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Periodico livornese indipendente - anno IX n. 92 - in uscita dal 19 aprile 2014 OFFERTA LIBERA Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it Silenzio elettorale FRANCO MARINO S tiamo vivendo un paradosso. Le elezioni amministrative più attese della storia della città stanno arrivan- do stancamente al mese finale senza squilli e senza quell’enfasi e quella conflittualità che molti si aspettava- no. Proviamo a capire perché. Intan- to era prevedibile che il Pd tenesse nascosto il più possibile il proprio candidato: non ha la retorica e la personalità di Cosimi e rappresenta in pieno la continuità col passato. È toccato a lui candidarsi, ma meno lo fanno vedere più hanno la possi- bilità di affidarsi alla speranza che l’abitudine del voto prevalga e che gli over 65 non tradiscano nell’urna. Se questo era preventivabile, perché invece le opposizioni non attaccano? Partiamo da destra. 3 partiti o simili (Forza Italia, Nuovo Centrodestra e AN-Lega) e 3 differenti candidati a sindaco. Masochismo? No, i conflitti interni al centrodestra livornese oltre che storici sono anche legati all’op- portunismo. Il Ncd a livello nazio- nale governa col Pd ed è palese che la campagna della candidata Vacca- ro sarà molto soft per poi cercare di contare al secondo turno e strappare un accordo col Pd (più o meno sot- tobanco). Idem per le liste Toncelli e De Carlo. E i 5 Stelle? Si vedono poco per due motivi: il primo è che hanno passato mesi a tessere trame interne e ora devono ricomporsi pri- ma dello sprint finale. Ma c’è anche una strategia chiara di basso profilo perché sanno bene che con l’election day con europee e amministrative in- sieme, potranno beneficiare del trai- no nazionale. Insomma, vivono un po’ di rendita ma se non si svegliano il secondo posto non è poi così scon- tato. Il più attivo al momento pare Cannito che, dopo la scelta incom- prensibile di correre da solo (a questo giro non verrà Grillo a battezzarlo e a fargli prendere voti), è partito forte perché sa di essere in competizione con i 5 Stelle e di attingere al loro so- lito bacino elettorale trasversale. Alla fine rischia di diventare il miglior al- leato del Pd andando a rosicchiare i voti ai 5 Stelle, pronosticati secondi ma che alle amministrative prende- ranno sicuramente meno che alle po- litiche come è successo in molti altri territori. Infine Buongiorno Livorno e la coalizione di sinistra. Lo sforzo fino ad ora è stato incentrato sulla composizione delle liste con molte adesioni “doc”, ma dal punto di vista mediatico fatica ad emergere come prima alternativa al Pd. Serve più co- raggio e incisività nella contrapposi- zione al Pd, perché non potranno be- neficiare del traino nazionale come i 5 Stelle. E in ogni caso attaccare il Pd, che ogni giorno serve un assist, è propedeutico al secondo turno. Per- ché chiunque arrivi secondo, ci sarà da fare un attacco incrociato da parte di tutti. Dopo l’occupazione del palazzo di via Giordano Bruno nel quartiere Fiorentina, destinato alla demolizione, il problema sfratti e l’emergenza-casa a Livorno sono piombati in cima all’agenda politica cittadina. E molti si stanno accorgendo che l’Amministrazione comunale ha sbagliato gli interventi sulle politiche abitative FRANCO MARINO S econdo un rapporto diffuso dal Ministero dell’Interno, nel 2012 sono stati emessi 67.790 prov- vedimenti di sfratto, di cui 60.244 per morosità. In media è stato or- dinato uno sfratto ogni 375 fami- glie residenti in Italia (nel 2011 la media era uno ogni 394 famiglie). Prato è la provincia con la maggio- re incidenza di sfratti rispetto alle famiglie residenti (uno ogni 128), seguita da Lodi, Novara, Pavia, Rimini, Roma, Pistoia, Brescia e Livorno (che nel 2011 era in te- sta alla classifica con uno sfratto ogni 170 famiglie). Viene dunque spontanea una domanda: come ha fatto Livorno, che negli anni ’80 era una delle città italiane in testa alle classifiche per numero di case patrimonio ERP (case popolari) in rapporto agli abitanti, a diventare una di quelle con un maggior nu- mero di sfratti? Non si può certo rispondere solo che molte case po- polari sono state vendute agli in- quilini e ora il patrimonio ERP è molto diminuito. È chiaro che ci sia stato sicuramente un errore di valutazione dell’amministrazione che dall’inizio della crisi del 2008 non ha previsto che la perdita di lavoro avrebbe causato un domino di sfratti e la nascita di una nuova figura: il moroso incolpevole. Cioè colui che si ritrova a non poter pagare l’affitto perché improvvi- samente senza reddito. Una figura diversa rispetto allo storico sog- getto di marginalità e debolezza sociale. L’amministrazione invece si è concentrata su misure di am- biziosi piani di recupero che però danno una casa popolare nuova a chi la ha già (anche se fatiscente) oppure a grandi progetti specula- tivi con i privati in cui al massi- mo il pubblico raccattava qualche appartamento a canone concorda- to con circa il 30% di risparmio sull’affitto di mercato (ma se uno non ha lavoro e soldi per pagare 800 euro al mese non li ha nem- meno per pagare 500 euro…). E potremmo continuare con i ritardi di Casalp nella riassegnazione del- le case che si liberano. Ne abbiamo parlato in due distinte interviste con Giovanni Ceraolo (prima in- tervista), portavoce dei comitati per il diritto all’abitare della Ex Caserma Occupata e referente del sindacato inquilini Asia Usb e con Paolo Gangemi (seconda intervi- sta), storico rappresentante dell’U- nione Inquilini di Livorno. Giovanni Ceraolo, l’occupazio- ne e il presidio di via Giordano Bruno ha portato finalmente l’emergenza abitativa in cima all’agenda politica. Come valu- tate i risultati fin qui raggiunti? La vertenza aperta in via Gior- dano Bruno va inserita in un più ampio intervento sul tema casa iniziato circa due anni fa dal nostro comitato. Non è un caso che si sia arrivati a questo livello proprio in questo momento, alla “fine” di un percorso. Il lavoro politico e l’esperienza quotidiana ci hanno portato ad acquisire di volta in volta sempre più cono- scenze, capacità organizzative e di analisi e soprattutto consenso. I risultati fin qui raggiunti sono sicuramente molto importanti e per il momento vanno oltre le reali concessioni che riuscirem- mo a strappare alla controparte. Questa volta l’amministrazione comunale e il partito di maggio- ranza sono stati costretti pubbli- camente a fare un passo indietro riconoscendo in maniera sostan- ziale, ma anche formale, il nostro movimento come interlocutore per le politiche abitative. A pre- scindere da tutto, questa conqui- sta ha sicuramente aumentato il nostro peso politico. Non ci il- ludiamo però, la strada è lunga bisognerà ancora lottare molto. In cosa consistono le vostre ri- chieste sia nel caso specifico che in generale? La piattaforma su cui ruota la trattativa è piuttosto semplice. Noi chiediamo che alcuni bloc- chi di case popolari, tra cui l’or- mai famosa Chiccaia a Shangay che ospita più di un centinaio di alloggi, una volta liberata venga utilizzata per (continua a pagina 4) A casa! A casa!

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Periodico livornese indipendente - anno IX n. 92 - in uscita dal 19 aprile 2014 OFFERTA LIBERAPoste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70%

Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it

Silenzio elettorale

FRANCO MARINO

Stiamo vivendo un paradosso. Le elezioni amministrative più attese

della storia della città stanno arrivan-do stancamente al mese finale senza squilli e senza quell’enfasi e quella conflittualità che molti si aspettava-no. Proviamo a capire perché. Intan-to era prevedibile che il Pd tenesse nascosto il più possibile il proprio candidato: non ha la retorica e la personalità di Cosimi e rappresenta in pieno la continuità col passato. È toccato a lui candidarsi, ma meno lo fanno vedere più hanno la possi-bilità di affidarsi alla speranza che l’abitudine del voto prevalga e che gli over 65 non tradiscano nell’urna. Se questo era preventivabile, perché invece le opposizioni non attaccano? Partiamo da destra. 3 partiti o simili (Forza Italia, Nuovo Centrodestra e AN-Lega) e 3 differenti candidati a sindaco. Masochismo? No, i conflitti interni al centrodestra livornese oltre che storici sono anche legati all’op-portunismo. Il Ncd a livello nazio-nale governa col Pd ed è palese che la campagna della candidata Vacca-ro sarà molto soft per poi cercare di contare al secondo turno e strappare un accordo col Pd (più o meno sot-tobanco). Idem per le liste Toncelli e De Carlo. E i 5 Stelle? Si vedono poco per due motivi: il primo è che hanno passato mesi a tessere trame interne e ora devono ricomporsi pri-ma dello sprint finale. Ma c’è anche una strategia chiara di basso profilo perché sanno bene che con l’election day con europee e amministrative in-sieme, potranno beneficiare del trai-no nazionale. Insomma, vivono un po’ di rendita ma se non si svegliano il secondo posto non è poi così scon-tato. Il più attivo al momento pare Cannito che, dopo la scelta incom-prensibile di correre da solo (a questo giro non verrà Grillo a battezzarlo e a fargli prendere voti), è partito forte perché sa di essere in competizione con i 5 Stelle e di attingere al loro so-lito bacino elettorale trasversale. Alla fine rischia di diventare il miglior al-leato del Pd andando a rosicchiare i voti ai 5 Stelle, pronosticati secondi ma che alle amministrative prende-ranno sicuramente meno che alle po-litiche come è successo in molti altri territori. Infine Buongiorno Livorno e la coalizione di sinistra. Lo sforzo fino ad ora è stato incentrato sulla composizione delle liste con molte adesioni “doc”, ma dal punto di vista mediatico fatica ad emergere come prima alternativa al Pd. Serve più co-raggio e incisività nella contrapposi-zione al Pd, perché non potranno be-neficiare del traino nazionale come i 5 Stelle. E in ogni caso attaccare il Pd, che ogni giorno serve un assist, è propedeutico al secondo turno. Per-ché chiunque arrivi secondo, ci sarà da fare un attacco incrociato da parte di tutti.

