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A cosa serve la storia? (testo a spiegazione della presentazione in Power Point “La metodologia della ricerca storica-1”, slide 3-12) Dalla conoscenza della storia è impossibile prescindere. Gli uomini hanno avuto sempre necessità di conoscere il loro passato, di capire, attraverso esso le loro radici. Anche nelle civiltà “senza scrittura” il racconto dei fatti storici è stato affidato alla tradizione orale, alle poesie o ai canti, unici media in grado di salvare la memoria storica dalla cancellazione. L’esercizio del mestiere di storico non porta ad altro che a capire “la vita prima di noi” per capire meglio “la vita, quale noi, qui e adesso, la viviamo”. Si legga in proposito una riflessione di Duccio Balestracci Temi trattati Didascalie delle figure presenti nelle slide Il pensiero storico in Occidente Uso pubblico della storia Bibliografia Temi trattati Legittimazione dell’esistente: civiltà, regni, governi, comunità, gruppi hanno sempre legittimato la loro esistenza o giustificato le proprie scelte tramite il legame con eventi passati. Grandi perché immutabili es. la civiltà egizia Grandi perché antichi es. la civiltà medievale Rivendicazione di differenze-somiglianze: in alcuni casi questa rivengicazione di legittimità si è espressa anche nell’adozione di stili derivati dal passato oppure nella negazionbe di stili e di modi di pensare appartenenti a un passato che si avvertiva profondamente diverso dal proprio. Costruzione dell’identità: la ricerca del proprio passato e quindi delle proprie radici è alla base del processo di costruzione dell’identità, anche in un ottica proiettata verso il futuro. Famiglia Comunità Nazione

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A cosa serve la storia?(testo a spiegazione della presentazione in Power Point “La metodologia della ricerca storica-1”, slide 3-12)

Dalla conoscenza della storia è impossibile prescindere. Gli uomini hanno avuto sempre necessitàdi conoscere il loro passato, di capire, attraverso esso le loro radici.Anche nelle civiltà “senza scrittura” il racconto dei fatti storici è stato affidato alla tradizioneorale, alle poesie o ai canti, unici media in grado di salvare la memoria storica dallacancellazione.L’esercizio del mestiere di storico non porta ad altro che a capire “la vita prima di noi” per capiremeglio “la vita, quale noi, qui e adesso, la viviamo”.

Si legga in proposito una riflessione di Duccio Balestracci

Temi trattati

Didascalie delle figure presenti nelle slide

Il pensiero storico in Occidente

Uso pubblico della storia

Bibliografia

Temi trattati

• Legittimazione dell’esistente: civiltà, regni, governi, comunità, gruppi hanno semprelegittimato la loro esistenza o giustificato le proprie scelte tramite il legame con eventi passati.

• Grandi perché immutabili es. la civiltà egizia• Grandi perché antichi es. la civiltà medievale

• Rivendicazione di differenze-somiglianze: in alcuni casi questa rivengicazione di legittimità siè espressa anche nell’adozione di stili derivati dal passato oppure nella negazionbe di stili e dimodi di pensare appartenenti a un passato che si avvertiva profondamente diverso dal proprio.

• Costruzione dell’identità: la ricerca del proprio passato e quindi delle proprie radici è alla basedel processo di costruzione dell’identità, anche in un ottica proiettata verso il futuro.

• Famiglia• Comunità• Nazione

• Partiti politici

Didascalie delle figure presenti nelle slide

• Hatshepsut, quinto faraone della XVIII dinastia (1500 ca a.C.). (testo di approfondimento)

• Figura di Cavaliere medievale presa da: Codice Rossiano 711, "Libro dei Tornei dellaNobiltà del Kraichgau" - 1615 circa Biblioteca Apostolica Vaticana.

• Ingres dipinge Napoleone incoronato imperatore

• Albero genelogico della famiglia Vespucci

• L'ARRANOBELTZA Simbolo dei Paesi Baschi (testo di approfondimento)

• Entrata di Carlo VIII a Firenze, tela di Giuseppe Bezzuoli 1827 (testo diapprofondimento)

• Manifesto elettorale della Lega Nord. Sono da notare i numerosi riferimenti storici allacultura celtica e alla lotta tra comuni e imperatore alla metà del XII secolo. Alberto daGiussano, secondo la tradizione, fu l'organizzatore e il comandante della Compagnia dellaMorte che, raccolta intorno al Carroccio, contribuì alla vittoria della Lega Lombardacontro Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano (1176). Esempio di riferimentovolontario e attuale a un episodio del passato a giustificaz<ione di un programma politicoda attuarsi nel futuro: http://albertodagiussano.virtualave.net/

• Tucidide (460 - 395 a.C.) storico ateniese (testo di approfondimento)

• Polibio (ca. 200 - 118 a.C.), storico Greco (testo di approfondimento)

• Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), storico romano (testo di approfondimento)

• Agostino (Tagaste, 354 - 430), filosofo, padre della Chiesa (testo di approfondimento)

• Salimbene da Adam (Parma, 1221-1287), approfondimento suhttp://www.stupormundi.it/Salimbene.htm

• Martin Lutero (Eisleben, 1483 – 1546), approfondimenti suhttp://www.stilelibro.it/vitalutero.htm ehttp://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=35

• Antonio Canova, Amore e Psiche (XIX sec.)per una galleria delle sculture di Canova si veda http://www.thais.it/scultura/canoanto.htmUn approfondimento su http://www.francescomorante.it/pag_3/301bb.htm

• La casa di Horace Walpole a Strawberry Hill (primo esempio di neogotico)

• Abbazia di Hauteconbe: La scelta del neogotico presso la restaurata corte sabauda assunseun chiaro significato dinastico nell’intento di ricollegare la famiglia al prestigioso passatomedievale.

• Manifesto di età fascista: esempio di recupero della “romanità”, nel senso di gloria e stilidell’antica civiltà romana. Leggere ad esempio il discorso pronunciato da BenitoMussolini il 2 aprile 1923 a Milano sull'espasione italiana nel mondohttp://www.fascismoeliberta.net/kf/Discorso02aprile1923.htm

• Manifesto della Rivoluzione culturale maoista: esempio di negazione e rifiuto dellatradizione passsata. Breve testo di approfondimento suhttp://digilander.libero.it/atticciati/storia/RivoluzioneCuturaleCinese.htm

• Esempio di telefonino di ultumissima generazione: Qual è ora il rapposrto che ha la civiltàoccidentale col passato?

• Porta Pia e Manifesto sulla presa di Roma: esempio di percezione di un mutamentoimportante della storia (inizio del proprio presente) da parte di un uomo del risorgimento.Punto di svolta anche da un punto di vista storico-istituzionale classico. Approfondimentosu http://www.bergamoliberale.org/attualita/Dossier/XXsettembre/XXsettembre.htm

• Assembela della Costituente all’indomani della fine della II Guerra Mondiale e dellaLiberazione: esempio di percezione di un mutamento importante della storia (inizio delproprio presente) da parte di un uomo della seconda metà del XX secolo. Punto di svoltaanche da un punto di vista storico-istituzionale classico.Approfondimenti suhttp://www.cronologia.it/storia/italia/italia003.htmhttp://www.camera.it/deputati/funzionamento/costituzionereferendum_lavoriassemblea.asp

• Uno dei primi esemplari di automobile (1770 Joseph Cugnot inventa il primo veicolosemovente a tre ruote con motrice a vapore. 1802 R. Trevithick costruisce la primaquattro ruote (velocità massima: 15 km/h): esempio di percezione di un mutamentoimportante della storia (inizio del proprio presente) dal punto di vista del progressotecnologico.

• Manifesto di lotta operaia. Esempio di percezione di un mutamento importante della storia(inizio del proprio presente) da un punto di vista del progresso nell’acquisizione dei dirittida parte dei lavoratori.

• Internet e le nuove tecnologie. Esempio di percezione di un mutamento importante dellastoria (inizio del proprio presente) dal punto di vista del progresso tecnologico nel campodelle comunicazioni. La rivoluzione digitale degli ultimi dieci anni come mutamentoradicale del “nostro” presente.

