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EDITH STEIN BIOGRAFIA Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa. PAROLE SUE Dall’antologia La mistica della croce (dalle Lettere) Chi cerca la verità… Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no. Con la mano nella mano del Signore (GESU’ AL CENTRO DEI NOSTRI AFFETTI) In fondo, ciò che devo dire è sempre una piccola, semplice verità: come imparare a vivere con la mano nella mano del Signore. Se la gente richiede da me qualcosa di totalmente diverso e mi propone 1

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EDITH STEIN

BIOGRAFIA

Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.

PAROLE SUE

Dall’antologia La mistica della croce (dalle Lettere) Chi cerca la verità…Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no.

Con la mano nella mano del Signore (GESU’ AL CENTRO DEI NOSTRI AFFETTI)In fondo, ciò che devo dire è sempre una piccola, semplice verità: come imparare a vivere con la mano nella mano del Signore. Se la gente richiede da me qualcosa di totalmente diverso e mi propone temi di alta speculazione che però mi sono estranei, posso usarli solo come introduzione per giungere infine al mio ceterum censeo. Forse questo è un sistema molto opinabile. Tenere conferenze è un’attività che mi è piovuta addosso d’improvviso, tanto che non ho ancora avuto il modo di rifletterci bene sopra. Forse prima o poi dovrò farlo.

Quando si è stati così spesso insieme vicino al Salvatore come noi due, allora se ne può anche parlare serenamente. Ah, se solo fossero molte le persone con cui poterlo fare, senza dover temere che qualcosa di sacro venga profanato! Concediti in chiesa tanto tempo quanto ti è necessario per trovare serenità e pace. Non servirà solo a te, ma anche al tuo lavoro e a tutti coloro con i quali hai a che fare.

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Dio conduce ciascuno per una via particolare: l’uno arriva più facilmente e più presto alla meta di un altro. Ciò che possiamo fare è, in paragone a quanto ci vien dato, sempre poco. Ma quel poco dobbiamo farlo: cioè pregare insistentemente affinché, quando ci verrà indicata la via, sappiamo assecondare la grazia senza resisterle. Chi va avanti così con perseveranza non potrà dire che i suoi sforzi furono vani. Però non si deve porre una scadenza al Signore.

Naturalmente, la religione non è qualcosa da confinare in un angolo tranquillo o in alcune ore di festa, ma deve essere, come del resto Lei stessa sente, radice e fondamento di tutta la vita, e non solo per pochi eletti, ma per ogni vero cristiano.

Quando ottengo qualcosa per cui ho pregato a lungo e insistentemente, mi fa un effetto ancor più travolgente che non quando vengo esaudita subito.

Le mie meditazioni non raggiungono grandi altezze spirituali, sono per lo più molto semplici e modeste. La cosa migliore che contengono è il ringraziamento per aver ricevuto in dono un posto in questa patria terrena da cui salire alla patria eterna.

Ciò che della nostra storia crediamo a volte di capire è pur sempre un fugace riflesso di ciò che resterà un segreto di Dio fino al giorno in cui tutto sarà chiaro. La speranza in questa futura rivelazione mi dà una grande gioia. E questa fede nella storia segreta delle anime deve fortificarci quando ciò che vediamo esternamente (in noi e negli altri) ci toglierebbe il coraggio.

Certo, Dio è in noi, tutta la Santissima Trinità. Se nell’intimo del nostro cuore sapremo costruire una cella ben protetta in cui ritirarci il più spesso possibile, non ci mancherà mai niente dovunque ci troveremo.

Questa miscellanea di frasi e brevi brani dalle lettere di Edith Stein ci fanno conoscere un poco questa santa così “strana”, dalla personalità così complessa. In particolare da questi testi emerge la grande intimità che ha raggiunto con Dio nella sua vita: dopo un’intensa ricerca della verità attraverso gli studi fenomenologici (che s’intravede nella dichiarazione iniziale su chi cerca la verità) ha scoperto la fede che si è approfondita sempre più fino all’ingresso nel Carmelo. Questa scoperta, o meglio, questo incontro ha davvero cambiato la sua vita, si è inserito nel suo modo di vedere le cose, nel suo comportamento, nelle scelte e tutto ciò emerge negli scritti. Qui vediamo la sua ansia di essere sempre testimone del Signore, la sua necessità di avere del tempo per stare con Lui, il suo sforzo nell’abbattere la superbia e decentrarsi per fare posto al centro del suo cuore a Lui, la sua gratitudine e la sua fiducia personale in Dio. Sono le parole di una donna, spesso anche personali nel tono, essendo tratte da lettere private, ma fanno emergere nettamente in controluce la santità cui noi come lei siamo chiamati, una santità che appunto si manifesta nella vita quotidiana permeandola. E’ un cammino di santità che invita a metterci la testa ma soprattutto a cercare Gesù come centro affettivo del nostro andare.

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Che rapporto ho con il Signore? Penso di potergli parlare intimamente, di poter vivere mano nella mano con lui? So fargli posto nel mio cuore?

