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1 22 febbraio 2009 – area di bio-etica A. LA DIAGNOSI E LA VERITÀ AL PAZIENTE Dr.essa sr Riccarda Lazzari 1. la Verità al paziente nell’etica sanitaria La comunicazione della diagnosi di cancro, ed anche di altre malattie non guaribili o progressivamente invalidanti, rappresentano per il malato il primo impatto difficile da affrontare e indubbiamente il più inquietante e doloroso. Da quel momento per il paziente tutto cambia, nulla è più come prima; il suo mondo interiore ed esteriore sarà d’ora in poi condizionato da quella sentenza. Anche nei percorsi più favorevoli della malattia, quella diagnosi sarà costantemente presente nel pensiero della persona come una spada di Damocle sempre in agguato, come un nemico che può ancora colpire e minacciare l’esistenza. Nell’ambito dell’etica-medica la verità al paziente è un problema largamente dibattuto e rappresenta una sfida costante per gli operatori sanitari che lavorano nell’ambito di reparti classificati come area critica: oncologia, terapia intensiva, ecc. La questione di fondo del problema è la seguente: è un dovere dire la verità al paziente, in genere, e particolarmente al paziente oncologico? Se la risposta è affermativa, avanzano altre domande: in quali termini deve essere detta; ovvero quali sono i criteri umani, etici e professionali che guidano questo atto, tra i più difficili e inquietanti, per gli operatori sanitari? I criteri etici che guidano il medico in questo ambito sono i seguenti: Dire la verità al paziente è: un atto morale obiettivamente positivo un diritto fondamentale del paziente stesso un dovere dell’operatore sanitario 1 . L’atto morale è radicato nella dignità stessa della persona. “ La salute del malato, intesa nella sua accezione più vasta e globale, non appartiene, infatti, ai sanitari, né ai 1 Cfr. Pontificio Consiglio “Cor Unum” Questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti, EDB, 27 giugno 1981, nn. 6.1.1.

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22 febbraio 2009 – area di bio-etica

A. LA DIAGNOSI E LA VERITÀ AL PAZIENTE

Dr.essa sr Riccarda Lazzari

1. la Verità al paziente nell’etica sanitaria

La comunicazione della diagnosi di cancro, ed anche di altre malattie non guaribili o

progressivamente invalidanti, rappresentano per il malato il primo impatto difficile da

affrontare e indubbiamente il più inquietante e doloroso. Da quel momento per il

paziente tutto cambia, nulla è più come prima; il suo mondo interiore ed esteriore sarà

d’ora in poi condizionato da quella sentenza. Anche nei percorsi più favorevoli della

malattia, quella diagnosi sarà costantemente presente nel pensiero della persona come

una spada di Damocle sempre in agguato, come un nemico che può ancora colpire e

minacciare l’esistenza.

Nell’ambito dell’etica-medica la verità al paziente è un problema largamente

dibattuto e rappresenta una sfida costante per gli operatori sanitari che lavorano

nell’ambito di reparti classificati come area critica: oncologia, terapia intensiva, ecc.

La questione di fondo del problema è la seguente: è un dovere dire la verità al paziente,

in genere, e particolarmente al paziente oncologico? Se la risposta è affermativa,

avanzano altre domande: in quali termini deve essere detta; ovvero quali sono i criteri

umani, etici e professionali che guidano questo atto, tra i più difficili e inquietanti, per

gli operatori sanitari?

I criteri etici che guidano il medico in questo ambito sono i seguenti:

Dire la verità al paziente è:

• un atto morale obiettivamente positivo

• un diritto fondamentale del paziente stesso

• un dovere dell’operatore sanitario1.

L’atto morale è radicato nella dignità stessa della persona. “ La salute del malato, intesa

nella sua accezione più vasta e globale, non appartiene, infatti, ai sanitari, né ai 1 Cfr. Pontificio Consiglio “Cor Unum” Questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti, EDB, 27 giugno 1981, nn. 6.1.1.

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familiari, né alla società, e impossessarsi della verità sulla salute del malato, significa

espropriarlo del suo diritto di poter decidere sulla sua vita, defraudarlo di ciò che è

intimamente suo, impedirgli di vivere con libertà e responsabilità l’esperienza della

sua malattia e forse del morire” 2 .

Il diritto del malato a sapere la verità e il dovere del medico di comunicare tale verità,

si fondano, pertanto, sul principio morale di libertà-responsabilità. Pio XII afferma in

proposito: “La menzogna, secondo la legge morale, non è a nessuno permessa; vi sono

tuttavia dei casi in cui il medico, anche se interrogato, non può, pur non dicendo cosa

positivamente falsa, manifestare crudamente tutta la verità, specialmente quando

saprebbe che il malato non avrebbe la forza di sopportarla. Ma vi sono dei casi nei

quali egli ha senza dubbio il dovere di parlare chiaramente; dovere dinnanzi al quale

ha da cadere ogni altra considerazione medica o umanitaria. Non è lecito cullare

l’infermo o i parenti, in una sicurezza illusoria con pericolo di compromettere così la

salute eterna di lui o l’adempimento di obblighi di giustizia o di carità. Sarebbe in

errore chi volesse giustificare o scusare una tale condotta, col pretesto che il medico si

esprime sempre nel modo da lui stimato sempre opportuno nell’interesse personale del

malato, e che è colpa degli altri se prendono troppo alla lettera le sue parole”3.

Il codice di deontologia medica promulgato il 17 marzo 1995 sviluppa ulteriormente il

pensiero del pontefice: “Il medico ha il dovere di dare al paziente, tenendo conto del

suo livello di cultura e delle sue capacità di discernimento, la più serena informazione

sulla diagnosi, la prognosi, le prospettive terapeutiche e le conseguenze, nella

conoscenza dei limiti delle scienze mediche, nel rispetto dei diritti della persona e al

fine di promuovere la migliore adesione alle proposte terapeutiche. Ogni quesito

specifico posto dal paziente, deve essere accolto e soddisfatto con chiarezza. Il medico

potrà valutare, segnatamente in rapporto con la reattività del paziente, l’opportunità di

non rivelare al malato o di attenuare una prognosi grave o infausta, nel qual caso

questa dovrà essere comunicata ai congiunti. In ogni caso la volontà del paziente,

liberamente espressa, deve rappresentare per il medico, elemento al quale ispirare il

proprio comportamento” 4.

2 Faggioni M., Verità al malato, in Cinà G. e altri (a cura di), op. cit., p.1353. 3 Pio XII., Allocuzione all’unione italiana medico biologica S. Luca 12-11-1944, cit. in Ibidem. 4 Il Nuovo Codice di Deontologia Medica, leggi commentate, Giuffrè editore, MI 1991, art.39, pp.161-162.

