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Star a 17 anni, spazza via il gotico Donatello L’esempio Assieme all’amico Brunelleschi, lo scultore Donatello (1386-1466) fu il genio che diede avvio al Rinascimento. La sua influenza si esercitò anche su architetti e pittori come il Mantegna che ne rimase folgorato. Dopo l’esordio a Firenze, già coperto di gloria, nel 1443 Donatello si trasferisce a Padova dove rimane fino al 1452. Qui l’artista realizza il monumento equestre del Gattamelata sul tipo del Marco Aurelio. E, soprattutto, l’altare della basilica di Sant’Antonio, con motivi architettonici prospettive, volte e portici che ispirarono il giovane Mantegna della cappella Ovetari e della pala di San Zeno. Squarcione Il collezionista «Tutto avvenne tra Padova, Ferrara e Venezia, tra il ’50 e il ’70 — dalle pazzie più feroci del Tura e del Crivelli alla dolorosa eleganza del giovane Bellini, all’apparentemente rigorosa grammatica mantegnesca — ebbe la sua origine in quelle brigate di disperati vagabondi figli di sarti, di barbieri, di calzolai e di contadini, che passò in quei venti anni nello studio dello Squarcione». Così Roberto Longhi descriveva l’eccentrica generazione di artisti che si formò nella bottega di Francesco Squarcione (nella foto una sua Madonna con bambino). Pur essendo un mediocre pittore, trasmise loro la passione per l’arte romana e ne fece un gruppo di fanatici collezionisti. Particolare della Crocifissione: il gruppo dei dolenti. L’opera, che Mantegna cominciò a dipingere nel 1456, fu realizzata per la chiesa di San Zeno, a Verona. Fu portata in Francia come bottino da Napoleone Mantegna impiegò tre anni per dipingere questa pala voluta da Gregorio Correr, abate di San Zeno. Per il suo effetto illusionistico, fu una vera rivoluzione Fu commissionato nel 1453 dal priore di Santa Giustina di Padova e Mantegna lo firmò a imitazione dei caratteri incisi nelle lapidi romane Polittico di San Zeno Pala di San Zeno Polittico di San Luca A SCESA D’«umilissima origine» come diceva il Vasari, ancora adolescente firma il suo primo dipinto a Padova mostrando con fierezza il suo talento. Decise così di lasciare la bottega dello Squarcione per seguire la lezione di Donatello. La consacrazione con la cappella degli Ovetari DI FRANCESCA BONAZZOLI L A V ITA S arà anche stato «d’umilissima stirpe», come scrive il Vasari, e forse davvero «da fanciullo pasceva gl’ar- menti», tuttavia Andrea, il figlio del falegname Biagio, a diciassette anni aveva tutto l’orgoglio, quasi l’alteri- gia, dei suoi coetanei di nobile stirpe che si esercitava- no nell’ancora glorioso mestiere delle armi. Incaricato dal ricco fornaio Bartolomeo di Gregorio di dipingere un quadro (oggi perduto) per l’altare mag- giore della chiesa di Santa Sofia, a Padova, il giovane Mantegna ne andò infatti così fiero che lo firmò sottoli- neando il proprio straordinario e precoce talento: «An- dreas Mantinea Pat. An. Septem et decem natus sua manu pinxit M.CCC.XLVIII». Era dunque il 1448 quando l’adolescente Andrea, i capelli biondi e gli occhi chiari, decise di uscire allo sco- perto con il proprio nome e di mettersi in proprio la- sciando, con grande difficoltà e persino attraverso be- ghe giudiziarie che si protrassero per oltre una decina d’anni, la bottega dello Squarcione cui il padre l’aveva legato, come si usava, con un contratto di apprendista- to che nessuno aveva immaginato così breve. Francesco Squarcione era un eccentrico e intrapren- dente ex sarto che aveva fiutato il grande interesse na- to intorno alle antichità e si era fatto raccoglitore e mer- cante di anticaglie nonché pittore con il solo talento di saper sfruttare quello dei garzoni che prendeva a botte- ga. Che il giovane Andrea avesse del genio, lo aveva su- bito intuito e forse per assicurarsene l’opera, lo aveva adottato. Ma Mantegna aveva individuato, proprio a Padova, un altro maestro, ben più interessante: Donatello. L’al- tare che lo scultore venuto da Firenze realizzava nella grande basilica del Santo con un gran complesso di sta- tue, rilievi e architetture scolpite su diversi piani pro- spettici, gli pareva straordinariamente moderno, scol- pito «in recenti» rispetto al gusto tedesco e francese, «all’antica», della pittura dello Squarcione. A diciasset- te anni Mantegna fu dunque il primo artista dell’Italia del Nord a capire che l’epoca del gotico internazionale era tramontata assieme alle vergini tenere e sinuose, ai bestiarî araldici, ai costumi preziosi come oreficerie, ai colori aspri come smalti lucenti. L’universo grazioso e favoloso del gotico stava per essere spazzato via dal- l’aria nuova del «grande stile» che dal centro soffiava sull’intera Italia e il giovane Mantegna ne diede subito una gran prova sui muri della chiesa degli Eremitani, a Padova. In seguito a una serie di circostanze (fra cui un colle- ga ucciso di notte a tradimento per storie di passione), il ventenne pittore divenne ben presto il solo protagoni- sta della piccola squadra di artisti ingaggiati per decora- re la cappella di Antonio Ovetari, aristocratico padova- no. Nel 1457, a 25 anni, Mantegna ha terminato gli af- freschi con vertiginose corsìe prospettiche e edifici vi- sti dal basso che conferiscono alle figure un aspetto monumentale, come di statue. Il disegno è duro, di una forza grafica mai vista prima, come inciso nella pie- tra, la consistenza metallica, come le armatu re dei ca- valieri catafratti nella colonna traiana; anche la natura è costruita con la sovrapposizione di pietre e la storia sacra si confonde con quella romana. Anche se ha dovuto difendersi dalle accuse di Impe- ratrice Ovetari, la vedova del committente della cappel- la, che gli intenta una causa per avere effigiato nell’«As- sunzione della Vergine» solo otto dei dodici apostoli, Andrea, ormai, è considerato il migliore artista sulla piazza dell’Italia del Nord. L’abate di San Zeno, il po- tente Gregorio Correr, dotto cultore delle discipline umanistiche, lo ritiene l’unico candidato in grado di di- pingere una pala d’altare con le amate citazioni «all’an- tica». Ma di fronte a quella sfida, Mantegna non si limi- ta al suo straordinario repertorio di putti, medaglioni, soldati, decorazioni, armi e armature romane: compie anche una rivoluzione. Inserisce la sacra conversazio- ne della Vergine con il bambino e i santi dentro lo spa- zio illusionistico di una cornice lignea: l’effetto è quel- lo di un portico aperto che mette in relazione i santi dipinti con i devoti in carne e ossa. È la prima volta che lo spazio dipinto si confonde con quello reale e che i santi si mescolano ai fedeli. Per nulla al mondo il Correr è disposto a rinunciare a quel- la straordinaria pala che Mantegna, nel 1459, sta final- mente terminando con la sua consueta lentezza, dopo tre anni di lavoro. Nemmeno per le ripetute e insistenti sollecitazioni che Ludovico Gonzaga, ansioso di dispor- re per la sua città di quel giovane talento, fa pervenire da Mantova. Il marchese dovrà aspettare. (f. bon.) Incontri 6 EventiMostre Sabato 16 Settembre 2006 Corriere della Sera