Dopo l’occupazione del palazzo di via Giordano Bruno nel quartiere Fiorentina, destinato alla demolizione, il problema sfratti e l’emergenza-casa a Livorno sono piombati in cima all’agenda politica cittadina. E molti si stanno accorgendo che l’Amministrazione comunale ha sbagliato gli interventi sulle politiche abitative

FRANCO MARINO

Secondo un rapporto dif fuso dal Ministero dell’Interno, nel

2012 sono stati emessi 67.790 prov-vedimenti di sfratto, di cui 60.244 per morosità. In media è stato or-dinato uno sfratto ogni 375 fami-glie residenti in Italia (nel 2011 la media era uno ogni 394 famiglie). Prato è la provincia con la maggio-re incidenza di sfratti rispetto alle famiglie residenti (uno ogni 128), seguita da Lodi, Novara, Pavia, Rimini, Roma, Pistoia, Brescia e Livorno (che nel 2011 era in te-sta alla classifica con uno sfratto ogni 170 famiglie). Viene dunque spontanea una domanda: come ha fatto Livorno, che negli anni ’80 era una delle città italiane in testa alle classifiche per numero di case patrimonio ERP (case popolari) in rapporto agli abitanti, a diventare una di quelle con un maggior nu-mero di sfratti? Non si può certo rispondere solo che molte case po-polari sono state vendute agli in-quilini e ora il patrimonio ERP è

molto diminuito. È chiaro che ci sia stato sicuramente un errore di valutazione dell’amministrazione che dall’inizio della crisi del 2008 non ha previsto che la perdita di lavoro avrebbe causato un domino di sfratti e la nascita di una nuova figura: il moroso incolpevole. Cioè colui che si ritrova a non poter pagare l’af fitto perché improvvi-samente senza reddito. Una figura diversa rispetto allo storico sog-getto di marginalità e debolezza sociale. L’amministrazione invece si è concentrata su misure di am-biziosi piani di recupero che però danno una casa popolare nuova a chi la ha già (anche se fatiscente) oppure a grandi progetti specula-tivi con i privati in cui al massi-mo il pubblico raccattava qualche appartamento a canone concorda-to con circa il 30% di risparmio sull’af fitto di mercato (ma se uno non ha lavoro e soldi per pagare 800 euro al mese non li ha nem-meno per pagare 500 euro…). E potremmo continuare con i ritardi di Casalp nella riassegnazione del-

le case che si liberano. Ne abbiamo parlato in due distinte interviste con Giovanni Ceraolo (prima in-tervista), portavoce dei comitati per il diritto all’abitare della Ex Caserma Occupata e referente del sindacato inquilini Asia Usb e con Paolo Gangemi (seconda intervi-sta), storico rappresentante dell’U-nione Inquilini di Livorno.Giovanni Ceraolo, l’occupazio-ne e il presidio di via Giordano Bruno ha portato finalmente l’emergenza abitativa in cima all’agenda politica. Come valu-tate i risultati fin qui raggiunti? La vertenza aperta in via Gior-dano Bruno va inserita in un più ampio intervento sul tema casa iniziato circa due anni fa dal nostro comitato. Non è un caso che si sia arrivati a questo livello proprio in questo momento, alla “fine” di un percorso. Il lavoro politico e l’esperienza quotidiana ci hanno portato ad acquisire di volta in volta sempre più cono-scenze, capacità organizzative e di analisi e soprattutto consenso.

I risultati fin qui raggiunti sono sicuramente molto importanti e per il momento vanno oltre le reali concessioni che riuscirem-mo a strappare alla controparte. Questa volta l’amministrazione comunale e il partito di maggio-ranza sono stati costretti pubbli-camente a fare un passo indietro riconoscendo in maniera sostan-ziale, ma anche formale, il nostro movimento come interlocutore per le politiche abitative. A pre-scindere da tutto, questa conqui-sta ha sicuramente aumentato il nostro peso politico. Non ci il-ludiamo però, la strada è lunga bisognerà ancora lottare molto.In cosa consistono le vostre ri-chieste sia nel caso specifico che in generale? La piattaforma su cui ruota la trattativa è piuttosto semplice. Noi chiediamo che alcuni bloc-chi di case popolari, tra cui l’or-mai famosa Chiccaia a Shangay che ospita più di un centinaio di alloggi, una volta liberata venga utilizzata per (continua a pagina 4)

A casa!A casa!

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2 internazionale anno IX, n. 92

Brevetti e proprietà intellettuale: la difesa dei diritti di proprietà del-le imprese sui brevetti metterebbe a rischio la disponibilità di beni es-senziali, quali ad esempio i medici-nali generici. Così come per la difesa dei diritti di proprietà intellettuale, possono limitare la diffusione della conoscenza e delle espressioni arti-stiche;Gas di scisto: il fracking, già bandito in Francia per rischi ambientali, po-trebbe diventare una pratica tutelata dal diritto. Le compagnie estrattive interessate ad operare in questo set-tore potrebbero chiedere risarcimenti agli stati che ne impediscono l’uti-lizzo. In questo modo si violerebbe il principio di precauzione sancito dall’Unione Europea;Libertà e internet: i giganti della rete cercherebbero di indebolire le normative europee di protezione dei dati personali per ridurli al livello quasi inesistente degli Stati Uniti, au-torizzando in questo modo un acces-so incontrastato alla privacy dei cit-tadini da parte delle imprese private;Democrazia: il trattato impedirebbe qualsiasi possibilità di scelta autono-ma degli stati in campo economico, sociale, ambientale;Biocombustibili: attraverso l’armo-

nizzazione delle normative eu-ropee in ambito energetico, incen-tiverebbe l’impor-tazione di bio-masse americane che non rispetta-no i limiti minimi di emissione di gas a effetto ser-ra e altri criteri di sostenibilità am-bientale.

PER APPROFONDIMENTIwww.stop-ttip-italia.net

FRANCO MARINO

Il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato

di libero scambio tra Unione Euro-pea e Usa attualmente oggetto di ne-goziati volutamente segreti, è qual-cosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale. È l’ennesimo attacco frontale che vede lobby economiche, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza. Il negoziato TTIP, che potrebbe con-cludersi a fine 2014, disegna un qua-dro di pesante deregolamentazione dove obiettivo principale non sa-ranno tanto le barriere tariffarie, già abbastanza basse, ma quelle non ta-riffarie, che riguardano gli standard di sicurezza e di qualità di aspetti so-stanziali della vita di tutti i cittadini: l’alimentazione, l’istruzione e la cul-tura, i servizi sanitari, i servizi socia-li, le tutele e la sicurezza sul lavoro. Con l’alibi di un’omogeneizzazione delle normative e la falsa illusione di risollevare l’economia dell’Europa, si assisterà ad una progressiva corsa verso il basso in cui saranno i cittadi-ni e l’ambiente a farne principalmen-te le spese in un processo che porterà alla progressiva mercificazione di servizi pubblici e di beni comuni. Un rischio che viene tenuto sotto traccia a causa di trattative svolte a porte chiuse, sotto la forte pressione delle lobby delle industrie private senza un coinvolgimento dei parlamenti e senza che i cittadini vengano ade-guatamente informati.Tra i principali obiettivi del negozia-to, c’è la tutela dell’investitore e della proprietà privata, grazie alla costitu-zione di un organismo di risoluzione delle controversie, un vero e proprio arbitrato internazionale, a cui le aziende potranno appellarsi per riva-lersi su governi colpevoli, a loro dire, di aver ostacolato la loro corsa al

profitto. Qualsiasi regolamentazio-ne pubblica che tuteli i diritti sociali, economici ed ambientali, rischierà di soccombere dinanzi alle esigenze delle aziende e dei mercati, tutelate da sentenze che saranno a tutti gli ef-fetti inappellabili. Scenari che si sono già avverati nell’ambito di altri tratta-ti di libero scambio come il Nafta, o che hanno permesso a una multina-zionale energetica come la Vattenfall di citare in giudizio il governo tede-sco per la decisione della Germania di chiudere le proprie centrali nucle-

ari. Ecco in s intesi in cosa consiste.Sicurezza alimentare: le norme eu-ropee su pesticidi, Ogm, carne agli ormoni e più in generale sulla qualità degli alimenti, più restrittive di quelle americane e internazionali, potreb-bero essere condannate come “bar-riere commerciali illegali”;Acqua ed energia: rischio privatiz-zazione. Tutte quelle comunità che si dovessero opporre potrebbero essere accusate di distorsione del mercato;Servizi pubblici: la limitazione del potere degli stati nell’organizzare i

servizi pubblici come la sanità, i trasporti, l’istru-zione, i servizi idrici, educativi metterebbe a ri-schio l’accesso per tutti a tali servizi a vantaggio di una privatizzazione;Diritti del lavoro: la legislazione sul lavoro, già drasti-camente derego-lamentata dalle politiche di auste-rity dell’Unione Europea, verrebbe

ulteriormente at-taccata in quanto potrebbe essere considerata “bar-riera non tariffa-ria” da rimuovere;Finanza: il tratta-to comporterebbe l’impossibilità di qualsivoglia con-trollo sui movi-menti di capitali e sulla speculazione bancaria e finan-ziaria;

COMMERCIO - Sono in dirittura di arrivo i negoziati, tenuti segreti, per un trattato che attaccherà molti dei nostri diritti

Fermiamo il trattato di liberalizzazione Usa

Obiettivo del TTIP è una

deregolamentazione degli standard

di salute e ambientali e la privatizzazione

dei beni comuni

BOEING SCOMPARSO - L’aereo della Malaysia Airlines: dirottamento o deportazione?