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Alla luce di questi insegnamenti è necessario evitare quel sistema falsificatorio messo in

atto da medici, infermieri e familiari per impedire che le tristi notizie turbino il paziente

oncologico o terminale.

1.1. La congiura del silenzio

Fino a poco tempo fa era opinione universalmente diffusa che un paziente grave, avesse

maggiori probabilità di guarire o di sopportare una malattia, se non fosse al corrente

della sua situazione clinica e che in ogni caso, la comunicazione di una prognosi

infausta, dovrebbe esser ritardata il più possibile. Oggi si nota un’inversione di

tendenza, favorita e stimolata dalle numerose carte dei diritti del malato e dai codici

deontologici. Tutto questo è positivo ma insufficiente. E’ necessario comprendere che

la congiura del silenzio isola il paziente da una personale e attiva collaborazione al

processo terapeutico. L’esperienza insegna che il malato si accorge ben presto che i

medici parlano sottovoce, i familiari provano disagio a rispondere alle sue domande, e

le risposte di tutti sono generiche o evasive; tutto ciò genera in lui una profonda

insicurezza. Con il tempo, il paziente arriva da sè a comprendere la propria situazione,

che, tuttavia, è portato a negarla per rimuovere dall’ orizzonte, il pensiero della

malattia inguaribile e della morte stessa. In tal caso, il suo isolamento è fonte di

maggiore sofferenza, egli è così condannato a dover affrontare da solo la sua verità,

mentre tutti, attorno a lui, continuano a negare e a recitare una triste commedia. E così

alla solitudine e all’amarezza, si aggiunge anche l’esperienza di sentirsi tradito dagli

operatori sanitari e dai famigliari, ai quali non può più credere fino in fondo.

In realtà la verità, comunicata in modo corretto e opportuno, non solo toglie dalla

solitudine il paziente, ma offre a lui la possibilità di collaborare più attivamente alle

cure e superare con più determinazione le difficoltà. Egli può parlare, sfogarsi e

piangere, egli sopratutto può condividere l’angoscia e insieme agli altri cominciare a

sperare.

Per questo è importante conoscere quegli aspetti di natura relazionale, empatica e

psicologica che guidano medici, infermieri e familiari nel difficile compito di

comunicare la verità e quella verità che il paziente è in grado di sostenere.

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1.2 Una verità umana

Dire la verità non significa esprimere una affermazione medico- scientifica in modo

lapidario, ma implica il senso di umanità, la comprensione della psicologia del malato e

l’intuizione delle capacità effettive del paziente di sostenere la conoscenza della propria

patologia. La comunicazione della verità non è un diritto astratto e avulso dal bene

globale della persona, anzi esso è finalizzato alla persona, per cui nessuno ha il dovere

né il diritto di dire una verità che provochi al paziente più danni che benefici.

E’ necessario perciò personalizzare la verità da comunicare. La personalizzazione

implica un accompagnamento fatto di dialogo, di presenza, di fiducia. Una diagnosi

grave o infausta di natura cancerosa deve essere comunicata all’interno di un rapporto

interpersonale, nel rispetto delle capacità di accoglienza del malato, tenendo conto della

struttura psichica, delle sue capacità culturali e della sua specifica reattività alla

malattia. Non ci sono ricette preconfezionate a questo riguardo.

1.2.1. Una verità graduale

La comunicazione della verità è un processo che deve tener conto dei ritmi della

persona e dei tempi necessari. Afferma in proposito la carta degli operatori sanitari:

“si tratta di stabilire con il malato quel rapporto di fiducia, accoglienza e dialogo che

sa trovare i momenti e le parole. C’è un dire che sa discernere e rispettare i tempi

dell’ammalato, accordandosi ad essi. C’è un parlare che sa accogliere le sue domande

ed anche suscitarle per indirizzarle gradualmente alla conoscenza del suo stato di vita.

Chi cerca di essere presente all’ammalato e sensibile alla sua sorte, sa trovare le

parole e le risposte giuste che consentono di comunicare nella verità e nella carità:

‘facendo la verità nella carità’ (Ef 4,15)” 5.

In questo rapporto tessuto di delicatezza, di spirito di servizio, è il malato che detta i

tempi e i modi; infatti è la singolarità delle persone e delle situazioni che dovrà ispirare i

tempi e le concrete modalità della comunicazione.

1.2.2 Una verità aperta alla speranza

Pur nella consapevolezza della verità, il malato ha sempre bisogno di sperare; la morte,

fine a se stessa, è contro la natura stessa dell’uomo creato per l’immortalità. Il bisogno

5 Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari., Carta degli operatori sanitari,

Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano 1995, n. 126.

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d’infinito e di eterno, sono costitutivi della stessa natura ontologica dell’uomo, per cui

la morte è sempre realtà terribile e triste. E’ necessario perciò lasciare sempre aperta la

porta alla speranza. Essa è la grande risorsa che permette all’uomo di affrontare con

dignità le sfide, le difficoltà della vita, della malattia e della stessa morte.

1.2.2.1 La speranza ha due aspetti:

- Speranza umana: immanente; la medicina ha oggi grandi risorse in campo oncologico

e la ricerca è sempre in atto per sempre nuove scoperte. Inoltre la medicina non è una

scienza esatta, essa richiede un atteggiamento costante di umiltà perché ciò che oggi

sembra certo, domani può essere dimostrato falso. È frequente, negli ambienti sanitari,

il contrasto tra la prognosi scientifica e quella reale; pazienti terminali, il cui quadro

clinico depone per una prognosi mortale a breve termine, sopravvivono talvolta ben

oltre le previsioni cliniche.

- Speranza teologale: la fede è una grande risorsa per affrontare una patologia che evoca

la morte. È Dio che governa l’esistenza di ogni uomo e conosce il numero dei nostri

giorni: “Tutti i miei giorni videro i tuoi occhi; nel tuo libro erano scritti tutti quanti:

vennero fissati i giorni quando neppure uno di essi esisteva ancora”6.

Questa speranza è ciò che fa dire al malato: “sono nelle mani di Dio; Lui sa che cosa è

meglio per me, Egli, se vuole, può tutto”. È una speranza che dà pace al cuore, toglie

l’ansia e l’incubo della morte e nello stesso tempo, dona alla stessa, il suo vero

significato: la morte infatti non è realtà ultima, ma è la porta che conduce alla pienezza

della vita.

