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9.1.1 Introduzione

Nel corso degli ultimi decenni il comparto del petrolioe del gas naturale ha seguito un’evoluzione del rappor-to industria-ambiente coerente con le linee di tendenzagenerali. Si è andata affermando una logica di preven-zione che ha integrato quella, insostituibile, di control-lo rigoroso delle emissioni. In particolare, è maturatauna visione della problematica ambientale estremamen-te cautelativa, enunciata, in modo sintetico ed efficace,dal concetto di ‘scarico zero’, in base al quale lo svi-luppo della società industriale si può controllare al puntoda consentire l’annullamento sia della quota non utiliz-zata di risorse prelevate dalla natura, sia di ogni ritornoalla natura stessa.

Sin dall’inizio il concetto e il relativo termine sonostati oggetto di discussione e interpretazione. È semprestato chiaro che l’ottenimento dello scarico zero per tuttii tipi di rilasci ambientali di un processo, oltre a esseretecnicamente (termodinamicamente) impossibile, non ènecessariamente la soluzione migliore per l’ambiente. Èinfatti dimostrabile che il raggiungimento di un ipoteti-co scarico zero comporterebbe quasi sempre un ulterio-re consumo di risorse energetiche e materiali. Pertantotale obiettivo è da intendere per il momento come unasfida e il concetto è stato riformulato in modo da sosti-tuirlo con quello di sostenibilità: per qualsiasi sostanzarilasciata all’ambiente esiste un livello di soglia al disot-to del quale l’effetto sull’ecosistema è nullo. Lo scaricozero è quindi divenuto molto più realisticamente l’im-patto zero, in base al quale gli interventi di migliora-mento in un processo produttivo devono essere finaliz-zati all’ottenimento, per ogni sostanza, di un rilascio aldisotto di quel valore di soglia che separa la sostenibi-lità dalla non sostenibilità. La locuzione ‘scarico zero’viene tuttavia ancora usata, soltanto con riferimento asviluppi futuri, esclusivamente per indicare l’annulla-mento dei rifiuti liquidi, in particolare quello delle acque

di rifiuto (Gallerani e Klink, 2000). Al contrario, la poli-tica di impatto zero si riferisce oggi a tutti e tre i possi-bili mezzi ricettori, l’aria, il suolo (e le acque sotterra-nee) e le acque superficiali, in un’ottica di compatibilitàcon il contesto sociale ed economico. Secondo questalinea di tendenza operano ovviamente anche l’industriadel petrolio e del gas e i settori a essa connessi che, perintrinseca struttura e per estensione geografica, intera-giscono con l’ambiente a tutto tondo.

Il ciclo di produzione, trasformazione e impiego degliidrocarburi è composto da una serie di attività che sonoclassificabili in poche fasi: esplorazione, perforazione,produzione, prima lavorazione, trasporto, raffinazione(nel caso del petrolio), petrolchimica, distribuzione agliutilizzatori finali e utilizzazione. A queste, e in partico-lare per le installazioni di estrazione a mare (offshore),si è aggiunta negli ultimi anni la fase di smantellamen-to (decommissioning), attualmente oggetto di attenzio-ne per le sue ricadute potenziali (per esempio, nel casooffshore sulla navigazione, sull’industria della pesca esul turismo delle zone costiere). Inoltre, in un’ottica digestione integrata del ciclo di vita (v. oltre) si consideraanche la fase di costruzione degli impianti (commission-ing), benché sia stato dimostrato che essa incide permeno del 2% sul totale degli impatti ambientali. Per tra-dizione e per precise motivazioni originate dalla strut-tura del mercato, le operazioni suddette sono raggrup-pate in due settori principali: l’upstream e il downstream.Per il petrolio, l’upstream comprende tutte le operazio-ni fino all’ingresso della raffineria, a partire dalla qualehanno inizio le attività di downstream, mentre per il gasnaturale il confine tra i due settori è meno netto.

Per quanto riguarda l’interazione con l’ambiente, pre-scindendo quindi dagli aspetti sociali ed economici, alciclo degli idrocarburi è normalmente associata un’im-magine non positiva, secondo la quale lo sfruttamentodelle risorse sottrae alla natura un patrimonio energeticoaccumulato nel corso di milioni di anni e lo esaurisce in

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L’industria del petrolioverso l’impatto zero

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un limitato intervallo di tempo, immettendo nell’am-biente sostanze che ne possono compromettere gli equi-libri. Per superare questo problema, i punti critici su cuisi concentra l’attenzione dei portatori di interessi(stakeholders) sono sostanzialmente due: l’uso raziona-le delle risorse e la minimizzazione dei rilasci in qual-siasi forma essi si presentino. L’equilibrio cui mirare èrappresentato in modo schematico nella fig. 1 (Sharp,2003) nella quale la ‘fabbrica verde’ è posta al centro diun complesso equilibrio tra le attività produttive, eco-nomiche e sociali e l’ambiente circostante.

9.1.2 Ciclo del petrolio: l’upstream

Il ciclo del petrolio e quello del gas naturale sono sche-matizzati nella fig. 2 dalla quale, per semplicità, sonoescluse la petrolchimica e le altre utilizzazioni. In parti-colare è messo in evidenza l’upstream petrolifero, checomprende le operazioni di perforazione, produzione,prima lavorazione e trasporto che verranno di seguitoesaminate singolarmente. Di norma, la fase di primalavorazione è compresa in quella di produzione perchésempre effettuata a ridosso (‘a bocca di’) del pozzo. Inquesta trattazione, si preferisce tuttavia tenerle separateperché la lavorazione è fortemente dipendente dalla natu-ra dell’olio estratto e i problemi ambientali che ne deri-vano sono di conseguenza molto diversi. Prima di affron-tare le fasi di perforazione e produzione, è opportunoricordare la fase di esplorazione preliminare che vienesolitamente effettuata con tecniche, per così dire, non

invasive. Tali tecniche (sismica, elettrica, gravimetrica,magnetica) possono differire fra loro a seconda che l’e-splorazione avvenga in mare o a terra e sono tutte carat-terizzate dal produrre impatti ambientali poco studiati equindi non del tutto noti (Patin, 1999). Le tecniche sismi-ca ed elettrica, la seconda molto meno comune dellaprima, si basano sull’emissione e sul rilevamento del-l’eco di un’intensa onda elastica o elettromagnetica, dellaquale sono note alcune conseguenze ambientali sui mam-miferi marini e sulla loro capacità di orientamento duran-te le migrazioni. L’elevata pressione (fino a 150 bar) asso-ciata alle onde elastiche emesse durante l’applicazionedella tecnica sismica può provocare anche danni fisici,mentre i forti campi elettromagnetici associati alla secon-da tecnica sembrano avere effetti sullo sviluppo delleuova. Le tecniche gravimetrica e magnetica hanno unminor impatto rispetto alle altre. L’uso razionale di tuttequeste tecniche e l’affinamento delle capacità di rileva-mento possono rappresentare l’unica strada valida perridurne gli impatti che, comunque, sono tutti provocatiper tempi estremamente limitati.

Perforazione e produzione Nell’upstream le due fasi di perforazione e produ-

zione sono quelle che maggiormente possono portare aforti impatti ambientali (Reis, 1996). Entrambe le ope-razioni generano una grande quantità di rilasci, la cui mini-mizzazione richiede la comprensione dei meccanismiche li generano. Nel corso della perforazione, operazio-ne con la quale si realizza un pozzo nel suolo per per-mettere agli idrocarburi di fluire in superficie, il terreno

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SOSTENIBILITÀ

aria/acqua/suolo

massimo tasso di riciclo,nessun conferimento

alle discariche

eliminare il rilascio di sostanzepericolose, ridurre il rumore,

ridurre i disturbi visivi

uso razionale dell’energiae riduzione delle emissioni

di gas serra

politiche per il raggiungimento dell’impatto zero nei confronti della sfera ecologica

la fabbrica verde

naturaenergia rifiuti comunità locali

rendere minimigli impatti

estenderel’attenzioneal di fuori

del sito

rendere minimoil consumo

rendere minimele quantitàgenerate

nella fabbrica

incoraggiare l’armoniatra fabbricae comunità,

creare sviluppo

fig. 1. La filosofia della ‘fabbrica verde’.

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frantumato e rimosso viene portato in superficie da unfluido di opportune caratteristiche chimico-fisiche. Ter-reno e fluido formano il fango di perforazione che, unavolta in superficie, viene sottoposto a separazione soli-do-liquido per recuperare il fluido e riutilizzarlo. I soli-di risultanti, cioè i frammenti di terreno che hanno adsor-bite sulla superficie tracce del fluido, vengono denomi-nati cutting e costituiscono i rifiuti solidi generati inquesta fase del ciclo. Per ridurre drasticamente la quan-tità di tali rifiuti, le moderne tecniche di perforazioneprevedono la realizzazione di pozzi con un diametrosignificativamente minore rispetto al passato (tecnichecosiddette di slim hole).

Alla produzione di greggio e di gas naturale spessoè associata quella di acqua contenente vari contaminan-ti, quali gli idrocarburi disciolti e sospesi, i solidi disciol-ti e sospesi e, in tracce, le sostanze chimiche usate pereffettuare l’operazione in maniera efficiente. Sia nellaperforazione sia nella produzione vengono inoltre emes-se in atmosfera grandi quantità di gas di diversa origine:gas naturale associato al petrolio, prodotti di combu-stione, emissioni dovute a fughe da organi di impiantoed emissioni generate durante le fasi di lavorazione delgreggio e, infine, dal ripristino ambientale dei siti a gia-cimento esaurito.

Gestione dei rifiuti solidi

Trattamento dei fanghi di perforazioneI fluidi di perforazione possono essere a base acquo-

sa o a base oleosa. Nel caso di matrice acquosa si impie-gano attualmente nel fluido bariti a basso contenuto di

metalli pesanti. I carichi ambientali derivano principal-mente dagli agenti chimici utilizzati per il controllo dellaviscosità e della densità del fango di perforazione: disper-denti, inibitori di corrosione, biocidi, lubrificanti e altriprodotti. Nel caso di matrice oleosa si impiegano attual-mente oli minerali di sintesi non tossici, mentre in pas-sato si usava gasolio.

Generalmente, oltre ai composti organici aggiunti eai solidi inerti derivanti dal suolo, gli elementi chimicipresenti nei fluidi di perforazione sono: calcio, allumi-nio, magnesio, silicio, potassio, bario, cromo e cobalto,nichel, mercurio, rame, piombo, ferro, arsenico, sodio.Questi elementi, la cui origine può essere l’acqua, il greg-gio, il terreno frantumato o i prodotti chimici utilizzatiper correggere le proprietà chimico-fisiche dei fluidi,sono o disciolti nel fluido di perforazione o adsorbitisulla superficie dei cutting. In passato i fanghi a fineperforazione venivano accumulati in cumuli o lagune(pits) e lì abbandonati. Oggi, la tecnica dello stoccaggioin pit non viene più ritenuta conforme alle esigenze ditutela ambientale perché, anche se in tempi lunghi e quin-di con bassi dosaggi, il pit riversa nell’ambiente, soprat-tutto nel terreno, e di conseguenza nelle falde acquife-re, molti degli inquinanti trattenuti. Si è sempre più con-vinti della necessità di annullare completamente il rilascionell’ambiente di sostanze pericolose, attraverso il mas-simo riciclo dei componenti del fango di perforazione el’applicazione di tecniche di reiniezione in prossimitàdel pozzo di estrazione (EBRD, 2002).

Lo schema di fig. 3 (Orszulik, 1997) descrive som-mariamente la logica d’intervento utilizzata nel casodi fanghi di perforazione a base acquosa. Al ciclo di

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L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

ricerca eperforazione

compressionee trasporto

via gasdotto

raffinazione

filiera olio filiera gas

estrazione etrattamento a specifica

distribuzionefinale

stoccaggioprodotti

costruzione esmantellamento impianti

collocazione deicomponenti a fine vita

trasporto viagasdotto/nave

fig. 2. La filiera del gasnaturale e del petrolio.

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trattamento fanghi descritto in figura si possono aggiun-gere eventuali operazioni di inertizzazione chimica deisolidi in matrici cementizie per il successivo conferi-mento in discarica. Tali operazioni, solitamente utilizza-te per i rifiuti solidi contenenti metalli pesanti, non sonofacilmente applicabili su materiali intrisi di idrocarburise non aumentando in modo non tollerabile i volumi deirifiuti solidi finali. Le moderne tecnologie per il tratta-mento dei fanghi a base oleosa puntano a una netta sepa-razione tra la fase organica e quella inorganica dei cut-ting, con il conseguente recupero, pressoché totale, del-la fase organica poi riciclata. Vi sono diverse tecnicheper eseguire tale separazione, che vanno dall’uso di cen-trifughe verticali alla distillazione alla temperatura di300-320 °C, al trattamento con ultrasuoni, al lavaggiocon solventi con conseguente recupero dell’olio nuova-mente utilizzabile per il confezionamento del fango diperforazione. Sono oggi allo studio tecniche più avan-zate basate sul trattamento con CO2 supercritico (aldisopra di 73,8 bar e 35 °C) che sono prossime al rag-giungimento della necessaria competitività economica(Saintpere, 2000; Sarbu, 2000). I cutting decontaminati,oltre a essere conferiti in discarica, possono trovare appli-cazioni (per esempio, in mare, nella fabbricazione di reefartificiali o di protezioni della costa o, anche onshore,nel condizionamento del suolo, nella copertura di disca-riche, nella costruzione di strade, nella fabbricazione diutensili ceramici) molto vicine all’impatto zero.

