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free BARRY SHEENE 1976-2016: 40 ANNI DALLA NASCITA DEL MITO * LA STAGIONE DI MOTOGP, SBK E CROSS RACCONTATA DA TRE STAR DELLA FOTOGRAFIA SPORTIVA * L’ALBUM PRIVATO DI FABRIZIO PIROVANO * L’ALLEGRO CHIRURGO: I RETROSCE- NA PIÙ DIVERTENTI NELLA STORIA DELLA CLINICA MOBILE 98

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BARRY SHEENE 1976-2016: 40 ANNI DALLA NASCITA DEL MITO

* LA STAGIONE DI MOTOGP, SBK E CROSS RACCONTATA DA TRE STAR DELLA FOTOGRAFIA SPORTIVA * L’ALBUM PRIVATO DI FABRIZIO PIROVANO * L’ALLEGRO CHIRURGO: I RETROSCE-NA PIÙ DIVERTENTI NELLA STORIA DELLA CLINICA MOBILE

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La moto è la regina dei nostri sogni e della strada. È la vera protagonista della nostra personale ricerca di libertà. È emozione, brivido, passione. Ma ha bisogno di noi per essere viva davvero. Di noi: piloti di tutti i giorni o campioni delle piste.Ecco perché questo numero speciale di Riders, pubblicato in occasione di Eicma, lo abbiamo dedicato ai piloti e alle corse, il teatro dove il binomio uomo-moto si esalta.Per la copertina abbiamo scelto uno dei campioni più amati di sempre: Barry Sheene. Quarant’anni fa, nel 1976, vinceva il suo primo campionato del mondo, classe 500. Barry incarnava gli ideali del suo tempo: ribelle, bruciava la vita, alla guida di moto velocissime e fragili inseguiva i suoi sogni, spesso cadeva e si rompeva le ossa, ma si rialzava ogni volta e tornava in pista. Era un’epoca, quella tra la fine dei 60 e la metà degli 80, che produceva miti, e non solo nel campo dei motori. Per rimanere allo sport, pensiamo a Björn Borg, Muhammad Ali, Ronnie Peterson, Jo Frazier, Jarno Saarinen, Eddy Merckx, George Best, François Cévert, Joey Dunlop, Johan Cruijff, Carl Lewis, Gilles Villeneuve, Stefan Bellof, Kevin Schwantz, Ayrton Senna. Perché, guardando le loro fotografie, ancora ci emozioniamo? Forse sono i colori delle pellicole su cui la loro immagine è stata impressa: inconfondibili. O la scenografia su cui si stagliavano: più pulita, con meno sponsor, telecamere e macchine fotografiche. Ma c’è dell’altro, evidentemente. Erano belli. E la bellezza è etica: è purezza. Quei piloti erano icone, simboli. Di ribellione, bravura, talento. Avevano dentro qualcosa, che possiamo chiamare poesia. È per questo che li rimpiangiamo: perché erano veri, puri. Ed è proprio questo che cerchiamo nei loro emuli di oggi, nei Valentino Rossi, nei Tony Cairoli, nei Marc Márquez: il campione assoluto, capace di toccarci il cuore.

Cinque anni fa, Malesia 2011, se ne andava un giovane italiano che a Sheene assomigliava – o avrebbe potuto assomigliare, se ne avesse avuto tempo. Marco Simoncelli era anche lui uno che andava per la sua strada, che aveva carattere, simpatia e velocità nel sangue. Era di quella pasta lì, quella dei Pantani, dei McEnroe, degli Hunt. Gente tosta, ma che si fa volere bene.Così era Fabrizio Pirovano. Lo ricordiamo, con il consenso della famiglia, pubblicando il suo album privato e i racconti di chi lo ha conosciuto e amato. La sua ultima intervista la rilasciò nella nostra redazione, la sera della festa di lancio del giornale, nel febbraio di quest’anno. Mentre la gente continuava con i brindisi, il Piro, seduto accanto ai suoi medici, ci parlò dell’amore per la moto e della voglia di non mollare. Mai.

di LUCA DELLI CARRI

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GIGI SOLDANO

MARCO MASETTI

GIOVANNI CORTINOVIS

CLAUDIO M. COSTA

MATTEO CAVADINI

ANGELLUSSIANA

STEFANO TAGLIONI

GIOVANNIDI PILLO

Direttore responsabileLuca Delli [email protected]

GraficaStefania Freri [email protected]

Image consultant Stefania Molteni

Segreteria di redazione Laura Mandelli [email protected]

Hanno collaboratoFrancesco Bucchieri, Matteo Cavadini, Giovanni Cortinovis, Claudio M. Costa, Giovanni Di Pillo, Francesco Formaggi, Maurizio Gissi, Angel Lussiana, Marco Masetti, Gigi Soldano, Stefano Taglioni.

stampalitosudVia Aldo Moro 220160 Pessano con Bornago (MI)Tel.: +39 (02) 95742234 Fax: +39 (02) 95743980

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CLASSE 48, FONDATORE DELL’AGENZIA MILAGRO, È UNO DEI FOTOGRAFI PIÙ CELEBRI DEL MOTOMONDIALE, CHE SEGUE DA 30 ANNI. RUBA L’ANIMA ALLA VELOCITÀ, E HA RITRATTO I PIÙ GRANDI DI QUESTO SPORT. SENZA MAI DIMENTICARE CHE DIETRO OGNI ATLETA C’È L’UOMO.

SESSANT’ANNI, ROMAGNOLO DELLA COSTA, AUTODIDATTA CON DIPLOMA DI LAUREA. CONSERVATORE CHE VEDE AVANTI, EDUCATAMENTE POLITICAMENTE SCORRETTO. A 14 ANNI AVEVA I CAPELLI LUNGHI, I JEANS E MOTO PIÙ O MENO STRANE. ADESSO, LO STESSO.

GIORNALISTA FREELANCE, SCRIVE SOPRATTUTTO DI SPORT, SEMPRE ALLA RICERCA DI STORIE AI MARGINI, QUELLE MENO CONOSCIUTE E PIÙ INTRIGANTI. VIVE CIRCONDATO DAI QUINTALI DI CARTA DEL SUO ARCHIVIO.

NASCE A IMOLA NEL 1941, DOVE SUO PADRE CHECCO ORGANIZZA GARE MOTOCICLISTICHE INTERNAZIONALI. LUI DIVENTA MEDICO, FONDA LA CLINICA MOBILE, E DEDICA LA SUA VITA AI PILOTI, AI LORO INFORTUNI, DIVENENDO NOTO AL GRANDE PUBBLICO COME DOTTORCOSTA.

NASCE ALLE PORTE DI LUGANO, E SARÀ UN CASO, SARÀ LA PASSIONE PER LE MOTO, FATTO STA CHE VA A VIVERE VICINO AL CIRCUITO DI MONZA. L’AMORE PER LA FOTOGRAFIA INVECE LO PORTA IN GIRO PER IL MONDO, A SEGUIRE LE TAPPE DEL MONDIALE SBK, E NON SOLO.

CLASSE 76, SI FORMA COME MODELLATORE DI STILE PRESSO ITALDESIGN GIUGIARO, E DAL 2005 OPERA NEL SETTORE MOTOCICLISTICO COME DESIGNER INDIPENDENTE. TRA LE SUE CREAZIONI LA KAWASAKI Z1000 ROTH ANNIVERSARY.

COLLABORATORE DELL’AGENZIA MILAGRO, CLASSE 62, HA CORSO PER 15 ANNI NELL’ENDURO. POI HA ABBANDONATO I TASSELLI E HA IMBRACCIATO LA FOTOCAMERA, PER IMMORTALARE LA MOTOGP E IL MONDIALE CROSS, SEMPRE PENSANDO A COME SPENDERE LA SUA LAUREA IN BIOLOGIA.

TOSCANO, È CRESCIUTO CON PANARIELLO E BENIGNI, MA INVECE DI DARSI ALLO SPETTACOLO HA DECISO DI COMMENTARLO, SOPRATTUTTO QUELLO MOTOCICLISTICO, DIVENTANDO GIORNALISTA E TELECRONISTA SPORTIVO. DALLO STILE INCONFONDIBILE.

UN ANNO DI MOTOGPNELLE IMMAGINIDI GIGI SOLDANO

IL MONDIALE CROSS RILETTO DASTEFANO TAGLIONI

L’ALBUM PRIVATO DEL PIRO E I RICORDIDEI SUOI AMICI

LA SUPERBIKE 2016SECONDOMATTEO CAVADINI

COM’ERA LUI, BARRYRACCONTATO DA CHI L’HA CONOSCIUTO

IL PIACERE DELLA GUIDA, A DUE E QUATTRO RUOTE

I RETROSCENA PIÙ DIVERTENTI DELLA CLINICA MOBILE

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ISSN 1972-4136© 2014 Milano Fashion LibraryRegistrazione al trib. di Milano

n. 96 del 20/02/2007

Riders Italian Magazine è edito daMilano Fashion Library Srl

Chairman Diego [email protected]

Assistant publisherPrasanna ContiTel. +39 02 58153.208 [email protected]

HeadquarterCorso Colombo 920144 MilanoTel. +39 02 83311200 [email protected] www.bibliotecadellamoda.it

PubblicitàAdvertisingMilano Fashion Library SrlVia Alessandria 8 20144 Milano Tel. +39 02 58153206www.milanofashionmedia.it

Responsabile testataPaola [email protected]

Settore moto e accessoriElisabetta [email protected]

Credit cover:Martyn Goddard/Alamy Stock Photo

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Era popolare, no di più: era una rockstar, solo che non cantava e suonava. Ed essere una rockstar negli anni Settanta, in Gran Bretagna non era un’impresa facile. La concorrenza era a dir poco spietata. Quasi come emergere in Brasile perché si ha un bel fondoschiena o si gioca bene a calcio. Sheene aveva un padre che sembrava la caricatura di Giovanni Paolo Secondo, Papa Wojtyla per capirci, una moglie bella come il sole (Stephanie) e guidava come piaceva alla gente, cioè senza scuse, senza trucchi, senza inganni. Sheene era uno di quelli che ami anche quando perde. Anzi, lo ami di più, perché fa tutto in maniera “cool”, con classe e stile. Sheene aveva carisma da vendere e non solo perché arrivava in circuito con la Rolls o in elicottero. Era simpatico, bello, vitale. Aveva le gambe tenute assieme da un’autentica ferramenta, ma aveva trasformato la sua camminata storta come quella di un cagnetto che è andato sotto un’auto, in qualcosa di molto sexy. Nulla di ambiguo, la parola metrosex all’epoca non esisteva e lui collezionava belle ragazze, bottiglie e vittorie, rivaleggiando con un amico, un altro simbolo di un’Inghilterra che non aveva confronti, James Hunt. Chi ha tifato per Barry e James all’epoca, se Madre Natura è stata clemente, ha ancora i capelli lunghi, segno di incrollabile fedeltà ai propri miti. Ma com’era in pista? Tremendamente lieve, si potrebbe dire. Veloce per natura, mai forzato, apparentemente cazzone, in realtà molto preparato tecnicamente. Rispettato dai rivali, da tutti, anche da quello che gli stoppò la carriera sul più bello, vincendo più di lui, Kenny Roberts. Il californiano aveva la cattiveria di un killer, la forza di un toro, il coraggio di un eroe che va all’assalto in un film di guerra con John Wayne. Era un osso durissimo e infatti vinse di più. Però la gente continuava a stravedere per Barry, perché era una rockstar e non solo un pilota. Fumava come un turco e, per essere sicuro che le sigarette gli facessero davvero effetto, toglieva sempre il filtro. Durante le prove del GP di Inghilterra a Donington Park ha insegnato tante cose a un giornalista che fumava e beveva una pinta sul tetto dei garage assieme a lui. C’erano passioni comuni (la moto, la birra e le sigarette, tra l’altro) e una visione comune della vita: per essere fighi non bisogna per forza essere in un privé, basta il tetto di un garage nell’umidiccia e decadente Donington. Parlò di tante cose, anche del cancro. Era indeciso se curarsi con la chemio o con dei frullati vegetali che preparava un amico. “Tanto si muore lo stesso” – disse e infatti morì. Ancora amato e venerato come una rockstar.TESTO DI MARCO MASETTI

