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Epatite C Cosa è l’epatite C? L’epatite C è una malattia del fegato causata da un virus appartenente alla famiglia delle Flaviviridae ed unico membro del genere Hepacivirus (HCV). Questo virus, attraverso l’attivazione del sistema immunitario, provoca la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica). Le cellule distrutte sono sostituite da nuove cellule epatiche ed in parte da un tessuto fibrotico; nel corso del tempo, la deposizione di tessuto fibrotico altera la struttura del fegato e determina la comparsa di noduli e cicatrici. Tale alterazione della struttura del fegato si definisce “cirrosi”. Il fegato cirrotico può mantenere una capacità funzionale per tanti anni ma nel lungo tempo la riserva funzionale è destinata ad esaurirsi e possono svilupparsi delle complicanze, quali il tumore epatico 1 . A seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del virus 2 . Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad alimentare efficientemente il pool dei portatori cronici del virus. Altri cofattori, come alcol, sovraccarico di ferro, steatosi epatica (accumulo all’interno delle cellule epatiche di grassi), obesità e diabete possono contribuire a una progressione più rapida della malattia epatica e delle sue complicanze. Quali sono le caratteristiche del virus dell’epatite C? L’hepacivirus, responsabile dell’epatite C, è stato identificato nel 1989, attraverso tecniche di biologia molecolare che hanno isolato un singolo clone di DNA complementare; la sua esistenza era già sospettata negli anni ’70, quando i medici osservavano una forma di epatite definita non-A, non-B. Successivamente sono state identificate sette varianti virali dell’HCV, i genotipi, numerati da 1 a 7, e oltre 90 sotto-tipi, nominati con lettere dell’alfabeto. Le sette varianti genotipiche sono diversamente distribuite nel mondo. Il genotipo 1 (nei sottotipi 1A e 1B) è responsabile di circa il 60% delle infezioni globali e diffuso prevalentemente nel Nord America (1a) e in Europa (1b) 2 . In passato, il genotipo virale ha condizionato la scelta terapeutica ed alcuni genotipi rispondevano meno bene ai trattamenti; oggi, la disponibilità di farmaci antivirali altamente efficaci ha sensibilmente ridotto tale problema e di fatto, con la giusta combinazione di farmaci antivirali, non esistono più infezioni difficili da trattare. Il virus può persistere anche in sistemi extracellulari extraepatici, grazie alla sua abilità di mutare l’assetto antigenico e sfuggire all'attacco del sistema immunitario dell'ospite infettato. Molecola del virus dell’epatite C Replicazione virale

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Epatite C

Cosa è l’epatite C? L’epatite C è una malattia del fegato causata da un virus appartenente alla famiglia delle Flaviviridae ed unico membro del genere Hepacivirus (HCV). Questo virus, attraverso l’attivazione del sistema immunitario, provoca la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica). Le cellule distrutte sono sostituite da nuove cellule epatiche ed in parte da un tessuto fibrotico; nel corso del tempo, la deposizione di tessuto fibrotico altera la struttura del fegato e determina la comparsa di noduli e cicatrici. Tale alterazione della struttura del fegato si definisce “cirrosi”. Il fegato cirrotico può mantenere una capacità funzionale per tanti anni ma nel lungo tempo la riserva funzionale è destinata ad esaurirsi e possono svilupparsi delle complicanze, quali il tumore epatico1. A seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del virus2. Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad alimentare efficientemente il pool dei portatori cronici del virus. Altri cofattori, come alcol, sovraccarico di ferro, steatosi epatica (accumulo all’interno delle cellule epatiche di grassi), obesità e diabete possono contribuire a una progressione più rapida della malattia epatica e delle sue complicanze. Quali sono le caratteristiche del virus dell’epatite C? L’hepacivirus, responsabile dell’epatite C, è stato identificato nel 1989, attraverso tecniche di biologia molecolare che hanno isolato un singolo clone di DNA complementare; la sua esistenza era già sospettata negli anni ’70, quando i medici osservavano una forma di epatite definita non-A, non-B. Successivamente sono state identificate sette varianti virali dell’HCV, i genotipi, numerati da 1 a 7, e oltre 90 sotto-tipi, nominati con lettere dell’alfabeto. Le sette varianti genotipiche sono diversamente distribuite nel mondo. Il genotipo 1 (nei sottotipi 1A e 1B) è responsabile di circa il 60% delle infezioni globali e diffuso prevalentemente nel Nord America (1a) e in Europa (1b)2. In passato, il genotipo virale ha condizionato la scelta terapeutica ed alcuni genotipi rispondevano meno bene ai trattamenti; oggi, la disponibilità di farmaci antivirali altamente efficaci ha sensibilmente ridotto tale problema e di fatto, con la giusta combinazione di farmaci antivirali, non esistono più infezioni difficili da trattare. Il virus può persistere anche in sistemi extracellulari extraepatici, grazie alla sua abilità di mutare l’assetto antigenico e sfuggire all'attacco del sistema immunitario dell'ospite infettato.