Ho qualche persona con cui posso parlare amichevolmente del mio rapporto col Signore?

Sono consapevole della mia vocazione alla santità? Che posto c’è per Dio nella mia vita quotidiana?

Uno strumento gioioso (ESSERE STRUMENTI PER DIO)Immediatamente prima della mia conversione e poi ancora per un certo periodo, ho pensato che la vita religiosa significasse rinunciare ad ogni cosa terrena e vivere pensando solo al divino. A poco a poco ho imparato a capire che ci viene richiesto altro in questo mondo e che anche nella vita più contemplativa il legame con il mondo non può essere reciso; credo anzi che quanto più si è sprofondati in Dio, tanto più si debba «uscire da sé», entrare nel mondo, per portarvi la vita divina. L’essenziale è solo che ogni giorno si trovi anzitutto un angolo tranquillo in cui poter avere un contatto con Dio, come se non ci fosse nient’altro al mondo - le ore del mattino, prima che cominci il lavoro, mi sembrano il momento migliore. Inoltre si deve accogliere la propria missione, giorno per giorno, attraverso il contatto con Dio, non sceglierla; infine bisogna considerarsi davvero uno strumento e soprattutto ritenere le forze con cui si lavora (nel nostro caso l’intelletto) qualcosa che usiamo non noi, ma Dio in noi.

La grazia di essere guidata da Dio si è fatta sentire in queste ultime settimane in modo particolare. Mi par di intravedere più distintamente qual è il mio compito. Naturalmente, comprendo sempre più a fondo la mia totale insufficienza; ma al tempo stesso, malgrado questa insufficienza, intravedo la possibilità di essere strumento.

Sono solo uno strumento del Signore. Se uno viene da me, vorrei condurlo a lui. E quando noto che non posso e che sono interessati alla mia persona, non potendo servire da strumento, prego il Signore che intervenga in un altro modo. Lui non è costretto a servirsi di un’unica persona.

Da alcune settimane ho ripreso il mio lavoro filosofico: devo preparare una grande opera, per la quale mi manca moltissimo materiale. Se non avessi fiducia nell’obbedienza e nel fatto che il Signore, se vuole, può ottenere qualcosa di buono anche attraverso uno strumento debole e incapace, non tenterei nemmeno. Così, invece, faccio tutto il possibile e vado a prendere coraggio dal tabernacolo, quando mi sento scoraggiata di fronte all’erudizione di molti altri.

La mia vita comincia da capo ogni mattina e termina ogni sera, non ho progetti né mire di più lunga durata; la previsione, naturalmente, può far parte del lavoro quotidiano - un’attività scolastica ad esempio è impossibile senza un piano - ma non deve mai essere una «preoccupazione» per il giorno dopo.

Penso che Lei potrà aiutare meglio gli altri se si preoccuperà il meno possibile di come farlo e sarà il più possibile semplice e gioiosa.

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Non uso particolari sistemi per prolungare il tempo di lavoro. Faccio quanto posso. La capacità di fare aumenta evidentemente in proporzione alla mole di ciò che devo necessariamente sbrigate. Quando non c’è nulla -di urgente, allora smetto molto prima. Certamente, il cielo sa economizzare. Perciò, evidentemente, quello che Lei fa dopo le nove non è più necessario. Che nella pratica non tutto vada secondo il buon senso, è dovuto al fatto che non siamo puri spiriti. Ribellarsi non serve.O Signore, dammitutto ciò che mi conduce a te.O Signore, prenditutto ciò che mi distoglie da te.O Signore, strappa anche me da mee dammi tutto a te.

In ogni caso credo che una via sicura sia quella di diventare un «vaso vuoto» per la grazia divina.

Queste meditazioni sull’essere strumento sono molto interessanti per tre ordini di motivi. Anzitutto perché mostrano il percorso di abbassamento di abbattimento dello spirito superbo di Edith Stein, la più promettente discepola del grande Maestro della fenomenologia, Edmund Husserl, sempre apparsa competente e sicura di sé; la conversione, mostrandole la via del servizio, le fa capire anche il valore dell’umiltà e la necessità della fiducia negli altri e nell’Altro per sopperire alla mancanza delle proprie forze, di cui intravede la finitezza. Un secondo motivo è l’urgenza che sente di dare testimonianza, propria di chi ha trovato qualcosa di bello e grande per la propria vita e vuole condividerlo: è il vero spirito missionario che ci suscita l’avere incontrato e il restare in Cristo che sempre spinge ad “uscire da sé” per andare ed accompagnare altri verso il Signore. Infine emerge una grande consapevolezza del fatto che ci è chiesto di fare quello che possiamo: tutto il resto è aggiunto dal Signore, senza preoccupazioni, senza affannarsi più del dovuto, proprio perché ha fede nell’azione di Dio nella nostra vita, e quindi ha la sicurezza che se fa la cosa giusta il Signore sopperirà alle sue mancanze. Da tutti questi tre aspetti emerge la grande gioia che Edith ha trovato: tutto è più semplice, più leggero, e il desiderio è di diventare un “vaso vuoto” per la grazia divina.