6 Sal 139,16.

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22 febbraio 2009 are di bio-etica

B - IL CONSENSO INFORMATO

1. Il diritto - dovere del Consenso informato

Dal diritto del malato a conoscere la verità deriva, come logica conseguenza, il

“Consenso” del paziente. Questo infatti si fonda sul principio di libertà-responsabilità

del malato stesso 7. L’obbligo di richiedere il consenso del paziente alle cure, ha un

preciso fondamento giuridico: l’art 13 della Costituzione italiana al primo comma

stabilisce che: “ la libertà personale è inviolabile” il che vuol dire che ogni individuo,

capace di intendere e di volere, deve liberamente decidere su tutto ciò che è affidato alla

sua responsabilità e in primis sulla propria vita. Ed ancora nell’articolo 32 si afferma:

“nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per

disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal

rispetto della persona umana”8. Il consenso può essere esplicito: quando è

manifestazione esteriore del paziente a voce o per scritto; implicito quando può essere

dedotto con chiarezza da un atteggiamento libero che lo include inevitabilmente. Può

essere presunto “nel caso in cui incomba una imminente situazione di pericolo per la

salute del paziente, ma questi è talmente grave che non può esprimere la propria

decisione al medico, in tal caso si può intervenire facendo appello all’art. 54 del codice

penale che prevede il cosiddetto stato di necessità per cui ‘non è punibile chi ha

commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal

pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente

causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo’ ”9. Il

riconoscimento del diritto morale del paziente a scelte libere e responsabili, ha

consentito il superamento dell’atteggiamento paternalistico ed utilitaristico del medico

per arrivare ad una alleanza terapeutica. Il Magistero afferma: “Non si può fare del

malato l’oggetto di decisioni che non è lui a prendere o, se non è in grado di farlo, che

non potrebbe approvare. La “persona”, principale responsabile della propria vita, deve

7 Cfr. Di Pietro M.L. Spagnolo A., Verità, comunicazione della, in Zucchi Pierluigi (a cura di), Compendio di semantica del dolore, Istituto per lo studio e la terapia del dolore, Firenze 1992, p.70 8 Di Pietro M.L. Spagnolo A., Consenso, in Zucchi Pierluigi (a cura di ), op. cit., pp. 11-12. 9 Ibidem p.12

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essere il centro di qualsiasi intervento di assistenza: gli altri sono presenti per aiutarla,

ma non per sostituirsi ad essa” 10.

Attraverso il Consenso informato, il paziente partecipa responsabilmente al suo

percorso diagnostico e terapeutico ; egli assume così il ruolo di protagonista, ovvero di

soggetto attivo e non passivo. E’ per questo che occorre dire basta al modo, spesso

burocratico, con cui si chiede al paziente il Consenso informato, illudendosi che una

firma in calce a un foglio garantisca il paziente da possibili abusi e il medico da

possibili imputazioni. In questa forma il consenso informato sembra rispondere a una

logica di medicina difensiva più che a un diritto del malato e della sua famiglia. Il

sapere su di sé e sulle proprie condizioni di salute, sia in chiave diagnostica che

prognostica, aiuta il malato a prendere le giuste decisioni sul piano di cura e a

collaborare alle medesime11.

Tuttavia è necessario comprendere che la libertà di auto-determinarsi richiede anzitutto

la responsabilità di difendere la vita che è il presupposto essenziale perché tale libertà

venga esercitata12. Di conseguenza, il paziente, in nome della libertà di scelta non ha

diritto di disporre il rifiuto di cure essenziali e vitali. Anche gli operatori sanitari di ogni

livello, in virtù dello stesso principio, hanno il diritto e il dovere di respingere pretese o

volontà dei pazienti che attentano alla vita13.

1.2 L’aspetto psicologico del Consenso informato

Tuttavia agli aspetti positivi del consenso informato, si accompagnano anche aspetti che

mettono a dura prova l’impegno psicologico del paziente e la sua capacità di auto-

determinarsi. La decisione di sottoporsi ad esami strumentali invasivi con un certo

margine di rischio, non è facile; ma più impegnativo è accettare, o meno, un intervento

chirurgico non esente da rischi e con prospettive incerte per la malattia. Ancora più

difficile è decidere se accettare o no la proposta di chemioterapia quando l’evoluzione

metastatica è in evidente avanzamento e il buon risultato previsto è relativo ad una bassa

percentuale di probabilità. Tutto questo impegna moltissimo il paziente sotto l’aspetto

emotivo ed accresce l’ansia e lo stress.

10 Pontificio Consiglio, “Cor Unum”, Alcune questioni etiche relative,ai malati gravi e ai morenti, 27 luglio 1981, EDB, Bologna 1985, n. 2.1.2. 11 Binetti P., La vita è uguale per tutti. La legge italiana e la dignità della persona, Mondadori, Milano 2009, p. 85. 12 Cfr. Sgreccia., Manuale di Bio-etica, Vo. 1°. op. cit., pp. 163-164. 13 Cfr. Di Pietro M.L. Spagnolo A., Consenso, in Zucchi Pierluigi (a cura di), op. cit., p.11.

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E’ importante che nella decisione, il paziente sia accompagnato da una chiara, serena, e

paziente spiegazione del medico e dei vari operatori sanitari; essi devono trovar tempo

per rispondere alle legittime domande del paziente, alle sue paure ed insicurezze; il

malato, infatti, ha bisogno non solo di sapere, ma soprattutto di avere fiducia in coloro

che si prendono cura della sua persona. La fiducia nel medico e negli infermieri è fattore

indispensabile per un consenso informato che non generi ansia, ma che sia espressione

di attiva ed efficace collaborazione.

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22 febbraio 2009 Area di Bio-etica

C. IL TESTAMENTO BIOLOGICO

Dr essa sr Riccarda Lazzari

1. Che cosa è il testamento biologico? Con l’espressione “testamento biologico” si indica lo strumento volto a manifestare le scelte di fine vita. Si tratta di documenti scritti contenenti le indicazioni espresse da una persona sana e capace di intendere e di volere e aventi per oggetto i trattamenti sanitari e assistenziali che la persona vorrà o non vorrà ricevere nell’ipotesi in cui, a causa di una malattia grave, inguaribile, o di evento traumatico, si venisse a trovare in uno stato di incapacità di intendere e di volere 14. testamento di vita, o “direttive o disposizioni

anticipate di volontà, o “dichiarazioni anticipate di trattamento”,

1.1 Atto etico non burocratico L’atto con cui il paziente dà disposizioni sulla propria fine non è un atto non burocratico, ma etico. Esso concerne non solo l’organismo, oggetto della biologia, ma anche e soprattutto la persona. Coinvolta in tale atto è la biologia della persona ma anche la sua biografia. Per questo il Testamento biologico dovrebbe essere chiamato testamento biografico. Il transito tra la vita e la morte non è soltanto quello governato dalle leggi della bio-tanatologia; è anche un trapasso che fa di ogni persona non un cadavere, ma un defunto. Il testamento biografico va rispettato non eluso o impugnato15.

