A r u s p i c i n a e t r u s c A

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Collana di “Etruscologia” 1 A Gianfranco Gazzetti Studio in memoria di Ludovico Magrini Ringrazio l’amico Giorgio Poloni , redattore di Nuova Archeologia, per il fattivo interessamento all’uscita del libro

Transcript of A r u s p i c i n a e t r u s c A

  • Collana di Etruscologia 1

    A Gianfranco Gazzetti

    Studio in memoria

    di

    Ludovico Magrini

    Ringrazio lamico Giorgio Poloni , redattore di Nuova Archeologia, per il fattivo interessamento

    alluscita del libro

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    In copertina. Graffiti dello specchio etrusco da Tuscania (IV III sec. a.C.). La scena si svolge a Tarquinia: il divino Tagete insegna a Tarcon-te (il fondatore di Tarquinia) come leggere il fegato aruspicino. Accanto a Tagete Veltune (lat. Vertumnus o Voltumna), il dio della Federazione Etrusca, a significare che siamo nel centro fe-derale della nazione (il Fanum Voltumnae). Tagete ha alle spalle il sole che sorge (Est): questa doveva essere la posizione dellaruspice durante le sedute. Lo stesso orienta-mento ha il fegato che in mano a Tagete: la parte alta (testa del fegato) al centro ed rivolta ad Est, la parte sinistra (processo piramidale e cistifellea) rivolta a Sud, la parte destra (presenza) rivolta a Nord, la parte bassa (dove il fegato si divide nelle due sacche di sinistra e di destra) rivolta ad Ovest.

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    Alberto Palmucci

    A R U S P I C I N A E T R U S C A

    ED ORIENTALE A CONFRONTO

    TARQUINIA e i LIBRI TAGETICI

    con traduzione dei frammenti greci e latini

    PATROCINIO GRUPPO ARCHEOLOGICO GENOVESE DEI GRUPPI ARHCEOLOGICI DITALIA

    Roma 2010

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    R.S.P. Beekes, professore emerito di linguistica indeuropea comparata presso lUniversit di Leiden, scrive: A. Palmucci (in Anatolisch und Indo-germanisch, Meid, 2001, 311ss) argues that there is evidence that the story of Aeneas in Italy was preceded by a version where the journey from Troy went to Etruria. If this is correct, it is of great importance: the Romans will not have made such a story, so it will be an Etruscan story, telling that they came from Troy...1 .

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    Valeria Forte, docente allUniversit di Dallas (Texas, U.S.A.), in un suo studio, dice di includere the opinion of todays renowned contemporary etruscologists such as Pallottino, Palmucci, Munzi and others (p. 4). Fra le altre cose, spiega: Alberto Palmucci, a prominent Etruscologist living in Italy, ha aperto a dialogue with European and American scholars in both academic papers and electronic blogs (p.42). In essence, Palmucci argues that although genetic testing on both humans and bovines has revealed similarities between ancient Etruscan DNA and the DNA of people and cattle found today in eastern regions, this study does not conclusively determine Etruscan origins. Palmucci introduces a very intriguing element to the debate of Etruscan origins when he argues that we should not assume that a common genetic DNA between Etruscans and Near Eastern populations proves the origin of the Etruscans in Asia Minor. Palmucci states that Etruscans may have moved from the Italian peninsula toward the eastern lands, and this migration may have taken the form of a circular pattern of departing from and returning to the Italian coasts. To validate this hypothesis Palmucci provides toponymical data, linguistic analysis, and references to the most spectacular archaeological artifacts left by the Etruscans (p. 43). Dopo aver ricordato the writing of Virgil, according to whom the Etruscans departed from Crito (later called Tarquinia) sailing east and then returning to etruscan shores (p. 49), la Forte conclude infine che Palmucci is one of the most active classicists ... and one who engages in the Etruscan debate at many levels: his comments and opinios are supported by his impressive knowledge of the Etruscan civilization and he expresses them in the form internet blogs in which he debates experts from around the world (p. 50)2.

    1 R. S. P. Beekes, The Origin of the Etrurians, Koninlijke Nederlands

    Akademia Van Wetensschappen, Amsterdam, 2003, p. 56. 2 V. Forte, Archeology and Nationalism: the Troian Legend in Etruria,

    The University of Texas at Arlington, Dicembre 2008.

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    Alberto Palmucci

    N O T I Z I E B I O G R A F I C H E

    Alberto Palmucci, nato nel 1933, si laureato allUniver- sit di Roma. Ha insegnato a Civitavecchia dove ha tra-scorso la sua giovinezza. E stato direttore didattico a Ri-mini e a Genova. Per lunghi anni stato docente presso lIstituto Regionale di Ricerca, Sperimentazione e Aggior-namento Educativi (I.R.R.S.A.E.) della Liguria, dove ha pu-re svolto attivit di ricerca filologica su Virgilio e Crito (Tarquinia). Attualmente vive a Genova. Ha pubblicato numerosi saggi con lAccademia Nazionale Virgiliana di Mantova, lUniversit di Genova, lUniversit di Bari e di Roma Tre, lUniversit di Innsbruck, il Messag-gero Italiano di Manchester (Inghilterra), i Gruppi Archeo-logici dItalia, la S.T.A.S. di Tarquinia, e la Societ Storica di Civitavecchia. Nel 1998, La S.T.A.S., con il contributo della Regione La-zio, ha pubblicato per lui il volume Virgilio e Corito-Tarqui-nia: La leggenda troiana in Etruria. Nel 2005, lAssessorato alla Cultura della provincia di Viterbo ha sovvenzionato un secondo volume dal titolo Gli Etruschi di Corneto (oggi Tarquinia) fra mito e archeologia. Alberto Palmucci anche autore di opere letterarie. Si classificato al primo posto nel Premio di Poesia Janua 1997. Da anni i suoi lavori sono primi classificati in Internet (Google, Yahoo, ecc.). Vedi, per esempio, la voce Etruschi DNA.

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    Opere di ALBERTO PALMUCCI

    STUDI VIRGILIANI E DI ETRUSCOLOGIA

    1- Tarquinia e la virgiliana citt di Corito, Silver Press, Genova, 1987; 2- La virgiliana citt di Corito, Atti e Memorie della Accademia Nazionale Vir-giliana di Mantova, 56, 1988; 3- Il ruolo della citt di Corito-Tarquinia nell'Eneide, Atti e Memorie , cit., 58, 1990; 4- Analisi della mitologia propedeutica alla figura di Dardano e alla citt di Co-rito-Tarquinia nell'Eneide, Atti e Memorie, cit. , 59, 1991; 5- Ancora sugli antecedenti mitologici della figura di Dardano e della citt di Corito-Tarquinia nell'Eneide, Atti e Memorie, cit., 60, 1992; 6- La figura di Dardano e la citt di Corito-Tarquinia nell'Eneide, in Latina Di-daxis. Atti del Congresso, Bogliasco 28-29 Marzo 1992, Universit degli Studi di Genova (Compagnia dei librai), Genova, 1992; 7- Corito-Tarquinia e il porto dei "Ceretani", Atti e Memorie, cit., 61, 1993; 8- Gli Etruschi e Corito-Tarquinia nell'Eneide (Risvolti scolastici), Bollettino Informazioni I.R.R.S.A.E. Liguria, 26, 1994; 9- Virgilio e gli Etruschi, Aufidus (Universit di Bari), 24, 1994; 10- Tarconte e Mantova, Virgilio e Corito-Tarquinia, Atti e Memorie, cit., 62, 1994; 11- Mantova, Corito-Tarquinia e Roma (Mantua, Corito-Tarquinia and Rome), in Il Messaggero Italiano, 4, 25, Manchester, Gennaio, 1997; 12- Corito-Tarquinia, Archeologia, 5, 1997; 13- I Troiani a Corito-Tarquinia (13 Agosto), Bollettino Societ Tarquiniense dArte e Storia (da ora in avanti BollSTAS), 25, 1996; 14- Cori(n)to-Tarquinia e la leggenda di Dardano, Aufidus, 31, 1997; 15- Ulisse in Etruria, BollSTAS, 26, 1997; 16- Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda troiana in Etruria, Tarquinia, S.T.A.S, 1988; 17- Enea, Tarquinia e Roma, Archeologia 7/8/9, 1998; 18- I re Tarquiniesi: Demarato Corinto e suo figlio Lucumone, BollSTAS, 28, 1999; 19- Gli Elogi degli Spurinna, Archeologia, 11/12, 2000; 20- Odisseo in Etruria, Aufidus (Universit di Bari), 42, 2000; 21-Corneto (oggi Tarquinia) Etrusca?, BollSTAS, 29, 2000; 22- Corneto Etrusca?, Archeologia, 1/2, 2001; 23- Odisseo e gli Etruschi. Fonti letterarie e documenti archeologici, Archeo-logia, 10/11, 2001; 24- La figura di Tarconte: un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Anato-lisch und Indogermanisch (Anatolico ed indoeuropeo), Acten des Kolloquiums der Indogermanischen Gesellschaft, Pavia, 22-25 Settembre 1998 (Universit degli Studi di Pavia, dipartimento Scienze dellAntichit), Innsbruck, 2001, pp. 341-353; 25- Tarquinia e i Tirreni del mar Egeo, BollSTAS, 30, 2001; 26- Gli Etruschi, Tarquinia e il vino, Archeologia 8/9, 2002. 27- Lelogio di Tarconte, Archeologia, 12, 2002;

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    28- Le origini degli Etruschi nelle fonti etrusche, pubblicato in BollSTAS, 31, 2002; 29- La Corsica e Corneto, Archeologia, 2003, 1. 30- Corneto (Tarquinia) citt etrusca davanti alla Corsica, BollSTAS, 32, 2003. 31- Gli Etruschi di Corneto, Tarquinia, 2005. 32- Il cielo di Tarquinia visto da Tagete, Archeologia e beni culturali, 2005. 33- I libri Tagetici. il calendario Brontoscopico, BollStas, 2005. 34- I Secoli Etruschi, BollSocStorCiv, 2005; 35- I Numerali Etruschi, BollSocStorCiv, 2006; 36- Tarquinia e i Libri Tagetici, Nuova Archeologia, 2006; 37- La leggenda di Odisseo in Etruria, BollSocStorCiv, 2006; 38 - Corito-Tarquinia, il DNA e lorigine degli Etruschi, pubblicato in Nuova Ar-cheologia, 2006; 39- I libri Tagetici. La partizione del cielo e del fegato, pubblicato in BollStas, 2006; 40- Le mura premedioevali di Corneto (Tarquinia), Nuova Archeologia, (Lu-glio - Agosto), 2008; 39- Virgilio, Erodoto, il DNA e lorigine degli Etruschi (Corito-Tarquinia), Aufidus (CNR, Universit di Bari e di Roma Tre), 66-67 (2007). Uscito nel gennaio 2009.

    STUDI MEDIOEVALI

    Il Trattato di pace fra i Cornetani e i Genovesi, BollSTAS, 23, 1994; I rapporti di Genova e della Liguria con Corneto e lodierno alto Lazio

    nei notai liguri tra 1186 e il 1284, BollSTAS, 24, 1995; Anno 1385: il Papa cede Corneto in pegno ai Genovesi, BollSTAS,

    25, 1996; I rapporti fra Corneto e Genova nei secoli XII e XIII, in Atti del Conve-

    gno di Studi I pellegrini della Tuscia medioevale: vie, luoghi e merci, Tarquinia 4-5/10/1997, (STAS, 1999).

    OPERE LETTERARIE

    Poesie varie, in Poeti e Novellieri 1995, Genova, Silver Press, 1995. Poesie varie, in Fior da fiore, Genova, Golden Press, 1996. Lultima Muraglia (poesie e racconti), Genova, Golden Press, 1997

    (poesia prima classificata nel Premio Janua 1997). Poesie varie pubblicate nel Calendario dei Poeti, Genova, Golden

    Press, 1997. Alla mia terra, in Voci del 2000, Genova, Golden Press, 2000. Stelle e zanzare, in Voci del 2000 (ed. 2001), Genova, Golden Press, 2001. Bambino triste, in Voci del 2000 (ed. 2002), Genova, Golden Press, 2002.

