A Sara e alle altre donne

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AntonioBello edizioni la meridiana A SARA E ALLE ALTRE DONNE

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Don Tonino aveva di certo intuito che la dignità non è questione di riconoscimento dell'altro. Così come è. Vale per le donne, ma non solo per loro. Non vorremo però anche noi, come lui scrive a Myriam, essere accusati “di aver fornito imprudentemente ai circoli femministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabili per le loro rivendicazioni”. Ma vorremmo che queste pagine fossero usate, e le donne soprattutto le usassero, per fare battaglie per riconoscere la dignità a ognuno e ovunque. Al di là delle quote e delle appartenenze. Perché la salvezza è universale: la facciamo tutti ed è un diritto di tutti.

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edizioni la meridiana

A SARAE ALLE ALTREDONNE

la meridianacollana paginealtre

Euro 7,00 (I.i.)

Antonio Bello è stato vescovo di Molfettae presidente nazionale di Pax Christi.La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzioneradicale degli ultimi, e il suo impegno perla promozione della pace, della nonviolenza,della giustizia e della solidarietà, lo rendonoancora oggi, dopo la sua morte, tra i piùaudaci profeti dei nostri giorni.

ISBN 978-88-6153-249-6

Don Tonino aveva di certo intuito che la pari dignità èquestione di riconoscimento dell'altro. Così come è. Valeper le donne, ma non solo per loro.Non vorremmo però anche noi, come lui scrive a Myriam,essere accusati “di aver fornito imprudentemente ai circolifemministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabiliper le loro rivendicazioni”. Ma vorremmo che queste paginefossero usate, e le donne soprattutto le usassero, per farebattaglie per riconoscere la dignità a ognuno e ovunque.Al di là delle quote e delle appartenenze. Perché la salvezzaè universale: la facciamo tutti ed è un diritto di tutti.

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Antonio Bello

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Indice

Introduzione 7Homo Ludens. Lettera a Sara 11Profumo di donna. Lettera a Myriam 17Il prezzo delle vittorie. Lettera a “la figlia di Iefte” 25Danzar con los muertos. Lettera a Rizpa 33Viscere di commozione. Lettera a Salomone 41Non passa lo straniero. Lettera a Ruth 47

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Carissima Rut,

avrei voluto scriverti in ben altra circostanza.Per approfondire, ad esempio, le ragioni di quell’univer-

salismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anchete, unica straniera, nell’albero della genealogia ebraica di Gesù.

Non ti nascondo, infatti, che quando nella messa viene pro-clamata la lista degli antenati di Cristo tramandataci daMatteo, mi sorprende e mi commuove sentir pronunciare iltuo nome di donna, fugace come un fremito d’ala. Sembra unnome abbreviato per pudore. O intimidito di comparire inmezzo al ferrigno scrosciare dei nomi di tanti maschioni.

Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tri-stezza che mi devasta l’anima in questi giorni, alla vista di tantistranieri che hanno invaso l’Italia, e verso i quali la nostra civiltà,che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, mul-tietnica, e multireligiosa, non riesce ancora a dare acco-glienze che abbiano sapore di umanità.

So bene che il problema dell’immigrazione richiede moltaavvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle forniteda un romantico altruismo. Capisco anche le “buone ragioni”dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioninegli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lasciasovrappensiero il fatto che si stentino a capire le “buoneragioni” dei poveri allo sbando, e che, in quest’esodo biblico,non si riesca ancora a scorgere l’inquietante malessere di unmondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria.

Tu mi sembri, allora, l’interlocutrice più adatta delle mie

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confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo acco-gliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma pas-siva, hai sperimentato la durezza dell’emigrazione nella duplicefase: l’esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera.

Non tutti conoscono la tua storia. Perciò mi scuserai se,nel rievocarne alcuni particolari, sfiorerò la discrezione e faròviolenza al tuo riserbo.

Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del marMorto, cullando sogni e parlando d’amore con le tue compagne,quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spian-tati. Erano stranieri, Ebrei provenienti dalla terra di Canaan,colpita in quegli anni da una terribile carestia.

Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Unodei quali si accorse di te.

Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuoresi mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che conle parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa.

Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c’è dasupporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Cheeri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più rico-nosciuta come figlia. E che era un’infamia girar le spalletutt’una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alleproprie divinità, per correr dietro a un maledetto sconosciuto.E che, comunque, non avrebbero tollerato mai e poi mai, dopoaverti cresciuta come un fiore, di doverti consegnare a uno diquei morti di fame. Accidenti a lui e a tutti quelli della sua razza!

Furono giorni amarissimi, ma alla fine la spuntasti tu, purpagando caramente il prezzo della tua caparbietà.