1.2 Alcune osservazioni sulle definizioni

Lo strumento volto a manifestare le scelte di fine vita ha varie definizioni: a. “Il testamento biologico” o testamento di vita b. “direttive anticipate di volontà” c. “dichiarazioni anticipate di trattamento”. Una prima osservazione deve essere fatta sulle definizioni “direttive” o “dichiarazioni : Alle prime due espressioni :“testamento biologico” e “direttive anticipate di volontà” si oppone la terza, quella coniata dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel 2003, per contrastare una duplice idea: quella per cui oggetto del documento possa essere la decisione sulla vita umana, in questo senso è usata la parola “trattamento”, e quella per cui la volontà del paziente non debba essere vincolante per il medico, per questo è usata la parola “dichiarazioni” in luogo di “direttive”.

La “procura sanitaria: la descrizione del panorama terminologico va completata ricordando la “procura sanitaria” con la quale un soggetto nomina un rappresentante 14Casini C.,Casini M., Di Pietro M.L.,Testamento biologico, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2007,p.19 15 Cosmacini G., Chiamatelo “testamento biografico”, “Il Sole 24 Ore” del 1 marzo 2009, p. 27.

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legale incaricato di prendere decisioni al suo posto, nella previsione di una futura incapacità e in materia di decisioni sui trattamenti. La procura sanitaria può essere contenuta anche nel testamento biologico, nelle direttive o dichiarazioni anticipate.

2. Il percorso italiano verso una legge sul Testamento biologico

L’Italia non ha ancora una legge sul testamento biologico. Il testo legislativo è in itinere. Tuttavia il cammino in questo senso, è iniziato da circa 20 anni.

2.1 La “Biocard” o “Carta di auto-determinazione 1990

La Consulta di Bioetica di Milano, fondata nel 1989 dal neurologo Renato Boeri, ha promosso la c.d. “biocard” o “carta di autodeterminazione”. Tale documento è rivolto alla famiglia, ai medici curanti e a tutti coloro che saranno coinvolti nell’assistenza del sottoscritto e si presenta comprensivo di richieste assai diverse che hanno una diversa rilevanza: etica e giuridica.

In questa carta di autodeterminazione sono compresi i senti aspetti: le volontà circa i trattamenti nella fase terminale, la nomina di due tutori, le disposizioni sulla donazione degli organi e sulla conservazione del proprio cadavere, l’assistenza religiosa; è previsto anche il rifiuto dei “provvedimenti di sostegno vitale”. Questi ultimi sono definiti “misure urgenti senza le quali il processo della malattia porta in tempi brevi alla morte”. Tali provvedimenti comprendono, secondo il modulo, il rifiuto dei seguenti aspetti: 1. la rianimazione cardiopolmonare, 2. la ventilazione assistita, 3, la dialisi, 4. la chirurgia d’urgenza, 5. le trasfusioni di sangue, 6. le terapie antibiotiche, 7. l’alimentazione artificiale. In questo senso si dispone che non siano curate: le infezioni respiratorie e urinarie, le emorragie, i disturbi cardiaci o renali, e non siano attivate l’alimentazione e l’idratazione artificiali, in presenza di: 1. malattie in fase terminale, 2. una malattia o una lesione traumatica del cervello gravemente invalidanti e giudicate irreversibili, 3. altre malattie gravemente invalidanti e non rimediabili (per esempio, l’Aids)16.

2.1.1 Il fondamento legislativo della rinuncia ad un trattamento medico

Il fondamento legislativo della rinuncia ad un trattamento medico è già rintracciabile nell’art. 32 della Costituzione Italiana che recita: “Nessuno può essere obbligato a un

determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in

nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ulteriori riferimenti possono essere l’art. 13 della stessa Costituzione che dispone che la libertà personale è inviolabile e l’art. 33 della legge 833/1978 Istituzione del Servizio Sanitario

Nazionale che prevede che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Un testo fondamentale in tale ambito è costituito dalla Convenzione sui diritti umani e

la Biomedicina del Consiglio di Europa (Convenzione di Oviedo, 4 aprile 2007, ratificata in Italia con legge n.145 del 28 marzo 2001) dove all’articolo 9 si legge: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un

16 Casini C., Casini M., Di Pietro M.L., Testamento biologico, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2007, pp. 27-28

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paziente, che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la sua volontà saranno presi in considerazione”.

2.2 “Dichiarazioni anticipate di trattamento” del Comitato Nazionale per la Bioetica – (CNB) 2003.

Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha approvato un documento sulle Dichiarazioni

anticipate di trattamento, riprendendo ed approfondendo -come dichiarato – un precedente documento, dello stesso Comitato, Questioni bioetiche sulla fine della vita del 14 luglio 1995 “alla luce della più recente riflessione bioetica e di rilevanti novità biogiuridiche .

2.2.1 Finalità fondamentali del documento (CNB) Le motivazioni di questo documento sono così espresse nel documento stesso: “Le

dichiarazioni anticipate di trattamento tendono a favorire una socializzazione dei

momenti più drammatici dell’esistenza e ad evitare che l’eventuale incapacità del

malato possa indurre i medici a considerarlo, magari inconsapevolmente e contro le

loro migliori intenzioni, non più come una persona, con la quale concordare il

programma terapeutico ottimale, ma soltanto come un corpo, da sottoporre ad un

anonimo trattamento. A tal fine è opportuno fornire ai medici, al personale sanitario e

ai familiari elementi conoscitivi che li aiutino a prendere decisioni che siano

compatibilmente in sintonia con la volontà e le preferenze della persona da curare”.

Il documento sottolinea ulteriormente questo aspetto: “ (…). La finalità fondamentale è, quindi, quella di fornire uno strumento per

recuperare al meglio, nelle situazioni di incapacità decisionale, il ruolo che

ordinariamente viene svolto dal dialogo informato del paziente col medico e che porta

il primo, attraverso il processo avente per esito l’espressione del consenso (o del

dissenso), a rendere edotto il medico di ogni elemento giudicato significativo al fine di

far valere i diritti connessi alla tutela della salute e, più in generale, del bene integrato

della persona, E’come se, grazie alle dichiarazioni anticipate, il dialogo tra medico e

paziente idealmente continuasse anche quando il paziente non possa più prendervi

consapevolmente parte”.