L’isola del misteroNELLO GRADIRÀ

Alle ore 00,41 dell’8 marzo il volo MH 370 della Malaysia

Airlines decolla da Kuala Lumpur con 239 persone a bordo, desti-nazione Pechino. All’1,20 il tran-sponder viene spento e il Boeing svanisce nel nulla. Si pensa che sia precipitato in mare al largo del Vietnam, ma le ricerche -a cui par-tecipano ben 25 paesi- non danno esito. Quattro passeggeri risultano imbarcati con documenti falsi e questo fa pensare a un dirottamen-to, ma non ci sono rivendicazioni.Il 18 marzo compare in rete un messaggio incredibile: “Sono stato preso in ostaggio da militari scono-sciuti dopo il dirottamento del mio aereo (bendato). Lavoro per l’Ibm e sono riuscito a nascondere il cel-lulare (…). Sono stato separato da-gli altri passeggeri e mi trovo in una cella. Mi chiamo Philip Wood. Penso di essere stato anche drogato, non riesco a pensare chiaramente”. Philip Wood è uno dei passeggeri del volo MH 370, la foto che alle-ga al messaggio è completamente

nera, ma le coordina-te di pro-ven ienza sono quelle dell’isola di Diego G a r c í a , il picco-lo atollo nell’Ocea-no Indiano (44 kmq, un quinto dell’isola d’Elba) che ospita una delle più importanti e segrete basi Usa del mondo. Qualcuno fa notare che in effetti gli Usa non hanno partecipato molto attivamente alle ricerche, pur dispo-nendo di una tecnologia d’avan-guardia. Il solito complottismo che accompagna tutte le vicende poco chiare? Può darsi, ma un aereo si-mile a quello scomparso l’8 marzo sarebbe stato avvistato mentre sorvo-lava a bassa quota un isolotto delle

Maldive, e il 24 marzo in un comuni-cato ufficiale la Malaysian Airlines scri-ve che con ogni proba-bilità l’aereo è precipitato nell’Oceano Indiano Meri-

dionale. Cioè migliaia di miglia fuori rotta, dove poteva finire solo a segui-to di un dirottamento. Comunque sia, la vicenda ripor-ta agli onori delle cronache la base Usa di Diego García, nell’arcipelago delle Chagos, che ha un’importanza geostrategica enorme per gli interes-si nordamericani in Medio Oriente. È da qui che è partita la maggior parte degli attacchi aerei durante le guerre del Golfo e in Afghanistan, e si sospetta anche la presenza di

una prigione segreta della Cia per le detenzioni illegali. Scoperto dai portoghesi nel 1512, dopo le guerre napoleoniche l’arcipelago delle Cha-gos passò ai Britannici, che all’inizio degli anni ‘60 lo riacquistarono da Mauritius a cui era stato assegnato dopo l’indipendenza. Intanto gli Usa avevano de-ciso di dislocare una base militare nella regione; ini-zialmente avevano scelto l’atollo di Aldabra, a nord del Madagascar, ma il progetto fu abbandonato per non pregiudicare la sopravvivenza di una rara spe-cie di tartaruga. Chiesero allora le Chagos al Regno Unito, i britannici acconsentirono e si impegnarono a “ripulire e bonifi-care” le isole prima di consegnarle. Su Diego García c’erano una scuo-la, un ospedale, una chiesa, una fer-rovia, un porto e una piantagione di copra. Ma evidentemente i suoi

2.000 abitanti contavano meno delle tartarughe di Aldabra: furo-no sloggiati, con l’inganno o con la forza, e deportati alle Seychelles e a Mauritius. I loro cani, quasi mille animali, furono uccisi con i gas di scarico dei veicoli militari. Crimini sempre occultati e negati: negli anni ‘70 il ministro della Di-fesa di Sua Maestà dichiarò: “Nei nostri archivi non c’è traccia né di

popolazione né di evacuazione dall’isola”.Gli isolani, come sempre capita alle co-munità sradicate dalla loro terra, hanno affronta-to una terribile odissea fatta per molti di loro di disoccupazione, alcolismo, dro-

ga, prostituzione, suicidi, ma non hanno mai rinunciato alla speran-za. Nel 2006 la giustizia britanni-ca aveva definito “ripugnante” la deportazione, ma tra ricorsi e ap-pelli la loro battaglia per il diritto al ritorno non ha dato ancora esito definitivo.

Negli anni ‘60 duemila persone

furono deportate per trasformare l’atollo Diego Garcia in una

struttura militare

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3interniin uscita dal 19 aprile 2014

LAVORO - Un quadro sulla devastante riforma Renzi-Poletti e sulle sue possibili conseguenze

La catastrofe del Jobs Act

Il nuovo testo consente 8 proroghe

al contratto e può essere utilizzato anche di fronte a licenziamenti

collettivi o contro donne in gravidanza

È stato pubblicato in data 20 marzo sulla Gazzetta Ufficia-

le, con la firma di Re Giorgio, il decreto legge numero 34/2014. È senza alcun dubbio la più violen-ta aggressione ai diritti dei lavora-tori di questi ultimi anni, nessun governo di destra aveva mai osato tanto; nessuna legislazione euro-pea contiene una liberalizzazione così ampia e totale del contratto a tempo determinato, che diventa di fatto la forma ordinaria delle as-sunzioni, in palese contrasto con la direttiva 99/70 dell’Unione. L’articolo 1 del decreto consente di assumere a termine, sempre e senza alcuna reale motivazione, sia direttamente sia utilizzando le agenzie di somministrazione. Ogni impresa è libera di scegliere tra assunzione stabile e assunzio-ne precaria; dunque viene di fatto cancellata dal nostro ordinamento (per almeno un triennio) qualsiasi assunzione a tempo indetermina-to. Il testo va letto con attenzio-ne. Il limite del 20% di contratti a tempo determinato è una soglia insuperabile, perché riferita all’in-tero organico: in un periodo di li-cenziamenti e di riduzione dell’or-ganico la quota di fatto copre qualsiasi nuova assunzione. La cancellazione della causale (intesa come requisito necessario e ogget-tivo per l’utilizzo del contratto a termine) consente inoltre opera-zioni di sostituzione di lavoratori licenziati (anche con procedure collettive) con altri meno costosi e garantiti; basta, secondo l’arti-colo 3 del decreto 368/2001, mu-nirsi di accordo aziendale o anche semplicemente modificare l’in-

quadramento (cioè le mansioni). Il nuovo testo consente l’assun-zione, e successivamente ben otto proroghe; ma, attenzione, nell’ambito dei 36 mesi di utiliz-zo massimo, niente impedisce all’impresa (con il solo breve in-tervallo dell’articolo 5 del decre-to 368/2001 e facendolo magari coincidere con le ferie) di fare due o tre o quattro contratti, ciascuno con otto proroghe. L’unico limite rimane quello dell’articolo 5 del decreto, i 36 mesi con una plurali-tà di contratti. Ma per 36 mesi di effettivo lavoro (escluse le pause tra un contratto e l’altro) ogni im-presa può frazionare l’utilizzo an-che in quote mensili o bimestrali. Mi spiego: di mese in mese posso decidere (per otto volte) se pro-rogare o meno, comunicandolo all’ultimo a chi lavora (e lascian-dolo nella costante incertezza, dunque rendendo stabile la con-

dizione precaria in luogo di ren-dere stabile l’aspettativa di retri-buzione). Se invece di prorogare l’impresa decide di sospendere il rapporto per qualche settimana (o per accompagna-re la produzione in forma flessibi-le o per punire o per semplicemen-te consentire la rotazione di un serbatoio), po-trà poi stipulare liberamente un nuovo contratto, ancora con otto proroghe. Questo perverso mecca-nismo introdotto da Poletti&Renzi risolve anche, in prossima prospettiva, il proble-ma del trattamento di maternità: basta non prorogare il contratto

alla lavoratrice in gravidanza (o non stipulare quello successivo) e l’impresa si evita spiacevoli ma-ternità a rischio, assenze facolta-tive, divieti di licenziamento fino

al compimento di un anno (ed anche in caso di matrimonio, basta attende-re la più vici-na scadenza e tanti saluti alla sposa!). Abbia-mo scritto del-le lavoratrici madri; ma con il fraziona-mento si can-cellano di fatto anche le tutele per chi incorra

in infortunio, chi sia vittima di malattia. Con lo spirare del termi-ne (frazionato e sempre ravvicina-

to) l’impresa si libera di un peso, senza renderne conto a nessuno. Questo è il decreto appena varato; i despoti hanno avuto la faccia to-sta di chiamare questa operazione di macelleria sociale “semplifi-cazione” e di invocare, quanto a necessità ed urgenza, nientemeno che il fine di generare nuova occu-pazione in particolare giovanile. Con grande arroganza Renzi, Po-letti e Napolitano hanno violato la Costituzione. Il decreto legge (articolo 77 della nostra Carta) è consentito solo e soltanto in casi straordinari di necessità e d’ur-genza mediante provvedimenti provvisori e successivamente (il giorno stesso) presentarli alle Ca-mere (anche al Senato) che (ci dice sempre l’articolo 77 della Costituzione) sono appositamen-te convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia se non sono converti-ti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. È una palese presa in giro; è, peggio, arroganza dispotica di una casta di funzionari decisi a massacrare i ceti deboli, a piegare i lavora-tori, ad intimidirli, rastrellando moneta con prelievo indiscrimi-nato a loro danno. Tra l’altro, fino alla conversione (sessanta giorni, due mesi), è assai impro-babile che le imprese si accostino alla nuova forma contrattuale, con il rischio del venir meno del decreto. Ma la scelta è quella del decreto per poi arrivare al voto di conversione ponendo la fiducia.Estratto di un articolo di Gianni Giovannelli tratto da quaderni.sanprecario.info

ELEZIONI - Una analisi sul senso del voto europeo di maggio

L’Europa, verso dove?NIQUE LA POLICE

Le elezioni europee del 25 mag-gio, che si terranno contempora-

neamente nei 28 paesi dell’Unione, valgono sia come test continentale che come sondaggio nazionale sullo stato dell’opinione pubblica dell’Ue e in Italia. Parliamo di opinione pubblica non a caso: oggi questo fenomeno, e questo concetto, si so-vrappongono alla politica e alle ele-zioni. Non è così, almeno non lo è stato a lungo. L’opinione pubblica è stato un elemento, sia della politica in generale che del momento eletto-rale, che è divenuto prevalente. Pos-siamo quindi parlare di elezioni eu-ropee come una sorta di sondaggio ufficiale, che produce parlamentari e quote di potere, a livello continenta-le. Molto utile per capire cosa pen-sa l’Ue di sé stessa. Ma quali poteri ha realmente il parlamento eletto a Strasburgo? Dobbiamo considera-re come il potere continentale non risieda tanto nell’organo elettivo, il parlamento, ma in quello nato dagli accordi tra stati. Ovvero la Com-missione Europea che, a sua volta, deve relazionarsi con il consiglio europeo, l’organo presieduto da Van Rompuy che coordina le politiche di integrazione continentale (che non va confuso con il Consiglio d’Euro-pa che è formalmente indipendente

dall’Ue ed è organo maggiormente consultivo). Senza dimenticare di re-lazionarsi con il consiglio dei ministri europei, la cui presidenza è semestra-le, tenendo conto del fatto che la Bce, la banca europea, è istituzionalmente autonoma da questi processi. L’uni-ca espressione della volontà popola-re continentale, per quanto legata a processi di rappresentanza, è quindi proprio il Parlamento Europeo. Il cui potere, come vediamo tra commis-sione Ue e presidenze, è diluito dalla presenza di organismi di governan-ce, dove si decide non in nome della volontà popolare ma dei portatori di interesse economici e istituzionali. La Bce, come sappiamo, è poi la banca centrale di 18 paesi su 28 perché, con in testa la Gran Bretagna, per diversi paesi Ue non significa euro. Allo stes-so tempo l’area euro ha un proprio meccanismo di autogoverno, l’euro-gruppo, tramite un coordinamento permamente dei ministri economico-finanziari che aderiscono alla mone-ta unica. Per riequilibrare l’evidente squilibrio tra istituzioni di governance ed istituzioni elette, a netto favore del-le prime, specie dopo il rafforzamento dei poteri della commissione Ue si è deciso di tener conto delle elezioni eu-ropee in sede di nomina del commis-sario. Infatti, come già nel 2009, la no-mina del nuovo commissario Ue terrà conto dell’indicazione dell’elettorato