FOTO DI GIGI SOLDANO

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«È UN’ILLUSIONE CHE LE FOTO SI FACCIANO CON LA MACCHINA. LA FOTOGRAFIA È METTERE SULLA STESSA LINEA DI MIRA LA TESTA, L’OCCHIO E IL CUORE. È UN MODO DI VIVERE» DICEVA UNO DEI PIÙ GRANDI, HENRI CARTIER-BRESSON. È QUELLO CHE FANNO, OGNI GIORNO, GIGI SOLDANO, MATTEO CAVADINI E STEFANO TAGLIONI, TRE STELLE DELLA FOTOGRAFIA SPORTIVA CHE CI RACCONTANO, CON IMMAGINI E PAROLE, TRE CAMPIONATI DEL MONDO: MOTOGP, SUPERBIKE, CROSS. CI HA SCRITTO GIGI SOLDANO: «IN UN MONDO COME QUELLO DELLE CORSE, DOVE TUTTO VA VELOCE E SI BRUCIA ALL’ISTANTE, CERCARE DI LASCIARE DEI SEGNI TANGIBILI SOTTO FORMA DI IMMAGINE È VERAMENTE UN’IMPRESA. LA COSA PIÙ IMPORTANTE È AVERE UNA STORIA DA RACCONTARE, ALLONTANANDOSI DAL PERICOLO CHE LA ROUTINE PRENDA IL SOPRAVVENTO. CON UN PO’ DI FORTUNA, SI PUÒ RIUSCIRE A SCATTARE UN’IMMAGINE CHE “PARLI”. L’UNICA CHE VALGA DAVVERO LA PENA DI ESSERE SCATTATA»

3FOTOGRAFI

365 GIORNI 3CAMPIONATI DEL MONDO

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UN ANNO DI MOTOGPFOTOGRAFATO E RACCONTATO DAGIGI SOLDANO

POCHE VOLTE NELLA STORIA UN CAMPIONATO DEL MONDO HA VISTO PRIMEGGIARE NELLE SINGOLE PROVE COSÌ TANTI PILOTI. GRAN PREMIO DOPO GRAN PREMIO, IL 2016 SI È RIVELATO UN ANNO STRANO E STRAORDINARIO ASSIEME, DOVE VALENTINO, INOSSIDABILE, HA RESO DIFFICILE LA VITA A UN NUOVO MARC MÁRQUEZ, FREDDO ED EFFICACISSIMO. MA COME DIMENTICARE LE IMPRESE DI DOVIZIOSO E IANNONE, DI LORENZO E PEDROSA, DI CRUTCHLOW, MILLER E VIÑALES?

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Il guanto del Pilota. Non più una semplice protezione alla guida ma un oggetto che ci riporta alle armature dei duelli medievali.

(nell’altra pagina) La violenta tempesta di pioggia scatenatasi ad Assen durante la corsa della MotoGP ha rivoluzionato in pochi istanti l’andamento della gara. Il solitario Andrea Iannone si ritova all’improvviso in un fantasioso paesaggio da “terra di mezzo”.

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Visita di Valentino Rossi alle raffinerie Eneos di Yokohama. Camice bianco, occhiali protettivi e l’immancabile cappellino giallo…

(nell’altra pagina, in alto) L’“ombrellina” è diventata quasi un simbolo delle corse in moto. Un misto di fascino, simpatia e sottile sensualità che diventa il gioco preferito per tutti i fortunati visitatori del paddock, principi del “selfie”.

(nell’altra pagina, in basso) Il trofeo Moto3 di RED BULL da anni scopre giovani talenti da inserire nel massimo campionato. Inevitabile rifarsi ai grandi campioni e continuare a sognare.151414

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Shuhei Nakamoto è il vicepresidente della Honda Racing Corporation. Una figura leader all’interno del team.

(nell’altra pagina, in alto) Il circuito di Aragón si trova nel deserto spagnolo di Los Monegros, nella provincia di Alcañiz. Il popoloso centro non è poi così lontano dalla pista, grazie al 600 mm della mia Nikon. Nella foto, Valentino Rossi seguito da Aleix Espargarò, che controlla sua fratello Pol.

(nell’altra pagina, in basso) Il cambio di fornitore unico di pneumatici ha creato non pochi problemi di grip ai team della MotoGP che sono stati costretti a rivedere radicalmente gli assetti e la struttura tecnica delle loro moto. Massima inclinazione: 64°.

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a GRAND’ITALIA A EICMAMOTO GUZZI V9 MY17

Se la V7 III è nel solco delle storiche stradali sportive di Mandello, le recentissime V9 – sono state presentate appena un anno fa a Eicma – rappresentano la continuazione del filone California. La V9 Roamer è una snella custom con ruote da 19” davanti e da 16” dietro, la V9 Bobber è la variante alleggerita, abbassata sulle ruote da 16” e con il manubrio piatto. Entrambe offrono molto sul fronte della personalizzazione e Moto Guzzi ha in catalogo tanti accessori dedicati. Le edizioni 2017 di Roamer e Bobber nascono per ottemperare alla nuova normativa Euro 4 sulle emissioni: il V di 90° di 850 cc (che non è la maggiorazione dello small block V7 ma discende dalla serie superiore) conferma a ognimodo i suoi 55 cv di potenza e i 62 Nm di coppia massima a 3.000 giri. L’occasione è stata colta per rivedere le posizioni di guida andando a migliorare il comfort e le nuove selle e pedane si possono montare anche sulle V9 2016. Inoltre sono state maggiormente differenziate le due versioni, in senso turistico la Roamer e in direzione più sportiva la Bobber.

APRILIA DORSODURO 900

Arrivata un anno dopo la Shiver 750, nel 2008, la Dorsoduro 750 si è fatta notare come una delle più divertenti medie cilindrate da guidare nel misto. La sua impostazione che tendente al genere supermotard, sella lunga e piatta per una guida avanzata, sospensioni di escursione maggiorata, serbatoio stretto, ruote da 17” gommatissime e avantreno svelto, ne fanno ancora una delle moto più efficaci in montagna. Come la nuova Shiver monta il motore 900 (corsa salita da 56,4 a 67,4 mm) caratterizzato da una curva di coppia più piena ai bassi, con tre mappe motore e controllo di trazione regolabile. Esteticamente non cambia se non nella veste grafica, mentre la ciclistica beneficia della nuova forcella Kayaba UD da 41 con piastre di sterzo forgiate, ruote più leggere di 2 kg e di dischi (flottanti da 320 mm e fisso da 240) non più a margherita e con tubazioni in treccia metallica. L’ABS a due canali è escludibile.

MOTO GUZZI V7 III

L’occasione per riproporre una nuova versione della V7 è il cinquantesimo anniversario dalla prima V7 700 dell’ingegner Carcano, quella del 1967 che ha varato le Guzzi con il motore a V trasversale e la trasmissione ad albero. La V7 III presentata a Eicma segue la V7 II di due anni fa e ne riprende la costruzione. Le novità sono nel motore che ora rispetta la normativa Euro 4 e ha la potenza salita da 48 a 52 cv, mentre la coppia resta di 60 Nm ma a un regime un po’ più alto. Il sistema ABS è abbinato al controllo di trazione regolabile su due gradi di intervento, gli ammortizzatori posteriori sono montati più inclinati e la sella scende a 770 mm da terra. Fra le novità estetiche ci sono diversi coperchi testata e corpi iniettori, differenti fiancatine, strumenti, sella, tappo carburante e retrovisori. Quattro le versioni: Stone (manubrio rialzato e ruote integrali), Special (in foto), Racer (manubrio basso, serbatoio cromato, telaio rosso e sella con gobba) e Anniversario: 750 esemplari numerati.

APRILIA SHIVER 900

La Shiver 750 del 2007 è stata la prima moto di serie con l’acceleratore ride by wire. Ora che le naked paiono conoscere una seconda giovinezza la bicilindrica di Noale cambia l’abito e vede la cilindrata salire da 749,9 a 896 cc grazie all’aumento della corsa e conferma la sua impostazione ciclistica. Pochi interventi quindi, necessari a superare la Euro 4 ma sottolineati dal nuovo disegno delle coperture del serbatoio, delle fiancatine, del faro e dei copri scarichi che hanno i terminali cambiati. L’apprezzato otto valvole in configurazione 900 conserva i suoi 95 cv ma vede la coppia irrobustirsi (90 Nm a 6500 giri), e si dota del controllo di trazione. Se telaio e forcellone non cambiano, ci sono una nuova forcella Kayaba, ruote ereditate dalla Tuono e dischi dal profilo non più a margherita. Dalla RSV4 deriva il cruscotto TFT che dialoga con lo smartphone. La gamma di accessori ne rinforza lo spirito sportivo oppure quello turistico.

TESTI DI MAURIZIO GISSI

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UNA STAGIONE ANCORA INTERLOCUTORIA PER LA SBK, CHE STA CERCANDO UN NUOVO VOLTO CON CUI TORNARE AI FASTI DEL PASSATO, CHE LE SONO PROPRI. GRANDE OCCASIONE MANCATA PER LA DUCATI, CHE CON CHAZ DAVIES, TERZO, HA CHIUSO IL CAMPIONATO CON 11 VITTORIE CONTRO LE 9 DI JONATHAN REA, IRIDATO.4 MOTO GIAPPONESI NEI PRIMI 5 POSTI FANNO PAURA, MA LA ROSSA DI BORGO PANIGALE MEDITA IL RISCATTO

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UN ANNO DI SUPERBIKEFOTOGRAFATO E RACCONTATO DAMATTEOCAVADINI

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A causa della latitudine dell’Andalusia, alle 8.45 di mattina c’è una luce inusuale, molto radente e bassa. Il tetto della palazzina box con il suo “disco volante” ha reso ancora più interessante questa inquadratura.

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Punto di vista classico per la pista di Jerez, reso più particolare da un’ottica decentrabile, che sfoca la parte del fotogramma che non interessa per focalizzare l’attenzione. In questo caso, sulla staccata di Jonathan Rea alla prima curva del circuito spagnolo.

(nell’altra pagina) Jonathan Rea è formidabile in pista e i due Mondiali SBK vinti lo dimostrano, ma quando vince, esulta poco o niente nel giro di rientro ai box. Quando l’ho visto esultare così,prima di entrare nel parco chiuso di Phillip Island, mi sono detto: questa foto mettila da parte che verrà buona…

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La cosa che mi ha colpito di questa situazione è che, per uno strano gioco di luce, gli ombrelli proiettano delle ombre che sembrano quelle di pipistrelli. Il tutto, abbinato a scarpe borchiate e leggings neri, scatena una certa fantasia.