Il pensiero storico in Occidente

• L’Antichità• Interesse della civiltà greco-romana per la storia• Esigenze politiche del Vicino Oriente Antico• Particolare connotazione urbana

• Giudaismo e Cristianesimo• Teleologia• Primato della Provvidenza• Popolo eletto• Protestantesimo• Competizione tra le confessioni

• Il Settecento• Rivoluzione come ritorno al passato• Libertà = purezza originaria• Condanna del Medioevo• Neoclassicismo: Stile artistico sviluppatosi in Europa tra i secoli XVIII e XIX.

Nascita convenzionale nel Giuramento degli Orazi (Roma, 1785) di David. Vicontribuirono gli scavi di Ercolano e il diffondersi di motivi ornamentali trattidall’antichità classica. L’arte antica venne interpretata come modello supremo diperfezione e gli artisti neoclassici esaltarono la purezza e la severità delle linee, deicolori e delle forme. In campo letterario si ebbe il ricorso continuo a motivi e temitratti dalla Mitologia (l’Arcadia)

Testo di approfondimento

• L’Ottocento• Nazionalismo

• La storia come potente strumento di legittimazione della tradizioneo Neogotico Tendenza culturale e artistica sviluppatasi in Europa tra i secoli XVIII e

XIX mirante alla rivalutazione dell’opera d’arte medieval, in particolaredell’architettura gotica, in quanto considerata l’espressione più originale delleculture nordiche, in opposizione al neoclassicismo mediterraneo. Nascita ufficialein Inghilterra: la casa di Horace Walpole a Strawberry Hill eretta nel 1748). InItalia la diffusione del neogotico fu più tarda e occupò tutta la prima metàdell’800.

o Invenzione della tradizione “Il medioevo non conosceva altro fondamento per lapropria fede, come per il proprio diritto, che la lezione degli antenati; ilromanticismo sognava di dissetarsi alla fonte viva del primitivo e del popolare.Così i periodi più legati al passato furono anche quelli che si presero maggiorilibertà con il preciso retaggio di esso. Quasi che, per una singolare rivincita diun’irresistibile esigenza creatrice, a forza di venerare il passato fosseronaturalmente portati a inventarlo” da M. Bloch, Apologia della storiaVilla Torlonia: Nel 1832 il principe Alessandro Torlonia volle risitemare il vasto

parco della sua villa sulla Nomentana. Freschi di titolo il ricchi Torlonia avevanocolto le opportunità che un parco storicizzante poteva offrire alla valorizzazionedella loro immagine pubblica “per immergere il fresco blasone in una patina diMedioevo e Rinascimento”: a tal proposito commissionarono il “vìcampo deitornei”, la grotta, un padiglione con guerrieri di metallo e tutto l’armamentariocanonico di un giardino, naturalmente su scala colossalehttp://www.holidayinrome.com/history/villa_torlonia.html

• Il Novecento• Le dittature nazionailste: recupero strumentale della storia• I regimi comunisti: la negazione delle tradizioni e della storia

• E ora? questione aperta

Uso pubblico della storia

La storia è un racconto finalizzato a legittimare un ordine gerarchico fra centri di potere o fraceti, a spiegare perché chi ha vinto, o chi vince, o chi vincerà aveva, ha, avrà dalla sua unpercorso causale e temporale con radici lontane e prospettive futureDelimita le appartenenze, legittima i gruppi di potere e le scelte politiche, individua nessi didi casualità e di derivazione dell’attualità da ciò che l’ha preceduta, ritrova o inventa radici etradizioni al fine di ricostruire l’identità.

Da P. Corrao, P. Viola, Introduzione agli studi di storia, Roma,Donzelli,

Per Giulio Carlo Argan il revival è connesso col pensiero storico, ma mentre questo nelrapporto tra il passato e i problemi attuali dell’esistenza porta a formulare giudizi, il revival“rifugge dal giudizio, nega la separazione fra la dimensione del passato e quella del presente edel futuro”; il passato, che nella storia è pensato, nel revival è “vissuto” come forma da dareal presente. Ciò che accumuna i revival è un attegiamento di insofferenza verso lemanifestazioni del mondo contemporaneo al quale si propone come alternativa un “altrove”che è prima di tutto emozionale, nonstante possa in seguito caricarsi di motivazioni etiche,potitiche o semplicemente estetiche o, al contrario, divulgarsi come puro fenomeno di moda.Il revival può tuttavia avere precisi intenti politici

Da R. Bordone, Lo specchio di Shalott, Napoli, Liguori, 1993,pp. 62-63

L’oggetto della storia:• Non esiste più• Si costruisce• La percesione del passato ha limiti ambigui e mobili

per l’individuoper la comunitàper la società, nazione, civiltà

• Una riflessione:

Studio della storia e storia come mestiere, di Duccio BalestracciTratto da http://www.storia.unisi.it/pagine/mestiere.html

In un mondo e in una cultura caratterizzati dalla globalità e dalla comunicazione in tempo reale,l’idea che si possa studiare la storia, che si possano dedicare energie e tempo a cercare diricostruire (di regola, con grande fatica) avvenimenti e problemi antichi di secoli o addirittura dimillenni può sembrare un ozioso passatempo per chi non ha nulla di più importante da fare.Un punto fermo della riflessione storiografica del nostro secolo (quell’incompiuta Apologia dellastoria di Marc Bloch) si apre con la domanda del figlioletto del grande storico: “Papà, spiegamiallora a che serve la storia”. La nostra prima e legittima risposta potrebbe essere: “Di per sé,assolutamente a nulla”. Ma, doverosamente, dovremmo aggiungere: “Proprio come la pittura o lamusica”. Un gatto non conosce la sua storia: per lui il mondo comincia con la sua percezionedell’esserci e nemmeno sa che la sua storia avrà fine con la sua stessa vita. Eppure vive lo stesso.Gli alberi, per quanto se ne sa, non hanno memoria. Eppure vivono secoli, a volte perfinomillenni. Si può sopravvivere (in teoria) benissimo anche senza sapere che sono esistiti un certoherr Mozart e un tal signor Michelangelo Merisi che tutti chiamavano il Caravaggio. E si puòsopravvivere (in teoria) altrettanto benissimo senza la storia.In teoria, appunto, perché nella realtà la cosa è alquanto diversa. Dalla conoscenza della storia, difatto, è impossibile prescindere quando una civiltà voglia davvero definirsi tale. Gli uominihanno avuto sempre necessità di conoscere il loro passato, di capire, attraverso esso, le loroorigini, le loro radici. Non è un caso se anche le civiltà più elementari (ammesso e niente affattoconcesso che esistano civiltà che si possano definire “elementari”) non sono sfuggite a questanecessità, e se anche nelle civiltà “senza scrittura” (che fossero quelle delle popolazioni“barbariche” delle steppe o delle foreste celtiche, o che siano quelle delle più lontane plaghe delmondo attuale) il racconto dei fatti storici è stato affidato alla tradizione orale, alle poesie o aicanti, unici media in grado di salvare la memoria storica dalla cancellazione.Conoscere la storia(e quindi, per chi le si avvicina con un approccio professionale , “scrivere” la storia) significasostanzialmente “ricostruire”: che si tratti di ricostruire il modo in cui si sono formati il voltoarchitettonico e l’assetto di una città, o il modo in cui si sono conformate e trasformate le regoledella produzione e dello scambio economico, o la dinamica attraverso la quale si sono incontratee scontrate le classi sociali; che si tratti di capire come si è formato un paesaggio della campagna,dove hanno interagito contadini al lavoro dei campi, e signori e proprietari che hanno costruitocastelli o ville, o che si tratti di individuare i modi in cui si sono conformati e trasformati gliaspetti della religiosità o del pensiero, o si sono svolte le manifestazioni della politica.Ciò che però deve sempre aver presente chi fa storia è che in questa opera di ricostruzione nonpuò avere la presunzione di tracciare quadri oggettivi. Ogni ricostruzione storica è, di per sé,soggettiva e ogni storico deve necessariamente essere abbastanza umile da essere consapevoleche ciò che fa non è altro che suggerire un possibile percorso della ricostruzione della realtà:quella che a suo parere e sulla base della sua interpretazione delle fonti è stata la vicendastorica.Lo storico elabora, quindi, memorie prodotte da altri e le riorganizza, secondo i suoischemi e i suoi parametri interpretativi, in una nuova sistematizzazione, in una nuovamemoria.“Fare” storia presuppone un contatto continuo con una serie di altre discipline che conla storia interagiscono e che alla storia apportano elementi di arricchimento metodologico. Così,