scegliendo il sostituto dell’attuale commissario, Barroso, tra le file della maggioranza uscita dal parlamento di Strasburgo. La Commissione Euro-pea, formata dagli stati membri per esercitare una governance liberista dell’Ue, ha un importante potere: quello di iniziati-va, ovvero di indirizzo le-gislativo su cui poi decide-ra il Parlamento Europeo. Le famose direttive europee, emanate dall’euro-parlamento ai singoli stati nazionali, trovano quindi potere originario nella commissione Ue di Bruxelles. Si capi-sce quindi come lo scontro elettorale tra Tsipras e Schulz, a livello continen-tale, sia anche un confronto su quale maggioranza scelga il candidato Ue. Ma lo scontro più che elettorale appa-re soprattutto simbolico: innumerevo-li fonti giornalistiche indicano come pronto l’accordo tra popolari e social-democratici, famiglia politica a cui

appartiene Schulz, per impedire l’a-vanzata di Tsipras e di qualsiasi gene-re di oppositore al neoliberismo sia di destra che di sinistra. In questo modo quella che giornalisticamente viene chiamata “Europa”, che invece è una sovrapposizione di istituti di gover-nance piuttosto che un corpo politico, blinda la propria vocazione liberista nell’europarlamento. Vocazione che, per quanto politicamente minoritaria, rimarrebbe comunque pienamente in essere anche in caso, ipotetico vista la frammentazione delle forze in atto, di vittoria di Alexis Tsipras. Lo statuto

della commissione Ue, come degli altri istituti di governance, figuriamoci della Bce, è infatti inte-ramente liberista. E non prevede differente funzio-namento. Alla faccia di qualsiasi reale concezione della democrazia. Quanto all’Italia, il test interno ri-guarda sia la tenuta eletto-rale del governo Renzi che di Forza Italia. Ma anche

degli accordi tra queste due forze vi-sto che un declino troppo rapido del cavaliere renderebbe impraticabile una legge elettorale a doppio turno. Come in “Europa” infatti si tende a modellare i sistemi politici in modo che le forze antiliberiste, di qualsiasi segno, restino lontane da ogni vero confronto elettorale. Finché si tratta della Le Pen, o della Lega, si può glissare. Differente è quando è un intero continente democratico ad essere escluso dalle decisioni che ri-guardano il proprio destino.

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4 Livorno

A casa!

Per comprendere meglio

to di via Giorda-no Bruno grazie all’intervento dei Comitati dell’Ex Caserma. Ci sono situazioni simili, cioè di abbattimen-ti previsti, in altri quartieri?Certamente! Corea e Shangai sono sta-ti i primi quartieri sottoposti a piani di rinnovo urbano, che ancora non è finito. A Corea, avevamo inutilmente chiesto di usare 28 piccoli appartamenti in via Amendola, appena vuotati, come cen-tro di accoglienza provvisorio. La ri-sposta, arrogante,

è stata quella di demolire gli edifici. Era il 2012 e ancora non sono stati aperti i cantieri per la ricostruzione. L’amministrazio-ne comunale sarebbe riuscita a governare l’emergenza, anziché costringere le famiglie per strada a occupare scuole e presidi Asl dismessi. Grave fenomeno di miopia istituzionale, che dimo-stra come il movimento sia dalla parte della ragione a dire basta a questa politica ingiusta e demen-ziale. Attualmente stanno vuo-tando il complesso della “chic-caia “e quello di “San Giovanni” nel quartiere di Shangai, quale migliore occasione per rispetta-re la delibera del Consiglio Co-munale del 18 novembre (punto 10). Bisogna aggiungere che del PdR di Fiorentina, abbiamo con-testato la scelta di costruire nel sito del mercato ortofrutticolo, da spostare in nuova e mai pre-cisata localizzazione. Abbiamo già perso la centrale del latte e i macelli pubblici, che oggi avreb-

se importante formalizzare in un certo senso la nostra azione. Il sindacato è un ottimo strumento per allargare i settori di interven-to e per gestire delle trattative con le istituzioni. Noi entriamo in contatto con persone che hanno già percorso tutte le strade possi-bili ma senza risultati. Famiglie che sono in procinto di rimanere per strada. Questa fascia esprime il massimo della conflittualità dal punto di vista sociale ma il dirit-to alla casa include anche tutta un’altra serie di soggetti. Ci sono nuclei di 5 persone che vivono in 32 mq, ci sono giovani e meno giovani costretti a tornare a casa dei propri genitori e persone a cui le banche stanno pignorando la casa. L’ambizione è quella di allargare il più possibile il nostro intervento arrivando a rappresen-tare fasce sempre più ampie.

“Perdi il lavoro perdi la casa”

Intervista con Paolo Gangemi (Unio-ne Inquilini) sulle politiche miopi dell’Amministrazione

Partiamo da un dato di fatto: l’Amministrazione comunale ha prima sottovalutato e poi sbaglia-to gli interventi sulle politiche abitative. Perché? Perché semplicemente non ha pre-visto la crisi, già annunciata nel 2009 dall’Unione Inquilini preoc-cupata per la mutata tipologia del-le persone che a noi si rivolgevano (giovani famiglie senza più lavoro e reddito), e poi perché l’hanno sottovalutata, nella misura e nel-la durata. Quando nelle riunioni chiedevamo gli interventi imme-diati, cioè l’acquisizione tem-pestiva di caserme dismesse per farne centri di emergenza sociale, ridevano. Oggi ridono meno. Per fortuna i movimenti sociali hanno fatto ciò che noi inutilmente ab-biamo chiesto alle istituzioni. Dal 2007 al 2010 tanto è stato il tempo trascorso per inserire nella L.R. 96 la morosità incolpevole, dal 2010 al 2012 per approvare la L.R. 75 sul nuovo disagio abitativo (per-corso da casa a casa e rinvio dell’e-secuzione) un anno per rendere operante la Commissione. Quanta fatica per convincere chi ancora crede che i poveri siano una pic-cola e irrilevante fascia della socie-tà, mentre sempre più lavoratori, autonomi, precari e pensionati sono stati “asfaltati” dalla crisi e dall’Europa delle banche. Voi parlate di Piani di recupero solidali. In cosa consistono ri-spetto invece ai piani di recupero voluti dall’amministrazione? I PdR sono strumenti urbanistici assai complessi e hanno lunghi tempi di realizzazione (da un max di 10 anni a un minimo di 3/4 anni, a finanziamento ottenuto). Il loro obiettivo è riqualificare i vec-chi quartieri popolari e i loro edifi-ci di scarsa qualità e con tipologie superate, trasformandoli in abita-zioni più moderne e confortevoli. In tempi di crisi economica feroce, che vede famiglie sfollate come in tempo di guerra, ci siamo chiesti se è ancora legittimo preoccuparsi solo di chi la casa popolare, maga-

ri vecchia, l’ha già avuta, rispetto a chi non ha più nulla, nemmeno un tetto di fortuna, e se non era il caso di sospenderli. Abbiamo concluso che l’ideale era proseguire nell’o-pera di risanamento, modificando l’attuazione dello strumento, sen-za bisogno di (lunghe) modifiche normative. Niente vieta di utiliz-zare gli alloggi che si vuotano, per lo spostamento degli assegnatari (che è graduale e richiede in gene-rale più di due anni, nella migliore ipotesi) all’emergenza abitativa, a titolo temporaneo e legato alla realizzazione delle strutture di ac-coglienza in progetto (attualmente due piani dell’ex caserma Lamar-mora, ecc … ). Inoltre dopo aver vuotato un intero palazzo, spesso ci vuole altro tempo (uno o due anni) prima di aver esaurito gare e impegni burocratici necessari, per aprire il cantiere. Purtroppo per impedire a chiunque di “sfon-dare”, continua l’uso perverso del vandalismo istituzionale. In questo periodo si parla mol-

be assicurato con un ciclo breve un controllo sull’alimentazione assai importante. Rischiare di perde-re, nelle more di un trasferimento poco chiaro e mal studiato, anche il mercato, è atto di intollerabile leggerezza amministrativa. Il problema principale è che esi-ste una fascia di nuovi poveri a reddito quasi zero dovuto anche all’alto tasso di disoccupazione. Quali misure si possono attuare nel breve periodo? Quelle di utilizzare tutti i vuoti a perdere pubblici per uso tempora-neo, finire velocemente di realizza-re le strutture di accoglienza di La-marmora, concedere alle strutture pubbliche occupate dagli sfollati, lo status di centri di accoglienza autorizzati per un paio di anni, annullare i programmi di edilizia “sociale” di nuova costruzione, a Coteto e Salviano, che di sociale hanno solo il nome. Tutti i finan-ziamenti vanno spostati sull’acqui-sto di tutto l’invenduto già pronto di cooperative e privati, trattando direttamente con le banche che spesso in caso di fallimento, sono le vere antagoniste di questa indi-spensabile operazione, per aumen-tare subito, un patrimonio pubblico più che dimezzato in 20 anni per le vendite dissennate. La risposta alle esigenze abitative è articolata, è necessario intervenire sul mercato privato immobiliare con manovre fiscali che tendano ad abolire il ca-none libero (10 euro medio al mq) in favore del canone concordato (5 euro medio al mq). Già oggi adot-tare il canone concordato conviene alla proprietà e agli inquilini: meno tasse per tutte e due, e la certezza che l’affitto può essere pagato. In-somma, servirebbe una capacità politica che la giunta Cosimi non ha mai dimostrato, il 25 maggio avremo l’occasione per cambiare costruendo per i livornesi una al-ternativa di governo alla città.