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Scivolata di Sylvain Guintoli. Nulla di che, se non fosse per i due volatili che si stavano rilassando nella ghiaia della via di fuga e che si sono visti prima arrivare addosso una R1 e dopo Guintoli. Fortunatamente hanno schivato entrambi.

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IL SENSO DELLA GUIDA PER BOSCH

PARAFRASANDO UNA NOTA PUBBLICITÀ, LA GUIDA È UN PIACERE, SE NON È BELLA, CHE PIACERE È? CHE SI PARLI DI MOTO, AUTO O BICI, OVUNQUE SI SVILUPPI VELOCITÀ, SU STRADA COME IN PISTA, O IN UN BOSCO DI MONTAGNA, IL PIACERE DELLA GUIDA È COLLEGATO ALLA TECNOLOGIA, CHE TI PERMETTE DI FARLO IN SICUREZZA

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È la compagna più fidata. A lei dedico tutte le mie attenzioni. Ogni giorno è con me sulla strada, nel traffico, in quella battaglia quotidiana che è la vita. Poi arriva la domenica, e siamo di nuovo soli, io e lei, ma liberi. Ci premiamo con una corsa, a volte in pista. E quella sicurezza che mi

dà tutti i giorni, tra i cordoli di un circuito si trasforma: diventa puro piacere, divertimento; possibilità di correre, ma senza superare i miei limiti. Anzi, l’abs, il controllo di trazione, non solo mi proteggono, ma mi consentono di correre ancora più veloce. Moto mia, ti amo.

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Piacere è un motore capace di cambiare voce, di sussurrare appena la sua presenza, nel traffico, e poi di ruggire quando si affonda il piede sull’acceleratore. È un’automobile che sa essere due in una, che asseconda il ritmo della tua vita, il tuo respiro. Piacere è tenere

il volante in mano tra le curve, e poi abbandonarsi ai pensieri, in autostrada, sapendo che lei pensa a te. Che può frenare da sola, tenere la distanza, da sola, avvertirti se la distrazione o il sonno ti vincono. È il bello della tecnologia. È la meccanica delle emozioni.

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Anche l’ultima frontiera è caduta, per i mountain biker. Con le eBike vai oltre e superi i confini. Vai dove i biker muscolari non arrivano. Con un aumento di peso ormai trascurabile, i sistemi di oggi offrono un’assistenza che raggiunge il 300% con un’incredibile coppia

massima di 75Nm. Significa che i tuoi muscoli rendono tre volte. Si possono così affrontare i percorsi più ardimentosi e scoprirsi a pedalare da eroi. Ma il bello di una eBike è che aumenti sì la tua forza e le potenzialità di utilizzo, ma anche il comfort. Impagabile.

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Cosa si aspettano dal futuro i motociclisti? Più sicurezza, piacere di guida e comodità. Bosch prende seriamente questi desideri, e offre numerose innovazioni per le moto e i veicoli powersports del domani. Vieni a scoprire le novità dei nostri sistemi di assistenza e connettività, insieme a tanti altri prodotti, ad EICMA 2016 a Milano.

www.bosch-motorcycle.com

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A BOLOGNAI MOTORI FANNO

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Il Motor Show scalda i motori. Ogni giorno il

programma diventa più ricco e in grado di soddisfare

anche i palati motoristici più raffinati. Come una

volta, i grandi interpreti del mondiale rally saranno

impegnati nel Memorial Bettega e nel Trofeo Pucci

Grossi Night Sprint. Ci saranno anche gli assi della

Nascar Whelen Euro Series e quelli delle auto

storiche. Da giovedì 8 a domenica 11, il pluripremiato

stunt internazionale Kevin Carmichael sedurrà il

pubblico con le sue performance adrenaliniche

all’interno dell’Area 47, nell'Arena Freestyle e, in

alcune occasioni, nella mitica Area 48. Da Fiat

a Land Rover, da Lamborghini a McLaren, con

Bentley e Toyota: chi ama le auto avrà l'occasione

per "testare" la propria passione! Come pure chi

apprezza il vintage: nel padiglione Heritage si

potranno ammirare le glorie del passato, provenienti

dai più importanti musei italiani. Bologna si candida

così a divenire la capitale dei motori.

Appuntamento dal 3 all’11 dicembre 2016!

Collegandosi al sito motorshow.it è possibile acquistare

i biglietti del nuovo Motor Show 2016. I biglietti

saranno acquistabili in prevendita on line a condizioni

vantaggiose fino al 25 novembre, al costo di 18 euro per

il biglietto intero oppure 22 euro per l’ultimo week end di

apertura. Dopo il 25 novembre continuerà la vendita on

line, ma con il prezzo intero della biglietteria.

Gli ingressi possono essere singoli o combinati e sono

previste delle riduzioni per i ragazzi di età compresa tra

9/16, gli over 65, studenti universitari e gruppi da 10 a 50

persone. Numero verde 892.234.

Affrettati se vuoi acquistare con il prezzo ridotto!

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LO ATTENDEVAMO ALLA RISCOSSA E CAIROLI NON SI È NEGATO, ANCHE SE IL CONFRONTO CON LA NUOVA GENERAZIONE FORMATA DAI DUE FENOMENI FEBVRE E GAJSER, QUEST’ULTIMO IRIDATO, È PURTROPPO COMINCIATO CON UN INFORTUNIO CHE NE HA CONDIZIONATO LA STAGIONE. MA QUANDO HA POTUTO CONFRONTARSI ALLA PARI CON I GIOVANI LEONI, TONY È STATO DEVASTANTE, DIMOSTRANDO DI ESSERE UN HIGHLANDER, PROPRIO COME VALENTINO IN MOTOGP

UN ANNO DI CROSSFOTOGRAFATO E RACCONTATO DASTEFANOTAGLIONI

Per il quarto anno consecutivo la stagione parte in notturna in Qatar. Cairoli è chiamato a riscattare la stagione 2015 compromessa da un infortunio, ma è ancora ben lontano dalla forma migliore per una brutta caduta in pre-season in Sardegna. L’otto volte Campione del mondo stringe i denti, concludendo quinto di giornata, e a vincere con una doppietta è la rivelazione Tim Gajser, appena arrivato dal titolo MX2. Perfetto lo stile di Cairoli, braccia piegate, testa bassa sul manubrio e gamba già fuori per la curva che arriva...

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A metà stagione, in Spagna, con la seconda “doppietta”, arriva la quinta vittoria in MXGP di Gajser che punta dritto al titolo! Tim è un concentrato di determinazione e talento; per avvicinare la perfezione stilistica di un Cairoli deve ancora “pulirsi” di una certa irruenza (meno appariscente di quella di Febvre), ma ha gran ritmo e punte di velocità irresistibili. In questa foto la salita davanti a lui sembra una parete di terra che Tim affronta scaricando a terra tutti i cavalli della Honda 450 ufficiale.

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Tre piloti in bagarre saltano insieme. Il salto è un po’ il simbolo del motocross, che esprime come in nessun altro sport motoristico la sensazione del volo, la massima realizzazione del desiderio di libertà. Per Freud il desiderio di librarsi nell’aria, il sogno di volare, ha origine dal ricordo di quando, nell’infanzia, i genitori ci prendevano in braccio, sollevandoci alti in aria... Eccoli, tre bambini che giocano insieme: Christopher Charlier, Gautier Paulin e Tommy Searle, piloti MXGP.

(nell’altra pagina) Dopo quattro titoli mondiali di fila, la regina del motocross femminile, Kiara Fontanesi, è costretta ad abdicare. Episodi sfortunati, cadute, e un po’ di ritardo nella preparazione della moto dopo l’inatteso cambio di marca, pesano sui risultati sin dal primo GP, in Qatar, dove, come ci racconta la foto, sul fango della prima manche perde il controllo della moto e finisce fuori pista. Il mondiale parte in salita e si concluderà con il quarto posto finale. Il titolo va alla francese Lancelot.

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Anche se ha passato i trent’anni, Cairoli resta il riferimento della categoria e ha tutte le attenzioni degli appassionati e dei media. Tony non molla e un po’ come Valentino nella MotoGP è leggenda vivente e vuole ancora vincere. La stagione 2016, conclusa al secondo posto finale, non si può certo dire negativa. Nella foto: la sua prima vittoria 2016 GP arriva in Germania con una splendida doppietta. Il pubblico tedesco aspetta l’holeshot dell’idolo locale Nagl, ma in testa a tutti va subito Tony Cairoli.

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Il Bell Moto-3 debutta alla fine del 1970 come prototipo

per un pilota del calibro di Bob Hannah. In breve

diviene l’ispirazione per una serie di caschi da cross

che ha fatto storia. La riedizione del Moto-3 mantiene

forma e proporzioni dell’originale, alle quali aggiunge

caratteristiche tecniche aggiornate. Le 8 aperture

inclinate sulla mentoniera dispongono ora di una griglia

3D in acciaio inox; il frontino a 5 punti di aggancio

frontale è stampato utilizzando un resistente polimero

in polipropilene. È disponibile anche in versioni speciali

come RSD, Chemical Candy e Indipendent.

Kenny Roberts e il suo casco

Bell, un binomio indissolubile.

Qui, King Kenny è agli inizi della

sua avventura nel Motomondiale,

che gli frutterà tre titoli iridati

consecutivi nella classe 500, tra

il 1978 e l’80. Era proprio il 1978,

l’anno del suo primo campionato

del mondo. Quell’anno sfiorò

anche il titolo iridato classe 750.

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Il casco è l’accessorio più importante, per un pilota. Non solo perché è quello che può salvargli la vita, ma anche perché è quello che più di tutto il resto lo racconta e rappresenta. Bell è da sempre accanto ai

grandi campioni della velocità su due ruote. Con il Marziano, soprannome dato a Kenny Roberts per il suo stile di guida una spanna sopra tutti, ha segnato un’epoca, alla fine dei 70. E la storia continua

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«Voglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi,voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi e che come allora sorridi». Queste le parole di una struggente canzone di Guccini che mi tornano in testa tutte le volte che mi vieni in mente, direi ogni giorno, ma sempre, sempre in situazioni allegre, positive, giocose. Super Piro, un pezzo di storia, motocross, Superbike, pilota, team manager, ancora pilota alla soglia dei 50 anni, l’occhio azzurro alla Paul Newman, la battuta sempre pronta, il sorriso, l’allegria contagiosa, gli scherzi e soprattutto una grande ed irrefrenabile voglia di vivere… Ci hai sorpreso ancora una volta! Anche quando ti ha attaccato un nemico vigliacco e subdolo, un “brutto male” come si dice, lo hai preso di petto senza scoraggiarti, lottando fino all’ultimo, fino all’ultimo a fare progetti, pensando più a far star bene la gente che ti stava intorno, incredula che uno tosto come te, uno che ha passato la vita a 300 chilometri all’ora, che ha imparato a correre in una delle piste più veloci del mondo come la tua Monza, ci avrebbe lasciato; quando ti chiamavamo per chiederti come stavi, rispondevi, dopo sedute di chemio… «Bene dai… stavolta meglio, sto bene dai». Riuscivi a riscaldarci il cuore, quasi a consolarci dallo smarrimento di perderti.Ti vogliamo ricordare vincente, come quando hai preso all’ultima curva della stagione, il titolo di vicecampione del mondo SBK con una moto fatta in garage da te e Peppo con il manubrio alto come fosse da cross. Hai vinto tanto e sempre con la gioia e la voglia di condividere ogni vittoria con gli amici e la grande famiglia. Hai vinto gare, titoli mondiali, campionati e battaglie di ogni genere e tipo, tanto che non credevamo fosse possibile esistesse qualcosa in grado di sconfiggerti. Hai vissuto una vita piena anche se breve, perché ci hai dato e lasciato tanto e sei e sarai sempre presente nelle vite dei fortunati che ti hanno incontrato, conosciuto, ammirato e amato.

