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9.4.1 Introduzione Il cambiamento globale del clima richiede sostanziali ri- duzioni delle emissioni di gas serra (GHG, GreenHouse Gas) derivanti da attività umane, in particolare del bios- sido di carbonio (CO 2 ) fossile, e anche un cambiamen- to nel modo di produrre e utilizzare le risorse energeti- che. A causa delle quantità complessive su scala globa- le, della diversità e della distribuzione geografica delle fonti di CO 2 fossile, non è pensabile poter applicare una singola tecnologia per l’abattimento dei gas serra a ogni situazione, ma sarà necessaria una serie di tecnologie differenti, da usarsi singolarmente o in combinazione. Tra le opzioni di riduzione, le tecnologie per la cattura e la sequestrazione di biossido di carbonio impediscono che il CO 2 derivante dalla combustione di combustibili fossili si accumuli nell’atmosfera e consentono di con- tinuare a usare i combustibili fossili da cui il mondo attualmente dipende in larga misura. La maggior parte di queste tecnologie di cattura e sequestrazione si basa sulla cattura del CO 2 fossile da punti di emissione fissi, come centrali elettriche o altre installazioni industriali, a cui fa seguito il suo stoccaggio di lungo termine in for- mazione geologiche, suoli o oceani, o il suo riutilizzo. La biofissazione di CO 2 a opera di microalghe è una di queste tecnologie per l’abattimento dei gas serra. Essa si basa sull’uso dell’energia solare attraverso la foto- sintesi per catturare e utilizzare correnti di CO 2 con- centrato, prodotto da centrali elettriche o da altre fonti. Le microalghe sono microscopiche piante acquatiche (fig. 1) e, come per altre opzioni in cui si utilizzano bio- masse, la diminuzione delle emissioni di gas serra median- te processi di biofissazione si ottiene dalla conversione e utilizzo della biomassa algale raccolta come biocom- bustibile rinnovabile in grado di sostituire i combusti- bili fossili, o ricavandone prodotti che richiedono un minor consumo di energia rispetto alle tecnologie con- venzionali. I biocombustibili rinnovabili che si possono ottenere dalla biomassa algale comprendono metano, etanolo, biodiesel e idrogeno, mentre i prodotti che per- mettono di risparmiare energia includono fertilizzanti, biopolimeri, prodotti chimici e anche mangimi anima- li. La cattura e l’utilizzo del CO 2 da parte delle microal- ghe possono anche essere associati a servizi ambientali, 837 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 9.4 Biofissazione di CO 2 fossile mediante microalghe per l’abbattimento dei gas serra fig. 1. Microalghe coltivate attualmente a scopo commerciale o di potenziale interesse per l’abbattimento dei gas serra. A, Micractinium sp. (alga verde), dominante nelle vasche per il trattamento delle acque relfue (per cortesia di EPA); B, Spirulina (Arthrospira) platensis, microalga filamentosa prodotta come supplemento nutrizionale (per cortesia di UTEX); C, Navicula sp. (diatomea), potenzialmente in grado di produrre oli (per cortesia degli Autori). A B C

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9.4.1 Introduzione

Il cambiamento globale del clima richiede sostanziali ri-duzioni delle emissioni di gas serra (GHG, GreenHouseGas) derivanti da attività umane, in particolare del bios-sido di carbonio (CO2) fossile, e anche un cambiamen-to nel modo di produrre e utilizzare le risorse energeti-che. A causa delle quantità complessive su scala globa-le, della diversità e della distribuzione geografica dellefonti di CO2 fossile, non è pensabile poter applicare unasingola tecnologia per l’abattimento dei gas serra a ognisituazione, ma sarà necessaria una serie di tecnologiedifferenti, da usarsi singolarmente o in combinazione.Tra le opzioni di riduzione, le tecnologie per la catturae la sequestrazione di biossido di carbonio impedisconoche il CO2 derivante dalla combustione di combustibilifossili si accumuli nell’atmosfera e consentono di con-tinuare a usare i combustibili fossili da cui il mondoattualmente dipende in larga misura. La maggior partedi queste tecnologie di cattura e sequestrazione si basasulla cattura del CO2 fossile da punti di emissione fissi,come centrali elettriche o altre installazioni industriali,a cui fa seguito il suo stoccaggio di lungo termine in for-mazione geologiche, suoli o oceani, o il suo riutilizzo.

La biofissazione di CO2 a opera di microalghe è unadi queste tecnologie per l’abattimento dei gas serra. Essasi basa sull’uso dell’energia solare attraverso la foto-sintesi per catturare e utilizzare correnti di CO2 con-centrato, prodotto da centrali elettriche o da altre fonti.Le microalghe sono microscopiche piante acquatiche(fig. 1) e, come per altre opzioni in cui si utilizzano bio-masse, la diminuzione delle emissioni di gas serra median-te processi di biofissazione si ottiene dalla conversionee utilizzo della biomassa algale raccolta come biocom-bustibile rinnovabile in grado di sostituire i combusti-bili fossili, o ricavandone prodotti che richiedono unminor consumo di energia rispetto alle tecnologie con-venzionali. I biocombustibili rinnovabili che si possono

ottenere dalla biomassa algale comprendono metano,etanolo, biodiesel e idrogeno, mentre i prodotti che per-mettono di risparmiare energia includono fertilizzanti,biopolimeri, prodotti chimici e anche mangimi anima-li. La cattura e l’utilizzo del CO2 da parte delle microal-ghe possono anche essere associati a servizi ambientali,

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Biofissazione di CO2 fossilemediante microalghe

per l’abbattimento dei gas serra

fig. 1. Microalghe coltivate attualmente a scopo commerciale o di potenziale interesse per l’abbattimento dei gas serra. A, Micractinium sp. (alga verde), dominante nelle vascheper il trattamento delle acque relfue (per cortesia di EPA);B, Spirulina (Arthrospira) platensis, microalga filamentosaprodotta come supplemento nutrizionale(per cortesia di UTEX); C, Navicula sp. (diatomea), potenzialmente in grado di produrre oli (per cortesia degli Autori).

A B

C

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quali il trattamento delle acque reflue e il riciclaggio dinutrienti, il che, in confronto ai processi convenzionali,determina un ulteriore abbattimento dei gas serra graziealla riduzione del consumo energetico. Rispetto alla pro-duzione di biomassa con piante superiori, la caratteri-stica più importante dei processi basati su microalghe èla capacità di raggiungere elevate efficienze di conver-sione solare, riducendo in tal modo le necessità di super-ficie e di acqua, i due fattori che maggiormente limita-no qualsiasi tecnologia basata sulla fotosintesi.

Il concetto di cattura del CO2 e di produzione di bio-combustibili rinnovabili mediante colture microalgali suvasta scala era già stato proposto mezzo secolo fa (Oswalde Golueke, 1960) ed è stato oggetto di estesa attività diricerca e sviluppo, soprattutto negli Stati Uniti (Sheehanet al., 1998) e in Giappone (Hamasaki et al., 1994; Usuie Ikenouchi, 1997; Murakami e Ikenouchi, 1997). Attual-mente le microalghe vengono prodotte a scopo com-merciale per ottenere sostanze nutritive, sia in vasche

all’aperto sia in fotobioreattori chiusi, utilizzando siafonti di CO2 concentrato sia gas di combustione, e ven-gono anche impiegate nei processi di trattamento delleacque reflue (fig. 2). Queste conoscenze pratiche forni-scono la base per impiegare le colture intensive di microal-ghe nella riduzione dei gas serra. Lo schema generale diun processo di questo tipo è presentato in fig. 3, dovevengono riportati gli input, i vari processi e i prodottidescritti di seguito.

Per far progredire lo sviluppo e l’applicazione deiprocessi di biofissazione per opera di microalghe fina-lizzati alla produzione di energia rinnovabile e alla miti-gazione dei gas serra, EniTecnologie e il National EnergyTechnology Laboratory del Dipartimento per l’Energiastatunitense hanno organizzato l’International Networkon Biofixation of CO2 and GreenHouse Gas Abatementwith Microalgae, che qui verrà chiamato ‘BiofixationNetwork’ (Benemann et al., 2001; Pedroni et al., 2001,2002). Quest’iniziativa opera sotto l’egida del Programma

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SOSTENIBILITÀ

fig. 2. Sistemi per la produzione di microalghe. A, vasca circolare all’aperto (1.000 m2 circa), sistema di coltura intensiva per la produzione di Chlorella; B, impianto per la produzione di Spirulina e Haematococcus pluvialis con vasche ad alta velocità agitate mediante ruote a pale; C, sistema a fotobioreattore tubulare chiuso per la produzione di Haematococcus pluvialis; D, bacini per il trattamento di acque reflue che comprendono vasche ad alta velocità (per cortesia degli Autori).

A B

C D

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GHG R&D dello IEA (International Energy Agency) einclude tra i suoi membri compagnie del settore energe-tico, agenzie governative e altre organizzazioni che pro-muovono l’attività di ricerca e sviluppo in questo campo.Scopo del Biofixation Network è di costituire un forumche consenta ai partecipanti di condividere informazio-ni e competenze, coordinare e collaborare nelle attivitàdi ricerca e sviluppo, preparare analisi tecno-economi-che e di valutazione delle risorse, sviluppare e dimo-strare, entro un decennio, il possibile utilizzo di proces-si pratici basati su microalghe nella riduzione di gas serra.Questo articolo descrive lo stato attuale della tecnologiabasata su microalghe applicata alla riduzione dei gasserra e alcuni programmi di ricerca e sviluppo che sistanno realizzando nell’ambito del Network.

9.4.2 Fotosintesi, produttività delle microalghe e riduzionedei gas serra

I processi biologici di fotosintesi che fissano il CO2 nellabiomassa vegetale, la sua successiva conversione e ilsuo utilizzo come combustibile rinnovabile costituisco-no una delle tecnologie più promettenti attualmentedisponibili per la riduzione dei gas serra. Globalmente,la fotosintesi cattura una quantità di CO2 che va benoltre un ordine di grandezza rispetto a quella emessadalla combustione di combustibili fossili, anche se sostan-zialmente tutto questo carbonio viene riciclato nuova-mente nell’atmosfera in poco tempo, da alcuni giorni a

qualche anno. L’appropriazione e l’alterazione da partedell’uomo degli ecosistemi e della produttività prima-ria, cioè del CO2 fissato nella biomassa vegetale, supe-rano già di gran lunga il nostro uso di combustibili fos-sili. Perciò, una gestione migliore della biosfera potreb-be ridurre notevolmente le emissioni di CO2 fossile e dialtri gas serra.

Parte del carbonio fissato mediante fotosintesi, peresempio, può accumularsi e rimanere a lungo nel terre-no, o anche in superficie, come biomassa delle foreste.Pertanto incrementare questi processi di sequestrazio-ne del carbonio rappresenta una strada importante perridurre i gas serra. Un’ulteriore efficace via per ridurrei gas serra mediante fotosintesi è rappresentata dall’u-so della biomassa come fonte di energia, o direttamen-te (mediante la combustione) o dopo averla convertitain carburanti gassosi o liquidi. I biocarburanti verreb-bero ottenuti da rifiuti e da residui agricoli, forestali odi altre fonti, potrebbero essere coprodotti con alimen-ti, mangimi e prodotti forestali, oppure prodotti appo-sitamente in aziende come le attuali piantagioni di zuc-chero di canna, di olio di palma e alberi o altre piante,nelle cosiddette fattorie energetiche. In molti paesi i bio-carburanti rimangono un’importante fonte di energia, ecertamente costituiscono una primaria fonte di energiaper la maggior parte delle popolazioni più povere. L’au-mento globale della produzione di biocarburanti e delloro utilizzo, senza incidere sulla produzione alimentareo su altre necessità umane ed evitando la distruzione degliambienti naturali rimasti, costituisce una grande sfidatecnologica e sociale di questo secolo. Essa richiederà

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

luce solare O2

biomassa

centrali, industriealtre fontiacqua-acque reflue nutrienti salini-rifiuti

raceway-type, senza rivestimento, poco profonde (� 40 cm)agitazione mediante ruote a palestazioni di transfer della CO2larga scala (> 1 ettaro)

bioflocculazionemicrofiltraggioaltri?

conversione a biocombustibili/energia(fermentazioni, estrazioni)processamento a coprodotti(biopolimeri, mangimi, fertilizzanti,ammendanti del terreno, ecc.)

energia, CO2SISTEMA DI INOCULOfotobioreattori chiusi e aperti

biocombustibili, coprodotti,acqua rigenerata

ceppi dimicroalghe

COLTIVAZIONE INTENSIVAIN VASCHE ALL’APERTO

PROCESSAMENTO

RACCOLTADELLA BIOMASSA

FONTI DI CO2CONCENTRATE

fig. 3. Schema del processo di biofissazione del CO2 e della riduzione dei gas serra mediante microalghe.

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una trasformazione su scala mondiale degli attuali meto-di agricoli e forestali, affinché sia data priorità alla pre-venzione di ulteriori perdite nette di carbonio dal suoloo dalla vegetazione, una delle fonti principali di CO2

antropogenico nell’atmosfera seconda solo alla com-bustione di carburanti fossili.

La produzione di biomassa è sostanzialmente limi-tata dall’efficienza di conversione solare della fotosin-tesi. In teoria, e in laboratorio, la fotosintesi può essereun convertitore di energia solare altamente efficiente,considerando che un’efficienza massima di circa il 10%(massimo valore di conversione da solare a biomassa) ègeneralmente ritenuta il limite superiore. In laboratorio(cioè in condizioni di scarsa intensità luminosa) questaefficienza può essere effettivamente raggiunta con le col-ture di microalghe (Radmer e Kok, 1977). Di norma l’a-gricoltura opera con un’efficienza ben al di sotto dell’1%di radiazione incidente solare annua convertita in bio-massa raccolta. Inoltre, nell’agricoltura convenzionalele immissioni di energia fossile (fertilizzanti, pesticidi,sostanze chimiche, combustibile, ecc.) possono notel-vomente abbattere l’efficacia nella riduzione di CO2 fos-sile mediante l’uso della biomassa come fonte energeti-ca (Pimentel e Patzek, 2005). La sfida per la ricerca esviluppo consiste nell’aumentare l’efficienza della foto-sintesi nei sistemi di coltivazione all’aperto e nel mini-mizzare l’estensione dei terreni necessari (il cosiddettoimpatto del processo sul territorio), riducendo contem-poraneamente le richieste energetiche e aumentando cosìle potenzialità dei sistemi a biomassa di produrre bio-combustibili, cibo, mangime e fibre, nonché di ridurrele emissioni complessive di gas serra.

Le microalghe, piante microscopiche che solitamentecrescono in ambienti acquatici, marini, salmastri o d’ac-qua dolce, sono generalmente in grado di riprodursi moltorapidamente, spesso raddoppiando la loro massa nel girodi un giorno o anche di poche ore. Ne esistono molti tipi(comunemente chiamate, in base al colore dei loro pig-menti dominanti, alghe verdi, rosse, marroni o ver-di-azzurre, etc.) con migliaia di specie note (v. ancorafig. 1 per alcuni esempi). Oltre che per l’ambiente acqua-tico e i tassi di crescita molto rapidi, la loro coltivazionedifferisce da quella delle piante superiori anche perchérichiede una fonte concentrata di CO2, come quella pre-sente nei gas di combustione provenienti dalle centralielettriche (5-15%), in quanto l’assorbimento di CO2 dal-l’aria (0,04%) da parte delle colture algali sarebbe costo-so e ne ridurrebbe di gran lunga la produttività. Dato cheacqua e sostanze nutritive, compreso il CO2, non sonofattori limitanti, e la rapida crescita permette una pro-duzione continua, con tali colture si possono potenzial-mente raggiungere efficienze di conversione solare (ovve-ro produttività della biomassa) molto più alte che con lepiante superiori. Questo, e l’utilizzo diretto del CO2 deigas di combustione delle centrali elettriche, costituiscono

il vantaggio e l’attrattiva fondamentali delle colture inten-sive di microalghe applicate alla riduzione dei gas serra.La sfida consiste nello sviluppo di processi per produr-re biomassa microalgale che abbiano costi competitivirispetto all’agricoltura e selvicoltura convenzionali, lequali attualmente sono in grado di produrre biomassa acosti notevolmente bassi (complessivamente ben al disotto di 100 $/t di biomassa, ovvero inferiori a 5 $/GJ).Come si vedrà in seguito, per raggiungere l’obiettivo diuna produzione di basso costo, gli attuali processi di col-tivazione di biomassa microalgale devono essere sem-plificati e la produttività massimizzata per avvicinarsi ilpiù possibile all’efficienza di conversione solare teori-ca del 10%. Tale è il principale obiettivo del BiofixationNetwork.