(segue da pagina 1) ...l’emergenza abitativa. L’immobile in questione dovrà essere demolito, ma a diffe-renza del civico 14 di via Giorda-no Bruno, non esiste neanche un progetto di ricostruzione. Dopo una prima apertura in questa di-rezione i responsabili istituzionali non hanno mantenuto le promes-se, dichiarando che i piani di recu-pero non si possono mettere in di-scussione. La giunta ha fatto la sua scelta di campo. Stare dalla parte delle speculazioni contro gli inte-ressi e i diritti dei cittadini. Ovvia-mente non ci fermeremo adesso, tre famiglie hanno già occupato al-cuni alloggi in altri stabili che do-vranno essere abbattuti. Dal punto di vista generale pensiamo che si debbano rivedere completamen-te le politiche abitative del nostro comune. C’è assoluto bisogno di un programma di riutilizzo totale dello sfitto (e non di ulteriori alie-nazioni), ma la partita più grossa si gioca sull’eventuale nuova co-struzione di case popolari utiliz-zando, ma soprattutto cercando di ottenere, tutti i finanziamenti disponibili. In questo momento di crisi ci raccontano che le soluzioni al problema abitativo devono es-sere differenziate. Non è assoluta-mente vero. L’unico vero strumen-to capace di risolvere l’emergenza abitativa ma soprattutto di andare oltre la stessa, sono e saranno sem-pre le case popolari. Cosa dovrebbe fare l’ammini-strazione nel breve periodo per, quantomeno, tamponare la mole di sfratti per morosità che conti-nua senza soste? Non ci piace parlare del breve pe-riodo. Il rischio è che si attui la solita politica di emergenza che in definitiva serve solo a rimandare il problema. Detto questo, un pri-mo passo avanti potrebbe essere “legalizzare” le strutture occupa-te che ospitano circa 150 persone. Reperire altri immobili che non abbiano bisogno di grandi lavori di ristrutturazione per utilizzarli come centri di accoglienza pluri-familiari. Mettere in campo un censimento dello sfitto pubblico immediatamente utilizzabile. Il problema rimane il solito però: accrescendo il numero degli allog-gi di emergenza, i nuclei ospitati inizierebbero ad accumulare pun-teggi per ottenere le case popola-ri. Sommando queste richieste a quelle già esistenti si creerebbero delle enormi frizioni dal punto di vista delle assegnazioni. Ricordia-mo che il comune e Casalp non sono in grado di assegnare più di 100 alloggi all’anno! E quindi ecco svelato il mistero. Il Comune non attua queste politiche perché altri-menti sarebbe costretto a rivedere e accrescere il numero di alloggi popolari di assegnare. È una que-stione di volontà politica e non è vero che le amministrazioni locali possono fare poco in questo senso.Avete iniziato una collaborazio-ne con il sindacato Asia Usb. In cosa consiste? Dopo 2 anni di lavoro sul diritto alla casa abbiamo pensato che fos-

Emergenza Abitativa - Si tratta di una misura emer-genziale per chi perde la casa e non ha un posto dove andare. Le soluzioni possono variare: da un posto let-to in albergo o in un centro per persone singole (Cen-tro Homeless per gli uomini e Casa delle Donne per le donne) a una stanza nei Centri plurifamiliari (l’ultimo in costruzione è presso la Ex Caserma Lamarmora alla Dogana dell’acqua quartiere San Marco) fi no a un ap-partamento di Casa Firenze (ad Antignano e svuota-ta a fi ne 2012) o ai piccoli alloggi previsti dalla riserva stabilita dai commi 8 e 11 dell’art. 17 LRT 96/96, per coloro che abbiano seguito un percorso di autono-mia. Una commissione ad hoc decide le assegnazioni. Case popolari - In termini comuni è il patrimonio ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) gestito da Casalp, Casa Livorno e Provincia spa, nata il 1° aprile 2004, società per azioni a totale partecipazione pubblica (la proprietà è dei 20 Comuni della provincia di Livorno). Per accedere ad una casa popolare c’è un bando e una graduatoria pub-blica. Vengono attribuiti dei punteggi in funzione delle si-tuazioni denunciate sulla domanda stessa, come previsto dalla Legge Regionale 96 del 1996. Le graduatorie ven-gono fatte dopo che sono stati pubblicati i bandi di con-corso di ogni comune, e dopo che sono state raccolte ed esaminate tutte le domande presentate. Si stima che al momento ci siano a Livorno circa 1500 famiglie in attesa.

Legalizzare le strutture occupate - In città ci sono alme-no 150 persone che vivono nelle strutture occupate con l’aiuto dei comitati dell’Ex Caserma Occupata. Persone che, visto l’esaurimento dei posti in Emergenza Abitativa, sarebbero fi nite per strada. Ora vivono all’ex Cecupo in via degli Asili, alla ex Circoscrizione 1 in via delle Sorgen-ti e all’ex Mutua di via Ernesto Rossi. Queste strutture, nonostante la grande utilità pubblica e sociale, non sono riconosciute nei percorsi comunali con tutta una serie di problematiche legate al riconoscimento dei punteggi. Morosità incolpevole - Condizione riconosciuta dalla Legge Regionale 75/2012 a quegli inquilini che subi-scono uno sfratto causato dalla perdita o dalla diminu-zione del reddito, generalmente dovuto agli effetti della crisi sul lavoro. In passato un inquilino moroso (cioè che smetteva di pagare l’affi tto e veniva sfrattato) non aveva diritto a nessuna misura di emergenza o di pun-teggio, anche perché il 90% degli sfratti era dovuto a fi nita locazione. Oggi queste percentuali sono invertite. Deliberazione Cons. Com del 18 novembre: “Proble-matiche abitative a Livorno” art.10 - Continuare ed ac-centuare l’impegno fi nora esplicato sui Piani di Recupero […] prevedendo la possibilità di un utilizzo temporaneo e in modalità plurifamiliare per l’emergenza, ove occorres-se, nel periodo (1-3 anni) tra lo svuotamento e l’effettiva cantierazione.

anno IX, n. 92

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5Livorno e dintorni

progettista della discarica, Anto-nio Rafanelli, socio della società “Atlante srl”. Ciò, nonostante il “Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche ammi-nistrazioni” preveda il cosiddetto “obbligo di astensione” qualora le decisioni riguardino familia-ri o persone verso le quali non si possa garantire imparzialità. Nel febbraio del 2011 la Commissione Ambiente della Provincia boccia la discarica del Limoncino. La commissione - scrive Il Tirreno - “è scettica sotto tutti i fronti: dall’iter che ha portato alle autorizzazioni all’area che andrà ad ospitare la discarica”.Nel febbraio 2011 viene sequestra-ta la discarica “green” di Monte-burrone, anche questa un’ex cava gestita dalla ditta Bellabarba e oggetto del solito intervento di “ripristino ambientale”. L’autoriz-zazione per Monteburrone (2008) si riferisce alle terre di scavo e ai detriti dei cantieri aperti in città, ma il Corpo forestale dello Stato scopre che fra i materiali conferiti c’è ben altro. I gestori adottano una linea difen-siva “alla Scajola”: dicono di non sapere chi può averci portato i ri-fiuti non autorizzati.Per quanto riguarda i 108 codici CER autorizzati per il Limon-cino tra questi spicca il codice 19.12.12 e molti (troppi) codici specchio. Sono codici che pre-sentano due voci simili, una delle quali relativa ai rifiuti pericolosi, ad esempio il 10.01.20 (fanghi prodotti dal trattamento di so-stanze pericolose) e il 10.01.21 (voce specchio: fanghi prodotti da trattamenti diversi da quelli della voce precedente). In questi casi per l’individuazione del rifiuto non è sufficiente la sola scheda o documentazione di accompagna-mento, in carico al produttore del rifiuto, ma è necessario che il ge-store della discarica esegua delle analisi a campione; e qui sui tem-pi, i risultati, i costi, in pratica il gestore è controllore di se stesso e i dubbi sono molto forti (dopo il caso di Monteburrone...).Inoltre nel caso del codice 19.12.12, rifiuti prodotti dal trat-tamento meccanico dei rifiuti, (selezione, compattazione, tritu-razione) si tratta in buona parte di rifiuti indifferenziati urbani dei cassonetti con forti possibilità di guadagno. In base a una sen-tenza del Tar della Toscana que-sti rifiuti sono considerati specia-li, quindi possono venire anche da fuori provincia (leggi ecoballe campane come già accaduto per la Rea di Rosignano ad un costo di 95 euro a tonnellata!).In sintesi, la discarica non si co-struisce per risovere un problema dei livornesi ma per il profitto di alcuni imprenditori che lucra-no sui RS a danno della salute e dell’ambiente.

DATTERO e CIRO BILARDI

Nel 1999 il Comune di Livorno dispone il ripristino delle vecchie cave che i proprietari avevano la-sciato in abbandono prima degli anni ‘80, quando non esisteva l’obbligo di provvedere diretta-mente. Si pensa di riempirle con materiali come terre di scavo e macerie che all’epoca la legge non considera rifiuti. Secondo la legge Ronchi (1997) era possibile stoccare nelle cave dismesse ma-teriali inerti non pericolosi.Per la “cava del Canaccini” sul Monte La Poggia, il Comune già due anni prima aveva previsto di “restituire al sito le sue peculia-rità che lo vedono inserito in un sistema collinare di alto valore ambientale e paesaggistico”. Il Piano territoriale provinciale (1998), considera il sito come “area di collina con forte preva-lenza di bosco”, inserendolo in un’”area di protezione dei biotopi e valori naturalistici”. Nel 1999 però viene approvato il D.M. 471 secondo il quale se le terre di sca-vo provengono da siti contamina-ti sono da considerarsi rifiuti. L’anno successivo il Comune au-torizza la ditta Bellabarba a svol-gere attività estrattive nella cava, mentre l’Arpat scrive di “non condividere la proposta della di-scarica, ritenendo anzi che il ri-pristino ambientale debba avve-nire in modo da restituire al sito le sue peculiarità che lo vedono inserito in un sistema collinare di alto valore ambientale e paesaggi-stico”. Nel 2001 la Confindustria comincia a sollevare il problema dello smaltimento delle terre di scavo prodotte dall’edilizia, e nel 2002 la Giunta comunale approva il “progetto Atlante”, uno studio condiviso Comune-Confindustria dove si individuano 8 ex cave come destinazione di terre di sca-vo.Nell’ottobre 2002 la Giunta co-munale individua la Cava del Corbolone come sito pilota per l’attuazione del programma At-lante. Ma nel febbraio 2003 il Mi-nistero dell’Ambiente definisce il Sin (Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche) di Livorno quali-ficando come rifiuti speciali tutte le terre che escono da quell’area (7,5 kmq).L’operazione Corbolone subisce così dei ritardi per “la scarsa re-peribilità di terreno qualificabile come non rifiuto”. I lavori termi-neranno solo nel 2009.Nel 2006 il Codice ambientale fa diminuire ancora più drastica-mente l’estensione dei terreni di provenienza di terre considerate non-rifiuto. Nel 2007 la Giunta comunale condivide i contenuti del piano provinciale per la riqua-lificazione delle cave che prevede per il Monte La Poggia una co-siddetta “discarica green” (smal-