La reiniezione dei fanghi di perforazione è una solu-zione gestionale alternativa a quella sopra accennata. Nelcorso degli ultimi anni, proprio con l’intento di ridurrel’impatto ambientale, i fanghi oleosi (OBM, Oil Baseddrilling Mud) e quelli sintetici (SBM, Synthetic Baseddrilling Mud) sono stati progressivamente sostituiti daquelli acquosi (WBM, Water Based drilling Mud) chenormalmente contengono additivi meno tossici (Wills,2000). Per ridurre ulteriormente l’impatto, peraltro nonancora del tutto noto, sono state messe a punto diversetecnologie per reiniettare e contenere i cutting in cavitàsotterranee. In questo caso vengono effettuate ulteriorivalutazioni ambientali per verificare la qualità dell’im-patto: si controlla se la cavità sotterranea può considerarsi

stagna e si calcolano le emissioni aggiuntive nell’atmo-sfera provenienti dal maggior consumo energetico richie-sto dalla reiniezione (Norsok Standard, 1994).

L’allestimento di un campo di reiniezione è un’ope-razione costosa che prevede la realizzazione, in numeroconsistente, di collegamenti fra i vari pozzi e la cavitàospitante (Reddoch e Taylor, 1996). Prima di essere rei-niettati i cutting possono essere sottoposti a trattamentiche ne migliorino le proprietà fluidodinamiche, quali lamacinazione e l’ulteriore fluidificazione con l’aggiuntadi opportuni additivi. L’iniezione avviene ad alta pres-sione (il cui valore dipendente dalla profondità dellacavità) ottenuta utilizzando pompe particolari.

Decommissioning e ripristino dei sitiUn altro aspetto rilevante, da includere nel tema della

gestione dei rifiuti solidi da attività di estrazione e pro-duzione, è quello relativo al modo di smaltire o ricicla-re gli impianti a fine vita del giacimento, problema cheha attirato l’attenzione delle pubbliche amministrazio-ni. Soprattutto l’offshore è stato oggetto di convenzionie accordi internazionali (Bemment, 2001) che sono cul-minati inizialmente nella convenzione denominata Lawof the Seas (1982), firmata dai paesi aderenti alle Nazio-ni Unite. Successivamente sono stati definiti altri accor-di locali, il più noto dei quali, che si riferisce al Nord-Est atlantico, è il risultato dell’OSPAR (Oslo and ParisConvention) del 1998. In base a tali accordi «ogni instal-lazione che vada in disuso deve essere rimossa per garan-tire la sicurezza della navigazione», cioè la rimozionedeve essere effettuata in piena sicurezza per l’ambientemarino circostante e vanno comunque esaminati nuovipossibili usi delle strutture o il riciclo dei materiali e deicomponenti. Per esempio, le strutture di sostegno, cioèla parte sottomarina delle piattaforme, qualora abbianouna massa minore di 10.000 t, possono essere lasciatesul posto se sono in grado di funzionare come supportoper il reef marino. L’argomento non è di poco conto sesi pensa che una piattaforma tipica contiene tutto l’e-quipaggiamento tecnico utilizzato per la perforazione,la produzione e il processamento degli idrocarburi, non-ché le strutture di sostegno e di ancoraggio al fondo. Solo

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SOSTENIBILITÀ

barite

acqua

agenti chimici

separazionesolido/liquido

classificazione

recupero barite

pozzo

acqua direintegro

solidi allo smaltimento

fig. 3. Operazioni di riciclo dei fanghi di perforazione a base acquosa.

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le strutture di sostegno in acciaio (jacket) arrivano a pesa-re 40.000 t, cui se ne possono aggiungere altre 40.000del ponte e altre ancora, fino a 70.000 t in cemento, perle fondazioni e altro (Osmundsen e Tveteras, 2000). Men-tre il jacket e le fondazioni sono generalmente ‘puliti’,la parte del ponte può essere contaminata da sostanzepericolose e la rimozione o la riutilizzazione per altreattività devono essere precedute da una bonifica.

Le stesse considerazioni si applicano alle condotte(pipeline) che trasportano a terra gli idrocarburi prodot-ti dalla piattaforma o a quelle che effettuano un servizioanalogo, come per esempio le tubazioni di trasporto dalleboe di scarico dalle petroliere fino alle raffinerie. Al finedi trovare la soluzione più sostenibile per l’ambienteviene generalmente avviato un processo di valutazioneche prende in considerazione diverse opzioni tecnologi-che (Prasthofer, 1997), come indicato in fig. 4. Le moda-lità di decommissioning applicate dipendono ovviamentedal tipo di scelta operata. In ogni caso, tutte le parti chesono entrate in contatto con sostanze pericolose, comele apparecchiature presenti sul ponte, sono sottoposte abonifiche e i fluidi risultanti inviati al corretto smalti-mento a terra. Le parti metalliche sono quindi smantel-late e riciclate. Le tubazioni, le pompe e tutti gli organidi linea sono flussati con acqua, vapore o gas inerti, che

vengono poi trattati. Le pipeline destinate a rimanere sulfondo, dopo la bonifica condotta in genere con acqua eagenti chimici in pressione, sono riempite con acqua dimare e sigillate, mentre quelle destinate alla rimozionevengono dapprima sottoposte a un trattamento (Culwelle McCarthy, 1997), nel corso del quale sostanze chimi-che adatte vengono introdotte nella tubazione insieme alcosiddetto pig, un’apparecchiatura mobile capace diraschiare le superfici interne. Dopo il trattamento chi-mico e meccanico, le tubazioni vengono lavate con acquain pressione.

Problemi analoghi si presentano per le installazionidi estrazione a terra, anche se le soluzioni a disposizionesi riducono sostanzialmente a una: la totale rimozionedelle apparecchiature e il ripristino del sito occupato(Perez, 1997). Per quanto riguarda la rimozione delle appa-recchiature ci si avvale di tecniche ormai consolidate,mentre per il ripristino dei siti e, in particolare, per la boni-fica dei suoli contaminati, accanto a tecnologie note ecollaudate si assiste a un continuo sforzo di ricerca e messaa punto di nuove possibilità (McCarthy, 1997) fra le qualiemergono quelle basate su processi biologici e pertantoispirate all’impatto zero (Robertiello et al., 2001).

Di seguito verranno menzionati gli investimenti dellecompagnie petrolifere per il totale ripristino ambientale

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L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

manutenzionee riuso

riciclo delle partiin acciaio

invioa terra

smaltimento inacque profonde

invioa terra

conferimentoa discarica

rifiutia discarica

conversione inscogliera artificiale

sommersa

riutilizzazionein un nuovo sito di

produzione in maresmantellamentodi installazioni

in mare

apparecchiaturee tubazioni diprocessamento

dell’olio e del gas

strutturedel ponte e

degli ancoraggisul fondale

riciclo delle parti in acciaio

rimozionedella sola parte emersa

sul posto dopo affondamentodella parte emersa

unico pezzoin altro luogo

divisione e dispersionein altri luoghi

fig. 4. Opzioni tecnologiche per la rimozione o la riutilizzazione degli impianti di produzione petrolifera offshore.

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dei siti dismessi che, spesso, perdono del tutto il ricor-do dell’attività industriale pregressa. Si giunge infatti,non di rado, alla realizzazione di opere finali di rifore-stazione che hanno come risultato il miglioramento del-l’habitat che caratterizza il sito. A sottolineare la politi-ca di attenzione verso la gestione totale degli aspettiambientali in fase di esplorazione si possono menzio-nare la progettazione e la realizzazione ex novo dei siste-mi di raccolta e gestione dei rifiuti solidi in paesi in viadi sviluppo che ne sono del tutto sprovvisti (Bell, 2005).Tutto ciò per avere la possibilità di smaltire, in modorispettoso per l’ambiente, la modesta quantità di solidiprovenienti dall’attività di perforazione anche di naturanon pericolosa.

Gestione dei composti dello zolfoPer ultima, non in ordine di importanza, occorre cita-

re la principale fonte di generazione di solidi che pos-sono divenire rifiuti nel caso in cui non se ne trovi un’a-deguata collocazione commerciale.

Quando la concentrazione di composti dello zolfo(normalmente H2S) nel gas associato supera i valori impo-sti dalle specifiche per il trasporto in pipeline, vengonocostruiti impianti che trasformano tali composti in zolfo(S8) solido. Le tecnologie disponibili per realizzare que-sti impianti sono molte (Eow, 2002) ma la più comuneè il cosiddetto processo Claus seguito da trattamenti difinissaggio dei gas in uscita, capaci di ridurre ulterior-mente le già contenute emissioni. In pratica, i moderniimpianti di desolforazione sono in grado di assicurareabbattimenti dell’H2S presente nel gas naturale nellamisura del 99,9% e oltre. Lo zolfo solido prodotto, quan-do possibile, viene inviato, in forma liquida o granula-re, a successive lavorazioni e, in caso contrario, imma-gazzinato nei siti di produzione del petrolio normalmentesotto forma di cumuli all’aperto, dove si raffredda e restain attesa di una futura utilizzazione. La quantità di zolfoprodotto può essere notevole e giungere a qualche milio-ne di tonnellate per anno (Ober, 2001). I conseguenticumuli di zolfo hanno generalmente dimensioni rag-guardevoli potendo formare, per esempio, parallelepi-pedi la cui base può raggiungere 1.500�750 m e la cuialtezza può superare 20 m. Un campo con alta produtti-vità può portare alla formazione di molti blocchi di que-sto tipo, che presentano problemi ambientali i più impor-tanti dei quali sono costituiti dall’occupazione di suoloe dall’alterazione del paesaggio. Esistono inoltre sia rischidi acidificazione delle falde sotterranee, a causa dellaformazione di acido solforico dovuta a pioggia su cumu-li scoperti, sia pericoli di emissione di SO2 in caso diincendi fortuiti.

Infine, nei climi aridi, può assumere importanza lagenerazione dai cumuli di polveri che, trasportate dai venti,possono avere un impatto sui suoli o sugli organismi vege-tali e animali. Il metodo che si ritiene più praticabile per

eliminare il problema alla radice, e quindi approssimarela condizione di scarico zero, è quello di reiniettare i gasacidi estratti con il petrolio in via definitiva in stratiprofondi e segregati o nel giacimento, ai fini di agevo-lare l’estrazione dell’olio (tecnica di EOR, Enhanced OilRecovery). La reiniezione del gas comporta una sua disi-dratazione e una compressione fino a pressioni che pos-sono arrivare a svariate decine di MPa. In questo casol’emissione di CO2, NOx e SOx, derivanti dalla produ-zione dell’energia necessaria alla compressione, è ampia-mente ricompensata dalla scomparsa totale dell’H2S equindi dello zolfo o, comunque, da una sua forte ridu-zione. Se la reiniezione non è praticabile, si può passa-re all’applicazione di tecniche, già disponibili, che per-mettono la realizzazione di forme di stoccaggio aventiminor impatto tramite un sostanziale isolamento delcumulo dall’ambiente circostante. In accordo con que-ste tecniche, lo stoccaggio dello zolfo viene realizzatosu uno strato impermeabile che elimina il rischio del con-tatto diretto con il terreno e la percolazione di acqueacide; il cumulo stesso può essere parzialmente interra-to e coperto con materiali che evitino sia il contatto conl’acqua e l’aria sia la dispersione di polveri nell’ambiente.Queste tecniche hanno il vantaggio di conservare la dispo-nibilità dello zolfo per impieghi futuri.

Per incrementare il tasso di impiego dello zolfo, evi-tando così la necessità di stoccaggi prolungati nel tempo,sono in fase di analisi di fattibilità processi che portinoa usi alternativi alla produzione dei fertilizzanti, che restacomunque il più importante mercato finale di sboccoanche nel medio periodo. Fra questi assumono rilevan-za quelli che, dopo opportuni processi di trasformazio-ne, ne prevedono un’utilizzazione: a) nella realizzazio-ne di materiale legante di aggregati e di filler di vari tipicome componenti strutturali per la costruzione di partidi edifici; b) nella realizzazione di pavimentazioni stra-dali; c) nell’incapsulamento di rifiuti pericolosi com-presi i materiali radioattivi; d ) nell’uso in ambienti par-ticolarmente corrosivi; e) nella realizzazione di tubatu-re per il trasporto di materiali abrasivi (Kislenko et al.,2002). Tutti i processi che sono stati messi a punto perla modificazione delle proprietà dello zolfo, ai fini diuna sua utilizzazione come legante in componenti strut-turali, portano sostanzialmente a due tipi di materiali: ilprimo è un materiale chiamato zolfo-cemento, nel qualelo zolfo, dapprima modificato, sostituisce una parte delcemento; il secondo è un materiale chiamato zolfo-asfal-to, nel quale lo zolfo sostituisce in parte il bitume. Entram-be le tecnologie hanno il doppio vantaggio potenziale diutilizzare un materiale che rischia di divenire un rifiutoe di risparmiare sulla produzione di materie prime, qualiil cemento e il bitume, i cui cicli di vita sono fra i piùimportanti dal punto di vista ambientale. Per maggioridettagli, relativi al ciclo dello zolfo nell’industria del-l’olio e del gas, v. cap. 3.3.

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Trattamento degli effluenti liquidi Il problema degli effluenti liquidi diviene rilevante

durante la produzione quando, soprattutto nella fase divita avanzata del pozzo, all’estrazione di olio e del gasnaturale è associata quella di grandi quantità di acquadi diversa provenienza: l’acqua di formazione, l’acqua diiniezione e altre ancora. L’acqua di formazione, costi-tuente le cosiddette acque di strato o acque di produzio-ne, viene estratta insieme al petrolio; l’acqua di iniezio-ne deriva invece dal ritorno in superficie insieme agliidrocarburi dell’acqua pompata nel pozzo per mantene-re i valori di pressione a livelli adeguati. L’acqua estrattapuò raggiungere volumi considerevoli, fino all’ordinedella decina di volte il volume di olio estratto (Orszulik,1997). In accordo con i dati forniti dall’Istituto Ameri-cano per il Petrolio, nel 1995 sono stati prodotti negliStati Uniti oltre 18 miliardi di barili di acque di produ-zione nelle sole operazioni onshore (Wakim, 1988). Stimepiù recenti (Khatib e Verbeek, 2003) indicano una quan-tità di acque di produzione, generate a livello mondialenel 1997, pari a circa 77 miliardi di barili, corrispondentea un rapporto volumetrico acque/petrolio medio pari a3:1. A titolo di esempio, la sola Norvegia scarica nelMare del Nord circa 360 milioni di tonnellate di acquein un anno (Nova Scotia, 2004).