Come vivo la dimensione del servizio? Trovo degli spazi nel mio tempo da dedicare agli altri e al Signore?

Credo che l’umiltà sia un valore? Credo di poter sempre fare tutto da solo? Sono capace di riconoscere la

mia insufficienza e chiedere aiuto?

La vocazione e la vita religiosaAlla domanda se sia da preferire un istituto religioso, una libera associazione oppure una vita solitaria al servizio di Dio, non si può dare una risposta in generale, bensì ciascuno deve rispondervi personalmente. La molteplicità degli Ordini, congregazioni e libere associazioni non è puramente casuale, né è segno di disorientamento. Essa corrisponde bensì alla varietà degli scopi e degli uomini. Nessuno è adatto a fare di tutto, e così un’associazione od organizzazione di un certo tipo non può far di tutto. Uno il corpo - molte le membra. Uno lo spirito - molti i suoi doni. Il posto di ciascuno di noi dipende

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unicamente dalla nostra vocazione ed è il problema più importante per te dopo l’esame. La vocazione non la si trova semplicemente dopo aver riflettuto ed esaminato le varie strade: è una risposta che si ottiene con la preghiera - lo sai - e in molti casi deve essere cercata imboccando la strada dell’obbedienza. Ho già dato ad altri questo consiglio, ed hanno trovato serenità e chiarezza.

Esiste una chiamata a patire con Cristo e a collaborare così con lui alla sua opera di redenzione. Se siamo uniti al Signore, siamo membra del corpo mistico di Cristo; Cristo continua a vivere nelle sue membra e soffre in loro; e la sofferenza, portata in unione col Signore, è la sua sofferenza, innestata nella grande opera della redenzione, e per questo è feconda. Questo è il principio su cui si fonda la vita di tutti gli Ordini religiosi e in primo luogo del Carmelo: attraverso una libera e gioiosa sofferenza, intercedere per i peccatori e collaborare alla redenzione dell’umanità.

La fiducia che qualcosa della nostra pace e della nostra quiete trabocchi nel mondo e sostenga coloro che sono ancora in cammino, questa fiducia da sola fa sì che io mi dia pace di essere stata chiamata in questo meraviglioso, sicuro rifugio prima di tanti altri più degni di me. Lei non può immaginare come mi senta profondamente imbarazzata ogni volta che qualcuno parla della nostra «vita di sacrificio».Fuori conducevo davvero una vita di sacrificio. Ora sono stata liberata di quasi tutti gli affanni ed ho in abbondanza ciò che fuori mi mancava. Certamente, ci sono tra di noi sorelle a cui sono richiesti ogni giorno grossi sacrifici. Anche io attendo di poter sentire un giorno la mia chiamata alla croce più di adesso, che vengo trattata ancora dal Signore come un bambino.

La sua domanda se mi sono abituata alla solitudine mi ha fatto un po’ sorridere. La maggior parte della mia vita l’ho trascorsa in maggior solitudine che non qui. Non sento la mancanza di ciò che è fuori ed ho qui tutto quello che fuori mi mancava, cosicché non mi resta che ringraziare continuamente Dio per l’immensa grazia, non meritata, della vocazione.

Le parole di suor Teresa Benedetta sulla vocazione e la vita religiosa fanno emergere con freschezza la serenità della sua decisione, fanno capire che nella sua vita ha fatto una scelta chiara e che a partire da quella scelta ha ricalibrato, o meglio, ha ribaltato la sua scala di valori: ciò che per il mondo è gravoso, difficile, sembra una sofferenza è per lei ciò che la libera, al contrario la “vita di sacrificio” era quella fuori dal Carmelo… Uno sguardo così è frutto di un cammino lungo e consapevole, ed ella stessa capisce che non è per tutti; da ciò nasce il consiglio chiaro e semplice del primo brano: ognuno deve trovare la sua strada, realizzare la propria vocazione nel modo che ritiene più consono al proprio carisma, l’importante è saper discernere nella preghiera, chiedendo l’aiuto dello sguardo del Signore. Questa è la nostra responsabilità come cristiani: trovare la nostra strada per far fruttare i talenti che Dio ci ha affidato.

Per le scelte importanti della mia vita cerco o ho cercato nella preghiera di capire la volontà di Dio su di me?

Cerco di essere coerente con la mia scelta di fede? Essa influisce sui miei giudizi, sulla mia scala di valori, sull’importanza che do alle cose?

