81 - Con il cuore di Dio - Con il cuore di Dio.pdf · decidere di fare di meno e per un certo...

22
1 KAIRÓS Con il cuore di Dio 81 Anno XV n. 4 Marzo 2011 Indice I gigli del campo 2 don Severino Pagani La Preghiera 6 Il perdono e la festa La Catechesi 11 Oggi devo entrare nella tua casa Il mistero di Cristo e la Chiesa La Lettura Spirituale 19 Il perdono e la festa Jean Vanier

Transcript of 81 - Con il cuore di Dio - Con il cuore di Dio.pdf · decidere di fare di meno e per un certo...

1

KAIRÓS Con il cuore di Dio

81

Anno XV n. 4 Marzo 2011

Indice I gigli del campo 2 don Severino Pagani La Preghiera 6 Il perdono e la festa La Catechesi 11 Oggi devo entrare nella tua casa Il mistero di Cristo e la Chiesa La Lettura Spirituale 19 Il perdono e la festa Jean Vanier

2

I GIGLI DEL CAMPO

don Severino Pagani

Custodite la vostra buona coscienza spirituale

fin quando siete in questo mondo senza abituarvi al male;

cosicchè essa non abbia nulla da rimproverarvi

a partire dalle piccole cose. Custodite una coscienza vigile,

nei confronti di Dio, nei confronti del prossimo,

nei confronti delle cose materiali. (Doroteo di Gaza, sec. VI)

Ai discepoli del Signore Carissimi, la Chiesa ha imparato a conoscere il tempo e a renderlo liturgico, perchè noi impariamo ad accogliere in modo multiforme la grazia di Dio. Davanti a noi sta il tempo della Quaresima. Vorrei dire una parola sulla Quaresima come tempo di conversione. L’accoglienza dello Spirito che attraversando ogni nostro deserto ci conduca a nuove sorgenti d’acqua, quelle che servono per rinnovare la vita spirituale. L’interpretazione del tempo. Si diffonde una percezione strana del tempo presente. A volte sembra un tempo più di decadenza che un tempo di salvezza; un tempo di stanchezza più che di verità, quasi senza gusto, senza solide fiducie. Le relazioni tra le persone, la conflittualità politica, la disuguaglianze economiche sono cose che stancano e tolgono la fiducia. Poi ci sono i ritmi impossibili della vita, che ci costringono a tutto, senza tregua. Il tempo ha perso il suo

3

ritmo liturgico, il suo colore penitenziale, la sua aderenza all’anima. A volte ho l’impressione che abbiamo bisogno di un grande coraggio. Un coraggio necessario. Un coraggio che non abbiamo più. Eppure bisogna cominciare da qualcosa: bisogna svuotare il tempo da ciò che lo ingombra, che lo riempie, che lo soffoca. Bisogna svuotare l tempo e invocare la presenza di Dio. Chiedere con ardente desiderio che Dio ci apra gli occhi, ci dia sentimento e percezione di Lui; ci strappi dalla superficialità, dall’abitudine, e da tutto ciò che non ci permette più di sentire Dio. Abbiamo bisogno di Dio. Il tempo di quaresima dovrebbe essere una purificazione della storia. Il sacrificio della volontà. Ci vuole un sacrificio della volontà. Il sacrificio della volontà si mette alla prova innanzitutto con un vero inizio della preghiera. Lasciare perdere altro e incominciare a pregare. Se non riesci in casa, entra in una chiesa; se non riesci con i pensieri leggi un libro, o la Scrittura. Cerca Dio. Ci vuole una grande presenza di volontà. Quando fisso e svuoto una sera per riservarla alla preghiera, quando ci riesco a trattare Gesù veramente come una persona, ritrovo le misure delle cose. Voglio vivere con poco: guardo nel mio armadio e elimino qualcosa. Ci vuole volontà, piccole decisioni, concreti abbandoni. Ci vuole forza e determinazione, poi Dio viene incontro. Noi non facciamo più vera penitenza. Non siamo più neppure capaci di una penitenza della mente, quella che preserva da ogni ansia. Mi vergogno nel riconoscerlo: forse è per questo che Dio diventa debole dentro di me; forse è per questo che il mio giudizio diventa duro con gli altri e largo con me stesso. Non ho più volontà. Invoco la buona volontà dell’asceta, che incomincia dal mattino e vince il sonno alla sera. Meno preghi e più trovi scuse, e meno la volontà ti conduce alla preghiera. La sobrietà della vita. Siamo pieni di troppe cose. Si potrebbe decidere di fare di meno e per un certo periodo di tempo di non comprare niente, solo lo stretto necessario per vivere. Comprare poco anche da mangiare e da vestire. Comprare poco, svuotare la casa. Eliminare tutti quegli oggetti inutili che si sono accumulati. Vedere di meno, sapere di meno, consumare di meno, pregare di più. A volte la tecnologia è come una sclerosi, chiude la vie del cuore e indurisce la lungimiranza dei pensieri. Se non si ridiventa poveri si