timento di rifiuti speciali, inerti, inorganici e non pericolosi). Nel maggio 2008 la società Bel.ma (75% Bellabarba, 25% Maffei) presenta il progetto per una disca-rica di rifiuti non pericolosi. L’in-vestimento è di 6 milioni di euro, i posti di lavoro previsti sono po-chi (8-9), ma i margini di profitto sono altissimi: la discarica, che funzionerà per 7 anni, avrà una capacità di 900mila tonnellate e si può ipotizzare un incasso totale di circa 70 milioni di euro. Si veda la discarica di Scapigliato con la quale il Comune di Rosignano fino al 2009 incassava circa 22 milioni di euro l’anno. Nel 2011 questa cifra si riduce a 13 milioni e 100mila euro, e per ammortiz-zare almeno in parte il calo ven-gono accolte 12mila tonnellate di rifiuti solidi urbani provenienti da Napoli al prezzo di 95 euro a ton-nellata.Il 21 maggio 2008 la Bel.ma pre-senta il progetto Limoncino come indicato nel Planning operativo del Comune: “discarica green” per rifiuti speciali non pericolosi inerti inorganici. Appena un mese dopo, si tiene a Rosignano Solvay l’assemblea della Confindustria in cui l’associazione degli industriali lancia l’allarme sui rifiuti speciali (RS).In quella sede il sindaco Cosimi conferma la possibilità di tratta-re nell’inceneritore del Picchianti anche una piccola parte di rifiuti speciali, ma – avverte - solo come soluzione ponte in vista di un nuo-vo impianto di maggiori dimen-sioni localizzato altrove. Questo intervento si può leggere come l’origine della terza linea e della volontà di costruire un megaince-neritore per rifiuti industriali. In quella stessa conferenza gli fa eco il presidente della Provincia Ku-tufà che parla della discarica del Limoncino per i RS. Si ricordi che in Toscana nel 2009 a detta della Confindustria si producevano in

totale 8,5 milioni di tonnellate di RS. Nel Piano di gestione dei RS della provincia, approvato il 25 marzo 2004, risulta che nel 1999 su 992.000 tonnellate di RS pre-senti in provincia 468mila tonnel-late venivano da fuori e solamente 166mila dalle at-tività produttive locali. La discari-ca e la terza linea dell’inceneritore sono quindi solu-zioni cuscinetto per tamponare un’”emergenza” di RS in gran parte provenienti da fuori! Nell’estate del 2008 la società Bellabarba pub-blica l’avviso della riunione per la presentazione pubblica dell’opera con appena cinque giorni di antici-po e quasi due mesi dopo il depo-

sito degli atti, contravvenendo alla legge secondo la quale ciò deve av-venire non oltre dieci giorni. La ri-unione andrà deserta. Anche l’av-viso è viziato, in quanto si parla di

discarica per “rifiuti inerti inorganici non pericolosi per lo stoccaggio di terre prevalentemente de-rivanti da siti di bo-nifica”. Successiva-mente la VIA viene ottenuta per RS non pericolosi inerti ed inorganici, come da progetto presentato, ma non comunica-to alla collettività in modo corretto. Si intendeva escludere deliberatamente la cittadinanza dal per-corso autorizzativo?Il 22 aprile 2009 vie-ne rilasciata l’AIA, dove si parla di RS non pericolosi, sot-tocategoria rifiuti inorganici a basso

contenuto organico. Viene dunque presentata una discarica “green” per poi finire di fatto a una disca-rica per rifiuti industriali: gli inerti vengono sostituiti da inerti a basso contenuto organico, senza che la discarica sia dotata di un adeguato

impianto di captazione e recupero dei biogas con conseguen-ze di inqui-n a m e n t o e possibili esplosioni. La discarica avrà la pos-sibilità di smaltire ben 108 codici CER. Il Tir-

reno li riassume così: “scarti delle acciaierie, delle centrali termiche, delle industrie metallurgiche, terre provenienti da siti inquinati, car-

bone, bitume, ceneri degli incene-ritori, ecc.”. Nella procedura di valutazione del progetto è presente per la Provincia di Livorno il geo-logo Andrea Rafanelli, nipote del

AMBIENTE - Come la discarica “green” di Monte La Poggia è diventata un gigantesco ecomostro

Discarica Limoncino: rifi uti o profi tti?

Il “progetto Atlante”, concepito da Comune

e Confi ndustria nel 2002 per riempire di rifi uti

speciali le ex cave e di soldi le tasche degli imprenditori

in uscita dal 19 aprile 2014

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6 per non dimenticare

dernizzati e portati a una capienza minima di 20.000 spettatori, con soli all-seater stadium, posti esclusi-vamente a sedere e l’abbattimento delle pericolose barriere divisorie tra campo di gioco e spalti. I tifosi furono sottoposti a stratagemmi di clientelizzazione, schedatura, e a una stretta sorveglianza attraverso l’installazione di telecamere a cir-cuito chiuso. L’innalzamento verti-ginoso dei prezzi dei biglietti sancì la progressiva esclusione dei tifosi provenienti dalla working class per far posto a un tipo di spettatore più propenso al consumo. Non è un caso che proprio in questo periodo si apra una breccia per il capitali-

smo e per quel processo di “com-modificazione”, tramite il quale una pratica sociale diffusa come il calcio acquisì un valore fortemente centrato sul mercato. Sono questi i presupposti dell’avvento della Pre-mier League, nata nel 1992 con l’obiettivo di permettere ai club una maggior libertà individuale relativa alla contrattazione di diritti tele-visivi e sponsorizzazioni. Da quel momento lo spettacolo corale dei tifosi d’Oltremanica subì un forte ridimensionamento volto a massi-ficare comportamenti e culture dei settori più vivaci verso un nuovo ordine disciplinare, che conoscia-mo (e talvolta esaltiamo) in Italia, come “modello inglese”.

ORLANDO SANTESIDRA

Fu un disastro annunciato. Le mani gli tremano. «Io non

sono un politico, sono un custode, una persona semplice. Però certe cose le capisco. Nei confronti dei tifosi per tutto il decennio erano state prese una serie di misure re-pressive che servivano a contene-re il malcontento popolare. Negli stadi era incanalata la rabbia che nasce altrove, nelle fabbriche e nelle miniere, e poi era schiaccia-ta con la violenza. Era necessaria una data che segnasse la svolta, il cambiamento. L’hanno ottenuta il 15 aprile 1989 a Hillsborough». A parlare, nell’intervista realizzata lo scorso anno da Luca Pisapia, è il custode dello stadio che 25 anni fa ha vissuto la tragedia che ha cam-biato per sempre il calcio inglese. Quel giorno nell’impianto di Shef-field si giocava la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest. Sono circa 24.000 i sup-porter del Liverpool e la folla che si crea intorno al vecchio stadio ha difficoltà ad accedere attraverso i pochi varchi. La polizia decide di aprire il cancello di una curva e l’afflusso si fa improvvisamente frettoloso in un’area già stracolma di gente. 96 tifosi dei reds perdono la vita, schiacciati dal sovraffol-lamento dello spazio che li ospi-ta. Si tentò di spiegare l’accaduto addossando la responsabilità alla condotta violenta degli hooligans, quando fu evidente la totale inca-pacità delle forze dell’ordine, pri-ma nel gestire il flusso di persone, poi nel caricare chi tentava dispe-ratamente di scavalcare la recinzio-ne e riversarsi sul terreno di gioco. Una martellante campagna dei media conservatori si diffuse a supporto della versione del gover-

no Thatcher, allora primo mini-stro inglese. Clamoroso è il caso del Sun, il quotidiano più venduto del paese, che pochi giorni dopo la tragedia pubblica una velleitaria inchiesta dal titolo “The truth”, parlando di tifosi ubriachi e violen-ti che hanno derubato i cadaveri e urinato sulla polizia che cercava di aiutare le vittime. Da quel giorno a Liverpool è raro trovare una co-

pia del Sun, ormai bandito dagli edicolanti, ma quell’articolo dette un gran sostegno alla voce del go-verno, che nel frattempo era im-pegnato a insabbiare la vicenda, falsificando referti e documenti, come ammetterà solo nel 2012 il premier David Cameron, chieden-do scusa ai familiari delle vittime. Formalmente, all’epoca, la rico-struzione dell’accaduto fu affidata

ad una commissione d’inchiesta presiedu-ta dal giudice Taylor (su cui scrivemmo già nel settembre 2009, pagina 8 di Senza So-ste n. 41) a cui si deve il nome di uno scru-poloso rapporto dal quale emersero le inefficienze delle for-ze di polizia, assolte però con la discussa sentenza del 1991 che decretò la mor-te accidentale delle vittime di Sheffield. Oltre a tentare di far luce sui fatti, il rap-porto Taylor ebbe il compito di ridise-gnare le norme di sicurezza degli eventi calcistici. In questo senso, come ha ricor-

dato il custode, Hillsbourogh è sta-ta quindi pesantemente strumen-talizzata dal governo, che sfrut-tando la tragedia e l’informazione manipolata ha dato il via a una ristrutturazione materiale e com-portamentale negli stadi. Una vera e propria rivoluzione che attraver-so il rapporto Taylor si impose sul piano architettonico, economico e disciplinare. Gli stadi furono mo-

TRAGEDIA DI HILLSBOROUGH - 25 anni fa la strage, sfruttata poi dal governo inglese per legittimare le sue politiche sul tifo

REFERENDUM - Stessa data, anni diversi: la storia italiana è cambiata, senza cambiare veramente