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Da altri scrittiIl buon cattolico (UOMINI E DONNE NELLA FORMA DI GESU’)... Un lungo cammino separa il “buon cattolico” soddisfatto di sé, che fa il “suo dovere”, legge “buoni giornali”, vota “bene”, - ma per il resto fa ciò che gli piace - dall’abbandono totale del figlio di Dio, che ha rimesso la sua vita al Padre e cammina con la mano nella Sua mano, attendendo tutto da Lui, con la semplicità del bimbo e l'umiltà del pubblicano... Il “sia fatta la tua volontà” ripetuto in tutta la sua profondità, è la luce della vita cristiana. Dobbiamo ripeterlo dal mattino alla sera, e tutto l'anno, e tutta la vita. Allora il Cristo diventa il nostro unico bene. Prende su di sé ogni altra preoccupazione; ma questa - cioè compiere la sua volontà - resta a noi per tutta la durata della vita. Oggettivamente, non possiamo essere sicuri di camminare, senza sbagliare, nella vita del Signore... possiamo cadere... e ognuno di noi è chiamato presto o tardi a fare l'esperienza di questa verità... Nel “giardino d'infanzia” della vita spirituale, quando si incomincia a camminare e a lasciarsi guidare da Dio, si avverte con intensità la sua Presenza. La sua mano ci stringe forte, la chiarezza risplende davanti a noi, e non ci resta che muovere i passi. Ma non è sempre cosi. Chi appartiene al Cristo, deve rivivere tutta intera la vita di Cristo. Deve percorrere anche lui la Via Crucis, conoscere il Getsemani e il Golgota. Cristo è Dio e uomo e, per partecipare alla sua vita, dobbiamo imitarlo in tutto. La natura umana da Lui assunta gli ha dato la possibilità di soffrire e di morire; la natura divina da Lui posseduta dall’eternità ha dato alla Sua vita e alla Sua morte un valore infinito e redentore. Le sofferenze e la morte del Cristo si prolungano, continuano nel suo corpo mistico. Ogni uomo deve soffrire e morire. Ma se è membro vivo del Cristo, questa sofferenza e questa morte acquistano una forza redentrice. Questo è il vero motivo per cui tutti i santi hanno domandato di soffrire. Non si tratta di un malsano desiderio: ciò che alla ragione naturale sembra perversione, alla luce del mistero della Redenzione diventa più che ragionevole. Cosi ogni uomo membro di Cristo persevererà incrollabile nelle tenebre della notte oscura e dell'apparente abbandono di Dio, mentre la Provvidenza divina permetterà questo tormento per compensare il peccato di un altro uomo, che il male ha separato da Dio, fino ad ottenerne il ritorno. Per questo bisogna ripetere “Sia fatta la tua volontà”, anche e soprattutto dal fondo di questa notte...

Il linguaggio di Teresa Benedetta della Croce non è semplice né dal punto di vista formale né da quello del contenuto, rispecchia per molti aspetti quello di un’altra epoca, ma soprattutto è plasmato da un’esperienza di vita ormai integralmente dedicata al Signore nel Carmelo. Però ella non parla dell’esperienza della vita di una buona monaca, ma del buon cattolico, quindi anche di noi, e smaschera dei problemi che anche noi cristiani del terzo millennio viviamo quotidianamente, a partire dal grande rischio di cadere nell’ipocrisia e nel fariseismo, cioè di mantenere l’apparenza del buon cattolico, senza che la nostra vita sia davvero plasmata dall’esempio di vita che ci dà Cristo, rivoluzionata dalla salvezza che con la sua morte ci ha donato, per la sua immensa misericordia. E così quella sofferenza su cui la santa carmelitana insiste diventa anzitutto lo sforzo nella nostra vita di modificare comportamenti e atteggiamenti e iniziare davvero a vedere dove manca questa coerenza tra

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ciò in cui crediamo e ciò che facciamo per provare ad incamminarci sulla strada della conversione, cioè del cambiamento di direzione per andare verso Cristo.

Vivo in certi momenti questa ipocrisia di apparire un buon cristiano senza spostarmi dalla comodità di una vita che scende a compromessi col mondo? Quali sono gli aspetti in cui faccio più fatica a prendere la forma di Gesù? Provo a superarli e a cambiare direzione?

La preghieraL’importante è disporre di un angolo tranquillo in cui quotidianamente incontrarci con Dio, come se davvero non esistesse nient’altro: giungere insomma a rivedere in tutto e per tutto noi stessi e considerare le forze con cui dobbiamo più particolarmente lavorare, come uno strumento, come qualcosa di cui non siamo noi a servirci, ma Dio in noi.