4

perde Dio. Altrimenti Dio non è più così importante, e non ti manca quando non c’è. E io: io non trovo niente da leggere che mi vada bene; non escono più profezie dalle mie parole; non sacrificio dal mio corpo; non rinuncia di ciò che è superfluo. Non esce più la gioia, eppure chi mi incontra ne ha così tanto bisogno. Di fatto solo l’ansia vince, solo l’imprevisto, solo la preoccupazione. Qualche volta la delusione: lo so devo cominciare a fare penitenza. Una penitenza intelligente, corporea, precisa, umile. Si rinasce solo da questo vuoto. Il cammino della confessione. La confessione della fede è un cammino che dura tutta la vita, bisogna prepararsi. Il conforto della misericordia di Dio va cercato, preparato, costruito lungo gli anni. Il Kyrie eleison va veramente cantato: Signore abbi pietà. Per noi e per il mondo. Domandiamo al Signore di ritornare veramente a confessare la lode, la fede e la vita. Domandiamo la fresca gioia della fede, un po’ di adolescenza spirituale, lunghi tempi di preghiera, di lettura, di riflessione sul mondo, di intercessione per la cattiveria degli uomini, di misericordia sui nostri giudizi affrettati. Pensiamo all’Italia, all’Europa, alla Cina, al Brasile, alla Libia … pensiamo. Possiamo anche soffrire un certo disagio e sapere che l’origine di questo disagio sta nel peccato, di fronte al quale osiamo chiedere liberazione e perdono. Confessarsi è una cosa seria, esige giorni di raccoglimento e di preghiera. La preghiera dei salmi. Proprio per pregare possiamo trovare luce e sentimento riscoprendo in questa quaresima la preghiera dei salmi. Possiamo tornare ad amare i salmi, uno per uno, a cominciare dai salmi penitenziali. Studiarli, capirli, gustarli: pregarli davvero. Davanti ai salmi si è come davanti ad una lingua straniera: quando la impari improvvisamente la gusti e ti meravigli che i salmi siano così capaci di essere aderenti alla realtà. Pietà di me,o Dio, perché sei buono, nel tuo affetto cancella i miei peccati. Non distogliere il tuo sguardo. La tua grazia vale più della vita. Tu mi scruti e mi conosci. Quando mi hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Dal profondo a te grido, o Signore, ascolta la mia preghiera. I salmi, pregati bene, ridanno la vita ad una preghiera stanca, senza amore, senza gioia, senza affidamento. I salmi sono il respiro dell’anima. Qualche salmo va imparato a memoria.

5

La comunità è un aiuto. Da soli non si va lontano. La fede cerca sempre di per se stessa la comunione. Non lasciamo cadere la comunione dei fratelli e delle sorelle che camminano con noi. Anche i primi discepoli del Signore non erano tutti uguali, e non avevano neppure tutti gli stessi impegni, eppure si trovarono insieme dopo la Pasqua di Gesù; poi a ciascuno con il passare degli anni fu indicato il luogo dove annunciare il Vangelo e dove andare a morire. La nostra comunità è un piccolo aiuto per mantenere viva la vita spirituale, per richiamare alla preghiera, per risvegliare dalle inevitabili pigrizie della vita. Forse non può essere di più. È un dono piccolo e prezioso. Sono troppe e troppo ingarbugliate le cose per pensarla tutti sempre allo stesso modo; non siamo uguali, e non abbiamo tutti le stesse sensibilità, ma forse la comunità c’è proprio per questo: per sfidare nella fede la possibilità di tenere insieme le differenze e per osare la pace, anche dove dappertutto è più spontaneo il conflitto. Anche se le beatitudini sembrano distribuite male, eppure è scritto, che al di sopra di tutto ci deve essere sempre la carità (cfr 1Cor 13). Per Pasqua ci è ancora promessa la carità, ciascuno la trovi e la confermi dove gli viene più mortificata la pigrizia e innalzata la verità. La gioia e la profezia. Solo una vera intimità con Dio e una costante presenza a lui con il pensiero, il sentimento e la volontà ridanno la gioia di essere salvati e restituiscono la forza della profezia. A volte mi chiedo: quando sono contento? e che cosa posso dire ancora di vero? Con meraviglia e non rara umiliazione mi ritrovo a rispondere che sono contento quando prego bene e posso dire soltanto la santità di altri. Se si tralascia un po’ la preghiera, gli orizzonti che una volta erano limpidi adesso restano confusi; i sentimenti che erano forti nascono subito stanchi e grandissima è la nostalgia di Dio. Chiediamo insieme al Signore la purezza della gioia e la forza interiore della profezia. Buona quaresima. Con affetto e un po’ di preghiera. Don Severino

6

LA PREGHIERA

IL PERDONO E LA FESTA

O Dio, che ascolti sempre la preghiera dei tuoi servi e non abbandoni il popolo ostinato nel rifiuto del tuo amore,

concedi alla tua Chiesa per i meriti del tuo Figlio, che intercede sempre per noi,

di fare festa insieme agli angeli anche per un solo peccatore che si converte.