Come detto sopra, un vantaggio delle colture inten-sive di microalghe rispetto alle piante superiori è la velo-cità di crescita. Questo fattore riduce la notevole quan-tità di tempo necessaria alle piante superiori per cresce-re dal seme fino allo sviluppo completo, periodo duranteil quale non intercettano tutta la luce solare. Inoltre, comegià affermato, le microalghe non sono limitate da acqua,sostanze nutritive o CO2, quest’ultimo fornito da unacentrale elettrica o da fonti stazionarie simili. Perciò lemicroalghe possono operare più vicino al potenziale mas-simo della fotosintesi e, quindi, le loro colture intensivesono solitamente più produttive di quelle delle piantesuperiori. Benché dati attendibili su colture massive alga-li operate su larga scala siano scarsi e in molti casi laproduttività sia limitata da altri fattori rispetto a quelliprecedentemente menzionati (quali temperature sub-otti-mali, instabilità delle colture, insufficiente miscelazio-ne, eccessiva formazione di O2, ecc.), le produttività mas-sime ottenibili attraverso coltivazioni che utilizzano laluce solare possono essere stimate tra 50 e 70 t di bio-massa organica secca per ettaro per anno (t/ha�a). Ben-ché tali valori siano circa 10 volte superiori a quanto siottiene per il raccolto cerealicolo negli Stati Uniti, inrealtà non sono molto più alti di quanto già ottenuto conla coltura più produttiva in assoluto, la canna da zuc-chero, basata sulla produzione di biomassa dall’interapianta (canna e foglie) in climi tropicali. Peraltro, que-sto rendimento rappresenta al massimo tra l’1 e il 2%dell’efficienza di conversione dell’energia solare totale,a seconda della localizzazione. Si tratta di una produtti-vità modesta se confrontata con quella massima del 10%che può essere prevista basandosi su quanto ottenuto inlaboratorio.

Quando la velocità di fotosintesi (misurata comeassorbimento di CO2 o produzione di O2) a opera dellecolture di microalghe viene misurata in laboratorio infunzione dell’intensità luminosa in esperimenti a brevetermine con coltivazioni diluite, si nota un aumento linea-re della velocità a basse intensità di luce, seguita però daun suo rapido rallentamento all’aumentare dell’intensità

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SOSTENIBILITÀ

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luminosa oltre il 10-20% della luce solare piena. Comedetto prima, a basse intensità di luce e quando tutti glialtri fattori sono sotto controllo, la fotosintesi è effetti-vamente piuttosto efficiente, avvicinandosi alla conver-sione teorica del 10% da luce solare a energia di bio-massa (calcolata assumendo che il 45% della radiazionesolare sia nella parte di spettro visibile o fotosintetica-mente attivo). Ma a intensità di luce maggiore, la foto-sintesi diminuisce la sua efficienza, e a intensità che cor-rispondono alla luce solare piena, le efficienze rilevatein misure a breve termine o anche in studi con colture dilaboratorio continue a lungo termine, scendono al 2-3%nella conversione da luce a biomassa. Ciò è in linea conquanto osservato nelle colture intensive all’aperto, qua-lora si considerino la respirazione (soprattutto le perdi-te notturne) e altri limiti più o meno inevitabili delle col-tivazioni all’aperto (temperatura, concentrazioni di O2,riflessione delle superfici, ecc.). Questa caduta di effi-cienza a intensità di luce elevate, il cosiddetto ‘effettodi saturazione della luce’, si osserva anche con le pian-te superiori, ma è più pronunciato con le colture dimicroalghe ed è il maggior responsabile delle produtti-vità più basse del previsto osservate con queste pianteacquatiche.

La spiegazione dell’effetto di saturazione della lucesi trova nella struttura dell’apparato fotosintetico: l’e-nergia luminosa (fotoni) viene catturata da un assorti-mento di cosiddetti pigmenti antenna o captatori di luce,principalmente la clorofilla nelle piante superiori e nellealghe verdi e altri pigmenti nelle alghe verdi-azzurre(cianobatteri), nelle alghe brune (diatomee) e nelle algherosse (v. ancora fig. 1). L’energia fotonica catturata daquesti pigmenti antenna viene poi trasferita alle cloro-fille del cosiddetto centro di reazione, dove l’energiafotonica è convertita in energia chimica durante un pro-cesso a due fotosistemi. In primo luogo, il fotosistemaII scinde l’acqua (producendo O2) e gli elettroni sonotrasferiti al fotosistema I, dove l’energia fotonica addi-zionale genera un forte agente riducente (la ferredoxinaridotta) ed energia metabolica (ATP). Questi sono poiutilizzati in una serie di reazioni enzimatiche di buio perfissare il CO2 nei carboidrati. I carboidrati vengono poiutilizzati per sintetizzare proteine, lipidi, acidi nucleicie tutti i componenti cellulari, determinando crescita emoltiplicazione delle cellule microalgali. In questo pro-cesso, tanto maggiore è il numero di pigmenti antenna,quanti più fotoni possono essere catturati dalle cellulea basse intensità di luce. Tuttavia, a intensità di luce ele-vate, l’alto numero di tali pigmenti fa sì che venganoassorbiti più fotoni di quanti ne possano poi essere pro-cessati dai centri di reazione; questo eccesso di energiaviene perso rapidamente, sotto forma di calore, o rie-messo sotto forma di fluorescenza. Poiché le cellulemicroalgali, in natura e soprattutto nei sistemi coltura-li intensivi, si spostano frequentemente da zone molto

illuminate ad altre poco illuminate e viceversa, non rie-scono ad aggiustare continuamente il loro contenuto dipigmenti antenna in modo ottimale, consentendo una piùefficiente conversione di energia solare. La strategia evo-lutiva migliore per le microalghe è consistita nell’adat-tarsi alle basse intensità di luce, il che si traduce semprenell’avere un elevato numero di pigmenti antenna, anchese, a maggiori intensità luminose, ciò comporta uno spre-co di fotoni.

Semplificando, le cellule microalgali sono evoluti-vamente progettate per crescere con maggior efficien-za a bassi livelli di luminosità dato che non fa grandedifferenza per le singole cellule (le unità di selezioneevolutiva) l’essere inefficienti in piena luce perché laluce sprecata non sarebbe comunque utilizzata. In altreparole, le singole cellule che si trovano alla superficiedella vasca, esposte alla luce solare piena, non vengonopenalizzate per lo spreco di fotoni, pur riducendo l’il-luminazione delle coorti sottostanti. Queste stesse cel-lule, tuttavia, hanno bisogno di catturare ogni fotonedisponibile quando si trovano sul fondo della colturadove saranno oscurate dalle cellule che si trovano sopradi loro. In effetti, si potrebbe anche argomentare chequelle in superficie traggano beneficio dal fatto di oscu-rare quelle sotto di loro, in quanto riducono in questomodo la crescita di cellule competitrici. Inoltre, quan-do le cellule si spostano nella colonna d’acqua dalle zonea maggior intensità luminosa verso quelle a minor inten-sità, qualsiasi intervallo di tempo impiegato ad adattar-si alla mutata intensità di luce viene sottratto alla cre-scita. In breve, le pressioni evolutive e la selezione hannofavorito fortemente un complesso di pigmenti antennarelativamente ampi negli apparati fiotosintetici dellemicroalghe, e questo è il principale fattore da conside-rare per la produttività relativamente bassa delle coltu-re intensive algali, confrontata al loro potenziale. Que-sto spiega la bassa produttività delle colture intensive dialghe a elevata densità (quest’ultima caratteristica neces-saria alla cattura di tutta la luce solare), in cui le cellu-le algali, con le grandi dimensioni delle loro antenne,catturano la maggior parte della luce solare in corri-spondenza o vicino alla superficie della coltura, ma uti-lizzano solo una piccola frazione dei fotoni catturatisprecando il resto oscurando le cellule sottostanti.

Inoltre, elevate intensità di luce (uguali o vicine allaluce solare piena) risultano effettivamente inibenti e per-sino dannose per le cellule con antenne di grandi dimen-sioni, determinando il fenomeno della fotoinibizione,che si manifesta come una diminuzione nella velocità difotosintesi durante l’esposizione delle cellule a elevateintensità luminose. Questo effetto realmente riduce laproduttività complessiva (vale a dire l’efficienza) dellecolture intensive di alghe anche più di quanto ci si aspet-terebbe dal solo effetto di saturazione della luce. In effet-ti, cellule algali esposte a elevate intensità di luce per

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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periodi lunghi riducono le dimensioni delle loro anten-ne per evitare tali effetti inibitori, ma quando arrivano afarlo, il loro apparato fotosintetico è già stato danneg-giato. In breve, la riduzione delle dimensioni dell’an-tenna risultante dalla fotoinibizione è subordinata, nellesingole cellule, alla massimizzazione delle sue dimen-sioni che risulta dall’effetto di saturazione della luce.

Riassumendo, grazie alla maggiore ampiezza delleantenne dell’apparato fotosintetico delle microalghe, laproduttività delle colture intensive di alghe esposte allaluce è circa soltanto da un terzo a un quarto di quanto cisi aspetterebbe dagli esperimenti di laboratorio condot-ti a bassa intensità di luce. Nel corso degli anni sono stateproposte diverse soluzioni per superare questo limite fon-damentale alla produttività:• agitare frequentemente le colture algali in modo che

tutte le cellule si trovino spesso esposte al sole (‘effet-to luce intermittente’);

• disperdere la luce solare nella coltura mediante pri-smi o, più recentemente, mediante fibre ottiche;

• usare colonne verticali o pannelli che non ricevanola luce solare piena come avviene in una vasca oriz-zontale;

• selezionare alghe con un basso contenuto di pigmentiantenna che non presentano l’effetto di saturazionedella luce.Ciascuno di questi approcci è stato oggetto di nume-

rosi studi nel corso degli anni, come illustrato di seguito.Agitazione rapida delle colture algali. L’agitazione

rapida può essere usata per portare le cellule dentro efuori le zone di luce in modo che i fotoni siano assorbi-ti alla velocità con cui potranno successivamente essereusati nelle reazioni di buio (il trasferimento più criticodi elettroni tra i due fotosistemi). Questo consente di eli-minare gli effetti di saturazione della luce e di fotoini-bizione. Sfortunatamente la costante di tempo coinvol-ta, solo pochi millisecondi a elevata intensità luminosaseguiti da un periodo molto più lungo al buio (‘effettoluce intermittente’ per la prima volta descritto dettaglia-tamente da Kok, 1953), richiede un’agitazione così velo-ce che la necessità energetica diventerebbe proibitiva inogni processo pratico. Benché nel corso degli ultimi cin-quant’anni siano state effettuate molte ricerche suglieffetti delle fluttuazioni di luce, periodicità, modulazio-ne, agitazione (sia organizzata sia casuale) ecc., i limitipratici della coltura algale intensiva non permettono l’usodi un’agitazione rapida per superare la saturazione dellaluce. Gli effetti benefici spesso citati dell’agitazione rapi-da sulla produttività delle colture intensive possono esse-re attribuiti a effetti secondari, quali la riduzione dellatensione di O2, piuttosto che al superamento dell’effet-to di saturazione della luce (Weissman et al., 1988).

Dispersione della luce solare tramite prismi o fibreottiche. I bioreattori a fibre ottiche o altri sistemi (pri-smi, ecc.) che disperdono la luce nelle colture algali

richiedono specchi concentratori per catturare la lucesolare che devono essere grandi quanto i fotobioreatto-ri stessi. Questi specchi avrebbero un costo altamenteproibitivo, così come il costo e i significativi problemi(per esempio il fouling) inerenti a un sistema così com-plesso, rende questo approccio completamente inattua-bile (v. par. 9.4.3).

Uso di colonne verticali o pannelli. I fotobioreatto-ri verticali, benché molto più economici dei fotobio-reattori a fibre ottiche, sono ancora troppo costosi rispet-to ai più semplici sistemi di coltura intensiva (per esem-pio vasche), e in ogni caso troppo costosi per qualsiasiapplicazione nella riduzione dei gas serra. Per esempio,per massimizzare l’efficienza di conversione solare consistemi verticali, sarebbe necessario che l’area del foto-bioreattore sia almeno di 3 m2 per ogni m2 di terreno (perconsentire un’intercettazione più efficiente di tutta laluce solare).

Ceppi algali a basso contenuto di pigmento anten-na. Le alghe con un contenuto di pigmenti antenna ridot-to, come spiegato in precedenza, hanno uno svantaggiocompetitivo e quindi l’evoluzione le ha selezionate nega-tivamente. Per questo non ci si aspetta di trovarle in natu-ra e infatti non esistono (Kok, 1973). Tuttavia, come siè già detto, le microalghe possono adattare le dimen-sioni delle loro antenne in risposta alle condizioni ambien-tali ed è ora possibile creare in laboratorio quello che lanatura ha evitato: mediante l’utilizzo delle biotecnolo-gie si possono creare ceppi microalgali con un conte-nuto di pigmenti antenna permanentemente ridotto. Taliceppi, anche se non sono competitivi in natura, avran-no produttività maggiori nelle condizioni controllatedelle colture intensive. Questa è stata proposta come lastrategia più promettente per ottenere produttività ele-vate a basso costo (Benemann, 1989; Benemann eOswald, 1996) e ha portato a investimenti nel settore diricerca e sviluppo, sia in Giappone sia negli Stati Uniti,finalizzati alla selezione di ceppi a basso contenuto dipigmenti antenna (Nakajima e Ueda, 1997 e 2000;Neidhardt et al., 1998; Polle et al., 2000). Va sottoli-neato che ceppi mutanti con contenuto ridotto di pig-menti antenna dovrebbero essere in grado di superarecontemporaneamente sia l’effetto di saturazione dellaluce sia quello di fotoinibizione, visto che entrambi sonodovuti all’elevato contenuto di pigmenti antenna deiceppi microalgali naturali.

La ricerca per selezionare e produrre ceppi con con-tenuto ridotto di pigmenti antenna che possano esserecoltivati intensivamente viene ora proseguita da uno spe-cifico progetto nell’ambito del Microalgae Network (Polleet al., 2005). Lo scopo immediato di questa ricerca con-siste nell’ottenere una produttività doppia rispetto a quel-la attuale con un’efficienza di conversione solare conti-nuativa di circa il 3-5%, corrispondente a una produtti-vità di 100-150 t/ha�a (a seconda della collocazione

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SOSTENIBILITÀ

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geografica e della composizione della biomassa algale).Una produttività di questo ordine di grandezza è quellaadeguata per poter applicare questi sistemi alla riduzio-ne dei gas serra. In una fase successiva, dovrebbe esse-re possibile ottenere anche produttività superiori convasche per colture intensive di alghe all’aperto. Questealte produttività riducono l’impatto sul territorio e miglio-rano l’economia del processo, due fattori fondamentalinelle applicazioni per la riduzione dei gas serra.

Benché di fondamentale importanza, saturazione del-la luce e fotoinibizione non sono gli unici fenomeni cheriducono ben al di sotto del massimo teorico la produt-tività di una coltura intensiva di alghe. La respirazioneè un altro fattore importante, come verrà brevementediscusso in seguito, e anch’essa dovrà essere presa inconsiderazione nelle future applicazioni biotecnologi-che per sviluppare ceppi migliorati. In conclusione, perottenere un’elevata produttività in colture intensive dimicroalghe realizzate all’aperto è ancora necessaria parec-chia attività di ricerca e sviluppo. Tuttavia, sono ormaidisponibili gli strumenti biotecnologici per realizzarequesto obiettivo e si può quindi realisticamente preve-dere di ottenere produttività molto maggiori.

9.4.3 Sistemi di coltivazione di microalghe e cattura di CO2

Anche prima di aver realizzato questi obiettivi di altaproduttività, bisogna chiedersi come coltivare in modointensivo le microalghe e catturare il CO2 dai gas di com-bustione derivati da centrali elettriche a bassi costi. Fon-damentalmente sono stati presi in considerazione dueapprocci differenti: le colture in vasche all’aperto e quel-le in fotobioreattori chiusi. Anche le vasche ovviamen-te possono essere considerate dei fotobioreattori, ma quisi preferisce usare questo termine per indicare in modospecifico sistemi chiusi, in cui non vi sia scambio diret-to di gas con l’atmosfera come nelle vasche all’aperto.