lo storico non può prescindere dalla Geografia, dalla Storia Economica, dall’Economia, né puòfare a meno di tutte quelle discipline che si basano sulla analisi del “documento) (di ogni tipo didocumento): dal papiro, alla pergamena, dal ritrovamento archeologico all’analisi delle strutturein elevato, dall’iconografia al cinema) e al documento orale.Ma chi vuol fare storia non puòprescindere nemmeno da tutta una serie di Scienze Sociali, senza le quali il suo lavoro resterebbesettoriale e incompleto, come l’Antropologia, ad esempio, o la Demografia, la Sociologia e altreancora che hanno fatto irruzione nel campo dello storico (scardinando, peraltro, certe rassicurantie ben sedimentate categorie dell’approccio storiografico che potremmo, per comodità, definire“storicistico-crociane”) e che hanno aperto la strada a tutta una serie di sensibilità nuoveimpensabili fino a qualche decennio fa (valga per tutte l’esempio del peso che hanno, oggi, gliapprocci con la “storia di genere”).A questo intreccio, chi fa storia dà uno sbocco che può essere immediatamente “utilitario” o chepuò mirare all’accrescimento, in generale, della conoscenza. Fra i due scopi, sia ben chiaro, nonc’è assolutamente separazione: anzi, chi fa bene storia è in grado di far convivere e interagire almeglio l’uno e l’altro. Per fare qualche esempio che potrà spiegare ciò che voglio dire: allostorico potrà essere chiesto di tracciare il quadro delle vicende costruttive di un edificio – unpalazzo, una struttura industriale…- in funzione del restauro e del riuso, o gli sarà chiesto diesplicitare il contesto storico di un territorio in previsione di uno scavo archeologico o di unintervento sul paesaggio (una nuova urbanizzazione, ad esempio).a ricostruire il contesto storicoper un restauro, per uno scavo o per un intervento sul paesaggio non è altro che accrescere ilbagaglio di conoscenza complessiva delle nostre radici e del nostro convivere, nel presente, conquelle radici stesse. Cioè, è fare un’operazione che va al di là dell’immediato fine utilitaristico eche fa tutt’uno con la ricostruzione storica destinata alla conoscenza tout court. L’uno e l’altroesercizio del mestiere di storico (come lo definiva Marc Bloch), insomma, non portano ad altroche a capire “la vita prima di noi” per capire meglio “la vita, quale noi, qui e adesso, la viviamo”.Conoscere storicamente non vuol dire, tuttavia, adagiarsi su un evoluzionismo storicistico (lastoria è andata così, ergo, noi siamo ciò che siamo né possiamo essere altro da questo proprioperché essa è andata così); al contrario, significa capire il DNA della nostra civiltà e di quellealtre civiltà con le quali la nostra è entrata e entra in contatto, si è confrontata e si confronta.Significa, in definitiva, capire il significato del nostro essere individui di fronte al multiformecomplesso delle civiltà che hanno segnato e segnano la vicenda umana.Insomma: noi non siamociò che siamo “perché” la storia si è svolta in un certo modo. Tuttavia, siamo individui che nonpossono fare a meno di fare i conti con la storia che si è svolta e con il “dove” e il “come” essa siè svolta. Sia per accettarla e considerarne lo svolgimento che essa ha avuto come base dei proprivalori di vita, sia per rifiutarla e opporle valori che sono totalmente differenti da quelli che con lastoria si sono affermati.Un processo complesso che però non può non essere alla base di quantisono convinti che ci sia una qualche significativa differenza fra la condizione di un gatto o di unalbero e quella dell’uomo. E che perciò trovano che hanno un senso sia le Nozze di Figaro sia ilNarciso sia, di conseguenza, le migliaia di pagine e i poco meno di trent’anni di lavoro cheFernand Braudel dedicò alla stesura di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II.

• E. Salvatori, Hatshepsut, la donna che diventò faraone, in “Quark” ?? (2003)Disse Amun, Signore di Karnak: ”Colei che Amun abbraccia, Hat-shepsut, è il nome di questamia figlia. Ella avrà un regno eccelso su questa terra. Sua la mia anima! Suo il mio scettro! Suo ilmio prestigio! Sua la mia corona! Affinché regni sui Due Paesi e comandi tutti i viventi”.È con queste parole, incise 3500 anni fa sulla terrazza intermedia del tempio di Deir el-Bahari, aovest di Luxor, che Hatshepsut Maatkare (letteralmente “la prima dei nobili, verità-giustizia èl’anima del Sole”) si dichiarò formalmente faraone.Facendolo sapeva di compiere un atto inaudito e potenzialmente rivoluzionario. Non tanto perchégovernava “come” un re - compito ricoperto già da altre donne prima di lei - ma perché decisefarlo con i crismi dell’ufficialità, fregiandosi di tutti i titoli di un potere che era stato per secolisolo maschile e che maschile continuò ad essere secoli dopo la sua morte.

Quando, nel 1829, Jean-François Champollion visitò Deir el-Bahari, rimase non poco perplessonel leggere i geroglifici incisi sui frammenti sparsi sul terreno pietroso: come poteva un faraonegodere dell’appellativo di “figlia del sole”? A partire da questa data la vita della più granderegina dell’antichità è stata un vero enigma per gli egittologi, che si sono a lungo cimentati contesti dove nomi maschili e aggettivi femminili si mescolano senza logica apparente e conbassorilievi in cui le figure di Hatshepsut presentano di volta in volta qualità femminili e attributiprettamente maschili. A complicare le cose c’era poi stata anche la sistematica opera didistruzione del successore Thutmosis III che, per motivi ancora non chiari, distrusse tutte leimmagini della regina e cancellò il suo cartiglio dai bassorilievi, sostituendolo con il proprio. Daqui dubbi e fraintendimenti sullo stesso albero genealogico della dinastia, che ancora oggipresenta alcuni punti oscuri.Eppure tutto il segreto della sua storia sta proprio nelle leggi che regolavano la successionedinastica al trono egizio. In quanto figlia di Thutmosi I e della “grande sposa reale” Ahmes,Hatshepsut, se fosse stata un maschio, sarebbe stata destinata al trono. La doppia corona bianca erossa dell’Alto e Basso Egitto (pshent) fu invece posta sul capo di Thutmosi II, figlio di ThutmosiI e di una concubina. Ma, dato che solo i figli della “grande sposa reale” avevano dirittoall’incoronazione, per legittimare Thutmosi II era necessario che questi sposasse la stessasorellastra Hatshepsut, capace per nascita di trasmettergli il sangue reale.L’inceppo dinastico si ripeté tuttavia anche per questo matrimonio: la “grande sposa reale”Hatshepsut partorì infatti due figlie, mentre l’unione di Thutmosi II con una concubina portò allaluce un maschio, il futuro Thutmosi III.Verso il 1479 a.C. avvenne però un evento imprevisto: il faraone morì, lasciando un erede troppopiccolo per assumere le redini del regno. La zia-matrigna Hatshepsut non perse tempo: non soloassunse la reggenza, ma dopo pochi anni decise che la “sua” ascendenza le conferiva maggioredignità regia dello stesso erede designato. Relegò allora Thutmosi III in un tempio, si feceincoronare “Re dell’Alto e Basso Egitto” e assunse tutti i titoli tipici dei faraoni, con l’ovviaeccezione di uno: “Toro possente”.

Da questo momento in poi tutta la vita di Hatshepsut fu dedicata ad tramandare ai posteri il suonome come regina legittima, voluta sul trono più potente della terra dallo stesso dio Amun, re ditutti gli dei. Il grandioso tempio funerario di Deir el-Bahari, letteralmennte “monastero del nord”-ma chiamato dalla fondatrice Djeser Djeseru, ossia “il luogo più santo” o “sublime dei sublimi”-è di fatto una grandiosa incredibile esaltazione del suo diritto al trono, l’espressione di un potereenorme e inattaccabile.