Per Cristo nostro Signore.

PREGHIERA TRINITARIA

- Padre mio, mi abbandono a Te. Ancora voglio alzarmi e mettermi in cammino. Lo so: ho peccato contro il cielo e contro di Te. So che il tuo sguardo mi raggiunge amorevole e misericordioso anche quando mi sento lontano. So che il tuo cuore ha già preparato una mensa per me. Attendo il tuo abbraccio. - Signore Gesù, ti consegno la mia miseria e la mia povertà; crea in me o Dio un cuore puro e rinnova in me uno spirito saldo. Donami la gioia di essere salvato. Liberami da ogni solitudine di peccato, e aiutami a costruire intorno a me tra la mia gente relazioni di amore, di amicizia e di fraternità. - Spirito Santo vienimi incontro con tuoi doni: portami il perdono e la pace. Con la tua sapienza da forma ad ogni mia parola, perché sia sempre una parola di carità e di accoglienza, di mitezza e di fraternità. Donami la gioia della vita comune, la semplicità del cuore e la benevolenza verso tutti.

7

PAGINA BIBLICA E PICCOLA LECTIO

Dal Vangelo di Luca

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai

8

ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».(Luca 15,11-32) - Il Padre che mi riveli, o Signore, è un Dio capace di una grande libertà: non trattiene suo figlio, lo lascia libero, gli fa provare; eppure sa a che cosa va incontro. Mi affascina questa straordinaria libertà di Dio. Capisco che Dio ci tiene veramente alla mia libertà: se mi vuole, vuole che ritorni a lui con tutto il cuore, vuole me stesso non con i legami rigidi di un dovere ma con la dedizione calma e definitiva di chi si è sentito amato. Mi vuole così. Forse Dio soffre nel lasciarmi andare. Sento che il Padre mi accompagna con il suo sguardo, con la sua attesa, con la sua commozione. Solo Dio poteva creare la libertà e attendere il suo compimento nell’umiltà e nell’amore. - Questo figlio giovane, o Signore, ha i tratti di ogni giovinezza: il desiderio di andare, di conoscere, di sperimentare, di provare. Non sa ancora com’è la vita. Ci sono delle cose che mi sembrano piene di fascino, di bellezza, cariche di una piacevolezza infinita. A volte anche le tue parole e il tuo vangelo mi sembrano superflue: mi dicono poco a confronto delle infinite possibilità che vedo davanti a me. Dammi mente e cuore per capire e per scegliere, Signore. - E questo figlio maggiore: lo so Signore, sono io quando chiudo il mio cuore di fronte a coloro che sbagliano: divento duro, puntiglioso, mi appello anche ad una questione di giustizia se è necessario, quando mi scopro come il figlio maggiore mi prende una grande tristezza. O Signore, non è facile liberarmi da questo impenetrabile vestito: sono senza misericordia, un po’ invidioso anche se vedo che qualcuno è più buono di me. Perdonami, o Padre, perché sono così lontano dai sentimenti del tuo cuore. Mi sento piccolo, Signore, donami un cuore grande e uno sguardo luminoso. - Nella casa di mio Padre…: verifico se nella mia preghiera e nelle mie scelte concrete ho memoria di avere un Dio che come Padre è sempre pronto ad accogliere. Mi lascio accogliere, perdonare,

9

consolare da Dio? O vivo superficialmente e in una solitudine fredda che non ha bisogno di abbracci, di vicinanze solide, di affidamenti ultimi? - Il figlio maggiore non entra nella festa del perdono: sono disponibile a lasciarmi coinvolgere nell’abbraccio misericordioso di Dio, oppure giudico la vita dei miei fratelli e di chi mi è più prossimo? Sono ben disposto ad un atto di comprensione, di misericordia, di tolleranza anche di fronte a coloro che non hanno una storia, una famiglia, un passato simile al mio? Mi sforo di capire? - Quali gesti di riconciliazione posso preparare nella mia famiglia, nella mia comunità, nel mio ambiente ? A chi mi devo riavvicinare di nuovo, con un po’ di umiltà, con un po’ di coraggio?