Quando, di primo mattino, ci svegliamo, subito vorremmo gettarci nei doveri che urgono, nelle attività che ci sollecitano. Ma proprio allora conviene fermarci a riflettere, a dirci: Attenzione, niente di tutto ciò mi deve assorbire. La prima ora della mia giornata appartiene al Signore. Dopo porterò a termine i compiti che mi affiderà, ma è Lui che me ne darà la forza. Cosi “camminerò verso l'altare di Dio”. Qui non si tratta solo di me, e delle mie limitate capacità, ma del Sacrificio per eccellenza, del mistero della Redenzione. Sono chiamata a prendervi parte, a lasciarmi purificare e colmare di gioia; a deporre sull'altare, con la Vittima pura, tutta me stessa, e ciò che posso offrire. E quando il Signore verrà a me nella S. Comunione, gli domanderò come S. Teresa: “Che vuoi da me, Signore?”. Poi mi incamminerò verso quello che, in un silenzioso colloquio, mi indicherà.Recandomi al lavoro, subito dopo questo convito mattutino, avrò un'anima pacificata, vuota da ciò che poteva inquietarla e turbarla, colma di gioia santa, di coraggio, di energia... Il Signore avrà acceso nella mia anima una fiamma di carità che, bruciando dolcemente, la solleciterà a comunicare ad altri questo fuoco d'amore. L'anima vedrà chiaro davanti a sé il prossimo tratto di strada che attende di essere percorso... Non resta che mettersi al lavoro, e possono essere quattro o cinque ore consecutive, se si tratta di insegnamento scolastico o di impiego in un ufficio...A mezzogiorno, eccomi stanca, e, giunta a casa esausta, spesso è per ritrovarvi qualche preoccupazione supplementare. Cosa è avvenuto della freschezza mattutina dell’anima? Viene la tentazione di affrontare con durezza le situazioni, di andare in collera, di lasciarsi invadere il cuore da sentimenti di impazienza, di scontento, di rimorso.Pensando alle tante cose che restano ancora da fare, si esita a prendere un po' di riposo, si vorrebbe ricominciare subito. Ancora una volta bisogna ritrovare la pace, anche solo per un istante... ristabilire la calma. La soluzione migliore sarebbe una breve sosta presso il Tabernacolo, per deporre ai piedi del Maestro ogni preoccupazione.Se è impossibile, si può sostare un poco e riprendere fiato nella propria camera. E se non si può fare nemmeno questo? Niente può allora impedirci di raccoglierci in noi stessi, di isolarci da ogni sollecitazione e di rifugiarci nel Signore. Egli è sempre presente e può ricostruire in un istante le nostre forze. Cosi il resto della giornata trascorrerà forse nella fatica e nella stanchezza, ma

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in pace. Venuta la sera... rimettiamoci nelle mani di Dio e abbandoniamo tutto e noi stessi in Lui. Allora potremo riposare in Lui, riposare veramente. L'indomani sarà un giorno nuovo, l'affronteremo come una vita nuova, in cui tutto ricomincia.

Vivere in maniera eucaristica significa uscire da se stessi, dalla ristrettezza della propria vita e crescere nella vastità della vita di Cristo. Chi cerca il Signore nella sua casa non gli chiederà solo di preoccuparsi di lui e delle sue faccende. Comincerà ad interessarsi delle faccende del Signore. La partecipazione giornaliera al sacrificio ci coinvolge automaticamente nella vita liturgica. Le preghiere e i riti della messa mantengono presente alla nostra anima, nel corso dell’anno liturgico, la storia della salvezza e ci permettono di penetrare sempre più a fondo nel suo significato. E l’atto sacrificale imprime in noi ogni volta di nuovo il mistero centrale della nostra fede, il perno della storia universale: il mistero dell’incarnazione e della redenzione. Chi ha spirito e cuore sensibili non potrebbe stare vicino alla vittima santa senza rendersi disponibile al sacrificio, senza farsi prendere dal desiderio che la sua piccola vita personale si inquadri e risolva nella grande opera del Redentore. I misteri del cristianesimo costituiscono un tutto indivisibile. Quando si è penetrati in uno, si comprendono tutti gli altri.

Gesù non ha solo partecipato alle funzioni religiose pubbliche e prescritte. Forse ancora più di frequente, i Vangeli raccontano di preghiere solitarie nella quiete notturna, sulla cima indisturbata delle montagne, nel deserto, lontano dagli uomini. Quaranta giorni e quaranta notti di preghiera precedettero la vita pubblica di Gesù. Prima di scegliere e di inviare i dodici apostoli, si ritirò in preghiera nella solitudine delle montagne. Nelle ore trascorse sul Monte degli Ulivi, si preparò a salire il Golgota. Che cosa disse al Padre in quelle difficili ore della sua vita, ci è stato rivelato in poche brevi parole: parole che ci sono state date per guidarci nelle ore in cui anche noi saliremo sul nostro Monte degli Ulivi. «Padre, se puoi, allontana da me questo calice. Ma sia fatta la tua volontà, non la mia!». Queste parole sono come un lampo che per un istante illumina la vita più profonda dell’anima di Gesù, l’insondabile mistero del suo essere divino ed umano e del suo dialogo con il Padre.Non si tratta di contrapporre la preghiera interiore, libera da tutte le forme tradizionali, in quanto devozione «soggettiva», alla liturgia, come preghiera «oggettiva» della Chiesa. Ogni autentica preghiera è preghiera della Chiesa: attraverso ogni vera preghiera accade qualcosa nella Chiesa ed è la Chiesa stessa che prega, perché in lei vive lo Spirito Santo, che in ogni singolo «prega per noi con indicibili gemiti». Proprio questa è la «vera» preghiera: perché «nessuno può dire Signore Gesù, se non nello Spirito Santo»...

