A tuttosesto 47

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] Mario e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected] a tuttosesto info e approfondimenti maggio 2014 47 Elezioni europee Il cassetto dei ricordi Il giorno dei santi - Giovanni Paolo II La sua grandezza in due profezie Cimabue Il «Cristo» ritorna a Santa Croce Il giorno dei santi - Giovanni Paolo II La forza della verità motore di tutto SU QUESTO NUMERO Europa, un sogno antico, da Giuseppe Mazzini a Al- tiero Spinelli, da Alcide De Gasperi a Giorgio Napoli- tano, da san Giovanni Paolo II a Reinhard Marx, Presidente della Commissione degli episcopati della Comunità Europea. Quest’ultimo, cardinale e arcive- scovo di Monaco e Freising in Baviera, ha celebrato il primo maggio il decimo anniversario dell’allargamento della Comunità all’est (Cipro, Estonia, Lettonia, Litua- nia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slo- venia e Ungheria) con queste parole: «La riconciliazione e la riunicazione sono la ragion d’essere e il motore storico principale dell’integrazione europea. Per questo abbiamo sempre, dieci anni dopo l’allargamento, il dovere di continuare a lavorare al ravvicinamento in Europa. Mai in passato tante na- zioni avevano aderito tutte insieme all’Unione.» Dice inoltre: «L’Europa doveva riformarsi dopo decenni di divisione. Ecco perché l’allargamento nel 2004 ha rap- presentato una vera riunicazione dell’Europa.» Eppure, il 25 maggio 2014 quasi il trenta per cento degli elettori voterà contro l’integrazione; alcuni per un rigurgito di nazionalismo, altri per reazione alla de- cadenza morale conseguente ad alcuni regolamenti eu- ropei (riguardo a famiglia, libertà di educazione, identità di genere, diritto alla vita), altri per i costi della burocrazia e per le pesanti misure economiche tese al pareggio del bilancio degli Stati e per la forte disoccu- pazione specie dei giovani. Dovremmo chiederci: ma chi ha mandato al Parla- mento europeo questi politici scriteriati? Purtroppo siamo stati noi. È necessario oggi informarsi bene sulle persone candidate, sui loro programmi e anche sui loro comportamenti. Non possiamo sottovalutare alcuni tra i grandi van- taggi conseguenti all’appartenere all’Unione Europea: assenza di guerre tra i Paesi membri da oltre sessan- t’anni; controllo dell’inazione che fa evaporare sti- pendi e pensioni; libertà di movimento per i cittadini delle diverse nazioni; protezione delle minoranze etni- che, linguistiche, culturali... Europa, ricchezza nella diversità, opportunità di im- parare molto gli uni dagli altri. E anche responsabilità di fronte agli altri continenti che ci guardano e ammi- rano il nostro passato e la nostra cultura europea. Mario Viscovi La vocazione alla santità che tutti noi siamo chiamati a vivere signica anzitutto «amare il mondo appassionatamente» (san Josemaria, omelia, 8 ottobre 1967): il mondo concreto di oggi, in cui lavoriamo, amiamo, soffriamo anche, con la nostra famiglia, gli amici, in mezzo alla gente, a 16 anni come a 80. Ma è facile costatare che molte, troppe persone, soprattutto anziane ma non solo, si abbarbicano ai loro ricordi di un tempo passato. Così perdono la capacità e la gioia di cogliere la meraviglia del nuovo, così dilaga il pessimismo e la rassegna- zione, così viene meno lo slancio attraente di sa- persi ancora utili a molti. Chiudiamo allora i nostri ricordi in un cassetto che apriremo solo raramente e con grande pre- cauzione: ne possono uscire dolci brezze di no- stalgia ma più spesso vapori soffocanti di inutili rimpianti e forse di vecchi rancori non ancora so- piti. Italo Maria Mannucci Ai nostri due affezionati lettori, questa volta diamo anche un suggerimento musicale: potrete ascoltare «Il sorriso di un bambino». Utilizzate questo link http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&NR=1&v=hTi8qTQoEN8 È un pezzo di Marzio Italo Bonferroni che durante il periodo degli studi universitari ha composto testi e musiche esibendosi in vari locali molto noti. In quel periodo esce un suo disco con casa Ricordi in una selezione voluta da Mogol. Dopo la laurea Marzio si è occupato di comunicazione per il mondo delle imprese, ma ha sempre coltivato una grande passione per la musica leggera e il jazz. Nel 2012 ha inciso come «cantapoeta» un CD dal titolo Alchimia.