Erano stati proprio i suoi antenati, i primi faraoni della XVIII dinastia (1550-1292), a inaugurarequesta nuova tradizione dell’architettura funenaria egizia. Timorosi di collocare le proprie spoglienelle troppo visibili e violabili piramidi, avevano infatti deciso di utilizzare al medesimo scopo lepareti rocciose di un wadi prossimo a Karnak, la Valle dei Re. Mentre le tombe venivanoprudentemente nascoste nella roccia, i decessi dei reali venivano celebrati con la dovutamagnificenza con la costruzione di santuari grandiosi, separati e distanti dalle vere sepolture. Trai più belli c’è proprio il “sublime dei sublimi”, il tempio della regina che volle farsi re.Costruito secondo le direttive della stessa Hatshepsut e sotto la supervisione del favoritoSenenmut, il “sublime dei sublimi” esalta la nascita divina della regina. Nei bassorilievi delportico nord della terrazza intermedia Amun è raffigurato mentre si avvicina alla sposa realeAhmes sotto le sembianze del marito Thutmosi I. Il dio “si esaltò nel vedere la sua bellezza” e“fece con lei tutto ciò che desiderava”. Dalla “rugiada” che Amun introdusse nel corpo di Ahmes,nacque appunto Hatshepsut, che il dio “baciò, abbraciò e cullò” e a cui concesse “di essere al disopra i tutti i viventi”.Mai nascita reale è stata descritta con tanta struggente delicatezza e sapienza politica insieme:unendo le figure del padre e del dio, Hatshepsut dichiarò la sua regalità per diritto di nascita eper volere divino. Lei era il faraone e come tale poteva usarne titoli e vesti: da qui le sueraffigurazioni con la barba rituale, con in mano lo scettro heqa e il flagello nekhaka, con indossoil perizoma reale shendut; da qui anche l’uso dei nomi e degli aggettivi maschili che tanto hannoimpegnato generazioni di egittologi.

Il faraone parlava con le divinità ed era lui stesso il figlio del sole; faceva piovere e tracimare ilNilo fecondo sopra le rive: egli rappresentava il maat, la verità divina, l’ordine di tutte le cose. Efaraone Hatshepsut lo fu nel pieno senso della parola, mostrando nei suoi 22 anni di regno, unacapacità e una forza politica senza precedenti. Non solo riuscì a trattenere lontano dal poterel’erede designato Thutmosi III, ma favorì l’economia interna, innalzò grandiosi obelischi, costruìtempli sontuosi e infine controllò strettamente ogni apparato del regno, mettendovi a capopersone abili e devote.Con la spedizione nella terra di Punt, (1470 a.C.) - una missione commerciale per importare dalCorno d’Africa oggetti e materie preziose - Hatshepsut mostrò infine ai suoi sudditi di essereinteressata più al buon andamento del governo e all’economia, che non alle imprese militari.Seguì quindi una linea politica accorta e illuminata, che i suoi successori tuttavia non recepirononé tantomeno apprezzarono.

La tomba del faraone Hatshepsut Maatkare, nella Valle dei Re, venne quasi distrutta, la suamummia trafugata; i geroglifici del suo nome cancellati dagli obelischi, dalle pareti dei templi edalle colonne; le immagini subirono la stessa sorte, scalpellate con forza dai bassorilievi.L’artefice di buona parte di questo scempio fu il successore, il fratellastro-nipote Thutmosi III.Sui motivi che lo spinsero a un simile gesto non vi è concordia né chiarezza. Raggiuntofinalmente il trono alla morte della regina (1458 a.C.) dopo più di vent’anni di prigionia dorata,Thutmosi III non mostrò infati alcun proposito i di vendetta verso la donna che lo aveva tenutolontano dal potere. Anzi, per un altro ventennio si dedicò con energia e acume esclusivamente algoverno del paese: scelse nuovi dignitari per gli uffici di corte e si impegnò nella difesa militaredei confini esterni e nelle missioni di conquista.La rivincita su Hatshepsut, il nuovo faraone la scatenò invece molto più tardi: secondo gli ultimistudi quasi alla fine del suo regno. Solo allora egli diede l’ordine di cancellare o sostituire ogniimmagine e cartiglio della donna che osò nominarsi faraone.

Per gli Egizi nome e ritratto avevano un potere sacro: scrivere e pronunciare il nome, scolpirel’immagine di una persona equivaleva a farla vivere per sempre. Cancellare entrambi voleva direinvece distruggerli dalla memoria e quindi condannarli a un destino peggiore della morte: l’oblio.Ma perché allora si aspettò osì tanto? Gli studiosi ancora se lo domandano. Alcuni egittologihanno ipotizzato che la decisione venne presa non sotto la spinta di rancori personali, ma atavolino, nel quadro della successione da Thutmosi III ad Amenhotep II, per eliminare i rischi diuna linea dinastica parallela e concorrente discendente da Hatshepsut.In realtà la damnatio memoriae di Hatshpsut rimane avvolta nel mistero, come ancora sconosciutirisultano non pochi aspetti della sua vicenda personale e politica, propio a causa della furiadistruttrice che si accanì sul suo nome.Per fortuna la “figlia del Sole” ha lasciato di sé tante e tali tracce che gli scalpellini del successorenon sono riusciti a cancellarla completamente dalla storia. È di pochi mesi fa la notiziadell’apertura al pubblico, dopo decenni di restauri, della terza terrazza di Deir el-Bahari. Da 3500anni la cappella di Hatshepsut, nella porzione superiore del “sublime dei sublimi”, non accogliesacerdoti officianti; da oggi in poi ospiterà frotte di turisti e appassionati, che a modo lorotramanderanno la memoria di una grande regina.

• L'ARRANOBELTZA Simbolo dei Paesi BaschiL’aquila, volatile intrepido e maestoso, è emblema della Forza e del Sole in numerose mitologie.Fra i Greci e i Persiani era consacrata al Sole, fra i Romani a Giove, e nel Medioevo erarappresentazione di gloria e di maestà e simbolo del potere imperiale. L’origine del simbolodell’aquila nera basca, o arranobeltza , risale al regno di Sancho VII di Navarra detto il Forte(ultimi anni del XII secolo). Pare comunque certo che quest’emblema esistesse già anteriormente.L’inizio dell’utilizzo degli emblemi araldici, diffusosi rapidamente per tutta l’EuropaOccidentale, risale proprio alla seconda metà del secolo XII. Gli emblemi contribuirono allaformazione di una coscienza collettiva della nazionalità, di stirpe o di famiglia, in un’epoca in cuila comunicazione visiva era preponderante su quella scrittaDel primo sigillo usato da Sancho VII il Forte (1194-1234) esiste un’impronta conservata nellacattedrale di Saragozza. é un sigillo a due facce, di 88 mm. di diametro, in cera naturale di colorescuro. Sul diritto riporta la figura di un re montante un cavallo coperto con una gualdrappa; il re èarmato di una lancia e imbraccia uno scudo recante l’emblema di un’aquila. Sul rovescio èrappresentata la stessa aquila.

• Entrata di Carlo VIII a Firenze, tela di Giuseppe Bezzuoli 1827Opera che ricorda un episodio storico di grande significato simbolico per la storia italiana: lavenuta in Italia del re di Francia Carlo VIII (1470-1498, re di Francia dal 1483) con l'intento diconquistare il Regno di Napoli. Questo episodio rappresenta, in pratica, l'inizio delle campagne diconquiste operate dalle potenze europee (in particolare Francia e Spagna) dei territori italiani, equindi il declino non solo degli stati signorili italiani formatisi nel Trecento e Quattrocento, maanche di una possibile unificazione della penisola in un unico regno nazionale. Dopo la fine degliSvevi con la morte di Manfredi, l'arrivo in Italia di Carlo VIII ha un alto significato simbolico perla cultura e l’intellighenzia italiana agli inizi dell'Ottocento, separata in più stati sottomessi apotenze straniere. Anche quest'opera quindi ha chiari significati risorgimentali, rientrando nelclima romantico del tempo, anche se lo stile pittorico del Bezzuoli rimane comunque ancorato adun solido impianto neoclassico.