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Star a 17 anni, spazza via il gotico

DonatelloL’esempio

Assieme all’amicoBrunelleschi, loscultore Donatello(1386-1466) fu ilgenio che diedeavvio alRinascimento.La sua influenza siesercitò anche suarchitetti e pittoricome il Mantegnache ne rimasefolgorato. Dopol’esordio a Firenze,già coperto digloria, nel 1443Donatello sitrasferisce aPadova dove rimanefino al 1452. Quil’artista realizza ilmonumentoequestre delGattamelata sul tipodel Marco Aurelio.E, soprattutto,l’altare dellabasilica diSant’Antonio, conmotivi architettoniciprospettive, volte eportici cheispirarono il giovaneMantegnadella cappellaOvetarie della pala di SanZeno.

SquarcioneIl collezionista

«Tutto avvenne traPadova, Ferrara eVenezia, tra il ’50 e il’70 — dalle pazziepiù feroci del Tura edel Crivelli alladolorosa eleganzadel giovane Bellini,all’apparentementerigorosa grammaticamantegnesca —ebbe la sua originein quelle brigate didisperati vagabondifigli di sarti, dibarbieri, di calzolai edi contadini, chepassò in quei ventianni nello studiodello Squarcione».Così Roberto Longhidescriveval’eccentricagenerazione diartisti che si formònella bottega diFrancescoSquarcione (nellafoto una suaMadonna conbambino). Puressendo unmediocre pittore,trasmise loro lapassione per l’arteromana e ne fece ungruppo di fanaticicollezionisti.

Particolare della Crocifissione: il gruppo dei dolenti. L’opera, che Mantegna cominciò a dipingere nel 1456, fu realizzata per la chiesa di San Zeno, a Verona. Fu portata in Francia come bottino da Napoleone

Mantegna impiegò tre anniper dipingere questa palavoluta da Gregorio Correr,abate di San Zeno. Per ilsuo effetto illusionistico, fuuna vera rivoluzione

Fu commissionato nel1453 dal priore di SantaGiustina di Padova eMantegna lo firmò aimitazione dei caratteriincisi nelle lapidi romane

Polittico di San Zeno

Pala di San Zeno

Polittico di San Luca

ASCESA

D’«umilissima origine» come diceva il Vasari, ancora adolescente

firma il suo primo dipinto a Padova mostrando con fierezza il suo

talento. Decise così di lasciare la bottega dello Squarcione per seguire

la lezione di Donatello. La consacrazione con la cappella degli Ovetari

D I F R A N C E S C A B O N A Z Z O L I

L A V I T A

S arà anche stato «d’umilissima stirpe», come scriveil Vasari, e forse davvero «da fanciullo pasceva gl’ar-

menti», tuttavia Andrea, il figlio del falegname Biagio,a diciassette anni aveva tutto l’orgoglio, quasi l’alteri-gia, dei suoi coetanei di nobile stirpe che si esercitava-no nell’ancora glorioso mestiere delle armi.