Le proprietà chimico-fisiche delle acque di produ-zione variano notevolmente in funzione dell’ubicazionegeografica del giacimento, della conformazione geolo-gica del sottosuolo, delle caratteristiche degli idrocar-buri estratti e delle modalità operative di gestione delpozzo. Le loro caratteristiche e i loro quantitativi varia-no anche nel corso della vita del giacimento, specie sesono adottate tecniche di waterflooding (iniezione nellaformazione di acqua supplementare). Gli idrocarburi eil contenuto di solidi disciolti/sospesi sono i costituentiche ricevono la maggiore attenzione nei trattamenti fina-lizzati al riciclo nel giacimento, allo smaltimento e alladepurazione/riutilizzazione. L’acqua di produzione, infat-ti, contiene molti composti organici e inorganici, alcunidei quali sono tossici per l’uomo e l’ambiente, senza con-tare quelli che sono aggiunti per migliorare il processoestrattivo (inibitori di corrosione, biocidi, disemulsio-nanti, chiarificatori, flocculanti, ecc.).

Il controllo del tenore salino assume un ruolo criti-co nel caso di trattamenti finalizzati a una riutilizzazio-ne in superficie, soprattutto per gli aspetti tecnico-eco-nomici dell’operazione, in quanto il costo della dissala-zione è generalmente molto elevato. Le acque chederivano dalla produzione del gas sono di solito menosaline, ma hanno normalmente un contenuto più eleva-to di idrocarburi a basso peso molecolare e aromatici,come benzene, toluene, etilbenzene e xilene (BTEX), esono circa 10 volte più tossiche di quelle derivanti dal-l’estrazione del greggio (Jacobs et al., 1992). È eviden-te come un problema di questa vastità, soprattutto per

l’offshore, richieda una sorveglianza e un controllo par-ticolarmente attenti, per i quali sono stati resi disponi-bili strumenti molto efficienti (Johnsen et al., 2004;Lystad e Nilssen, 2004). Essi includono l’applicazionedi tecniche analitiche avanzate, analisi tossicologiche invivo dei composti presenti e tecniche di previsione delladispersione/diffusione in mare delle sostanze pericolo-se contenute nelle acque eventualmente scaricate. L’in-sieme di questi strumenti diagnostici avanzati viene uti-lizzato sia per valutare la vastità della zona interessatasia per una previsione sull’esposizione reale degli orga-nismi agli agenti tossici. Volendo ridurre l’impattoambientale al minimo possibile, si agisce sia con tecni-che di riduzione dell’acqua estratta che operano nel pozzo(per esempio, bottomhole unloading, water drainge,watershut-off, ecc.), sia con tecniche di reiniezione nelgiacimento o negli strati profondi del sottosuolo. Stimeeseguite negli Stati Uniti indicavano che nel 2000 il 92%del totale delle acque di produzione veniva reiniettatonel sottosuolo, di cui il 71% nel giacimento di origine eil 29% in strati profondi (API, 2000). Negli ultimi decen-ni, per i giacimenti a terra (onshore), si è intensificatolo sforzo di messa a punto di tecniche gestionali delleacque di produzione che ne prevedono una riutilizzazio-ne di tipo civile e agricolo (Reis, 1996; Khatib e Verbeek,2003). Per i giacimenti offshore, si mira a scaricare inmare acque non inquinate (Lystad e Nilssen, 2004) aven-do come obiettivo l’impatto zero, in questo caso moltovicino all’interpretazione letterale di scarico zero (ArgoEnvironmental Engineering, 2004; Sluijterman et al.,2004; Tsang e Martin, 2004). In tutti i casi si tratta quin-di di possedere sia adeguati strumenti per studiare lamigliore soluzione possibile, sia tecnologie avanzate(BAT, Best Available Techniques) in grado di purificarel’acqua in modo efficace (Schreck, 2002).

Le tecnologie di trattamento in grado di produrreacque riutilizzabili possono basarsi su diverse metodo-logie ma, per la maggior parte, si tratta di processi fisi-co-chimici quali il freeze-thaw/evaporation, soprattuttoper le aree polari (Boysen et al., 1996), l’elettrodialisi(Jackson e Myers, 2002), l’osmosi inversa (Tsang eMartin, 2004) e l’evaporazione multi-flash, in partico-lare per le aree desertiche (Sluijterman et al., 2004). Oggisono presi in considerazione, per impianti a terra, ancheprocessi biologici che stanno registrando una crescenteutilizzazione. I processi di trattamento vanno considera-ti nell’ambito delle operazioni generali di prima lavora-zione del petrolio, esemplificata in fig. 5, per un greggiodel tutto generico contenente gas naturale associato. Unoschema di processo misto per la depurazione delle acquedi produzione, con operazioni di tipo biologico e chimi-co-fisico, è rappresentato in fig. 6 (Tsang e Martin, 2004)e si riferisce al trattamento di 8.500 t/d di acqua per uncampo da 50.000 bbl/d (circa 8.000 t/d). Il trattamentochimico che avviene, a 60-70 °C, con un’aggiunta di

781VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

Page 10: 9 SOSTENIBILITÀ

calce o soda fino a ottenere un pH di circa 8, viene uti-lizzato per ridurre la durezza dell’acqua e far precipi-tare il biossido di silicio (80% di rimozione) e altri sali,producendo un fango che è inviato, previo ispessimen-to, a discarica. Il sedimentatore separa i solidi sospesie l’acqua, dopo raffreddamento in torre fino a 35-40 °C,è inviata a un reattore biologico utilizzato per rimuove-re gli idrocarburi, in forma sia emulsionata sia sospesa,i composti organici solubili e i solfuri. Il reattore bio-logico è seguito da operazioni di ultrafiltrazione e osmo-si inversa che rimuovono la maggior parte dei sali resi-dui con particolare riferimento al boro. L’efficienza diabbattimento degli inquinanti e i costi di questi proces-so sono elevati, ma la qualità dell’acqua in uscita è sem-pre idonea per scopi irrigui e può giungere sino allapotabilità.

Trattamento delle emissioni in atmosfera Fra le varie cause ritenute responsabili dell’aumento

della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera vieneconsiderata anche la produzione del petrolio e, in misuraminore, quella del gas naturale. Per il petrolio le origini

delle emissioni possono essere identificate, in ordine diimportanza, nel flaring e nel venting, nelle combustio-ni usate per la produzione di energia da consumare inloco e infine nelle emissioni dovute a fughe incontrol-late di carattere sia puntuale sia diffuso.

Il flaring è la combustione controllata del gas natu-rale associato al petrolio effettuata in torcia. Gli impat-ti ambientali di una torcia sono di tre tipi: rumore, lucee calore, gas di combustione. I gas di combustione sonoessenzialmente costituiti da vapore acqueo, CO2, gasnaturale incombusto, CO, NOx, SOx e composti minori.Il gas naturale incombusto in uscita da una torcia puòvariare dal 6 all’1% della corrente inviata al flaring. Re-centemente, la Environmental Protection Agency (EPA)statunitense indica nel 98% l’efficienza di combustionedelle moderne torce da flaring in condizioni ideali di fun-zionamento (OGP, 2000). La quantità di gas bruciata alflaring (GAO, 2004) viene stimata nell’ordine di 100milioni di m3/a (pari al 2% del totale del gas naturaleprodotto e utilizzato nel mondo). Il problema di una dra-stica riduzione del flaring non è mai stato affrontato inci-sivamente se non in alcune realtà, come per esempio la

782 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

produzioneenergia elettrica

trattamento acquedi produzione

trattamento gasgas

gasautoconsumi

acqua

oliotrattamento olioseparazionetesta di

pozzo

fig. 5. Esempio di schema di processo a blocchi di un centro oliocon recupero del gas associato.

ultrafiltrazionea membrana

sedimentatore

bioreattore

raffreddamento

trattamentochimico

disidratazionefanghi

osmosiinversa

acquatrattatafanghi allo

smaltimento

acqua diproduzione iniezione

del concentratonel pozzo

fig. 6. Esempio di schema di processo a blocchi di trattamentodelle acque di produzione.

Page 11: 9 SOSTENIBILITÀ

Nigeria, la Libia e il Messico. Dal punto di vista ambien-tale, tuttavia, soprattutto dopo la firma del Protocollo diKyoto, il flaring costituisce, senza ombra di dubbio, unaquestione di entità rilevante, anche se è destinato a unacostante diminuzione nel tempo per le politiche di con-tenimento comunque messe in atto.

Il venting è il rilascio controllato di gas nell’atmo-sfera attraverso torce ‘fredde’. Gli effluenti rilasciatipossono essere costituiti principalmente da gas natura-le, biossido di carbonio, idrocarburi a basso peso mole-colare, azoto e vapor d’acqua. Il venting è spesso lamigliore opzione industriale di smaltimento del gas asso-ciato al petrolio, soprattutto se tale gas è ricco di inerticome il biossido di carbonio e l’azoto. Dal punto di vistaambientale presenta i seguenti effetti: rumore, se il rila-scio avviene ad alta pressione; inquinamento chimicodell’atmosfera che può causare effetto serra; formazio-ne di smog fotochimico qualora sia nelle vicinanze diprocessi di combustione. Il volume delle correnti emes-se con il venting è pari a circa l’1% del totale del gasnaturale estratto e utilizzato nel mondo. Sebbene dalpunto di vista energetico globale il flaring e il ventingnon abbiano una grande rilevanza, poiché sono concen-trati in alcuni paesi (GAO, 2004), possono assumere oggiun certo rilievo come opportunità di sviluppo. Sulla ridu-zione del flaring e del venting si basano molti dei pro-getti CDM (Clean Development Mechanisms) previstinel Protocollo di Kyoto e finanziati dalla World Banknei paesi in via di sviluppo.

Le riduzioni delle emissioni in atmosfera possono basar-si o sulla reiniezione dei gas nel giacimento o meglio, dovepossibile, sulla loro valorizzazione economica medianteprocessi nei quali essi vanno a sostituire altri vettori ener-getici più facilmente esportabili. La fig. 7 mostra il pano-rama delle possibili alternative di valorizzazione del gas,potenzialmente utilizzabili in localizzazioni remote. Comesi può notare, laddove non sia ipotizzabile la valorizza-zione economica, che peraltro trova un nuovo impulso conl’approvazione del Protocollo di Kyoto, viene praticata lareiniezione dei gas. La reiniezione viene effettuata o nelreservoir, per aumentarne la pressione migliorando cosìlo sfruttamento del giacimento stesso (EOR), o incavità/depositi sotterranei per creare uno stoccaggio di gassfruttabile a lungo termine. In alternativa, il gas può esse-re sottoposto a processi di separazione che si concludonocon la reiniezione dei composti che conferiscono acidità.Poiché, a causa del sempre maggiore sfruttamento dellerisorse, si sta verificando la necessità di sfruttare anchegiacimenti di gas contenenti alte percentuali di CO2 e H2S,la reiniezione può riferirsi al solo CO2 o a un gas moltopiù ricco di H2S rispetto a quello estratto.

Queste argomentazioni su flaring, venting o riutiliz-zazione del gas estratto sono valide anche per il metanoassociato a giacimenti di carbone; questo gas, noto comeCoal Bed Methane (CBM), può essere estratto con l’i-niezione di grandi quantità di acqua che a sua volta puòessere recuperata e riutilizzata, previo trattamento, perscopi irrigui (Robinson e Bauder, 2001). Qualora nessuna

783VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

produzione energia elettrica

gas naturale liquefatto

produzione di idrocarburi liquidi

gas naturale condensato

produzione metanolo

valorizzazione economica

trasformazione

a gasdotto

totale

reiniezione

gas

solo CO2

EOR

stoccaggio

produzione GPL

produzione H2/nerofumo

produzione metallurgica

produzione di dimetiletere

produzione di ammoniaca

fig. 7. Tecnologie utilizzabili per la riduzione o l’eliminazione del flaring.

Page 12: 9 SOSTENIBILITÀ

delle possibilità di valorizzazione indicate nella fig. 7 siapercorribile e si debba comunque smaltire il gas, è oppor-tuno ricorrere al flaring operato nel modo più efficientepossibile per diminuire il rilascio di incombusti. Infatti ilmetano ha un potenziale effetto serra 21 volte maggiorerispetto a quello del CO2. È inoltre opportuno ricordareche le combustioni imperfette immettono nell’atmosfe-ra, oltre al metano, prodotti tossici quali il monossido dicarbonio, la formaldeide e composti aromatici.

Considerata l’importanza della conoscenza dell’e-satta composizione dei gas di combustione uscenti dauna torcia da flaring, lo sforzo di ricerca attuale si staorientando anche sulla messa a punto di tecniche anali-tiche avanzate per la misura diretta delle emissioni datorce e di modelli matematici per la loro contabilizza-zione. Le tecniche diagnostiche più significative in que-sto campo, oltre al prelievo diretto di campioni per l’a-nalisi dei fumi di combustione, sono quelle basate sullamisura remota delle emissioni tramite rilevazione deglispettri infrarossi emessi dai gas di combustione imme-diatamente al disopra della torcia. Inoltre, molte ricer-che sono attualmente in corso per limitare le emissioni‘fuggitive’ di gas, cioè le fughe non controllate da orga-ni di linea quali valvole di sicurezza o di regolazione,pompe, compressori, flange e prese campione. Lo sfor-zo innovativo per la riduzione di questo tipo di emissio-ni si concentra essenzialmente sull’adozione di organiintrinsecamente sicuri (per esempio, pompe a doppiatenuta) oppure sull’inseverimento dei programmi di moni-toraggio delle fughe e sulla frequenza di manutenzioneperiodica degli impianti. Anche in questo caso i nuovimetodi di misura e la relativa strumentazione sono rite-nuti modi adeguati di prova per il rilevamento delle per-dite e la misura dei vantaggi ottenuti a manutenzioneeseguita. Un esempio di tali nuovi metodi è costituitodalle tecniche LDAR (Leak Detection And Repair).