SALMO

31,1-11

Non serve ripiegarsi sempre sulle proprie tristezze e le proprie incapacità. Il credente sincero riconosce le sue povertà, si umilia

davanti a Dio, accoglie il perdono e prova la pace. Nasce dalla misericordia l’uomo nuovo. Nasce dalla misericordia la rivelazione

del volto di Dio. Dalla misericordia si riconosce la Chiesa.

Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato. Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno. Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno. Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come per arsura d'estate inaridiva il mio vigore.

10

Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie colpe» e tu hai rimesso la malizia del mio peccato. Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell'angoscia. Quando irromperanno grandi acque non lo potranno raggiungere. Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo, mi circondi di esultanza per la salvezza. Ti farò saggio, t'indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio. Non siate come il cavallo e come il mulo privi d'intelligenza; si piega la loro fierezza con morso e briglie, se no, a te non si avvicinano. Molti saranno i dolori dell'empio, ma la grazia circonda chi confida nel Signore. Gioite nel Signore ed esultate, giusti, giubilate, voi tutti, retti di cuore.

11

LA CATECHESI

OGGI DEVO ENTRARE NELLA TUA CASA

IL MISTERO DI CRISTO E LA CHIESA

1. LA CHIESA CUSTODISCE IL MISTERO DI CRISTO

1. Una casa per Gesù Un giorno Gesù disse a Zaccheo (Lc 19): oggi devo entrare nella

tua casa. Esprimeva il desiderio di stare con lui, di stabilire con gli uomini di ogni tempo una dimora permanente, un luogo dove esprimersi, dove rivelarsi e farsi capire. Nel cuore di Gesù, unito strettamente al Padre mediante lo Spirito, ardeva già da quel giorno il desiderio di affidare il suo mistero, la sua persona e la sua missione alla comunità della Chiesa, una casa, un luogo dove dimorare lungo la storia.

Sono molti quelli che si chiedono: perché c’è la Chiesa? La Chiesa c’è per custodire il mistero di Cristo, per non perdere Gesù e il suo vangelo lungo la storia. In realtà la Chiesa, anche se in diverse maniere e in alterne fedeltà, non ha smarrito ma ha sempre custodito questo mistero lungo i secoli. La storia del misero di Dio che si è rivelato e realizzato in Gesù Cristo riguarda non soltanto Gesù nella sua forma immediata e diretta, ma attraverso di lui riguarda tutti gli uomini, perché la comunione con l’uomo che il Padre ha fatto in Gesù Cristo è stata offerta a tutti.

Questo dono avviene mediante quella stessa realtà che nella vita di Dio mette in rapporto il Padre con il Figlio, cioè lo Spirito Santo. Lo stesso legame che c’è nella vita divina tra il Padre e il Figlio, cioè lo Spirito Santo, assicura la continuità di rapporto tra Gesù Cristo e gli altri uomini che credono in Lui. Lo Spirito è il dono che Cristo fa a tutti gli uomini, perché anch’essi siano coinvolti nel misterioso

12

rapporto di comunione con Dio. Mediante lo Spirito ogni uomo rivive lo stesso mistero di Cristo: è Dio che si perde in ogni uomo per accogliere dalla sua vita perduta (Cfr Luca 15 e 19) ogni uomo nella novità della vita divina.

2. Convocati dallo Spirito Concretamente questa attività dello Spirito Santo donato da

Cristo si manifesta come convocazione della Chiesa. E’ un far comunione, un radunare gli uomini non tanto fra loro ma innanzitutto nel Cristo. Proprio perché lo Spirito Santo chiama ogni uomo ad un’unica cosa che è la convocazione nel Cristo, chiama tutti ad una comunità: cioè siamo una cosa sola con Cristo, siamo un’immagine viva del suo mistero. Non si tratta primariamente di convocare persone perché diventino amiche tra loro, ma di convocare in Gesù. Su questo fondamento può nascere la loro amicizia reciproca, il loro impegno comune, la loro reciproca fraternità.

Lo Spirito Santo convoca tutto l’uomo nel tessuto umano delle sue relazioni personali; la sua struttura psichica e le sue forme culturali sono accolte, valorizzate, potenziate e prendono nuova forma nello Spirito di Gesù. Questa convocazione spirituale è tuttavia sempre imperfetta e insufficiente, mai completamente esaurita, è qualcosa di più grande di noi.