Vasche all’apertoLe vasche per colture all’aperto possono essere di

diversa foggia. La più semplice è una vasca in cui lemicroalghe crescono essenzialmente come fanno in natu-ra, sospese nella colonna d’acqua e rimescolate solo dalvento. Benché molto usati nel trattamento delle acquereflue (fig. 2D) e anche in alcuni sistemi di produzionecommerciale di microalghe, tali tipi di vasche non ver-ranno ulteriormente presi in considerazione in questasede perché presentano una produttività molto bassa. Ciòè dovuto almeno in parte alla carenza di CO2, in quantoquesti sistemi non ne prevedono l’apporto aggiuntivodall’esterno. Per ottenere un’omogenea distribuzione delCO2 è necessaria la presenza di un meccanismo di agi-tazione della vasca.

Uno dei primi sistemi all’aperto, con agitazione, perla coltura intensiva di alghe è stata una vasca a strutturacircolare sviluppata in Giappone 50 anni fa per coltivareintensivamente Chlorella (Tamiya, 1957) e usata dagli anniSessanta per la sua produzione commerciale (fig. 2A).Lo svantaggio principale di questo tipo di vasca è la sualimitata dimensione: a causa dell’agitazione non unifor-me dovuta al meccanismo di spinta a perno centrale, nonpuò superare 1.000 m2. Inoltre, questo sistema di agita-zione è costoso sia nella costruzione sia nell’operatività.In breve, il problema dell’agitazione e quello idraulicosono i principali fattori limitanti per la costruzione sularga scala di questi sistemi produttivi.

Agli inizi degli anni Cinquanta venne studiata per laprima volta in California la vasca aperta raceway (chia-mata anche vasca ad alta velocità) applicata al tratta-mento di acque reflue. L’agitazione era ottenuta median-te una pompa di ricircolazione (Oswald e Golueke, 1960).A partire dai primi anni Sessanta, tali sistemi furonoinstallati in diverse vasche per il trattamento di acquereflue in California (v. ancora fig. 2D), benché fosserousati anche altri sistemi di agitazione (per esempio, lapompa di Archimede). Negli stessi anni in Germaniavennero introdotte le ruote a pale (paddle wheel) per agi-tare piccole vasche raceway per colture intensive di alghee successivamente per sistemi pilota di trattamento diacque reflue (Benemann et al., 1980). Da allora questoassetto è il più diffuso nell’industria delle microalghe.Questo tipo di vasche viene usato estesamente nella pro-duzione commerciale di Spirulina e Dunaliella, le prin-cipali specie di alghe attualmente prodotte su scala com-merciale, e viene applicato anche nel trattamento di acquereflue (v. ancora figg. 2B e 2D). Le vasche raceway agi-tate con ruote a pale sono poco profonde (solitamentel’altezza del mezzo acquoso va da 20 a 30 cm) e una sin-gola vasca può facilmente essere ampliata fino a diver-se migliaia di metri quadrati e plausibilmente fino adiversi ettari.

Per vasche grandi occorrono ruote a pale grandi, perle quali può sembrare necessario un elevato apporto dienergia. Tuttavia ciò non è vero poiché fintanto che levelocità di agitazione sono mantenute nell’intervallo di20-30 cm/s, il consumo di energia per l’agitazione èmodesto. Tuttavia, un’agitazione più lenta potrebbe deter-minare la sedimentazione delle alghe, così come un insuf-ficiente rifornimento di CO2. Poiché gli input d’energiaaumentano in funzione del cubo della velocità di flusso,agitazioni più rapide consumerebbero troppa energia.Nei sistemi commerciali il CO2 viene fornito alle vascheda fonti concentrate anche se, almeno in un caso, l’im-pianto per la produzione di microalghe è stato associa-to a una centrale elettrica di piccole dimensioni.

I due problemi principali sono come trasferire ilCO2 nella coltura in vasca e come impedire la perditadi CO2 dalle vasche associata alla fuoriuscita di gas

843VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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nell’atmosfera. Il trasferimento di CO2 è ottimizzatofacendo gorgogliare il gas attraverso il liquido in un poz-zetto posto poco a valle della ruota a pale. Per i gas dicombustione da centrale elettrica, tipicamente all’8-13%di CO2, è necessario trasferire grandi quantità di gas eper massimizzare l’assorbimento del CO2 e ridurre ilcalo di pressione in corrispondenza dell’orifizio il poz-zetto funziona meglio se viene operato controcorrente.Poiché le bolle salgono ad una velocità di 30 cm/s, simi-le alla velocità di flusso del liquido nella vasca, affin-ché il trasferimento sia efficiente il pozzetto non deveessere troppo profondo. Dovrebbe essere possibile un’ef-ficienza di trasferimento dell’80-90% per i gas di com-bustione e una superiore al 90% se viene usato CO2

puro. Una volta trasferito nella coltura in vasca, ilCO2, sotto forma di CO2 disciolto e acido carbonico(che è in equilibrio con l’alcalinità del carbonato), ten-derà a fuoriuscire nell’atmosfera dato che la sua con-centrazione è maggiore nella vasca rispetto a quella ester-na. I coefficienti di degassamento per le vasche posso-no essere calcolati e sono stati anche misurati, madipendono da molti fattori tra cui il coefficiente di sca-brezza del fondo, le velocità di agitazione, la profon-dità, il pH, l’alcalinità ed eventualmente dalla colturaalgale. Si possono contenere le perdite al di sotto del10%, ma ciò richiede operazioni entro specifici inter-valli di pH, alcalinità, velocità di agitazione, ecc.

L’energia richiesta per pompare i gas di combustio-ne nelle vasche di alghe limita la distanza consentita trala centrale elettrica e le vasche stesse, che devono esse-re collocate in prossimità l’una alle altre. Va poi sottoli-neato, riguardo ai gas di combustione delle centrali elet-triche, che il CO2 è usato dalle colture di microalghe solodurante le ore diurne e che in estate è utilizzato molto dipiù che in inverno, il che riduce l’utilizzazione massimaannuale di CO2 a circa un terzo, ossia considerevolmentemeno, di quanto in complesso prodotto da una centraleelettrica a carico base stazionario.

Un elemento fondamentale è la capacità delle microal-ghe di crescere utilizzando direttamente il gas di com-bustione emesso da una centrale elettrica. La concen-trazione di CO2 (CO2 disciolto�acido carbonico) a cui lecellule algali sono effettivamente esposte nelle vasche èrelativamente bassa, al massimo è al livello di quella deigas di combustione (equivalente a meno del 10% di CO2

in fase gassosa) e inoltre solo limitatamente nel tempo,perché il CO2 viene consumato mano a mano che le alghecrescono nelle vasche. Inoltre, l’effetto del CO2 sullemicroalghe è modulato dal pH che dipende dall’alcali-nità e dalle concentrazioni di biossido di carbonio. Insintesi, non c’è necessità di alghe che tollerino elevateconcentrazioni di CO2, che possano crescere in presen-za di CO2 puro (100%) o in condizioni di acidità (bassopH). Nel corso degli anni passati (a partire dagli anniCinquanta) numerose ricerche, per lo più condotte in

laboratorio (Olaizola, 2003 e bibliografia inclusa) maanche, in misura minore, in colture all’aperto (Matsumotoet al., 1995; Pedroni et al., 2004) hanno dimostrato che èpossibile coltivare efficacemente le microalghe utilizzan-do direttamente i gas di combustione.

La possibilità di eliminare insieme al CO2 contami-nanti aggiuntivi dai gas di combustione di centrali elet-triche, in particolare NOx e SOx, costituisce un’oppor-tunità per integrare lo smaltimento di questi gas con laproduzione di microalghe. Nelle quantità in cui sonoeffettivamente assorbiti (in funzione dei coefficienti ditrasferimento di massa del sistema di trasferimento delgas di combustione), questi contaminanti reagiscono inacqua producendo acidi diluiti che vengono neutraliz-zati dall’alcalinità del mezzo di coltura. Nel caso degliNOx, sia NO sia NO2 vengono utilizzati dalle microal-ghe (Negoro et al., 1993; Nagase et al., 2001) senza alcuncambiamento netto di alcalinità. Tuttavia gli NOx forni-scono solo una piccola percentuale dell’azoto necessa-rio alle alghe. La neutralizzazione degli SOx potrebbeessere un problema nel caso in cui le concentrazioni sianoelevate, il riutilizzo dell’acqua massiccio e l’alcalinitàun fattore limitante, rendendo necessaria l’aggiunta diuna base (per es. NaOH o altra equivalente) alle vasche,procedura utilizzata anche in un convenzionale proces-so di smaltimento dei gas di combustione. La scarsa quan-tità di questi contaminanti rispetto al CO2 fa si che nonrappresentino un grosso problema, tuttavia il potenzia-le delle colture microalgali di contribuire a smaltire i gasdi combustione è degno di essere considerato.

Un altro fattore da considerare è l’O2 prodotto dallecolture di microalghe che si accumula nelle vasche a con-centrazioni di molto superiori rispetto a quelle di satu-razione dell’aria e che si dovrebbe disperdere nell’at-mosfera per evitarne l’accumulo e il conseguente effet-to inibitorio. Ciò si potrebbe ottenere mediante unastazione di sfiato a monte della ruota a pale e preceden-te alla stazione di carbonatazione. Durante la notte lecolture di alghe respirano e utilizzano tutto l’O2 disciol-to e l’eventuale altro O2 trasferito dall’atmosfera. Entram-bi i fattori, alta concentrazione di O2 durante il giorno erespirazione di notte, determinano una perdita poten-zialmente significativa nella produzione giornaliera, masono stati abbastanza trascurati negli studi sulla coltiva-zione intensiva di alghe e richiedono ulteriori approfon-dimenti.

Il rifornimento, il trasferimento e l’utilizzo di CO2

da gas di combustione sono elementi importanti nei costicomplessivi di un processo di abbattimento dei gas serrabasato su microalghe. Un’alternativa sarebbe catturare ilCO2 dai gas di combustione e concentrarlo in CO2 puroal 100%, per poi rifornire la vasca di coltivazione. Ciòcosterebbe decisamente meno che utilizzare il CO2 dei gasdi combustione, per via dei costi inferiori delle tubazionie delle strutture di trasferimento. Inoltre, consentirebbe di

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SOSTENIBILITÀ

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immagazzinare CO2 durante la notte per poi utilizzarlodurante il giorno, con un incremento del fattore di uti-lizzazione complessivo. Tuttavia, anche considerando ilcosto di concentrare il CO2 dalle centrali elettriche, nellamaggior parte delle situazioni si continua a preferire l’u-tilizzo diretto dei gas di combustione. Benché i proble-mi relativi a rifornimento, trasferimento e utilizzo delCO2 siano complessi e sia necessario ulteriore lavoro, laconclusione raggiunta in base ai dati sperimentali, all’a-nalisi teorica e ai calcoli ingegneristici è che il riforni-mento di CO2 dal gas di combustione alle vasche all’a-perto e il suo utilizzo non rappresenta un limite per lecolture intensive di microalghe benché questi fattori ridu-cano specifiche opzioni realizzative (Benemann et al.,1982; Weissman e Goebel, 1987).

Un altro importante elemento nella progettazionestrutturale ed economica delle colture in vasche all’a-perto è il rivestimento delle vasche stesse che serve aimpedire perdite d’acqua per percolazione, contamina-zione della falda idrica, sospensione di detriti e consen-te la pulizia delle vasche. La maggior parte delle vascheper la produzione commerciale di microalghe è rivesti-ta in plastica o in cemento. Tuttavia, gran parte di quel-le per il trattamento di acque reflue è rivestita solo daargilla a basso costo, come lo sono le poche vasche digrandi dimensioni per la produzione di Spirulina. Unlavoro sperimentale che ha messo a confronto vasche rive-stite in argilla con quelle rivestite in plastica (Weissmane Tillett, 1989) suggerisce che non vi sia molta differenzain prestazioni tra queste due opzioni, soprattutto per quan-to riguarda la produttività, e che si potrebbero far fun-zionare vasche non rivestite con le velocità di miscela-zione suggerite sopra (vale a dire da 20 a 30 cm/s circa).Per l’abbattimento di gas serra e la produzione di ener-gia sono necessarie vasche a basso costo rivestite inargilla, perché il rivestimento in plastica, nella maggiorparte dei casi, risulterebbe troppo oneroso, a meno dinon combinarlo con il trattamento di acque reflue o conla produzione di coprodotti che abbiano un valore com-merciale superiore a quello dei combustibili. Per farprogredire lo sviluppo di tecnologie per la mitigazionedei gas serra basate sull’utilizzo di colture intensive dimicroalghe, le future ricerche devono prevedere la rea-lizzazione di vasche di ampie dimensioni (superiori a1 ha) rivestite in argilla.

Il costo capitale delle vasche ad alta velocità con agi-tazione mediante ruote a pale e rivestimento in argillapuò essere stimato, molto approssimativamente, in100.000 $/ha per sistemi su vasta scala (superiori a 100ettari), comprendendo infrastrutture generali (acqua,energia e rifornimento di CO2 per l’impianto), raccol-ta della biomassa e processamento. Questa stima si basasu molti presupposti favorevoli legati al sito e su unaproduttività media annua di 30 g/m2�d (110 t/ha�a). Sitratta di un costo capitale iniziale oltre un ordine di

grandezza più alto di quelli da affrontare per l’agricol-tura o la silvicoltura tradizionali, anche per i sistemi chenecessitano irrigazione. Perciò, neppure alte produttivitàriescono a recuperare investimenti di capitale così ele-vati. Anche i costi operativi per energia, nutrienti, man-tenimento e gestione, compresi la raccolta e il proces-samento delle alghe (v. oltre), sono più elevati per le col-ture di microalghe che per le tipiche colture di piante daraccolto o di alberi. Perciò, complessivamente, l’aspet-to economico della produzione di microalghe con que-sto tipo di vasche all’aperto non risulta molto vantag-gioso in confronto ad altri processi biomassa-biocom-bustibili (v. par. 9.4.6).

Tuttavia, le microalghe possono essere coltivate uti-lizzando terreni, acque e altre risorse, compreso il CO2

dei gas di combustione di centrali elettriche, che nonsono adatti per l’agricoltura o la silvicoltura convenzio-nali. Paradossalmente, l’utilizzo di acqua da parte dellevasche di microalghe in realtà è inferiore a quello perl’agricoltura con piante superiori, in cui il consumo d’ac-qua, a causa dell’evapotraspirazione, è in funzione diret-ta della produttività. La biomassa di microalghe può inol-tre essere convertita in combustibili liquidi e gassosi piùfacilmente della maggior parte di biomassa ottenuta dapiante superiori. Al momento, l’applicazione a breve ter-mine più plausibile delle microalghe nella riduzione deigas serra è in combinazione con il trattamento di acque re-flue o con applicazioni ambientali similari (v. par. 9.4.5).

Uno dei principali svantaggi delle vasche all’apertoè che la coltura di alghe può venire facilmente contami-nata da specie algali invasive, animali che si nutrono dialghe e infezioni biologiche di vario tipo (batteri, proto-zoi, ecc.) il che provoca la perdita della coltura. Proprioquesto tipo di eventi ha limitato fino a poco tempo fa lacoltura intensiva di microalghe in vasche all’aperto apoche specie, in particolare Spirulina e Dunaliella. Que-ste alghe possono essere facilmente mantenute in vascheall’aperto come colture continue perché il loro terrenodi coltura contiene elevate quantità di bicarbonato o disale che sfavoriscono la crescita della maggior parte dellealtre alghe o di microrganismi. Tuttavia, un mezzo cosìselettivo riduce anche la produttività di tali sistemi, rispet-to a coltivazioni in mare o in acqua dolce. Altre microal-ghe coltivate a fini commerciali in vasche all’aperto,soprattutto Chlorella e Haematococcus, richiedono quan-tità relativamente grandi di inoculo iniziale prodotto incondizioni controllate in fotobioreattori chiusi. La quan-tità di produzione di inoculo richiesta è un fattore chia-ve, ma sembra non presentare un limitazione rilevante(Benemann, 2004).

Fotobioreattori chiusiEsistono fotobioreattori chiusi di molte forme, in par-

ticolare tubolari e a lamina piana. I fotobioreattori chiu-si sono caratterizzati dall’impedire lo scambio diretto di

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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gas con l’atmosfera e questa definizione include le vaschecoperte, anche se ventilate. Queste vasche coperte sonostate usate a scopo commerciale per coltivare Chlorellae Spirulina sia in impianti di grandi dimensioni sia perfar partire le colture iniziali in località in cui le tempe-rature erano troppo basse per consentire un rapido ini-zio della produzione in primavera. Come già detto, sonopochi i motivi per impiegare vasche raceway coperte oaltri fotobioreattori chiusi nelle colture intensive di algheal fine di ridurre i gas serra, se non quando si voglianoprodurre gli inoculi.