    OPERE FILOSOFICHE

    La Filosofia e la Pedagogia di John Dewey, Roma, 2010.

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    C A P I T O L O P R I M O

    ARUSPICINA BABILONESE, ITTITA, SIRIANA, GRECA, ROMANA ED ETRUSCA

    A CONFRONTO

    P R E M E S S A

    Presso gli Assiri Babilonesi, gli Ittiti e gli Etruschi, la com-prensione della volont degli di, e con ci la predizione del futuro, era affidata soprattutto a quellarte o scienza che in lingua etrusca si diceva nethra3, ed in quella latina haruspicina. I Babilonesi chiamavano baru il sacerdore che la praticava. Gli Etruschi lo chiamavano netvis, e i Romani haruspex4. Larte si basava soprattutto sullesame a scopo divinatorio delle interiora degli animali sacrificati, ma anche dei segni che venivano dal cielo, come tuoni, lampi e fulmini. Il concetto fondante poggiava sulla convin-zione che ci fosse una perfetta corrispondenza fra macro-cosmo e microcosmo per cui nulla accade che sia fortuito; cos la volont degli di pu manifestarsi sia nelle interiora degli animali sacrificati, soprattutto nel fegato, sia nei fe-nomeni atmosferici. La credenza che stava alla base dellispezione del fegato era che questo fosse la sede della vita. Del resto, gli Ind la ponevano e la pongono nel respi-

    3 Alessandro Morandi, Nuovi Lineamenti di Lingua etrusca, Erre Emme,

    Roma, 1991, p. 158: vocabolo formato verosimilmente con il suffisso -ra su una base neth- che ha varie rispondenze: gr. nds (ventre), nduia (intestini), germanico nati, nezi (pelle reticolata attorno agli intestini). 4 Secondo G. Devoto (Avviamento alla Etimologia Italiana . Dizionario

    Etimologico, le Monnier, Firenze, 1967) il vocabolo composto di spex, nome dagente della rad. SPEK (osservare; lat. specio) e di *haru- parola indoeuropea connessa con sanscrito hira (vena). Haruspex per potrebbe anche derivare dal babilonese Baru (aruspice).

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    ro, e gli Ebrei e i Testimoni di Geova la pongono ancora nel sangue.

    Fig. 1- Medio Oriente ed Asia minore

    Le divinit tutelari dellaruspicina assiro-babilonese erano Shamash, dio del sole, ed Adad, dio della tempesta. Il Dio della Tempesta, con altri nomi, era anche la suprema di-vinit maschile fra le popolazioni dellAnatolia (f. 2): presso gli Urriti era chiamato Teshub, ad Hattusa si chiamava Tarhu, e in altre regioni era detto Taru, Tarhui, Tarhun o Tarhunt, ed era raffigurato spesso come un toro. In Anato-lia, questa divinit, comunque la si chiamasse, era anche preposta alla fertilit, ai giuramenti, alla conclusione dei trattati ed allosservanza del diritto. E al nome di questo dio che si riallaccia il nome anatolico di Taruntassa (una delle capitali dellimpero ittita), ed in modo particolare quel-lo della citt di Wilusa-Taruisa/*Tarhuisa (Ilio-Troia, della

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    quale era protettore)5, Al suo nome si riporta pure il nome etrusco della citt di Tarchuna (Tarquinia, della quale sembra fosse parimenti protettore) e del suo eponimo fon-datore Tarchun (Tarconte): questi, come si diceva, era e-migrato in Italia dallAnatolia6. Al suo nome, infine si rial-laccia quello di Tarchies (Tagete, il fanciullo divino che, emerso dalle zolle di Tarquinia, dett a Tarconte i precetti dellaruspicina). Agli inizi del secondo millennio a.C., laruspicina assiro-babilonese si presentava gi come un corpo ben costituito. Con aggiornamenti e commentari arriver fino agli inizi del-la nostra era. Essa si diffuse fra molti popoli del medio e vicino Oriente. Ne abbiamo documentazioni archeologiche in vari luoghi fra cui Mari (Siria), Alalah (Siria orientale), Megiddo (Palestina), Tarso (Cilicia) ed Hattusa (capitale dellimpero ittita). Soprattutto gli Ittiti ebbero una ricca scienza delle predizioni. La grande maggioranza dei loro testi divinatori consiste di

    5 Per la alternanza Taruisa *Tarhuisa vd. A. Palmucci, Virgilio, Erodoto

    e il DNA degli Etruschi (Corito Tarquinia), Aufidus (Dipartimento di Scienze dellAntichit Universit di Bari; Dipartimento di Studi del Mondo Antico Universit di Roma Tre; CNR), 62-63, 2007, pp. 93-126. Il "Dio della Tempesta" menzionato fra le tre divinit protettrici di Ilio-Troia nell'atto di vassallaggio col quale Alaksandu, re di Wilusa (I-lio-Troia), nel 1280 a.C. chiese di rientrare nella protezione dell'impera-tore ittita Muwatalli II. La predilezione per Ilio-Troia del Dio della Tem-pesta si ritrova anche nellIliade di Omero (IV, 46) dove il supremo Zeus, definito al momento dio adunatore di fulmini, afferma che la cit-t di Ilio-Troia gli cara pi dogni altra perch i suoi abitanti gli aveva-no tributato da sempre onori e culti. 6 V. Georgiev, La lingua e l'origine degli Etruschi, Nogard, Roma, 1979;

    vd. pure A. Palmucci, La figura di Tarconte: un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Anatolisch und Indogermanisch (Anatolico ed indo-europeo), Acten des Kolloquiums der Indogermanischen Gesellschaft, Pavia 22-25 Settembre 1998 (Universit Studi Pavia, dipartimento di Scienze Antichit), Innsbruck, 2001, pp. 341-353; Virgilio, Erodoto e il DNA degli Etruschi (Corito Tarquinia), Aufidus (Dipartimento Scienze dellAntichit Universit di Bari; Dipartimento di Studi del Mondo Antico Universit di Roma Tre), 62-63, pp. 93-126.

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    copie ottenute da originali scritti in lingua babilonese, o di tra-duzioni. Questo materiale per lo pi anteriore alla fine dellimpero ittita che avvenne attorno al 1200 a.C.

    Fig. 2- Tarhui (il Dio della Tempesta)

    Sono tali e tante, come vedremo, le somiglianze fra laru-spicina mesopotamica, littica, la greca e letrusca che lecito pensare che la pratica dellaruspicina sia passata dalla Mesopotamia in Anatolia e da qui in Grecia, in Pale-stina e sulle coste occidentali dellItalia centrale al tempo delle leggendarie migrazioni che intercorsero fra loriente e lItalia. Oggi, peraltro, i genetisti hanno trovato qualche somiglianza fra il DNA degli Etruschi e quello dei popoli

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    compresi nel bacino orientale del mediterraneo. Non possiamo tuttavia escludere che gli Etruschi praticas-sero gi una propria lettura del fegato degli animali: nel mito etrusco, Tarconte (cfr. Tarhunta), gi istruito dal lidio Tirreno nellarte dellaruspicina, stava arando i campi di Tarquinia (cfr. Taruisa/*Tarhuisa Troia) quando da una zolla smos-sa pi profondamente emerse un divino fanciullo chiamato Tarchies (cfr. Tarhui) che gli forn nuove informazioni sulle cose segrete (vd. pp. 63-69). La figura di questo divino fan-ciullo, che spontaneamente emerge dalla zolle della propria madre terra, significativo dellelemento autoctono non solo dellaruspicina, ma della stirpe; tuttavia il suo nome Tarchies (Tagete) e quello di Tarconte richiamano quello del dio ana-tolico-troiano Tarhui o Tarhunt. Si diceva, peraltro, che Tar-conte, era figlio di Telefo (re della Misia) e di Iera o di Astio-che sorella del re di Troia. Egli sarebbe venuto in Etruria dove avrebbe fondato Tarquinia ed avrebbe convissuto con Enea ventuto da Troia7. Gli Etruschi dovettero perfezionare la loro arte anche at-traverso contatti diretti con la Mesopotamia. Una tarda oc-casione pu essere stata ad esempio quella che si diede nel 323 a.C. quando una delegazione di Etruschi si rec a Babilonia per incontrare Alessandro8.

    7 Licofrone, Alessandra, v. 1240, ss. , con Parafrasi, Scli e Commento

    di Giovanni Tzetze. 8 Arriano, La Spedizione di Alessandro, VII, 15,5.

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    A P P A R A T O T E C N I C O

    1. LA FACCIA VISCERALE DEL FEGATO. Per gli aruspici della Mesopotamia, la parte del fegato che aveva significanza ominosa era la faccia superiore, quella che oggi chiama-ta faccia vescicolare. Era divisa in due settori, destro e sinistro, che i Babilonesi chiamavano Ali. I Greci e i Ro-mani li chiameranno Lingue (gr. Glossai; lat. Linguae e-minentes o Fibrae)9. Tutta la faccia era poi divisa in diver-se sezioni che prendevano il nome sia dalla loro configura-zione fisica che dal loro significato simbolico10. Ce nerano di due tipi.

    - Sinu (carne), cio le parti costituenti del Fegato come la Cistifellea, la Crescenza e il Dito. - Usurtu (disegno), cio i segni e i solchi, come la Pre-senza e il Sentiero, che erano procurati dal contatto con al-tri organo interni; oppure i legamenti, come la Forza e la Base del Trono, che connettevano il fegato ad altri organi anatomici; oppure parti del sistema vascolare.

    Gis-hur, che significa disegno, un termine generico che a volte indicava tutte le sezioni della facciata.Ogni sezione era divisa a sua volta in un centro (cio il centro vero e

    9 Esichio, Lexicon, s.v. Glossai (lingue): Suoni, e parti ominose del

    fegato nella divinazione; A. Cornelio Celso (I sec.): Iercur in quattuor fibras dividitur; Festo (I sec.), s.v. Fiber: Genus bestiae quadripes. Plautus: Sic me subes cottidie, quasi fiber salicem. Quo nomine e-xtremae orae fluminis appellantur, unde et fibras iocineris et fimbrias vestimentarum dicimus ;Paolo Diadoco : laxis resonare fibris (ri-suonare con larghe corde vocali); Isidoro, Origines: Fibrae iecoris sunt extremitates sicut extremae partes foliorum in vitibus, sive quasi linguae eminentes (Le fibrae del fegato sono le parti laterali come quelle delle foglie delle viti o meglio come lingue prominenti). 10

    Alcuni elementi erano cos sottili che oggi non hanno nome in anatomia.

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    proprio e la sua area), una parte alla sua destra, ed unaltra alla sua sinistra. Ogni centro, ogni destra ed ogni sinistra era a sua vol-ta suddiviso in una testa, una mezzeria ed una base. Cos ogni sezione risultava composta di nove sottosezioni. Sulla base della forma fisica delle sue parti, il fegato fu dunque tappezzato da una molteplicit di sezioni, ognuna col suo significato simbolico positivo o negativo. Indicativamente, la parte destra era positiva, mentre la si-nistra era negativa:

    La met destra mi pertinente, la sinistra del nemico, quando tu fai un estispicio per il benessere del re, per le guerre, per la campagna, per prendere una citt, per guarire il malato, per la pioggia, per in-traprendere unimpresa e quantaltro11.

    Nel celebre modello di fegato del primo millennio, illustra-to da Nougayrol, destra e sinistra sono in effetti sinonimi di positivo e di negativo. Ma quale fosse per i Babilonesi la parte destra e quale la sinistra del fegato rimasto agli studiosi molto problematico, tanto pi che ogni sezione a-veva una propria particolare destra e un propria particolare sinistra, non sempre corrispondenti a quelle del fegato stesso12. Noi crediamo per che la cosa sia risolvibile. Vediamo.

    11 Vd. U. Koch Westenholz, Babylonian Liver Omens, The Carsten Nie-

    buhr Institute of Near Eastern Studies (University of Copenhagen), Copenhagen, 2000, p. 38 e n. 6: (Multalbitlu, tavoletta 2-3,I, 59-61, CT 20, 43-48). 12

    Sul modello (BM, 50494) riportato e illustrato da J. Nougayrol, Re-vue dAssirologie et dArchologie orientale, (62), 31-50, scritto: la parte destra della cima della presenza destra, la parte destra della mezzeria della Presenza sinistra, la parte destra della base della mezzeria della Presenza destra.