2.2.2 Indicazioni sui contenuti delle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”

Lo stesso documento del Comitato Nazionale per la bioetica, pur senza impegnarsi in una completa analisi comparativa dei contenuti e dei modelli di dichiarazioni anticipate già esistenti, evidenzia alcuni tipi di indicazioni per quanto riguarda i contenuti stessi:

• indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi per trapianti, sull’utilizzo del cadavere, o parti di esso, per scopo di ricerca e/o didattica,

• indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di essere curato in casa o in ospedale, ecc.)

• indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia,

• indicazioni finalizzate ad implementare le cure palliative,

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• indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non attivazione di qualsiasi forma di accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati o ingiustificati,

• indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipotesi accanimento,

• indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale.

E’ però assolutamente necessario sottolineare che gli ultimi due punti hanno determinato discussioni non risolte nell’ambito del Comitato Nazionale, così che il documento attesta che alcuni membri ritengono che il potere dispositivo del paziente vada limitato esclusivamente a quei trattamenti che integrino, in varia misura, forme di accanimento terapeutico, perché sproporzionati o addirittura futili. Non rientrerebbero a loro avviso, in tali ipotesi, interventi di sostegno vitale di carattere non straordinario, né l’alimentazione né l’idratazione artificiale che, quando non risultino gravose per lui, costituirebbero invece, atti eticamente e deontologicamente doverosi, nella misura in cui – proporzionati alle condizioni cliniche – contribuiscono ad eliminare le sofferenze del malato terminale e la cui omissione realizzerebbe una ipotesi di eutanasia passiva.

2.2.3 Raccomandazioni del documento (CNB)

Il documento esprime poi le seguenti raccomandazioni: • le dichiarazioni abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in

forma scritta e da soggetti maggiorenni, • non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il

diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia, • si auspica che siano compilate con l’assistenza di un medico, che può

controfirmarle, • siano tali da garantire la massima personalizzazione delle volontà del futuro

paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli. Inoltre il Comitato Nazionale per la Bioetica ritiene opportuno che:

• il legislatore intervenga esplicitamente in materia, • la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni

anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, qualora si discosti da esse nella sua decisione, di esplicitare formalmente in cartella clinica le ragioni del suo dissenso,

• le dichiarazioni anticipate possano eventualmente indicare i nominativi di uno o più soggetti fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente,

• ove le dichiarazioni anticipate contengano informazioni “sensibili” sul piano della privacy, la legge imponga apposite procedure per la loro conservazione e consultazione.

• E’ importante precisare la figura e il ruolo del fiduciario: si tratta di una persona indicata dal paziente stesso per il rispetto delle sue volontà.

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3. Il pensiero della Deontologia sanitaria riguardo alle DAT

3.1 Il Codice Italiano di Deontologia Medica

La filosofia sottostante le dichiarazioni anticipate è recepita dal Codice di Deontologia

Medica Italiano, che nella ultima versione del 16 dicembre 2006 la sottolinea all’articolo 38 quando afferma: “Il medico deve attenersi, nell’ambito dell’autonomia ed

indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa dalla

persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia

della stessa… il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà,

deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo

stesso in modo certo e documentato”. Nell’articolo si richiamano, quindi, due concetti fondamentali: da una parte l’autonomia ed indipendenza che caratterizzano la professione medica vincolandole comunque a principi etici fondamentali come il rispetto della dignità e della libertà della persona, e dall’altra parte, la necessità di verificare che la volontà del paziente sia documentata in modo certo. 3.2 Codice Deontologico degli Infermieri Italiani Il nuovo Codice Deontologico degli Infermieri Italiani

17 dichiara all’articolo 36: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non

siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui

espressa della qualità della vita” e all’articolo 37: “L’infermiere, quando l’assistito non

è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente

espresso in precedenza e documentato”.

4. Alcune “dichiarazioni di volontà anticipate” • Le “dichiarazioni delle volontà anticipate” della Fondazione Veronesi. Hanno per motto “Scegliere in modo consapevole come affrontare le incognite del

futuro è una forma di libertà”, recentemente rinnovato nel più sintetico “Nessuno deve

scegliere per noi”18. Nel modulo predisposto il sottoscrittore si dichiara “nel pieno delle facoltà mentali e in

totale libertà di scelta” e dichiara che in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, sia di malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né ad idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente”.

17 Approvato dal Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi con deliberazione n. 1/09 del 10.01.2009 e dal Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI il 17 gennaio 1009, “Panorama della Salute” 8(2009), pp.20-22. 18 De Tilla M., Militerni L., Veronesi U., La parola al paziente. Il consenso informato e il rifiuto delle

cure, Sperling & Kupfer, Milano 2008 vedi anche Flores D’Arcais P., A chi appartiene la tua vita?, Ponte alle Grazie, Milano 2009.

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• Le Disposizioni sanitarie del paziente cristiano della Conf. Episcopale tedesca

In Germania, la Conferenza Episcopale tedesca il Consiglio della Chiesa evangelica hanno elaborato un testo comune definito Disposizioni sanitarie del paziente cristiano

(Christliche Patientenverfugung) contenenti disposizioni di fine vita. Il testo, che contiene anche un modulo da compilare da parte del paziente, è stato siglato nel 1999 e rivisto nel 2003. Nel caso in cui venga decisa la limitazione delle misure terapeutiche, particolare importanza viene conferita al trattamento e all’assistenza della persona malata. La limitazione delle misure terapeutiche può rientrare anche nell’ampio accompagnamento medico e sanitario del morente, il quale include anzitutto la dedizione umana verso il malato, la sedazione del dolore e dei sintomi, così come la messa in atto di misure specifiche di trattamento in modo che i bisogni primari dell’esistenza umana restino tutelati. Di ciò fanno parte fra le altre cose una sistemazione dignitosa, la dedizione, l’igiene del corpo, l’alleviamento del dolore, della difficoltà respiratoria e della nausea, così come l’appagamento della fame e della sete. A questo proposito il documento puntualizza che l’alimentazione artificiale tramite un sondino naso-gastrico o per via gastroenterica (la cosiddetta sonda PEG) o per fleboclisi rientri alla fine della vita nell’”assistenza di base”, ma vada decisa da caso a caso19. • Altre iniziative simili sono sorte successivamente altre iniziative, come ad esempio: il “testamento di vita” proposto dal Comitato Episcopale per la difesa della vita della Conferenza Episcopale Spagnola, che afferma il principio: “la vita è un dono e una benedizione di Dio, ma non

è il valore supremo assoluto”20.