I fotobioreattori chiusi, in particolare i sistemi tubu-lari ma anche quelli a lamina piana e altri modelli, sonorecentemente molto utilizzati nelle applicazioni com-merciali per l’ottenimento di prodotti ad alto valoreaggiunto a partire dalle microalghe. In particolare, ilcarotenoide astaxantina (un agente colorante sommini-strato in acquacoltura nell’allevamento di salmoni), sinte-tizzato dalla microalga Haematococcus pluvialis (fig. 2C).Di fatto, i fotobioreattori chiusi sono stati l’elementod’interesse principale della maggior parte delle attivitàdi ricerca e sviluppo sulle microalghe negli ultimi duedecenni. Sono stati studiati applicati alla riduzione deigas serra durante gli anni Novanta in Giappone (Maedaet al., 1995; Usui e Ikenouchi, 1997) e più recentemen-te negli Stati Uniti (Bayless et al., 2001; Olaizola, 2003).

L’importanza principale dei fotobioreattori chiusi èrappresentata dalla loro supposta capacità di garantireproduttività molto più alte di quelle che si ottengono invasca aperta. Tuttavia non sono molti gli studi che hannomesso direttamente a confronto le performance dei foto-bioreattori chiusi con quelle delle vasche all’aperto.Recentemente, una sperimentazione di questo tipo è statacondotta nel centro ricerche di Monterotondo (Roma) diEniTecnologie con fotobioreattori tubulari che operava-no all’esterno a fianco di vasche aperte utilizzando ungas di combustione simulato (Pedroni et al., 2004). Nelcomplesso, entrambi i sistemi hanno mostrato produtti-vità simili, espresse in grammi di biomassa secca pro-dotta per m2 di superficie al giorno. Infatti, non esisto-no ragioni teoriche o pratiche convincenti per cui vascheaperte e fotobioreattori chiusi non debbano avere le stes-se produttività se fatti funzionare nelle stesse condizio-ni. Una differenza è costituita dalla temperatura chedurante il giorno è più alta nei sistemi chiusi di quantonon sia nelle vasche aperte. Tuttavia, questo può rap-presentare tanto un problema quanto un vantaggio, poi-ché è necessario procedere al raffreddamento dei foto-bioreattori nelle ore diurne mentre nelle vasche aper-te è il raffreddamento per evaporazione che limita letemperature (eccetto che nelle zone eccezionalmenteumide). Un’altra possibile differenza è che dai fotobio-reattori chiusi c’è meno fuoriuscita, e quindi meno per-dita, di CO2, ma ciò comporta anche un accumulo moltomaggiore di O2 con inibizione della crescita algale. Lo

scambio di gas è il fattore limitante nella progettazionee nel funzionamento di questi sistemi chiusi (Weissmanet al., 1988) e proprio un’insufficiente capacità di scam-bio gassoso è stata la probabile causa del fallimento didiverse iniziative commerciali che utilizzavano i foto-bioreattori per produzione di Spirulina e Dunaliella.

Il limite maggiore dei fotobioreattori chiusi è comun-que il loro elevato costo capitale e operativo. La por-zione in vetro (ovvero la copertura trasparente) rappre-senta spesso solo una piccola parte del costo capitalecomplessivo, mentre il grosso è dovuto alle dimensioniunitarie relativamente piccole di tali sistemi, che pos-sono raggiungere al massimo solo poche centinaia dimetri quadrati, risultando quindi più piccole di oltre dueordini di grandezza rispetto alle dimensioni massimedelle vasche all’aperto. Ciò significa che le apparec-chiature di agitazione, gli scambiatori di gas, il riforni-mento di nutrienti, i sistemi di raccolta e quelli di con-trollo devono essere tutti replicati e fatti funzionare cen-tinaia di volte elevando i costi rispetto a un sistemacostituito da un’unica vasca all’aperto. Il raffreddamentoe la pulizia dei fotobioreattori chiusi rappresentano ulte-riori e notevoli fattori di costo. I costi più bassi pubbli-cati per i fotobioreattori sono nell’ordine dei 50 $/m2

(Tredici, 1999), circa dieci volte maggiori di quelli perle vasche all’aperto (escludendo la raccolta della bio-massa). Tuttavia, queste previsioni non considerano moltecomponenti importanti per cui le stime per i sistemi com-merciali sono risultate molto più elevate, generalmenteben oltre 100 $/m2. In breve, in considerazione dellamancanza di particolari vantaggi, dei molti limiti e, cosapiù importante, dei loro costi elevati (oltre dieci voltemaggiori di quelli delle vasche all’aperto), i fotobio-reattori chiusi non sono utilizzabili per la produzione dibiocarburanti da microalghe e per la riduzione dei gasserra e neanche per il trattamento di acque reflue. Laconcentrazione più alta di biomassa algale nei fotobio-reattori chiusi, rispetto alle vasche all’aperto, riduce icosti di raccolta della biomassa (v. par. 9.4.4), ma que-sto ripaga solo in piccola parte i costi (di capitale e tota-li) molto più alti dei fotobioreattori chiusi rispetto a quel-li delle vasche all’aperto.

Un vantaggio dei fotobioreattori chiusi in realtà esi-ste: essi consentono la coltivazione di ceppi algali chenon sarebbero coltivabili in vasche all’aperto a causa dispecie invasive o del sopravvento di altre specie di microal-ghe o di organismi che si cibano di alghe. Tuttavia, anchein questo caso il vantaggio dei fotobioreattori chiusi rispet-to alle vasche all’aperto è inferiore a quanto si pensi gene-ralmente: benché la contaminazione possa essere ritar-data, prima o poi tali sistemi vengono contaminati daalghe invasive, rotiferi o altri organismi indesiderati. Perliberarsi da tali invasori è necessario ripulire e riavviareil sistema, il che non è sempre efficace e in generale èpiù complicato di quanto sia nelle vasche all’aperto.

846 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

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I fotobioreattori chiusi però possono avere, e avran-no, un ruolo importante nelle tecnologie per diminuirei gas serra: la produzione dell’inoculo microalgale richie-sto per le colture operate in vasche all’aperto su largascala. Nei siti di produzione di questi inoculi, i fotobio-reattori chiusi non verranno fatti funzionare per ottene-re la massima produttività, ma per massimizzare la velo-cità di crescita, in modo da consentire la rapida forma-zione della coltura in condizioni che minimizzino lacontaminazione. L’abbondante preparazione di inoculiprodotti in condizioni controllate sarebbe un passaggiomolto critico qualora si dovessero coltivare ceppi alga-li migliorati geneticamente, come quelli con un conte-nuto ridotto di pigmento antenna (v. sopra). Tali ceppirisulterebbero particolarmente suscettibili alla conta-minazione e al sopravvento da parte di ceppi selvaticidi microalghe e di altri fattori biologici. La crescita diun inoculo di questo tipo di ceppi, per sistemi di vascheall’aperto su vasta scala, verrebbe effettuata in una suc-cessione di fotobioreattori chiusi di grandezza crescen-te e a costo per unità d’area e complessità tecnica decre-scenti: partendo dalle colture in laboratorio e proceden-do aumentando progressivamente le dimensioni di circadieci volte, da piccoli (da 1 a 10 m2) fotobioreattori chiu-si e sterili, fino a fotobioreattori chiusi sempre più gran-di (da 100 a 1.000 m2 fino anche a 10.000 m2), ma pro-gressivamente meno costosi (al m2). I più grandi saran-no vasche raceway rivestite internamente e probabilmentecoperte, che producono l’inoculo finale usato poi peravviare le grandi vasche non rivestite all’aperto, prece-dentemente descritte. Considerando che per una colturadi laboratorio sono necessari da sei a nove stadi di incre-mento (da circa 20 a 30 generazioni, ovvero da due a tresettimane di crescita), la produzione di un tale inoculorappresenterebbe il 5% o meno dei costi di produzionetotali. La produzione dell’inoculo basata su una serie difotobioreattori chiusi diverrà una componente fonda-mentale nello sviluppo di sistemi di coltura intensiva dialghe per ridurre i gas serra che facciano uso di vascheall’aperto, di ceppi di alghe geneticamente migliorati peralta produttività e altre caratteristiche desiderabili.

Va sottolineato che i fotobioreattori chiusi vengonospesso promossi come una tecnologia per la riduzionedei gas serra a prescindere. In Giappone, negli anni Novan-ta è stato condotto un imponente programma di ricercae sviluppo per ridurre i gas serra che ha coinvolto oltredue dozzine di laboratori industriali ed è costato moltecentinaia di milioni di dollari. Il suo principale obietti-vo era lo sviluppo di fotobioreattori chiusi per la cattu-ra di CO2 da centrali elettriche (Usui e Ikenouchi, 1997).In particolare, questo programma puntava all’utilizzo difotobioreattori a fibre ottiche, che erano state propostecome soluzione al problema della saturazione della luce(Karube et al., 1992). Tuttavia, come si è notato in pre-cedenza, questi sistemi richiedono l’utilizzo di grandi

specchi concentratori, estremamente costosi, per cattu-rare l’energia luminosa e trasferirla alle fibre ottiche,oltre a comportare altri problemi. Un progetto simile èstato condotto recentemente negli Stati Uniti (Baylesset al., 2001) e ha anche ricevuto un’accoglienza favo-revole sui giornali di divulgazione scientifica (Di Justo,2005), essendo poi attuato con finalità commerciali perla cattura di CO2 e la produzione di oli algali. Cionono-stante, tali tecnologie non sono applicabili alla riduzio-ne dei gas serra. Anche i più semplici fotobioreattoritubulari, benché molto più economici di quelli a fibreottiche, costano sempre più delle vasche aperte di oltreun ordine di grandezza e non possono, come già detto,essere presi in considerazione per applicazioni tese aridurre i gas serra se non per la produzione di inoculi.Ciononostante, diverse industrie private negli Stati Unitisono impegnate in attività di ricerca e sviluppo in questosettore (Olaizola, 2003). Un’impresa di recente istitu-zione, affiliata al Massachusetts Institute of Technology(MIT), sta dimostrando l’utilizzo, nei pressi di una picco-la centrale elettrica nel campus del MIT, di fotobioreatto-ri di vetro a forma triangolare con colonna a bolle(Vunjack-Novakovic et al., 2005. Sono progettati per cat-turare gli NOx e SOx, unitamente al CO2, dai gas di com-bustione di una centrale elettrica allo scopo di produrreoli algali che possono essere convertiti in biodiesel. Inquesti reattori con colonna a bolle, tuttavia, i coefficientidi trasferimento di massa sono troppo bassi e/o le richie-ste energetiche sono troppo alte (Miyamoto et al., 1988;Nagase et al., 2001) per tale applicazione, anche volen-do ignorare gli aspetti economici decisamente sfavore-voli e l’enorme numero di fotobioreattori che sarebbenecessario installare in pratica.

In conclusione, i fotobioreattori chiusi hanno un ruoloimportante, quasi critico, nelle applicazioni delle tecno-logie con microalghe per la riduzione dei gas serra a pro-duzione dell’inoculo, in particolare per i ceppi di algheselezionati per l’elevata produttività e altre caratteristi-che favorevoli. Tuttavia, sono decisamente troppo costo-si per quanto riguarda il costo sia capitale sia operativo,anche nelle condizioni più favorevoli e non fornisconoalcun vantaggio decisivo rispetto alle vasche all’aperto.Dal momento che l’utilizzo dei fotobioreattori non puòessere considerato l’approccio principale alla diminu-zione dei gas serra mediante microalghe, nel resto di que-sto lavoro verranno prese in considerazione solo le col-ture in vasche all’aperto.

9.4.4 Raccolta delle microalghe e conversione in carburanti

Raccolta della biomassa microalgaleLa coltivazione di ceppi microalgali ad alta produt-

tività in vasche all’aperto utilizzando CO2 da gas di com-

847VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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bustione provenienti da centrali elettriche o fonti similiè solo il primo passo in un processo di riduzione dei gasserra. La biomassa algale deve essere poi raccolta e con-vertita in un carburante rinnovabile, il cui utilizzo possasostituire i carburanti fossili (v. ancora fig. 3).

La raccolta delle microalghe, cioè la concentrazionedelle microscopiche cellule algali dalle soluzioni dilui-te contenute nelle vasche di coltura intensiva, rappre-senta un passaggio fondamentale e un limite nei processidi produzione. Solitamente, la concentrazione della bio-massa microalgale nelle vasche all’aperto è solo di pochecentinaia di milligrammi per litro di biomassa secca eanche le colture con produttività molto elevata sono benal di sotto di 1 g/l. La biomassa deve quindi essere con-centrata di oltre 100 volte per raggiungere una densitàsufficiente (almeno 50 g/l di biomassa e preferibilmen-te 100 g/l o oltre) a consentire il suo successivo proces-samento e conversione a biocombustibile. Negli annisono stati sviluppati tre tipi principali di tecniche cheverranno brevemente descritti di seguito: la centrifuga-zione, la filtrazione e la flocculazione, quest’ultima segui-ta da sedimentazione o da flottazione ad aria disciolta.Sono stati studiati anche molti altri approcci, come leseparazioni magnetiche ad alto gradiente o lo sfrutta-mento della capacità di nuotare di alcune alghe, che perònon si sono rivelati praticabili e pertanto non verrannoulteriormente esaminati.

La centrifugazione può essere utilizzata per la mag-gior parte dei tipi di alghe benché sia sconsigliabile perquelle con cellule molto fragili, come Dunaliella. Il pro-blema principale sono i costi molto alti, sia d’acquistosia operativi, delle centrifughe, ben oltre i 1.000 $/t(massa secca), troppo elevati per qualsiasi processo diriduzione dei gas serra e anche per lo smaltimento delleacque reflue. La centrifugazione può essere presa in con-siderazione in un passaggio di raccolta secondario ofinale al fine di aumentare le concentrazioni della bio-massa, per esempio, da 10-20 g/l a 100-200 g/l (massasecca) che, richiedendo il trattamento di una quantitàmolto più piccola di liquido, riduce i costi quasi in pro-porzione. Tale concentrazione secondaria è stata propo-sta in diversi studi di ingegneria economica, possibil-mente in associazione all’estrazione di oli da biomassealgali con concentrazioni di olio particolarmente ele-vate (Benemann e Oswald, 1996).

La filtrazione viene usata in campo commerciale perraccogliere Spirulina, una specie microalgale filamen-tosa e questo processo risulta relativamente a basso costousando i cosiddetti microfiltri: filtri rotanti con un con-trolavaggio, filtri inclinati o vibrofiltri. In ogni caso, lafiltrazione è limitata a tipi di microalghe filamentose oche producono colonie di dimensioni tali da venir trat-tenute da filtri con pori superiori a 20 mm, mentre lemicroalghe unicellulari o che formano colonie più pic-cole (solitamente di dimensioni inferiori a 20 mm) non

possono essere raccolte efficacemente con questi meto-di. Infatti filtri con maglie più strette impediscono ilflusso dell’acqua e si intasano rapidamente. La filtra-zione richiede spesso anche un passaggio di concen-trazione secondario, quale una filtropressa o una centri-fugazione, prima dell’ulteriore processamento della bio-massa. La filtrazione mediante menbrane (per es.,cross-flow filtration) è un’altra possibilità vantaggiosain alcune applicazioni, ma troppo costosa per quelle diriduzione di gas serra.

La flocculazione chimica, utilizzando calce, allume,cloruro di ferro e/o polielettroliti, è il metodo più gene-rale e diffuso per raccogliere le microalghe, applicabilealla maggior parte dei ceppi. Essa sfrutta la carica nega-tiva delle pareti cellulari che viene neutralizzata dall’a-gente flocculante consentendo la formazione di grandifiocchi che poi vengono recuperati per sedimentazioneo per flottazione ad aria disciolta. Quest’ultima opzioneè quella generalmente preferita perché, anche se un po’più costosa, produce una biomassa più concentrata. Laraccolta con flocculanti chimici è usata in numerosiimpianti di smaltimento delle acque reflue e in quelli diproduzione commerciale di Dunaliella. Tali processisono, tuttavia, ancora piuttosto costosi, sia per i floccu-lanti sia per l’operatività, e non sarebbero applicabili inprocessi di riduzione dei gas serra a basso costo. Inol-tre, il flocculante chimico può interferire nel processa-mento della biomassa, nella digestione anaerobica o nelriciclaggio dei nutrienti.