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    Nel modo in cui, nel museo di Atene, la statua (ca 410 a.C.) della sacerdotessa Diotima di Mantinea mostra nella mano sini-stra un fegato divinatorio, la parte della faccia ominosa dellorgano che comprende il cosiddetto Dito del Fegato (pro-cesso piramidale) si trova alla sinistra del corpo della sacerdo-tessa, la parte destra alla sua destra, la parte superiore verso la sua testa, e quella inferiore verso i suoi piedi (fig. 3).

    Cos anche per il fegato che nella mano sinistra della statua (IV-III sec. a.C.) dellaruspice etrusco di Volterra (f. 27) nonch per il fegato che nella mano sinistra del divino Tagete, mitico fondatore dellaruspicina, nella scena graffi-ta sul celebre specchio etrusco di Tuscania (f. 18). Cos pure per il fegato di altre figure etrusche meno famose. Dai reperti iconografici esaminati ricaviamo dunque che per gli

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    aruspici greci ed etruschi la parte sinistra del fegato che tenevano in mano per esaminare era quella che compren-deva il Dito del fegato e guardava la parte sinistra del cor-po dello stesso aruspice13. Non possediamo corrispondenti documenti iconografici babilonesi ed ittiti di aruspici con fe-gato in mano. Abbiamo solo modelli di fegato. Anche que-sti, comunque, come quelli greci ed etruschi, presentano sempre quella sporgenza chessi chiamavano Dito o Pol-lice del fegato (processo piramidale). Per i Babilonesi, questa sporgenza era il simbolo del nemico (vd. oltre). O-ra, poich, per loro, la parte del fegato che appartiene al nemico era la sinistra, si pu ragionevolmente supporre che, come per i Greci e gli Etruschi, anche per i Babilonesi e gli Ittiti la parte la parte sinistra del fegato fosse quella che conteneva il Dito. Come si vede, lo studio dellaruspicina babilonese potrebbe illuminare quella etrusca, e viceversa.

    Il fegato poteva anche presentare variazioni morfologiche dovute sia a malattie che ad influenze esterne. Si tratta dei

    13 La Kock Westenholz (op. cit. , p. 39 e n. 107) sostiene invece che il fe-

    gato era visto come appariva nel sacrificio animale adagiato sul dorso, e vorrebbe che anche le rappresentazioni etrusche mostrassero gli aruspici che ispezionano il fegato con lorlo dorsale lontano da loro.

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    cosiddetti segni fortuiti. Questi avevano in genere valore negativo, specie se posti sul lato destro; ma, se posti sul lato sinistro, potevano assumere anche valore positivo. In pratica avveniva come nei nostri calcoli algebrici: (+ x + = +); (- x - = +); (+ x - = -); (- x + = -)14. Ulla Jeyes ha giustamente notato che il collegare alcune caratteristiche fisiche a valori positivi o negativi non e-sclusivo dellaruspicina mesopotamica, ma tocca un tasto della psicologia umana della percezione: universalmente riconosciuto che il normale, il sano, il grande, il dritto, il lungo, il largo ed il lucido suscitano associazioni favoreli; lanormale, invece, il rotto, il piccolo, lo storto, il corto, lo stretto e lopaco suscitano associazioni sfavorevoli15. Laruspice non poteva eludere di dichiarare favorevole o sfavorevole lesito duna consultazione; per poteva, allinterno dello stesso sistema interpretativo, trovare la possibilit per riflessioni creative ed espedienti politici. Presso gli Etruschi, addirittura, laruspice poteva cercare di render vano il responso negativo dichiarando che Tagete, iniziatore dellaruspicina, aveva finto quelle cose16.

    ***

    La sequenza con la quale le sezioni del fegato venivano ispezionate fu stabilita fin dal Vecchio Periodo Babilonese, e rimase tale per tutti i successivi periodi17. Secondo la ta-voletta Multabiltu, essa era la seguente:

    (1) la Presenza; (2) il Sentiero; (3) la Parola Piacevole; (4) la Forza; (5) la Porta del Palazzo; (6) il Benessere; (7)

    14 Vd. U. Kock Westenholz, op. cit. p. 43. Se per, dice la Kock, la pro-

    tasi contiene due o pi termini, essi potrebbero essere trattati come e-lementi individuali, per es. (+ x -) x (- x +) = +; oppure essi potrebbero rinforzarsi luno con laltro (+ x -) + (- x +) = -. 15

    Vd. U. Yeyes, Old Babylonian Extispicy, Nederlands Historisch-Archaelogisch Te Istambul, Istambul, 1989, p. 51. 16

    Lucano, De Bello Civili, I, 584. 17

    J. Nougayrol, Journal of Cuneiform Studies, 1967 (21), 232-233.

  • 24

    la Cistifellea; (8) la Sconfitta dellesercito nemico; (9) la Base del Trono; (10) il Dito o Pollice; (11) il Giogo; (12) la Crescenza.

    Con direzione antioraria, lispezione incominciava dunque dalla Presenza perch sul fegato questo segno poteva an-che mancare; e se il segno mancava voleva dire che il dio invocato si rifiutava di rispondere e che era inutile proce-dere allesame delle altre parti elencate. A sua volta, la Crescenza (processo papillare) era lultima ad essere i-spezionata; e, per il fatto desser lultima, essa poteva rias-sumere ed anche condizionare tutto il significato ominoso dellispezione. Secondo testimonianze depoca tarda, poi, alle dodici se-zioni del fegato corrispondevano i dodici mesi dellanno babilonese (da marzo-aprile a febbraio-marzo) con i loro rispettivi segni zodiacali e di18.

    18 Di questa associazioni non si conosce ad oggi alcuna fonte tradi-

    zionale: abbiamo solo un testo Tardo Babilonese proveniente da Uruk e riportato da Koch Westenholz (op. cit., p. 24). In esso le prime sei sezioni corrispondenti allAla Destra del fegato sono elencate nellordine dispezione tradizionale sopra riferito; le altre, corrispondenti all Ala Sinistra, sono invece elencate con qualche lacuna e confusione od errore. Lispezione partiva dall Ala Destra e proseguiva in senso antiorario verso sinistra. (1) La Presenza - Enlil, dio dellaria; Nisan (marzo-aprile); co-

    stellazione Ariete. (2) Il Sentiero - Shamash, dio del sole e protettore dei viag-

    giatori; mese Ayaru (aprile -maggio); costellazione Toro. (3) La Parola Gradevole dio Nurku; mese Simanu (maggio-

    giugno); Orione. (4) La Forza dio Ninurta; mese Dumuzu (giugno- luglio); co-

    stellazione Cancro. (5) La Porta del Palazzo dio Belet-ekalli; mese Abu (luglio-

    agosto); costellazione Leone. (6) Il Benessere Adad, dio del tuono e della tempesta; mese

    Ululu (agosto-settembre); costellazione Corvo. (7) La Cistifellea dio Anu; mese Tasritu (settemebre

    ottobre); costellazione Bilancia.

  • 25

    Esaminiamo ora le varie parti del fegato babilonese.

    2. IL DITO O POLLICE (SU.SI - UBANUM / U). In anatomia oggi detto "processo caudato o piramidale. E simile a un Dito pollice rispetto a una mano; la Lerderer preferisce in-fatti chiamarlo Pollice. Nei modelli dargilla babilonesi la sua forma fu a volte riprodotta come quella duna piramide a tre lati (fig. 4). Questa fu divisa in varie parti non ancora ben identificate: pianura, palazzo, larghezza, territorio. O-gnuna di queste parti, conformemente ad ogni altra del fe-gato, fu suddivisa in una testa, una mezzeria e una base, con relative parti destre, centrali e sinistre. Insieme, le tre teste delle tre parti formavano la testa del dito19. Il Thulin nel lontano 1900 credette che la testa del Dito corrispondesse a quella dellintero fegato (vd. p. 40). Ma da nessuna fonte babilonese, o da altra che sia, risulta che il Dito avesse mai avuto quella denominazione. Esso, non era visto come una testa, bens come un dito pollice per la sua posizione laterale; ed aveva s una testa, ma la aveva solo in proprio cos come in proprio laveva ogni altra parte ominosa del fegato.

    (8) Il Dito dio ? - ; mese Arahsamna (ottobre-novembre); costellazione Scorpione. N.B. Secondo lordine canonico, a-vrebbe dovuto essere elencato al decimo posto.

    (9) N.B. Nell loridine canonico, qui ci sarebbe la Sconfitta dellesercito nemico.

    (10) La Crescenza dio ? - ; mese Tebetu (dicembre-Gennaio); costellazione Vega. N.B. Secondo lordine canonico, avrebbe dovuto essere elencato al dodicesimo posto. Qui a-vrebbe dovuto esserci il Dito.

    (11) Il Giogo dio ? - ; mese Sabatu (gennaio - febbraio); co-stellazione Arturo.

    (12) Il Fiume del Fegato dio ? - ; mese Addaru (febbraio marzo); costellazione Pleiadi. N.B. Questo segno non appar-tiene allelenco canonico delle dodici sezioni. Qui avrebbe do-vuto esserci la Crescenza, che invece al decimo posto.

    19 H. Jeyes, op. cit. , p. 65 ss.; H. Koch-Westenholz, op. cit. , p. 69-70.

  • 26

    Fig. 5 Fegato ovino

    A - Processo papillare (babil. MAS o Sibtu = Crescenza, Cre-sta); gr. crotatos Lobs = sommo Baccello; lat. Caput = Testa, capitale; etr. Methlum = Testa, capitale, centro federale). B - Vena porta, Porta del fegato (bab. Nar amuri = Porta del fegato; gr. Pylai = Porta). C - Cistifellea (babil. Martu = Vescica; gr. Chole = Bile; lat. Fel = Bile). D - Processo caudato o piramidale (babil. Ubanu = Dito). E - Impronta (babil. Manznzu = Presenza divina; gr. Theos = Dio; lat. Deus = Dio). F - Impronta (babil. Padnu = Sentiero; gr. Keleythos = Sentie-ro). G - Legamento venoso (babil. Pittuliya = Nodo; gr. Desmos = Nodo).

  • 27

    Il simbolo del Dito del fegato era il nemico, ed era op-posto a quello della Crescenza (processo papillare; vd. ol-tre). Esempio:

    Se la Crescenza s trasformata in unarma, e si rivolge verso il Dito, luomo trionfer sul suo nemico20.

    Il simbolo del Dito, in quanto rappresentava il nemico, era anche opposto a quello della Cistifellea che simboleggiava il re, la sua famiglia e il trono. Esempi:

    Se la Cistifellea s voltata e ha circondato il Dito, il re occuper il paese nemico.

    Se la Cistifellea s sollevata e s impadronita della testa del Dito, il re esproprier una citt straniera.

    Se il Dito s impadronito della testa della Cistifellea, il nemico prender il paese del principe21.

    C poi una serie di responsi dove il Dito simboleggia an-che il concetto di nascosto o sinistro, come quel che acca-de dietro le chiuse porte del palazzo reale: intrighi, menzo-gne, tradimenti, magia nera, trasgressioni sessuali e altre simili cose22.

    3. IL GIOGO (NIRUM / SUDUM). Nel noto modello dargilla illustrato dal Nougayriol (ff. 6; 7)23, esso, visto verticalmen-te, confina in basso con il Canale del Fegato, ed in alto con il bordo superiore del modello; visto orizzontalmente, confina alla sua sinistra con la zona della base del Dito del fegato, ed alla sua destra giunge fino allestremit del mo-

    20 A. Goetze, Old Babylonian Omen Testes, Yale Babylonian Omen

    Textes (10), 1947, p. 35, r. 7-8. 21

    H. Jeyes, op. cit., p. 70. 22

    H. Jeyes, op. cit., p. 70-71. 23

    J. Nougayrol, Le foie dorientation BM 50494, Revue dAssirologie et dArcheologie Orientale, (62), 1968, pp. 31-50 e ff. 1-9.