Trasporto Il trasporto del greggio può avvenire via nave o

mediante pipeline terrestri e sottomarine. Entrambe lemodalità di movimentazione sono caratterizzate da impli-cazioni ambientali riconducibili alle sole perdite invo-lontarie o accidentali. Le possibili cause di perdita sonooggi severamente poste sotto controllo con l’ausilio ditecnologie avanzate, sia in fase di prevenzione sia in fasedi intervento dopo una fuoriuscita accidentale. Le prime,in particolare, hanno l’obiettivo di avvicinare possibil-mente allo zero l’impatto ambientale del trasporto digreggio e prodotti derivati (carburante per l’autotrazio-ne, olio combustibile, virgin naphtha, prodotti petrol-chimici, ecc.).

Trasporto via naveÈ accertato che le perdite di greggio (oil spill )

dovute a incidenti marittimi di grandi dimensioni non

costituiscono la principale origine della presenza di idro-carburi in mare (Orszulik, 1997; Patin, 1999), sebbenequesta sia comunemente associata a disastri occorsi apetroliere come, per esempio, il naufragio della ExxonValdez avvenuto nel 1989 in Alaska. In quell’occasione,una grande quantità di greggio venne riversata in mare(EPA, 1989) e in poco tempo formò una chiazza la cuiestensione raggiunse 6.000 km2. L’impatto sull’ambien-te fu rilevante e non è ancora stato né completamentesuperato, né interamente valutato. Nell’immaginario col-lettivo le fuoriuscite di greggio sono rimaste collegate altrasporto in mare via nave e sono ritenute responsabilidi grandi disastri ecologici, che effettivamente si sonoverificati.

In fig. 8 sono raccolti i dati relativi alle perdite rile-vanti di idrocarburi in mare dovute a incidenti di petro-liere negli ultimi 35 anni (Patin, 2004). Nella realtà, glisversamenti causati da piccoli incidenti operativi o dal-l’applicazione errata di pratiche gestionali codificatesono, in totale, quantitativamente più importanti. Con-siderati singolarmente, essi hanno però generalmente unimpatto ambientale minore rispetto ai grandi incidentiche coinvolgono interi carichi, specie quando questi ulti-mi avvengono in vicinanza delle coste. Quando invecegli incidenti si verificano al largo, risultano spesso menopericolosi per l’ambiente marino, poiché in mare aper-to si innescano subito potenti meccanismi naturali diautodifesa che, soprattutto per prodotti non particolar-mente tossici, riducono di molto le conseguenze sul-l’ambiente (Okland, 2000). I meccanismi naturali di auto-difesa sono costituiti principalmente da: a) evaporazio-ne delle frazioni volatili, che rimuove, in circa 10 giorni,gli alcani sotto C15 e i principali composti tossici qua-li benzene e toluene (Fingas, 1999; Zhu et al., 2001);b) azione disperdente ed emulsionante del moto ondo-so, che facilita la dispersione e la successiva biodegra-dazione degli idrocarburi; c) fotossidazione degli stessi,con l’ossigeno dell’aria, catalizzata dalla radiazione sola-re (Zhu et al., 2001); d ) affondamento delle frazioni piùpesanti (Patin, 2004). Questi meccanismi agiscono intempi relativamente lunghi e, se lo sversamento avvie-ne in prossimità delle coste, non riescono a evitare chela chiazza raggiunga queste ultime e inquini le zone dirisacca.

L’approccio utilizzato per approssimare l’impattozero nella fase di trasporto via nave è costituito dalla pre-venzione degli incidenti. Tale prevenzione è basata prin-cipalmente sulla progressiva sostituzione della flotta dipetroliere con navi a doppio scafo e con un ponte aggiun-tivo rispetto al passato, la predisposizione di serbatoi fra-zionati anziché di un’unica stiva, nonché l’utilizzazionedi acciai speciali per la loro costruzione e di protezionispecifiche anticorrosione. Il primo approccio, il doppioscafo, è di gran lunga il più importante in ordine di appli-cazione. Questi provvedimenti, inizialmente proposti

784 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

Page 13: 9 SOSTENIBILITÀ

dagli Stati Uniti in ambito IMO (International MaritimeOrganization), sono entrati in vigore in molti paesi delmondo e costituiscono la base delle legislazioni più avan-zate. È il caso, per esempio, del Regolamento (CE) n.1726/2003 che vieta l’accesso ai porti di navi cisterna ascafo singolo per portate lorde superiori alle 5.000 t e lovieterà, dopo il 2008, anche a quelle con tonnellaggioinferiore (UP, 2004). Una volta avvenuto lo sversamen-to accidentale, le tecnologie disponibili per il risana-mento ambientale delle fuoriuscite di greggio, valideanche nel caso di sversamenti di minore entità che si pos-sono verificare durante le operazioni di scarico ai ter-minali di raffineria, sono basate su diverse strategie diintervento. Esse devono innanzi tutto limitare il più pos-sibile il quantitativo di prodotto sversato che entra effet-tivamente in contatto prolungato con l’ambiente mari-no. Gli interventi devono realizzarsi quindi tempestiva-mente, prima che si sia verificata un’ampia dispersionedella macchia, e sono normalmente effettuati tramite laposa sulla superficie marina di barriere galleggianti peril contenimento e l’isolamento della stessa (Hiltabrande Roderick, 1999), che consentono una maggiore effi-cacia rispetto alla susseguente rimozione meccanica. Larimozione può essere eseguita mediante diversi tipi di

apparecchiature (skimmer) e, nel caso di quantità limi-tate, può essere coadiuvata dall’uso di agenti gelifican-ti e/o adsorbenti, che portano alla formazione di una fasesolida palabile. Se, per ragioni di forza maggiore (catti-vo tempo, eccessiva lontananza dai porti, dispersione giàin atto), l’intervento di decontaminazione non può esse-re tempestivo, ci si può avvalere di agenti in grado diaumentare la dispersione della fase oleosa per massi-mizzare la superficie esposta ai fenomeni degradativie diminuire i rischi di formazione di emulsioni stabili(chocolate-mousse).

Oggi, nel caso la raccolta meccanica sia impossibi-le, si tende a privilegiare l’uso in mare aperto di disper-denti, che possono essere costituiti anche da prodotti ori-ginati da processi biologici, i quali risultano meno tos-sici dei disperdenti di sintesi e sono capaci di agire piùvelocemente (Crescenzi et al., 1999). Nel caso di azio-ni mirate ad accelerare i processi di biodegradazione, sitende a privilegiare l’azione dei microrganismi autocto-ni (Swannel e Daniel, 1999; Zhu et al., 2001; EPA, 2004),stimolandone l’attività con l’aggiunta di sostanze nutri-tive oleofile contenenti azoto e fosforo (Olivieri et al.,1978). Le tecniche di biostimolazione sono particolar-mente adatte anche al trattamento della zona di risacca,

785VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

anni

quan

tità

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(10

3 t)

0

100

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500

600

700

’67 ’71 ’75 ’79 ’83 ’87 ’91 ’95 ’99’69 ’73 ’77 ’81 ’85 ’89 ’93 ’97 ’01

n.d.

n.d.

n.d.

1

5

8

10

3

4

12

27

11

69

1 Incidente della Torrey Canyon presso le Isole Scilly in Gran Bretagna (dato parziale). 2 Comprende l’incidente alla Amoco Cadiz al largo della Bretagna in Francia (223.000 t di olio in mare). 3 Comprende l’incidente alla Atlantic Empress al largo di Tobago (287.000 t di olio in mare). 4 Comprende l’incidente alla Castillo de Bellver a 64 km dalla Baia di Saldanha - Sudafrica (252.000 t di olio in mare). 5 Comprende l’incidente alla Odyssey a 1.175 km dalle coste della Nuova Scozia - Canada (132.000 t di olio in mare). 6 Comprende l’incidente alla Exxon Valdez sulle coste dello Stretto Prince William - Alaska (37.000 t di olio in mare). 7 Comprende gli incidenti della Haven nel golfo italiano di Genova (144.000 t di olio in mare) e della ABT Summer a 1.300 km dalle coste dell’Angola (260.000 t di olio in mare). 8 Comprende l’incidente alla Aegean Sea nel golfo spagnolo antistante al porto spagnolo della Coruña (74.000 t di olio in mare). 9 Comprende l’incidente alla Braer nelle Isole Shetland, in Gran Bretagna (85.000 t di olio in mare). 10 Comprende l’incidente della Sea Empress nella baia di Mill antistante al porto inglese di Milford Haven (72.000 t di olio in mare). 11 Incidente alla Erika (20.000 t di olio in mare). 12 Incidente alla Prestige 200 km al largo delle coste spagnole (70.000 t di olio in mare).

Legendan.d. � dati non disponibili

fig. 8. Quantità di petrolio sversate in mare a causa di incidenti rilevanti nel trasporto via nave.

Page 14: 9 SOSTENIBILITÀ

dopo la fase di raccolta meccanica della parte bitumino-sa degli idrocarburi e l’uso di adsorbenti per la rimozio-ne dei composti liquidi (EPA, 2005). Per limitare le fuo-riuscite di greggio derivanti da errate pratiche gestiona-li, occorre far applicare e migliorare le procedure giàesistenti. Un esempio significativo è quello del lavaggiodei serbatoi delle navi cisterna; tale operazione è neces-saria dopo un certo numero di viaggi, in quanto i serba-toi perdono progressivamente la loro capacità in seguitoall’ispessimento dei residui sulle pareti. Ormai tutte lecompagnie adottano la nota tecnica del load on top (Baiar-di e Ghiribelli, 1987) che prevede lo stoccaggio delleacque di lavaggio e di zavorra in appositi serbatoi, dovesi verifica la separazione per stratificazione. L’acqua delfondo veniva, nel passato, scaricata a mare, mentre ora èpresa in carico dalle raffinerie che ricevono il greggio oda impianti esistenti in porti attrezzati. In questo modosi annulla praticamente lo scarico in mare di sostanzepericolose. Le acque di zavorra e le cosiddette ‘acquechimiche’, ognuna con un proprio percorso, entrano nelciclo di depurazione della raffineria dopo che le compo-nenti oleose sono state separate da quella acquosa.

Infine è necessario menzionare le questioni relativealla decontaminazione dei sedimenti, che costituisconoun problema specifico, noto e affrontato dall’industriapetrolifera sin dalle fasi di estrazione offshore, ma che,nel caso delle fuoriuscite di greggio, sia in mare sia nelleacque dolci, assumono un rilievo peculiare. I sedimentiinfatti, al contrario della colonna d’acqua che li sovrasta,sono caratterizzati da un ambiente anaerobico/tossico conun metabolismo microbico estremamente lento. Essi fun-zionano quindi come veri e propri agenti sequestranti degliinquinanti idrocarburici, che possono permanere nei fon-dali per tempi estremamente lunghi. Dal punto di vistatecnico e pratico, il problema della contaminazione deisedimenti è forse quello più complesso da risolvere e diconseguenza è la fase della catena dell’olio e del gas piùlontana dal traguardo dell’impatto zero. Negli ultimi ven-ticinque anni l’USEPA (United States EnvironmentalProtection Agency) e molte agenzie nazionali dell’am-biente hanno proposto linee guida e supportato programmidi ricerca per minimizzare l’inquinamento dei sedimen-ti acquatici (Wenning, 2004). Riguardo al modo miglio-re di affrontare il problema, non si è ancora raggiunto unaccordo in ambito scientifico, dato che le metodologieutilizzate per i suoli, a terra, si sono rivelate inadatte peril trattamento dei sedimenti, la cui biogeochimica è risul-tata notevolmente diversa. Nonostante ciò, il problema èaffrontato in modo quanto più possibile razionale, miran-do alla definizione di procedure standard per individua-re la migliore tecnica di intervento (RTDF, 1996).

Trasporto via pipeline Le tecnologie di trasporto del greggio e dei derivati

del petrolio via pipeline sono ormai consolidate sulla

base di esperienze di diversi decenni e continueranno asvilupparsi fino a quando ci sarà la necessità, e l’oppor-tunità, di trasferire grandi quantità di prodotto. Ancoraoggi, quando si presenta la possibilità, la pipeline vienepreferita al trasporto via nave essenzialmente per duemotivi: le quantità trasferibili con la pipeline sono moltosuperiori a quelle trasferibili via nave e l’impatto ambien-tale del trasporto marino è da considerarsi statisticamentepiù elevato e più difficile da affrontare (Ryder e Rapson,1999). Inoltre, molto spesso, la pipeline è il percorso piùbreve per collegare il luogo di produzione a quello di raf-finazione o di utilizzazione. Tuttavia, sia per la naturadei fluidi trasportati sia per la pipeline in sé, l’impattoambientale di questo metodo di trasporto non è nullo; diconseguenza l’attenzione delle compagnie petrolifere èdedicata a minimizzarne l’entità.