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected]

a tuttosestoinfo e approfondimenti maggio 201447

Elezioni europeeIl cassettodei ricordi

Il giorno dei santi - Giovanni Paolo IILa sua grandezza in due profezie

CimabueIl «Cristo» ritorna a Santa Croce

Il giorno dei santi - Giovanni Paolo IILa forza della verità motore di tutto

SU QUESTO NUMERO

Europa, un sogno antico, da Giuseppe Mazzini a Al-tiero Spinelli, da Alcide De Gasperi a Giorgio Napoli-tano, da san Giovanni Paolo II a Reinhard Marx,Presidente della Commissione degli episcopati dellaComunità Europea. Quest’ultimo, cardinale e arcive-scovo di Monaco e Freising in Baviera, ha celebrato ilprimo maggio il decimo anniversario dell’allargamentodella Comunità all’est (Cipro, Estonia, Lettonia, Litua-nia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slo-venia e Ungheria) con queste parole: «La riconciliazione e la riunificazione sono la ragiond’essere e il motore storico principale dell’integrazioneeuropea. Per questo abbiamo sempre, dieci anni dopol’allargamento, il dovere di continuare a lavorare alravvicinamento in Europa. Mai in passato tante na-zioni avevano aderito tutte insieme all’Unione.» Diceinoltre: «L’Europa doveva riformarsi dopo decenni didivisione. Ecco perché l’allargamento nel 2004 ha rap-presentato una vera riunificazione dell’Europa.»

Eppure, il 25 maggio 2014 quasi il trenta per centodegli elettori voterà contro l’integrazione; alcuni perun rigurgito di nazionalismo, altri per reazione alla de-cadenza morale conseguente ad alcuni regolamenti eu-ropei (riguardo a famiglia, libertà di educazione,identità di genere, diritto alla vita), altri per i costi dellaburocrazia e per le pesanti misure economiche tese alpareggio del bilancio degli Stati e per la forte disoccu-pazione specie dei giovani.

Dovremmo chiederci: ma chi ha mandato al Parla-mento europeo questi politici scriteriati? Purtropposiamo stati noi. È necessario oggi informarsi bene sullepersone candidate, sui loro programmi e anche sui lorocomportamenti. Non possiamo sottovalutare alcuni tra i grandi van-taggi conseguenti all’appartenere all’Unione Europea:assenza di guerre tra i Paesi membri da oltre sessan-t’anni; controllo dell’inflazione che fa evaporare sti-pendi e pensioni; libertà di movimento per i cittadinidelle diverse nazioni; protezione delle minoranze etni-che, linguistiche, culturali...

Europa, ricchezza nella diversità, opportunità di im-parare molto gli uni dagli altri. E anche responsabilitàdi fronte agli altri continenti che ci guardano e ammi-rano il nostro passato e la nostra cultura europea.

Mario Viscovi

La vocazione alla santità che tutti noi siamochiamati a vivere significa anzitutto «amare ilmondo appassionatamente» (san Josemaria,omelia, 8 ottobre 1967): il mondo concreto dioggi, in cui lavoriamo, amiamo, soffriamo anche,con la nostra famiglia, gli amici, in mezzo allagente, a 16 anni come a 80.

Ma è facile costatare che molte, troppe persone,soprattutto anziane ma non solo, si abbarbicanoai loro ricordi di un tempo passato. Così perdonola capacità e la gioia di cogliere la meraviglia delnuovo, così dilaga il pessimismo e la rassegna-zione, così viene meno lo slancio attraente di sa-persi ancora utili a molti.