3. Un cammino di conversione La Chiesa è guidata dallo Spirito in un perenne cammino di

conversione verso la pienezza del mistero di Cristo, il quale da un lato passa attraverso l’apporto della nostra libertà umana e il nostro impegno, dall’altro va oltre e trascende sempre le nostre umane possibilità per aprirsi agli orizzonti nuovi della grazia. La libertà umana, individuale e sociale, animata dallo Spirito non può mai dire di aver raggiunto un traguardo insuperabile, tende sempre più in là, non s’identifica mai completamente in un’esperienza storica particolare. Per questo i cristiani sono sempre nella storia uomini

13

sulla strada della conversione e proprio per questo nella storia la Chiesa è sempre nuovamente da riformare.

Questa tensione suscita una certa giusta inquietudine, da cui nasce una vivacità spirituale più profonda, mai completa, un desiderio sincero di voler bene ancora di più, di perdonare, di non stancarsi mai nell’amore, nel generare nuove forme di relazioni e di rapporti con gli atri. Da questa comunione spirituale con Cristo mediante il suo Spirito, nasce storicamente la comunità cristiana, la Chiesa. Si può perciò anche dire che la Chiesa custodisce gelosamente questa comunione spirituale tra Gesù e gli uomini: custodisce il mistero di Cristo. Senza la Chiesa come faremmo a custodire il nome santo di Gesù? Chi ce lo avrebbe fatto conoscere? Chi ci avrebbe fatto il dono della sua straordinaria Parola? E chi ci avrebbe introdotto nel misterioso disegno della sua Pasqua?

2. LA REALTÀ MISTERIOSA DELLA CHIESA

1. La lunga storia della Chiesa Per cogliere la realtà della Chiesa, per capirla nel suo concreto

configurarsi tra le relazioni umane, i progetti, i rapporti sociali e culturali, è importante vederla come un segno visibile che fa costantemente riferimento a Gesù e che si esprime nella tensione a costruire una profonda unità del genere umano intorno a lui.

In questa prospettiva storica i credenti riconoscono i numerosi

interventi che il Dio della Bibbia ha fatto per stabilire rapporti di alleanza tra gli uomini, perché prendessero coscienza e diventassero il suo popolo. Così l’azione benefica di Dio è riconosciuta a partire dalla creazione, dai peccati di un popolo che non rimane senza speranza e senza perdono. In molte maniere Dio è venuto incontro per aiutare gli uomini a salvarsi, in particolare attraverso gli eventi della storia d’Israele che trova la sua pienezza e il suo compimento in Gesù (cfr Lumen gentium, nn 2-4). Tutti questi fatti alludono ad un futuro più grande e definitivo verso il quale la Chiesa è incamminata. Il linguaggio biblico spirituale ha trovato molte espressioni per

14

indicare il mistero della Chiesa e il modo con cui è presente nella storia. Il linguaggio allusivo aiuta a cogliere quegli aspetti che sfuggono alla rappresentazione concettuale, ma che si concedono molto alle espressioni simboliche. In questo senso allora si parla di Chiesa come campo di Dio, come edificio, famiglia, tempio, sposa. Si allude ad essa come popolo di Dio, come sposa di Cristo.

Sono messi così in luce i vincoli che uniscono i singoli credenti a Gesù e tra loro: innanzitutto lo Spirito, ma poi anche i sacramenti, i legami gerarchici e istituzionali, l’adesione obbediente alle indicazioni della legge morale evangelica, con la quale si aderisce ai misteri della vita di Gesù imitandone intensamente la sua umana e divina carità.

2. Popolo di Dio e piccolo gregge L’immagine dalla Chiesa come popolo di Dio nella storia

manifesta la ricchezza e le tensioni che esistono nel rapporto tra Gesù e le vicende umane, quali i cambiamenti storici, il trasformarsi e l’integrarsi continuo delle culture. Il popolo di Dio è universale, senza discriminazioni di cultura, di razza o di potere politico ed economico. La chiesa è nel mondo ma si distingue dalle strutture mondane, porta un segreto più alto, che va oltre il mondo e la storia. In questo senso, con rapide allusioni evangeliche, la Chiesa può anche essere pensata come un piccolo gregge che non raccoglie visivamente e sociologicamente in sé tutti gli uomini, eppure conserva proprio in se stessa una carica germinale autentica da cui si sprigiona una carica autentica di unità, di speranza e di salvezza per tutti.

L’immagine del piccolo gregge oggi aiuta ad interpretare la

bellezza e la fatica della Chiesa nel mondo contemporaneo, in un contesto di globalizzazione, di tensione fra culture diverse e di grandi cambiamenti sociali. Distanziandosi progressivamente da una forma culturale abituata ai segni della cultura cristiana, le comunità cristiane s’interrogano su come essere testimoni gioiose, coerenti e fedeli del loro Signore. Avvertono di possedere una grande carica profetica che non va spenta, sentono il bisogno di maggiore essenzialità e radicalità evangelica, percepiscono l’urgenza missionaria non come una forma di controllo o di potere ma come

15

un‘esigenza concreta di far conoscere che il vivere nel Signore rende più umana la vita.