  • 28

    dellino. In verticale, il Giogo fu diviso in una Testa, una Mezzeria, e un Collo24. La Mezzeria divisa dal Collo per mezzo del Nodo Destro (Kisirtu; gr. Desmos). Questultimo corrisponde, in natura, al legamento venoso che, come un nodo, unisce le due ali della faccia superiore del fegato. La Testa del Giogo divisa a met dalla Crescenza (pro-cesso papillare). Un documento poi presenta il caso in cui

    il Giogo di fronte alla Crescenza accuratamente divi-so in due come i denti di un pettine25.

    Giogo il nome di una barra di legno che ha due incur-vature laterali atte ad esser imposte sul collo duna coppia di buoi per aggiogarla e tenerla unita. Lo stesso nome stato traslato per indicare quella zona del fegato che, come un giogo, ne unisce e governa le due ali, sinistra e destra (ff. 6; 7)26. Ci sono poi alcuni responsi che utilizzano espli-citamente il simbolo dei buoi aggiogati27. Sono stati finora pubblicati solo pochi responsi tratti dallosservazione del Giogo28. In genere, essi parlano di attacchi di varie specie di insetti e di genti nemiche come quelle che abitavano Elam e Subartu29.

    24 R. D. Biggs, Qutnu, masrahu and related terms in Babylonian extispicy,

    Revue dAssirologie et dArcheologie Orientale , (63), 1969, p. 159 ss. 25

    VAT 4102, 4, 6 in U. Jeyes, op. cit. , 162, n. 21. 26

    M. I. Hussey, Anatomical Nomenclature in an Akkadian Omen Text, Journal of Cuneiform Textes, (2), 1948, pp. 21-32. 27

    Ulla Koch-Westenholz, op. cit., p. 58. 28

    Vd. documenti in Ulla Jeyes, op. cit., p. 71. 29

    Vd. Elenco dei documenti in Ulla Koch-Westenholz, op. cit. , p. 57. LElam si trovava ad ovest del corso inferiore del Tigri, ed aveva per capitale Susa. Gli Elamiti ebbero da sempre stretti rapporti con Sumer e Babilonia, dove compirono incursioni e per qualche tempo dominarono. Infine furono sconfitti e sottomessi. Subartu era il nome della regione a nord della Babilonia comprendente pi o meno lAssiria e la Mesopo-tamia settentrionale.

  • 29

    Altri responsi, infine, associano simbolicamente il Giogo alla citt. La Jeyes, che lo ha notato, riferisce alcuni do-cumenti:

    Se, nellispezione del fegato, manca il Giogo, la citt e i suoi abitanti periranno []; se, poi, sulla testa o nella mezzeria o sul collo del Giogo si trova una stella rossa, il fuoco divamper nei sobborghi o nella parte interna o nel centro della citt30.

    Il fatto che citt sia uno dei valori che i Babilonesi davano a quella parte di fegato chessi chiamavano Giogo, trova corrispondenza nellaruspicina etrusca. Il Giogo si trova al di sopra della Crescenza (processo papillare); ora, nei mo-delli di fegato etruschi, nella zona contigua alla parte supe-riore della Crescenza scritto Metlvmth (f. 34) che signifi-ca citt31. La sua area, come quella del Giogo babilonese, sporge verso entrambi i lati sinistro e destro della facciata del fegato. Ne riparleremo a p. 36. Siamo di fronte a un nuovo caso (vd. p. 20-22) in cui lo studio dellaruspicina ba-bilonese pu illuminare quella etrusca, e viceversa. In un tardo testo babilonese proveniente da Uruk, il Gio-go associato al mese di Sabatu (Gennaio), alla stella Ar-turo della Costellazione di Boote, ed alla costellazione dellAcquario (21 genn. - 21 febbr. ; astri guida: Saturno e Urano), il gigante incaricato da Dio di rovesciare dal cielo sul mondo lacqua del diluvio per punire le nefandezze de-gli uomini32.

    = = =

    30 Vd. U. Jeyes, op. cit. , p. 71.

    31 G. Colonna, A proposito degli di del fegato di Piacenza, Studi E-

    truschi, 59, 1993. p. 130. 32

    U. Koch-Westenholz, op. cit. , p. 24: The Yoke [-------] the month sabatu, the Giant (Aquarius) [---] the costellation Yoke of the Land (Arcturus).

  • 30

    Fig. 6 -. Modello di Fegato (BM 50494) da Babilonia (I millennio a.C). Londra, British Museum.

    Nelle varie caselle di questo modellino fittile i Babilonesi riportarono con scrittura cuneiforme tutti i nomi delle relative parti ominose del fe-gato. Purtroppo, il modello mutilo. Nella fig. 7, leggi la traduzione del-le iscrizioni della parte centrale del modello.

  • 31

    Fig. 7 -. Modello di Fegato (BM 50494) da Babilonia (I millennio a.C). Londra, British Museum.

    Traduzioni delle iscrizioni della parte centrale.

    Si noti che la Crescrenza non solo ha una Testa, ma pure conno-tata come una Testa con relativa Spalla. In alcuni responsi essa ha pure una Fronte (vd. p. 34). Il Giogo, come quello di un bovino, le so-vrasta tutte.

  • 32

    4. IL NODO (K I S I R T I). Il Nodo di Destra (Kisirti imitti) illustrato dal modellino del Neugayrol (ff. 6; 7)33 che ce ne fornisce lesatta ubicazione: giusto il suo nome, esso uni-sce la mezzeria del Giogo del Fegato con il collo dello stesso Giogo34. Anche gli Ittiti, nelle loro pratiche divinatorie, lo chiamarono Nodo: Pittuliya nella loro lingua35. Pure i Greci lo chiamaro-no Nodo: Desmos nella loro lingua36. Nella moderna ana-tomia mantiene il nome di legamento venoso. Nei modelli etruschi (f. 34), corrisponde alla piega visibile lungo il nastro superiore del fegato, sopra la zona del Me- tlumt (citt), nel punto in cui la casa del dio Veti tocca quella della dea Cilen, cio dove le due ali del fegato, de-stra e sinistra, sincontrano. Ne riparleremo a pag. 102.

    5. IL FIUME E LA PORTA DEL FEGATO (NAR AMUTIM o TA-KALTIN, ABUL LIBBIM)37. Quel che gli aruspici babilonesi chiamavano Porta e Fiume del fegato corrisponde in ana-tomia alla vena porta o semplicemente alla porta38. Questultima, in particolare, la fessura attraverso cui la

    33 J. Nougayrol, Le foie dorientation BM 50494, Revue dAssirologie

    et dArcheologie Orientale, (62), 1968, pp. 31-50 e ff. 1-9. 34

    I documenti menzionano anche un Nodo di Sinistra (Kisirti sumeli) che doveva trovarsi fra la base del Dito, la testa e il collo della Cistifel-lea. In base a ci, Ulla Jeyes ha suggerito di identificarlo con il lega-mento che unisce il rene destro al fegato (U. Jeyes, op. cit., p. 74). 35

    E. Laroche, Sur le vocabulaire de lharuspicine Hittite, Revue dAssirologie et d Archologie orientale, 4, 1970, p. 127, ss. 36

    Esichio, Lexicon, s.v. Desmos. 37

    U. Jeyes, op. cit., p. 74. 37

    Secondo Neugayrol Testes hpatoscopiques dpoque ancienne conservs on Mue de Louvre , XLIV, 1950, pp.1-44), Nar Amutin / ID BA (fiume del fegato) e Takaltin / TUN (borsa) sono sinonimi. Vd. pure U. Jeyes, op. cit. p. 74. 38

    R. D. Biggs, Qutnu, Masrahu and related terms concerning Holes, Journal of Near Eastern Studies, (33), 1974, p. 167. Vd. pure U. Jeyes, op. cit. p. 74.

  • 33

    vena porta convoglia nel fegato il sangue ricco delle so-stanze provenienti dallassorbimento intestinale (fg. 5). Tali sostanze, attraverso il fegato subiscono importanti modifi-cazioni biochimiche. Il sangue, infine, entrato dalla porta, e trasformato nel fegato, esce per ritornare al cuore. La porta il centro topico e vitale del fegato. Nel modello del Neugayrol (ff. 6; 7), il Fiume diviso in lato destro, centrale e sinistro, ed posto sotto la Cre-scenza (processo papillare). La Porta, in particolare, e-sattamente sotto la Crescenza. I Greci chiamarono Pothamos (fiume) e Pylai (porte) quel che i Babilonesi chiamavano Fiume del fegato e Porta del fegato. I Romani chiamarono Venae (Vene) il Fiume, e Cellae (Celle) le tre sezioni (destra, sinistra e centro) del Fiume e della Porta come le tre celle dei templi (vd. p. 46). Gli Etruschi, nella ca-sella contigua al processo papillare del modello bronzeo di Piacenza scrissero Letham che pare possa essere la forma etrusca del nome di Lete, il fiume infernale che dava loblio ai trapassati prima di reincarnarsi (f. 34).

    6. LA CISTIFELLEA (ZE O ES / MARTUM). La Cistifellea si divide in una testa, un centro e un collo39. In alcuni casi chiamata Reum (Pastore), termine con il quale a volte denominato il re. Essa, infatti, simboleggia il re, la sua fa-miglia e il trono. Gli Ittiti la chiamarono ZE (zehili psiman), i Greci Do-chai Choles40, i Romani Fel. Pare che in qualche modo i Babilonesi connettessero la ci-stifellea anche alle acque41. Gli Etruschi la divisero in quattro

    39 Il dotto cistico attaccato al Collo. Nel modello di fegato del Neu-

    gayrol, come daltronde in natura, il suo peduncolo parte dalla Porta del fegato sotto la Crescenza. Il lato destro quello alla sua destra, ed il sinistro quello alla sua sinistra. 40

    E. Laroche, Revue dAssiriologie et dArchelogie orientale, (64), 1970. p. 133; Esichio, Lexicon, s.v. Doche.

  • 34

    caselle42, e la consacrarono a Nettuno e alla potenza delle acque marine: limperatore Augusto ne trov una doppia il giorno in cui vinse la battaglia navale di Azio43.

    7. LA CRESCENZA (MAS o SIBTUM)44. La Crescenza era lultima parte del fegato ad essere ispezionata (vd. p. 24); cos poteva riassumere e addirittura condizionare il signifi-cato complessivo del responso. Il suo nome assiro vien fat-to derivare da wasabu (crescere in dimensione)45. Pari-menti, gli Ittiti la chiamarono Zi (Crescenza, Gomitolo)46. In natura, essa corrisponde al processo papillare47: si trova nella parte alta del centro del fegato, sopra la vena porta ed il peduncolo della Cistifellea. Il suo nome ancor oggi esprime limmagine duna Crescenza a forma di capezzolo ovvero piccola testa. Nel modello di fegato del Neugayrol, essa risulta divisa in lato destro e sinistro; verticalmente, poi, in una spalla e una testa (vd. f. 7). Alcune fonti men-zionano pure una fronte (putum)48.

    41 J Nougaryol segnal che una delle iscrizioni segnate sulla cistifel-

    lea dun modello di fegato caldeo, trovatro a Mari, sembrava significa-re e la pioggia nel paese nemico (Comptes rendus de lAcadmie des inscriptions et Belles Lettres, 1955). 42

    Perch vi compresero quella del dotto cistico, 43

    Plinio, Storia naturale, XI, 195. 44

    Il nome Sibtum usato a volte come maschile, altre come femminile. 45

    Vd. U. Koch-Westenholz, op. cit. , p. 64. Ne sono date varie traduzio-ni. J. Nougayrol: fr. Excroissance (Escrescenza); Ulla Jeyes: ingl. Increase (Aumento); R. Leiderer: ted. Auswuchs (Escrescenza). J. W. Meyer fa invece derivare il termine da sabatu (Alter Orient und Altes Testament, XXXIX, 1987, p. 172) che egli traduce con ted. Greifen (afferrare). Sotto questo aspetto, Sibtum potrebbe significare Mano oppure Dito medio della mano, contrapposto ad Ubanum inteso come Dito pollice. Un re-sponso menziona, infatti, due Crescenze ditiformi. 46

    Vd. Alfred Boissier, Mantique Babilonienne et mantique hittite, Parigi, 1935, p. 27, n. 3. 47

    M. I. Hussey, Anatomical Nomenclature in an Akkadian Omen Text, JCS, 2, 1948, pp. 21-22. 48

    U. Jeyes, op. cit., p. 74.

  • 35

    Certi responsi, poi, distinguono una Crescenza e una Crescenza del Giogo (Sibut Nirim). Uno di essi dice:

    Se la Crescenza s trasformata in unarma, e si rivol-ge verso il Dito, luomo trionfer sul suo nemico; ma se la Crescenza s mutata in unarma e punta in direzio-

  • 36

    ne della Crescenza del Giogo il suo nemico trionfer su di lui49.