Quei 18 aprile...TERRY MCDERMOTT

Il 18 aprile è una data spacca-calendario nella storia della

repubblica italiana. Nel 1948 rappresentò la vittoria storica della Democrazia Cristiana sul Pci e sul Psi inaugurando un re-gime durato quasi 50 anni. Nel 1993, con i referendum, di cui uno sulla legge elettorale, rappre-sentò invece la fine della prima repubblica e la sostituzione dei partiti di massa con cartelli elet-torali e il declino del welfare sta-te italiano. Come si vede, si tratta di una data-destino nel nostro paese. Come il 9 novembre in Germania che ha segnato sia la proclamazione della repubblica socialista di Germania del 1918 che la caduta del muro del 1989. Ma perché è così importante in Italia la tornata referendaria del 1993? Semplice, senza quella data non ci sarebbe il paese che conosciamo. Ma anche per un altro motivo apparentemente più sottile. Quello che ci fa ca-pire come, da oltre vent’anni, la politica italiana si avviti sui soliti temi e le medesime soluzioni. La riprova? Allora l’Italia era in pre-da ad una forte crisi economico-finanziaria, a seguito di una gi-

gantesca speculazione valutaria (già qui suona fami-liare). A seguito di questa crisi aveva scelto di ridurre i salari, con l’abolizio-ne della scala mobile (la ridu-zione del sala-rio per la “cre-scita” come si dice oggi). Era un paese in pre-da alla corru-zione, e anche qui siamo su terreni conosciuti, con i partiti allora presenti sulla scena che avevano raggiunto il massimo del di-scredito (cosa talmente familiare da sembrare una fotocopia dell’oggi). E come allora, dimostrandoci così che la società italiana vive in un gigante-sco loop, l’agenda politica uscita dai media che cosa prevede? Privatizza-zioni, fine del finanziamento pubbli-co ai partiti e legge elettorale. Temi che, dopo oltre 20 anni (quando pro-prio nell’aprile del ’93 il Cern rende pubblica la tecnologia di Internet mentre la telefonia cellulare era affa-re di pochissimi) che si ripetono non

solo come se la società e l’economia non fossero cambiate. Ma anche come se si trattasse di temi nuo-vi, in grado di garantire un futuro. A dif-ferenza di al-lora, una dif-ferenza sem-pre più diffici-le da cogliere, il pacchetto riforme fu

presentato direttamente alle urne con una serie di referendum. Invece di passare per estenuanti mediazioni parlamentari. Il pacchetto dei refe-rendum, otto, promossi sostanzial-mente dal partito radicale riguarda-va: abolizione della legge elettorale proporzionale, abrogazione dei controlli Usl in materia ambientale, depenalizzazione uso sostanze stu-pefacenti, abolizione finanziamento pubblico dei partiti, abolizione crite-ri nomine pubbliche per le banche, abolizione ministero partecipazioni statali (e quindi dell’intervento pub-blico nell’economia), abolizione mi-

nistero dell’agricoltura, abolizione ministero turismo e e spettacolo. I referendum, presentati all’epoca su tutti i media come il pacchetto di so-luzioni che cambiava la faccia ad un paese, specie con il traino della legge elettorale, raggiunse il quorum pie-namente. Con circa il 77 per cento di affluenza alle urne. I risultati a fa-vore delle “riforme” furono schiac-cianti. Attorno al 90 per cento di “sì” per ogni quesito. Dopo la festa, di tutti i media, dedicata alle rifor-me che rinnovavano il paese, natu-ralmente niente cambiò. La mitica governabilità, ottenuta con il maggioritario (seppur diluito successivamen-te rispetto alla versione refe-rendario) ebbe come effetto quello di garan-tire il governo a Berlusconi nel 1994 e nel 2001. E il resto delle “riforme”? Giudicate dopo un po’, come la legge elettora-le, o “tradite” o insufficienti o niente affatto funzionanti. Cosa era stato venduto, e a tutta Italia, come la killer application del cambiamento, non aveva sortito effetti. Anzi, dove-

va essere sostituito con referen-dum nuovi. Nel 1999, di nuovo il 18 aprile, si provò così a far pas-sare un referendum, indovinate su cosa? Sulla legge elettorale, che andava corretta in senso an-cor più marcatamente maggio-ritario a questo paese. In modo da garantirgli, parole che ancora oggi usa l’allora 24enne Matteo Renzi, un solido futuro di rifor-me. Finì che, per pochi decimi di punto, il quorum non fu rag-giunto. Anzi, le proiezioni sui dati, all’inizio delle trasmissioni

sul voto, dava-no il quorum per raggiunto. Con grandi fe-ste del comitato organizzatore. In nottata, con i dati reali, ci fu il rovesciamen-to di fronte. Da allora non si è mai smesso di parlare di “ri-

forme”, legate alla legge eletto-rale, di privatizzazioni etc. For-se è il caso di guardare in faccia alla realtà: da oltre 20 anni si cerca di spacciare a questo pae-se sempre le solite, fallimentari, soluzioni.

Quando nacqueil “modello inglese”

Taylor impose una rivoluzione sul

piano architettonico, economico e disciplinare

Tutto questo ci fa capire che da oltre

vent’anni la politica italiana si avvita

sui soliti temi e le medesime soluzioni

anno IX, n. 92

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7stile libero

una mia poesia essenziale, si servirà di una speciale imbracatura stando sospesa tramite corde di sicurezza gestite da 2 rigger esperti di lavori in quota e responsabili della sicu-rezza. L’inaugurazione dell’opera è prevista per la mattina di sabato 12 aprile: per l’occasione, all’interno del mercato nel “tribunale ittico” andranno all’asta i bozzetti del di-pinto, nello stesso luogo in cui ogni mattina viene venduto all’asta il pe-sce fresco. Il progetto è il primo di una serie di lavori analoghi da rea-lizzarsi in altre città che si affaccia-no sul Mediterraneo. Un’iniziativa che per le sue caratteristiche tec-niche e per il suo slancio artistico, di certo non passerà inosservata e che ha già guadagnato il sostegno di Materis Paints, che con i suoi

marchi Max Meyer e Settef spon-sorizzerà i lavori di Libertà a Livor-no ed altrove. Ci sono incontri che ti segnano per sempre, incontri che sono sempre esistiti, incontri che avranno eco anche nelle vite future, nei sogni, nelle vite e nelle città. Li-bertà ha segnato e firmato Livorno.

VIOLA BARBARA

Libera Capezzone l’ho cono-sciuta dieci anni fa e la prima

cosa che ho notato di lei, oltre ai suoi occhi neri e profondi, sono sta-te le sue mani grandi e spesse. Non immaginavo che le sue mani rac-chiudessero un segreto, un segreto che l’avrebbe resa una pittrice me-ravigliosa. Si è trasferita a Livorno in una piccola mansarda dove mi mostrò i suoi primi quadri di tetti e palazzi distorti. Poi siamo andate a vivere insieme e una mattina arrivò con il quadro di un pesce, me ne in-namorai e lo battezzai ‘Pesce Kafka’, per le sue note oscure e profonde. L’ho avuto in cambio di alcune le-zioni di spagnolo, un grande affare: il primo quadro della pittrice a cui proposi di adottare il nome di Li-bertà. Le dissi anche che se avesse continuato a dipingere avrei vendu-to tutti i suoi quadri e così fu, fino ad ora.La prima mostra in un parrucchie-re, la seconda al Forte Prenestino di Roma, poi il Mercato Centrale, lo storico Teatro San Marco e la Cantina Barontini di Livorno e ogni volta i suoi quadri sono stati corredati dai miei titoli, dalle mie didascalie, la mia missione: dare voce alle immagini delle sue grandi mani. Libertà è diventato un nome collettivo: Libera Capezzone, Viola Barbara, Valeria Aretusi (la colon-na sonora di ogni evento e la mente degli allestimenti) Massimiliano Ferrini (grafico dalla mente prati-ca), Sara Fasullo (fotografa e video-maker del gruppo). Abbiamo deci-so di prendere in affitto una cantina

per trasformarla in un museo sui generis: a dicembre il Progetto Arti-stico Libertà ha inaugurato la Squidy Academy, situata sulla ‘rive gauche’ del quartiere Pontino sugli Scali delle Cantine 11, a Livorno.La serata inaugurale ha visto l’e-sposizione ‘Sovrapposizioni’, una mostra pitto-fotografica e poetica. Sono stati proposti poi il concerto di Falca Milioni e le Figure con la personale di Libertà ‘Cuori in ven-dita’, il concerto ‘My Homeys’ di Marina P. e Jules Baron e il reading

poetico ‘Squilibri Ormonali’ con la mostra di Giorgia Madiai. La Squi-dy Academy nasce per essere una cantina museo per le esposizioni permanenti e le mostre mensili di Libertà e si propone di diventare spazio comune e aperto a proposte idonee e stravaganti. C’è la volontà di accogliere pittori, fotografi, mu-sicisti, dj, attori, ma anche dibattiti, progetti, video reading e festini cul-turali.Poi l’illuminazione, l’idea di dipin-gere il tetto del mercato del pesce,

‘sarebbe un sogno’ o, come amia-mo dire inter nos , ‘l’ennesimo mi-racolo’, quattro risate ed eccola lì, dal 1 Aprile e senza scherzi, con ca-schetto, imbracatura, sorriso sma-gliante e dopo dieci anni, le stesse grandi mani, pronte a osare, a crea-re, a lasciare il segno. Libertà grazie all’appoggio della Coldiretti e della società Pesce del Tirreno, gestori della struttura, realizzerà un wall painting di un pesce di 25 metri sul-la superficie nord del tetto del Mer-cato Ittico con sotto lo stralcio di

VISIONI - Il wall painting di “Libertà” sul tetto del Mercato del Pesce a Livorno

LETTURE - Quarto romanzo per Daniele Cerrai che torna a raccontare la sua città, Livorno

La città delle teste di...LUCIO BAOPRATI

Dodici Luglio 1884, in via Roma, a Livorno, nasce il

pittore e scultore Amedeo Cle-mente Modigliani ovvero Modì, considerato uno dei più grandi artisti del XX secolo. 23 Marzo 2009, in un caveau di una banca non precisata di Livorno, vengo-no riunite tre sculture in pietra, La saggezza, La bellezza, La nera: sono tre teste, secondo i proprietari opere originali dell’ar-tista maledetto Amedeo Modi-gliani. Queste due date sono i riferimenti temporali entro i quali si sviluppa la narrazione del nuo-vo romanzo del livornese Daniele Cerrai, GrigioModì. Daniele Cer-rai esordisce come scrittore nel 2009 con Non è tempo di eroi (Zona), romanzo pulp proletario il cui grosso pregio, come scritto dal nostro Nique la police nell’in-troduzione al volume, è quello di porre «le condizioni letterarie per una archivistica e una memoria-listica di Livorno estremamente ricca e completamente diversa da quelle ufficiali.» Dopo aver raccontato Livorno (per quanto mascherata, distorta e proiettata in un possibile prossimo futuro) e la sua pittoresca fauna nel suo già citato romanzo d’esordio del 2009, e dopo essersi confrontato

(nei suoi due libri successivi) prima con i luoghi comuni e le leggende metropolitane della mediocre e mediaticamente narcotizzata pro-vincia italiana (Il Circo Ivankovic, Round Robin, 2011) e poi con l’an-noiata, nevrotica e precaria grande bellezza della capitale, Roma, su cui incombe la grande catastrofe (Win For Death - L’ultimo Reality, autoproduzione, 2012), Cerrai in questo quarto romanzo torna a scrivere su Livorno, sulla sua sto-ria, questa volta in maniera esplici-

ta compenetrando cronaca (il vero storico) e finzione, confermando quel pregio sottolineato da Nique la police cinque anni fa. Edito dal-la casa editrice romana Round Ro-bin (con la quale Daniele aveva già pubblicato Il Circo Ivankovic, nella collana Parole in viaggio), Grigio Modì (questa volta per la collana Babordo) è la ricostruzione roman-zata della storia delle famose teste perdute scolpite da Modì durante il suo ultimo soggiorno a Livorno (probabilmente nel 1912) e della clamorosa vicenda del ritrovamen-to nel Fosso Reale (il canale che si snoda lungo il perimetro dell’anti-ca pianta pentagonale della città) di tre sculture in pietra, subito rico-nosciute dai critici dell’arte come opere di Modigliani e che invece erano dei falsi scolpiti pochi gior-ni prima del ritrovamento, vicenda passata alla storia come la “beffa delle teste di Modì”. Una vicenda che segnerà profondamente il fu-turo della città condizionandone oltremodo l’identità: non è un caso che a Livorno la cultura e la creati-vità non sia presa politicamente sul

serio. In un nostro articolo dell’a-gosto 2009 (Le teste di Modì e la beffa che brucia ancora) Nello Gradirà si domandava «Ma la storia di Modi-gliani e delle sue teste fa ripercorre-re anche la storia della città e le sue identità: a quale di esse vogliamo richiamarci? Quella anarchica e ribelle dei pittori e degli artisti, o quella che li derideva perché non li capiva? Quella delle cacciucca-te di Costanzo “Ganascia” Ciano o quella antifascista e partigiana?