• Tucidide:(testo tratto da http://citazioni.altervista.org/) Nato il 460 a.C. circa e morto il 395 circa a.C.Figlio di Oloro, ricco e nobile cittadino del demo di Alimunte, imparentato forse con la famigliareale di Tracia, trascorse la giovinezza nel fervido clima culturale dell'età di Pericle e fu educatonelle scuole dei sofisti, di cui assorbì i princìpi retorico-filosofici. Sopravvissuto alla peste del430 a.C., partecipò alla guerra del Peloponneso nel 424 a.C. quale stratego al comando di unaflotta di sette navi, che dalla base di Taso doveva collaborare alla difesa di Anfipoli e dellapenisola calcidica. Il fallimento della missione gli costò l'esilio. La grave pena scontata non si sadove esattamente (in parte a Scapte Ile) lo mise nella condizione di poter accostare gli alleati diSparta e le poleis neutrali e di osservare più obiettivamente il conflitto in corso tra Ateniesi eSpartani, nonché di procurarsi la documentazione per l'opera storica che meditava di scrivere. Ildisastroso sviluppo della guerra, con le conseguenti amnistie degli esuli (tra il 406 e il 403 a.C.),riportò, sembra, vent'anni dopo Tucidide ad Atene, dove sarebbe morto all'inizio del IVsec. a.C.di morte violenta. Secondo un'altra tradizione avrebbe cessato di vivere, sempre per manoassassina, in Tracia. La sua opera, interrotta dalla morte improvvisa e a noi pervenuta con il titologenerico di Xyngraphe o di Historíai (Storia), narra la guerra del Peloponneso dall'inizio fino allabattaglia di Cinossema (estate del 411 a.C.). La ripartizione in otto libri, fatta in età ellenistica,raggruppa gli avvenimenti in un ordine che non è quello originario e che ha dato origine a unadibattuta questione sulla cronologia e sul metodo di composizione delle singole parti. Secondo laripartizione tradizionale e la tesi unitaria dell'opera, che non esclude revisioni e in taluni puntidivergenze di giudizi, la narrazione si apre con un proemio che, mentre illustra l'importanza dellaguerra del Peloponneso e traccia una rapida sintesi della preistoria dell'Ellade, a cominciare dallatalassocrazia minoica (archaiología), espone i criteri scelti per appurare la veridicità dei fatti edeterminare le ragioni dei contrasti attraverso la rielaborazione dei discorsi (demogoríai)pronunciati dai protagonisti. Seguono poi le cause occasionali dell'immane conflitto e ilprogressivo allineamento delle diverse poleis con l'una o l'altra delle due contendenti (1. I). Siinizia, quindi, con la divisione in semestri invernali ed estivi, il dettagliato racconto delleoperazioni militari e dei maneggi diplomatici di Atene e di Sparta dall'inizio della guerra, finoalla pace di Nicia (421) [1. II - cap. 24 del v]. La ripresa a breve scadenza delle ostilità e labrutale sottomissione da parte ateniese dell'isola di Melo costituiscono il contenuto del resto dellibro V, mentre i libri VI e VII sono riservati come un tutto organico al dramma della disastrosaspedizione di Sicilia. L'ultimo libro comprende in forma abbozzata e senza discorsi i fatti deglianni 412 e 411 a.C. (guerra deceleica), interrompendosi all'estensione del conflitto in AsiaMinore, susseguente al tentativo delle due contendenti di attirare la Persia dalla loro parte. lnaperta o sottintesa polemica con Erodoto, Tucidide ha introdotto nella storiografia greca profondee originali innovazioni. Scelti come argomento della trattazione gli avvenimenti contemporanei,se ne procura la documentazione con un'accurata ricerca e selezione delle fonti secondo il criteriodell'attendibilità. A codesto procedimento di rigorosità scientifica si accompagna l'indaginespassionata delle cause dei fatti, ricondotte in un ambito puramente umano e distinte inoccasionali ed effettive. Eliminato ogni intervento di forze trascendenti, il movente delle azioni,sulla scorta delle dottrine sofistiche, è riportato alla brama di potere, alla legge del più forte, allaricerca dell'utile particolare. L'esposizione dei fatti, colti nelle concatenazioni causali e illustratinei motivi determinanti quali risultano dai discorsi dei protagonisti, porta a una visione concretadella realtà storica. Donde il carattere politico e il fine eminentemente pratico dell'opera: più cheuna composizione da recitarsi in pubblico nel corso di una gara essa è un bene per sempre (Ktêmaes aéi), offerto alla intelligenza quale strumento per la creazione di una scienza storico-politicavolta alla razionale interpretazione degli avvenimenti umani. Così impostata con vigoroso

metodo scientifico, è ravvivata da un'acuta introspezione psicologica, che mette in rilievo gli statid'animo degli individui e delle moltitudini; lo stile sobrio, conciso, non esente talora da oscurità,raggiunge potenti effetti drammatici. Circa la fortuna dell'opera tucididea, va detto che Tucidide,più che presso gli antichi, che pur ne imitarono largamente i pregi formali, ha trovato la sua esattavalutazione presso i moderni, che lo considerano il fondatore di una concezione puramenterazionalistica della storiografia.Per approfondimenti Reinhart Koselleck, Erodoto e Tucidide(http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=330)

• Polibio:(testo tratto da http://www.dm.unife.it/esegesi/polibio.html) Originario di Megalopoli, Polibiovisse ca. tra il 200 e il 118 a.C.; compose le Storie in 40 libri di cui sono conservati per interosolo i primi 5 e solo in estratti i rimanenti, incentrate sugli avvenimenti che videro l’ascesa dellapotenza romana tra il 220, inizio della seconda guerra punica, e il 146 a. C., contemporaneadistruzione di Cartagine e di Corinto.La stessa biografia di Polibio, oltre che la sua importante riflessione di storico, si intreccia con levicende dell'espansione romana nel Mediterraneo. Nel 168, dopo la sconfitta dei Greci a Pidna,nella confusa resa dei conti dei romani con la fazione filomacedone della lega achea, fu costrettoa Roma per subire un processo; stretta un'amicizia con Scipione Emiliano, di cui divenneprecettore, Polibio si ritrovò al centro della vita culturale e politica dell'urbe e poté assistere aimportanti eventi, quali la presa di Cartagine e l'assedio di Numanzia, e condurre diversi viagginei territori conquistati, sempre al fianco di Emiliano che divenne il suo protettore.La cifra di Polibio consiste, essenzialmente, in una serrata riflessione di tipo politico e militaresull'irresistibile ascesa della potenza romana, di cui fu spettatore; da qui muove l'interesse per laricerca storiografica, nel quadro di una tradizione ben radicata nel mondo greco, ma senzaparticolari inenti di ricerca stilistica. La sostanza, nei suoi intenti, deve prevalere sulla forma. Inogni caso, gli scritti di Polibio, unica testimonianza superstite di una certa consistenza dellastoriografia ellenistica, sono di grande importanza anche ai fini di una conoscenza dei modilinguistici della koiné diálektos , la lingua comune che soppiantò le varietà dialettali del mondogreco. L'obiettivo di Polibio, sulla scorta di Eforo, è quello di offrire una visione universale dellastoria, resa appunto possibile dalla conquista romana di quasi tutta l'ecumene. Il soggetto deldiscorso storico è offerto esclusivamente dai fatti politico-militari, senza alcuna indulgenza alledigressioni di tipo etnografico ed erudito; una storia 'pragmatica', dunque, come egli stesso ladefinisce, basata sulla ricerca e l'analisi delle fonti, sulla competenza politica (il VI libro èinteramente dedicato alla 'teoria delle costituzioni'), sulla visione autottica delle città dei luoghi incui si sono svolti gli eventi narrati. Da qui discende l'importanza della competenza geografica: lageografia è parte della storia (cfr. per es. III 57-59, etc.); da qui, inoltre, si distingue lo storico'pragmatico', che ha una conoscenza diretta dei luoghi, rispetto all'erudito che basa il suo lavoroesclusivamente sulle fonti.