3. Carismi e ministeri La comunità della Chiesa si esprime in rapporto a Dio

attraverso un culto spirituale (Rm 12) fatto di vita vissuta, di preghiera, di carità, di dono e di servizio; ma insieme si alimenta a gesti cultuali, ai riti e a memorie volute dal Signore. Nella Chiesa tutti i battezzati hanno accesso a Dio mediante il sacerdozio battesimale, ma in modo particolare il sacerdozio ministeriale dei preti richiama e mette in rapporto con il sacerdozio di Cristo, unico mediatore tra l’uomo e Dio.

Nella Chiesa ogni credente assolve il compito profetico di chi ascolta e diffonde la Parola, ma insieme è riconosciuta una speciale funzione al magistero del papa e dei vescovi che garantiscono un rapporto vero e autentico tra la fede della Chiesa e la parola di Gesù. Ogni fedele nella Chiesa è portatore di carismi i quali sono utili a tutta la comunità e sono aperti ad un servizio più ampio nel mondo. Alcuni di questi doni sono raccolti in modo particolare dalla Chiesa e si esprimono in autentici ministeri al servizio del popolo di Dio e per il bene dei fratelli. Carismi e ministeri sono riconosciuti dall’autorità, la quale li garantisce e li promuove in un perenne ascolto dello Spirito e in un attento discernimento sulla storia. Compito del cristiano è interrogarsi sui carismi che ha ricevuto e su eventuali ministeri che è in grado di assumere a favore della sua comunità e di tutta la Chiesa. In questo contesto non si può crescere nella fede senza vivere seriamente la propria vocazione.

3. LA CHIESA EVENTO DI COMUNIONE

1. La chiesa come comunione fraterna L’appartenenza a Gesù e la comunione a cui ci ha reso partecipi

nella sua relazione con il Padre, ci rende nello Spirito Santo tutti

16

fratelli. C’è un modo di stare insieme tra i battezzati che, pur nella diversità della vita e dei vari ruoli sociali, pur nella differenza delle affinità culturali o psicologiche, si fonda sul semplice dato che ogni uomo è fratello di fede e va quindi accolto con immediatezza di rapporti e con una incondizionatezza di dedizione. Su questa base non solo i cristiani stabiliscono un particolare valore alle relazioni personali, comunitarie e sociali, ma riconoscono nei rapporti interpersonali un’occasione sempre nuova per vivere esperienze di prossimità, sia nei confronti dei fratelli di fede, sia anche semplicemente nei compagni d’umanità. Si ripete ancora il racconto di Luca di quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico: il prossimo non è chi è già tale per vincoli di legge o di sangue, ma colui che diventa tale per un libero gesto di generosa dedizione (Lc 10,29-37). Di fronte alle differenze di mentalità e di cultura, di sensibilità politica e sociale, oggi si richiede ai cristiani un grande impegno per costruire comunità in cui ci sia spazio per la comunione fraterna. Questo è impossibile senza l’aiuto della preghiera e senza una continua conversione della propria sensibilità spirituale, a volte oscurata da un sentire comune troppo egoistico ed immediato.

2. La chiesa comunione sacramentale Il modo che i cristiani hanno di vivere nel mondo e di stare

insieme, è una maniera continuamente creativa che deriva proprio dallo stesso modo con cui Cristo è stato tra noi. Lo stile della vita e della presenza di Cristo sulla terra ha rivelato la comunione che è propria di Dio nella Trinità.

Ora, la maniera di Cristo, il suo modo di vivere e di morire per

amore, ci viene donato ancora ed è espresso nel principio sacramentale. I sacramenti rendono presente l’azione di Cristo tra noi. Trasmettono il carattere di creatività e di dipendenza, di obbedienza e di testimonianza che la Chiesa vive nei confronti di Gesù. I sacramenti sono espressi nella configurazione gerarchico-carismatica della Chiesa e sono l’anima della comunione ecclesiale.

17

Celebrare i sacramenti significa alimentarsi alla vita stessa di Gesù e al mistero della sua Pasqua. Così Cristo attua la sua fedeltà alla Chiesa, e la Chiesa può dichiarare e vivere la propria fedeltà a Cristo e alla sua Parola.

3. La chiesa comunione missionaria La dipendenza della Chiesa dal fatto inesauribile della persona

e della missione di Cristo la rende cattolica. La Chiesa si sente investita di una destinazione universale; infatti, ogni cultura è insufficiente ad esprimere tutto il dato cristiano, e nel medesimo tempo ogni cultura può esprimere contributi nuovi capaci di illuminare ancora di più nella storia il mistero di Cristo.