(Giovanni Di Pillo)

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PEPPO RUSSONATO A SAN PIER NICETO IL 27 GIUGNO 1950QUANDO L’HA CONOSCIUTO: TITOLARE DI UN’OFFICINA MOTO A MONZAOGGI: TITOLARE DI UN’OFFICINA MOTO«Nel 1985 mi venne a trovare in officina e lo convinsi a girare in pista: il primo motore che gli ho preparato è stato quello del VF Honda con cui girava di nascosto da sua mamma. Nel 1987 ha vinto l’Italiano Superbike correndo all’inizio con una Yamaha con il telaio in ferro e poi con una Bimota che era ferma in Francia e siamo andati a prendere ad agosto. Poi nel 1988 siamo passati nel Mondiale. In Portogallo, quell’anno rompemmo tutti e due i motori e volevamo andare a casa perché non avevamo ricambi: invece li ho smontati e di due ne abbiamo fatto uno con cui ha fatto due sesti posti. Sempre quell’anno, in Australia abbiamo incontrato Doohan: con la Yamaha con il telaio in alluminio, una vera ciofeca, riuscì a vincere entrambe le manche e non capivamo come ci era riuscito. Poi scoprimmo che aveva rifatto il telaio. La gara dopo, in Nuova Zelanda, il circuito era parte di un ippodromo su cui avevano buttato dell’asfalto. Una pista cortissima, senza box, noi ci siamo infilati nella casetta di legno dei bigliettai, quelli della Bimota in un pagliaio. Fabrizio era forte e in partenza fenomenale: in una gara partì in quarta fila e alla prima curva era in testa. Guardarono il filmato per capire se era partito prima ma non trovarono irregolarità. Guai, poi, a raccontargli imprese altrui perché la prendeva come una sfida: un giorno gli dissi che al mio paese avevo conosciuto un pazzo che andava in giro sulla statale in piedi sulla moto, bloccando il gas. Così Fabri iniziò ad allenarsi dietro casa finché non salì in piedi sulla moto dopo aver vinto a Misano. E poi c’erano i suoi scherzi: un anno in America scoprimmo per sbaglio che la chiave della nostra auto a noleggio apriva anche quella di Merkel: tutte le sere Fabrizio gli prendeva l’auto e gliela parcheggiava in mezzo ai campi».

CINZIA PIROVANO, LA SORELLANATA A BIASSONO IL 26 MARZO 1961«La notte di Natale del 1966 i nostri genitori regalarono una minimoto a Fabri, poco dopo la mezzanotte spostammo le sedie dal tavolo e nostro padre accese la motoretta. Il piccolo Fabri iniziò a girare intorno al tavolo facendo un fumo incredibile, tanto che dovettero aprile le finestre. Fuori nevicava. La desiderava da quando l’aveva vista in una vetrina di Monza, e poiché nostro padre Gianni era un grande appassionato di motori e il suo desiderio era che Fabrizio corresse in moto, lo accontentò. A 9 anni gli comprarono una moto più grande e io mi presi la sua, così spesso andavamo a girare a pochi chilometri da casa, alla cava. Quando compì 14 anni, Fabrizio iniziò a gareggiare nel minicross e con i nostri genitori tutte le domeniche si andava alle gare. La mamma Maria cucinava sotto la tenda, a Fabri piaceva tanto il risotto giallo con

il formaggio grana. Crescendo passò alla categoria 50cc vincendo il campionato italiano e poi alla 125cc, però il suo fisico era molto minuto e non era adatto al motocross, soprattutto ad alti livelli. Poi l’infortunio al ginocchio, che lo tenne fermo per un po’ di tempo… da lì il desiderio di provare la velocità sul circuito di Monza, a pochi chilometri da casa. Nel 1988 la decisione di partecipare al campionato SBK. Serviva qualcuno che si occupasse di allestire la squadra, così iniziammo la bellissima avventura con Peppo Russo, il Moro, e poi successivamente Marcos, John e Brivio. Spesso al seguito c’era la mamma Maria come cuoca, papà Gianni e zio Luigi e tanti amici. All’inizio i team ufficiali ci snobbavano, soprattutto perché le moto di Fabri non erano all’ultimo grido, però lui dimostrò fin da subito di andare forte!! Se solo avesse avuto le tecnologie dei team ufficiali avrebbe vinto almeno un titolo. Andava forte, era un talento naturale. Si allenava pochissimo, niente palestra, che non gli piaceva… gli bastava salire su qualsiasi mezzo con un motore ed era uno spettacolo vederlo fare le acrobazie. Spesso mi portava dietro, impennava e io mi aggrappavo a lui… era da pazzi, ma con lui mi sentivo sempre al sicuro. Un ricordo bellissimo è quando vinse in Austria nel 1990 e mi chiamò sul podio con lui, fu una grande emozione!».

ALESSANDRO GRAMIGNINATO A FIRENZE IL 29 DICEMBRE 1968QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA APRILIA NELL’EUROPEOOGGI: TITOLARE OLD SCHOOL RACING«Credo che ci siamo conosciuti a fine anni Ottanta, nel 1988, io facevo l’Europeo 125, lui 250. Mi dava

molti consigli, specie per l’uso della moto da cross, e mi ha passato tutti i suoi sponsor quando ha chiuso il suo team e io ho creato il mio. Era genuino, per nulla geloso delle sue cose, delle sue conoscenze, cosa molto rara tra i piloti. Se sapeva una cosa e pensava che potesse esserti utile te la diceva, per esempio sulla marcia con cui affrontava una curva. Non aveva paura che poi la mettessi a frutto e rischiassi così di stargli davanti. Era figo da questo lato, mi piaceva un sacco. Era atipico come pilota, molto bambino per certe cose, voleva essere un Peter Pan. Non lo dico perché è morto, ma secondo me è stato anche più grande come persona di quanto lo fosse come pilota».

ARIANNA MAGNANI, LA COMPAGNANATA A MERATE IL 7 LUGLIO 1978«Ci siamo conosciuti nel 2007 nell’agenzia di pratiche auto dove lavoravo. Ci veniva spesso per lavoro, così un po’ alla volta abbiamo iniziato a frequentarci e dopo un po’ di tempo a convivere. Abbiamo vissuto 9 anni insieme e passato momenti felici, fino alla scoperta di quel “brutto male”. Nonostante la malattia, Fabri non ha mai smesso di lottare. Aveva voglia di vivere e soprattutto il desiderio di trascorrere gli anni a venire serenamente con me e il piccolo Alessio e con le figlie Michela e Francesca. Fabrizio scelse di farsi curare da Giulio e Valentina, entrambi oncologi e suoi tifosi, conosciuti in ospedale. Nell’agosto 2015, dopo 3 giorni di chemioterapia, il suo tempone in pista lo fece lo stesso!!! Purtroppo la malattia lo portò a un certo punto ad arrendersi su determinate cose. Oggi penso che il piccolo “Piro” porterà avanti la sua passione: Alessio è un bimbo di 2 anni con tanta voglia di vivere e un carattere forte come il grande Fabri. Gli assomiglia molto!! L’ultimo saluto al “Piro” è stato celebrato in Comune, come lui avrebbe voluto. Poi la grande festa all’autodromo di Monza, il circuito che amava!».

VIRGINIO FERRARINATO A PELLEGRINO PARMENSE IL 19 OTTOBRE 1952QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA SUZUKI MONDIALE 500; OGGI: VARIE ATTIVITÀ NEL PRINCIPATO DI MONACO«Ho visto Fabrizio la prima volta a fine anni Settanta o inizio anni Ottanta, in un motoclub, forse il Biassono, quando lui si dedicava ancora al cross.

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non so come possa essergli venuta quella malattia. La prima volta in Australia aveva la valigia piena di cibo e quando glielo sequestrarono voleva menare il poliziotto. Con le bambine invece non si è mai arrabbiato, potevano fare qualunque cosa, peccato non sia riuscito a godersele ora che è il momento di insegnare loro a guidare».

LUIGI VALLINATO A RENATE IL 27 LUGLIO 1952QUANDO L’HA CONOSCIUTO: TITOLARE VALLI MOTO A LISSONE; OGGI: IDEM«Fabrizio si è presentato da noi quando stava passando dal motocross alla velocità: aveva già girato altri concessionari ma nessuno gli aveva dato nulla, così è rimasto contento quando noi gli abbiamo dato l’RD500 con cui disputare il trofeo. Ci ha fatto una buona impressione e ispirato subito fiducia. Era un pilota velocissimo e convinto delle sue potenzialità. Poi gli abbiamo dato il TZ250 con cui ha disputato l’Europeo e anche le moto seguenti. Di questo lui ci è sempre stato riconoscente, così come lo era verso chi l’aveva aiutato. Si ricordava sempre degli amici, di chi gli era stato vicino. E anche quando ha iniziato a correre con altre marche è comunque sempre rimasto in contatto con noi. Era una persona speciale, per nulla egoista: ha sempre voluto che tenessimo qui le moto. Desiderava

che fossero visibili al pubblico. Nel negozio di Lissone ne abbiamo esposte 4 o 5 per la gioia degli appassionati che vengono ad ammirarle».

FRANCO ABBRANDININATO A BOVEZZO L’8 LUGLIO 1941QUANDO L’HA CONOSCIUTO: ELABORAZIONI MOTORI DA CROSS; OGGI: PENSIONATO«Per una trentina d’anni, a partire dagli anni Settanta, ho elaborato motori per tutte le Case. Fabrizio mi ha avvicinato a fine 76 perché i miei motorini da cross andavano forte e così ho fatto un contratto con suo papà: per 9 anni e mezzo ho preparato tutti i suoi motori, inclusi quelli per la 250 da pista e il 500 Yamaha. Nel 1978 con il cinquantino TGM ha conquistato il campionato italiano vincendo tutte le gare. Nel cross volava, partiva sempre in testa, anche nel Mondiale poi calava perché era mingherlino. Gli ho preparato anche una motoslitta Yamaha 350 con due travasi in più per cilindro e carburatori Dall’Orto da 38 con cui ha disputato il Campionato italiano».