Chiudiamo allora i nostri ricordi in un cassettoche apriremo solo raramente e con grande pre-cauzione: ne possono uscire dolci brezze di no-stalgia ma più spesso vapori soffocanti di inutilirimpianti e forse di vecchi rancori non ancora so-piti.

Italo Maria Mannucci

Ai nostri due affezionati lettori, questa volta diamo anche un suggerimento

musicale: potrete ascoltare «Il sorriso di un bambino». Utilizzate questo link

http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&NR=1&v=hTi8qTQoEN8

È un pezzo di Marzio Italo Bonferroni che durante il periodo degli studi universitari ha composto testi e musiche esibendosi in vari locali molto noti. In quel periodo esce un suo disco con casa Ricordi in una selezione voluta

da Mogol. Dopo la laurea Marzio si è occupato di comunicazione per il mondodelle imprese, ma ha sempre coltivato una grande passione per la musica leggera e il jazz. Nel 2012 ha inciso come «cantapoeta» un CD dal titolo Alchimia.

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Era la prima profezia di Wojtyla. Inoltre, ed era la se-conda, sarebbe accaduto che quegli stessi diritti dell’uomodi cui l’Europa mena gran vanto si sarebbero rovesciaticontro se stessi se non si fosse riconosciuto che essi si fon-dano sulla dignità della persona e questa, a sua volta, sul-l’immagine di Dio che l’uomo porta impressa in sé e sullasua partecipazione alla vita di Cristo.

In sostanza, aveva detto Wojtyla: togliete alla civiltà eu-ropea i suoi concetti cristiani, fondate la dignità dell’uomosulla libertà dell’uomo soltanto, e i diritti dell’uomo, an-ziché scudo della persona contro ogni forma di prevarica-zione, diventeranno essi stessi un’arma formidabile cheperfora lo scudo. E si produrrà una «contraddizione sor-prendente», oltre che tragica: «proprio in un’epoca in cuisi afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso di-ritto alla vita viene praticamente negato e conculcato».Con l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale, oaltre “conquiste di libertà”, come vengono chiamate.

Entrambe le profezie di Wojtyla si stanno oggi realiz-zando. L’Europa unita non fa passi avanti, anzi va indietro.E i diritti dell’uomo in Europa si stanno riducendo anorme fissate da parlamenti o a decisioni prese da corti digiustizia: non più beni inerenti o sacri o inviolabili dellapersona, semplicemente concessioni di diritto positivo.Chi oggi parla di crisi dell’Europa e non si avvede del-l’abisso morale e spirituale in cui, per sua colpa, il Vecchiocontinente precipita non solo tradisce Wojtyla per la se-conda volta, perde anche se stesso.

La sua grandezza in due profeziedi Marcello Pera

La grandezza di Giovanni Paolo II si misura anche conil metro di due sue profezie, sull’Europa e sui diritti del-l’uomo così come concepiti in Europa.

Quando il 28 giugno 2003 Wojtyla pubblicò la sua Esor-tazione Ecclesia in Europa, la Convenzione europea stavaper finire i lavori. L’anno successivo, il 29 ottobre 2004, fusottoscritta a Roma la Costituzione europea. Lì la voce diWojtyla, alla quale i “Padri costituenti” avevano prestatopiù finto omaggio che serio ascolto, fu completamenteignorata. Al Papa che aveva detto all’Europa che è figliadella tradizione cristiana, e aveva chiesto che almeno men-zionasse queste sue radici, la Costituzione rispondeva conparole di desolante povertà. La Costituzione riconosceva... il «patrimonio spirituale e morale» dell’Europa, nonchéle sue «eredità culturali, religiose e umanistiche»! Tuttolì, come se il cristianesimo fosse stato un episodio supe-rato, al pari dell’Umanesimo, del Rinascimento o dell’Il-luminismo. Interrogati sul punto, alcuni capi di Statofurono sinceri fino alla brutalità: il cristianesimo — dis-sero — è solo una religione fra le altre, se lo si menziona,anziché unire l’Europa, la divide.