Molecola del virus dell’epatite C Replicazione virale

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Quanto è diffusa l’epatite C in Italia e nel mondo? L'Italia è tra i Paesi europei con il maggior numero di persone positive al virus dell'epatite C. Non sono disponibili degli studi epidemiologici aggiornati, ma si stima che circa l’1-2,2% della popolazione italiana sia venuta a contatto con il virus (dato dimostrato dalla positività degli anticorpi anti-HCV) e tra questi circa il 75% presenti un’infezione attiva: la prevalenza di persone affetta da epatite C è dunque compresa tra 0,74 e 1,7% (oltre 300.000 persone)7. Nel nostro Paese il 55% circa dei soggetti con HCV è infettata dal genotipo 13. Esiste una variabilità geografica con una maggiore prevalenza dell’infezione nel Sud Italia; la differenza tra Nord e Sud era maggiormente rilevante in passato, mentre mostra una tendenza a ridursi negli ultimi 10 anni. Ciò si spiega con il progressivo invecchiamento e la morte di persone che erano state infettate in passato8. Più di 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato (due persone ogni ora) e, nel 65% dei casi, l’epatite C risulta causa unica o concausa dei danni epatici. Nel mondo si stima che siano circa 170 milioni le persone che soffrono di epatite C cronica5, di cui intorno ai 15 milioni in Europa2 e altrettanti negli Stati Uniti: più del 3% della popolazione globale. I decessi causati nel mondo da complicanze epatiche correlate all’HCV sono più di 350.000 ogni anno1. Sebbene l’infezione da HCV sia endemica, la sua distribuzione geografica varia considerevolmente: l’Africa e l’Asia sono le aree di maggiore prevalenza, mentre in America, Europa occidentale e settentrionale e Australia la malattia è meno presente. Negli ultimi 20 anni l’incidenza è notevolmente diminuita nei Paesi occidentali, per una maggior sicurezza nelle trasfusioni di sangue e per il miglioramento delle condizioni sanitarie; tuttavia, in Europa l'uso di droghe per via endovenosa rimane uno dei principali fattori di rischio per la trasmissione di HCV.

Prevalenza dell’infezione HCV nel mondo (Fonte EpaC) Quali sono le vie di trasmissione del virus? La condivisione di aghi o siringhe è a tutt’oggi il maggior fattore di rischio di contrarre la malattia1. Ma non è il solo. Altri fattori includono il tatuaggio e il body piercing eseguiti in ambienti non igienicamente protetti o con strumenti non sterilizzati, la trasmissione dell’infezione per via perinatale al proprio figlio, la trasfusione di sangue non sottoposto a screening, tagli/punture con aghi/strumenti infetti in contesti ospedalieri, ma anche la condivisione dei dispositivi per l’assunzione di droghe inalabili e di spazzolini dentali o spazzole da bagno contaminati, se utilizzati in presenza di minime lesioni della cute o delle mucose. Anche se l’epatite C non è facilmente trasmissibile per via sessuale, i rapporti non protetti (e l’eventuale contatto con il sangue del partner) sono associati a un rischio maggiore di contrarre l’HCV1.

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Come si manifesta la patologia? La fase acuta dell’infezione del virus dell’epatite C decorre quasi sempre in modo asintomatico6, tanto che la patologia è definita un “silent killer”. Dopo un periodo d’incubazione (variabile da 1 a 3 mesi dal momento dell'infezione), il paziente che sviluppa un’epatite acuta può manifestare stanchezza, inappetenza, nausea e vomito, ittero ed urine scure, dolori ai muscoli e alle articolazioni. L’epatite acuta è molto rara e la cronicizzazione avviene nella grande maggioranza dei casi in modo asintomatico senza che, per molti anni, la malattia dia alcun segno di sé. L’epatite cronica, nella maggior parte dei casi, viene dunque diagnosticata in modo del tutto occasionale a seguito del riscontro di alterazione delle transaminasi o per esami di screening effettuati dal paziente per altra ragione; solo in una minoranza sempre più esigua di pazienti la prima diagnosi avviene a seguito di sintomi legati a malattia epatica scompensata. Quali sono le complicanze che produce? L’epatite cronica C ha un decorso lento e del tutto asintomatico nel tempo. Una quota di pazienti può sviluppare la cirrosi e le complicanze ad essa correlate con necessità di ricorrere, in taluni casi, al trapianto epatico. L’epatite cronica e la cirrosi correlate al virus C sono inoltre, oggi, una delle principali cause di morte dei pazienti con coinfezione HIV/HCV. Si stima che il 20% delle persone positive all’HCV sia coinfetta con l’HIV. La disponibilità dei farmaci antivirali ha negli scorsi anni sensibilmente ridotto il numero di complicanze e la numerosità dei pazienti che necessitano di trapianto per evoluzione o complicanze dell’epatite C e ci si attende un ulteriore miglioramento della sopravvivenza nei prossimi anni. Le principali complicanze della cirrosi da HCV sono: • l'ingrossamento della milza, con conseguente riduzione dei globuli bianchi e delle piastrine; • la formazione di varici nell'esofago e nello stomaco, che, rompendosi, possono causare emorragie; • l'ittero (accumulo nel sottocute del pigmento biliare); • l’ascite (accumulo di liquido nell'addome); • l’encefalopatia epatica (accumulo nel cervello, attraverso la via ematica, di sostanze tossiche che il