ALESSANDRO ROTELLINATO A MILANO IL 24 OTTOBRE 1971QUANDO L’HA CONOSCIUTO: DIPENDENTE NELL’OFFICINA DI PEPPO RUSSO; OGGI: TITOLARE DI UN’OFFICINA MOTO«Tutti i giorni salgo su un furgone che sul libretto riporta il nome di Fabrizio: me l’ha regalato 4 anni fa. Dal 2008 fino al giorno che è morto ci siamo visti praticamente tutti i giorni perché abbiamo lavorato per rimettere in funzione le sue moto: alla fine la OV01 l’ha usata a Spa, nel 2012 per una rievocazione. Con lui Spencer, Poulen e Mertens: l’organizzazione si raccomandò di andare piano, in fondo era una parata. Fabrizio li ascoltò e partì tranquillo: all’ultimo giro era ultimo, ma al primo passaggio in velocità all’Eau Rouge gli si chiuse la vena e fece il giro più veloce della manifestazione anche se non girava su quella pista da 20 anni. Questo era Fabrizio. Ci eravamo conosciuti nel 1990 perché lavoravo in officina da Peppo Russo e quasi subito ha iniziato a chiamarmi Ale Il Meccanico. Le ultime sue moto, dal 2008 in poi, le ho fatte io con lo zampino di Peppo. Completato il Bmw S1000RR Fabrizio ebbe una delle sue idee malsane: al tornio realizzammo con della plastica due antenne, simili a quelle della telemetria in Formula 1 e le attaccammo sulla moto. A Monza, nei box, la gente era incuriosita. Facevamo finta di essere collegati con Peppo che vedeva la telemetria dall’officina e ci dava istruzioni per le

L’ho ritrovato in pista ad Hockenheim, nel 1987 in Formula 1, gara che anch’egli disputò con una Bimota. Era un pilota ottimo, duttile a qualunque tipo di macchina e per macchina intendo ogni mezzo che avesse un propulsore. Inoltre era molto leale e corretto e aveva un’ottima resistenza probabilmente dovuta al cross. Mi ricordo le nostre chiacchierate al di là delle competizioni, era sempre positivo. Lo sentivo fare ragionamenti distaccati da ciò che era accaduto in pista: mi piaceva perché non si focalizzava sul passato ma preferiva guardare al futuro. E poi era un burlone che faceva scherzi anche nei momenti di tensione. Una volta a Monza utilizzammo gli idranti del circuito per fare gavettoni. Ma gli idranti non utilizzati da tempo contengono acqua marcia. I nostri bersagli quindi non solo si bagnavano, ma puzzavano anche».

MICHELA (14 ANNI) E FRANCESCA (11) LE DUE FIGLIE «Papà ci faceva andare sui go-kart a Cattolica ma li riempiva di gommapiuma per evitare che ci facessimo male. Ci diceva “andate veloci però state attente”. Poi saliva anche lui per sfidarci e se lo tamponavamo ci faceva il dito. Ci raccontava di cosa combinava a scuola: un giorno mise i chiodi sulla sedia dell’insegnante che si sedette perché non se ne era accorta. Diceva che le gare attuali non gli piacevano perché c’era troppa elettronica: quando correva lui invece era il pilota a dire cosa funzionava e cosa no. Per anni ci ha fatto credere di avere il numero di telefono di Babbo Natale: ogni tanto lo chiamavamo o ci faceva chiamare per dirgli cosa volevamo come regalo. Poi abbiamo scoperto che invece era il suo amico Zorro, lo spadista Alfredo Rota».

PIERGIORGIO BONTEMPINATO A ANCONA IL 6 FEBBRAIO 1968QUANDO L’HA CONOSCIUTO: ESORDIENTE NEI TROFEI MONOMARCA; OGGI: COMMERCIO ACCESSORI MOTO E IMMOBILI«Nel 1986 a Misano per il trofeo Honda VF 500 sono andato a conoscerlo perché andava veloce: io ero un ragazzino e lui già un punto di riferimento. Abbiamo iniziato a frequentarci davvero nel 1989 quando sono approdato in Superbike con il team Rumi Honda. Ai tempi la Superbike era un gruppo itinerante di amici che se le davano di santa ragione in pista e fuori si divertivano, era uno spasso unico. Quando andavano a correre all’Hungaroring ci arrivavamo con le lire, senza averle cambiate e quando era ora di andare a mangiare non avevamo i soldi per pagare. Io e Fabri andavamo nella bottega che vendeva pane e pizza e ci mettevamo in un angolino, prendendo ogni tanto un boccone di pizza dal carrello: in 10 minuti pranzavamo lì dentro, ma solo per sfamarci. Un’altra volta su un volo Singapore Airlines Piro scatenò una battaglia con le salviettine calde per le mani: metà posti erano occupati dal paddock, il resto da giapponesi che si scatenarono accettando la sfida a cuscinate. Finché Piro non alzò la protesi del Team Manager Ducati GB,

suo grande amico: era una gamba di plastica con la scarpa e minacciò di tirarla, facendo ridere tutti. Questo era Piro, un grande».

SILVIA GHEZZI, LA EX COMPAGNANATA A MERATE IL 28 DICEMBRE 1973«Un giorno, nel 1990, è venuto a Merate con un amico e così ci siamo conosciuti. Dopo un mese eravamo insieme. Tutto ciò che aveva a che fare con le moto gli piaceva un sacco, comprese le motoslitte e le moto d’acqua. Ma anche le auto gli piacevano e sognava di fare il Rally di Monza. Era fuori di testa ma in moto con lui non avevo paura e anche con le bambine in scooter era coscienzioso. I primi due anni andavo ogni tanto alle gare, poi, quando mi sono diplomata, ho iniziato a seguire le sue cose. Era un talento e pur odiando le palestre alle gare non era mai stanco. Aveva due crucci: non essere diventato campione del mondo e non essere seguito come meritava. Quando scoprì quanto prendeva Merkel ci rimase male perché a lui non davano una lira. Nella sua testa non si sentiva trattato come un professionista. Non ha mai fumato né si è mai drogato, e nel mangiare è sempre stato regolare:

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pagavamo quello che volevamo. Già ai tempi del cross parlavamo tutti i giorni della pista, finché un giorno siamo andati a girare a Monza. Con lui giravo anch’io: ho provato tutte le sue moto. Il giovedì delle gare, sia in 250 che in Superbike, lui girava con una moto per imparare la pista e io con la seconda moto, per rodargliela. Spesso usavo un suo casco e una sua tuta, così chi ci vedeva non capiva quale dei due fosse il Pirovano vero. Era generosissimo, mi ha fatto crescere come meccanico e per anni ci scambiavamo tutto: eravamo fratelli, vivevo e mangiavo a casa sua, potevo usare le sue moto e le sue auto. Prima della gara di Misano in cui ha esultato in piedi me l’aveva detto: “Guardami perché se vinco lo faccio”. E così ha festeggiato in piedi sul serbatoio, non sulla sella come si crede”. Qualche minuto dopo mi disse: “Hai visto? Però se cadevo che figura di merda facevo”».

MIRKO PIROVANO, IL CUGINONATO A MONZA IL 21 GIUGNO 1968«Ho 8 anni meno di Fabrizio: mio papà e il suo erano fratelli. Vivevamo nello stesso caseggiato e quando aveva 18 anni mi portava in giro con il K250 da cross, sempre impennando. A Misano, dopo aver girato in pista nella Sport Production con il Gamma 500 metteva su la targa e ci facevamo il lungomare tutto su una ruota. Per il cross non aveva il fisico:

mamma, una donna forte che sapeva il fatto suo e non le mandava a dire a nessuno. Gli scherzi tra tutti noi piloti erano all’ordine del giorno: una volta a San Severino sono uscito a mangiare e mi hanno smontato le ruote del camper: nel nasconderle una è volata da una discesa e ha quasi distrutto una tenda».

ALBERTO COLOMBONATO A MONZA IL 27 GENNAIO 1967QUANDO L’HA CONOSCIUTO: OPERAIO EDILE; OGGI: INGEGNERE DI PISTA DI DAVIES IN SBK«A 13 anni mi mettevo fuori casa sua perché mi piacevano le moto. Lui aveva 7 anni in più e mi vedeva sempre finché un giorno si fermò e mi chiese perché stavo sempre lì. Gli dissi del mio interesse e mi invitò a entrare: lì è nata la nostra amicizia. Finite le medie, dopo 5-6 mesi mi chiese se volevo lavorare a tempo pieno con lui, seguendolo nella preparazione delle moto. Era un tipo puntiglioso e io sono cresciuto con questo metodo: vivevamo in una favola, senza problemi, non sapevamo cosa fossero le preoccupazioni. E facevamo migliaia di scherzi, ovunque. C’era un ristorante molto costoso in cui andammo a mangiare 3 volte e notammo che scrivevano sempre su un foglio della Buffetti tutto ciò che avevamo preso. Poi ce lo davano e noi lo portavamo alla cassa per pagare. Così comprammo un blocchetto identico e preparavamo i conti prima di entrare: mangiavamo di tutto e alla cassa

partiva bene, ma dopo 10 minuti di gara calava il ritmo ed era risucchiato. In più si era fatto male ai legamenti e quando girava col cross se appoggiava il ginocchio gli usciva la rotula. La pista fu la soluzione ideale e inoltre lui, maniaco della pulizia, scoprì che non ci si sporcava. Nel 1987 esordì con la Bimota nella Formula TT a Hockenheim: fece 7° e la sera io, il Moro e lui eravamo in giro a lanciare i petardi sotto i camper. Nel secondo anno in SBK tanti sostenevano che con la nuova moto non avrebbe combinato nulla: alla prima gara a Donington fece 16° in qualifica ma poi vinse la gara. Sul podio però era in difficoltà perché non capiva le domande dello speaker: mi fece salire per aiutarlo ma mi disse in dialetto di dirgli quello che volevo, così io fingevo di tradurre».

PIERFRANCESCO CHILINATO A BOLOGNA IL 20 GIUGNO 1964QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA DUCATI IN SUPERBIKE; OGGI: GESTORE DI STABILIMENTI BALNEARI A MISANO«Nel 1995 sono passato in Superbike e ci siamo conosciuti, e quando io a fine 98 cercavo una squadra mi ha aiutato a trovare un ingaggio nel team Alstare Suzuki di Francesco Batta. Alle corse parcheggiavamo sempre vicini i nostri camper e le famiglie stavano insieme: una volta in Spagna mi ha tosato a zero il bambino più grande, Kevin, che se non erro aveva 4 o 5 anni. L’ho visto arrivare e non lo riconoscevo nemmeno perché col caldo gli venne un edema solare e si gonfiò tutto. Me lo ricordo come molto meticoloso su tutto quello che riguardava la squadra e la moto. Ed era anche

regolazioni sulla centralina. Oppure sulle gomme scrivevamo il nome di mescole mai sentite, inventandocele di sana pianta. La gente ci credeva e diceva: “Hai capito perché girava con quei tempi con l’umido? Perché monta una mescola sperimentale”. Era il nostro modo di giocare».

ROBERTO LOCATELLINATO A BERGAMO IL 5 LUGLIO 1974QUANDO L’HA CONOSCIUTO: GIOVANE PILOTA ENDURO; OGGI: SECONDA VOCE TELECRONACHE SKY«Fabrizio è stato il mio babbo motociclistico: ci siamo conosciuti nel 1989 perché mio padre acquistò il suo camper per andare alle corse di enduro che disputavo. Mi portava dai suoi sponsor tecnici, mi dava consigli base, sull’allenamento e sulla preparazione. Da ex fuoristradista mi diceva di non perdere tempo e mi consigliava già allora di fare la velocità perché poteva diventare una professione, con un compenso economico: all’epoca l’enduro era una passione e non poteva diventare un lavoro. Gli sono molto riconoscente: mi ha aperto molte porte, è stato quasi un padre adottivo a livello sportivo. Eravamo molto legati affettivamente, pur vivendo lontani, ma ai compleanni, alle feste dei fan club e a Natale, ci vedevamo sempre».