Molte microalghe, forse la maggior parte, sono ingrado di bioflocculare. Questo fenomeno consiste nel-l’aggregazione spontanea delle cellule algali in grandifiocchi che si depositano poi abbastanza rapidamente (inbase alla legge di Stokes, secondo cui la velocità di cadu-ta è in funzione del cubo del diametro del fiocco). Sfor-tunatamente, il processo di bioflocculazione non è anco-ra ben conosciuto: dipende dalla produzione, da partedelle cellule algali, di polimeri che fanno aggregare lecellule tra loro. Che cosa inneschi il fenomeno della bio-flocculazione non è chiaro, ma viene spesso osservatoin laboratorio, in natura e anche nelle vasche di tratta-mento delle acque reflue. Diversi fattori entrano in gioco:la specie di alga, persino il ceppo, e le condizioni ambien-tali; la scarsità di azoto e di altri nutrienti, infatti, è favo-revole alla bioflocculazione. Mancano tuttavia infor-mazioni e studi specifici. In uno studio condotto sullungo periodo in vasche di trattamento di acque refluesu scala pilota, sono state utilizzate due vasche ad altavelocità di 1.000 m2 e la coltura algale, dominata daMicractinium sp. (fig. 1A), veniva rimossa dalle vaschee lasciata riposare per 24 ore. A quel punto più del 90%delle cellule di almeno una delle due vasche era andatoincontro a flocculazione spontanea (Benemann et al.,1980). Tuttavia, questo studio non ha mai avuto seguitoe sono necessarie ulteriori ricerche per poter trasformare

848 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

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questo fenomeno in una tecnologia affidabile ed effica-ce. La bioflocculazione seguita dalla sedimentazione pergravità (come operato nel processo a fanghi attivi neiconvenzionali sistemi di trattamento delle acque reflue)è certamente l’opzione di raccolta a più basso costo erappresenta il sistema preferenziale applicabile ai pro-cessi di riduzione dei gas serra con microalghe. Costi-tuisce pertanto il riferimento per la maggior parte delleanalisi tecno-economiche in questo campo (Benemanne Oswald, 1996), anche se non è ancora stata applicatain pratica.

In conclusione, la raccolta della biomassa microal-gale a basso costo resta una grande sfida per il settore diricerca e sviluppo. Senza questa tecnologia non è possi-bile raggiungere l’obiettivo di applicare questi sistemibiologici nella riduzione dei gas serra e neppure al trat-tamento delle acque reflue. Tuttavia, esiste sufficienteesperienza per suggerire che la bioflocculazione, maga-ri in combinazione con la centrifugazione, possa rag-giungere gli obiettivi di costo per la riduzione dei gasserra. L’ulteriore studio e lo sviluppo di questo proces-so rimangono un requisito fondamentale, unitamente allaproduttività e alla coltivazione controllata di specifichespecie algali, nello sviluppo di una tecnologia per pro-durre le microalghe che risulti pratica e a basso costo.

Conversione della biomassa algale in carburantiIl passaggio finale in un processo di riduzione dei

gas serra basato sulle microalghe è la conversione dellabiomassa raccolta a carburante (v. ancora fig. 3). Que-sto è forse il passaggio meno difficile, almeno rispettoalle difficoltà più rilevanti collegate alla produzione dibiomassa concentrata (vale a dire con un minimo di massasolida tra il 5 e il 10%), di elevata produttività e a bassocosto. L’alto contenuto d’acqua della biomassa raccoltarende impraticabile l’essiccazione o qualsiasi processodi conversione termochimica (per esempio, combustio-ne, gassificazione, pirolisi). L’essiccazione al sole è pos-sibile in teoria, ma richiederebbe notevoli estensioni diterreno in più (circa il 5-10% dell’area della vasca), ilrivestimento in plastica dei letti in essiccazione e attrez-zature particolari che in pratica non risulterebbero eco-nomiche. Aspetto ancora più critico è l’elevato conte-nuto di azoto della biomassa algale che depone a sfavo-re di qualsiasi processamento termochimico, visto chene risulterebbe un’inaccettabile produzione di NOx e,cosa più importante, la perdita di questa risorsa nutriti-va essenziale. Quindi, benché in alcuni progetti sia statosuggerito l’uso della biomassa di microalghe come com-bustibile solido, anche come diretto sostituto del carbo-ne (Matsumoto et al., 1995), questa opzione non vieneritenuta né pratica né realizzabile. E neppure lo è quel-la di sottoporre a pirolisi la biomassa algale per produr-re olio combustibile. Quindi, i processi di conversione acombustibile della biomassa microalgale si basano su

processi biologici, in particolare fermentazioni per pro-durre metano o etanolo o il metabolismo delle alghe stes-se per ottenere oli e idrocarburi, utilizzabili nella con-versione a biodiesel e per sviluppare idrogeno. Questepossibilità verranno discusse qui di seguito.

Sono state condotte molte ricerche finalizzate allaproduzione di metano (in realtà biogas con una compo-sizione di circa 50:50 CH4:CO2) dalla biomassa algale.Queste attività sono soprattutto in relazione al lavoro sultrattamento di acque reflue usando le microalghe dalmomento che la fermentazione per produrre metano(digestione anaerobica) è una tecnologia ampiamentepraticata in quel campo ed è anche un mezzo potenzial-mente a basso costo e con rendimenti elevati per recu-perare energia dalla biomassa. La digestione anaerobi-ca dei fanghi di acque reflue, sia quelli primari (acquedi scarico sedimentate) sia quelli secondari (fanghi atti-vi sedimentati) viene effettuata negli impianti di tratta-mento in grandi contenitori d’acciaio o di cemento. Disolito, questi vengono mantenuti sotto agitazione median-te ricircolo di liquido o di gas, riscaldati a temperaturemesofiliche (30-40 °C) o termofiliche (50-65 °C), conun carico solido solitamente tra il 5 e il 10% e velocitàidraulica di diluizione da 15 a 25 giorni. Si tratta di unatecnologia consolidata basata sulla naturale decomposi-zione anaerobica della biomassa.

Tuttavia, nella digestione anaerobica della biomassamicroalgale, appaiono evidenti due importanti questioni:• molte microalghe, in particolare quelle verdi come

Scenedesmus o Micractinium, che generalmente domi-nano nelle vasche ad alta velocità di trattamento delleacque reflue, sono piuttosto resistenti alle fermenta-zioni anaerobiche, il che implica basse rese e/o richie-de tempi di fermentazione più lunghi;

• l’elevato contenuto di azoto della massa microalga-le, solitamente l’8-10% del peso secco della materiaorganica, produce livelli molto alti di ammoniaca nelfermentatore, che provocano alla fine l’inibizione delprocesso e, quindi, bassi rendimenti in termini dimetano prodotto, anche allungando i tempi di fer-mentazione.Questi due fattori possono essere affrontati con stra-

tegie combinate di pretrattamento della biomassa (peresempio, trattamento termico), tempi di fermentazionepiù lunghi, adattamento della popolazione batterica a ele-vati livelli di ammoniaca e codigestione con biomassacontenente livelli di azoto inferiori. Le fermentazioni piùlunghe richiedono fermentatori meno costosi e a questoscopo i reattori di terracotta coperti e rivestiti in plastica,già utilizzati nella digestione del concime animale, appaio-no economici ed efficienti dal momento che il basso costoper unità di volume consente una ritenzione più lungadella biomassa. Un approccio complementare consistenel coltivare biomassa algale a minor contenuto di azoto,che consente una maggiore digeribilità e un minor effetto

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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inibente dell’ammoniaca. D’altra parte, i cianobattericome Spirulina, o le specie che fissano l’azoto, vengonofacilmente fermentati a gas metano anche se, come giàsottolineato, il loro elevato contenuto in azoto causa ini-bizione da ammoniaca. Come già dichiarato, a ciò si puòovviare aggiungendo rifiuti a basso tenore di azoto (rifiu-ti alimentari o residui agricoli), facendo adattare le col-ture batteriche, o, di nuovo, coltivando biomassa a bassotenore d’azoto. In conclusione, la produzione di metanodalla biomassa di microalghe è tecnicamente ed econo-micamente fattibile, ma richiede ancora un certo investi-mento nel settore della ricerca e sviluppo per migliorar-ne le rese e l’efficienza complessiva.

Rispetto alla digestione anaerobica, ben poco lavo-ro è stato fatto sulle fermentazioni a etanolo della bio-massa algale. La ragione è che le fermentazioni a eta-nolo, solitamente ottenute con il lievito, sono limitate azuccheri, amidi e carboidrati simili facilmente fermen-tabili. Tipicamente le microalghe contengono solo il 20%circa o meno di tali carboidrati, presenti sotto forma diamido nelle alghe verdi e di glicogeno nei cianobatteri.Affinché la produzione di etanolo sia praticabile, è neces-saria una biomassa algale con un alto contenuto in car-boidrati fermentabili, preferibilmente superiore al 60%del peso secco. Questo accumulo così elevato di amidoo di glicogeno si osserva solo in condizioni di limita-zione di azoto, in cui la crescita cellulare è ridotta e buonaparte, o anche la maggior parte, del CO2 fissato foto-sinteticamente è immagazzinato sotto forma di riserve.Il problema è quindi se sia possibile ottimizzare un altocontenuto in carboidrati con un’elevata produttività (ovve-ro fissazione di CO2) sfruttando la limitazione di azoto.In sintesi, da esperimenti di laboratorio condotti con col-ture batch per brevi periodi sembra che una riduzionedel contenuto di azoto fino al 50% non riduca necessa-riamente la produttività in modo significativo. Infatti,poiché uno dei primi effetti della limitazione di azoto èla riduzione del contenuto di pigmento (come risulta evi-dente dallo scolorimento delle cellule), in condizioni dilimitazione di azoto può anche essere possibile un aumen-to della produttività (si veda la discussione precedentesulla relazione tra pigmenti antenna e produttività). Que-ste osservazioni devono ancora essere dimostrate e appli-cate alle colture operate in vasca all’aperto. In conclu-sione, la limitazione di azoto è uno strumento fonda-mentale nella produzione di biomassa algale con elevatocontenuto di carboidrati (o di oli, v. oltre) e nel possibi-le miglioramento delle modalità per raccoglierla e dige-rirla, come detto precedentemente.

Gli altri principali combustibili ottenibili dalle microal-ghe sono quelli che le alghe possono produrre da sé: oli,sia vegetali sia idrocarburi, quanto idrogeno. La produ-zione di idrogeno è stata trattata dettagliatamente in altrasede (v. cap. 4.3) e non sarà quindi ulteriormente discus-sa. La produzione di oli e idrocarburi combustibili a opera

delle microalghe è stata un importante obiettivo delleattività di ricerca e sviluppo, in particolare nell’ambitodell’Aquatic Species Program sponsorizzato dal Depart-ment of Energy statunitense nel periodo 1980-95 (Sheehanet al., 1998). L’interesse in questo campo risale agli anniQuaranta, quando si osservò che in condizioni partico-lari di limitazione di azoto alcune alghe verdi presenta-vano un contenuto molto alto di oli vegetali (trigliceri-di) superiore al 50%, e talvolta anche all’80%, del pesosecco totale della biomassa. Anche se alcuni dei valoripiù alti possono non essere credibili, certamente alcuniceppi algali, soprattutto tra le alghe verdi e le diatomee,accumulano grandi quantitativi di trigliceridi di riserva,così come altre specie, o talvolta anche ceppi della stes-sa specie, accumulano amido.

Come nel caso della produzione di carboidrati, l’a-spetto centrale è la relazione tra accumulo di oli e pro-duttività. Anche qui, è possibile ottenere una produtti-vità relativamente alta in laboratorio, ma solo in colturenon continue (Tillett e Benemann, 1987) e l’ottenimen-to di questi risultati con colture intensive resta ancora dadimostrare. Inoltre, è importante sottolineare che l’im-magazzinamento di carboidrati è metabolicamente piùefficiente dell’immagazzinamento di trigliceridi e quin-di preferibile. Tuttavia, la scelta tra alghe ricche in car-boidrati fermentabili (per fermentazioni a etanolo) o inoli vegetali (per la conversione a biodiesel) è seconda-ria ai problemi di produttività, controllo delle colture eraccolta della biomassa. In ogni caso, entrambe le opzio-ni richiedono notevoli investimenti nel settore di ricer-ca e sviluppo.

Recentemente, le microalche sono state accreditatecome fonti di olio ad alto rendimento, in grado di pro-durre centinaia di barili di biodiesel per ettaro all’anno(Huntley e Redalje, 2006). Tuttavia queste affermazionidevono essere ridimensionate essendo basate su errateproiezioni di produttività ipotetiche, e anche teoriche(per es., Benemann e Oswald, 1996). Assommando talierrori, nel citare studi poco credili e nel presentare ana-logie false con attività commerciali fallite, e inoltre propo-nendo i fotobioreattori come componenti maggiori o ancheprevalenti in tali processi (Vunjak-Novakovic et al., 2005),si giunge facilmente a sostenere che la produzione alga-le di biodiesel è prossima alla convenienza economica.Così, malgrado le molte attività commerciali in questocampo, tutte ammantate di grande secretezza ma in atte-sa di stupefacenti riduzioni dei costi e alti rendimenti, laproduzione di biodiesel algale, al di fuori delle applica-zioni per il trattamento delle acque reflue, richiede anco-ra un grande sforzo di lungo termine in ricerca e svi-luppo, la cui riuscita non è poi così certa.

Un’interessante possibilità per la produzione di olioda parte delle microalghe è costituita dall’alga verdeBotryococcus braunii, una specie che anche in normalicondizioni di crescita (vale a dire senza limitazioni di

850 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

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azoto) contiene fino al 50% in peso di idrocarburi puri (da26 a 40 C circa e qualche insaturazione), una potenzialefonte di combustibili e lubrificanti particolari (Metzger eLargeau, 2005). Infatti, le fioriture naturali di questealghe, che arrivavano a riva, in Australia venivano giàusate un secolo fa come combustibile. Alcuni depositidi oli contengono idrocarburi derivati da molecole pro-dotte da queste alghe. Ceppi raccolti in luoghi diversiappartengono a tipi differenti, ciascuno caratterizzatodal suo corredo di molecole che sono state ampiamentestudiate negli ultimi due decenni. Resta un mistero il per-ché questa specie produca, nell’ambito del suo normalemetabolismo, quantità così elevate di idrocarburi che nonvengono utilizzati come riserva di energia o di carbonio.

La coltura intensiva di queste alghe è stata propostaper la produzione su larga scala di combustibile rinno-vabile (Benemann e Oswald, 1996), come quella imma-ginata dall’Aquatic Species Program statunitense. Eppu-re, i progressi nella coltura intensiva di B. braunii sonostati esigui se non nulli, soprattutto a causa della cresci-ta molto lenta di queste specie, con tipici tassi di rad-doppio da 3 a 7 giorni (rispetto a quelli di alcune ore dimolte altre alghe). È plausibile che la ragione delle velo-cità di crescita lente sia la notevole quota di energia meta-bolica destinata alla produzione di idrocarburi in granquantità. Ciò rende questa microalga non competitivanelle colture intensive all’aperto, dato che altre specie,non altrettanto gravate da tale carico metabolico, cre-scono molto più in fretta, prevalendo presto nella vasca.Tuttavia, questo non impedisce necessariamente l’uti-lizzo di B. braunii in colture intensive per la riduzionedei gas serra. Come si è fatto notare in precedenza, sipuò ricorrere ai fotobioreattori chiusi per produrre l’i-noculo necessario per le colture intensive in vasche all’a-perto anche per ceppi che non siano molto competitivifra quelli di tipo selvatico. Inoltre, una velocità di cre-scita massima bassa non è necessariamente correlata auna bassa produttività in vasche a elevata densità di alghein cui la velocità di crescita è determinata dalla velocitàdi diluizione idraulica imposta, e non alla relativa velo-cità massima di divisione cellulare. La coltura intensivadi B. braunii costituisce un obiettivo a lungo termine dellatecnologia che utilizza le microalghe per la produzionedi combustibili rinnovabili e la riduzione dei gas serra.

In ogni caso, la sola produzione di combustibili rin-novabili dalla biomassa algale non si giustifica econo-micamente, almeno nell’immediato futuro, anche con-siderando i benefici derivanti dalla riduzione dei gasserra associati a tali processi e il recente aumento di costodei combustibili fossili: la biomassa ottenuta da piantesuperiori è molto più economica. Infatti, la biomassalignocellulosica è disponibile a molto meno di 100 $/te amido o zuccheri costano poco più di 100 $/t men-tre nella migliore delle ipotesi, nel breve o medio ter-mine (vale a dire meno di 20 anni), la biomassa algale

continuerà a costare molto di più, prima della conver-sione a combustibili. Perciò la produzione di combusti-bili rinnovabili dalle microalghe deve essere associataad altri servizi ambientali quali coprocessi di trattamen-to delle acque reflue, o coproduzione di altri prodotti,come di seguito discusso.

