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A FilomenaPer la nostra rinascita

e unione delle solitudini

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Hamza Zirem

La forza delle parole Poesie, conferenze, interviste

Traduzione e note a cura di Anna Lapetina

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Copyright © MMXARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133/A-B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978-88-548-3562-7

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2010

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Indice

7 Prefazione

9 Introduzione

13 parte primaLa riflessione poetica

65 parte secondaConferenze

Albert Camus e l’Algeria, 67 – Terenzio: poeta comico di ispirazione greca, espressione latina e origine berbera, 85 – Il percorso letterario e politico dello scrittore franco-cabilo Jean El Mouhoub Amrouche, 95 – Tahar Djaout: la scrittura ribelle, 121 – Jeannie Varnier, verso la rinascita dello spirito umanitario, 135 – La Cabila, preludio all’esilio, 143 – Distan-za e letteratura, 166 – Il dialogo tra le principali religioni mo-noteistiche: cristiana, ebraica e musulmana, 168

173 parte terzaInterviste

Colloquio con Jean-Pierre Andrevon, 175 – Intervista di Zi-rem allo scrittore Rocco Brindisi, 224 – Anna Lapetina inter-vista Zirem, 232

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Presentazione

Accolto nel 2009 dal comune di Potenza, città-rifu-gio per gli scrittori della rete internazionale ICORN, Hamza Zirem, autore di origine cabila, ha partecipato attivamente a numerosi incontri di natura letteraria presso l’Università degli Studi della Basilicata, gli istituti scolastici della Regione, la Biblioteca Nazionale ed il Teatro Stabile di Potenza. Vari sono stati i temi oggetto dei suoi interventi, costituiti anche da récitals poetici accompagnati dalla musica eseguita da Anna Lapetina, sua traduttrice.

Questo libro si compone di tre parti: nella prima è contenuta una serie di poesie scelte, che compongono una riflessione sollecitata da interrogativi di fondamen-tale importanza. Con sguardo attento, l’autore traccia scrupolosamente il senso dell’essere uomo divulgando la fragilità del mondo attuale, la propagazione di senti-menti d’odio e lo smarrimento del pensiero. Le poesie si concludono sempre con una nota di speranza.

La seconda sezione è poi dedicata ai testi delle con-ferenze di un relatore attento quale è Zirem, tesi ad immortalare autori come Terenzio, Albert Camus, Jean Amrouche, Tahar Djaout e Jeannie Varnier. Le due con-ferenze «Letteratura e distanza» e «Dialogo tra le regioni monoteistiche» sono state pronunciate in italiano.

Infine, nell’ultima parte sono contenute tre interviste: una allo stesso autore, interrogato da Anna Lapetina, e le altre due proposte da Zirem agli scrittori Jean-Pierre Andrevon e Rocco Brindisi. Il colloquio con Jean-Pierre Andrevon è stato già oggetto di pubblicazione presso

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10 Hamza Zirem

le edizioni algerine Minuscules nel 2007, mentre la bre-ve intervista a Rocco Brindisi, condotta in italiano da Zirem, ci offre una presentazione generale dell’autore potentino.

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Introduzione

Hamza Zirem ride meravigliosamente. Scoppia a ridere proprio quando sembra perso nelle sue inattingibili ma-linconie cabile, e i suoi occhi splendono di una profonda, giocosa affabilità con le parole, con il corpo. Quando ride ti artiglia il braccio, quasi avesse paura di precipitare negli spazi stellari della sua sostanza umana. Si trova in Italia, a Potenza, da più di un anno, e parla un italiano che non mi stancherei mai di ascoltare, per gli echi jazzistici che affiora-no nelle conversazioni di certi immigrati, e perché, la sua, è la lingua sospesa e priva di certezze dei bambini, una lingua che guarda e che non sogna di vedere il volto di Dio.

Hamza Zirem è stato costretto a lasciare la famiglia, l’Algeria, gli amici, il lavoro che amava. Lo avevano mi-nacciato di morte per quello che diceva, pensava, scriveva. Aveva fondato con il fratello una piccola casa editrice, manifestava per l’affermazione dei diritti del suo popolo, ha conosciuto giovani scrittori ammazzati come cani per le loro idee.