• Tito LivioNacque a Padova da una modesta famiglia municipale. Forse si trasferì presto a Roma, dove sioccupò di retorica e filosofia; ma nulla ci è rimasto di questa sua attività. Di tendenzeconservatrici e repubblicane, non volle mai cimentarsi nella vita politica, e fu schivo di cariche enotorietà. La sua fama divenne vastissima a partire dal 27-25 a.C., quando iniziò la preparazionedella sua grande opera storica che lo occupò fino alla morte. L’imperatore Augusto, con cuiaveva un rapporto di grande familiarità, nonostante divergenze di ordine ideologico, gli affidò

forse l’educazione del nipote adottivo Claudio, il futuro imperatore; Livio, del resto, aveva datempo accettato “ la pace augustea”, approvandone in particolare la vasta e complessa opera diriforme economiche e sociali e tributando alla figura di Augusto stima e ammirazione singolari inun uomo di fede repubblicana. Morì forse a Padova.Le Historiae L'opera storiografica liviana fu iniziata probabilmente intorno al 27 a.C., nelmomento in cui il regime augusteo gettava le basi per il suo consolidamento politico eculturale. Comprendeva 142 libri che recano il titolo tradizionale "Ab Urbe condita" ma cheerano conosciuti dai contemporanei e dai posteri immediati anche come "Historiae" o come"Annales". Essi contengono la narrazione degli avvenimenti a partire dalla fuga di Enea da Troia( e quindi dalle lontane mitiche origini di Roma ) fino al 9 d.C., l'anno della morte di Druso,figliasrto di Augusto. L'opera non sembra compiuta, e si è ipotizzato che il progetto finaleintendesse giungere, attraverso 150 libri, alla morte de Augusto (14 d.C.).Ci sono pervenuti solo 35 libri (I-X; XXI-XXX; XXXI-XLV) che coprono gli anni: dallafondazione di Roma al 293 e dal 218 al 167 a.C.; data la vastità dell'opera, presero a circolare findall'antichità dei compendi: si ricorda in particolare quello di Anneo Floro (I-II secolo d.C.), e lePeriochae o riassunti, uno per ciascun libro, risalenti forse al IV secolo d.C.

• Agostino, vescovo di Ippona (Tagaste, 354 - 430)(testo tratto da http://art.supereva.it/filo3000/agostino.htm?p) Ai pagani il sacco di Roma del 410appare una punizione degli dei per aver consentito l' affermazione della religione cristiana nell'impero . Per Agostino la colpa della razza umana nel suo insieme spiega e giustifica ognitribolazione , ma scrivendo " la Città di Dio " egli vuole anche mostrare la superiorità delcristianesimo rispetto a tutte le istituzioni e le forme di cultura puramente umana . Al centro é iltema della provvidenza divina : é Dio che fa nascere e perire gli imperi . E' convinto che lavicenda della vera Chiesa non sia e non possa essere condizionata dalle vicende umane e travoltacon esse in un sol destino . Per dimostrarlo egli elabora una teologia della storia . Questa nondeve essere confusa con una filosofia della storia , che tenti di individuare un significatoimmanente ai fatti storici . Il significato degli eventi storici é invece dato dalla struttura teologicasottesa al loro avvicendarsi . Tale struttura é ritmata dai momenti salienti della creazione delmondo , del peccato originale , dell' incarnazione di Cristo e del giudizio finale : le vicendestoriche dipendono , quindi , dall' ordinamento voluto da Dio . All' interno di tale ordinamentoanche il negativo può trasformarsi in positivo . In tal modo , l' intero corso della storia può essereconcepito carico di significati , che il credente può cogliere soltanto parzialmente , perchè ilsignificato globale é noto solo a Dio . Passato , presente e futuro sono in gran parte per l' uomoopachi . Tuttavia é possibile , secondo Agostino , individuare il filo che percorre l' intera storiauniversale nei suoi momenti decisivi . Contro il parere prevalente dei filosofi antichi , Agostinoritiene che la storia abbia una durata limitata e che la sua epoca , in cui il mondo é ormai vecchio( senectus mundi ) , sia vicina alla fine . Egli rifiuta la dottrina ciclica dell' eterno ritorno , propriasoprattutto degli stoici ; se così fosse , egli obietta , non sarebbe possibile essere felici in modostabile e duraturo . La vicenda storica ha invece un andamento lineare , il quale sfocia in unevento finale ultraterreno , che dà senso a tutto quanto procede . E' questa la prospettivaescatologica di Agostino , ma avendo abbandonato la credenza in possibilità umane autonome ericonosciuto il peso determinante della grazia divina nell' economia della salvezza , egli non puòammettere la concezione di un progresso lineare ininterrotto verso la beatitudine finale . Il filorosso della storia é dato invece dalla lotta tra il bene e il male , che si costituiscono in 2 regni , deiquali Agostino indaga l' origine , la durata e la fine . In tal modo , egli riprende alcuni aspetti delsuo manicheismo giovanile ; ma distingue anche la storia sacra da quella profana , pur

riconoscendo che prima dell' evento finale , i due regni coesistono , intrecciati e confusi tra loro .Agostino distingue tra due città : la città di Dio , ovvero la città celeste , retta dall' amore di Dio ,e la città terrena , dominata dall' amore in sè . La prima é costituita dagli uomini giusti , chevivono secondo lo spirito ; la seconda invece dagli ingiusti , angeli ribelli , diavolo e uomini , chevivono secondo la carne . La lotta tra le 2 città ritma il corso della storia e prende il sopravventosullo schema della successione delle età del mondo . Sin dalla caduta di Adamo la razza umana éstata divisa in due città : l' appartenenza a ciascuna delle due dipende solo dalla grazia divina .Già prima di Cristo infatti alcuni uomini facevano parte della città di Dio . Il termine città ,civitas , indica la comunità dei cittadini , il corpo al quale essi appartengono e nel quale trovanola propria identità . Coniando la nozione di città celeste , agostino dava ai suoi fedeli il senso e lacertezza di essere popolo di Dio , rafforzandone i legami interni di solidarietà di fronte a unmondo ostile . Un popolo , infatti , si definisce in relazione a ciò che ama : sulla base di ciò cheama esso fonda la propria unità e costruisce rapporti di subordinazione e obbidienza . Pertanto lacittà terrena non deve essere identificata con lo Stato ; essa é pittosto la società che venera gli "dei falsi e bugiardi " , come li definisce Dante , dei demoni e perciò non vive secondo i veri valori. Nasce di qui la " libido dominandi " , il desiderio del potere , su cui si fonda la città del diavolo ,ossia gli imperi umani , che coltivano i culti pagani . I membri della città terrena rifiutano , infatti, di cinsiderare effimero ciò che essi hanno creato e in tal modo sconvolgono l' ordine delle cose .Quest' ordine é costituito dalle relazioni naturali di dipendenza tra le varie parti che locompongono : il rispetto di queste relazioni si caratterizza come obbedienza delle parti inferioriverso quelle superiori nell' ordine gerarchico . Agostino ammette la liceità del dominio di unuomo su un altro uomo ; anch' esso , infatti , diventa necessario come conseguenza della cadutadi Adamo nel peccato . L' autorità e l' obbedienza sono quindi necessarie per impedire violenzereciproche , non a caso Agostino ravvisa in Caino il capostipite della città terrena . La politica siconfigura allora come mezzo per garantire la sicurezza e impedire la violenza . Negli ultimidecenni della sua vita , Agostino tende a scorgere nello Stato una sorta di braccio secolare dellaChiesa , ma ciò non lo conduce alla tesi che la Chiesa come istituzione visibile debba esercitare ildominio sulla città terrena , come sarà poi sostenuto durante la lotta tra il papato e l' impero nell'età medioevale . La città di Dio é la Chiesa di quanti vivono secondo Dio . Essa non coincidenumericamente con tutti quanti fanno parte della Chiesa visibile ; non a tutti , infatti , Dioelargisce la sua grazie . Il criterio in base a cui Agostino distingue tra la Chiesa visibile e laChiesa vera é dato dall' evento che emergerà alla fine della storia . La Chiesa sarà di puri soltantonel giorno del giudizio finale . Prima di allora il membro della città di Dio é solo peregrinus , cioèuno straniero in terra . Per lui si tratta di vivere nel mondo , dove si trova " come un' olivapressata in un frantoio " , ma distaccato dal mondo , in attesa di ritornare alla sua terra . In questomondo non potrà mai realizzare il desiderio umano fondamentale : il desiderio di pace . Nellacittà terrena e nella stessa vicenda storica , nella quale bene e male coesistono intrecciati e inperenne conflitto , non é possibile la realizzazione della vera pace , la pace raggiunta in terra ésoltanto strumentale ed effimera . Solo la resurrezione finale apporterà la risoluzione di ognitensione e di ogni conflitto , tra carne e spirito e tra uomo e uomo . Allora si realizzerannopienamente la vera pace e la vera libertà di non poter peccare : il bene trionferà completamentesoltanto alla scomparsa della storia .Altri approfondimenti http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=163