9.4.5 Processi multiuso con microalghe per la riduzione dei gas serra

Trattamento di acque reflue urbane e utilizzo del CO2

Negli Stati Uniti e in molte altre nazioni le acquereflue urbane sono spesso trattate con le cosiddette vaschedi ossidazione. Si tratta di vasche relativamente profon-de (meno di 60 cm), che non vengono agitate meccani-camente. Negli Stati Uniti, in effetti, il numero di impian-ti di trattamento delle acque reflue che utilizzano talivasche con microalghe è superiore a quello degli impian-ti che utilizzano qualsiasi altra tecnologia. Tuttavia, lamaggior parte di questi sistemi, se non tutti, sono di pic-cole dimensioni, tipicamente servono solo poche migliaia,o anche solo alcune centinaia, di persone e nell’insiemetrattano soltanto una piccola frazione del totale delleacque reflue urbane. In queste vasche si effettua sia ilprocesso primario di trattamento (decantazione dei mate-riali solidi) sia quello secondario (riduzione del fabbi-sogno biologico di O2, Biological O2 Demand, BOD). Lafunzione principale delle microalghe è la produzione del-l’O2 disciolto necessario ai batteri per decomporre i rifiu-ti organici. Nei trattamenti convenzionali di acque reflue,come i sistemi a fanghi attivi, a questo scopo si iniettaaria nei rifiuti con dispendi energetici e costi significa-tivi (circa 1 kWh di elettricità per chilo di O2 trasferito).Approssimativamente, 1 kg di O2 equivale a 1 kg di bio-massa algale che produce, attraverso la digestione anae-robica, tanto combustibile rinnovabile quanto ne consu-ma il processo convenzionale a fanghi attivi. Semplifi-cando, si può dire che il trattamento di acque reflue conmicroalghe produce la stessa quantità di combustibilerinnovabile di quella che un trattamento convenzionaledi acque reflue consuma in combustibile fossile, conpotenziale doppio di riduzione di gas serra: evitandol’uso di combustibili fossili e producendo combustibilerinnovabile che sostituisce combustibili fossili.

I processi avanzati per il trattamento delle acque reflueutilizzano vasche raceway con agitazione ad alta velo-cità che producono molta più biomassa algale per areaunitaria e quindi anche più O2 rispetto alle vasche con-venzionali, consentendo in tal modo carichi maggiori(volume di acque reflue preso in carico per ettaro al gior-no). Comunque, in entrambi i casi (vasche di ossidazio-ne o vasche ad alta velocità), il fattore fondamentale resta

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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il costo elevato della raccolta della biomassa algalemediante flocculazione chimica, come già detto in pre-cedenza. La raccolta mediante bioflocculazione sarebbepreferibile per via dei costi contenuti, ma ciò richiederàmolto probabilmente lo sviluppo di tecniche per la col-tura intensiva di specifici ceppi algali che siano in gradodi bioflocculare bene nelle vasche per il trattamento diacque reflue, anche nel caso di vasche d’ossidazione adalta velocità di scarico. Tale tecnica, finora ancora inten-tata, costituisce oggetto di ricerca futura. Inoltre, in que-ste vasche per il trattamento di acque reflue la produtti-vità è limitata dalla mancanza di CO2 che per il momen-to non è utilizzato in tali processi. Ciò rappresenta un’altraopportunità per ulteriori sviluppi tecnologici.

Dopo l’eliminazione dei solidi in sospensione e delBOD, l’eliminazione dei nutrienti (soprattutto N e P) perraggiungere il livello di trattamento terziario rappresen-ta sia una grande necessità sia anche una notevole poten-zialità per le tecnologie che utilizzano le microalghe neltrattamento delle acque reflue. Questo perché la rimozio-ne delle sostanze nutritive con le tecnologie conven-zionali è molto costosa, e ad alto consumo energetico,mentre le microalghe possono eliminare i nutrienti a costiaggiuntivi relativamente bassi rispetto al solo trattamentosecondario. Pertanto, la rimozione dei nutrienti richiedeil rifornimento di CO2 la cui carenza, a dire il vero, limi-ta già il trattamento secondario. L’aggiunta di CO2 miglio-rerebbe decisamente il processo di coltivazione algalenel trattamento delle acque reflue aumentando sia la pro-duttività sia l’affidabilità del processo, consentendo lacoltivazione di ceppi algali specifici e selezionati e, plau-sibilmente, un’efficace raccolta della biomassa attraversola bioflocculazione. Poiché le alghe verrebbero fatte cre-scere al limite di azoto presente nelle acque reflue, ver-rebbe prodotta una biomassa algale relativamente pove-ra in azoto che permetterebbe anche l’eliminazione ditutto il fosforo presente nelle acque reflue. Come discus-so precedentemente, questa biomassa sarebbe inoltrericca in carboidrati o forse anche in oli. Se questa bio-massa fosse sottoposta a digestione anaerobica (fer-mentazioni a metano) e se il biogas prodotto fosse usatoper generare elettricità, il gas di combustione fornireb-be tutto il CO2 necessario, dal momento che le acquereflue contengono quantità di carbonio sufficienti a com-pensare eventuali perdite. Infatti, tale quantità di carbo-nio è accessibile in tipiche acque reflue provenienti daun simile processo tanto da consentire anche l’esporta-zione di considerevoli volumi di biocombustibili, comebiocombustibili liquidi (per es., biodiesel o etanolo).

I due fattori principali da tener presente in questi pro-cessi sono la variabilità stagionale, in particolare dellaproduttività, che incide sulla performance del trattamentodelle acque reflue, la variabilità in nutrienti nelle acquereflue, cioè la quantità di azoto e fosforo, e il loro rap-porto reciproco. I livelli di azoto e fosforo nella biomassa

algale possono variare significativamente, più di tre volteper il fosforo (dallo 0,4 all’1,2%) e solo un po’meno perl’azoto (dal 4 al 10%), con possibili rapporti N:P stima-ti variare da circa 4 a oltre 20 volte. Questo è l’interval-lo di valori di azoto e fosforo nella biomassa e dei rap-porti reciproci che si ritiene consentano alte produttività,ma resta da determinare sperimentalmente quale sia l’in-tervallo effettivo. In ogni caso, un requisito importantedi questi processi di trattamento delle acque reflue pereliminare i nutrienti è che consentono notevoli adatta-menti sia alle variazioni stagionali della produttività siaalla composizione delle acque reflue.

Nel trattamento delle acque reflue con aggiunta diCO2 sopra descritto i prodotti che si ottengono in usci-ta sono acqua rigenerata, biogas (metano) combustibile,eventualmente biodiesel o etanolo, e residui del fer-mentatore anaerobico. Questi ultimi possono essere uti-lizzati come fertilizzanti per terreni agricoli benché, seclassificati come fanghi di depurazione, negli Stati Unitinon avrebbero i requisiti per essere considerati bioferti-lizzanti organici, il che invece ne determinerebbe un prez-zo migliore. Le acque reflue urbane, a causa della lorovariabilità e della potenziale presenza di contaminantitossici, non consentono la produzione di coprodottiaggiuntivi, quali mangimi o biopolimeri. Ciononostan-te, si reputa che gli aspetti economici del trattamentodelle acque reflue urbane mediante l’uso di vasche adalta velocità siano favorevoli anche in confronto aiprocessi secondari convenzionali (vale a dire i fanghiattivi) e che possano essere ancor più vantaggiosi per iltrattamento terziario (rimozione dei nutrienti; Eisenberget al., 1981; Green et al., 1994). Comunque, devono anco-ra essere effettuati studi dettagliati sui costi ingegneri-stici per siti specifici allo scopo di quantificare l’entitàdi questi vantaggi. Inoltre, sono necessarie attività diricerca e sviluppo per dimostrare l’effettiva possibilitàdi ottenere il trattamento terziario con un processo basa-to sulle microalghe che sia al contempo economico e adalta produttività.

Il processo di trattamento delle acque reflue fertiliz-zato da CO2 utilizzando vasche ad alta velocità consen-tirebbe di raggiungere il trattamento terziario con unimpatto molto minore (in termini di necessità di terre-no) rispetto alle attuali tecnologie a vasche convenzio-nali, che raggiungono al massimo solo i livelli di tratta-mento secondario. Con questi sistemi si potrebbero gene-rare rese energetiche nette in uscita e un residuo ricco innutrienti adatto come fertilizzante. Lo sviluppo di un taleprocesso rappresenta una delle maggiori priorità in que-sto settore.

Trattamento di acque reflue agricolo-industriali e riciclaggio dei nutrienti

Questi processi sono simili al trattamento delle acquereflue urbane descritto in precedenza: consistono infatti

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SOSTENIBILITÀ

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nella coltivazione di microalghe in acque reflue agrico-le e industriali aventi un contenuto in nutrienti (N, P, ecc.)sufficiente a consentire il trattamento secondario (rimo-zione di BOD) e il trattamento terziario (rimozione deinutrienti). La differenza principale è la natura dei rifiu-ti che rispetto alle acque reflue urbane sono generalmentepiù definiti, meno variabili e meno soggetti alla presen-za di contaminanti tossici. Le acque reflue agricole hannoinoltre una marcata stagionalità, sono spesso in quantitàinferiore e sono più disperse di quelle urbane. Inoltre illoro trattamento non è sempre una priorità. Tuttavia, conl’intensificazione dell’agricoltura (in particolare alleva-menti suini e impianti lattiero-caseari su vasta scala cheproducono grandi volumi di rifiuti liquidi relativamen-te diluiti), il trattamento delle acque reflue delle stalle èdiventato un problema importante e un’opportunità perapplicare le tecnologie che utilizzano le microalghe perla rimozione dei nutrienti.

Un’applicazione correlata è il trattamento delle acquereflue in acquacoltura. Per esempio, nel Sud degli StatiUniti diverse decine di migliaia di ettari di vasche dipesce gatto producono grandi quantità di rifiuti che ven-gono trattati in situ mediante intensa aerazione mecca-nica. Dal momento che questi sistemi di acquacolturautilizzano già vasche per allevare il pesce, le vasche conalghe per il trattamento dei rifiuti costituiscono un’ag-giunta relativamente semplice. Un processo di questotipo (Partitioned Aquaculture System), che utilizza vascheraceway con miscelazione mediante ruote a pale, è statosviluppato alla Clemson University, South Carolina(USA), per il trattamento e il ricircolo dell’acqua pro-veniente dalle vasche dei pesci (Brune et al., 2003a). Inquesto processo, la densa coltura algale prodotta nellevasche raceway viene indirizzata verso i recinti che con-tengono i pesci in modo da farle portare via i rifiuti econtemporaneamente fornire O2 per i pesci. Questi a lorovolta favoriscono, tramite la filtrazione branchiale, laflocculazione delle alghe e ne permettono la facile rac-colta per sedimentazione. La mitigazione dei gas serracorrelata al processo algale potrebbe maturare a segui-to del consumo evitato di energia degli aeratori di super-ficie attualmente usati in questo tipo di industria e inol-tre per l’ottenimento di biogas dalla biomassa algale rac-colta. Questa può anche essere utilizzata per ridurre laquantità di mangime da dare ai pesci, migliorando ulte-riormente l’economia del processo ma anche il bilanciodei gas serra, in quanto la produzione convenzionale deimangimi per animali dà luogo a notevoli emissioni ditali gas. Un processo simile è attualmente oggetto di stu-dio allo scopo di eliminare i nutrienti nel Salton Sea, inCalifornia (v. oltre).

Potenzialità anche maggiori dei rifiuti dell’acqua-coltura le hanno i rifiuti animali, in particolare quelliprovenienti da allevamenti di suini e da caseifici, alcu-ni dei quali producono correnti di rifiuti equivalenti, in

termini di BOD e contenuto in nutrienti, a quelle gene-rate da piccole cittadine. La permanenza di tali rifiuti inacqua e sul terreno è sempre più ristretta per il rischio dicontaminazione delle falde idriche. D’altra parte, il lorospostamento dal sito di generazione è impraticabile datala loro natura diluita. Le vasche di microalghe possonoessere utili per eliminare i nutrienti da queste acque refluee per concentrarli in una biomassa che può poi esseretrasportata in un sito più distante per applicazioni sul ter-reno, mentre al contempo si genera biocarburante e siabbattono le emissioni di gas serra. Come nel caso delleacque reflue urbane, anche il trattamento delle acquereflue di origine animale è limitato dalla disponibilità diCO2. Il rifornimento di CO2 incrementerebbe sia la pro-duttività algale, sia l’efficacia del trattamento, consen-tendo probabilmente il controllo delle specie algali e laraccolta mediante bioflocculazione. Il controllo sulle spe-cie algali permetterebbe inoltre di utilizzare la biomas-sa come mangime per gli animali, il che migliora l’eco-nomia di questi processi altrimenti meno vantaggiosi diquelli per il trattamento delle acque reflue urbane. Lealghe essiccate verrebbero usate come mangime di altaqualità per i polli, le alghe umide come nutrimento peri suini, mentre le alghe sotto forma di pellet possonoacquisire valore quando addizionate ad alimenti per iruminanti e utilizzati in acquacoltura. La pratica fattibi-lità di questo processo rimane tuttavia da dimostrare.

Produzione di biofertilizzantiUna delle principali fonti di emissione di gas serra

al mondo è la produzione di fertilizzanti azotati che uti-lizza combustibili fossili mediante il processo di Haber-Bosch. Negli Stati Uniti, dove a questo scopo si usa gasnaturale, vengono emessi oltre 3 kg di CO2 per ogni kgdi fertilizzante azotato prodotto (West e Marland, 2002).In alcune nazioni, per esempio la Cina, come combusti-bile fossile si usa il carbone e le emissioni sono di con-seguenza molto più alte. Benché i fertilizzanti fosfatirichiedano poco combustibile fossile per l’estrazione ela successiva produzione, il trasporto può determinareemissioni totali pari a circa 1 kg di CO2/kg di fosforoconsegnato all’azienda agricola. Dato che nella biomassaalgale N e P hanno un contenuto rispettivamente del 10e dell’1%, ciò equivale ad abbattere circa 0,3 kg di CO2/kgdi biomassa algale se l’azoto e il fosforo di questa bio-massa vengono riutilizzati in agricoltura. In confronto,la biomassa di microalghe (tipicamente al 45% di C)potrebbe abbattere circa 0,6 kg di CO2 se venisse con-vertita a biogas e usata come combustibile rinnovabilein sostituzione del gas naturale fossile. Recuperando eutilizzando tali quantitativi di fertilizzanti nella bio-massa di microalghe si potrebbe aumentare la riduzio-ne dei gas serra del 50% o più. Inoltre, il valore econo-mico di questi nutrienti e i benefici ambientali del lororecupero sarebbero equiparabili o superiori a quelli dei

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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biocarburanti. Perciò, il riutilizzo dei nutrienti dai pro-cessi di trattamento delle acque reflue di origine urbanao agricola sopra descritti rappresenta un obiettivo cen-trale per qualsiasi processo di abbattimento dei gas serrache utilizzi le microalghe.

Il problema è fare arrivare questi nutrienti alle col-ture, dopo la fermentazione a metano. Assumendo chevi sia un 10% di carica solida nel fermentatore anaero-bico, il contenuto in azoto nell’effluente è solo l’1% inpeso (la maggior parte di esso è sotto forma di ammo-niaca) e il rimanente è per circa il 95% acqua. Ciò limi-ta le possibili distanze di trasporto e richiede di integra-re quanto più da vicino il trattamento delle acque refluecon le pratiche agricole. I sistemi di irrigazione offronoun metodo rapido per la distribuzione di questi fertiliz-zanti. Ovviamente, la concentrazione di azoto neglieffluenti del fermentatore è diverse centinaia di volte piùalta che nelle acque reflue municipali, e anche oltre diecivolte che in alcune acque reflue di origine animale, ilche trasforma i processi di trattamento mediante microal-ghe in un efficiente meccanismo di concentrazione erecupero dei nutrienti. L’aggiunta di CO2 in questi pro-cessi rende l’azoto il successivo nutriente limitante eassicura che l’azoto, o almeno la sua frazione biologi-camente disponibile, sia di fatto completamente elimi-nato ottenendo un’acqua rigenerata di elevata qualità.