Queste parole sulla preghiera scaturiscono da una vita che si nutre intensamente nella preghiera, ma ci sono molto utili perché ci fanno capire due cose: a che cosa serve la preghiera e che cosa vuol dire davvero pregare.Da queste parole emerge chiaramente che la preghiera serve per tre cose: ritrovare la pace interiore, cercare ciò che il Signore desidera dalla mia vita e affidarmi a lui. Tutte e tre queste cose non sono affatto scontate per noi oggi. La vita frenetica in cui viviamo, dove non si ha un attimo di tempo, dove tutto non è più neanche veloce, è istantaneo, immediato, ci richiede, forse anche più che ai tempi di Edith Stein, di cercarci (verrebbe da dire conquistarci) dei

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momenti in cui “raccoglierci in noi stessi” per “ristabilire la calma”; la preghiera non fa solo questo, ma ci aiuta anche a rimettere in ordine i pezzi della nostra vita, le informazioni da cui siamo continuamente sollecitati, ci allontana dall’impulsività, ci fa vedere in un’altra luce le persone con cui abbiamo a che fare e le situazioni in cui ci troviamo. Anche cercare nel Signore che cosa fare è assai importante: il messaggio prevalente oggi è di soddisfare sé stessi, tutte le voglie, i piaceri che ci possono interessare; la preghiera serve a capire che cosa è davvero importante nella mia vita con uno sguardo che non parta solo da me, ma che con gli occhi del Signore si allarghi a vedere anche i bisogni degli altri e quello che io posso fare per gli altri. Infine affidarsi al Signore, la cosa forse più difficile, perché parte dalla consapevolezza che noi non siamo autosufficienti, ma abbiamo bisogno del sostegno, dell’aiuto di Dio e anche di lasciarci guidare da lui. Così ci rendiamo conto che non tutto nella nostra vita è nelle nostre mani, che davvero la Provvidenza interviene e lo Spirito ci dà forza e ci indica la via da seguire.Ma questo scritto ci dice anche che cosa significa davvero pregare, come si fa a pregare. Così capiamo che la preghiera non è slegata dalla mia vita, ma deve essere qualcosa che la permea, dove attività, pensieri, preoccupazioni, incontri, notizie, eventi si mescolano e vengono riletti alla luce della parola e dell’incontro intimo con Cristo; dove sappiamo anche rivolgergli domande pressanti come quel “Che vuoi da me, Signore?” di santa Teresa. Un altro punto chiaro che Edith ci dice è che per pregare serve avere dei riferimenti concreti – l’eucarestia, il tabernacolo, ma anche la Parola, la liturgia – che ci fanno capire che non crediamo nel nostro dio, che non abbiamo la nostra religione, ma che il Dio in cui crediamo è concreto, incarnato, presente nel nostro mondo, che possiamo davvero incontrarlo nella Chiesa e che la nostra esperienza si iscrive nella storia della salvezza e deve portarvi il suo contributo.Insomma servono poche cose: raccoglimento, un riferimento concreto, una vita da riordinare, una prospettiva verso cui tendere, ma se mescolati adeguatamente e portati avanti con costanza questi pochi ingredienti sapranno dare molti buoni frutti per noi, ma anche per gli altri.

Nella mia vita piena di impegni e attività so trovare spazio per il raccoglimento e la preghiera? So portare la mia vita nella preghiera?

Come partecipo alla liturgia della Chiesa: da persona attenta e consapevole del mistero che vi si compie, con noia o per abitudine? So che per il battesimo anche io sono sacerdote e ho il dovere di essere formato sulla liturgia nella quale sono un attore attivo, un con-celebrante, e non solo uno spettatore?

A che punto sono con la mia regola di vita? Forse non l’ho mai scritta, forse l’ho dimenticata, forse è il tempo di riprenderla in mano?

La croceDa Scientia CrucisLa croce non è un oggetto fatto da madre natura; bensì un ordigno fabbricato, congegnato dalle mani degli uomini e adoperato per uno scopo ben preciso… È quindi un segno sì, ma un segno speciale a cui il significato non è aggiunto artificialmente, ma gli deriva veramente a causa della sua azione e della sua storia. La forma visibile richiama una vasta gamma di sentimenti e di idee in mezzo alle quali si erge…

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Il Salvatore stesso, in diverse occasioni e sotto diversi aspetti, ha parlato della Croce. Quando predisse la sua Passione e morte, Egli aveva davanti agli occhi letteralmente il legno dell’infame patibolo su cui sarebbe finita la sua vita. Mentre quando diceva: “…prenda la sua croce e mi segua”, la croce è qui assunta come simbolo di tutto ciò che ci è difficile, gravoso e così fortemente contrario alla natura da risultare per chi se lo addossa quasi una marcia verso la morte. E questo peso, il discepolo di Gesù deve caricarselo in spalla ogni giorno… L’annuncio della morte presentava al vivo davanti agli occhi dei discepoli l’immagine del Crocifisso, e la presenta ancora oggi a chi legge il Vangelo. Da esso si sprigiona un silenzioso richiamo alla vita a una risposta… Gli inviti a seguirlo sulla via crucis della vita ci danno in mano l’adeguata risposta. Infatti la morte di croce è il mezzo di redenzione prescelto dall’insondabile sapienza di Dio… La forza redentiva: è il potere di risvegliare alla vita coloro nei quali la vita divina era stata uccisa dal peccato. Tale energia redentiva della croce è implicita nel Verbo della Croce, ma attraverso questa parola investe tutti coloro che l’accolgono aprendosi alla sua azione, senza esigere né miracoli né ragionamenti di sapienza umana; in loro si trasforma in energia radiante vitale e formativa… La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna, è anche l’arma potente di Cristo, la verga del pastore con cui il Davide esce contro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca…