Incaricato dal ricco fornaio Bartolomeo di Gregoriodi dipingere un quadro (oggi perduto) per l’altare mag-giore della chiesa di Santa Sofia, a Padova, il giovaneMantegna ne andò infatti così fiero che lo firmò sottoli-neando il proprio straordinario e precoce talento: «An-dreas Mantinea Pat. An. Septem et decem natus suamanu pinxit M.CCC.XLVIII».

Era dunque il 1448 quando l’adolescente Andrea, icapelli biondi e gli occhi chiari, decise di uscire allo sco-perto con il proprio nome e di mettersi in proprio la-sciando, con grande difficoltà e persino attraverso be-ghe giudiziarie che si protrassero per oltre una decinad’anni, la bottega dello Squarcione cui il padre l’avevalegato, come si usava, con un contratto di apprendista-to che nessuno aveva immaginato così breve.

Francesco Squarcione era un eccentrico e intrapren-dente ex sarto che aveva fiutato il grande interesse na-to intorno alle antichità e si era fatto raccoglitore e mer-cante di anticaglie nonché pittore con il solo talento disaper sfruttare quello dei garzoni che prendeva a botte-ga. Che il giovane Andrea avesse del genio, lo aveva su-bito intuito e forse per assicurarsene l’opera, lo avevaadottato.

Ma Mantegna aveva individuato, proprio a Padova,un altro maestro, ben più interessante: Donatello. L’al-tare che lo scultore venuto da Firenze realizzava nellagrande basilica del Santo con un gran complesso di sta-tue, rilievi e architetture scolpite su diversi piani pro-spettici, gli pareva straordinariamente moderno, scol-pito «in recenti» rispetto al gusto tedesco e francese,

«all’antica», della pittura dello Squarcione. A diciasset-te anni Mantegna fu dunque il primo artista dell’Italiadel Nord a capire che l’epoca del gotico internazionaleera tramontata assieme alle vergini tenere e sinuose, aibestiarî araldici, ai costumi preziosi come oreficerie, aicolori aspri come smalti lucenti. L’universo grazioso efavoloso del gotico stava per essere spazzato via dal-l’aria nuova del «grande stile» che dal centro soffiavasull’intera Italia e il giovane Mantegna ne diede subitouna gran prova sui muri della chiesa degli Eremitani, aPadova.

In seguito a una serie di circostanze (fra cui un colle-ga ucciso di notte a tradimento per storie di passione),il ventenne pittore divenne ben presto il solo protagoni-sta della piccola squadra di artisti ingaggiati per decora-re la cappella di Antonio Ovetari, aristocratico padova-no. Nel 1457, a 25 anni, Mantegna ha terminato gli af-freschi con vertiginose corsìe prospettiche e edifici vi-sti dal basso che conferiscono alle figure un aspettomonumentale, come di statue. Il disegno è duro, diuna forza grafica mai vista prima, come inciso nella pie-tra, la consistenza metallica, come le armatu re dei ca-valieri catafratti nella colonna traiana; anche la naturaè costruita con la sovrapposizione di pietre e la storiasacra si confonde con quella romana.

Anche se ha dovuto difendersi dalle accuse di Impe-ratrice Ovetari, la vedova del committente della cappel-la, che gli intenta una causa per avere effigiato nell’«As-sunzione della Vergine» solo otto dei dodici apostoli,Andrea, ormai, è considerato il migliore artista sullapiazza dell’Italia del Nord. L’abate di San Zeno, il po-tente Gregorio Correr, dotto cultore delle disciplineumanistiche, lo ritiene l’unico candidato in grado di di-pingere una pala d’altare con le amate citazioni «all’an-tica». Ma di fronte a quella sfida, Mantegna non si limi-ta al suo straordinario repertorio di putti, medaglioni,soldati, decorazioni, armi e armature romane: compieanche una rivoluzione. Inserisce la sacra conversazio-

ne della Vergine con il bambino e i santi dentro lo spa-zio illusionistico di una cornice lignea: l’effetto è quel-lo di un portico aperto che mette in relazione i santidipinti con i devoti in carne e ossa.

È la prima volta che lo spazio dipinto si confondecon quello reale e che i santi si mescolano ai fedeli. Pernulla al mondo il Correr è disposto a rinunciare a quel-la straordinaria pala che Mantegna, nel 1459, sta final-mente terminando con la sua consueta lentezza, dopotre anni di lavoro. Nemmeno per le ripetute e insistentisollecitazioni che Ludovico Gonzaga, ansioso di dispor-re per la sua città di quel giovane talento, fa pervenireda Mantova. Il marchese dovrà aspettare. (f. bon.)

Incontri

6 EventiMostre Sabato 16 Settembre 2006 Corriere della Sera