Il miliardo e più di metri cubi di acque di scolo diorigine agricola che annualmente si riversa nel SaltonSea, nella California meridionale rappresenta un esem-pio pratico di applicazione su vasta scala delle vasche dimicroalghe nel recupero di nutrienti. Queste acque refluecontengono circa 1.000 t di fosforo (sotto forma di fosfa-ti) e dieci volte tanto di azoto (per lo più nitrati). L’eli-minazione dei nutrienti da queste acque di scolo median-te colture di microalghe eviterebbe l’eutrofizzazione delSalton Sea, producendo circa 100.000 t di biomassa alga-le. Assumendo una produttività annua di circa 100 t dibiomassa secca/ha (l’obiettivo del Network), sarebberonecessari circa 1.000 ettari di vasche. Tale processo appa-re economicamente fattibile, poiché acqua, nutrienti eterreno sono gratuiti e le condizioni climatiche sono favo-revoli (Benemann et al., 2002; Brune et al., 2003b). Sipotrebbero prendere in considerazione altre opportunitàper sistemi di recupero di nutrienti su vasta scala, ma ingenere tali sistemi sono di dimensioni più modeste, almassimo da alcune decine a qualche centinaio di ettari.

In alcuni casi, l’eliminazione del fosforo è limitatadall’azoto presente nelle acque reflue. I cianobatteri ete-rocistici azoto-fissatori, quali Anabaena e Nostoc pos-sono essere in alcuni casi utilizzati nello stadio finale diripulitura per eliminare il fosforo (Weissman et al., 1978).Questi cianobatteri sono anche stati proposti nella pro-duzione di fertilizzanti (Benemann et al., 1980). Hannouna produttività di circa un terzo inferiore rispetto al-le colture che non fissano l’azoto per via dell’elevata

energia metabolica richiesta per questa reazione. Dati ilivelli di emissione di CO2 liberati durante la produzio-ne di fertilizzanti azotati sintetici (discussi prima), la fis-sazione di azoto per produrre fertilizzanti e la fissazio-ne di CO2 per produrre carburanti sono più o meno equi-valenti dal punto di vista dell’abbattimento dei gas serra.Gli aspetti economici relativi a questi processi di fissa-zione dell’azoto devono ancora essere valutati, ma ilrecente interesse per l’agricoltura biologica, che crea ladomanda di fertilizzanti biologici a prezzi favorevoli, lirende di particolare interesse nell’immediato futuro.I costi in rapida ascesa dei fertilizzanti sintetici, che riflet-tono il prezzo in aumento dei combustibili fossili, ren-dono tali approcci interessanti anche nel lungo termine.Come già sottolineato in precedenza, la natura filamen-tosa dei cianobatteri eterocistici consente di raccoglier-li facilmente mediante filtrazione. In teoria, la produ-zione di microalghe fissatrici di azoto come fertilizzan-ti potrebbe quindi risultare davvero a basso costo, inparticolare per l’agricoltura irrigua e per le risaie, doveterreno, acqua e nutrienti sono già disponibili ed è solonecessaria una fonte di CO2. È stato stimato che un etta-ro di vasche algali potrebbe produrre fertilizzante azo-tato sufficiente per oltre 25 ettari coltivati a riso o a mais,oltre che a produrre biocarburanti per l’agricoltura o peruso locale.

La biomassa microalgale in grado di fissare azoto,cresciuta in vasche ad alta velocità, può anche essereapplicata direttamente ai campi irrigati o, applicazioneforse più promettente, come abbondante inoculo allerisaie dove ci si può aspettare che le microalghe si mol-tiplichino diverse volte in situ e producano abbondantefertilizzante azotato. Ciò consentirebbe un rapportodimensionale tra risaia e vasca agale di oltre 100. Que-sta tecnologia deve ancora essere sviluppata, ma in teo-ria è piuttosto promettente. In passato si è tentato di ino-culare dei campi di riso con cianobatteri azoto-fissato-ri, ma con scarso successo. Tuttavia, in quei casi le alghevenivano fatte crescere a distanza, essiccate e inoculatenei campi di riso solo in piccole quantità. Il processoproposto è molto diverso: prevede la produzione sul postodi biomassa algale in quantità relativamente abbondan-ti che consentono un massiccio inoculo di risaie con col-ture in attiva crescita.

In conclusione, il recupero e il riutilizzo di fertiliz-zante, e persino la sua produzione de novo, potrebberodiventare una delle principali applicazioni pratiche dellemicroalghe a livello globale e contribuire significativa-mente alla riduzione dei gas serra. Le applicazioni piùimmediate sarebbero probabilmente nella produzione difertilizzanti di qualità per l’agricoltura biologica nei paesisviluppati e nella fertilizzazione delle risaie in quelli invia di sviluppo. A lungo termine, i fertilizzanti da microal-ghe potrebbero svolgere un ruolo importante nel cicloglobale dell’azoto, che deve cambiare da processo a senso

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SOSTENIBILITÀ

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unico che utilizza fertilizzanti sintetici, basati sui com-bustibili fossili, a un processo di riciclo di azoto e fosfo-ro e di fissazione biologica dell’azoto.

Biopolimeri e altri coprodottiNei processi sopra descritti, i biocarburanti, il tratta-

mento delle acque reflue, l’acqua rigenerata, i bioferti-lizzanti e in qualche modo i mangimi per animali sonoi prodotti e i coprodotti da cui deriva la riduzione dei gasserra. Un’altra alternativa per ottenere la mitigazione deigas serra è di combinare la produzione di biocarburantimediante microalghe con coprodotti ad ampio mercatoed elevato valore economico (superiore a quello dei bio-carburanti). Questo approccio è comparabile all’idea dibioraffineria per convertire amido e zuccheri, ottenutida raccolti convenzionali, in prodotti che includono car-buranti (per esempio, etanolo), mangimi e coprodotti divalore elevato quali l’acido polilattico, utilizzato per pro-durre un polimero biodegradabile. Ovviamente, va rico-nosciuto che i processi con microalghe non sono in gradodi competere con quelli basati sulla conversione di zuc-chero o amido di piante a buon mercato, soprattutto cannae mais. Quindi l’utilizzo di microalghe deve generarecoprodotti di valore elevato ottenuti dalle alghe tramiteil loro stesso metabolismo, evitando il processamento ei passaggi fermentativi piuttosto costosi di una bioraffi-neria. L’altro requisito è che questi coprodotti devonoavere mercati sufficientemente ampi da determinare unariduzione significativa dei gas serra. Tali prodotti noncomprendono quelli forniti dalle microalghe per la nutri-zione umana come i carotenoidi, il principale risultatodella corrente tecnologia commerciale microalgale.

Possibili coprodotti sono le bioplastiche, soprattuttoi polimeri di PHA (poliidrossialcanoato), già prodotticommercialmente mediante fermentazioni batteriche eche fungono da composti di riserva in molti batteri, tracui i cianobatteri (Asada et al., 1999). I cianobatteri con-tengono fino al 10% di PHB (poliidrossibutirrato) edovrebbe essere possibile produrre cianobatteri in quan-titativi molto maggiori e dotati di catene laterali modifi-cate, più adatte per bioplastiche funzionali. Sono già staticitati precedentemente gli idrocarburi prodotti da B. brau-nii che potrebbero essere frazionati per dare lubrificantidi elevato valore, oltre al combustibile. Altri prodotti dellemicroalghe con un mercato considerevole sono i poli-saccaridi usati come agenti flocculanti, emulsionanti ogelificanti da utilizzare in campo alimentare o industria-le che vengono già prodotti su vasta scala dalle alghemarine. Ne sono un esempio le carragenine, prodotteanche da microalghe rosse, che sono state brevettate neglianni settanta per il recupero terziario di oli (Savins, 1978).

La sostituzione dei biopolimeri sintetici con pro-dotti derivati dalle microalghe potrebbe determinareuna certa riduzione dei gas serra. Tuttavia, il principalebeneficio di questi coprodotti sarebbe il miglioramento

dell’economia complessiva di questi processi. Infatti, lebioplastiche e i polisaccaridi funzionali sarebbero stimati1.000 $/t rispetto ai circa 100 $/t per la produzione dicombustibile. Se anche una modesta frazione, per esem-pio il 20%, della biomassa algale rappresentasse il pro-dotto a più elevato valore, ciò giustificherebbe la produ-zione di biomassa algale, con biocombustibili ottenutidalla biomassa residua. In questa discussione si è assun-to implicitamente che la produzione della biomassamicroalgale finalizzata esclusivamente alla generazionedi biocarburanti non risulti economicamente competiti-va e pertanto sia necessario associare applicazioni eco-nomicamente più convenienti come il trattamento di acquereflue o la produzione di mangimi, di biofertilizzanti odi biopolimeri. Ovviamente, tali processi multifunzio-nali restringerebbero la dimensione, lo scopo e le poten-zialità complessive di riduzione dei gas serra da parte deiprocessi basati sulle microalghe. Pertanto, questo assun-to di base viene trattato nella sezione seguente.

9.4.6 Aspetti economici e tematiche di ricerca e sviluppo

È stata precedentemente fatta una panoramica (v.par. 9.4.3) degli aspetti critici relativi all’ingegneria deisistemi a vasche ad alta velocità agitati con ruote a pale,applicati alla produzione di biomassa microalgale. Si èaffermato che il costo capitale e quello operativo di talisistemi sarebbero proibitivi per la sola produzione di bio-carburanti, con costi capitali stimati pari, o superiori, a100.000 $/ha in base a precedenti analisi di costo (que-sti valori sono stati rivisti, aggiornati e ampliati più recen-temente da Benemann e Oswald, 1996, e i costi in dol-lari sono stati aumentati di 1,4 punti per portarli al valo-re del dollaro nel 2005). Ciò supera di ben dieci volte icosti tipicamente riscontrati in agricoltura. In questo casosi trattava di un sistema a vasche non rivestite, su vastascala, che produceva biomassa per ottenere oli (trigli-ceridi) utilizzando per il CO2 gas di combustione otte-nuto da una centrale elettrica e la bioflocculazione perla raccolta della biomassa seguita da centrifugazioniper estrarre gli oli. Era stata assunta una produttività di110 t/ha�a per una biomassa con un molto elevato (60%)contenuto in oli (equivalente a circa 150 t/ha�a per unabiomassa di composizione normale e a circa 200 t/ha�aper una biomassa ricca in carboidrati). Questa è la mas-sima produttività che può ragionevolmente essere imma-ginata per un processo con microalghe basato sulle tec-nologie disponibili e rientra in un fattore di circa duerispetto al massimo teorico.

Assumendo un costo capitale minimo del 20% all’an-no, comprensivo di tasse e assicurazioni ma non dellamanutenzione, si ottiene un costo capitale di circa 100 $/t

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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per una biomassa ricca in carboidrati e quasi due voltetanto per una biomassa ricca in oli. I costi operativi sonostati stimati pari a circa 15.000 $/ha (sempre conside-rando l’inflazione, unitamente a un piccolo credito peril metano che è un sottoprodotto derivato dalla digestio-ne dei residui dopo l’estrazione degli oli). Ciò porta icosti per barile di olio algale grezzo estratto (prima ditrasformarlo in biodiesel, adatto come combustibile vei-colare) a circa 100 $/bbl o, se si utilizza amido, a circa200 $/t di amido. Per quanto alti, questi costi non sonoeccessivi alla luce degli attuali prezzi dell’energia e deiplausibili prezzi agricoli futuri. Queste stime sono otti-mistiche e basate su molte assunzioni favorevoli, e piut-tosto incerte. In ogni caso, lo sviluppo a lungo terminedei sistemi di produzione di microalghe specificamen-te, o esclusivamente, per biocarburanti richiederebbe unlungo periodo di ricerca e sviluppo e di esperienza inapplicazioni in scala reale. Tali applicazioni possonoessere rappresentate dal trattamento di acque reflue pre-cedentemente descritto e possibilmente dalla coprodu-zione di prodotti ad alto valore.

Anche per raggiungere questi obiettivi a breve ter-mine sono necessari notevoli investimenti nel settorericerca e sviluppo, come già detto in precedenza e qui diseguito riassunto. Va notato che sostanzialmente le stes-se tematiche di ricerca e sviluppo sono comuni a tutti iprocessi di riduzione delle emissioni sopra descritti(v. par. 9.4.5). Questi processi utilizzano lo stesso fon-damentale processo di produzione: vasche ad alta velo-cità (raceway), agitate con ruote a pale, fertilizzate conCO2 (proveniente dai gas di combustione) abbinati a pro-cessi a basso costo per la raccolta della biomassa algale(bioflocculazione o filtrazione) e la sua conversione a bio-carburante (digestione anaerobica, estrazione degli oli,ecc.). Tutti condividono le stesse criticità teoriche e pra-tiche di ricerca e sviluppo: selezione e mantenimento deiceppi, massimizzazione della produttività all’aperto, rac-colta a basso costo della biomassa e processamento inbiocarburanti e recupero di coprodotti. Inoltre, richie-dono approfondimento ed esperienza gli aspetti inge-gneristici, comuni a tutti, di costruzione e operativitàdelle vasche grandi (superiori a 1 ha) non rivestite chevanno correlati all’economia del processo e alle poten-zialità di mitigazione dei gas serra. I limiti attuali sonodovuti al fatto che per questi processi multifunzionalisono stati effettuati solo pochi studi ingegneristici e dianalisi economica che prevedano la quantificazione delloro potenziale e dei loro benefici in termini di riduzio-ne dei gas serra. Questo potenziale risulterà limitato dalladisponibilità di terreno, acqua, infrastrutture e altri fat-tori. Anche questi aspetti relativi alle risorse richiedonoulteriori approfondimenti.

I processi generali di riduzione delle emissioni discus-si in precedenza differiscono soprattutto per quanto riguar-da le loro fonti di acqua e nutrienti e per i loro prodotti

finali, in termini di biocarburanti e altri coprodotti (fer-tilizzanti, mangimi, acqua rigenerata, biopolimeri, ecc.).La rigenerazione dell’acqua merita particolare atten-zione, in quanto costituisce un prodotto finale di valo-re. Per quanto concerne i biocarburanti, il metano (bio-gas) è probabilmente la scelta preferenziale tra i com-bustibili prodotti dai processi di trattamento delle acquereflue urbane e della maggior parte di quelle agricole.Tuttavia, dalla biomassa microalgale si possono ottene-re altri biocarburanti, in particolare etanolo e biodiesel,che in alcuni casi possono essere preferibili in partico-lare perché come combustibili veicolari hanno maggiorvalore rispetto al biogas. Comunque, lo stesso biogaspuò essere ripulito (eliminando H2S e CO2) e compres-so per essere utilizzato come combustibile veicolare. L’i-drogeno costituisce un’opportunità a lungo termine(v. cap. 4.3). In ogni caso, esistono diverse possibilitàper convertire la biomassa microalgale a biocarburante.La sfida maggiore rispetto alla produzione di biocarbu-ranti è che la produzione di biomassa iniziale sia eco-nomicamente fattibile.

Per tutti i processi su vasta scala di produzione dimicroalghe a basso costo le tematiche fondamentali diricerca e sviluppo sono la capacità di coltivare, con pro-duttività elevate, ceppi algali selezionati in grandi vascheall’aperto e di raccogliere poi la biomassa a costi conte-nuti. Il controllo delle specie algali dovrebbe plausibil-mente permettere di controllarne la produttività e la rac-colta, il che rappresenta pertanto il prerequisito fonda-mentale per ciascuno di questi processi, e tutte leprecedenti tematiche devono essere considerate insieme.L’unica modalità pratica per ottenere la coltivazione dimassa di ceppi selezionati è attraverso l’uso di ceppi chesi possano far crescere rapidamente in fotobioreattorichiusi di scala crescente (e complessità decrescente) perla produzione di quantità relativamente grandi di bio-massa impiegata per inoculare le vasche di produzione.Pertanto un’attività fondamentale di ricerca e sviluppoè relativa all’isolamento, selezione e mantenimento diceppi algali adatti per essere coltivati intensivamente inmodo duraturo in vasche all’aperto. Tali ceppi dovreb-bero possedere caratteristiche di rapidità di crescita (perla fase di produzione dell’inoculo), di elevata produtti-vità (nelle vasche di produzione), di facilità di raccoltae di generazione di coprodotti allettanti dalla conversio-ne della biomassa. È molto improbabile che in natura sitrovino cotanti ceppi e infatti, come notato precedente-mente, e paradossalmente, i ceppi ad alta produttivitàdovrebbero essere controselezionati dalla selezione natu-rale. Pertanto devono essere generati in laboratorio. Tut-tavia, la coltivazione prolungata in laboratorio può risul-tare adattativa alle condizioni di laboratorio e far perde-re le caratteristiche che rendono il ceppo idoneo allacoltura esterna; tale eventualità può essere scongiuratalimitando il numero di generazioni algali mantenute in

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SOSTENIBILITÀ

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laboratorio (Polle et al., 2004). Va sottolineato che inquesti processi di riduzione delle emissioni possono esse-re utilizzati sia ceppi di microalghe d’acqua dolce ched’acqua salmastra o salata (marina). I miglioramentigenetici dovrebbero essere ottenuti, per quanto possibi-le, con le classiche tecniche di mutagenesi e selezione,evitando così il problema di rilasciare nell’ambiente orga-nismi geneticamente modificati. Tuttavia, in futuro, l’u-tilizzo delle moderne biotecnologie in campo geneticosarà inevitabile, per cui dovranno essere contemplate inqualsiasi progetto di ricerca e sviluppo. In breve, la sele-zione, il mantenimento e il miglioramento genetico dellespecie algali per colture intensive a elevata produttivitàrappresentano il focus primario delle attività di ricercae sviluppo in questo campo. Questo tipo di attività nonpuò essere condotta solo in laboratorio, ma deve esserestrettamente coordinata con quella relativa alle coltureintensive operate all’aperto. Le attività di ricerca e svi-luppo in corso sotto il patrocinio del Network prece-dentemente citato sono improntate esattamente su que-sta logica: coordinamento e integrazione tra le attività dilaboratorio e quelle di campo, focalizzando gli sforzisulle tematiche chiave, che includono in particolare ilmiglioramento genetico per l’alta produttività.