    Nella sentenza appena citata, la sezione della Crescenza punta verso il Giogo; nel modello del Neugayrol (ff. 6; 7) sembra invece che la sezione del Giogo invada quella del-la Crescenza. In qualche modo, Il loro valore poteva esse-re intercambiabile50. Gli Etruschi infatti ne fecero ununica zona: nel loro celebre modello bronzeo di fegato di Pia-cenza (f. 18), in quella parte che corrisponde al Giogo dei Babilonesi, e che corre lungo la base superiore della pro-tuberanza che i Babilonesi usavano chiamare Crescenza (oggi processo papillare), gli Etruschi scrissero Metlvmth (f. 34). Questa parola, secondo G. Devoto e G. Colonna, significa citt (lat. Urbs)51 o, meglio, a nostro avviso, cit-t capitale (lat. Caput) (vd. pp. 103-105). Si tenga presen-te che, in alcuni responsi babilonesi, il Giogo simboleggia proprio la citt (vd. par 3 a p. 29) e che, in taluni casi, la stessa Crescenza poteva avere la valenza di citt capita-le. Un modello con tre Crescenze presenta infatti la se-guente didascalia:

    Presagio per Accad (capitale dellantica Babilonia) concer-

    49 Vd. U. Jeyes, op. cit., p. 204, n. 206.

    50 Al centro del fegato, in alto, si legge spalla della Crescenza, alla

    sinistra della spalla si legge testa della sinistra del Giogo, e sotto la spalla si legge testa della Crescenza. Questultima si trova in mezzo fra la testa della destra del Giogo e una ripetizione della testa della sinistra del Giogo. Sembrerebbe che la testa della destra e quella del-la sinistra del Giogo occupino la posizione che dovrebbe spettare alla sinistra ed alla destra della testa della Crescenza. Tutta la sequenza di teste comunque indicata con lunico nome di Crescenza nella no-menclatura scritta lungo il Fiume del Fegato 51

    G. Colonna, A proposito degli di del fegato di Piacenza, Studi E-truschi, 59, 1993. p.130.

  • 37

    nente Rimus e Manastusu (sono i nomi di due re)52.

    Ma la Crescenza estendeva la propria valenza anche a quella di madre, di patria e di terra coi suoi prodotti e profitti; ci diversamente dal Dito che simboleggiava il nemico. Presentiamo due significativi esempi di valore di ventre materno.

    Se la Crescenza simile alluccello pietra, la moglie delluomo dar alla nascita un maschio53;

    se la Crescenza manca, e al suo posto usuale c un buco, il bambino non ancora nato della donna incinta morir54.

    La Crescenza poteva presentarsi anche doppia o multi-pla; e ci nella stragrande maggioranza dei casi aveva si-gnificato positivo. Eccone alcuni esempi55.

    Due Crescenze: luomo vedr la ricchezza. Se due Crescenze sono consecutive, il piccolo tesoro

    delluomo diverr grande, e luomo prosperer. Se ci sono due Crescenze e sono pieghettate come

    una fune, il [] sieder sul trono. Se ci sono due Crescenze, il raccolto del paese entre-

    r nel Palazzo. Se due Crescenze si succedono luna allaltra, il picco-

    lo tesoro delluomo diverr grande, luomo prosperer. Se una Crescenza sovrapposta allaltra, consumerai

    il raccolto della terra del nemico.

    52 M. Rutten, Trente-deux modles des foies en argile inscrits

    provenent de Tell-Hariri (Mari), Revue dAssiriologie et dArchelogie orientale, (35), 1938, p. 41 e f. 2. 53

    U. Jeyes, op. cit., p. 139, nn. 27-29. 54

    U. Jeyes, op. cit., p. 146, nn. 41-43 55

    Gli esempi che sono tratti da U. Jeyes, op. cit., pp. 72; 137-143.

  • 38

    Se ci sono tre Crescenze, il [] prender il controllo e salir sul [trono (?)].

    Tre Crescenze: il re prender il controllo dei beni di qualcuno e li dar ad un altro.

    Se ci sono quattro Crescenze: significa cambiamento di direzione.

    Se ci sono cinque Crescenze, tu consumerai il [] del tuo nemico.

    Quattro Crescenze: le regioni si divoreranno luna con laltra56.

    Due e a volte anche pi Crescenze avevano dunque si-gnificato positivo. Nellepatoscopia etrusca e romana la funzione positiva delle duplici Crescenze svolta dalla presenza duplicata del Caput (testa) del fegato. La Crescenza simboleggia anche la vittoria e la salita al trono; ed in contrasto col Dito (oggi processo piramidale) che il simbolo del nemico e del rivale in genere:

    Se la Crescenza s trasformata in unarma, e si rivolge verso il Dito luomo trionfer sul suo nemico57.

    Se la Crescenza grande come il Dito, il domestico sar potente come il suo padrone, o il padrone della domestica lamer ed ella sar pari alla sua padrona58.

    Cattivo segno era invece se la Crescenza era bucata o divisa o mancante59:

    Se la Crescenza forata, il pidocchio infester.

    56 Questi ultimi due esempi appartengono ai rari casi in cui la moltepli-

    cit delle crescenze ha significato negativo. 57

    A. Goetze, Old Babylonian Omen Testes, Yale Babylonian Omen Textes (10), 1947, p. 35, r. 7-8. 58

    In U. Koch-Westenholz, op. cit. , p. 23. 59

    I responsi che seguono sono tratti da U. Jeys, op. cit. , pp. 72; 137-143.

  • 39

    Se un buco si trova nella parte destra della Crescenza, luomo impazzir.

    Se un buco si trova nel mezzo della Crescenza, morir una sacerdotessa o un sacerdote.

    Se un buco si trova nella parte sinistra della Crescen-za, i cani impazziranno60.

    Se nella [] della Crescenza c un buco, e la Cre-scenza lo ricopre, il nemico riempir i pozzi davanti a te (vuol dire che assedier la citt, e riempir di terra i pozzi dei cunicoli che vi portano lacqua).

    Se sulla fronte della Crescenza ci sono sette buchi: una peste di roditori;

    Se [la testa (?)] della Crescenza divisa, il cittadino preferir (vivere) in aperta campagna [e] luomo (il re della citt) finir in rovina;

    Se la Crescenza suddivisa, lorzo mancher; Se la Crescenza manca, e al suo posto usuale c un buco,

    il bambino non ancora nato della donna incinta morir. ***

    La stessa localizzazione anatomica e gli stessi significati ominosi della Crescenza (MAS/Sibtu) dei Babilonesi avr quella parte di fegato che il Greci, nella loro epatoscopia, chiameranno Lobs (Lobo) e, a volte, anche Kefal (Te-sta). Oggi, noi, in anatomia, la chiamiamo processo papil-lare perch somiglia a una piccola testa (f. 5). Il poeta Nicandro (II sec. a.C.), trattando del fegato di maiale, spieg:

    La cima del Lobo (acrotaton Lobn) sporge dalla Tavola (Trapeze)61, e si protende (neyei) vicino la cistifellea (schedon Choles) e la Porta della Vena Porta (Pylon)62.

    60 Nel modello (BM 50494) illustrato da Neugayrol (op. cit., p. 40) la

    Spalla della Crescenza chiamata anche Morso di Cane.

  • 40

    Questo Lobo (Lobs) di cui tratta Nicandro tende verso la Cistifellea e lentrata della Vena Porta proprio come la Crescenza (oggi processo papillare) di cui parlavano i Ba-bilonesi; e non va scambiata con il Dito (oggi processo pi-ramidale), come fece Thulin (vd. pp. 25; 40; 96)63: la Cre-scenza vicinissima alla Porta del fegato, mentre il Dito discosto e si rivolge verso la parte opposta (f. 5).

    ***

    Platone sosteneva che c una parte dellanima che non ascolta la ragione perch si lascia sedurre dalle appa-renze. Un dio lha posta nel fegato perch, liscio e lucido e dolce e amaro com, potesse riflettere i comandi dellanima appetitiva e rimandarli allintelletto per suscitargli paura. Ci perch ogni volta, dice Platone, lanima appetitiva, serven-dosi dellamarezza congenita nel fegato, si mostri a quella razionale con figura minacciosa, e

    diffondendo amarezza per tutto lorgano, vi presenti i colori della bile; e sia piegando da eretto (ex or-thou) il Lobo (cio lequivalete della Crescenza ba-bilonese) e torcendolo, sia ostruendo e chiudendo Serbatoi (dochs) e Porte (pylas), provocasse do-lori e nausee. Quando, al contrario, unispirazione dintelligenza disegna immagini di dolcezza, e calma lamarezza [...], essa dispone secondo le regole tut-

    61 Vd. Esichio, Lexicon: Dolou Trapeza = Ep toy epatos, semeion ev

    thytike (Tavola del Dolo = Sopra il fegato, segno in divinazione). Tavo-la del Dolo, cio facciata della parte sfavorevole del fegato. 62

    Nicandro, Theriaca , 560. 63

    Per C. Thulin, si veda Realencyclopadie der Classicischen Altertum-swissensschaft, s.v. Haruspices, col. 2452. Thulin cit il passo ove Ni-candro parla del baccello che sporge dalla Tavola, ma omise con reti-cenza la parte ove Nicandro dice che lo stesso lobo si trova vicino alla porta del fegato. Thulin elude cos di dover localizzare correttamente il Lobo nella zona accanto alla Porta: questa si trova nella parte centrale del fegato.

  • 41

    to ci che nel fegato eretto (cio il Lobo), liscio e libero (cio i Serbatoi e le Porte del fegato)64.

    Il Lobo per i Greci, come la Crescenza per i Babilonesi (e, come vedremo, il Caput ovvero la Testa del fegato per gli aruspici etruschi di Roma) poteva presentarsi anche i-perplastico, doppio o diviso in due, e anche staccato e per-fino assente o confuso nelle malformazioni patologiche della vicina Porta e delle vena omonima. A seconda dei casi, il significato poteva essere fausto o infausto. Leroe Prometeo, nella omonima tragedia di Eschilo (524-456 a.C.), dice di

    saper ben distinguere la forma fausta e varia della Cistifellea e del Lobo.

    Euripide (480-406 a.C.), a sua volta, ci descrive il caso in cui

    il Lobo non era congiunto alle viscere, e vicino ad esso (plas), lentrata della Vena Porta (Pylai) ed i condotti della Cistifellea (dochai chole) annunciavano funeste aggressioni per chi lo stava esaminando65.

    Senofonte (V-IV sec. a.C.) racconta poi di casi in cui

    i fegati delle vittime sacrificate erano stati trovati pri-vi dei Lobi (aloba ier)66.

    Nella Vita di Pirro, Plutarco (46 120 d.C.) racconta di

    fegati trovati senza Lobo (ek tn iern albn)67.

    64 Platone, Timeo, 71b-d.

    65 Euripide, Elettra, 826 ss.

    66 Senofonte, Elleniche, III, 4,15 e IV, 7,7.

    67 Plutarco, Vita di Pirro, 30.

  • 42

    Plutarco ricorda pure che quando ad Alessandro un in-dovino rifer

    che era stato trovato un fegato privo del Lobo (-par alobon), Alessandro esclam: ahim, un cat-tivo presagio!68

    Lo stesso Plutarco narr pure che il console romano Marcello immol due vittime, e nella prima

    il fegato non aveva la Testa (epar ouk echon Kfa-ln) [....]; nella seconda invece la Testa (kfal) mostrava uno sviluppo straordinario69.