Non solo chi ragionò così commise l’errore grave di pen-sare che quella del Papa fosse una richiesta clericale, cosaancor peggiore non si accorse che il rifiuto del cristiane-simo avrebbe minacciato quella stessa costruzione politicaeuropea che con tanta retorica e, come si vide bene dopo,con tanta colpevole spensieratezza si voleva celebrare.

Il giorno dei SantiGiovanni Paolo II

Nel giorno straordinario che ha visto la canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, il Messaggerodi Roma ha distribuito una edizione speciale con articoli che hanno commentato diversi aspetti delle personalità così rilevanti dei due Papi. Abbiamo scelto le considerazioni su Giovanni Paolo II di Marcello Pera,filosofo e politico, e di Joaquin Navarro-Valls, medico e direttore della Sala Stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006.

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La forza della verità motore di tuttodi Joaquin Navarro-Valls

L’incontro – come sempre festivo, ricco di idee e molti-tudinario – era finito. Questa volta eravamo nello stermi-nato parco Blonie, a Cracovia. Giovanni Paolo IIcominciava ad abbandonare il palco. E mentre anch’io la-sciavo il posto, vidi una ragazza – forse 18 oppure 19 anni– che seduta sul verde manto erboso, piangeva. Il suopianto era evidente, senza pudore, non nascosto. La do-manda era quasi ovvia: ma perché piangere in un’occa-sione così bella? La risposta, tra singhiozzi fu: «Perché luiè così santo ed io faccio schifo».

Ho ripensato molte volte a quella risposta. Ci sono moltimodi di presentare il bene possibile, il bello raggiungibile,l’etica dell’esistenza. Ma troppo spesso comunicare labontà non riesce. Non raggiunge il centro della persona.Rimane in superficie. Le parole sembrano sfiorare il pen-siero senza che convincano, senza che qualcosa nell’in-terno mobiliti la decisione di cambiare. Non soltanto difare qualcosa di nuovo ma di essere di più e di diverso. Dioltrepassare il torpore dell’abitudine acquisita.

Quella giovane donna singhiozzante aveva capito. Avevacapito le parole pronunciate da Giovanni Paolo II. Quelleparole avevano aperto il confronto non con dei concettiastratti ma con la propria esistenza quotidiana. Non ave-vano provocato un rifiuto, né una giustificazione, né unmoto di difesa autoassolvente.Il suo pianto sembrava piuttosto espressione della gioiadi chi ha scoperto che il meglio è possibile. Anzi che ilmeglio, prima paradossalmente cercato nell’assaggio abi-tuale dell’effimero, dell’episodico, del puramente epider-mico, non era il meglio. Per questo, in fondo, quel piantoera il riconoscimento e la scoperta di una nuova rotta cheadesso quella giovane donna avrebbe incominciato. Equell’inizio gioioso alla fi ne di una giornata piena disenso, era benvenuto con la forma espressiva squisita-mente umana che sono le lacrime.

Perché Giovanni Paolo II fu così amato dai giovani? Larisposta è: perché lo avevano capito. E, come conse-guenza, lo avevano amato. L’ho domandato ai giovanistessi a Toronto, a Buenos Aires, a Tor Vergata, a Manila...E le risposte, con poche sfumature di diversità, eranospesso identiche: «Nessuno, né nella mia famiglia, nénella scuola, né nella mia società mi avevano detto quelloche lui dice. E lui ha ragione». Eppure le cose che lui di-ceva andavano spesso in direzione opposta ai presupposticulturali. Perché loro – i giovani – dicevano così asserti-vamente che «lui ha ragione»?