PAOLO CASOLINATO A CASTELNOVO NE’ MONTI IL 18/8/65QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA YAMAHA SBK; OGGI: COLLABORATORE RIDING SCHOOL«Quando a fine 1993 la Gilera chiuse, Davide Brivio venne a chiedermi se volevo provare la loro moto. Così iniziai a correre in SBK e conobbi Piro. Finite le prove, sia che andasse forte sia che prendesse paga, veniva sempre a dirmi qualcosa. Era uno sportivo vero e una persona sincera: non provava invidia, si scherzava e parlava di tutto. Un amico vero, di quelli che non si trovano nelle corse perché tutti pensano a se stessi. Invece lui, dopo il mio incidente, quando andai in coma per 10 giorni, sapendo che non potevo più gareggiare si adoperò per farmi trovare un posto in una scuola guida. La moto era la sua vita e di tutto quello che le girava intorno non gli fregava niente, gli interessava solo guidare. Gli ero molto affezionato e la sua morte mi ha dato un brutto colpo: è sempre stato un ottimista nella malattia, non mi ha mai detto la verità, ha sempre cercato di tenermi tranquillo fino al giorno in cui ha smesso di rispondermi al telefono. Lì ho capito che stava accadendo».

ALBERTO DOTTINATO A LIMBIATE IL 2 SETTEMBRE 1959QUANDO L’HA CONOSCIUTO: GIOVANE PILOTA CROSS; OGGI: TITOLARE DI UN’OFFICINA MOTO«Ci siamo conosciuti nel 1975 alle gare di motocross e ci siamo frequentati molto per 9-10 anni. Abbiamo fatto anche diversi ritiri di un mese con la nazionale italiana in inverno e una volta abbiamo fatto il viaggio di ritorno da Messina, in camper, io e lui. Lì ci siamo lasciati andare a qualche confidenza e ho scoperto chi era Fabrizio realmente, una persona buona, di cui ti puoi fidare. Era uno scherzoso, di compagnia, però in pista si faceva rispettare, dovevi mostrargli i muscoli per passarlo perché non ti lasciava la porta aperta».

MASSIMO CONTININATO A CITTIGLIO IL 23 SETTEMBRE 1958QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA CROSSOGGI: PENSIONATO«Ci siamo incrociati sulle piste nel 1975 con i cinquantini: pur piccolino era una bestia, veramente competitivo, la sfida l’aveva nel sangue. Era veloce, grintoso e voleva arrivare. Poi ci siamo ritrovati nel Mondiale, ma ha visto che arrivare a ottimi livelli era impossibile per il fisico che aveva, così ha provato la velocità e le nostre strade si sono separate. Ho dei bellissimi ricordi dei suoi genitori: credo abbia preso il carattere dalla

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furbo perché quando c’era un pezzo di ricambio nuovo riusciva per vie traverse ad averlo. Invece non era appassionato dell’atletica e ricordo 5 giorni di preparazione a Montecarlo con nuoto, bici e corsa dei quali non era entusiasta».

MASSIMO CORBASCIONATO A BRINDISI IL 13 NOVEMBRE 1943QUANDO L’HA CONOSCIUTO: MEDICO DEL MONDIALE SBK; OGGI: RESPONSABILE STAFF MEDICO DEL MONDIALE SBK«Nel 1987, alla dogana, forse quella di Como, incontrai Falappa insieme a Fabrizio al rientro da una gara di cross all’estero. Già seguivo Giancarlo per ovvi motivi di incidenti, poiché dal 1980 mi occupavo di cross. Poi quando ho iniziato ad occuparmi della Superbike sono diventato amico di Fabrizio: siamo diventati fratelli, amici del cuore, tanto che ogni volta che si correva a Monza ero ospite a casa sua e mangiavo con i suoi genitori. Come tutti i piloti aveva il terrore delle punture: per fargliele alla Clinica Mobile dovevamo tenerlo in otto, ma quando ha avuto un incidente con diverse fratture venne a farsi operare a Bologna per farsi seguire da me. Era attentissimo a seguire i tempi di guarigione degli altri piloti e quando veniva da me contestava il riposo che gli imponevo. L’ultima sua festa di compleanno a Milano è stata bella, commuovente ma triste, molto triste. Abbiamo perso un grand’uomo, simpatico, buono, estroverso, abbiamo solo le lacrime per piangere».

NORIYUKI HAGANATO A NAGOYA IL 2 MARZO 1975QUANDO L’HA CONOSCIUTO: ESORDIENTE NEL MONDIALE SUPERBIKE; OGGI: TITOLARE DI UN RISTORANTE GIAPPONESE A MILANO«Ho conosciuto Fabrizio nel 1994 a Sugo, gara in cui lui era pilota ufficiale Ducati e io una wild-card. Ma quella volta non ci parlammo: in seguito diventammo amici. Non mangiava il cibo giapponese, per cui ogni volta che correvamo nel mio Paese si portava dietro tantissima pasta. Mi ha sempre aiutato, era una persona buona. Con lui

parlavo spesso di ragazze e di figa (ndr: dichiarazioni in inglese tranne l’ultima parola, in italiano)».

LORIS REGGIANINATO A FORLI IL 7 OTTOBRE 1959QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA APRILIA CLASSE 250; OGGI: OPINIONISTA TV«In pista ci siamo trovati solo una volta nel 1987 al GP delle Nazioni a Monza con le 250. Poi non trovando una moto ufficiale, indispensabile per fare risultato, si è spostato sulle derivate di serie. Ci trovavamo però ogni tanto a fare festa nei vari motoclub: era un guascone, aveva sempre voglia di ridere e scherzare, la battuta sempre pronta. Era il suo modo di fare, di interagire con la gente, era trascinante. Quando sapevi che a una festa c’era lui ci andavi più volentieri, perché non rischiavi mai di annoiarti».

GIOVANNI DI PILLONATO A VIAREGGIO IL 24 AGOSTO 1955QUANDO L’HA CONOSCIUTO: SPEAKER SUI CIRCUITI; OGGI: TELECRONISTA E SPEAKER RADIOFONICO«Ho fatto la sua conoscenza quando lui, la sua mamma e Abbrandini sono venuti a picchiarmi a ponte Egola nella cabina dello speaker al termine di una gara di supermotocross. La gara era completamente fangosa e non andavano i transponder: i cronometristi mi dicevano che in testa c’era il pilota di casa, Claudio Macchi e così io l’ho ripetuto per tutta la gara, mentre primo era in realtà Fabrizio. Dopo l’arrivo sono arrivati su incazzati gridando “Dove cazzo è lo speaker?” con la chiave inglese ed altri arnesi nelle mani. Mi hanno incrociato che scendevo e mi han chiesto dove fosse lo speaker e gli ho indicato il secondo

piano e me la sono data a gambe. Gara dopo gara, poiché ne combinava una a ogni evento sono andato a conoscerlo… Sono stato suo inquilino per 14 anni a Montecarlo: all’inizio ero terrorizzato perché era la pignoleria fatta persona, di una precisione e pulizia incredibile. Nel primo periodo condividevamo l’appartamento, per cui passavo le ore a pulirlo quando andavo via».

FRANCO BURASCHINATO A SEREGNO IL 30 APRILE 1961QUANDO L’HA CONOSCIUTO: GIOVANE PILOTA CROSS; OGGI: VENDITA LEGNAMI«Nel 1975 a una gara di minicross a Besana Brianza, Fabrizio vinse e io arrivai 2°, ma lui venne squalificato perché non rientrava nella categoria, avendo già compiuto 14 anni. Era piccolino di statura e per questo avevano falsificato l’anno di nascita per farlo correre con noi, ma non c’era malizia. Così mi ritrovai vincitore e siamo diventati amici. Nel 77 ha corso in squadra con me e Dotti la Coppa Italia e siamo arrivati secondi. Al ritorno dalle gare in autostrada ci affiancavamo con i furgoni e con lo schizzino dell’olio per le catene ci spruzzavamo l’olio sui vetri: dovevamo fermarci per lavarli. Eravamo dei burloni. Era una persona splendida, amico di tutti, buono d’animo e generoso: quando correva in Superbike mi dava i pass per entrare a Monza».

DAVIDE BRIVIONATO A MONZA IL 17 LUGLIO 1963QUANDO L’HA CONOSCIUTO: DIPENDENTE DI UN’AGENZIA DI MARKETING; OGGI: TEAM MANAGER SUZUKI MOTOGP«Pur abitando molto vicini, abbiamo avuto modo di conoscerci solo nel 90, quando sono andato alla gara di Jerez per conto di un’agenzia che aiutava il suo team con gli sponsor. Devo ringraziarlo perché mi ha un po’ introdotto in quest’ambiente. Era sempre estroverso, simpatico: l’ho sempre visto ridere e scherzare, era molto appassionato e innamorato delle moto, si divertiva e faceva divertire. Non mi chiamava Davide, ma sempre

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a parlarci, poi quando Fabrizio ha vinto l’Italiano 50 eravamo già amici. Ti diceva le cose in faccia, senza peli sulla lingua. In pista andava forte perché aveva il pelo sullo stomaco, la manetta e una buona moto. Alla partenza era micidiale, come poi ha dimostrato pure nel Mondiale cross in cui spesso partiva in testa. Una volta abbiamo trascorso una bella giornata a Malpensa perché il motoclub aveva fatto un accordo con la Mars per la pubblicità con tutti noi ragazzini e lui era quello che si vedeva di più».

GIANFRANCO BONERA NATO A PORPETTO IL 2 APRILE 1945QUANDO L’HA CONOSCIUTO: PILOTA MONDIALE 350 E 500; OGGI: PENSIONATO«Ci siamo conosciuti di persona quando ha iniziato a correre nel Mondiale per le derivate di serie, con la FZ dal telaio in ferro che gli preparava Peppo Russo. Mi disse che era un mio fan già ai tempi del motocross. L’unico consiglio che mi permisi di dargli fu riguardo all’ambiente della pista, lo misi al corrente sulle rivalità interne di questo mondo. Gli dissi di non guardare tanto a ciò che ti offrono, ma puntare ad avere un team sereno, come poi è stato. In moto andava molto forte e aveva quella cattiveria giusta che ci vuole in gara. Ha avuto una bella carriera e si è divertito molto».

MARCO RIVA NATO A ERBA IL 10 MARZO 1959QUANDO L’HA CONOSCIUTO: DIPENDENTE GILERA; OGGI: GENERAL MANAGER YAMAHA MOTOR RACING«Non ho mai la sensazione di averlo perso, lui era sempre propositivo, ottimista. Ho iniziato a dargli una mano nel 1988 e, a parte una parentesi di 2-3 anni in cui ci vedevamo poco, ci siamo frequentati per 25 anni: mi chiamava MarcoRiva tutto attaccato, da sempre. Il feeling tra di noi è nato perché ad entrambi piace curare tutto con precisione e avere tutto ordinato. Era una grande persona, diretta, molto naturale, e pur andando forte aveva un modo di fare semplice che mi piaceva un casino. Non recitava la parte del pilota professionista che tiene le distanze. Come pilota aveva una caratteristica particolare: sembrava non facesse fatica a fare nulla, rendeva semplici anche le cose complicate. L’anno scorso si era messo in testa di fare la 8 Ore di Suzuka con Cadalora e Gramigni con l’R1 dopo aver visto i tempi del nostro collaudatore. È merito suo se ho iniziato ad andare in pista a 57 anni, mi ha spinto a farlo: tutte le volte che ci vado penso a lui».