    Come si vede, Plutarco chiamava sia Lobo (Lobs) che Testa (kfal) quella protuberanza del fegato, che noi an-cor oggi per la sua forma di piccola testa o capezzolo, chiamiamo processo papillare70. Plutarco infine, nella Vita di Silla, raccont in greco che il duce romano ebbe il seguente presagio di vittoria:

    Presso Taranto fece un sacrificio, ed il Lobo che si present aveva la forma duna corona dalloro dal-la quale si dipartivano due nastri71.

    Agostino, che rinarr levento in lingua latina, si espresse cos:

    68 Plutarco, Vita di Alessandro, 73.

    69 Plutarco, Vita di Marcello, 29.

    70 Ancora Plutarco (Vita di Cimmone, 18) narr che durante un sacrificio

    si trov che il Lobo non aveva la Testa (ton Lobn ouk echonta kfa-ln). In questo caso, Plutarco dovrebbe riferirsi in modo specifico a quella che per i Babilonesi era la Testa della Crescenza. Appiano (Bellum Civile, II, 116), poi, prefer il termine Testa (kfal) a quello di Lobo (Lobs): egli narr che, prima della morte di Cesare, si trov che alle viscere mancava la testa (e kfal tois splagchnois eleypen). 71

    Plutarco, Vita di Silla, 27.

  • 43

    Quando Silla venne a Taranto e fece sacrifici in proprio favore vide sulla Testa del fegato (in Capite iecoris) del vitello qualcosa di simile a una corona doro72.

    I Romani dunque chiamavano Caput (Testa) del fegato quel che i Greci chiamavano Lobos (Lobo) o Kfal (Te-sta), gli Ittiti Zi (Crescenza oppure Gomitolo) e i Babilonesi MAS/Sibtum (Crescenza). Ancora oggi, questa parte del fegato, per la sua sporgenza a forma di capezzolo, si chia-ma processo papillare. Come gi abbiamo detto, il Thulin credette invece erro-neamente che la Testa del fegato, che tanta importanza aveva nellepatoscopia greca, etrusca e romana, fosse ci che i Babilonesi chiamavano Dito, e che noi oggi chia-miamo processo caudato (vd. p. 25). Questo Dito o pro-cesso caudato si trova peraltro nella parte laterale del fe-gato, mentre la Crescenza o Lobo o Testa o processo papillare si trova nella zona mediana lungo la linea che di-videva il fegato in due parti: la familiare e la ostile. Di questa posizione mediana ed intermedia fra parte familia-re e parte ostile abbiamo una riprova in Tito Livio quando racconta che durante una seduta daruspicina si trov

    Che la Testa (Caput) del fegato era staccata dalla parte familiare73.

    Come, poi, nella epatoscopia babilonese, una duplice Crescenza aveva significato positivo, e la sua mancanza lo aveva negativo, cos, nellaruspicina etrusco-romana, una duplice Testa avevano significato positivo, e la sua man-canza lo aveva negativo. Tito Livio, nella Storia di Roma, scrisse che il console Marcello, il giorno prima dessere

    72 Agostino, De Civitate Di, II, 24.

    73 Tito Livio, Storia di Roma, IX, 1: Caput iocineris a familiari parte cesu.

  • 44

    ucciso in battaglia,

    immol due vittime, ed, uccisa la prima, il fegato fu trovato privo della Testa; nella seconda invece si mostr normale, e la Testa apparve anche aumenta-ta. Ci veramente non piacque allaruspice perch le viscere, gi tronche e deformi, ora apparivano fin troppo di buon augurio74.

    Valerio Massimo (ca. 20/25 a.C. dopo 31 d.C.), ripet che il console Marcello immol due vittime.

    La prima vittima cadde dinanzi al piccolo focolare, e si trov il fegato senza Testa, mentre la seconda aveva una duplice Testa di fegato. Osservate que-ste cose, laruspice col volto triste rispose che le vi-scere non gli piacevano perch dopo le cose mutila-te erano apparse le favorevoli75.

    Plinio (23-79 d.C.) ricord ancora che in quelloccasione:

    nelle vittime manc la Testa del fegato; e il giorno dopo ne furono trovate due76.

    Nella letteratura latina, oltre alle sopra riportate, le fonti che rilevano il significato negativo della mancanza della Testa del fegato sono numerosissime77.

    74 Tito Livio, Storia di Roma, XXVII, 26: Immolasse eodie quidam pro-

    diere memoriae consulem Marcellum, et prima ostia caesa iecur sine capute inventum, in secunda omnia comparuisse quae assolent, auc-tum etiam visum in capite; nec id sane haruspici placuisse, quod se-cundum trunca et turpia exta nimis laeta apparuissent. 75

    Valerio Massimo, Memorabilia, 16, 9: Prima Hostia ante foculum cecidit, eius iecur sine capite inventum est, proxima caput iocineris duplex habuit. Quibus inspectis Haruspex tristi vultu non placere sibi exta, quia secundum truncata, laeta apparuissent respondit. 76

    Plinio, Storia Naturale, XI, 189: caput iecoris defuit in extis: sequenti deinde die geminum repertum est.

  • 45

    Significato negativo hanno anche due Teste quando sia-no sovrapposte ed ambedue staccate o comunque irre-golari nella forma. Seneca, nella tragedia Edipo, cos de-scrisse il fegato dun toro sacrificato.

    Il fegato marcio e secerne un nero fiele; e, segno sempre infausto per la unicit del potere (semper omen unico imperio grave), ne emergono due Teste di pari sporgenza; luna e laltra Testa tagliata e ri-coperta da una sottile membrana che per non ci impedisce di osservare i segreti significati; il lato o-stile si gonfia con valida forza e spinge avanti (ten-dit) sette vene; le attraversa un solco trasverso (limes oblicus) che non consente loro di ritornare in-dietro (has omnis retro prohibens reverti limes obli-cus secat)78.

    Il poeta Lucano (39-65 d.C.) scrisse che laruspice etru-sco Arunte, dopo aver immolato una vittima,

    osserva il fegato umido di liquefazione, e scorge le Vene minacciose dalla parte ostile. [] Poi vede nella Testa delle Fibre crescere la massa di unaltra Testa: una parte sospesa, marcia e malata, laltra palpita e con rapido movimento muove le Vene in modo malvagio79.

    Nel merito, uno scoliaste spieg:

    77 Vd. gli ulteriori esempi riportati da G. Blecher, De Extispicio Capita

    Tria, Gissa, 1905, pp. 5-22. 78

    Seneca, Edipo, 358 365. La faccia viscerale del fegato presenta tre solchi disposti a formare un H: un solco traverso e due solchi sagit-tali, destro e sinistro. Nel solco trasverso, che corrisponde allilo dellorgano, si trovano larteria epatica, la vena porta e i dotti epatici, oltre ai vasi linfatici e ai nervi, che costituiscono il peduncolo epatico. 79

    Lucano, De Bello Civile, 621-625.

  • 46

    Le Vene hanno ognuna un valore diverso, quelle che gli aruspici chiamano Celle: dei nemici, degli amici, ed unaltra di tal modo (destra, sinistra e centro). Quando essi dunque osservano il fegato rilevano quale Cella non si muova, e quale parte palpiti80.

    Da questultimo importante documento si evince che gli aruspici ertrusco-romani, come gi quelli Babilonesi, divi-devano la Vena Porta e la Porta stessa in tre parti, destra, sinistra e centrale, che chiamavano Vene (Venae) oppure Celle (Cellae) come nella antica tripartizione dei templi (vd. par. 5 a p. 33).

    ***

    Noi abbiamo gi visto che presso i Babilonesi la Presen-za veniva indagata per prima. Ci perch essa poteva mancare, e se mancava significava che la divinit interpel-lata si rifiutava di rispondere rendendo cos vana la prose-cuzione dellindagine del fegato (vd. pp. 23; 49-50). Ci avveniva pure presso i Romani (vd. pp. 49-50). Noi abbia-mo anche visto (vd. p. 24) che presso i Babilonesi, la Cre-scenza veniva invece indagata per ultima cos come il Lo-bo (Lobs) o Testa (Kfal) presso Greci, e la Testa (Ca-put) presso i Romani. Ci perch anchessa, come la Pre-senza, poteva mancare; ma se era la Crescenza a man-care, ci significava morte, e cos condizionava negativa-mente ogni precedente interpretazione delle altri parti del fegato. Il Dito invece non aveva queste caratteristiche. Dunque, noi possiamo ancora una volta ribadire che ci che i Greci chiamavano Lobo (Lobs) e Testa (kfal), e i Romani chiamavano Testa (Caput) del fegato, e che noi ancor oggi chiamiamo processo papillare per la sua

    80 Scolio a Lucano, De Bello Civile, 621-625: Diversae sunt Venae,

    quas haruspices Cellas dicunt, hostium, amicorum et alia huiusmodi. Cum ergo aspiciunt iocinera intelligunt quae cella nec ait, que pars salit.

  • 47

    forma di piccola testa o capezzolo, corrisponde a ci che i Babilonesi chiamavano Crescenza, e non a ci che essi chiamavano Dito, e che noi oggi chiamiamo processo pi-ramidale. Il Thulin era in errore quando nel lontano 1900 credette di poter identificare nel Dito la Testa del fegato. Questo equivoco diventato un grosso ostacolo per la comprensione di quale fosse nellaruspicina il centro del mondo (lat. Caput; etr. Methlum) dal quale determinare quali fossero le parti favorevoli e quali le sfavorevoli del mondo stesso e del suo riflesso nel fegato degli animali.

    ***

    Caput, in lingua latina, significava testa, ma anche Te-sta del fegato e citt capitale: Roma era caput mundi (capitale del mondo). Lequivalenza testa = capitale fu anche utilizzata nella pratica interpretativa propria della divinazione etrusca. Quando Tarquinio, re di Roma, fece scavare le fondamen-ta per la costruzione del tempio Capitolino, fu dissotterrata una testa umana ancora palpitante; il re invi ambasciatori in Etruria acciocch lugure Oleno Caleno gli spiegasse il significato del prodigio; e Oleno sentenzi che il luogo do-ve era stata trovata la testa (caput) sarebbe divenuto la capitale (caput) del mondo (vd. p. 104).

    8. LA PRESENZA (KI.GUB / MANZAZUM). Essa la prima ad essere presentata negli elenchi canonici dei segni ominosi. Nei tardi testi del I millennio connessa ad Enlil (dio dellaria), al mese di Nisan (Marzo-Aprile) ed alla costella-zione dellAriete81.

    81 R. Labat, Un calandrier babylonien des travaux des signes et des

    mois, Libraire Honor Champion, Parigi, 1965.

  • 48

    La Presenza stata identificata con il solco verticale che si trova sul lobo destro del fegato: nellodierno linguaggio anatomico corrisponde all impressione reticolare. La sua zona consiste in questo solco e nella sua area circostante. Il solco orientato verso il centro del fegato, e la base verso il bordo destro. Esso fu diviso orizzontalmente in tre parti82:

    1. testa, cio la parte rivolta verso il centro del fegato, di-visa a sua volta verticalmente in un centro (positivo), una destra (positiva) e una sinistra (negativa);

    2. mezzeria divisa verticalmente in centro (positivo), de-stra (negativa) e sinistra (positiva);

    82 La partizione che presentiamo desunta da J. Nougayrol, op. cit. ,

    p. 39; U. Koch-Westenholz, op. cit., pp. 52-53.

  • 49

    3. base, cio la parte rivolta verso il bordo destro del fe-gato, divisa verticalmente in centro (positivo), destra (positiva) e sinistra (negativa).

    La presenza del Manzazum significava che il sacrificio era stato accettato dalla divinit, e che, attraverso lesame del fegato della vittima, essa avrebbe dato una risposta al-la domanda del sacrificante. La sua assenza, invece, vole-va dire che la divinit non si rendeva disponibile. E questo il motivo per cui essa veniva analizzata per prima. Dagli Ittiti la Presenza fu chiamata Sintahis e Sumuqan. I trattati che ci sono pervenuti menzionano una parte destra (favorevole), ed una parte sinistra (sfavorevole)83. Al babilonese Manzazu (Presenza divina) i Greci diedero i nome di Theos (Dio)84, proprio perch la presenza o meno di quel solco significava la disponibilit o meno del dio. Anche gli aruspici etrusco-romani lo chiamarono Deus (Dio). Lattanzio Placido scrisse:

    Nelle viscere c un segno che si chiama Dio (Deus). Se questo appare integro dimostra che il nume propizio; se invece dimezzato significa che il nume irato o certamente non presente85.