Io e Hamza siamo diventati amici. Sapevo che sarebbe accaduto, da quando l’ho visto attraversare la piazza a passo spedito come un Moby Dick in incognito, che fende, impaziente, l’immenso quaderno di uno scolaro, prima ancora che il bambino abbia disegnato il mare.

Hamza è un poeta che legge i poeti del mondo e ne pronunzia il nome con un sorriso nobile, che è anche un soprassalto della memoria, come quando si ricorda un amore finito, che non finirà.

“Dostoevskij, Rimbaud, Henry Miller, Cechov, Primo Levi, Kateb Yacine…” In questo amare i “nomi” degli altri,

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12 Hamza Zirem

nel suo essere “distante da sé”, Hamza mi ricorda i miei amici, quelli che non scrivono, e quelli che invece scrivono (Carlo Bordini e Giorgio Messori), amici che ho la fortuna di amare, e che amo, per tante, diverse irragionevoli e chiarissime ragioni, e perché considerano sacro, heureux (direbbe Hamza) il gesto di guardare, di stare in ascolto, di comprendere qualcosa del mondo.

Durante il festival della poesia dei paesi del Mediterra-neo (Nusco, il 24/10/2009) Hamza Zirem si è commosso a sentire i ragazzi dei licei di Nusco che leggevano le sue poesie tradotte in italiano, e si è divertito ad ascoltare la traduzione che ne avevano fatto in latino.

Quando siamo entrati nel salone, la sua faccia si è il-luminata, perché le voci, quella musica delle voci, era la stessa della scuola dove insegnava francese, in Algeria. Si è girato verso di me: “Ecco…quello che mi manca vera-mente sono queste voci…”.

In un altro momento mi ha confessato che sì, gli manca la famiglia, la Cabilia, ma quello che gli manca di più è il lavoro, il suo lavoro d’insegnante.

Qualche volta pranziamo in una trattoria alla buona, frequentata da operai, impiegati, e da una vecchia cop-pia che viene qui perché si risparmia, perché la cucina è casalinga, e perché nessuno dei clienti diffida della loro ineffabile dolcezza di fantasmi.

Hamza vive a Potenza in un luogo che ha reso ac-cogliente (libri, musica maya, classica, canti d’amore cabilo…). Ha sempre un bicchiere di birra, per sé e per gli amici (Hamza è un berbero che crede in Dio, senza prenderLo sul serio), nonostante venga da una famiglia di musulmani praticanti, dove, comunque, la preghiera del padre non ha mai oscurato la dolcezza dei figli.

Hamza gradisce il vino, anche quello senz’anima delle cantine. Preferisce tagliare la carne a pezzettini.

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Introduzione 13

Ho conosciuto Hamza a una serata su Albert Camus organizzata dall’Alliance Francaise. Camus è lo scrittore che, assieme a mia madre, al corpo di mia madre, mi ha salvato, quando avevo venticinque anni, dalla patetica “ala” della giovinezza. Hamza ha parlato di Camus e del rap-porto di questo scrittore con l’Algeria. Le parole di Hamza avevano la forza, sempre più rara, che viene dalla bocca di un intellettuale vero, uno che si appassiona agli altri più che a se stesso, un poeta che non si è compromesso mai neanche con gli specchi.

La poesia di Hamza è poesia “civile”, civile e visionaria. Hamza Zirem è uno dei rari esempi di poeta che lotta contro le ingiustizie con le azioni, con i fatti della parola, e che si lascia provocare fino in fondo dal suo mistero, dal mistero della poesia, che mette insieme i balconi, allegria del foglio, la spina dorsale dei bambini e della morte.

Hamza Zirem ha ripreso a scrivere. Ho letto le sue ul-time poesie: vibrano come due che si fermano a guardare, mentre fanno l’amore, la neve sui vetri.