• La visione della storia nell’IlluminismoTesto di Egle Betti Schiavone, Lo "Sguardo degli altri": la critica della civiltà europea nella"Lettere persiane" di Montesquieu sintesi della tesi di laureaTratto da http://host.uniroma3.it/facolta/politiche/polis/sintesi/html/betti_se.htmNel primo capitolo (Montesquieu e l’Illuminismo), a carattere introduttivo, è stato analizzato ilrapporto tra Montesquieu e l’âge des Lumières. Prendendo le mosse da un celebre articolo diKant Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärug (1784), sono state innanzitutto messe in luce lecaratteristiche fondamentali della Weltanshauung illuministica. Sapere Aude! Abbi il coraggio diservirti della tua propria intelligenza! Questo è il motto dell’Illuminismo, scrive Kant. Usareliberamente e pubblicamente la propria ragione significa assumere un atteggiamento critico neiconfronti dell’esistente e di ogni tesi preconcetta. Scaturisce da tale posizione la battaglia contro ipregiudizi, i miti, le superstizioni e contro tutti gli impedimenti sociali e politici che hannoostacolato l’uso critico dell’intelletto, soffocando le energie vitali dell’individuo: la tradizioneaccettata passivamente, l’autorità delle verità trasmesse dogmaticamente come oggettive, ilpotere politico imposto attraverso un uso dispotico ed arbitrario della forza, l’effetto coercitivo e‘mistificante’ delle religioni positive, con il contenuto assiologico dei loro dogmi, non indagatisul piano storico. Tutto deve essere sottoposto al ‘tribunale’ della raison. L’esaltazione dellaragione e della libertà, il rifiuto del dogmatismo e dell’autoritarismo, la denuncia delle istituzionioppressive del passato, l’impegno nelle riforme, l’incremento del progresso, la diffusione dellacultura e della filantropia sono le linee essenziali del siècle philosophique. In questo senso l’operadi Montesquieu- come sostiene Casini- erede della cultura laica e libertina, nutrita dei più vitalifermenti del razionalismo moderno contribuì alla grande battaglia d’opinione promossa daiphilosophes. Essa rappresentò in Francia ed in Europa, un vigoroso appello per la conquista e ladifesa della libertà politica, per la promozione della riforma delle istituzioni, per l’affermazioneed il consolidamento della autonomia dello Stato dalle confessioni religiose. In tal sensol’Illuminismo sviluppò e maturò i dettami della teoria politica moderna: dalla teorizzazione diBodin della nozione di sovranità politica alle istanze espresse dal giusnaturalismo seicentesco,recependo le indicazioni di Grozio, Hobbes e Locke.

In secondo luogo è stato affrontato il problema religioso. Il secolo dei Lumi appare infatti, sindall’inizio, fortemente polemico nei confronti delle religioni positive e delle grandi fedi storichedell’umanità occidentale: ebraismo, cristianesimo, islamismo, di cui denuncia il ricorso al‘mistero’ e ai ‘miracoli’ come forme di legittimazione non conformi a ragione. Questo nonsignifica che il Settecento sia stato un secolo antireligioso, affetto da miscredenza: gli intellettualiéclaires rifiutano una accettazione passiva della fede e dei dogmi; il loro scopo è quello diritrovare una fede epurata dalle ‘incrostazioni’ delle superstizioni, fondata sulla constatazione chein ogni essere umano, in ogni popolo e civiltà, esiste un principio di ordine naturale. Ammetterel’esistenza di una religione naturale non implica il rifiuto del soprannaturale come possibileipotesi logica di spiegazione ontologica delle origini del mondo, ma assolve al compito storico-sociale dell’affermazione e della difesa del principio di tolleranza sul piano civile e politico.Eredi, sotto questo aspetto, della critica di Montaigne, ripresa e rielaborata dagli assertori del‘libero pensiero’ seicentesco, i philosophes trasferirono la battaglia religiosa dalla rimessa indiscussione delle verità dogmatiche, rivelate dalle Sacre Scritture, dal piano intellettuale eteologico a quello politico-sociale, memori dell’esperienza delle guerre di religione, che avevanoinsanguinato l’Europa contribuendo, in tal modo, all’ulteriore laicizzazione della concezionepolitica.

In terzo luogo è stato analizzato l’atteggiamento dell’âge de la raison nei confronti dei problemipolitico-giuridici. Nello specifico è stato evidenziato l’impegno riformistico, comune a quasi tuttii philosophes con particolare riferimento al programma di riforme che traspare dalle LettresPersanes di Montesquieu, di cui è innegabile il contributo sul piano dell’affermazionedell’Illuminismo giuridico. Non è stato inoltre trascurato il tema dei ‘diritti naturali’ chel’Illuminismo deriva dal giusnaturalismo seicentesco ed in particolare da Locke.

Infine è stato preso in esame il rapporto tra l’âge des lumières e il mondo storico. Sulla scortadelle più recenti acquisizioni interpretative, che hanno scagionato l’Illuminismo dall’accusa di‘anti-storicismo’ rivoltagli dalla cultura romantica e dall’idealismo, è stata messa in luce lapeculiare ‘ri-conquista’ del mondo storico da parte dei principali interpreti dei Lumi, che allastoria, espunta ‘dall’albero’ del sapere scientifico dalla critica seicentesca, ribadita da Cartesio,ridiedero dignità come campo di indagine conoscitiva. Grazie ai philosophes si giunge ad unavisione della storia come processo graduale di incivilimento, che da una esistenza selvaggia,attraverso una condizione intermedia di barbarie, perviene ad uno stato di civiltà effettiva, incostante progresso. La storia si configura dunque come storia della civiltà. Sono stati indicatiquali punti nodali di tale processo la Querelles des Anciens et des Modernes, con particolareriferimento a Fontenelle, e la pubblicazione del Dictionnaire historique et critique di Bayle.L’importanza della concezione illuministica della storia come momento fondamentale dellaformazione della coscienza storica moderna, è dunque oggi un fatto acquisito soprattutto grazieagli studi condotti da Dilthey, Cassirer e Meinecke. Infine si è brevemente accennato a quelli chesono stati gli sviluppi della ricerca sul XVIII secolo relativi agli ultimi trent’anni in Italia.

Nel secondo capitolo (Vita ed opere di Montesquieu) è stata esaminata la vita di Montesquieu.Dopo aver constatato la notevole influenza sulla produzione letteraria del filosofo di La Brèdedell’istruzione ricevuta presso il collegio di Juilly, è stata valutata la sua attività comeparlamentare, consigliere al Parlamento di Bordeaux, ed accademico, membro dell’Académie desSciences, Lettres et Arts, nonché della ben più prestigiosa Académie française. La morte dello zioJean-Baptiste de Montesquieu, di cui erediterà il titolo e i beni, ma, soprattutto, la carica diPresidente à mortier del Parlamento di Bordeaux, rivoluzionerà totalmente la vita del pensatoredi La Brède. È questo il preludio di una nuova fase della sua vita in cui egli si dedicheràinteramente alla sua attività di studioso. Significativo è il lungo viaggio attraverso l’Europacontinentale ed insulare, intrapreso da Montesquieu nella primavera del 1728 e conclusosi quattroanni dopo, nella primavera del 1731, nel corso del quale egli raccoglie preziose informazionisulle istituzioni e i costumi dei paesi visitati, su cui avrà modo di riflettere e che glipermetteranno di pubblicare, nel 1734, le Considérations sur les causes de la grandeur desRomains et de leur décadence e nel 1748, il suo capolavoro, l’Esprit des Lois.