    Non sappiamo come gli Etruschi chiamassero questo se-gno: forse Ais che nella loro lingua significava Dio. Esso comunque presente, al centro dellala destra dei modelli di fegato etruschi come quello che si vede in mano a Tage-te nello specchio bronzeo di Tuscania nonch in quello fitti-le di Faleri (f. 26) ed in quello bronzeo di Piacenza (f. 28).

    83Un testo specifica che al di sopra della sede di Sumuqan si trova un Nodo (Pittuliya) ( E. Laroche, op. cit., p. 131-132). Questo Nodo il Nodo di Destra (Kisirti imitti) dei fegati babilonesi, ed univa la mez-zeria del Giogo con il collo del Gioco. 84

    Esichio, op. cit. , s.v. Theos. 85

    Lattanzio Placido, ad Stat. Theb. , V, 176.

  • 50

    In questultimo, in particolare, esso racchiuso entro una casella circolare posta al centro duna ruota di altre e sei caselle contenenti nomi di di: 1 - Cilen (Fortuna), 2 - Sel-va (Silvano), 3 - Letha (Lete?), 4 - Tlusc (Tusco?), 5 - Lusl (?) e Velchans (Vulcano), 6 - Satres (Saturno). E probabi-le che si tratti duna rosa di di che potevano o meno esser presenti nel sacrificio.

    Fig- 10

    Scena di sacrificio. Rilievo neo-assiro (BM ANE 124548. Da uno degli edifici di Nimrud (ca. 860 a.C.).

  • 51

    9. IL SENTIERO (GIR / PADANUM). Sentiero nei modelli di fegato orientali era il termine per il solco che corre orizzon-talmente sotto la Presenza nella impronta Absomal. Era la seconda sezione del fegato ad essere ispezionata, subi-to dopo la Presenza. Essa a volte fu detta Corso (Kibsum) perch simboleggiava il corso della vita umana. Altre volte fu chiamata Campagna (Harranum) perch simboleggiava pure la campagna militare. Se il Sentiero si presentava doppio, era segno generalmente favorevole; se triplo era sfavorevole. Gli Ittiti lo chiamarono KASKAL-is ovvero Ka.gir, i Greci Keleytos86. Nel modello etrusco di Piacenza si trova allinterno della casella di Letham nel punto esatto in cui sul bordo esterno del fegato le caselle di Letham e di Tluscv sincontrano87. Questo, come poi vedremo, anche il punto che separa le due sequenze di scrittura usate dal costruttore delloggetto (ff. 30; 31; 33); qui, come pure vedremo, si trova il Nord del fegato etrusco.

    10. ALTRE SEZIONI DEL FEGATO BABILONESE.

    La Cavit del Windcleft (Ruqqi Pitir Sarim) o Parola Piacente (Pu Tabu). E un solco orizzontale posto fra il sentiero e la fessura om-belicale. Simboleggia un responso piacevole.

    La Forza ( Dananum) o il Segreto (Puzrum). E il solco che sta al di qua del lato sinistro della fessura ombelicale.

    86 E. Laroche, Revue dAssiriologie et dArchelogie orientale, 64,

    1970. p. 133; U. Koch-Westenholz, op. cit. , p. 58, n. 171; Esichio, op. cit. , s.v. Acheleytha 87La posizione delle sottosezioni del Sentiero la seguente. La testa alla destra, e la base alla sinistra vicinissima alla fessura ombelicale; il lato destro del Sentiero costeggia la base della Presenza. Le sotto-sezioni erano: La Cavit del Crogiolo (abomasal impression) ed il Re-stringimento/Quartiere (il rilievo sotto il Sentiero, formato dalla absomal impression, simboleggiante il quartiere delle armi).

  • 52

    La Porta del Palazzo (Bab Ekallim) o Porta della Citt (Abullum). E la fessura ombelicale, simbolo del palazzo, del suo personale, delle sue rendite e della porta della citt. Si conoscono due sotto-sezioni: il destro e sinistro Stipite della Porta, cio le aree che sono a destra e a sinistra della fessura ombelicale. La Perdita dun Ser-vitore un termine speciale per lo Stipite destro.

    Il Benessere (Sulmum), detto pure il Sentiero a destra della Cisti-fellea (Padan Imitti Martim). Si tratta di un solco verticale che sta alla destra della cistifellea. E simbolo di sicurezza e prosperit so-prattutto per la campagna. Era dedicato ad Adad (dio del Tuono e della Tempesta), e collegato al mese di mese Ululu (agosto-settembre) ed alla costellazione del Corvo (vd. n. 15).

    Il Sentiero alla Sinistra della Cistifellea (Padan Sumel Martim) o La Sconfitta dellEsercito del Nemico (Mihis Pan Umman Nakrim). Cor-risponde al solco verticale che sullala sinistra del fegato, e alla si-nistra della cistifellea. Simboleggia forse la campagna del nemico.

    La Base del Trono (Nidi Kussem). E un solco che si trova nellimpressione renale, e simbolizza forse la vita privata del re.

    ***

    Seneca, nella tragedia Edipo88, nomina il Limes Oblicus dun fegato di toro sacrificato. Dovrebbe trattarsi di quello che oggi si chiama Solco Trasverso. In questo solco, che corrisponde allilo del fegato, si trovano larteria epatica, la vena porta e i dotti epatici, oltre ai vasi linfatici e ai nervi, che costituiscono il peduncolo epatico.

    ***

    Le fonti babilonesi e romane parlano poi di Fessum (Fes-sura/incisione) e di Fessa (Fessure/incisioni). Non sap-piamo se con questi termini intendessero una particolare fessura con le sue parti di destra e di sinistra, oppure le fessure in generale.

    88 Seneca, Edipo, vv. 345, ss.

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    Fig. 11- Fegato siriano. Proveniente da Mari (Tell-Hariri). Fonte: Maggie Rutten, 1938.

    Traduzione delle iscrizioni Faccia 1: Se il nemico si impadronisce del fossato (ap-paiono questi segni sul fegato). Faccia 2: Se una celebre citt declina in abitanti ed edifici (appaiono questi segni sul fegato)

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    Capitolo secondo

    A R U S P I C I N A E T R U S C A

    LORIENTAMNETO PRESSO GLI ANTICHI

    1. LE ROSE DEI VNTI. Oggi le nostre bussole sono formate da una scatola contenete un ago dacciaio che di giorno e di notte si volge verso il nord magnetico. Conseguentemente, anche la rosa dei vnti e le carte geografiche sono orienta-te in tal senso. Ma in antico non era cos. La cosiddetta bussola pelasgi-ca, o pinax, era una rosa dei vnti girevole su cui erano di-segnati i rombi dei vnti principali; si orientava a mano se-condo il punto dove il sole nasceva, e serviva da guida nel-la navigazione. Lodierno verbo orientarsi deve il suo uso alloriginaria significazione di prendere loriente come punto di riferimento. Il primo che colleg i vnti ai quattro punti cardinali fu Omero89. Ovidio poi cant che, quando il creatore ordin il caos e fece il mondo,

    Euro si ritir verso laurora e le giogaie che ricevono dallalto i raggi del mattino; e Zefiro si pose ad occidente, Borea a settentrione, ed Austro a meridione90.

    Dopo lepoca omerica entrarono in uso rose sia ad otto che a dodici vnti. Se noi sovrapponiamo la rosa ad otto vnti a quella a do-dici, ricaviamo sedici punti cardinali da dove provenivano i relativi vnti. Non abbiamo, tuttavia, nessuna testimonian-

    89 Omero, Odissea, V, 595.

    90 Ovidio, Metamorfosi, I, 61-66; Virgilio, Eneide, I, 85-86; 102; 131

  • 55

    za che gli antichi avessero realizzato bussole e rose a sedici punte. Questi strumenti appariranno con sicurezza soltanto agli ini-zi del medioevo. Gli Etru-schi, per, avevano gi di-viso il cielo in sedici zone delle quale lorientale era la prima ed era posta in alto, come in tutte le antiche ro-se dei vnti e carte nauti-che. Loriente era in alto perch da l nasceva il so-le. Porfirio spiegava:

    La sede del dio Mitra quella degli equinozi. Egli ha in mano il pugnale di Ariete (21 marzo - 21 aprile) e ca-valca il Toro di Afrodite (21 aprile 21 maggio). Sic-come Mitra, come il Toro, creatore e padrone di tut-to, posto al centro del cerchio equinoziale: ha alla sua destra le regioni settentrionali, e alla sinistra quel-le meridionali. A sud, poi, e collocato Cauto (il sole nascente; cfr. etr. Cavtha, Catha = il Sole, vd. p. 100 e ff. 28 e 34) perch caldo, ed a nord Cauto-pato (il sole che tramonta) perch il vento del nord freddo91.

    Cera anche per chi per orientarsi si metteva con le spal-le al nord perch sullasse nord sud che gira il moto est ovest del sole92. Il levante restava comunque posizionato in alto in tutte le rose dei vnti e carte nautiche. Ancora nel medioevo e dopo la scoperta dellAmerica alcune mappe del mondo furono posizionate con loriente in alto (ff. 12; 13).

    91 Porfirio (234 d.C. - ?), Lantro delle Ninfe, 24.

    92 Cicerone, Divinazione, I, 31; Livio, Storie, I, 18; Plinio, Storia Naturale, 18, 76.

  • 56

    2. IL TEMPLUM ETRUSCO. Frontino (3-103 d.C.), rifacendosi a Varrone (116-27 a.C.) disse:

    La prima formulazione dellarte della delimitazione, come Varrone trascrisse dalla disciplina etrusca93: siccome gli aruspici divisero il mondo in due par-ti chiamarono destra quella che stava sotto set-tentrione, sinistra quella che era sotto la parte meridionale della terra, andando da oriente a occidente poich di l che il sole e la luna guardano. Alcuni architetti scrissero che i templi verso occidente sono ben indirizzati. Gli aruspici con unaltra linea divisero la terra dal settentrione al mezzogiorno, e a partire dal mezzogiorno chiamarono ntica

    93 In altra occasione, Varrone (De lingua latina, VII, 7) scrisse: Le parti di

    questa specie di templum sono quattro e si chiamano: sinistra dallest, destra dallovest, anteriore fino al sud, e posteriore fino al nord. Sulla terra, si chiama templum il luogo delimitato con determinate formule al fine di trarvi i presagi o prendervi gli auspici (Eius templi partes quattuor dicuntur, sinistra ab oriente, dextra ab occasu, antica ad meridiem, ostica ad septen-trionem. In terris dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibu-sdam conceptis verbis finitus).

  • 57

    (anteriore) la parte di l, e pstica (posteriore) quella di qua. Da questo fondamento i nostri padri stabilirono il modo di misurare i campi. Portarono prima due linee: una da oriente a occidente, che chiamarono decumano, unaltra dal meridione al settentrione, che chiamarono cardine. Il Decumano inoltre divideva il campo in destra e sinistra94.

    Igino (II sec. d.C.) ripet quasi con le stesse parole:

    I limiti non furono costituiti senza cognizione del mon-do, poich i decumani seguono il corso del sole, e i cardines lasse del polo. Infatti, dapprima questo modo di misurazione risale alla disciplina degli aruspici etru-schi [vel auctorum habet, quorum artificium]; siccome costoro divisero lorbita della terra in due parti se-condo il corso del sole, e chiamarono destra quella che si trovava a settentrione, e sinistra quella che era nella parte meridionale della terra, andando da oriente ad occidente perch di l che il sole e la luna guardano; costoro poi con-dussero unaltra linea da mezzogiorno a setten-trione. Onde questa istituzione viene applicata alle so-glie dei templi. Sulla base di questo modello gli antichi

    94 Frontino, De Limitibus, in Gromatici Veteres, ed. C. Lacmann, 1848, p.

    28: Limitum prima origo, sicut Varro descripsit, a displiplin estrusca; quod aruspices orbem terrarum in duas partes diviserunt: dextram ap-pellaverunt septentrioni subiacere, sinistram quae a meridia-na terra esse, occasum quod eo Sol et Luna spectaret, sicut quidam architecti delubra in occidente recte specta-re scripserunt. Aruspices altera[m] lineam a septentrione admeridianum diviserunt terram, a meridiano ultra antica, citra postica nominave-runt. Ad hoc fundamento mariores nostri in agrorum mensura videntur constituisse rationem. Primum duo limites duxerunt; unum ab oriente in occasum, quem vocaverunt decimanum, alterum a meridiano ad septen-trionem, quem cardinem appellaverunt. Decimanum autem dividebat a-grum dextra et sinistra, cardo citra et ultra.