R. Brindisi

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parte prima

La riflessione poetica

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16 Hamza Zirem

En guise d’exergue:

«Nous avons l’habitude de nous considérer comme un peuple émancipé; nous nous prétendons démocrates, amis de la liberté, libres de haine et de tout préjugé. Les Etats-Unis, disons-nous, sont le creuset, le théâtre d’une vaste expérience humaine. Ce sont là de belles paroles, pleines de sentiments nobles et idéalistes. Mais en fait, nous sommes une foule de gens vulgaires et arrivistes dont les passions ne demandent qu’à être éveillées par les démagogues, les journalistes, les faux prophètes, et autres agitateurs. C’est un blasphème que d’appeler cela une société d’hommes libres. Qu’avons-nous à offrir au monde sinon le prodigieux butin que nous arrachons fré-nétiquement à la terre en baptisant cette activité insensée des noms de progrès matériel et moral? Le pays des occa-sions est devenu le pays des efforts absurdes et désespérés (…) Le monde cependant tourne vers nous un regard plus désespéré que jamais. Où est le bel esprit de démocratie? Où sont les chefs? (…) Il y avait mille excellentes raisons pour que surgissent les dictateurs européens et asiati-ques. Nous avons le nôtre, nous aussi, mais il est à cent têtes comme l’hydre (…) Quelle est la pire des trahisons? C’est de mettre en doute la valeur de ce pour quoi l’on se bat. Et c’est ici que la folie et la trahison se rejoignent. La guerre est une forme de folie: la plus noble ou la plus basse, les avis sur ce point diffèrent. Mais comme c’est une folie collective, les sages sont impuissants contre elle (…) Ces guerres ne nous enseignent rien, pas même à vaincre nos terreurs. Nous sommes toujours des hommes des

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parte prima – La riflessione poetica 17

A mo’ di epigrafe:

«Abbiamo l’abitudine a considerarci un popolo eman-cipato; diciamo di essere democratici, amici della libertà, liberi dall’odio e da ogni pregiudizio. Gli Stati Uniti, con-tinuiamo a dire, sono il crogiolo, il palcoscenico di una vasta esperienza umana. Si tratta di belle parole, piene di nobili ed idealistici sentimenti. Ma in verità, siamo una folla di gente volgare ed arrivista, le cui passioni chiedono solo di essere risvegliate da demagoghi, giornalisti, falsi profeti, ed altri agitatori. È blasfemo chiamare questa una società di uomini liberi. Cosa abbiamo da offrire al mondo se non il ricco bottino che strappiamo via freneticamente alla terra battezzando questa insensata attività con il nome di progresso materiale e morale? Il paese delle occasioni è divenuto il paese degli sforzi assurdi e disperati [...] Eppure il mondo ci guarda nel modo più sconfortato possibile. Dov’è il grande spirito di democrazia? Dove sono i leader? [...]I dittatori europei ed asiatici potevano spuntare per mille ottime ragioni. Anche noi abbiamo il nostro, ma ha cento testa come un’idra [...] Qual è il peggior tradimento? Mettere in dubbio il valore di ciò per cui ci si batte. È su questo punto che follia e tradimento si congiungono. La guerra è una forma di pazzia: la più nobile o la più infima, i pareri in proposito sono diversi. Ma dato che si tratta di una pazzia collettiva, i savi sono impotenti contro di essa [...] Queste guerre non ci insegnano nulla, neanche a vincere le nostre paure. Siamo pur sempre uomini delle caverne. Democratici, forse, ma è una magra consolazio-ne. Bisogna lottare per uscire dalle caverne. Se facciamo

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18 Hamza Zirem

cavernes. Des hommes des cavernes démocrates, peut-être, mais c’est un piètre réconfort. C’est pour sortir de la caverne qu’il faut lutter. Si nous faisons le moindre effort dans cette direction, nous entraînerons le monde entier. Si nous entendons jouer le rôle de Vulcain, forgeons des armes neuves et stupéfiantes pour briser les chaînes qui nous entravent. N’aimons point la terre d’un amour per-vers. Cessons de jouer les récidivistes. Cessons de nous massacrer les uns les autres. La terre n’est pas une tanière, et pas davantage une prison. La terre, c’est le Paradis, le seul que nous connaîtrons jamais. Nous le comprendrons le jour où nos yeux s’ouvriront. Inutile de faire un Paradis: c’est le Paradis. Nous n’avons qu’à nous rendre dignes de l’habiter. L’homme nanti d’un fusil, l’homme qui a le meurtre dans le cœur est incapable de reconnaître le Paradis même si on le lui montre.»