Le pipeline di trasporto del greggio possono segui-re percorsi assai differenziati e interagire con l’ambien-te in vario modo: dalla modifica del paesaggio, all’im-patto dovuto a perdite accidentali o di esercizio. Il primotipo d’impatto si riferisce fondamentalmente alle pipe-line onshore, il secondo alle strutture sia onshore sia off-shore. Per quanto riguarda le pipeline offshore si puòaffermare (Patin, 1999) che esse sono il principale fat-tore di rischio ambientale per l’attività estrattiva in mare,a causa dei danni che possono riportare e che possonoessere dovuti a difetti dei materiali o di costruzione (peresempio, le saldature), a corrosione, a movimenti delfondo marino e ad altri fattori di minore importanza (peresempio, la navigazione). I difetti dei materiali e dellesaldature sono senz’altro la fonte di rischio maggiore.Tenendo presente che l’estensione attuale delle sealinesper il trasporto di idrocarburi ha largamente superato100.000 km (Patin, 2004), si può concretamente agirein via preventiva sui rischi di perdite sottoponendo imateriali prima e le saldature poi a verifiche tecniche,basate sull’utilizzazione di raggi X o di ultrasuoni. Altremisure preventive sono costituite dallo studio accuratodei fondali per l’individuazione del corridoio più adat-to alla realizzazione della trincea ospitante, della posae dell’ancoraggio.

Oggi si tende a ottimizzare le tecniche costruttivedella trincea, per rendere minimo sia l’impatto finale siaquello delle operazioni di scavo, e a scegliere il periododei lavori in modo da non interferire con i cicli biologi-ci della fauna marina. Durante l’esercizio, il tipo di impat-to potenziale è rappresentato da una rottura, con conse-guente fuoriuscita di greggio. Molte precauzioni vengo-no prese per evitare il verificarsi di rotture improvvise,quali il monitoraggio dell’integrità della pipeline (sor-veglianza visiva remota con videocamere, applicazionedi ultrasuoni, misura dello spessore delle tubazioni, pro-tezione catodica, ecc.). Molta cura è inoltre dedicata allaprogrammazione delle manutenzioni ordinarie e straordi-narie delle strutture. I dati statistici (Patin, 1999) mostrano

786 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

Page 15: 9 SOSTENIBILITÀ

che tali misure sono adeguate e che in America Setten-trionale e in Europa occidentale gli incidenti totali sonostimabili rispettivamente in circa 10·10�4 e 6·10�4 even-ti per anno. Piani e dispositivi di emergenza sono comun-que predisposti per limitare l’entità delle fuoriuscite diolio in caso di rottura, che in generale non possono supe-rare 1.000-2.000 t, e per realizzare interventi simili aquelli già analizzati.

Nel caso di pipeline a terra è ormai uso comune ese-guire una VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) cheindividui preventivamente il tipo di impatto che la costru-zione e l’esercizio possono causare, per programmarnecosì eventuali azioni di mitigazione (Cultural [...], 2003;IT Russia Services, 2004). L’entità delle perdite dallepipeline a terra, per le maggiori dimensioni delle tuba-zioni, può essere più importante di quelle offshore, percui sono impiegate tecniche di prevenzione e sorveglianzapiù sofisticate, quali l’applicazione del GIS (GeographicalInformation System) per la rilevazione di eventuali smot-tamenti, e metodologie avanzate di rilevamento delle per-dite e di blocco del flusso in caso di incidente. Le even-tuali perdite accidentali interessano l’atmosfera e il suolocircostante. Le tecnologie di ‘rimedio’ sono quelle pre-viste per la bonifica dei suoli. Il decommissioning dellepipeline a terra prevede la rimozione totale delle tuba-zioni e delle opere di sostegno e il ripristino del paesag-gio. Se le pratiche gestionali sopra indicate vengono rego-larmente applicate, a esercizio ultimato la pipeline a terranon lascia traccia di sé.

9.1.3 Ciclo del petrolio: il downstream

Dal punto di vista economico e delle politiche industrialie, oggi, anche dal punto di vista ambientale, il down-stream petrolifero non comprende più il solo compartodella raffinazione e della distribuzione dei vettori ener-getici primari e secondari, ma anche il settore della petrol-chimica e quello della generazione di energia. Questiultimi condizionano entrambi, infatti, le operazioni dellaraffineria, poiché richiedono continui adeguamenti dellespecifiche dei prodotti di raffinazione (per esempio, ilcontenuto di zolfo nell’olio combustibile da bruciarenelle centrali di produzione di energia elettrica e vapo-re). Entrambi sono inoltre soggetti alle pressioni dovuteall’upstream, che si trova a dover inventare nuovi modidi sfruttamento e di utilizzazione delle risorse gassose epetrolifere di minor pregio ed economicità. Con riferi-mento alle politiche di contenimento o annullamentodegli impatti ambientali, i tre settori possono essere esa-minati in forma separata anche se numerosi problemi,per esempio le emissioni fuggitive o il trattamento dellecorrenti acquose, hanno molti aspetti in comune. Di se-guito sono trattati gli aspetti ambientali connessi con la

raffinazione, la petrolchimica e la distribuzione dei pro-dotti petroliferi; per quanto riguarda gli impatti ambien-tali collegati alla distribuzione di energia, v. par. 9.1.4.

RaffinazioneUna volta che il petrolio è stato consegnato ai ter-

minali di raffineria inizia il suo ciclo di trasformazione.La raffinazione consiste in una complessa serie di ope-razioni unitarie, che permettono di ottenere una vastagamma di prodotti capaci di alimentare energeticamen-te una molteplicità di comparti, ormai anche con carat-teristiche spiccate di ecocompatibilità di impiego. Unaraffineria è quindi una fabbrica a elevata complessità,comunemente di grandi dimensioni per sfruttare le eco-nomie di scala, caratterizzata di norma dalla presenza diun elevato numero di sostanze che possono avere unimpatto sull’ambiente. Si deve tener presente che, nellasola Europa occidentale, sono in esercizio circa 100 raf-finerie (Amiry et al., 1997) e che darne una descrizionedettagliata è un compito molto arduo, per la varietà delleoperazioni unitarie utilizzate. Tutto ciò suggerisce unadisamina che consideri la raffineria come un insiemechiuso (black box) del quale si possano studiare le entra-te e le uscite in forma aggregata, secondo criteri sem-plificati raffigurabili come in fig. 9. In questo contesto,l’obiettivo dell’impatto ambientale zero si può concre-tizzare nel rendere massimi sia l’efficienza di trasfor-mazione del greggio nei prodotti, sia il riciclo dell’ac-qua. È possibile così minimizzare l’entità degli effluen-ti liquidi e gassosi e la quantità dei rifiuti solidi generati.L’obiettivo dell’impatto ambientale zero deve essere infi-ne perseguito anche rendendo minimo il numero dellefuoriuscite accidentali di prodotti e degli incidenti dirilievo.

Ciclo dell’acqua in raffineria È proprio nella gestione delle acque che si sono regi-

strati i primi tentativi di arrivare allo scarico zero e anco-ra oggi quando si parla di questo obiettivo è all’acquache la maggior parte delle società operatrici e prestatri-ci di servizi fa riferimento. L’acqua utilizzata in raffine-ria, in coerenza con l’ubicazione degli impianti, può esse-re prevalentemente acqua di mare o acqua dolce ovverouna combinazione delle due. Di solito i consumi di acquadolce sono minoritari. Il prelievo totale (consumo) siaggira normalmente intorno a 1,5 m3 di acqua per ton-nellata di greggio raffinato (Baiardi e Ghiribelli, 1987),in gran parte utilizzata per il raffreddamento degli impian-ti e per i condensatori della centrale termica produttricedell’energia elettrica e del vapore per uso interno.

Nel caso frequentissimo di raffinerie posizionate sullacosta, la gestione dell’acqua di mare per il raffredda-mento degli impianti e per i condensatori prevede un solopassaggio dell’acqua sul lato tubi degli scambiatori, peressere poi scaricata di nuovo in mare a temperatura e con

787VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

Page 16: 9 SOSTENIBILITÀ

concentrazioni degli eventuali inquinanti governate daprecise specifiche di legge. L’aggiunta dei prodotti chi-mici utilizzati per prevenire lo sviluppo di colonie bio-logiche adese e di incrostazioni all’interno dei canali edegli scambiatori di calore (biofouling) è tenuta rigoro-samente sotto controllo ed è soggetta a continui aggior-namenti ai fini di un miglioramento dell’impatto ambien-tale. Nel caso di impianti che, per far fronte alla scarsadisponibilità di acqua dolce, dissalano l’acqua di mare,

la situazione si presenta leggermente diversa. Essi si tro-vano a utilizzare, come fluido di processo, grandi quan-tità di acqua dolce, fresca o dissalata, la cui gestione vaottimizzata sia per minimizzare la quantità di acqua pre-levata, sia per abbattere i costi.

L’ingresso di acqua in una raffineria, ovunque loca-lizzata, comprende inoltre la raccolta e il trattamentodelle ‘acque di prima pioggia’generate da tutte le super-fici pavimentate e, come precedentemente riportato, delle

788 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

stoccaggi

stoccaggio

gasnaturale

acqua

gas

benzina

resi

dui

componenti elettrici,parti di impianti, carta, ecc. prodotti chimici

effluenti liquidi rifiuti solidi

gaso

lio

emissioni in atmosfera

greggio

distillazioneprimaria

distribuzioneprodotti

distillazionesotto vuoto

combustibili

carburanti

carburanti

alchilazione

reforming

cracking

gasolio pesante

olio combustibile

oli lubrificanti

bitumi

virgin naphtha

fig. 9. Schema generale di una raffineria e delle sue interazioni con l’ambiente.

t di a

cqua

/t d

i gre

zzo

lavo

rato

8

0

3

2

1

4

5

6

7

anno1970 1974 1978 1982 1986 1990 1994 1998 2002

fig. 10. Consumi specifici di acqua in raffineria.

Page 17: 9 SOSTENIBILITÀ

acque di zavorra e delle ‘acque chimiche’ delle petro-liere. Nell’ambito di questa complessità è stato fattomolto, specie nel corso dell’ultimo ventennio, per miglio-rare le performance depurative e minimizzare i consu-mi. Per esempio, si calcola che, in Europa, dal 1990 al1993 la quantità di oli scaricati nelle acque delle 95 prin-cipali raffinerie sia diminuita da 3.350 a circa 2.000 t,pur in presenza di forti aumenti della produzione (Amiryet al., 1997). Negli ultimi anni, ai già presenti tratta-menti end-of-pipe (metodi di disinquinamento delleacque già inquinate) si vanno aggiungendo pratichegestionali che prevengono la formazione di effluentiacquosi. Si tende così a evitare il contatto fra correntipulite e correnti inquinate; a controllare accuratamentele perdite e i trafilamenti dagli impianti; a trattare leacque acide per la presenza di solfuro di idrogeno convapore che è poi riciclato nell’impianto zolfo; a sotto-porre le salamoie dall’eventuale impianto di dissala-zione a trattamento specifico prima dello scarico, ecc.Inoltre, dove possibile, le acque di raffreddamento sonoinviate in torre e poi riciclate, con una forte diminuzio-ne dei prelievi idrici netti. L’insieme di tutte queste azio-ni di gestione delle acque (water management) ha por-tato a una forte riduzione dei consumi di acqua in tuttele raffinerie delle compagnie petrolifere più rappresen-tative. In fig. 10 sono riportati i dati relativi al trenten-nio 1970-2000 (Desiari, 2004). Ovviamente rimango-no operanti tutti i processi di trattamento degli effluen-ti contaminati, in particolare da componenti oleose, chesono trattati, per esempio, con processi depurativi deltipo raffigurato in fig. 11 (Amiry et al., 1997) dove, persemplicità, non è rappresentata la parte del trattamentofanghi (v. oltre).

In tema di acque, il grado di integrazione di una raffi-neria con l’ambiente circostante, ai fini dell’ottimizzazione

delle risorse e quindi di un impatto il più possibile pros-simo allo zero, può spingersi oltre quanto finora detto. Infig. 12 è riportato lo schema semplificato di un sistemadi trattamento delle acque reflue di una raffineria inte-grato con il servizio idrico di un’area urbana.

Emissioni in atmosferaIl settore delle emissioni di effluenti gassosi è quel-

lo nel quale si stanno concentrando i maggiori sforzi perla limitazione dell’impatto ambientale delle raffinerie.Mentre per le acque, infatti, può sempre essere possibi-le intervenire con la logica dell’end-of-pipe, spesso, perloro natura, sulle emissioni gassose può essere eserci-tata soltanto un’attività di prevenzione, essendo pochi itrattamenti delle correnti inquinate realizzabili. Le emis-sioni in atmosfera possono essere di due tipi: emissioniconvogliate, controllate o non controllate, ed emissioninon convogliate. Le emissioni convogliate comprendo-no principalmente sia le emissioni ai camini e alle torcesia quelle dovute alla ‘respirazione’ dei serbatoi, men-tre le emissioni non convogliate includono le emissionifuggitive puntuali (da valvole, flange, tenute di pompee compressori, prese campione, strumentazioni di misu-ra, ecc.) o areali (vasche di disoleazione, lagune di rac-colta, parchi serbatoi, impianti di trattamento deglieffluenti, ecc.). Gli agenti inquinanti che sono associa-ti a questi due tipi di emissioni sono molto diversi fraloro. La maggior parte delle emissioni convogliate con-siste in fumi di combustione, trattati o non trattati, ed èquindi caratterizzata dalla presenza di vapor d’acqua,CO2, CO, NOx, SOx , polveri sottili, tracce di sostanzeorganiche e di elementi metallici. In questo contesto èopportuno evidenziare che la quantità di greggio con-sumata attualmente per i processi di combustione inter-ni alle moderne raffinerie può variare dal 4 al 10% della

789VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

aria

fanghi allo smaltimentofanghi allo smaltimento

fanghi secondari

acque altrattamento a riciclo

acqueoleose

acquedepurate alriciclo o acorpi idriciricettori

olioal recupero

olioal recupero

prodottichimici aria

dissabbiatura sedimentazione

disoleazione

disidratazione

flottazione fanghi attivi

fig. 11. Rappresentazione generale del trattamento delle acque oleose in una raffineria.