Ti vedesti così tagliare tutti i ponti, e alla fine rimanesti sola.Al punto che, quando dopo dieci anni di tribolazione tuomarito morì e morirono anche il fratello e il padre di lui, deci-desti di seguire Noemi, la suocera addolorata, la quale, nonavendo più nessuno anche lei in quella amarissima terra stra-niera, volle rimpatriare.

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Dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò;il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio;dove morirai tu morirò anch’io e vi sarò sepolta.

Varcasti così la frontiera, e cominciò per te la seconda fasedella tua esperienza di “diversa”.

Un vero e proprio mestiere non ce l’avevi. Insieme con laqualifica professionale, ti mancava anche il libretto di lavoro,e a Betlemme, dove andasti ad abitare con Noemi, non ti vol-lero iscrivere nelle liste di collocamento. Sicchè, per campartila vita, essendo il tempo in cui si cominciava a mietere l’orzo,andasti a spigolare furtivamente nelle campagne.

O Dio, non era proprio lavoro nero, ma era certo un lavoroumiliante, perché scartato da tutti ed esposto alle molestie deimietitori.

Meno male che trovasti grazia presso un ricco massaro, uncerto signor Booz, il quale ti prese a ben volere e ordinò aisuoi dipendenti: Lasciatela spigolare anche fra i covoni e nonle fate affronto; anzi, lasciate cadere apposta per lei spighe daimannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgri-datela.

Ti andò veramente bene. Anzi, meglio di così la sorte nonpoteva arriderti, dal momento che il massaro cominciò ad averedel tenero per te e addirittura ti volle sposare, tra la meravi-glia di tutte le donne di Betlemme che creparono d’invidia.E brava la Moabita!

Carissima Rut, qualcuno potrebbe dire che, a proposito diimmigrati, la tua vicenda non fa testo, perché, essendosi con-clusa con la fatidica frase “e vissero felici e contenti”, sembraappartenere più al genere delle telenovele che ai resoconti deltelegiornale o ai servizi di Samarcanda, laddove le storie degliextracomunitari si intridono spesso di lacrime e di morte.

Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura pos-siamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante tran-sumanza di gente alla deriva.

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La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forzaesemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione dirisposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza deglistranieri nel nostro territorio.

Anzitutto, ci dice che la fusione di etnie diverse è possi-bile: anzi, appartiene a quel pacco di progetti che costituisconola sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà.La comunicazione con le culture altre, insomma, non è un’u-topia, né uno sterile sospiro di sognatori.

Quando alle porte della città si celebrarono le tue nozzecol massaro di Betlemme, gli anziani rivolsero a Booz tuo maritouno splendido augurio, che vale tutto un trattato sulla inte-grazione razziale: Il Signore renda la donna, che entra in casatua, come Rachele e Lia, le due donne che fondarono la casadi Israele.

In secondo luogo, la tua storia ci provoca a vincere gli istintixenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano diragioni patriottiche. Che scatenano, all’interno delle nostre raf-finatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discri-minazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle isti-tuzioni, con martellante coralità, rigorosi provvedimenti diforza.

Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamosempre angoscianti minacce dietro l’angolo.

Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose:la nostra sicurezza e la nostra identità.

Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa,ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi, decostruiscel’articolazione dei nostri interessi economici. Dall’altra, sembraattentare ai nostri connotati, sfida la compattezza del nostromondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il depositodelle nostre tradizioni.

Ebbene, la tua storia ci fa capire che la segregazione è larisposta più sbagliata al problema razziale, così come rap-presenta una iattura simmetrica il tentativo di voler assorbire

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nelle stratificazioni della nostra cultura i tratti emergenti della“diversità” altrui, senza lasciarne neppure la traccia. Solo laprogressiva intersezione di aree di valori sarà capace di creareil terreno, calcando il quale nessuno debba sentirsi in esilio.

Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggiodi universalità che lasci cadere dai tuoi covoni.

Dietro i quali, alla ricerca dei tratti di un mondo più soli-dale, siamo venuti anche noi a spigolare.

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Antonio Bello è stato vescovo di Molfettae presidente nazionale di Pax Christi.La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzioneradicale degli ultimi, e il suo impegno perla promozione della pace, della nonviolenza,della giustizia e della solidarietà, lo rendonoancora oggi, dopo la sua morte, tra i piùaudaci profeti dei nostri giorni.

ISBN 978-88-6153-249-6

Don Tonino aveva di certo intuito che la pari dignità èquestione di riconoscimento dell'altro. Così come è. Valeper le donne, ma non solo per loro.Non vorremmo però anche noi, come lui scrive a Myriam,essere accusati “di aver fornito imprudentemente ai circolifemministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabiliper le loro rivendicazioni”. Ma vorremmo che queste paginefossero usate, e le donne soprattutto le usassero, per farebattaglie per riconoscere la dignità a ognuno e ovunque.Al di là delle quote e delle appartenenze. Perché la salvezzaè universale: la facciamo tutti ed è un diritto di tutti.

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