9.4.7 Potenzialità di mitigazionedei gas serra mediante processi che utilizzanomicroalghe

L’elemento fondamentale nell’analisi dei processi cheutilizzano microalghe per l’abbattimento dei gas serra èla loro potenzialità nel ridurre globalmente le emissionidi CO2 di origine fossile. Molte tecnologie sono almomento in competizione per prevalere tra le soluzioniproposte a tale problema, alcune promettendo di ridur-re molto, se non la maggior parte, dell’enorme quantitàdi CO2 fossile che si prevede verrà emesso nell’atmo-sfera da una popolazione umana sempre più numerosa eopulenta. Di fronte alla riduzione di emissioni di CO2

dell’ordine dei trilioni di tonnellate che si prevede siarichiesta entro questo secolo per stabilizzarne la con-centrazione nell’atmosfera, ci si chiede se sia utile svi-luppare tecnologie che si presume ridurranno le emis-sioni di CO2 fossile attese in percentuali piuttosto ridot-te. Si prevede che la sequestrazione negli oceani e quellageologica abbiano ciascuna sufficiente capacità di imma-gazzinamento per contenere, teoricamente, tutto il CO2

derivante dalla combustione dei combustibili fossili per-durante in un futuro indefinito. Alcune tecnologie perenergie rinnovabili, per esempio quella eolica e quellafotovoltaica, sono pronte a diventare fonti primarie dienergia. Le celle a combustibile a idrogeno prometto-no di incrementare molto l’efficienza di utilizzazione

dell’energia e di consentire il proseguimento del tra-sporto veicolare personale di massa non regimentato. Ibiocarburanti – bioetanolo, biodiesel e biometano –potrebbero tutti generare notevoli quantità di energia rin-novabile, sia in singole nazioni sia considerando un aggre-gato globale. Quindi, forse, bisognerebbe rivolgere l’at-tenzione verso queste tecnologie di sequestrazione delcarbonio su vasta scala e verso i processi di produzionedi biocarburanti già disponibili, piuttosto che su opzio-ni a piccola scala, come il trattamento delle acque reflue,o di lungo termine a grande scala ma ad alto rischio,come la produzione di biodiesel algale.

In ogni caso tutte queste tecnologie, per quanto pro-mettenti, devono ancora essere considerate incerte. Peresempio, dieci anni fa la sequestrazione negli oceani delCO2 emesso da centrali elettriche venne ampiamentepubblicizzata come una soluzione al problema com-plessivo della riduzione delle emissioni. Tuttavia, i prin-cipali progetti in questo settore non vennero approvati acausa dell’opposizione da parte di gruppi ambientalistio di altri gruppi di interesse e quindi anche la ricercasulle tecnologie di sequestrazione in oceano si trova orain grande ritardo. La sequestrazione geologica rappre-senta oggi il principale focus dell’interesse nell’ambitodelle tecnologie per la riduzione dei gas serra sulla basedell’enorme quantità di spazio geologico di immagazzi-namento potenzialmente disponibile e dell’esperienzaacquisita sulle formazioni geologiche e sulle tecnologierelative. Comunque, solo gli scenari più ottimistici pre-vedono la riduzione di una frazione più che modesta delCO2 fossile totale globalmente richiesto. Le tecnologieper le energie rinnovabili, benché promettenti, non pos-sono plausibilmente colmare la necessità di tutte le altrepossibili e potenziali fonti di carburanti e di riduzionedei gas serra. Oltre alle enormi quantità di CO2 coin-volte, il fatto che le sue fonti siano così diverse e geo-graficamente distribuite implica che non è praticamen-te possibile adottare un’unica tecnologia in ogni situa-zione. In breve, su scala globale, o anche solamenteregionale, sarà necessario disporre di un portfolio diopzioni che comprendono tutte quelle fin qui citate, dimodesta o ampia potenzialità, da utilizzarsi singolar-mente o in combinazione.

La fotosintesi è certamente alla base di molti meto-di per la cattura, l’immagazzinamento e l’utilizzazionedel CO2. La biofissazione del CO2 mediante microal-ghe è solo uno dei molti sistemi basati sulla fotosintesiche saranno presi in considerazione per la riduzionedelle emissioni. Altri, quali i raccolti annuali (fieno, fru-mento, canna da zucchero), gli alberi (pioppi, sicomo-ri, eucalipti) e le piante acquatiche (alghe marine, pian-te palustri), per citarne alcuni, potrebbero anche con-tribuire all’abbattimento dei gas serra mediante laproduzione di biocarburanti, essendo anche più impor-tanti delle microalghe.

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BIOFISSAZIONE DI CO2 FOSSILE MEDIANTE MICROALGHE PER L’ABBATTIMENTO DEI GAS SERRA

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In questa competizione, le tecnologie con microal-ghe presentano diverse caratteristiche promettenti e uni-che. Innanzitutto, come detto prima, offrono la possibi-lità di ottenere produttività molto alte. Le microalghesono probabilmente i convertitori biologici solari piùefficienti ed è probabile che i continui sforzi di ricercae sviluppo riusciranno ampiamente a garantire una pro-duttività anche maggiore in applicazioni pratiche. Unaltro vantaggio delle microalghe è il loro brevissimotempo di generazione (un giorno o meno) in coltura inten-siva. Ciò ha diverse implicazioni in termini di rapidaripartenza dopo un fallimento (solo una settimana circa)e di produzione di inoculo. Il fallimento di un raccoltodi piante superiori può costare la produzione di un anno,se il raccolto è annuale, o la perdita della produzione dioltre un decennio, se si tratta di una foresta. Le attivitàsulle microalghe consentono rapidi progressi di ricercae sviluppo rispetto al ritmo molto più lento necessarioper piante a raccolto annuale o per gli alberi. Le misuredi produttività che richiederebbero anni o decenni conle piante superiori, con le microalghe possono essereeffettuate in qualche mese. Inoltre, l’ambiente piuttostouniforme e controllato delle vasche consente di trasferi-re rapidamente eventuali scoperte da una località all’al-tra, cosa non altrettanto facile con le piante superiori.

La singola caratteristica che sembra rendere le mi-croalghe particolarmente adatte per l’abbattimento dei gasserra è la loro capacità di utilizzare direttamente il CO2

in uscita dalle centrali elettriche. Bisogna riconoscere,tuttavia, che allo scopo di ridurre i gas serra non fa dif-ferenza se il CO2 viene catturato dall’atmosfera o da unacentrale elettrica, o da rifiuti, in quanto è la produzionedi biocarburanti, e quindi il loro utilizzo in sostituzionedei carburanti fossili, che di fatto determina la mitiga-zione dei gas serra. Comunque, la cattura diretta del gasdi combustione da una centrale elettrica permette pro-duttività maggiori e, fattore altrettanto critico, un’effi-cienza nell’utilizzo dell’acqua molto maggiore rispettoalle piante superiori.

Forse l’attributo più importante delle microalghe nelletecnologie per abbattere i gas serra è dato dalla possibi-lità di generare dalla loro biomassa dei biocombustibilirinnovabili e di combinare servizi ambientali quali il trat-tamento di acque reflue, il riciclaggio dei nutrienti, non-ché la produzione di fertilizzanti azotati e altri coprodot-ti e servizi. Va riconosciuto che la maggior parte, se nontutti, i processi biologici per l’abbattimento dei gas serraè multifunzionale, con vari vantaggi ambientali ed eco-nomici associati e che la riduzione dei gas serra può benessere considerata il minore dei vari benefici economici.Ciò è vero probabilmente tanto per i processi microalga-li quanto, per esempio, per l’accumulo del carbonio nelterreno (Metting et al., 2001).

I molteplici vantaggi ambientali di un migliore tratta-mento delle acque reflue assicurano che tutte le attività

correnti di ricerca e sviluppo porteranno a qualche risul-tato pratico, almeno nel breve termine (5-10 anni), nellariduzione dei gas serra. Nel medio periodo (10-15 anni),dovrebbe essere possibile produrre biopolimeri, lubrifi-canti e mangimi di alto valore come coprodotti della pro-duzione di biocarburanti tramite microalghe. A lungotermine, l’obiettivo è quello di sviluppare una tecnolo-gia di produzione di biomassa con microalghe che abbiacosti abbastanza bassi e produttività abbastanza elevateda consentire la produzione di carburanti rinnovabilicome principale, persino esclusivo, fine economico del-l’intero processo. Benché realizzabile in teoria, in pra-tica sarà necessario risolvere molti problemi e questio-ni, come ampiamente discusso in precedenza, e quindiè meglio premunirsi da ogni previsione sul raggiungi-mento di tale obiettivo e su quanto grande possa esserel’impatto di tale tecnologia.

Seppure con tali cautele, è necessario quantificarealmeno a grandi linee il contributo, su scala globale, delletecnologie con microalghe nell’abbattimento dei gasserra. L’assunto fondamentale fatto in questa sede è cheun obiettivo realistico delle attività di ricerca e svilupposia il raggiungimento e la realizzazione, in tempi medio-brevi, di una produttività della biomassa un po’al di sopradi 100 t/ha�a (corrispondente a una media giornaliera dicirca 30 g/m2�d) in colture intensive di alghe operate suscala annuale. Inoltre, si può stimare, molto grossola-namente, che il biocarburante prodotto da 1 t di biomassaalgale possa abbattere circa 1 t di CO2 (stima basata sulcarburante prodotto). Quindi, sarebbero necessari 5 milio-ni di ettari di vasche algali per abbattere 0,5 Gt di CO2,corrispondenti a circa l’1% del totale dei gas serra chein futuro si prevede sarà necessario mitigare ogni annoin base all’assunto che le attuali emissioni di combusti-bili fossili raddoppieranno in uno scenario invariato rispet-to all’attuale.

Nel contesto globale, non si tratta di un’enorme esten-sione di terreno, almeno in confronto ad altre tecnolo-gie solari o rinnovabili e di riduzione delle emissioni,soprattutto ad altri sistemi di produzione con biomasse.Una tale superficie, 5 milioni di ettari, sarebbe grossomodo in linea con le necessità per il trattamento delleacque reflue urbane per l’intera popolazione umana (con-siderando l’azoto come nutriente limitante). In realtà,solo una piccola proporzione della popolazione umanasarebbe plausibilmente servita da tali tecnologie a causadel clima, della disponibilità di terreno e di altre limita-zioni. D’altra parte, il trattamento dei rifiuti zootecniciha una potenzialità pratica maggiore, dal punto di vistaeconomico, rispetto a quello delle acque reflue urbane,così come la coproduzione di prodotti quali fertilizzan-ti e mangimi. Una recente analisi ha calcolato il poten-ziale globale di reflui urbani e animali (bovini e suini)per la riduzione di gas serra basata su colture microal-gali in circa 0,1 Gt di CO2 fossile evitata annualmente.

858 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

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Tale potenziale rappresenta circa l’1% delle riduzioni diemissioni richieste nel breve e nel medio termine per con-tribuire a stabilizzare le emissioni di gas serra. Si trattadi una previsione ragionevole e realistica per le tecnolo-gie a microalghe, anche senza dover ricorrere a processiche producano solo biocarburanti, che sembra essere suf-ficiente a giustificare il supporto di significative attivitàdi ricerca e sviluppo a favore delle tecnologie di biofis-sazione con microalghe.

Una tale previsione implica un’espansione di questatecnologia di diverse migliaia di volte a partire dai soli1.000 ettari circa delle vasche ad alta velocità agitate conruote a pale che funzionano attualmente in tutto il mondo.Tuttavia, considerando che solo 25 anni fa non un sin-golo ettaro di questi sistemi veniva utilizzato per appli-cazioni pratiche, è possibile prevedere una rapida ado-zione di questa tecnologia qualora fosse in grado di for-nire reali servizi alla società e agli individui.

Infine, la prospettiva qui presentata si basa su vascheper la produzione di microalghe associate a una centra-le elettrica convenzionale, ovvero di ampie dimensioni,alimentata a combustibile fossile in modo da utilizzarei gas di combustione prodotti dalla centrale stessa. Tut-tavia, una prospettiva altrettanto valida, e forse anchemigliore, è quella di una piccola centrale elettrica asso-ciata a vasche di alghe, in altri termini, una centrale elet-trica progettata per servire l’impianto algale. Forse anco-ra più appropriato è il modello in cui entrambe le atti-vità sono parte di un unico sistema distribuito sulterritorio per la fornitura di energia e di altri serviziambientali, tra cui acqua, cibo e materiali. È chiaro cheuna considerevole domanda di produzione di elettricitàmediante centrali elettriche centralizzate (per esempio,alimentate a carbone) e di produzione di biomassa alga-le non risultano effettivamente compatibili. La prospet-tiva di realizzare migliaia, o anche decine di migliaia,di ettari di vasche algali localizzate nei pressi di gran-di centrali elettriche alimentate a carbone o a gas natu-rale sembra limitata. Negli Stati Uniti, dopo aver con-siderato sia le limitazioni geografiche sia la disponibi-lità di terreno nei pressi delle grandi centrali elettriche,ne rimane solo una manciata di dimensioni medio-gran-di che possono plausibilmente essere identificate comeadatte a ospitare sistemi algali su vasta scala (superioria 1.000 ha; Benemann e Oswald, 1996). Tuttavia, esisteuna potenzialità molto maggiore per centrali elettrichedi più modeste dimensioni, mentre le potenzialità piùgrandi sarebbero per sistemi integrati di generazione dielettricità che utilizzano una moltiplicità di carburantie rifiuti e che integrano i processi di produzione algalequale componente aggiuntiva, seppure importante. Ben-ché la prospettiva di associare le vasche algali con lecentrali elettriche continui a essere valida, necessita d’es-sere ampliata ulteriormente con l’associazione di centra-li elettriche e sistemi di biofissazione algale che abbiano

una maggiore gamma di dimensioni e applicazioni rispet-to a quanto fatto finora.

In conclusione, è improbabile che la biofissazionecon microalghe fornisca una tecnologia centralizzata,semplice e a buon mercato potenzialmente capace diabbattere molte Gt di gas serra in modo da consentireall’industria petrolifera di continuare a operare secondoil modello cosiddetto business as usual. Le microalghepossono svolgere un ruolo nella grande sfida in cui tuttidobbiamo urgentemente impegnarci: il tentativo di svi-luppare e utilizzare tutte le possibili fonti energeticherinnovabili, sia per le loro potenzialità di abbattimentodei gas serra sia per la loro capacità di sostituire i sem-pre più scarsi combustibili fossili liquidi e gassosi. Devo-no essere effettuate analisi comparative e valutazioni fon-date sul buon senso per privilegiare, tra le opzioni tec-nologiche in concorrenza e i progetti proposti, ciò cheappare più ragionevole, senza limitare eccessivamentela ricerca di alternative.

La tecnologia delle microalghe, fornisce molti esem-pi passati e odierni, anche se non è l’unica, di tematicadi ricerca e sviluppo che include molte ipotesi poco plau-sibili e attività male indirizzate. Questi esempi portanoa grandi sprechi di denaro e, aspetto forse più dannoso,hanno messo in dubbio, e potrebbero farlo ancora, l’ini-ziativa in toto.

Il Microalgae Network è stato istituito proprio percorreggere e prevenire, per quanto possibile, questi erro-ri e per costituire un forum di esperti con una visionecomune su quali siano i processi di biofissazione conmicroalghe più promettenti e praticabili per ridurre igas serra e le attività di ricerca e sviluppo necessarieper attuarli.

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