Page 18: 9 SOSTENIBILITÀ

carica iniziale, mentre nelle raffinerie di vecchia con-cezione poteva arrivare al 15%. Le emissioni non convo-gliate sono generalmente composte da idrocarburi ali-fatici a catena corta e dai componenti dei fluidi di pro-cesso con le tensioni di vapore più elevate. I due tipi diemissione sono pertanto affrontati in maniera del tuttodiversa sia come filosofia portante sia come tecnica diprevezione/abbattimento.

Le sorgenti principali di emissioni convogliate (Amiryet al., 1997) sono: gli impianti di desolforazione, le unitàdi cracking, l’impianto coke ove presente, i terminal dicarico e scarico dei greggi e dei prodotti derivati, gliimpianti di combustione veri e propri come i forni e lecentrali elettriche, l’impianto di rigenerazione dei cata-lizzatori, le fiaccole per gli off-gas. Anche se la raffine-ria è sottoposta alla normativa più moderna, che regolale emissioni gassose in termini di impianto integrato, icontrolli, le attività gestionali e l’applicazione delle tec-niche di abbattimento sono spesso di tipo specifico.

È importante citare due metodologie molto avanza-te di gestione e abbattimento delle emissioni: una riguar-dante le emissioni convogliate, l’altra quelle fuggitive.Nel primo caso si tratta di un processo di abbattimentodegli NOx e SOx dai fumi di combustione, noto comeSNOX; nel secondo caso si tratta di una metodologia dimisura delle emissioni fuggitive che pone le condizioniper la programmazione di interventi, già citati, di LDARdegli impianti, al fine di rendere minime le perdite diprodotto. Il processo SNOX si basa su un trattamentocatalitico dei gas in grado di rimuovere fino al 99% diSOx, fino al 95% di NOx e praticamente tutto il partico-lato contenuti nel gas (Schoubye, 2003). Lo zolfo viene

recuperato come acido solforico concentrato, gli NOx

vengono ridotti a N2 e le polveri sono raccolte e smalti-te come rifiuti solidi. Il processo, che richiede un appor-to di NH3 necessario alla riduzione degli NOx, è parti-colarmente adatto per il trattamento di gas con alte con-centrazioni di SO2, SO3 e metalli pesanti come quelli cheprovengono dalla combustione di petcoke e residui asfal-tenici, ed è pertanto un valido supporto allo sfruttamen-to totale della carica perché consente un recupero ener-getico elevato senza immissione di inquinanti nell’at-mosfera.

La metodologia di misura e gestione delle emissio-ni fuggitive deriva da una norma messa a punto dal-l’Environmental Protection Agency (EPA, 1995) che pre-vede l’applicazione agli impianti di una procedura com-plessa ma scientificamente ben concepita. La normasuggerisce linee guida da seguire, dapprima per la valu-tazione delle emissioni fuggitive tramite una misura diret-ta, poi per la realizzazione di un programma cadenzatodi manutenzione degli impianti. La misura diretta delleperdite va effettuata su tutti gli organi di linea presentisull’impianto, con l’eccezione degli accoppiamenti flan-giati per i quali è possibile selezionare un campione sta-tistico limitato. La norma cita i possibili metodi di misu-ra per valutare i coefficienti emissivi specifici da utiliz-zare in algoritmi matematici che consentono di calcolarele perdite complessive. Al termine di questa parte dellaprocedura si ha un quadro realistico della situazione edè possibile formulare un piano di interventi di ripara-zione fondato su ordini di priorità e su sequenze asse-gnate sulla scorta di dati di fatto e sull’importanza delleperdite registrate. In questo modo, in un lasso di tempo

790 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

utilizzazionenella città

impianto biologicoconsortile

processi diraffineria

mare mare mare

fogna oleosa

riciclo

fanghi

acquadisoleata

fanghiacquadepurata

acque reflue urbane

condense

vapore

oliorecuperato

integrazione salina

smaltimento

dissalazioneper

osmosi inversa

dissalazionea multistadi

termici

impianto ditrattamento delle

acque oleose

fig. 12. Esempio di integrazione raffineria-città per il ciclo delle acque.

Page 19: 9 SOSTENIBILITÀ

che può oscillare dai quattro ai cinque anni, tutto l’im-pianto viene sottoposto a manutenzione ottenendo laminimizzazione delle emissioni.

La metodologia consigliata dall’EPA è attualmentein revisione perché ritenuta troppo onerosa (Feldman,2005) ed è in corso la messa a punto di tecniche più agilidi programmazione della manutenzione (Smart LDAR).Particolarmente interessanti, in questo contesto, sono glisforzi che si stanno compiendo anche per la realizza-zione di tecniche avanzate di misura e sorveglianza perla rilevazione e la valutazione delle perdite. È evidenteche questa metodologia, passando attraverso l’esatta valu-tazione delle perdite e la manutenzione prioritaria deipunti dove si possono verificare i maggiori problemi,non solo contribuisce alla riduzione dell’impatto ambien-tale, ma porta anche a un recupero del prodotto e, in ulti-ma analisi, a una maggiore efficienza energetica ed eco-nomica dei cicli industriali. È interessante osservare comela minimizzazione delle perdite incida anche sul miglio-ramento delle condizioni di sicurezza negli impianti con-ducendo, indirettamente, a una riduzione del peso ambien-tale totale (economico, sociale ed ecologico) dello sta-bilimento. Questo tipo di applicazione, oltre che nelleraffinerie, diviene di particolare rilievo nell’industriapetrolchimica, dove il numero delle sostanze volatili èmolto superiore e il problema della gestione dei Com-posti Organici Volatili (COV) è particolarmente avver-tito dopo l’approvazione di norme restrittive di partico-lare severità in tutti i paesi industrializzati avanzati. Losviluppo della metodologia è accompagnato da quello dimetodi di rilevamento delle perdite e di strumenti ana-litici innovativi in grado di percepire e quantificare anchele perdite fuggitive dovute alla respirazione dei serbatoi,che continuano a esistere, seppur in quantità ridotta, do-po l’adozione di strutture di stoccaggio a tetto galleg-giante. Come ulteriore misura preventiva, i tetti gal-leggianti sono provvisti di doppia tenuta e le superficiesterne dei serbatoi vengono verniciate con materiali ter-moriflettenti che, diminuendo l’energia assorbita dallepareti, riducono le temperature interne e, quindi, l’eva-porazione.

Rifiuti solidi I rifiuti solidi in raffineria (Amiry et al., 1997) sono

costituiti essenzialmente dai fanghi oleosi (fanghi daltrattamento primario di acque oleose, fondami di serba-toio, melme acide) e dai fanghi biologici provenientidagli impianti di trattamento delle acque (v. ancorafig. 11). A questi rifiuti vanno aggiunti materiali solididi varia provenienza (residui di processo, carboni attiviesausti, isolanti, materiale elettrico, catalizzatori esau-sti, parti metalliche di impianto più o meno entrate incontatto con componenti pericolosi, vetri di laboratorio,ecc.) che, a seconda dei casi, possono risultare pesante-mente inquinanti o essere, invece, non contaminati e

immediatamente riciclabili. Fino agli anni Ottanta, lagestione dei rifiuti solidi della raffinazione e della petrol-chimica era del tipo end-of-pipe (trattamento primario,stoccaggio provvisorio o definitivo nel sito, conferimentoa discarica).

Attualmente vengono applicate, in quasi tutte le raf-finerie, procedure che prevedono l’intervento di un certonumero di operazioni in sequenza, tutte finalizzate allaminimizzazione della generazione di rifiuti e, in ultimaanalisi, a rendere minimo l’impatto. Tali operazioni pos-sono essere riassunte nel modo seguente (AustralianGovernment, 2001): a) inventario e identificazione deiprocessi che producono rifiuti; b) identificazione delleopzioni tecnologiche di riduzione dei rifiuti prodotti;c) ricerca di mercato per individuare industrie esterneche possano riciclare i materiali; d ) sviluppo di tecno-logie di trattamento nel sito di produzione; e) valutazio-ne economica delle alternative; f ) identificazione di tec-nologie in grado di minimizzare la produzione dei rifiu-ti; g) sviluppo di pratiche gestionali e addestramento delpersonale.

Dal punto di vista tecnologico e generale, escluden-do l’esame dei processi miranti a cambiare la gammaattuale dei prodotti, si può affermare che, oltre a modi-fiche di processo finalizzate alla produzione minima dirifiuti, esistono tre strade seguite dalle raffinerie: il mas-simo riciclo interno, il massimo riciclo esterno, com-prendente la restituzione di materiale esaurito ai forni-tori, e lo smaltimento per i soli materiali giunti a finevita. Si consideri per esempio la gestione dei fanghi che,dal punto di vista quantitativo, è senz’altro il problemadi maggiore rilevanza nell’ambito della gestione dei rifiu-ti solidi di raffineria; si calcola infatti che vengano pro-dotti circa 0,3 kg di fango per tonnellata di greggio lavo-rato (Pappa et al., 2002). La minimizzazione di una talequantità di rifiuti rappresenta un obiettivo primario dellaraffineria; a titolo di esempio, si cita un processo cheopera sulla corrente di fanghi secondari in uscita dal sedi-mentatore, attualmente inviati alla disidratazione (v. anco-ra fig. 11). Tale processo prevede in sequenza: l’acidifi-cazione del fango secondario, l’ispessimento per sedi-mentazione, l’idrolisi e la neutralizzazione delle correntiuscenti da questa sedimentazione, la centrifugazione delmateriale idrolizzato e neutralizzato, seguita da dige-stione anaerobica del surnatante e da essiccamento delresiduo solido. Dalla digestione anaerobica si ricava unacorrente di biogas ricca di metano, mentre dall’essicca-mento si ottiene un residuo solido con un potere calori-fico inferiore pari a 3.800 kcal/kg, entrambi utilizzabiliper produrre energia in raffineria (o, analogamente, inuno stabilimento petrolchimico). Il processo può per-mettere alla raffineria di ridurre di oltre il 70% la quan-tità di fanghi da conferire in discarica.

Per quanto riguarda la riduzione della produzione dirifiuti solidi, occorre citare anche alcune operazioni,

791VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

Page 20: 9 SOSTENIBILITÀ

ormai standardizzate, che mostrano come l’industria delpetrolio segua con attenzione l’evolversi delle tecnolo-gie che possano migliorare il rapporto con l’ambiente.In questo contesto degno di nota è il fatto che, fra i trat-tamenti end-of-pipe, i processi di biodegradazione deifanghi e dei suoli contaminati, quali la fermentazione ela digestione, il landfarming e il compostaggio (Amiryet al., 1997), sono ormai applicati molto diffusamente.Possono essere ricordati anche i processi di valorizza-zione dei materiali fuori del sito produttivo (quali l’uti-lizzazione dei fanghi essiccati nell’industria del cemen-to e la commercializzazione sia dei gessi o dell’acidosolforico provenienti dal trattamento di correnti gasso-se contenenti SOx sia dello zolfo proveniente dalla desolfo-razione) e i processi di riciclo dei catalizzatori esausti edelle sode spente.

PetrolchimicaA valle della raffinazione si colloca la petrolchimi-

ca che ne riceve i prodotti in un ciclo industriale inte-grato, spesso anche dal punto di vista logistico. Infattinon è raro che le raffinerie siano unite agli stabilimentipetrolchimici via pipeline. I processi impiegati nel ciclopetrolchimico classico danno origine per lo meno a 40prodotti, per citare solo quelli più diffusi, e a un nume-ro ancora più grande di altri composti chimici, per cosìdire ancillari (Baiardi e Ghiribelli, 1987). La maggiorparte di tali processi dà luogo a emissioni in atmosfera,a effluenti liquidi e a rifiuti solidi, con implicazioniambientali così complesse e importanti che l’UnioneEuropea ha ritenuto opportuno mettere a punto e pub-blicare un BREF (v. par. 9.1.5) dedicato, nel quale ven-gono suggerite metodologie e tecniche per la riduzionedegli impatti associati (European Commission, 2003).Particolare attenzione è dedicata al controllo delle emis-sioni in atmosfera che, a causa del maggior numero deicomposti e della specifica maggiore tossicità, rappre-sentano un problema più rilevante per la petrolchimicadi quanto non accada per le raffinerie. Le tecniche dirilevamento e riduzione delle emissioni fuggitive (nonconvogliate) adottate negli stabilimenti petrolchimicisono del tutto analoghe a quelle già descritte. Per quan-to riguarda le emissioni convogliate invece, oltre alle tec-niche già citate per il contenimento dei prodotti di com-bustione (NOx, CO e SO2) che rappresentano quantita-tivamente la componente maggiore, sono frequentementeimpiegate tecniche di trattamento specifiche. Tra questeassumono particolare importanza l’adsorbimento su mate-riali selettivi, il lavaggio chimico in scrubber, l’incene-rimento, l’ossidazione catalitica, la separazione con mem-brane e la criocondensazione.

Il BREF analizza anche il comparto acqua e la razio-nalizzazione dei consumi energetici, prendendo in con-siderazione le classi di composti più importanti (olefi-ne, aromatici, composti ossigenati, composti azotati,

composti alogenati); le tipologie degli effluenti liquidi ele tecniche di trattamento si presentano molto diversifi-cate. I composti più frequentemente presenti nelle acquereflue sono una ventina e le conseguenti tecniche speci-fiche di abbattimento devono spesso essere inserite amonte del tipico processo di trattamento finale delleacque di scarico, come quello descritto in fig. 11. Talitecniche di abbattimento vanno dai processi fisici (ultra-filtrazione, osmosi inversa, estrazione, adsorbimento,stripping, ecc.), a quelli chimici (ossidazione con ozono,con acqua ossigenata e con composti del cloro) fino agiungere, nei casi più difficili, all’incenerimento, chesembra rappresentare la tecnica più efficace e di piùimmediata applicazione.