Golia per giocare sulla contrapposizione biblica. Quando nel 92 gli hanno proposto di correre per una neonata squadra nel Mondiale, mi ha chiesto di seguirlo come coordinatore: era un passaggio importante perché stava entrando in un’ottica più professionale rispetto alla gestione familiare precedente».

RENATO MANUZZATONATO A BUSTO ARSIZIO IL 27 MARZO 1954QUANDO L’HA CONOSCIUTO: GIOVANE PILOTA CROSS; OGGI: TITOLARE DI UN NEGOZIO MOTO«Dovremmo esserci trovati la prima volta nel 1975 sui campi da cross: io correvo in 125, lui nel 50. Solo una volta abbiamo gareggiato insieme in una gara regionale. Aveva il talento a cui univa una grande competitività e tanto carattere. A qualcuno poteva sembrare un ganassone, per modo di dire, ma diceva solo cose di cui era convinto e che dimostrava».

VALTER CHIAPPANATO A LIMBIATE IL 23 MAGGIO 1961QUANDO L’HA CONOSCIUTO: GIOVANE PILOTA CROSS; OGGI: CARROZZIERE E NEO CAMPIONE ITALIANO MOTOCROSS D’EPOCA«Eravamo dello stesso motoclub e quindi ci siamo visti lì: all’inizio ero timido e non mi azzardavo

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DA QUARANT’ANNI LA CLINICA MOBILE ASSISTE I PILOTI QUANDO SI FANNO MALE E SODDISFA IL LORO DESIDERIO DI TORNARE A CORRERE AL PIÙ PRESTO. IL SUO FONDATORE, CLAUDIO COSTA, CI RACCONTA ALCUNI TRA I RETROSCENA PIÙ DIVERTENTI CHE

HANNO AVUTO PER PROTAGONISTI I CAMPIONI DEL MOTOMONDIALE, I SUOI EROI

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LA CLINICA PIÙ PAZZA DEL

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GIACOMO AGOSTINIQUANDO NEL 1974 GIACOMO AGOSTINI PASSÒ DALLA MITICA MV AGUSTA ALLA YAMAHA MI SI OFFRÌ LA POSSIBILITÀ DI DIVENTARE IL MEDICO DEL PIÙ TITOLATO PILOTA DI MOTOCICLISMO DI TUTTI I TEMPI. MA LA GIOIA FU TURBATA DAL FATTO CHE MIO PADRE NON VOLEVA CHE IO VIAGGIASSI IN AEREO, E PER PARTIRE PER LA DAYTONA D’AMERICA, NON POTEVA ESISTERE ALTRO MEZZO DI TRASPORTO ALTRETTANTO RAPIDO. ALLORA CONSIGLIAI A GIACOMO DI CHIEDERE IL CONSENSO A MIO PADRE DICENDOGLI CHE NON SOLO IO ERO IL MEDICO CHE LO POTEVA SALVARE DAL “CALDO” DELLA FLORIDA, MA CHE SAREI STATO IL SUO PORTAFORTUNA PER VINCERE LA DAYTONA D’AMERICA, ALTRI TITOLI MONDIALI E GARE PRESTIGIOSE. IN UNA PAROLA CONSIGLIAI GIACOMO DI FARE LEVA SULLA SCARAMANZIA, ALLA QUALE MIO PADRE ERA MOLTO SENSIBILE.CI RIUSCÌ E COSÌ ANDAI A DAYTONA, VICINO AL MIO CAMPIONE, E LO CURAI CON UNA SACRA DEVOZIONE. UNA SERA DOVEVO ACCOMPAGNARE GIACOMO A UNA CENA CON MOLTI INVITATI. GIACOMO MI DISSE: «CLAUDIO RICORDATI, ALLA FINE DELLA CENA, DI PAGARE LA TUA PARTE DI CONTO, COSÌ IO LA MIA E COSÌ FARANNO TUTTI GLI ALTRI. RESTA INTESO CHE SARAI RIMBORSATO ALL’INDOMANI». HO ASPETTATO PER MOLTO TEMPO CHE LUI MANTENESSE LA PROMESSA FINO A MOLTI ANNI DOPO, QUANDO MI INVITÒ A CENA A HOCKENHEIM. IN QUELLA NOTTE NEVICÒ.

RENZO PASOLINIALLA VIGILIA DELLA SECONDA EDIZIONE DELLA 200 MIGLIA DI IMOLA DEL 1973, RENZO ERA AFFLITTO DA UNA FEBBRE ALTISSIMA A CAUSA DI UN GRAVISSIMO MAL DI GOLA. PRIMA DELLA GARA, NONOSTANTE TUTTE LE CURE, NON SI INTRAVEDEVA NESSUNA POSSIBILITÀ CHE POTESSE CORRERE. MA IL DESIDERIO FU TALMENTE GRANDE CHE SALÌ IN SELLA ALLA SUA MOTO, L’HARLEY-DAVIDSON, ANCHE SE “DELIRANTE” PER LA FEBBRE ALTA. PARTÌ PER LA SUA AVVENTURA E GIRO DOPO GIRO CONQUISTAVA POSIZIONI SEMPRE PIÙ AVANZATE APPLAUDITO E INCITATO DALLA FOLLA. ALL'IMPROVVISO TORNÒ AI BOX E DOPO ESSERSI TOLTO IL CASCO DAL VISO INFUOCATO PER LA FEBBRE SORRIDENDO MI DISSE: «MI SONO FERMATO PERCHÉ C’È QUALCOSA DI MOLTO STRANO: ALLA PARTENZA AVEVO DAVANTI A ME CIRCA DODICI AVVERSARI, E DOPO NUMEROSI SORPASSI NE RIMANEVANO SEMPRE TANTI, TANTISSIMI DA SUPERARE. IL FATTO MI PAREVA IMPOSSIBILE E SOLO POCO FA MI SONO ACCORTO CHE NEL DELIRIO DELLA FEBBRE VEDEVO TRIPLO, PER CUI INVECE DI UN SINGOLO PILOTA NE VEDEVO TRE. DODICI PER TRE DIVENTAVANO TROPPI ANCHE PER ME E ALLORA MI SONO FERMATO AI BOX PER FARMI CURARE».

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ANGEL NIETOL’HO CONOSCIUTO A IMOLA NEL 1972, ALLA FINE DELLA CORSA MONDIALE DELLA CLASSE 50, QUANDO LO SALVAI TRASCINANDOLO NELLA MIA AMBULANZA, POSTEGGIATA LÌ VICINO, NON PERCHÉ SI ERA FERITO A SEGUITO DI UNA CADUTA, MA PER SOTTRARLO DA UNA RISSA FURIBONDA CHE AVEVA INGAGGIATO CON I PILOTI OLANDESI HUBERTS E DE VRIES. TUTT’ALTRO CHE ANGELO IN PISTA, È STATO FORSE UN DIAVOLO E, SE DIAVOLO È STATO, HA BATTUTO OLTRE AGLI AVVERSARI, ANCHE LUCIFERO. BRAVISSIMO, ASTUTO, CAMPIONE DEL MONDO TANTE VOLTE, TALMENTE SUPERSTIZIOSO DA RIASSUMERE I TITOLI VINTI CON LA FORMULA 12 + 1 PER NON PRONUNCIARE IL NUMERO TREDICI.A PROPOSITO, PERCHÉ TANTA PAURA DI QUESTO NUMERO? QUANDO TANTI MILLENNI FA LE DONNE COMANDAVANO IL MONDO, E LA LUNA ERA L’ASTRO CHE SCANDIVA LA VITA, I RITI SACRI E IL TEMPO, VIGEVA UN’INCREDIBILE USANZA: LA REGINA ELETTA PER REGNARE POTEVA SPOSARE A PRIMAVERA IL GIOVANETTO PRESCELTO, MA, ALLA FINE DELL’ANNO LUNARE, CIOÈ AL TREDICESIMO MESE PERCHÉ IL CICLO DELLA LUNA È DI 28 GIORNI, QUESTO SPOSO VENIVA SOLENNEMENTE MESSO A MORTE. QUESTO TRAGICO RITUALE ARCAICO SPIEGA IL TIMORE PER IL NUMERO 13, SPECIE DA PARTE DEI MASCHI. INFATTI, È FACILE TROVARE QUALCHE DONNA CHE PUR SUPERSTIZIOSA, AMA IL NUMERO 13: LO CREDO.

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MIKE HAILWOODMIKE È FORSE IL PILOTA CHE HA ACCESO PIÙ DI TUTTI LE MENTI E GLI ENTUSIASMI DEL MONDO MOTOCICLISTICO, IL CAMPIONE CAPACE DI ADATTARSI A QUALSIASI MEZZO MECCANICO, BUONO O CATTIVO CHE FOSSE, E POSSEDEVA TUTTO CIÒ CHE FA GRANDE UN UOMO. ARTURO MAGNI MI RACCONTAVA CHE ALLA FINE DELLE PROVE DOMANDÒ A HAILWOOD, CHE SCENDEVA DALL’MV AGUSTA, SE LA MOTO FOSSE A POSTO. MIKE RISPOSE: «ARTHUR, IT’S PERFECT». GONFIO DI ORGOGLIO, IL RESPONSABILE DELLA SQUADRA DI CASCINA COSTA SI AVVICINÒ ALLA MOTO E INORRIDÌ VEDENDO CHE LA RUOTA POSTERIORE ERA FORATA. HAILWOOD ERA UN’IRA DI DIO: DI NOTTE CANTAVA, BALLAVA, AMAVA LA VITA E LE NOTTI BIANCHE A DIFFERENZA DI GIACOMO AGOSTINI CHE DICEVA DI ANDARE SEMPRE A LETTO, RIMANENDO SERIO E SEMPRE PRESENTE A SE STESSO E AI SUOI DOVERI. IL DUELLO FRA I DUE AVVINSE IL MONDO INTERO E CREÒ UNA NUOVA STORIA DEL MOTOCICLISMO DA CORSA: BASTAVANO LORO DUE, MIKE E AGO, DIONISIO E APOLLO CHE INSIEME RIUSCIRONO A TRAINARE IL CARRO DEL SOLE DEL MOTOCICLISMO.