Ci sono degli “educatori” che sembrano avere una chia-rezza straordinaria nel dire che cosa non si deve fare e checosa non si dovrebbe essere. Ma allo stesso tempo, sem-brano non avere la stessa chiarezza nel definire e comu-nicare che cosa si può essere o verso dove si dovrebbecamminare se si vuole essere migliore di quanto si è. Que-sta etica alla rovescia lascia nell’animo l’attrito dell’am-biguità. Non entusiasma mai.

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Giovanni Paolo II affermava. Era propositivo. Non coc-colava i giovani con delle lusinghe gratuite. Era esigente.Parlava di un possibile arduo ma chiaro e magnifico. Par-lava di più della bellezza dell’amore umano che dei rischidi una sessualità capricciosa. Quasi mai parlava dell’egoi-smo e, invece, quasi sempre, di come sarebbe stupendoun mondo fatto di generosità. Anzi, ascoltandolo, sem-brava ovvio che l’unico mondo possibile potesse esseresoltanto quello costruito pensando un poco di più aglialtri e un poco di meno a se stessi.

L’espressione “Giovani Paolo II, il grande comunicatore”è vera ma può indurre in inganno. Era un grande comu-nicatore non tanto per il modo – pure splendido – di co-municare quanto per il contenuto di quello checomunicava. E per questo i giovani rispondevano alla miadomanda dicendo «lui ha ragione». Non si dà ragione auna bella voce né a una magnifica forma espressiva. Si dàragione a chi dichiara la verità. A chi afferma il vero.

La radice di quella magnifica accettazione dell’insegna-mento di Giovanni Paolo II tra i giovani era che sapevarendere simpatica la virtù. La faceva viva, appassionante,attraente. Anzi, necessaria. Non si trattava mai di enun-ciazioni di principio, di formulazioni di norme, di propo-sizioni astratte.Quando parlava loro, dava alla verità e alla bontà un mo-tivo: l’appassionante, argomento della vita veramenteumana. E lo faceva mostrando la bellezza dei valori, l’at-trattiva universale del bene. Nei suoi dialoghi con i gio-vani il tema di fondo era, alla fine, la verità. La verità dellecose. La verità – e quindi, per contrasto, la menzogna –che può o può non essere presente nella propria esistenza.In due pennellate metteva in contrasto i sofismi conven-zionali ingannevoli e la consistenza delle cose vere. Così,il bello, il buono e il vero apparivano in lui sempre unitiin una proposta che poteva riempire – fino a farla traboc-care – la propria biografia. Quindi, non solo diceva checosa è la bontà ma insegnava a essere buono.

I giovani si sono sempre domandati sul rapporto conDio. E Giovanni Paolo II faceva vedere che Dio non è uncodice normativo né una credenza ma una Persona cuicredere, in cui sperare e con cui vivere un amore intenso,fedele, reciproco, per tutta la vita.A Dio si può affidare la propria esistenza; a un codice mo-rale, neanche una giornata. Questa straordinaria concre-tezza, congeniale al suo modo di essere molto diretto eimmediato, corrispondeva del tutto all’essenza della suareligiosità cristiana, della sua santità di vita. Con i giovanil’alleanza tra messaggio e vissuto esistenziale esplodevaletteralmente. I giovani vedevano che quel modo di par-lare di Dio sgorgava da un’esperienza personale maturatain tutta la vita di Giovanni Paolo II. Non era la recitazionedelle pagine di un libro scritto da qualcuno. Quelle parole che ascoltavano avevano tutto il sangue ela carne di quel Papa che parlava di Dio perché lo cono-sceva e amava. I ragazzi che lo ascoltavano captavano laverità del suo messaggio, «Lui ha ragione...»

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Santa Croce è la seconda chiesa di Firenze per dimen-sioni e per importanza degli arredi pittorici e scultorei.Iniziata due anni prima di Santa Maria del Fiore, nel 1294,da Arnolfo di Cambio (che già dirigeva i lavori delle nuovemura cittadine e che nel 1298 avrebbe iniziato anche ilPalazzo della Signoria), la basilica, la più monumentaletra le chiese francescane, con l’annesso convento e i duechiostri, è tra i segni più eloquenti dello sviluppo dellacittà ai tempi di Dante.