Quanto detto si integra, in un contesto più generale,in una nuova politica verso la tutela dell’ambiente notacome green chemistry. Nata negli Stati Uniti nel 1990con un atto dell’Environmental Protection Agency, lagreen chemistry detta le linee guida per ridurre il piùpossibile l’impatto ambientale determinato dall’indu-stria chimica. L’EPA suggerisce in particolare l’attua-zione di 12 linee operative: a) prevenire la generazionedi rifiuti solidi; b) sviluppare e utilizzare prodotti chi-mici con tossicità prossima allo zero; c) sviluppare rea-zioni di sintesi chimica intrinsecamente meno pericolo-se; d ) usare materiali ed energie rinnovabili; e) privile-giare l’impiego (ove possibile) della catalisi eterogenea;f ) minimizzare o (meglio) evitare la formazione di deri-vati chimici inutilizzabili; g) massimizzare comunque irendimenti; h) usare solventi e condizioni di reazione piùsicuri; i) aumentare l’efficienza energetica; l) sviluppa-re prodotti degradabili dopo l’uso; m) prevenire l’inqui-namento anziché realizzare processi di abbattimento deicontaminanti; n) minimizzare il rischio di incidenti. Que-sti principi si sono diffusi rapidamente e sono sostenutida adeguate politiche di formazione e ricerca, da inve-stimenti da parte dell’industria, dalla promulgazione dileggi e regolamenti da parte degli organismi pubblici,dall’attività delle Organizzazioni Non Governative (ONG)e, infine, da un’ampia circolazione delle informazioni.

DistribuzioneLa distribuzione dei prodotti raffinati, immagazzi-

nati nei serbatoi di raffineria, avviene tramite pipeline,nave, carri ferroviari muniti di appositi serbatoi e auto-botti, che vengono caricati e scaricati su pontile o sottopensilina. L’impatto ambientale maggiore deriva da sver-samenti accidentali e da perdite fuggitive durante le ope-razioni di carico e scarico e, fortunatamente assai di rado,da incidenti di rilevante entità. Le cause degli eventi acci-dentali presentano frequenze medie di accadimento chevanno da 0,0001 eventi all’anno (rottura grave o ecces-sivo riempimento di un serbatoio, rottura di una tuba-zione) a 0,03 eventi all’anno (errore nelle operazioni dimanutenzione), mentre le rotture delle manichette o di

792 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

SOSTENIBILITÀ

Page 21: 9 SOSTENIBILITÀ

un braccio di carico e scarico sono soggette a 0,0001eventi all’anno. Questi incidenti possono portare, a secon-da del prodotto in movimentazione, alla formazione dinubi esplosive o allo sversamento su terreno. Anche inassenza di un evento accidentale, se il serbatoio non è suterreno pavimentato, le piccole perdite che si verificanocon continuità possono portare all’inquinamento dellafalda sotterranea. Tale evento può essere prevenuto conil monitoraggio continuo sia dello stato di integrità delserbatoio, sia del terreno sottostante. In ogni caso la pavi-mentazione e la costruzione di un bacino di contenimentodella stessa capacità del serbatoio rendono oggi possi-bile un impatto zero nei confronti del suolo. Più diffici-le è l’annullamento dell’impatto visivo. Infatti, a causadelle forti oscillazioni della domanda, legate di solito afattori stagionali, il parco serbatoi di una raffineria è sem-pre di vaste dimensioni e le tecniche di stoccaggio rara-mente consentono un piccolo impatto sul paesaggio comesi otterrebbe, per esempio, realizzando depositi sotter-ranei in duomi salini.

A integrazione di quanto detto sul trasporto del greg-gio, è opportuno aggiungere qualche considerazione lega-ta al fatto che i prodotti petroliferi derivati, e quelli petrol-chimici, essendo normalmente caratterizzati da maggiorevolatilità, possono portare a perdite maggiori e più peri-colose in termini di rischio di esplosioni. A parte gli inci-denti, per prevenire i quali si adottano misure di sicu-rezza sempre più stringenti, gli unici punti di rilievo perla localizzazione delle perdite fuggitive sono le opera-zioni di carico e scarico sia da pontile sia da pensilina.In queste installazioni i vapori dei prodotti che si for-mano nel corso dell’operazione vengono catturati dasistemi di captazione (tiri a vuoto) e fatti passare su fil-tri a carboni attivi che vanno sostituiti e rigenerati perio-dicamente.

9.1.4 Ciclo del gas naturale

Prendendo in esame tutto il comparto che va dall’estra-zione dei vettori energetici primari alla petrolchimica ealla power generation (produzione di energia elettrica edi vapore), dopo il ciclo del petrolio è necessario ana-lizzare anche quello del gas naturale. Non solo perché,come detto precedentemente, alla produzione di greggioè spesso associata quella di grandi quantità di gas cheviene normalmente recuperato, portato a specifica e com-mercializzato, ma anche perché il gas sta conoscendo unsempre maggiore impiego negli usi industriali e civili.Nelle valutazioni ambientali, quali l’analisi del ciclo divita, gli impatti ambientali derivanti dalla gestione del gasassociato sono valutati nell’ambito del ciclo del petrolioprodotto e sovente costituiscono l’impatto principale delciclo di cui si è parlato precedentemente. Come mostrato(v. ancora fig. 2), il ciclo del gas naturale si differenzia da

quello del petrolio perché, una volta portato a specificanei centri gas collocati a bocca di pozzo, esso è utiliz-zato direttamente, salvo qualche irrilevante correzionedella composizione operata dalle aziende di distribuzio-ne per obblighi contrattuali. Nella fase di estrazione eproduzione le differenze con il ciclo del petrolio sonolegate a fattori che, dal punto di vista economico e indu-striale, sono secondari ma che, dal punto di vista ambien-tale, meritano ulteriori considerazioni.

Esplorazione e produzione La fase di esplorazione del gas non presenta, dal punto

di vista degli impatti ambientali, differenze notevolirispetto a quella analoga relativa al petrolio. Il gas natu-rale viene estratto o da giacimenti di solo gas o come gasassociato al greggio. La fase di estrazione da giacimen-ti di solo gas non presenta problemi particolari, se nonla possibilità che la corrente estratta contenga conden-sabili (acqua, gasolina) e incondensabili quali CO2, H2Se azoto che, per ragioni differenti, devono essere sepa-rati dal gas.

Lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale è sem-pre più intenso e con l’andar del tempo sono entrati inproduzione giacimenti particolarmente ricchi di gas iner-ti, quali CO2 e azoto (Rojey e Jaffret, 1997). Fatta ecce-zione per i gas prodotti in Europa, e in altri paesi stori-camente produttori di questo vettore energetico, le con-centrazioni di gas inerti possono essere notevoli, anchesuperiori al 50% (Gregory, 2004), con conseguenti gran-di problemi tecnici ed economici di sfruttamento. Glioneri derivanti dal trattamento possono essere così ele-vati che si tenta di ridurre, finora con frequente succes-so, il rischio di imbattersi in giacimenti di gas inerti sindalle fasi di esplorazione (Worden et al., 1995; OilTracers, 2005). Tali gas, qualora presenti con concen-trazioni superiori al 4-5%, sono rimossi (Air Products,2005; BCCK Engineering, 2005; Nexant, 2005) e reim-messi in atmosfera se ricchi di azoto o nel giacimentose ricchi di CO2. I componenti condensabili, come l’ac-qua e la frazione idrocarburica, vengono separati dal gascon semplici operazioni quali la separazione bifase o tri-fase (Rojey e Jaffret, 1997), ormai standardizzata, cheviene effettuata in centri gas e presenta modesti consu-mi di energia. Il residuo di umidità viene eliminato dalgas con il tradizionale assorbimento su glicole etileni-co, che è poi recuperato con operazioni termiche e man-tenuto in circuiti chiusi con perdite minime verso l’am-biente. La frazione idrocarburica condensata viene uti-lizzata in loco per la produzione di vapore/elettricità oimmessa in pipeline per la produzione di GPL o di distil-lati petroliferi. Per un approfondimento sull’abbattimentoda gas acidi dell’H2S mediante riduzione a zolfo ele-mentare, v. cap. 3.3.

La spesa energetica più importante nei centri gas puòessere dovuta ai compressori utilizzati per conferire al

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L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

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gas estratto la pressione necessaria per il trasferimento.L’adozione di turbocompressori a doppia tenuta riducein maniera considerevole sia tale consumo, sia le emis-sioni nell’atmosfera dovute alla combustione del gas.L’operazione di compressione può essere ripetuta all’u-scita dal centro gas per alimentare la rete di trasporto adalta pressione (attualmente circa 70 bar nelle reti prin-cipali, in un futuro non lontano fino a 120 bar). Qualcheelemento di maggiore attenzione sulle ricadute ambien-tali può sorgere nei centri dove avviene la produzione diGas Naturale Liquefatto (GNL). La produzione di GNLè in continuo aumento a causa della crescente distanzafra i giacimenti di gas e i luoghi dove viene utilizzato edel fatto che non tutti i siti possono essere collegati fraloro da pipeline. Essa avviene con tecnologie che pre-vedono bassissime temperature (quella di ebollizione delGNL è pari a �161,49 °C), ottenute anche attraversol’evaporazione in cascata di composti quali il propano,l’etilene e il metano o altri processi di liquefazione (Rojeye Jaffret, 1997). Si può intuire che le perdite fuggitiveda impianti di questo tipo possano essere non trascura-bili e che l’attuale utilizzazione di circuiti ermeticamentechiusi sia quanto di meglio si possa concepire. Peraltrostudi nel settore della produzione del GNL a bocca dipozzo portano alla valutazione di una perdita evaporati-va e di un consumo energetico rispettivamente pari allo0,1% e all’8-10% rispetto al totale del gas estratto. L’a-dozione di cicli refrigeranti ad alta efficienza energeti-ca è quindi l’obiettivo attuale delle società produttricidel GNL.

Trasporto e distribuzioneIl trasporto del gas avviene o in forma gassosa com-

pressa, via pipeline, o in forma liquida (GNL) via nave.Il trasporto via pipeline viene diviso convenzionalmen-te in due parti caratterizzate dalla pressione alla qualeopera la linea: alta e medio-bassa. Generalmente la primaè applicata per il grande trasporto internazionale e perle dorsali nazionali e viene poi ridotta a valori medi (circa20 bar) per l’alimentazione delle grandi utenze indu-striali (per esempio, le centrali di produzione di energiaelettrica) e a valori bassi (fino a circa 2 bar) per l’ali-mentazione delle utenze civili. La pipeline è quindi com-posta da tre elementi sostanziali: il tubo, che può esseredi grandi dimensioni (fino a 2,5 m di diametro), gene-ralmente interrato, le stazioni di compressione (nellegrandi linee ad alta pressione ce ne può essere una ogni100-150 km) e i punti di riduzione e regolazione dellapressione (molto più numerosi).

Gli impatti ambientali di un certo rilievo, a parte gliincidenti per fortuna assai rari, sono di due tipi: emis-sioni in atmosfera per perdite incontrollate e rilascio dicorrenti acquose di raffreddamento da parte dei compres-sori delle stazioni di rilancio o di svuotamento periodicodi acqua e/o gasolina depositate sul fondo della pipeline.

I rifiuti solidi sono insignificanti e si riducono, in gene-re, alle parti di impianti dismessi che sono del tutto iner-ti e completamente riciclabili. Altri rifiuti liquidi, comegli oli di lubrificazione dei compressori, sono raccolti eavviati ai centri di riciclo degli oli usati. Le acque di raf-freddamento sono sottoposte a controllo ed eventual-mente disoleate. Le emissioni fuggitive dalle parti degliimpianti che operano ad alta e media pressione proven-gono dalle tenute dei compressori, dagli organi di rego-lazione e controllo e da eventuali microfessure.

La pipeline è oggi sottoposta a continuo monitorag-gio e i controlli della pressione sono così sensibili da for-nire un allarme precoce delle perdite lungo la linea. Ilrisultato è facilmente riscontrabile: su una distanza di2.000-4.000 km, meno dell’1% del gas trasportato vieneperso nelle pipeline ad alta e media pressione. Le perdi-te sono tradizionalmente più elevate nella distribuzionea bassa pressione, dove le linee sono sottoposte a solle-citazioni esterne ben più elevate e sono frequentementecaratterizzate da una certa vetustà, soprattutto nelle retidi distribuzione cittadine. L’attuazione di nuove linee rea-lizzate con materiali innovativi consente oggi di ridurredrasticamente le perdite. Per quanto riguarda il traspor-to via nave del GNL, sono da sottolineare i progressi rag-giunti nella costruzione dei serbatoi di contenimento,particolarmente curati e ingegnerizzati (Rojey e Jaffret,1997), che riducono praticamente a zero la possibilità diincidenti dovuti allo stato di sollecitazione delle struttu-re contenenti il liquido sotto pressione.

Il GNL, giunto a destinazione sulla costa, viene oimmagazzinato in appositi serbatoi o rigassificato median-te scambio termico con acqua di mare, con impattoambientale vicino allo zero, o tramite processi, chiama-ti ‘a fiamma immersa’, che producono essenzialmenteCO2 di combustione. Il gas è poi immesso nel sistemadi trasporto e di distribuzione. Al contrario di quantoavviene per i prodotti petroliferi liquidi, l’immagazzi-namento temporaneo del gas destinato alla rete di distri-buzione avviene comunemente in depositi sotterranei,generalmente giacimenti esauriti, cavità naturali o duomisalini, con impatto ambientale, anche visivo, molto limi-tato. Si può concludere che il gas naturale, oltre a esse-re caratterizzato intrinsecamente da impatti ambientalimodesti, proprio per il ritardo con il quale il suo consu-mo si è diffuso ha potuto utilizzare tecniche moderne edefficienti per la tutela dell’ambiente sin dall’inizio dellasua espansione commerciale come fonte energetica.