Henry Miller (Le cauchemar climatisé)

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parte prima – La riflessione poetica 19

un piccolo sforzo in questa direzione, coinvolgeremo il mondo intero. Se intendiamo recitare il ruolo di Vulcano, forgiamo armi nuove e sbalorditive per spezzare le cate-ne che ci tengono prigionieri. Non amiamo con amore perverso la terra. Smettiamola di perseverare negli errori. Di massacrarci gli uni gli altri. La terra non è una tana, e certo non è una prigione. La terra è il Paradiso, il solo che mai conosceremo. Lo capiremo il giorno in cui i nostri occhi si apriranno. Inutile farne un Paradiso: è il Paradiso. Dobbiamo solo renderci degni di abitarlo. L’uomo munito di fucile, l’uomo che ha l’assassinio nel cuore, è incapace di riconoscere il paradiso anche quando glielo si mostra.»

Henry Miller (L’incubo ad aria condizionata)

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20 Hamza Zirem

L’Irak en etat de guerre

Des morts anonymes tombentTous les jours à Bagdad et ailleursEt font le décor d’une guerre télévisée.

L’ivresse d’un président américainFait du mensonge un crédoEt impose une cruelle représentation.

Fracas de la folieDuplicité lubriqueTant d’outragesEt délabrement…

Du sang grouille autour du pétroleDes hommes rapaces et cupidesFont joujou de la guerre.

Des corps pêle-mêleDémembrent notre mémoireAu-delà des sensations péniblesL’humanité entière se soumet.

Vaporeux momentsL’aurore s’éparpilleLa corolle du mondeRecherche ses pétales.

Du sang coule à flotsLe chaos a ouvertLa voix à la déstabilisation.

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parte prima – La riflessione poetica 21

L’Irak in guerra

Anonimi mortiOgni giorno a Bagdad e altrove CadonoScenografia di una guerra televisiva.

L’ebrezza di un presidente americanoTrasforma la menzogna in credoE impone la crudele rappresentazione.

Assillo della folliaDuplicità lascivaCosì tanto oltraggioE rovine...

Sangue sgorga intorno al petrolioRapaci e avidiIndividuiGiocano alla guerra.

Cadaveri alla rinfusaLacerano la nostra memoriaOltre le penose sensazioniL’umanità si sottomette.

Istanti evaporanoSi disperde l’auroraLa corolla del mondoCerca i suoi petali.

Sangue a fiottiIl caos ha inauguratoLa destabilizzazione della voce.

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22 Hamza Zirem

Je guigne l’arc-en-cielDes existences menacéesPlus loin de l’oubliLe temps s’amenuiseLes carnages martèlent mes pulsations.

Faiseurs de guerre qui encombrent le mondeJe hais vos abominations et vos cruautésJe hais vos abjections et vos calamitésJe hais vos atrocités recommencées.

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parte prima – La riflessione poetica 23

Sbircio un arcobalenoE le minacciate esistenzePiù lontano ancoraDell’oblioIl tempo si assottigliaMentre il rumore dei carnaiMartella le mie pulsazioni.

Fautori di guerra che impestate il mondoOdio di voi abomini e crudeltàOdio la vostra abiezione e le calamità che procurateOdio le atrocità che sempre rinnovate.

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24 Hamza Zirem

Morosité

Par dessus les successions illogiquesDu règne de bouillie sanglanteL’injustice demeure incurable

La barque de l’humanité risque de chavirerL’ennui immémorial qui rince les âmesSe méprend avec une récurrence contrefaite

Mes batailles perdues me rendent explétifLes tourments se fixant au fond de la gorgeRéinventent l’harmonie de mes murmures

Je déchiffre une dextérité d’espritA travers le regard humble des pauvresLes sans-cœur trébuchants m’exaspèrent

Sur les lieux aveuglants et méconnaissablesJe brave ostensiblement les principes tarésEt j’agite mon cynisme indéfiniment sincère.

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parte prima – La riflessione poetica 25

Malinconia

Al di là delle illogiche successioniDel regno di poltiglia sanguinanteL’ingiustizia rimane incurabile

La nave dell’umanità rischia il naufragioSi fraintende con falsa ricorrenzaLa noia immemore che netta gli animi

Le battaglie perse mi rendono pleonasticoI tormenti depositati in fondo alla golaReinventano l’armonia dei miei mormorii

Decifro destrezza di spiritoAttraverso l’umile sguardo dei poveriMi esaspera chi senza cuore vacilla

Sfido con ostentazione in luoghi accecantiEd irriconoscibili i principi corrottiE agito il mio cinismo indefinitamente sincero.