In questo estratto dall’opera Scientia Crucis Edith medita su due cose soprattutto: che cosa fa la croce e che cosa comporta la croce nella nostra vita. Gli effetti che discendono dalla croce si manifestano nel contesto in mezzo al quale si erge: il mondo, abitato dagli uomini che la croce redime e salva. In questo mondo terreno la croce apre una strada verso l’alto, una strada che porta a liberarci delle fragilità e degli inciampi in cui cadiamo nella nostra vita per librarci verso il cielo. Ma per fare ciò la croce ci dice che la nostra vita non può rimanere indifferente, deve dare una risposta alla croce, seguendo Gesù “sulla via crucis della vita”. Questa sequela non facile, in questo mondo che ci spinge verso altre direzioni, ci permette però di risvegliare la nostra vita, rendendola una testimonianza della misericordia del Padre, in modo tale che anche noi ci impegniamo a diffondere l’“energia redentiva” che dal crocifisso può raggiungere e contagiare anche altri e così assicurare a tutti gli uomini la salvezza.

Che cosa penso della croce? Che simbolo è per me (una sconfitta, la via della salvezza, un simbolo dell’ingiustizia dell’uomo, un segno della misericordia di Dio…)?

La mia vita cambia di fronte alla croce? Che croce sono chiamato a portare?

Parole di misericordia Conferenza per la festa dell'Esaltazione della Croce nel Carmelo di Echt, 14 settembre 1939«Ti salutiamo, Croce santa, nostra unica speranza!» Così la Chiesa ci fa dire nel tempo di passione dedicato alla contemplazione delle amare sofferenze di Nostro Signore Gesù Cristo.

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Contempla il Signore che pende davanti a te sul legno, perché è stato obbediente fino alla morte di Croce. Egli venne nel mondo non per fare la sua volontà, ma quella del Padre. Se vuoi essere la sposa del Crocifisso devi rinunciare totalmente alla tua volontà e non avere altra aspirazione che quella di adempiere la volontà di Dio. Di fronte a te il Redentore pende dalla Croce spogliato e nudo, perché ha scelto la povertà. Chi vuole seguirlo deve rinunciare ad ogni possesso terreno. Stai davanti al Signore che pende dalla Croce con il cuore squarciato: Egli ha versato il sangue del suo Cuore per guadagnare il tuo cuore. Per poterlo seguire in santa castità, il tuo cuore dev’essere libero da ogni aspirazione terrena; Gesù Crocifisso dev'essere l'oggetto di ogni tua brama, di ogni tuo desiderio, di ogni tuo pensiero. Il mondo è in fiamme: l'incendio potrebbe appiccarsi anche alla nostra casa, ma al di sopra di tutte le fiamme si erge la Croce che non può essere bruciata. La Croce è la via che dalla terra conduce al cielo. Chi l'abbraccia con fede, amore e speranza viene portato in alto, fino al seno della Trinità. Il mondo è in fiamme: desideri spegnerle? Contempla la Croce: dal Cuore aperto sgorga il sangue del Redentore, sangue capace di spegnere anche le fiamme dell'inferno. Attraverso la fedele osservanza dei voti rendi il tuo cuore libero e aperto; allora si potranno riversare in esso i flutti dell'amore divino, sì da farlo traboccare e renderlo fecondo fino ai confini della terra. Attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità, quella carità che attingi dal Cuore divino e che ti rende capace di spargere ovunque il suo preziosissimo sangue per lenire, salvare, redimere. Gli occhi del Crocifisso ti fissano interrogandoti, interpellandoti. Vuoi stringere di nuovo con ogni serietà l'alleanza con Lui? Quale sarà la tua risposta? "Signore, dove andare? Tu solo hai parole di vita".