5. Uno sguardo alla Legislazione e normativa internazionale

Quanto all’Unione Europea, merita di essere ricordata la proposta sull’assistenza ai malati terminali (25 aprile 1991) elaborata dalla Commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori del Parlamento Europeo che, fra l’altro, affermando che “l’esistenza di una persona non è riducibile alle funzioni naturali, vale a dire alle funzioni della vita vegetativa”, giunge ad affermare che “ogni qual volta un malato pienamente cosciente chieda, in modo insistente e continuo, che sia fatta cessare un’esistenza ormai priva per lui di qualsiasi dignità ed un collegio di medici, costituito all’uopo, constati l’impossibilità di dispensare nuove cure specifiche, detta richiesta deve essere soddisfatta”. La Proposta non è mai stata approvata. In Olanda il 10 aprile 2001 è stata approvata la legge n. 137 (entrata in vigore nel 2002) che, andando oltre la depenalizzazione dell’eutanasia, legalizza le pratiche per “porre

fine alla vita su richiesta e per il suicidio assistito”. In Belgio, il 28 maggio 2002 diviene legge a tutti gli effetti la “Legge relativa

all’eutanasia”, modellata su quella olandese. Il capitolo III è dedicato alle dichiarazioni

19 Conferenza Episcopale tedesca, Consiglio delle Chiese evangeliche, Testamento biologico cristiano

con delega preventiva e nomina di un fiduciario, “Micromega” del 16 marzo 2009. 20 O’Rourke, The christian affirmation of life, “Hospital Progress” 55(1974), pp.65-72; Perico G., Testamento biologico e malati terminali, “Aggiornamenti Sociali” 11(19929, PP. 667-692; The Catholic Bishop’s of Pennsylvania, Living Will and Proxy for Really Care Decisions, “Medicina e Morale” 5(1993), pp.989-999.

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anticipate ed è stato integrato da un decreto del 2 aprile 2003 riguardante le modalità di redazione, conferma, modifica o revoca delle dichiarazioni anticipate. Esse, in sintesi, possono essere redatte da un soggetto capace, maggiorenne o minore emancipato, in presenza di due testimoni di cui almeno uno non abbia interesse alla morte del dichiarante, hanno durata quinquennale, non sono vincolanti, il medico non è tenuto a praticare l’eutanasia. In Francia, la legge n. 370 del 22 aprile 2005, Loi relative aux droits des malate et à la

fin de vie, prevede la possibilità per un soggetto maggiorenne di redigere in un documento scritto i propri desideri (souhaits) circa le limitazioni o l’interruzione di trattamenti medici in caso di perdita di coscienza. Il decreto n. 119 del 6 febbraio 2006 detta poi, disposizioni regolamentari in materia di direttive anticipate: esse possono essere revocate o modificate (parzialmente o totalmente) in ogni momento, devono essere formulate a distanza di meno di tre anni dalla perdita di coscienza del paziente;(..). Oltre la legge svolge un interessante ruolo anche la Charte de la personne hospitalisée (Carta della persona ricoverata in ospedale) che, quando una persona che non sia morente rifiuta i trattamenti vitali, dispone che il dovere d’assistenza del medico debba prevalere in caso d’urgenza sul rifiuto delle cure, in quanto il paziente non avrebbe disposto di un termine minimo, necessario per ribadire, con piena cognizione di causa, la sua volontà. Viceversa, se è in fin di vita, prevale la volontà del paziente21. In Svizzera, vi è un progetto che prevede che la persona capace di discernimento possa designare, con direttive vincolanti, i procedimenti medici ai quali accetta o rifiuta di essere sottoposto nel caso in cui divenga incapace di discernimento. In Germania, sulla scia della sentenza del 17 marzo 2003 la Corte suprema federale ha dichiarato la legittimità e il carattere vincolante dell’atto di disposizione del paziente (Patientenverfugung) a condizione che la volontà anticipata coincida esattamente con la situazione in cui la volontà stessa dovrebbe essere eseguita. Il 18 giugno 2009 la Camera Bassa del Parlamento tedesco, dopo sei anni di discussioni, ha approvato un disegno di legge, in base al quale in futuro il testamento biologico sarà vincolante per i medici indipendentemente dal tipo e dalla gravità della malattia. Il testo deve essere ora approvato dal Bundesrat (la Camera Alta del Parlamento)22. Negli Stati Uniti, fondamentale è la disciplina federale nota come Patient Self

Determination Act (PSDA) in vigore dal 1 dicembre 1991 che prevede la stesura di living will soprattutto per esprimere il desiderio di non essere mantenuto in vita con mezzi artificiali, ciò che viene reso con l’icastico “that the plug be pulled (che si stacchi la spina). In Canada, nell’Ontario, il Joint Centre for Bioethics ha predisposto un documento “Testamento di vita” nel quale sono specificate le volontà riguardanti la futura tutela della salute e la cura della persona; viene detto anche testamento biologico, living will o advance directive, che ha valore cogente nelle provincie canadesi, pur assumendo denominazioni diverse.

21 Calò E., Il Testamento biologico tra diritto e anomia, IPSOA, Milano 2008, pp.56-57 22 Zappalà D., Biotestamento alla tedesca, no dei medici, “Avvenire” Inserto E’ Vita del 25 giugno 2009

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In Inghilterra, la legge Mental Capacity Act 2005 prevede, all’articolo 24 e seguenti, le Advance decisions to refuse treatment. Questa normativa è entrata in vigore nel 2007. In Giappone, pur in mancanza di una normativa specifica, la prassi ha introdotto il testamento biologico23. In Argentina, nel 2005 il Colegio de Escribanos de la Provincia de Buenos Aires

(Collegio Notarile della Provincia di Buenos Aires) ha istituito un registro di “atti di

auto protezione”, questa denominazione fa riferimento alle direttive anticipate e alla procura in previsione dell’incapacità.

In Austria, la legge austriaca sul testamento biologico regola i requisiti e l’efficacia dei testamenti biologici. In Danimarca, ogni persona che ha più di diciotto anni, che non è sotto tutela, che riveste le condizioni personali e, nello stesso tempo di salute, previste dall’art. 5 della legge sulla tutela, può redigere un testamento di vita. In Spagna, la legge Instrucciones Previas del 14 novembre 2002 consente l’interruzione dei trattamenti vitali della persona. In Australia, alcuni Stati si sono dotati di una legge sul “living will” con provvedimenti che ricalcano la normativa statunitense.

