarizzazione e, eventualmente, allerta la sala

di emodinamica e relativa equipe. N.B. la procedura di angioplastica non deve ritardare l’inizio dell’ipotermia terapeutica, e viceversa

- Predispone il trasferimento in sala di emodinamica in accordo con l’anestesista rianimatore, ove indicato, o pratica trombolisi, ove indicato

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D. Schede di raccolta dati (Utstein 2004)

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E. Schede di raccolta dati durante il decorso in Terapia Intensiva

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F. Flow chart

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