Quella a vocazione turistica di fine Ottocento o quella tutta togliatti-smo e partecipazioni statali dal do-poguerra agli anni 70? Quella delle beffe e dell’ironia verso i potenti o quella dell’intolleranza verso i di-versi? E soprattutto: quale Livorno

emergerà dalla crisi e dall’impo-verimento culturale?». La para-digmaticità della vicenda della “beffa” rispetto alla storia e all’i-dentità della città la ritroviamo compiutamente in questo nuovo romanzo di Daniele Cerrai, che ha per sottotitolo Storia di tre teste ritrovate. Una storia che ha per protagonisti principali, oltre alle teste (almeno sei in tutto), tre per-sonaggi che Cerrai ci presenta nel Prologo del libro: Amedeo Cle-mente Modigliani pittore e scul-tore maledetto morto a Parigi nel 1920, Piero Carboni carrozziere livornese che nel ‘91 rivelerà di possedere tre vere teste ed Angelo Froglia, portuale artista labronico autore di due delle tre teste false rinvenute nel Fosso in quell’esta-te dell’84 (ovvero Modì 1 e Modì 3). Ed è proprio il giusto rilievo dato da Daniele Cerrai alla rico-struzione del profilo politico ed artistico di Angelo Froglia (mor-to nel ‘97) ed al riconoscimento dello spessore culturale del suo gesto che nobilita questo avvin-cente Grigio Modì. Un rilievo che si evidenzia anche dalla struttura del libro, con Prologo, Epilogo e due parti centrali: Parte Prima Peitho – della persuasione/ Parte seconda Apate – dell’inganno.

Le sue mani grandi

Dal 1 aprile e senza scherzi, con caschetto,

imbracatura, sorriso smagliante e dopo dieci anni, le stesse grandi mani, pronte

a osare, a creare, a lasciare il segno

“Una storia che non racconta soltanto

una città che ha fatto dell’ironia

la propria bandiera, ma un’epoca

e un paese intero”

in uscita dal 19 aprile 2014

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PAGINA OTTOANNO IX - n° 92 - in uscita dal 19 aprile 2014

surfare, chi va e viene dall’estero per lunghi periodi alternando qua e là lavori stagionali, chi invece fa di tutto per crearsi spazi di tempo libero versatili per rendersi dispo-nibile secondo un sistema di previ-sioni del tempo, chi per avere una vita normale fatta d’impegni esce alle 5 del mattino per andare a cac-cia di onde fino alle 8,30 o attende l’ora legale per fare qualche cala-sole epico. Insomma potremmo af-fermare che ognuno di questi non conduce una vita proprio omologa-ta. A Livorno come in provincia e anche in diverse altre città toscane compresa Firenze ci sono surfisti di tutte le età, siamo ormai abbon-dantemente alla terza generazione. Ci sono ormai surfisti nonni e ne abbiamo dei meravigliosi esempi, basta fare due passi lungo mare quando ci sono “l’onde!”.

JACK RR

Da tanti anni vengono scritti ar-ticoli sul surf, così come sono

stati fatti reportage, video eccezio-nali dove le onde e i luoghi sono più vicini al paradiso terrestre che alla realtà della natura; sono stati fatti film di grande successo perché arrivavano fino in fondo, a cogliere lo stile di vita e quelle dinamiche che s’innescano una volta scatta-ta la passione. Vorrei dare invece l’idea del surf fatto fuori dall’im-maginario, quello appunto escluso dalle acque cristalline corredato di spiagge meravigliose. Vorrei dare l’idea di quel lato del surf di cui nessuno generalmente parla, ma che in molti praticanti nel mondo ritrovano nella loro dimensione di pratica sportiva abituale e sotto casa. Coloro che dopo il lavoro o la scuola, assicurati gli impegni familiari e altro, si ritagliano fati-cosamente quello spazio per poter scorrere una o più onde prima di andarsene a cena in famiglia dove gli altri componenti sedendosi al tavolo raccontano le loro differen-ti esperienze della giornata. È la dimensione del surf più comune, dove l’immaginario c’entra ben poco e invece prende campo la soddisfazione in sé, per cui se ne può anche non parlare più di tanto con gli altri. Quando il surf diven-ta il tuo sport sei a posto. Non stai praticando più quella disciplina tutta briosa descritta dagli artico-li scritti durante ogni inizio estate con i titoli del tipo <Sognando la California>. Anzi certe riprodu-zioni della tua reale dimensione sono insopportabili perché false e irrispettose. Il surf è una cosa se-ria, per cui non necessariamente ci si deve ridere di felicità enfatizzata da gridolini e atteggiamenti alla moda. Alle volte il surf prende al-tre pieghe, anzi quasi sempre, per coloro che non son nati in Cali-fornia e non hanno nessuna inten-zione di trasferircisi. Il surf prima di tutto è a casa tua, o almeno in quello che tu ti abituerai a fre-quentare come spot di casa. Ci po-tresti prendere anche la residenza da quanto impari a conoscerlo. Il punto di uscita, lo spot come viene chiamato in gergo, è candidato a diventare “il tuo mare” e ogni altro luogo ti richiederà un tempo con-sistente per entrarci in confidenza. Non puoi andare in un posto sco-nosciuto e buttarti senza osservare diverse cose importanti. Non sta-resti facendo il surf, staresti an-dando solo a fare il bagno, magari anche surfando, ma non sarebbe all’atto pratico il surf, sarebbe sol-tanto una performance ginnica. Invece devi dedicare un tempo alla laica preghiera della considerazio-ne di tanti fattori in cui te vai ad immergerti. E qui il modo e i con-tenuti sono tipicamente soggettivi a seconda del carattere e dei credo. Sta il fatto che il surf non è una cosa che si fa senza avere una forte motivazione, c’è da nuotare all’at-to pratico e non ho mai visto con-tinuare o imparare chi non vuole far fatica. Qui già la voglia di sod-disfare l’immaginario crolla come

di fronte ai primi freddi. Eppure il surf ti spinge oltre tutte queste cose relegandoti in una fascia di comportamenti inediti, dal met-tersi e levarsi la muta nei cespugli ai margini delle strade litoranee, nell’abbandonare le scarpe anche in pieno inverno e rimanere inde-cisi se andare a casa con le ciabatte oppure addirittura scegliere di ve-stirsi a casa prendendo il motorino con la muta in neoprene addosso. Tutti elementi che sono completa-mente fuori dagli schemi ordinari della gente che secondo le tempi-stiche del calen-dario fa il cambio dell’armadio. Non ho mai conosciuto nessun surfista che fa cose del genere e se le faceva le ha rimosse. Cose obbrobriose. Il surf ha trasforma-to il modo di vivere e di andare al mare di tutti coloro che lo pratica-no, l’inverno è solo un’estate un po’ più fredda, non drammatizzia-mo. Non mi sono mai ammalato a

corredando i fenomeni con scrit-te sui muri di Livorno, tipo “Ozzy surfa di scaduta”, “only locals”, “Sale Surf Spot” e altre meno resistenti scomparse col tempo, anche Zeb faceva surf e lo ricordiamo con grande affetto. Era una fase in cui si voleva esprimere, agitando dei simboli, che si poteva fare altro nella nostra città dove il processo di omologazione stava schiaccian-do ogni ambito dall’impostazione urbana agli stili di vita, alla grande scala del commercio alla riduzio-ne delle opportunità del fare con poco. C’è da dire che i surfisti ge-neralmente nel mondo son sempre stati condannati a subire attacchi da parte di coloro che si comporta-vano conformemente nella nostra società. Il senso di responsabili-tà del bravo ragazzo non poteva aprire ad uno stile di vita fatto di onde e di emozioni, sarebbe stato un baco che si sarebbe insinuato nella purezza di un’educazione improntata all’ideale tipo borghese del fare carriera. Ad oggi vediamo infatti quanto è stato difficile per i surfisti della nostra città andarsi ad inserire in una quotidianità nor-male. Tra chi lavora all’estero per

causa del mare in tutta la mia vita. Ma com’è possibile? Mi è capita-to di ammalarmi se stavo lontano dall’acqua solo per lunghi periodi. Tutto questo non è solo sport, e infatti si arrivò a definire correnti all’interno di generazioni di ragaz-zi livornesi come “i surfisti” consi-derando appunto a partire dall’ab-bigliamento coloro che si identi-ficavano con certe logiche anche di rottura con altre spesso in op-

posizione. I “sur-fisti” abbronzati e biondi accanto ai “dark” vestiti di nero, chiari di pelle e capelli scu-rissimi erano una contrapposizione pacifica, i “metal-lari” con una pro-pria secca identità di strada non pote-vano culturalmen-te dividere il tour

degli spot per vedere se ci fossero state “l’onde”. Ecco, gli anni ’90 livornesi dove questo fenomeno ricalcava quanto già successo in realtà urbane delle coste oceaniche però come sempre con più enfasi

SURF - Generazioni di surfi sti si stanno avvicendando sulla costa livornese. Uno sport ormai maturo, seguito da molte persone che vengono dai paesi e città interne. Il surf avvicina le persone al mare, ma è anche un simbolo di un modo di essere, di pensare e di vedere il mondo

Il surf ti spinge oltre tutte queste cose relegandoti in una fascia di

comportamenti inediti

Le onde Le onde sotto casasotto casa