6.Italia:Disegno di legge n.10/A:Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) Il disegno di legge n.10/A “Disposizioni in materia di consenso informato e

dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare

l’accanimento terapeutico, nonché in materia di cure palliative e di terapia del dolore” è stato approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica con il nuovo titolo: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di

dichiarazioni anticipate di trattamento”. Gli elementi fondanti sono i seguenti :

1. Le Dat non sono vincolanti. Il soggetto dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purché conformi a quanto

prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.

2. Le Dat hanno validità per cinque anni, termine dopo il quale perdono ogni efficacia, ma possono essere indefinitivamente rinnovate. Chi intende avvalersene deve farlo per iscritto con un atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne. Le può raccogliere solo il medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive.

23 Masuda A. et al., Physician’s reports on the impact of living wills at the end of life in Iapan, “Medical Ethics” 29(2003), pp. 248-252

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3. Deve essere assicurata l’assistenza domiciliare per i soggetti in stato vegetativo permanente,

4. Gli atti medici non possono prescindere dal consenso informato. Il consenso informato non è richiesto quando il paziente sia in pericolo di vita per il verificarsi di un evento acuto.

5. Si garantisce la partecipazione del paziente all’identificazione informata e consapevole delle cure mediche più appropriate, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente.

6. E’ vietata ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio.

7. In caso di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico deve astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, rispetto alle condizioni cliniche del paziente e agli obiettivi di cura.

8. L’alimentazione e l’idratazione nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di Dat.

9. E’ possibile la nomina di un fiduciario che si impegna ad agire nell’esclusivo e migliore interesse del paziente, operando sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nelle dichiarazioni anticipate. Nel caso si crei un conflitto tra il medico curante e il fiduciario, è stabilito che venga chiamato in causa un collegio di medici designato dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero del paziente o dalla Asl competente. In assenza del fiduciario o per inadempimento e inerzia di chi è legittimato a esprimere il consenso, la decisione è autorizzata dal giudice tutelare. Su parere del collegio medico o, in caso d’urgenza, sentito il medio curante,

10. La volontà espressa dal soggetto nella sua Dat è attentamente presa in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno,

11. E’ istituito il Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nel predetto archivio è il Mministero del Welfare.

6.1 Discussioni successive L’approvazione, come si è detto, del Senato della Repubblica, non ha spento la discussione sulle Dat. Sono emerse infatti numerose ulteriori discussioni su quanto previsto dal disegno di legge in ordine: alle necessità assistenziali: i medici italiani ritengono che il legislatore nel decidere di intervenire in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, debba altresì garantire un’efficace rete di tutela dei soggetti più deboli perché inguaribili, terminali, morenti, ancor più se divenuti incapaci. Nel territorio l’assistenza sanitaria è insufficiente.

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alla nutrizione e idratazione artificiale: la maggior parte, se non la totalità, delle società mediche e scientifiche, dai National Institute of Health all’Organizzazione Mondiale della Sanità , dalla Società Italiana di nutrizione parenterale ed enterale alla Società Italiana di cure palliative, i diversi trattamenti di “nutrizione e idratazione forzate” costituiscono una terapia medica e non un semplice aiuto a una persona disabile24. Anche l’Ordine dei Medici Italiani ritiene l’idratazione/nutrizione artificiale un trattamento terapeutico da ricondurre ai profili di competenza e di responsabilità riservati ai medici in collaborazione con altre figure sanitarie. La nutrizione artificiale è calibrata su specifici problemi clinici mediante la prescrizione di nutrienti, farmacologicamente preparati e somministrati attraverso procedure artificiali, sottoposti a rigoroso controllo sanitario ed infine richiedente il consenso informato del paziente in ragione dei rischi connessi alla sua predisposizione e mantenimento nel tempo25. Essendo quindi, in base a tali valutazioni, un atto medico, dovrebbero essere tra i trattamenti oggetto delle Dat. Si è così affermato che il testo approvato dal Senato presenta un grosso limite. Se dovesse essere approvato anche dalla Camera dei Deputati il testo del disegno di legge, non sarà in nessun caso possibile sospendere alimentazione e idratazione perché finalizzata ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Spesso, nell’imminenza della morte, è l’organismo stesso a non essere più in grado di assimilare le sostanze fornite, e alimentazione e idratazione invece di alleviare le sofferenze diventano esse stesse fonti di sofferenza. Ogni medico sa che nell’imminenza della morte può verificarsi questa situazione. Ebbene, sulla base della legge in discussione l’alimentazione e l’idratazione dovranno proseguire forzatamente sino all’arresto cardiocircolatorio o all’accertamento di morte cerebrale. Si poteva facilmente superare l’ostacolo sostenendo che l’alimentazione e l’idratazione sono atti doverosi, quando non risultino gravosi per il paziente26.

alla variabilità decisionale: poiché la persona può modificare le sue opinioni e le proprie volontà in base all’evoluzione della malattia e agli adattamenti psicologici a questa, tali “volontà anticipate” non sembrano essere vincolanti, almeno sotto l’aspetto giuridico, poiché esse non possono estendersi ad atti implicitamente dispositivi della vita, in quanto l’atto medico non può trovare la sua legittimazione unicamente nel consenso,in quanto le direttive anticipate non assicurano il requisito di persistenza della volontà del paziente27

.

Uno dei rilievi più frequentemente mossi alle dichiarazioni anticipate, o a documenti consimili, riguarda l’astrattezza di cui tali documenti inevitabilmente soffrirebbero, un’astrattezza e genericità dovute alla distanza, psicologica e temporale, tra la condizione in cui la dichiarazione viene redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata28

ai mezzi di sostentamento: sulla procedura del livig will rimangono delle perplessità rilevanti, anzitutto sulla validità giuridica e morale di una volontà testamentaria espressa in anticipo, fuori delle concretezze di malattia, su un bene che è la vita e non una cosa.