È una delle cinque grandi chiese che dalla metà del Due-cento in poi ridefinirono l’assetto urbanistico di Firenze.Eppure le sue fondamenta poggiano in un terreno palu-doso, un tempo fuori dalla prima cinta difensiva, allastessa altezza del letto dell’Arno. Anche per questo, nelcorso dei secoli, ha subito numerose alluvioni (ben cinquenell’arco di pochi decenni dall’arrivo dei francescani) finoa quella più recente e devastante del novembre 1966 dellaquale il Crocifisso di Cimabue divenne suo malgrado ilsimbolo. Così come oggi, quello stesso Cristo, diventa ilsimbolo del ritorno delle opere d’arte di Santa Croce nellospazio per cui furono create.

«Quella grande croce in legno dipinto – spiega StefaniaFuscagni, presidente dell’Opera di Santa Croce – è per suanatura un simbolo. Fu il primo vessillo di questa anticachiesa. Un’opera senza dubbio oltre misura rispetto alladimensione degli edifici sacri di allora, ma forse pensata,prima che come oggetto devozionale, come testimone diun percorso, di una missione, di un impegno militante.Cristo non era più dipinto alla maniera bizantina, distac-cato, regale e trionfante, ma come uomo sofferente, mo-rente, vittima di un destino comune ad altri comunimortali. È stato proprio il francescanesimo a far assu-mere a questa tipologia di croce il valore di simbolo uni-versale della spiritualità cristiana».

Nel 1966 l’imponente Crocifisso portò a compimentoquella che la presidente dell’Opera di Santa Croce defini-sce «una missione durata sette secoli», iniziata proprio

sulle acque dell’Arno che trasportarono, come si facevaallora, i grossi tronchi dai boschi del Casentino che sareb-bero diventati sotto le mani di Cenni di Pepo, detto il Ci-mabue, «immagine tangibile di una comunità fondata suuna nuova concezione dell’uomo». Attraverso le acquedell’Arno, questa volta alluvionali e limacciose, quellastessa croce diventerà «simbolo di quella che apparvecome una manifestazione dell’Apocalisse. Mentre per lasua resurrezione, per il recupero di quanto fu possibilerecuperare, prese nuova vita quel centro di restauro cheè oggi l’Opificio delle Pietre dure, tra i più qualificati cen-tri internazionali di restauro. E divenne quella del Cima-bue l’occasione di salvezza di infinite altre opere d’arte».Per anni collocato nel Cenacolo a piano terra (sia purecon un meccanismo d’emergenza per sollevarlo) l’impo-nente Crocifisso è tornato ora in totale sicurezza in Basi-lica, nella grande Sacrestia dove sono custodite le reliquiefrancescane.

Col capolavoro di Cimabue, altre dieci opere provenientidal Cenacolo sono state collocate negli spazi attigui allachiesa, nel Corridoio del Noviziato e nella Cappella Me-dici, a pochi passi dagli affreschi giotteschi della CappellaBardi, «ricongiungendo a questi luoghi il significato diquelle opere che per essi erano state create».Nel nuovo percorso espositivo (che si inaugura a breve di-stanza di tempo dal restauro del grande ciclo murale diAgnolo Gaddi della Leggenda della Croce nella Cappellamaggiore) saranno visibili tra le altre una Discesa di Cri-sto al Limbo del Bronzino, opera del 1552, una Madonnacon Santi di Paolo Schiavo, del 1450 circa, la Trinità delCigoli (1592), una Madonna con Bambino e Santi diNardo di Cione, e ancora un San Bernardino di Rossellodi Jacopo Franchi, un’Incoronazione di Lorenzo di Nic-colò e le Deposizioni del Salviati e dell’Allori.

da Avvenire.it

Cimabue il «Cristo» ritorna a Santa Croce