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    inclusero la misurazione dei terreni con adeguate longi-tudini. Dapprima stabilirono due linee: una che andava da oriente a occidente, e la chiamarono decumano, unaltra da mezzogiorno a settentrione che chiama-rono cardo dal cardine del mondo95.

    Da queste testimonianze si ricava che laruspice etrusco per dividere lorbita terrestre si poneva al centro dellorizzonte visibile dal suo punto di osservazione, ed a-veva loriente alle sue spalle, loccidente davanti a s, il meridione a sinistra, e il settentrione a destra. E questa daltronde la posizione assunta da Tagete, il mitico fonda-tore della disciplina etrusca, durante la lezione daruspicina raffigurata sullo Specchio di Tuscania (f. 18). Laugure ro-mano si poneva invece con le spalle a nord; per, simil-mente allaugure etrusco, divideva con il lituo il cielo da o-riente a occidente, e dichiarava sinistra (cio fausta) la parte che andava da oriente a occidente, e destra (infausta) quel-la che andava da occidente ad oriente96.

    95 Igino, Constitutio Limitum, in Gromatici Veteres, ed. C. Lacmann, 1848,

    pp. 166-167: Constituti enim limites non sine mundi ratione, quoniam de-cumani solis decursum diriguntur, Kardines a poli axe.Unde primum haec ratio mensurae constituta ab Etruscorum haruspicum [vel auctorum habet, quorum artificium] disciplina; quod illi orbem terrarum in duas partes secun-dum solis cursum diviserunt, dextram appellaverunt quau septentrioni su-biacebat, sinistram quae ad meridianum terrae esset, oc-casum, quod eo sol et luna spectaret; alteram lineam duxerunt a meridiano in septentrionem. Ex quo haec constitutio liminibus templorum adscribitur. Ad hoc exemplo antiqui mensuras agrorum normalibus lonlitudinibus incluserunt primum duos limites constituerunt : unum, qui ab oriente in occidentem dirigeret. Hunc appellaverunt duodecimanum ideo, quod terram in duas partes dividat et ab eo omnis ager nominetur. Alterum a meridiano ad septentrionem, quem cardinem nominaverunt a mundi Kardine. 96

    Secondo Dionigi di Alicarnasso (Antichit romane, II, 4-5), i Romani, per averlo appreso dagli Etruschi, prendevano gli auspici con il viso ri-volto ad Est. Secondo Plinio, poi, era sbagliato rivolgere il viso ad est perch ogni giorno il sole nasce da un punto diverso; corretto era per lui porsi con le spalle a nord e con il viso a sud, s che in ordine de-scrittivo il primo settore del cielo era per lui quello del nord. Secondo lo

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    Vegezio (III-IV sec.) poi, dando notizie sui vnti, scrisse:

    Cominciamo dal solstizio di primavera, cio dal pun-to cardinale est, dal quale nasce il vento Subsolano (il vento dellest); a destra esso ha vicino il Coro ( il vento di nord est), a sinistra il Volturno (il vento di sud est).

    Anche per lui, dunque, la parte destra del cielo era quella a destra del sorgere del sole (est > nord > ovest), e sinistra era quella a sinistra (est > sud > ovest). Plinio conferma:

    I moti di tutte le stelle erranti, tra i quali quelli del sole e della luna, vanno in senso contrario a quello della volta, e cio verso sinistra [...], solleva-te e scagliate verso il tramonto della sfera (II, 32-33) [...]. Tutti i vnti spirano secondo il proprio turno; nella maggior parte dei casi, quello che cade d ini-zio al suo opposto; quando uno viene a cadere gli subentra il pi vicino; girano da sinistra a destra come fa il sole (II, 48) [...]. I fulmini da sinistra so-no considerati favorevoli perch lalba avviene sul lato sinistro del cielo; e non si considera tanto larrivo quanto il ritorno, sia che dal rimbalzo scaturisca

    stesso Plinio, comunque, la parte sinistra (favorevole) e la destra (sfavorevole) restavano rispettivamente quella che partiva dallest, e quella che partiva dallovest (Plinio, Storia naturale, XVIII, 76-77; II, 52-60). Anche Tito Livio (Storia di Roma, I, 18) ci narra che laugure di Numa Pompilio si pose con il volto rivolto a mezzogiorno, e con il li-tuo che aveva in mano tracci in aria lo spazio da oriente ad occiden-te, e proclam fauste le parti verso mezzogiorno, ed infauste quelle verso settentrione. Il fatto che laugure, in pratica, poteva posizio-narsi come voleva purch i suoi punti di riferimento interpretativi re-stassero invariati.

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    il fuoco, sia che il soffio daria torni indietro, compiuta lopera e consumato il fuoco (II, 55)97.

    Sia il sole che la luna, dunque, come noi stessi possiamo oggettivamente constatare, girano dalla sinistra del punto in cui sono nati (est), passano per la parte sinistra del cielo (est > sud > ovest), e tramontano (ovest). E questo il motivo per cui, negli auspici, gli Etruschi giudicavano favorevole la parte sinistra del cielo.

    Per questo tipo di ispezione, - spiega Plinio, - gli Etruschi hanno diviso il cielo in sedici parti. La prima va dal settentrione allalba equinoziale, la se-conda fino al mezzogiorno, la terza fino al tramonto equinoziale, la quarta occupa lo spazio restante fra il tramonto e il settentrione. Essi hanno poi nuo-vamente diviso queste in quattro parti, e fra di esse hanno chiamato sinistre le otto che si con-tano a partire da levante, destre le altre otto con-trapposte.

    E chiaro che se il sole gira a partire dalla sinistra del punto in cui nato (est), esso passa per il meridione (sud) e tramonta a ponente (ovest); le otto zone sinistre che si contano a partire dal levante, menzionate da Plinio, sono dunque le otto zone che vanno dallest allovest pas-sando per il sud, mentre le altre otto destre contrappo-

    97 Plinio, Storia Naturale, II, 55 : Omnium autem errantium siderum mea-

    tus, interque ea solis et lunae, contrarium mundo agere cursum, id est laevum [...], attollantur ab eo rapiantur in occasum (II, 32-33) [...]. Ommes ventes vicibus suis spirant, maiore ex parte autem ut contrarius desinenti incipiat. Cum proximi cadentibus surgunt, a laevo latere in dextrum ut sol ambiunt (II, 48) [...]. Laeva prospresa existimantur, quoniam laeva parte mundi ortus est. Nec tam adventus spectatur quam reditus, sive ab ictu resilit ignis sive opere confecto aut igne consumato spiritus remeat.

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    ste sono quelle che vanno dallovest allest passando per il nord. Questa divisione la stessa che noi abbiamo gi visto riferita da fonti etrusche in Varrone, Frontino ed Igino: andando da oriente a occidente gli aruspici etruschi divisero il mondo in due parti, e chiamarono destra quella che stava sotto settentrione, sinistra quella che era sotto la parte meridionale della terra (vd. pp. 56-58).

    Fra di esse sono particolarmente di malaugurio, conti-nua Plinio, quelle che fiancheggiano il settentrione da ovest. Perci decisivo sapere da dove sono venuti e dove sono andati a finire i fulmini. Il caso migliore quando ritornano verso le parti orientali. Quindi se sono venuti dalla prima parte del cielo (cio la prima delle otto sinistre che si contano a partire da levan-te), e alla stessa ritornano, ne risulter la profezia duna fortuna grandissima []. Gli altri fulmini sono, a seconda della porzione di cielo cui appartengono, o meno fausti, o di malaugurio98.

    Pi sinteticamente Cicerone disse: Gli Etruschi divisero il cielo in sedici parti99.

    98 Plinio, Storia Naturale, II, 55: In sedecim partes caelum in eo spectu

    divisere Tusci. Prima est a septentrionibus ad aequinoctialem exortum, seconda ad meridiem, tertia ad aequinoctialem occasum, quarta obtinet quod est reliquum ab occcasu ad septentriones. Has iterum in quaternas divisere partes, ex quibus octo ab exortu sinistras, totidiem e contrario appellavere dextras. Ex iis maxime dirae quae septentriones ab occasu attingunt. Itaque plurimum refert unde venerint fulmina et quo concesserint. Optimun est in exortivas redire partes. Ideo cum a prima caeli parte venerint et in tandem concesserint, summa felicitas portende-tur []. Cetera ad ipsius mundi portionem minus prospera aut dira. 99

    Cicerone, De Divinatione, II, 42. Le fonti riferite concernono, per loro espli-cita dichiarazione, la disciplina etrusca. Altre fonti fanno invece riferimento alle usanze degli uguri greci e romani. Per i Greci la parte favorevole del cielo era la destra. Per i Romani pure; ma a volte, per influsso etrusco, era la sini-stra. Ne nacque una grande confusione. Cicerone infatti si chiedeva perples-so perch mai gli uccelli potessero fornire un auspicio valido sia dalla parte si-

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    Le testimonianze lettera-rie che sulla pratica aru-spicina abbiamo riferito trovano conferma in vari documenti archeologici. I fuochi del candelabro bronzeo di Cortona hanno sedici punte, pari a quelle delle zone del cielo che simboleggiano (f.14). A Tarquinia, lungo il co-

    lumen della tomba delle Bighe e di altre, si vedono rosoni con sedici raggi che, posti, come sono, al centro del tetto, evidentemente ripetono le regioni del cielo (f.15). Peraltro, tutte le tombe che hanno questi rosoni sono orientate ad est od a ovest. Ma i reperti pi eclatanti sono sono il dise-gno graffito sul retro dello speccchio di Tagete (f. 18) tro-

    vato a Tuscania, e le 16 caselle del cielo incise sul bordo dun fegato bronzeo rinvenuto a Piacenza (ff. 29-31; 34). Esaminiamoli.

    T A G E T E E I L P A N T H E O N E T R U S C O

    1. TAGETE E TARCONTE. Noi sappiamo, da autori latini, che i libri dove gli Etruschi scrivevano di volta in volta la loro storia si chiamavano Tusciae Historiae. Sappiano pure che i testi che contenevano le norme della loro religione erano

    nistra che dalla destra, ed osservava: Per noi i segni da sinistra sembrano pi propizi, per i Greci ed i barbari quelli di destra; e non ignoro che talvolta noi chiamiamo sinistri i presagi favorevoli anche se provengono da destra( Cice-rone, op, cit., II, 80-82.).

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    raccolti un una serie di volumi che noi oggi chiamiamo Libri Tagetici. Purtroppo, non possediamo pi n gli uni n gli altri, almeno nella versioni originarie; c' per un mito che gli scrittori romani e greci che lo hanno tramandato attri-buivano ai Libri Tagetici100. Si tratta della nascita di Tagete, detto Pavatarchies in lingua etrusca. Vediamo. Nei primi decenni del VI sec. d.C., lo scrittore bizantino Giovanni Lido (490 - ?) pot ancora leggere una versione latina dei Libri Tagetici contenente brani in autentica lingua etrusca. Egli, nel De ostentis 101, scrisse:

    Quanto poi a noi, quelli dItalia dico, poich fu Ta-gete il creatore del sistema, conviene usare le sue parole, preferibilmente secondo il loro stesso signifi-cato: quei nomi, infatti, usati insieme ai pi antichi sono poco comprensibili e non troppo evidenti. Use-remo poi anche gli altri, Tarconte laruspice, Tar-quito il [.?.] e Capitone il sommo sacerdote, cos da tessere una certa continuit dellopera dalle pa-role di tutti loro. Bisogna dunque per prima cosa e-sporre chi era