La missionarietà prima di essere un’iniziativa della Chiesa è una

caratteristica della sua stessa natura: essa è espressione di un amore ricevuto e di un amore donato, il quale è in grado di fare verità su ogni persona e in ogni cultura. La missionarietà è un frutto dello Spirito che nasce dal cuore dei cristiani i quali con la luce della fede e la serenità della vita permettono al Signore di raggiungere tutti i confini della terra e di restare con noi fino alla fine del mondo.

La Chiesa in quanto comunità missionaria non esprime un

bisogno di conquista, ma si esprime in un’esperienza di gratitudine e di riconoscenza verso il suo Signore. Racconta una grazia ricevuta e offre un dono a coloro che lo accolgono.

3.4. La chiesa comunione escatologica A motivo dell’inesauribilità di Cristo, a cui è dovuta

l’obbedienza della fede, la Chiesa non tende a identificare il Regno di Dio con la storia umana nelle varie espressioni culturali in cui si manifesta, ma ne proclama l’incolmabile distanza, diventando così principio di critica e di evoluzione della storia stessa, e tenendo viva quella dialettica tra regno e comunità che lega la tensione della Chiesa verso il suo Signore.

18

La Chiesa, proprio poiché è fedele ad un’unità fraterna tra gli uomini, non corrisponde innanzitutto a progetti umani, ma al piano di Dio, cioè all’essere stesso di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. La Chiesa avverte l’incolmabile differenza che c’è tra una vera comunione con Dio e le forme sempre insufficienti di unità che si attuano nella Chiesa stessa e nella comunità umane. Per questo da un lato la Chiesa promuove forme sempre nuove d’unità dentro e fuori di essa; d’altra parte essa denuncia l’insufficienza e la perfettibilità di ogni forma storica.

Quando una società, una cultura o un sistema politico

pretende di porsi come sufficientemente esaustivo, la Chiesa ponendosi in umile obbedienza al Regno esprime un giudizio di contestazione di fronte a questa presunta sufficienza e spinge verso un suo superamento, sapendo che il Regno di Dio è già, ma non è ancora in questo mondo. Questa tensione verso l’unità ultima e definitiva con Dio non ancora realizzata la chiamiamo carattere escatologico della comunione, che non è un alibi di fronte alla storia, ma un’operosa forza di rinnovamento della storia stessa. Chi vive questa tensione interiore per il suo futuro e per il futuro dell’umanità sente profondamente il desiderio del ritorno di Cristo. In che misura sai suscitare dentro di te questo amoroso desiderio dell’anima?

19

LA LETTURA SPIRITUALE

IL PERDONO E LA FESTA

Jean Vanier

Nato in Canada nel 1928, Jean Vanier, dopo aver lasciato la carriera militare per dedicarsi allo studio della filosofia, ha fondato nel 1964 la

prima comunità dell’Arca a Trosly in Francia, accogliendo due handicappati mentali adulti. Da quel primo nucleo, l’esperienza si è

andata sviluppando e diffondendo in tutto il mondo.

Molto presto la gente che si somiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, il nostro modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo. Ci si nutre l'uno dell'altro; ci si lusinga: «sei meraviglioso», «anche tu sei meraviglioso», «noi siamo meravigliosi perché siamo i furbi, gli intelligenti». Le amicizie umane possono cadere molto in fretta in club di mediocri in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga a vicenda e ci si fa credere di essere gli intelligenti. Allora l'amicizia non è più un incoraggiamento ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, a essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più attenti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto, verso la terra promessa della liberazione. L'amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni. Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù. In una comunità ci sono anche delle «antipatie». Ci sono sempre delle persone con le quali non mi intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia libertà. La loro presenza sembra minacciarmi e provoca in me delle aggressività, o una forma di regressione servile. In loro presenza sono incapace di esprimermi e di vivere. Altri fanno nascere in me dei