fegato non riesce più a smaltire), che determina un cattivo funzionamento cerebrale fino ad uno stato confusionale e al coma;

• il tumore epatico. Come si esegue una corretta diagnosi di HCV? Non sempre le analisi del sangue di routine sono in grado d’identificare l’infezione da HCV: se si ritiene di essere stati esposti al rischio del virus o se si riscontra accidentalmente un’alterazione delle transaminasi (AST, ALT) è bene consultare il proprio medico curante ed effettuare una ricerca mirata. Sono tre i test diagnostici utilizzati: 1) il dosaggio degli anticorpi anti-HCV con test Elisa (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) misura

gli anticorpi prodotti dall’organismo che è venuto a contatto con virus. Tali anticorpi non sono indicativi di infezione attiva ma solo di esposizione al virus; pertanto, in caso di positività, occorre completare l’inquadramento diagnostico con la ricerca del genoma virale;

2) la ricerca del genoma virale mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) individua il materiale genetico del virus (HCV-RNA) nel sangue; la positività è indicativa di infezione attiva;

3) la caratterizzazione del genotipo virale mediante test RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism) determina i genotipi del virus, analizzando direttamente la sequenza genomica o tramite una tecnica detta dell’ibridizzazione inversa.

In caso di riscontro di infezione attiva da HCV è consigliabile riferire ad un medico specialista per un corretto inquadramento ed una stadiazione della malattia epatica. Per determinare la presenza di fibrosi e valutare il rischio prognostico, sempre meno si ricorre a tecniche diagnostiche di tipo invasivo come la biopsia epatica, a meno che non siano presenti altri rilevanti cofattori di danno meritevoli di caratterizzazione. Per stadiare la malattia sono sufficienti delle indagini radiologiche (indispensabile l’ecografia dell’addome superiore e, ove vi sia evidenza di malattia epatica più evoluta, un’indagine di II livello, quali una TAC o una Risonanza Magnetica) e l’elastografia epatica (sistema di misurazione non invasivo della “rigidità” del tessuto epatico) tramite Fibroscan.

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Esiste un vaccino per l’epatite C? A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C, soprattutto perché il virus è veloce e aggressivo, e quando si replica cambia in continuazione, riuscendo a eludere il sistema immunitario dell'organismo. Ai pazienti affetti da epatite C viene però consigliata la vaccinazione contro le Epatiti di tipo A e di tipo B, per scongiurare il sovrapporsi di infezioni che potrebbero causare un danno acuto severo ed accelerare la progressione della malattia epatica. Note 1. World Hepatitis Alliance (WHA). Hepatitis B and C: Risk, Prevention and Treatment.

http://www.worldhepatitisalliance.org/Libraries/Documents/Hepatitis_B_C_Risks_Prevention_and_Treatment_Patient_Leaflet.sflb.ashx (05.04.12).

2. World Health Organization (WHO). Hepatitis C Guidelines. http://www.who.int/hepatitis/publications/hepatitis-c-guidelines-2016/en/

3. Dati EpaC Associazione Onlus. http://www.epac.it/Notizie/default.asp?id=890&id_n=5379 (05.04.12) 4. Dati EpaC Associazione Onlus. http://www.epatitec.info/default.asp?id=743 (05.04.12). 5. Ghany, M. et al. AASLD Practice Guidelines: Diagnosis, Management and Treatment of Hepatitis C: An Update.

Hepatology 2009, 49, 4: 1335-1374. 6. Institute of Medicine of the National Accademies. Hepatits C and Liver Cancer: A National Strategy for Prevention and

Control of Hepatitis B and C, January 11, 2010. http://www.iom.edu/Reports/2010/Hepatitis-and-Liver-Cancer-A-National-Strategy-for-Prevention-and-Control-of-Hepatitis-B-and-C.aspx (02.04.12).

7. Kondili L. et al. Rapporto ISS 15/35; Di Marco V. et al. WEF 2016; Andriulli et al. submitted 8. Cozzolongo R et al. Epidemiology of HCV infection in the general population: a survey in a southern Italian town. Am J

Gastroenterol. 2009 Nov;104(11):2740-6