Power generationIl settore della power generation, ovvero della produ-

zione di energia elettrica e di vapore, costituisce uno deipunti di arrivo delle catene di approvvigionamento dei vet-tori energetici primari (gas naturale, carbone) e seconda-ri (olio combustibile, gasolio). Negli ultimi decenni, eoggi a maggior ragione, dopo la ratifica del Protocollo

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SOSTENIBILITÀ

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di Kyoto, le prestazioni ambientali della power genera-tion sono sottoposte a politiche di regolamentazione. Ilimiti emissivi imposti dalle leggi hanno ingenerato pro-cessi di ammodernamento tecnologico delle centrali diproduzione e di adeguamento delle specifiche chimico-fisiche degli stessi vettori energetici, non tanto di quel-li primari quanto di quelli secondari. D’altra parte il con-tributo delle fonti alternative è, anche in prospettiva, cosìcontenuto che i miglioramenti ambientali nel settore pos-sono essere realizzati solamente agendo sui fattori tec-nologici e qualitativi della generazione termoelettrica.Di conseguenza la necessità di limitare le emissioni diSO2 dalle centrali richiede l’utilizzazione di oli combu-stibili a basso contenuto di zolfo nonché di tecniche ditrattamento dei fumi di combustione. Entrambe le stra-de sono seguite ma, come già sottolineato, la prima gene-ra grandi quantità di zolfo solido mentre la seconda ori-gina una quantità ancora maggiore di rifiuti o di mate-riali di difficile reimpiego. La conseguenza principaledelle politiche ambientali applicate al settore della powergeneration, tuttavia, si sta rivelando la poderosa trasfor-mazione industriale che vede, da una parte, l’aumentodell’utilizzazione di gas naturale e dall’altra, la diminu-zione dell’olio combustibile che, a sua volta, costituisceil motore per le necessarie modifiche degli assetti di raf-fineria. Il fenomeno in atto è guidato anche dai notevo-li progressi tecnologici, in termini di efficienza produt-tiva, che caratterizzano la filiera del gas naturale, conl’entrata in scena e lo sviluppo dei cicli combinati conturbina a gas (CCGT, Combined Cycle Gas Turbine) diultima generazione. Ovviamente risulta fortemente sti-molata la ricerca finalizzata allo sviluppo di tecnologiealternative basate sulle fonti rinnovabili, soprattutto icomparti eolico e solare, che in prospettiva potrebberofornire quote non residuali della produzione.

Infine occorre evidenziare l’impegno con cui l’in-dustria del petrolio e del gas sta tentando di coniugarel’incremento dell’efficienza energetica del proprio cicloproduttivo con il raggiungimento degli obiettivi di mini-mizzazione degli impatti ambientali. In questo contestovanno inseriti: i processi di valorizzazione dei residui diraffineria, finalizzati a diminuire la frazione combustanelle centrali interne e ad aumentare le quote di distilla-ti da immettere sul mercato dell’autotrazione; i proces-si di miglioramento della qualità dei carburanti, miran-ti a diminuire le emissioni nocive dagli autoveicoli; i pro-cessi di gassificazione delle frazioni pesanti di raffineria,finalizzati alla produzione di gas di sintesi da utilizzare,in miscela con gas naturale nei moderni gruppi CCGT;i processi di trasformazione Gas To Liquid (GTL), chetendono a incrementare indirettamente le quote di gasnaturale immesse sul mercato energetico. D’altra parte,il Protocollo di Kyoto, insieme a precise esigenze eco-nomiche indirizzano verso il settore della power gene-ration gli sforzi di ammodernamento delle strutture

tecnologiche. Anche per il comparto dei grandi impian-ti di combustione, cioè degli impianti coinvolti nella pro-duzione di energia, la Commissione Europea ha prodot-to un documento con l’indicazione delle migliori tecno-logie attualmente disponibili per la massima riduzionedegli impatti ambientali, derivanti dalle sempre maggioriefficienze di trasformazione energetica e dalle crescen-ti potenzialità delle tecnologie retrofit per il trattamen-to delle emissioni.

Si citano inoltre gli studi di sostenibilità tecnico-eco-nomico-ambientale di tecnologie per la cattura e la seque-strazione del CO2 generato nelle combustioni.

9.1.5 Strumenti di lavoro disponibili per l’azzeramentodell’impatto ambientale

Il controllo e la gestione del ciclo del petrolio si esten-dono, ormai su scala globale, interessando tutte le fasiche vanno dall’esplorazione iniziale alla distribuzionee al consumo finale dei prodotti finiti. Sono in via diformazione nelle compagnie petrolifere figure profes-sionali e direttive che hanno il compito non soltanto dipianificare e attuare piani gestionali per gli aspetti lega-ti ai processi principali del ciclo, ma anche di sorvegliarei processi ancillari che possano essere significativi perle loro ricadute in termini ambientali. Il tutto sulla basedi una logica globale che va sotto il nome di Life CycleManagement (LCM) e che si riallaccia alle tecniche dianalisi del ciclo di vita (v. anche cap. 7.1). L’LCM intro-duce la possibilità e, nello stesso tempo, l’obbligo diinserire considerazioni di tipo ambientale avanzato inun contesto che finora si limitava ad analisi tecniche edeconomiche (Pedersen, 2001). Tale nuova filosofia diapproccio si basa sull’utilizzazione di avanzati strumentitecnici e procedurali, di cui si citano di seguito i piùsignificativi.

Certificazioni ambientali nel ciclo del petrolio e del gas

Gli strumenti procedurali per ottenere il controllo ela gestione dell’intero ciclo di vita di un prodotto si basa-no essenzialmente sulla messa a punto e l’applicazionedi procedure che costringano gli organismi tecnici ese-cutori a muoversi entro ben codificati percorsi obbliga-ti, continuamente monitorati e migliorati. L’obiettivo diqueste procedure è il continuo incremento delle presta-zioni ambientali dei siti nei quali si realizza il ciclo divita del prodotto e delle prestazioni della stessa orga-nizzazione cui è stato affidato questo compito. Questemetodologie, la cui adozione da parte dell’industria è,ovviamente, di carattere volontario, stanno avendo unalarga diffusione. La loro applicazione, infatti, può porta-re all’ottenimento di certificazioni di carattere privato

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L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

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come la ISO 14001 (UNI, 2004) o di carattere pubblicocome l’europea EMAS (Environmental Management andAudit Scheme). Tali certificazioni non soltanto testimo-niano l’attenzione dell’azienda verso le tematiche ambien-tali, ma possono portare consistenti benefici economicie di rapporto con i portatori di interessi. L’introduzionedelle certificazioni ambientali nel ciclo del petrolio e delgas si traduce, nella pratica, nel controllo e nella gestio-ne dell’uso delle risorse (energia, acqua, suolo) e dei rila-sci ambientali (emissioni in atmosfera, generazione dirifiuti solidi, inquinamento idrico superficiale e sotter-raneo). Il loro ottenimento e mantenimento costituiscequindi uno straordinario strumento formativo del perso-nale impegnato nei siti produttivi sulle tematiche ambien-tali. Inoltre le certificazioni hanno il vantaggio di ren-dere più accettabile l’esistenza di industrie ritenute inqui-nanti, come quella del petrolio, anche in realtà territorialipotenzialmente molto ostili. Il raggiungimento dell’im-patto zero diviene così una sfida e come tale accettatadall’industria.

Un passo in avanti ulteriore è stato fatto in Europadove è stata approvata la direttiva comunitaria 96/61/CE– IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control)che è stata poi recepita, con variazioni da paese a paese,dagli Stati membri. In relazione ai siti industriali, la diret-tiva pone le condizioni per un approccio integrato al temadel controllo e della gestione degli impatti ambientali,fornendo una serie di strumenti e fissando precisi adem-pimenti, dapprima per l’ottenimento e il rinnovo delleautorizzazioni all’esercizio e poi per il loro manteni-mento. Sono inoltre fissate scadenze annuali di autodi-chiarazione delle prestazioni ambientali che possonoessere sottoposte a verifica da parte degli organismi com-petenti. Il punto avanzato e qualificante della direttivaIPPC consiste nel fatto che il sito deve dimostrare diapplicare, per le produzioni che lo interessano, le miglio-ri tecniche disponibili sul mercato dal punto di vistaambientale (le BAT), la cui adozione è compatibile conla sostenibilità economica dell’impresa. Commissioni diesperti create allo scopo sono incaricate di mettere apunto documenti di riferimento, dei quali si è già fattocenno, che, per ogni tipo di industria e di sito, elencanotali tecniche (BREF, BAT Reference Document). La raf-fineria è stata una delle prime tipologie di stabilimentoindustriale a essere affrontata e il relativo documento èora disponibile (European Commission, 2001). Esso con-tiene suggerimenti riguardo alle migliori tecniche pertutte le operazioni unitarie di produzione analizzate, inmodo che generino il minor impatto possibile, e capito-li specifici per il trattamento dei rilasci ambientali. L’ap-provazione di tale documento costituisce un elemento dipassaggio fra la semplice procedura, formata da unasequenza di atti gestionali puramente formali, e l’ap-proccio tecnico che invece si rivolge direttamente al pro-blema fornendone una soluzione praticabile.

Pinch analysisLa pinch analysis è uno strumento analitico che, nato

per ottimizzare gli scambi termici e il rapporto scambiotermico/energia spesa (Giacobbe e Mosca, 2000), è statopoi velocemente esteso ad altri processi di ottimizza-zione (Ozyurt et al., 2003; Pastorelli, 2004; AmericanProcess, 2005) e conseguentemente applicato anche nelcomparto della raffinazione del petrolio (Telang et al.,1999; Gadalla et al., 2003; Air Liquide, 2005). Così, lapinch analysis è divenuta un mezzo di analisi tecnica pro-pedeutico alla selezione delle BAT anche per l’industriapetrolifera e fa parte di quel gruppo di strumenti (eco-tool), basati o meno su software, che sono utilizzabiliper analizzare e migliorare sia la prestazione ambienta-le dei processi, sia la loro stessa progettazione.

Partendo dall’analisi del processo e allestendone unmodello (Geldermann et al., 2005), si individuano leBAT che possono essere adottate nelle varie operazioniunitarie presenti nel processo e si analizzano alla luce didiversi indicatori (energetici, ambientali, economici),giungendo a una loro graduatoria comparativa che vienepoi sottoposta ad analisi di sensibilità. Sulla base di que-sti criteri si possono scegliere le BAT che costituirannoil nuovo processo per passare successivamente alla fasedi realizzazione. All’interno di questo processo di otti-mizzazione possono trovare applicazione tecniche diindagine di vario tipo ed essere utilizzati indicatori diprestazione che tengano conto dei più recenti progressi.La procedura esposta è eseguibile con l’aiuto di softwa-re specifici, la cui interfaccia è progettata per il conti-nuo miglioramento dei processi. La pinch analysis per-mette quell’analisi integrata di processo alla quale tendela direttiva IPPC, avendo la potenzialità di esaminarecome un insieme unico un sito industriale complesso,quale una raffineria di petrolio o un centro gas che debbaprocessare un gas naturale ricco di gas inerti e acidi.

Sviluppi auspicabiliGli sviluppi auspicabili per un ulteriore significati-

vo avvicinamento all’impatto zero sono comuni a tutti icicli industriali e pertanto validi anche per il ciclo delpetrolio e del gas naturale. Infatti dopo la conclusionedi una prima fase, caratterizzata da un avanzamento tec-nologico dei processi esistenti per migliorarne soprat-tutto la performance economica, è attualmente in corsouna seconda fase, caratterizzata dall’adozione di pro-cessi innovativi da un punto di vista ambientale e dal-l’ottimizzazione dei prodotti in chiave di ecocompatibi-lità. Deve al più presto iniziare il perseguimento di unnuovo modello produttivo che prevederà la progressivariduzione dell’uso delle risorse di origine fossile e unsempre più consistente impiego di risorse rinnovabili.Tale nuovo modello produttivo includerà anche lo svi-luppo di processi del tutto nuovi, soprattutto in terminidi efficienza e di totale riciclo di elementi potenzialmente

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SOSTENIBILITÀ

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inquinanti (Venselaar, 2000). In questo contesto è auspi-cabile la crescita della capacità di modellizzazione deisistemi industriali complessi, in modo che essi possanoessere effettivamente analizzati e migliorati con softwa-re tecnico-gestionali più potenti di quelli attuali. Si dovreb-be inoltre ampliare e portare a compimento la formazio-ne di personale tecnico in grado di osservare, analizzaree gestire la catena del prodotto in un’ottica di life cyclemanagement (Pedersen, 2001). All’interno di questo nuovoscenario è infine assolutamente necessaria una maggio-re comprensione dei meccanismi di interazione fra leemissioni potenzialmente inquinanti e l’ambiente pergiungere a una oggettiva quantificazione del danno e perpoter agire conseguentemente con reale incisività. Fra leattività oggi in essere per soddisfare gli auspici sopraesposti merita menzione l’Energy Biodiversity Initiati-ve, avviata da un gruppo formato da alcune importanticompagnie petrolifere e istituti specializzati di fama mon-diale e coordinato dall’IPIECA (International PetroleumIndustry Environmental Conservation Association), perlo studio dell’influenza dell’industria dell’olio e del gassulla biodiversità dei diversi habitat interessati dalla pre-senza di siti industriali (IPIECA, 2003). L’individuazio-ne di indicatori di habitat che permettano la quantifica-zione dell’eventuale danno biologico causato dall’espo-sizione a livelli misurati di agenti inquinanti è la frontieraverso la quale si sta muovendo l’industria del petrolio ela prova dell’affermarsi progressivo di una nuova men-talità sempre più attenta alla tutela dell’ambiente.

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Andrea RobertielloAlberto Tintinelli

EniTecnologieMonterotondo, Roma, Italia

799VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO VERSO L’IMPATTO ZERO

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