20

sentimenti di invidia o di gelosia: sono tutto quello che io vorrei essere, e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono. La loro radiosità e intelligenza mi rimanda alla mia indigenza. Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro incessante richiesta affettiva. Sono obbligato a respingerli. Queste persone sono mie «nemiche»; mi mettono in pericolo; e anche se non oso ammetterlo , le odio. Certo, quest'odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero! La loro scomparsa, la loro morte, mi apparirebbero come una liberazione. E naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità, come questi blocchi fra sensibilità diverse. Queste cose vengono dall'immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli. Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno certo dei clan all'interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità, ma dei gruppi di persone, più o meno chiusi su se stessi e bloccati nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sotterranee. Le persone non si guardano in faccia. Quando si incrociano nei corridoi, sono come nèi nella notte. Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzolo delle «amicizie» per tendere la mano al «nemico». Ma è un lungo cammino. Una comunità non si fa in un giorno. In realtà, non è mai fatta sta sempre progredendo verso un amore più grande, oppure regredendo. Il nemico mi fa paura. Sono incapace di ascoltare il suo grido, di rispondere ai suoi bisogni: i suoi atteggiamenti aggressivi e dominatori mi soffocano. Lo fuggo o vorrei che scomparisse. In realtà, egli mi fa prendere coscienza di una debolezza, di una mancanza di maturità, di una povertà nel mio intimo. Ed è forse questo che rifiuto di guardare. I difetti che critico negli altri sono spesso i miei propri difetti che rifiuto di guardare in faccia. Coloro che criticano gli altri e la comunità, e cercano una comunità ideale, stanno spesso fuggendo i loro propri difetti e debolezze. Essi rifiutano il loro senso di insoddisfazione, la loro ferita.

21

Il messaggio di Gesù è chiaro: «E io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi maltrattano. A chi ti colpisce su una guancia, porgi anche l'altra... Se amate coloro che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso» (Lc 6,27ss.). Quando accetto di avere debolezze e difetti ma anche di poter progredire verso la libertà interiore e un amore più vero, allora posso accettare difetti e debolezze degli altri; anche loro possono progredire verso la libertà dell'amore. Noi siamo tutte persone mortali e fragili, ma abbiamo una speranza, perché è possibile crescere. Ma è possibile accettare se stessi con le proprie tenebre, debolezze, anche colpe, paure, senza la rivelazione che Dio ci ama? Quando si scopre che il Padre ha mandato il suo unico Figlio non per giudicarci e condannarci ma per guidarci sulla via dell'amore; quando si scopre che egli è venuto a perdonarci perché ci ama nel profondo del nostro esserci, allora possiamo accettare noi stessi. C'è una speranza: Non siamo chiusi per sempre in una prigione di egoismi e di tenebre. E' possibile amare. Così diviene possibile accettare gli altri e perdonare. Finché non vedo nell'altro che delle qualità che riflettono le mie, non c'è possibilità di crescita; la relazione resta statica e presto o tardi si spezzerà. Una relazione tra persone non è autentica e stabile che quando è fondata sull'accettazione delle debolezze, il perdono e la speranza di una crescita. Se il culmine di una vita comunitaria è nella celebrazione, il suo cuore è il perdono. La comunità è il luogo del perdono. Nonostante tutta la fiducia che possiamo avere gli uni negli altri, ci sono sempre parole che feriscono, atteggiamenti in cui ci mette davanti agli altri, situazioni in cui le suscettibilità si urtano. E' per questo che vivere insieme implica una certa croce, uno sforzo costante e una accettazione che è un mutuo perdono di ogni giorno. S. Paolo dice: «Voi dunque, eletti di Dio, santi ed amati, rivestitevi di sentimenti di misericordia, di benevolenza. di umiltà, di dolcezza, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se uno ha contro l'altro qualche motivo di lamentela; il Signore vi ha perdonato, fate lo stesso a vostra volta. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E

22

siate riconoscenti» (Col 3,12-15). Troppe persone vivono in comunità per trovare qualcosa, per appartenere ad un gruppo dinamico, per avere uno stile di vita prossimo ad un ideale. Se si entra in una comunità senza sapere che vi si entra per scoprire il mistero del perdono, se ne sarà presto delusi. Al cuore della comunità c'è il perdono e la festa. Sono le due facce di una stessa realtà, quella dell'amore. La festa è un'esperienza comune di gioia, un canto d'azione di grazie. Si celebra il fatto di essere insieme, e si rende grazie per il dono che ci è stato fatto. La festa nutre i cuori, ridona la speranza e una forza per vivere le sofferenze e le difficoltà della vita quotidiana. Più un popolo è povero e più ama la festa. Ogni persona, e soprattutto i poveri, vive il quotidiano con tutto ciò che implica di fastidioso: i giorni si assomigliano, si sporca, si pulisce, si rivolta la terra, si semina, si raccoglie, e sempre nell'insicurezza. Ma la persona umana ha bisogno di altro. Il suo cuore è più grande dei limiti del quotidiano. E' assetato di felicità che sembra inaccessibile sulla terra; ha il gusto dell'infinito, dell'universale, dell'eterno, di qualcosa che dia un senso alla vita umana e a quel quotidiano fastidioso. La festa è come un segno di quell'aldilà che è il cielo. E' il simbolo di quello a cui l'umanità aspira: un'esperienza di comunione.

(tratto da: J. Vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano, 2003)