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L’ANONIMOIN UNA TERRA MOLTO LONTANA SI SVOLSE UN TORNEO DI MOTO CON TANTI CAVALIERI. UNO DI QUESTI SI FERÌ ALLA TESTA, PUR PROTETTA DALL’ELMO, E SPROFONDÒ IN QUEL SONNO CHE GLI ANTICHI VEGLIAVANO NON SOLO CON LA SPERANZA CHE SI SVEGLIASSE PRESTO, MA CHE RACCONTASSE AL RISVEGLIO, APRENDO IL PALMO DELLE MANI COLME DI SEMI DI MELOGRANO, I MISTERI DELLA VITA E DELLA MORTE. I SEMI DEL MELOGRANO RAPPRESENTAVANO PER GLI ANTICHI LE INESTIMABILI RICCHEZZE CHE L’ESSERE UMANO TROVAVA QUANDO SPROFONDAVA NEL REGNO INFERO DEI MORTI. QUESTA CREATURA FERITA ERA PIOMBATA PESANTEMENTE NEL SONNO DEL COMA E SU UN ELICOTTERO LO PORTAMMO AL PIÙ PRESTO IN OSPEDALE. GIÀ ALL’ARRIVO, LE CONDIZIONI GENERALI E I PARAMETRI VITALI ERANO TALMENTE MIGLIORATI CHE FU RICOVERATO IN UNA STANZA SINGOLA CON ANNESSI GLI STRUMENTI DI RIANIMAZIONE. DURANTE LA NOTTE IL PILOTA CONTINUÒ A MIGLIORARE CON GRANDE SOLLIEVO DI CHI GLI STAVA VICINO: IL RISVEGLIO DAL COMA SEMBRAVA PROSSIMO. NELLA LUCE FREDDA E FIOCA DELLA STANZA, CI STAVAMO, DOPO TANTA TENSIONE, RILASSANDO, QUANDO ALL’IMPROVVISO QUALCOSA DI MORBIDO E INDEFINIBILE CI SFREGÒ I PIEDI E LE CAVIGLIE. SORPRESI, GUARDAMMO NELL’INCERTA OSCURITÀ E SCORGEMMO UNA GATTA CON SEI GATTINI APPENA USCITA DA SOTTO IL LETTO. DOPO POCHI ATTIMI DI INDECISIONE, CHIAMAMMO IL PERSONALE E LO APOSTROFAMMO IRONICAMENTE, CHIEDENDO SE QUELLA ERA PROPRIO LA STANZA MIGLIORE DELL’OSPEDALE. CANDIDAMENTE RISPOSERO: «CERTAMENTE, NELLE ALTRE CI SONO I TOPI».

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Page 34: 98 magazine

KEVIN SCHWANTZQuando Kevin l'11 giugno del 1995 annunciò al Mugello a una folla incredula il suo ritiro dalle corse, e piangendo mi abbracciò, si creò all’improvviso nei presenti un grande vuoto che le lacrime non hanno saputo colmare. Il più grande pilota degli ultimi dieci anni abbandonava da uomo un teatro che aveva abitato da eroe. Ma l’abbandono di Kevin Schwantz dalle corse era già stato deciso durante il Gran Premio del Giappone a Suzuka quando il pilota texano con la spalla, il polso e la mano doloranti capì che il tempo degli eroi era finito e cominciava l’era dell’uomo. Quel giorno, nella pioggia di Suzuka, in una giornata tenebrosa per la tempesta, qualcosa di meraviglioso avvenne. Loris Capirossi, piombato alle spalle di Schwantz e ignaro del dramma che si stava svolgendo nell’animo del pilota americano, intuì la verità. Kevin, il cavaliere più amato dai tifosi, il pilota imbattibile nella pioggia e nei circuiti giapponesi, stava lasciando il motociclismo. Loris capì, conobbe in un attimo la tremenda verità. E quando con la ruggente Honda superò il rivale fra miriadi di spruzzi di pioggia, non poté impedire al suo animo di comandare al suo corpo uno dei più bei gesti della sua carriera di campione. Inchinato sull’asfalto infido e scivoloso, dolorante per la mano sinistra ferita gravemente in un incidente patito in Malesia tre settimane prima, Loris alzò questa mano non tanto per scusarsi del sorpasso, ma per offrire a Kevin il dono della solidarietà vera, la solidarietà del nuovo campione che nasce, a uno ancora più grande che lascia.

LORIS CAPIROSSINell'ottobre del 2005 si correva il GP di Australia a Phillip Island. Loris Capirossi, durante le prove, compiva giri sempre più veloci. Improvvisamente, la moto numero 65, mentre viaggiava ad oltre 200 chilometri l’ora, impazzita, disarcionò il suo cavaliere che rotolò sull’asfalto, sull’erba, e poi infine sulla ghiaia. Un volo che sembrava voler perdersi nell’infinito... I piloti, dopo queste cadute capitate in verità a tanti, si rialzano e corrono a ricercare la moto come se fosse il paradiso perduto. Stavolta il centauro giaceva ferito accanto alla sua Ducati che sembrava soffrire quanto il suo cavaliere. Nel rovinoso capitombolo il polmone destro di Loris dapprima si era contuso, colpito dalla moto impazzita, poi si era lacerato. Aria e sangue si erano versati in maniera insidiosa nella cavità toracica, minacciando il delicato tessuto polmonare e anche il cuore. Per non perdere tempo, i medici conficcarono un drenaggio toracico prima che l’anestesia facesse effetto. Questo fece svenire Loris.Quando lo sfortunato pilota si riprese dallo svenimento, un grosso tubo piantato nel torace lo collegava ad una macchina, che producendo il vuoto aspirava aria e sangue dalla cavità, permettendo al polmone di espandersi e tornare alla sua dimensione naturale, vale a dire attaccato alla parete del torace. Contemporaneamente attorno al muscolo cardiaco si dileguò quella mano minacciosa che lo soffocava. Il programma era togliere il drenaggio dopo una settimana, rimanere ricoverato in Australia per ulteriori tre settimane e solo dopo poteva ritornare, con un viaggio transoceanico, in Italia senza il pericolo della riapertura delle ferite del polmone. Ma Loris esclamò: «Voglio correre!». «Riportatemi a casa perché voglio correre tra tre settimane a Valencia, in Spagna». E con entusiasmo mi apostrofò: «Claudio, portami a Valencia».Quella parte della mia intimità dove non esisteva la crosta sensata della ragione rispose: «Semplice! Puoi partire fra quarantotto ore, lasciando il drenaggio in sede, e una volta a Imola, a casa nostra, cercheremo di esaudire il tuo sogno di correre a Valencia». «Sei un mito» affermò lui. «Sto qui ancora un giorno poi torno a casa».Dopo il tempo stabilito, Loris si presentò alla dogana dell'aeroporto con la sua valigetta contenente la macchina del drenaggio e la polizia lo invitò a posarla sul tappeto mobile per condurla nel piccolo tunnel, dove i bagagli sono visionati attentamente, per scoprire eventuali oggetti sospetti. Era evidentemente impossibile. Con un sorriso, Loris spiegò agli irremovibili poliziotti che la valigetta era collegata con un tubo al suo petto. Dopo avere fugato incredulità, sorpresa e confusione, Loris salì sul mastodontico aereo in cambio di alcuni autografi e qualche cartolina. A Valencia, ottenuta l'autorizzazione dei medici responsabili della pista, Loris partì per la corsa. Il suo respiro rimase affannoso solo per qualche attimo perché dopo riprese con una cadenza naturale e come per magia anche la moto si mise a respirare come una creatura umana. Così i due soffi, che altro non sono che l’essenza dell’anima, continuarono a vivere insieme per tutta l’epica corsa.

MAX BIAGGIMax era caduto rovinosamente, mentre si allenava con una moto da Supermotard in una pista vicino casa, riportando due fratture al piede sinistro. Portai il pilota romano alla Clinique du Parc a Lione dove valenti chirurghi inserirono nel piede di Max due viti per l'astragalo e una per il perone. Quando nella penombra della stanza della clinica francese Max si risvegliò, cullava il sogno di tornare a correre entro due mesi sovvertendo la prognosi severa di assoluto riposo per sei mesi. Verso sera, due infermiere dal piglio professionale portarono la cena, per modo di dire. Il pasto frugale consisteva in una specie di passato di patate che poteva stimolare qualsiasi pensiero tranne l’appetito. Max ci guardava con invidia, mentre io e Marino, il fisioterapista di fiducia di Biaggi, indossavamo le giacche a vento per andare in un simpatico locale italiano vicino alla clinica, a mangiare la pizza. Lessi negli occhi di Max il suo desiderio di mangiare come noi. Ammiccando gli chiesi: «Come la vuoi la pizza ?». «Al prosciutto !» rispose con il sorriso sulle labbra, che già umide assaporavano la gustosa pietanza. Allontanò velocemente il vassoio su cui c’era la cosiddetta cena e proseguì: «Tornate presto». Io e Marino mangiammo in fretta e tornammo velocemente alla clinica tenendo gelosamente custodito il contenitore di cartone, da cui usciva il profumo di una gustosa pizza al prosciutto. Vederlo mangiare quel cibo fu una gioia che per pochi attimi scomparve, quando le infermiere entrate nella stanza per il rituale controllo, inorridirono nel vedere quell’incredibile trasgressione. Un paziente, che al risveglio da un delicato intervento chirurgico, mangiava la pizza, non l’avrebbero immaginato mai… per lo meno fino a quel momento. All'improvviso una delle infermiere svenne e mentre Max si gustava la sua pizza, io la rianimai.

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GRAZIANO ROSSIGraziano Rossi "muore" nel circuito di Imola alla curva intitolata nel tempo a Gilles Villeneuve. Ebbe a dire, in seguito, a proposito di quella drammatica caduta: «Dal momento che dovevo cadere, ho pensato di farlo bene nel punto più veloce del circuito con il muro vicino all’asfalto». Come disse Virginio Ferrari, che cadde nello stesso circuito ma al Tamburello, altra curva pericolosissima del tracciato, anche Graziano espresse la stessa sensazione: non ero io che andavo verso le balle di paglia, ma erano queste che mi venivano incontro. L’anestesista rianimatore Carlo Cozza e la Clinica Mobile lo salvano. Dopo alcuni giorni Graziano si risveglia tornando alla vita e alla sua magnifica famiglia: la moglie Stefania e il figlio Valentino, allora piccolo. Restituirlo alla vita e ai suoi cari è stato bello, emozionante. Un giorno qualcuno ci criticò dicendo: «L’avete salvato, ma non è venuto molto bene». Ridendo gli fu risposto: «Ma tu Graziano lo hai conosciuto prima, quando stravagante più che mai passeggiava sotto i portici di Pesaro con una gallina tenuta al guinzaglio?».

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MARCO LUCCHINELLIMARCO CADDE, GIÀ FREGIATO DEL TITOLO DI CAMPIONE DEL MONDO DELLA 500 CC, A VALLELUNGA MENTRE PROVAVA. IN QUELL’INCIDENTE RIPORTÒ UN GRAVE TRAUMA TORACICO CON LA LESIONE DEL POLMONE. FU APPLICATO, PER URGENTE NECESSITÀ, UN DRENAGGIO TORACICO. ENTRANDO NELLA CAMERA DOVE MARCO ERA DEGENTE, PREOCCUPATO LO APOSTROFAI: «PERCHÉ FUMI?». «CHI, IO?» RISPOSE. «NON È VERO». RIBATTEI: «ALLORA IL FUMO CHE È NEL TUBO DEL DRENAGGIO, DA DOVE VIENE?». MI MOSTRÒ IL PACCHETTO DELLE SIGARETTE E SI SCHERNÌ DICENDO CHE NON POTEVANO FARE MALE PERCHÉ IL FUMO INALATO NON SI SAREBBE FERMATO NEL POLMONE FERITO IN QUANTO LO VEDEVA ASPIRATO, COME UNA NUVOLA, NEL TUBO DI PLASTICA TRASPARENTE.

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Zenith_HQ • Visual: U21_PT3 • Newspaper: 12318 2 10Nov16 U21_PT3 (IT) • Language: English • Issue: 10/11/2016 • Doc size: 310 x 440 mm • Calitho #: 11-16-119156 • AOS #: ZEN_12318 • VP 07/11/2016

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