La data di questo scritto spiega da sola l’immagine del “mondo in fiamme” che in poco tempo giungerà davvero a bruciare anche la casa non più sicura di suor Teresa Benedetta, il Carmelo di Echt. Ma in questo scritto non c’è solo questo: esso è rivolto alle consorelle carmelitane e richiama quindi i voti e i pilastri della vita consacrata, ma dice anche a noi laici tante cose. C’è ancora una volta il richiamo alla sofferenza, alle rinunce necessarie per conformare la vita a Cristo (le rinunce che servono per credere come ci suggerisce la liturgia nella professione di fede), per intraprendere la via della santità e della beatitudine eterna. C’è il grande tema della misericordia che scaturisce dalla croce, come il sangue e l’acqua che escono dal costato del crocifisso per purificare e fecondare la terra; una misericordia che ci mette in movimento, ci dona la capacità di andare verso chi ha bisogno di riceverla, coloro che soffrono, e ci ricorda che anche noi siamo chiamati ad essere operatori della misericordia di Dio, che questa vocazione ci viene dal battesimo. Le immagini sono forti, forse non adatte per la comunicazione di oggi, però fanno capire chiaramente che l’amore di Dio per noi viene dalla parte più profonda di lui, da dentro il suo corpo, quello di Cristo, scorre nel suo sangue e lo permea completamente. Il suo sguardo che ci interroga ci chiede solo questo: di amare come lui ci ama.

Ho fede nella misericordia di Dio? So portarla agli altri? Cerco di plasmare la mia vita e il mio sguardo sul mondo a partire dalla misericordia?

Quali gesti di misericordia abitano stabilmente la mia vita? E quali ostacoli trovo in ordine al vivere le opere di misericordia?

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Ultime parole a Wielek (CIO’ CHE RESTA E’ L’AMORE)Westerbork, 7 agosto 1942Il mondo è formato da contrasti… Ma la finale non sarà formata da questi contrasti. Rimarrà solo il grande amore. Come potrebbe essere diversamente?

Questa frase è rimasta scolpita nel cuore di Heinz Wielek, un capo ebreo collaborazionista nel campo concentramento di Westerbork; gliela disse la monaca carmelitana, mentre si dirigeva col sorriso sulle labbra e la sorella accanto verso il treno che l’avrebbe portata ad Auschwitz.

So conservare la fede e la speranza anche nelle situazioni difficili? So vedere il disegno salvifico della Provvidenza anche oltre la mia vicenda personale?

Credo che l’amore è veramente ciò che resta nell’esistenza delle persone (e niente e nessuno lo può cancellare)?

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LUOGHI

Breslavia (Wrocław) – casa natale (ora demolita) ul. Dubois 29, casa ul. Nowowiejska 38 (Società Edith Stein), quartiere Ostrów Tumski, università, Vecchio cimitero ebraico (sono sepolti i genitori), cappella in chiesa di San Michele (la sua preferita, vicina croce per la pace in Europa), cattedrale di San Giovanni Battista (monumento in torre meridionale), Municipio/Museo (busto) – cfr. http://www.inyourpocket.com/wroclaw/Edith-Stein_70938f

Gottinga (studia fenomenologia con Husserl) – università Georg-AugustHranice (in Moravia, regione di Olomuc – già Märisch-Weißkirchen – ospedale

per malattie infettive già accademia militare dove prestò servizio durante la guerra)

Friburgo in Brisgovia (dove seguì Husserl) – Università albertina e sobborgo di Günterstal

Bad Bergzabern (vita di santa Teresa e battesimo)Spira – Scuola suore domenicaneBeuron – arciabbazia di San MartinoMünster – Accademia cattolica (cattedra di psicologia)Colonia – Carmelo (entra nell’ordine delle carmelitane)Echt – CarmeloStrada verso Auschwitz:

MaastrichtAmersfoort (campo di transito di polizia)Westerbork, presso Assen (centro di transito per rifugiati ebrei)Schifferstadt (ultimi contatti col mondo)

Auschwitz

MATERIALE MULTIMEDIALE

Film: La settima stanzaRegia di Márta Mészároscon Maia Morgenstern, Adriana Asti, Jan Nowicki, Elide Melli, Giovanni Cabalbo, Jerzy Radziwilowicz.Italia/Francia/Polonia/Ungheria 1995Durata: 110’

Sitografia: Alcuni testi: http://www.donboscoland.it/articoli/index.php?id_testata=32&numero=Edith+STEIN%2C+%3Ci%3ELA+MISTICA+DELLA+CROCE%3C%2Fi%3E++&del=Materiale audio e video: http://www.ilcarmelo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=273&Itemid=22

BIBLIOGRAFIA

CRISTIANA DOBNER (a cura di), [s.a.], Edith Stein. Una vita a zig-zag, Milano, Azione Cattolica Giovani (Il Cenacolo. Quaderni)

CRISTIANA DOBNER, 2013, Rimarrà solo il grande amore. Il sentire di Edith Stein nella furia del nazismo, Borgomanero (No), Giuliano Ladolfi (Ametista, 2)

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CRISTIANA DOBNER, 2015, Edith Stein ponte di verità. Dalla fenomenologia della verità alla testimonianza di Verità, Sesto San Giovanni (Mi), Mimesis (Centro Internazionale Insubrico – Studi, 19)

MARIA CECILIA DEL VOLTO SANTO, 2013, Edith Stein. Un’ebrea testimone per la verità, Milano, Periodici San Paolo (Biblioteca Universale Cristiana)

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