24 Greco P., E domani, forzati ad intervenire?, “Janus” primavera 2009 pp.126-127. 25 Consiglio Nazionale della Federazione Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Rivalutare il ruolo

del medico all’interno di un diritto mite, “Panorama della Sanità, 24(2009), pp. 18-22 26 Becchi P., Testamento biologico Che errore questa legge Aumenterà solo la sofferenza dei malati, “Il Giornale” del 28 marzo 2009, p. 46 27 Iadecola G., Principi di diritto sanitario, Giappichelli, Torino 1999 28 Aramini M., Testamento biologico Spunti per un dibattito, Ancora, Milano 2007, p. 27

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Ma rimane anche la perplessità di fondo sull’interpretazione nel caso concreto di quelli che vengono chiamati i mezzi di sostentamento vitale e sulla determinazione delle condizioni di irreversibilità: si intendono per mezzi di sostentamento vitale anche l’aiuto alla respirazione, la nutrizione, l’igiene personale, l’idratazione? Sono questi veramente i mezzi di cui parla Dichiarazione della S.Congregazione o i mezzi straordinari di cui parla la Christian Affirmation of Life? Inoltre è lecito “dispensare” il medico dall’avere una sua propria valutazione anche contro la volontà dei pazienti? Come potrebbe in queste condizioni, il medico rimanere autonomo nella propria coscienza e nella veste di “prestatore d’opera intellettuale” per cui è la sua intelligenza che deve valutare i mezzi idonei ad assistere il malato terminale? Qualcuno ha notato che il living will parte dal presupposto che il medico voglia a tutti i costi e sempre praticare terapie eroiche29. ai vincoli per il medico: come già affermato al punto precedente, rimane aperto il dibattito tra una interpretazione vincolante delle Dichiarazioni, rendendo il medico simile a un “esecutore testamentario”, e un loro rispetto posto a verifica da parte del medico, cioè intendendo le Dichiarazioni come “strumento utile” per decidere, in dialogo con il fiduciario, quando il paziente non sia più capace di un reale dissenso/consenso.

Conclusioni

I protocolli scientifici e terapeutici sono sempre da interpretare al letto del malato, che è una persona concreta, una individualità effettiva anche come risposta biologica alle terapie, da qui sorge il dubbio di fondo se i documenti DAT possono avere valenza giuridica .

Un recente documento della International Association of Gerontology and Geriatrics degli Stati Uniti - “Statement of End-of-Life Care for Old People” - in una visione globale degli interventi per migliorare l’assistenza alla fine della vita considera in primis una migliore formazione degli operatori sanitari, poi lo sviluppo di direttive assistenziali, l’elaborazione di un sistema sanitario che risponda meglio ai bisogni delle persone e dei loro familiari anche nell’ambito delle cure palliative. Si tratta pertanto di assicurare un miglior controllo dei sintomi che possono migliorare la qualità di vita e che possono influenzare il decorso della patologia, un miglior controllo da assicurare in tutti gli ambiti: negli ospedali, nell’assistenza domiciliare, nelle residenze sanitarie assistenziali. La seconda parte del documento Statement on ethical aspects for admission to,

treatment and care of older persons in Intensive Care Unit” , aggiunge poi che dall’accordo tra il paziente, la famiglia, il medico di famiglia, lo staff infermieristico, il geriatra e lo specialista in cure intensive, può scaturire la decisione di interrompere o iniziare trattamenti (peraltro non specificati) se ritenuti ininfluenti sul decorso della patologia.

29 Sgreccia E., Manuale di bioetica I.Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp.911-912

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Perplessità:

� Morte naturale per pochi:

Quest’ultima parte del documento appena citato, si può dire che sia motivato dalla constatazione che la morte “naturale” non può più essere il paradigma per un elevato numero di pazienti. Il potere di “intervenire” sulla vita rende sempre più lo staff medico responsabile del modo in cui si muore e del momento in cui si muore. Il ritardo o l’anticipazione della morte dipendono in modo crescente dalla scelta di utilizzare o non utilizzare, continuare o sospendere trattamenti “artificiali“.

� La cura è oggi affidata all’equipe di esperti medici, l’autorità del medico è da

rivedere

D’altra parte la cura oggi è affidata ad una équipe di esperti, ognuno dei quali ha una propria competenza e specializzazione. Questo è uno degli elementi che ha contribuito a ripensare l’autorità del medico riguardo alle decisioni terapeutiche, determinando una revisione del potere decisionale che lascia spazio alla negoziazione tra medico, paziente e famiglia. � Autonomia decisionale del paziente:

si deve considerare che, a partire dagli anni Settanta, si sempre più affermata l’idea che tra i diritti dei pazienti vi fosse anche quello dell’autonomia decisionale, cioè il potere di decidere in merito ai trattamenti medici a cui venire o non venire sottoposti anche nel caso di pericolo di morte prossima.

Siamo consapevoli che:

� attraverso il dialogo e la comunicazione “anticipati”, all’interno di una relazione che

comprende fiducia, informazione, condivisione, è possibile elaborare quelle dichiarazioni per cui trovare poi quel trattamento “giusto” quando il paziente non è più capace, evitando, però, accanimento terapeutico ed eutanasia.

� i pazienti, con una lunga storia di malattia, gravemente non autosufficienti, in fase terminale, possono ricevere un migliore trattamento dei sintomi in un reparto di

cure palliative piuttosto che in un reparto di cure intensive.

� riconoscere la morte come un evento naturale e come un momento della vita è caratteristica peculiare dell’ethos palliativo. L’ethos palliativo potrebbe aiutare a ridefinire la selezione dei criteri per l’assistenza medica intensiva. Ammettere in un reparto di cure intensive un paziente di cui si conosca una prognosi infausta è un frequente errore decisionale che può distruggere tutti gli schemi di un’ assistenza compassionevole e aggiungere solo sofferenze ai suoi ultimi giorni. In alcuni casi particolarmente dolorosi, si potrebbero addirittura ravvisare elementi di inefficienza professionale e di violazione dei diritti del paziente30.

30 Cf. Herranz G., Interventi di sostegno vitale e pazienti terminali:l’integrazione tra medicina intensiva e

palliativa, in E. Sgreccia ,J.Laffitte (a cura di), Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti

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Ricordiamo che � le conquiste della scienza e della tecnologia hanno portato dei mutamenti anche

riguardo alle modalità della morte. Se da un lato, mediante apparecchiature e sistemi avanzati, la scienza e la pratica medica possono oggi risolvere situazioni che fino a poco tempo fa erano insolubili, dall’altro possono protrarre la vita perfino in situazioni di debolezza estrema, prolungando il processo del morire.

� con le espressioni “testamento biologico” (o testamento di vita), “direttive (o disposizioni) anticipate di volontà, “dichiarazioni anticipate di trattamento”, si indica lo strumento volto a manifestare le scelte di fine vita. Si tratta di documenti scritti contenenti le indicazioni espresse da una persona sana e capace di intendere e di volere e aventi per oggetto i trattamenti sanitari e assistenziali che la persona vorrà o non vorrà ricevere nell’ipotesi in cui, a causa di una malattia grave, inguaribile, o di evento traumatico, si venisse a trovare in uno stato di incapacità di intendere e di volere (“incompetente”).

� il disegno di legge n.10/A che è stato approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica con il titolo “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di

consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” non ha certo risolto le problematiche etiche ed il testo stesso è oggetto di numerose obiezioni.

etici e operativi. Atti della quattordicesima Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita (Città del Vaticano, 25-27 febbraio 2008), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, p. 82