Il terzo capitolo (Montesquieu e le Lettres Persanes) è interamente dedicato alle LettresPersanes. Innanzitutto sono state prese in esame tutte le diverse edizioni dell’opera: le due del1721, rispettivamente del maggio e di ottobre, quella del 1754, nota come l’édition avecSupplément, quella del 1758, curata dal figlio di Montesquieu, Jean-Baptiste de Secondat edall’avvocato Richer. Non è stato trascurato poi il cosiddetto ‘affare dei Cahier de correction’che rimette tutto in discussione. In secondo luogo si è tentato di ricostruire la genesi dell’operadal momento che lo stesso Montesquieu non fornisce alcuna indicazione a riguardo. Sono statepoi ricercate le fonti alle quali il filosofo di La Brède ha attinto, con particolare attenzioneall’opera di Marana, l’Espion du Grand Seigneurs, considerato il modello delle Lettres Persanes.

È stata poi valutata l’influenza del clima politico, economico, sociale, religioso e culturale dellaFrancia agli inizi del XVIII secolo nella stesura dell’opera. Infine ne è stata analizzata la strutturatenendo conto dell’interpretazione proposta da Paul Vernière.

Nel quarto capitolo (Montesquieu e l’Europa: il significato ed il valore delle Lettres Persanesrispetto alla nascita dell’Europa) si è tentato di analizzare il nesso esistente tra le LettresPersanes e l’idea d’Europa così come si andava profilando nel corso del Settecento. Si è prestatainoltre attenzione al ruolo svolto dalle scoperte geografiche e al loro influsso sulla mentalitàeuropea, le cui radici vanno rintracciate nel Cinquecento ed in particolare, nella posizione criticadi Montaigne. Egli fu il primo ad impostare in modo nuovo i rapporti fra il Nuovo ed il VecchioMondo, contribuendo con la sua scepsi alla rimessa in discussione dei valori consolidati dallatradizione, che per un verso, avrebbero scosso il primato dell’antica civiltà europea e per l’altro,avrebbero offerto spunti per una ridefinizione del mondo moderno. Da questa nuova prospettivanacque e si alimentò il mito dei ‘felici mondi’ lontani, destinato ad incrementare il tema del ‘buonselvaggio’, che tanta risonanza ebbe nel corso del Settecento, segnatamente presso Rousseau.Particolarmente significativa in tale contesto è la critica di Montesquieu la cui polemica anti-europea, come viene evidenziato nella tesi, assolve al compito non già di ricusare l’idea diEuropa, bensì di offrire strumenti e spunti di riflessione per trasformare la civiltà europea, di cui èconvinto assertore, nel tentativo di epurarla e difenderla da ogni forma di dispotismo. Tra le finedel Seicento e l’inizio del Settecento, la critica della religio quale instrumentum regni, giàsviluppata dal pensiero libertino, che aveva smascherato la matrice utilitaristica del ricorso delpotere politico a giustificazioni fideistiche, prende corpo e si sviluppa, trasformandosi inpolemica diretta nei confronti della religione europea per eccellenza: quella cristiana, i cui dogmipositivi, sono, secondo i philosophes, la causa prima del fanatismo e dell’intolleranza. Questoatteggiamento critico trova la sua più efficace espressione in uno specifico genere letterario:quello dei viaggi-fantastici, che offrono con i loro racconti pseudo-veritieri l’opportunità dimettere a confronto civiltà diverse. Sovente si ricorre allo stratagemma delle raccolte di lettere,che si fingono scritte da un non-europeo, in viaggio per l’Europa, il quale informa i suoi amicicirca i costumi, le istituzioni politiche e religiose dei paesi visitati, mettendone in luce i limiti e idifetti Alla nozione di superiorità degli europei si sostituisce quella di ‘diversità’: ‘l’altro’ cessainfatti di essere il nemico sconosciuto ed enigmatico per diventare il testimone, il giudice il cuisguardo impietoso mette a nudo la corruzione e la degenerazione dei costumi del VecchioMondo, denunciandone l’ipocrisia e l’ingiustizia. Di tal genere le Lettres Persanes sonocertamente uno degli esempi migliori. La critica della società europea fatta da Montesquieu sisviluppa su tre piani: quello sociale, quello politico e quello religioso. Scopo di tale opera non ètanto misconoscere il valore ed il significato della civiltà europea -tant’è vero che dal confrontocon l’Asia l’Europa non ne esce svilita- ma tentare, attraverso la comparazione di forme dicivilizzazione diverse, di cogliere il significato globale del processo storico, per identificarne ecoglierne le intrinseche leggi di sviluppo

Il quinto capitolo (Le Lettres Persanes e la critica della civiltà europea) analizza in modospecifico, attraverso il commento dei passi più significativi delle Lettres Persanes, la critica dellasocietà, della politica, della religione europee svolta da Montesquieu.

Sul piano sociale Montesquieu denuncia l’instabilità generale che regna in Francia dopo la mortedi Luigi XIV, favorita dalle vane controversie religiose e soprattutto dal fallimento del ‘sistema diLaw’. In questa ‘anarchia’ le donne giocano un ruolo che i Persiani giudicano pernicioso: questi

si scandalizzano soprattutto della loro frivolezza e dei loro costumi libertini. Particolareattenzione è stata, tra l’altro, dedicata alla lettera XXXVIII, interamente consacrata al problemafemminile, in cui appare chiaramente, secondo Magné, l’influenza delle teorie di Poullain de laBarre. Pungente è la critica delle istituzioni quali, ad esempio, l’Académie française el’Université de Paris, i cui membri appaiono inconcludenti e grotteschi, impegnati in discussioniinutili. Ovunque regna l’incompetenza, Parigi non è che un grande ‘salotto’. L’Occidente recitadunque nelle Lettres Persanes una vera e propria comédie sociale: questa è la chiave di volta ditutta la critica di Montesquieu.

La polemica diventa ancora più interessante quando ci si sposta sul piano propriamente politico.Significativa è la riflessione sulla forma di governo repubblicana e su quella monarchica, cheanticipano quella ben più famosa svolta nell’Esprit des Lois. A riguardo è stata presa in esame laparticolare interpretazione di Landi: questi individua accanto alla forma ‘normale’ o ‘tipica’ dellamonarchia, due ‘sottotipi’ di essa. Più precisamente il ‘sottotipo’ della monarchia tendente aldispotismo, attraverso cui Montesquieu cerca di dar conto di quel complesso fenomeno che èl’assolutismo dei secoli XV-XVIII, ed il ‘sottotipo’ della monarchia tendente alla repubblica,attraverso cui egli cerca di spiegare la realtà socio-politica inglese della prima metà delSettecento. Infine sono state analizzate le cinque lettere dedicate al mito dei Trogloditi il cuiinteresse, secondo Shackleton e Cotta, risiede essenzialmente nella critica implicita, che vi èsottesa, alla dottrina di Hobbes ed in parte a quella di Shaftesbury.

Il terzo aspetto preso in esame è quello religioso. Vivace e serrata è nelle Lettres Persanes lacritica alla religione: i bersagli più evidenti sono rappresentati dal dogma, sul piano teoretico,dall’intolleranza e dal proselitismo da cui scaturiscono, sul piano empirico, conflitti e guerre. Inaltri termini, ciò che Montesquieu mette in discussione sono gli effetti negativi delle religionipositive: il filosofo di La Brède si dimostra infatti intimamente religioso ma non credente nelsenso confessionale della parola. Egli aspira ad una religione naturelle fondata sul rifiuto deidogmi e dei culti, su una devozione individuale di stampo deistico, incentrata su un ideale ditolleranza e soprattutto sulla pratica di una morale individuale e sociale. Siamo dunque già nelpieno di quel clima che contraddistinguerà il resto del secolo.

Nel sesto ed ultimo capitolo (L’eredità irrisolta dell’Illuminismo: cosmopolitismo onazionalismo?) si è infine cercato di dare una risposta al quesito sull’eredità irrisoltadell’Illuminismo: cosmopolitismo o nazionalismo? A tal fine si è tentato di ricostruire, seppurebrevemente, la storia dell’idea di nazione in particolare attraverso l’esame del pensiero di Herder, Rousseau, Schlegel ed infine Guizot.

Bibliografia

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