8. I gamberi peneidi di interesse per l’allevamento termici, purché graduali, fino a +2, +3 C...

23
1 8. I gamberi peneidi di interesse per l’allevamento Il gambero peneide più diffusamente allevato, al presente, nel Mediterraneo è Marsupenaeus japonicus. L’interesse nell’area per questo gambero è stata determinata, originariamente, dalla somiglianza alla specie autoctona Melicertus kerathurus, non adatto per allevamento; tale affinità rappresentava un fattore importante all’epoca dell’introduzione, alla fine degli anni ’70, quando i consumatori europei nutrivano radicate pregiudiziali nei confronti di gamberi che fossero diversi per colore e forma da quelli conosciuti localmente (Lumare, 1988). I fattori che giocarono a favore dell’introduzione di M. japonicus, oltre quello già indicato, possono essere riassunti nei seguenti punti: buon tasso di accrescimento, resistenza alla basse temperature, rusticità intrinseca che gli permette di sopravvivere anche per qualche giorno fuori dall’acqua, caratteristica importante questa per la commercializzazione del prodotto, anche su mercati distanti. L’attuale consumatore italiano accetta gamberi di diversa provenienza e pigmentazione, dimostrando con ciò di avere superato le molte diffidenze esistenti in passato, anche se permangono ancora spiccate preferenze legate alla forma e colore dell’animale. I principali criteri dei quali si tiene conto per individuare specie di gamberi peneidi potenzialmente valide ai fini dell’allevamento possono essere sintetizzati nei seguenti punti: 1) livello di facilità nella riproduzione e produzione del novellame; 2) elevato tasso di accrescimento; 3) basse richieste nutrizionali; 4) alta densità di stoccaggio; 5) grande tolleranza alla salinità; 6) elevato rendimento produttivo. Febo Lumare, 2001. Studio sulla localizzazione di aree potenzialmente idonee alla gambericoltura in provincia di Cagliari. UNIRIGA (ed), 27 luglio 2001, Lecce: 289 pp

Transcript of 8. I gamberi peneidi di interesse per l’allevamento termici, purché graduali, fino a +2, +3 C...

1

8. I gamberi peneidi di interesse per l’allevamento

Il gambero peneide più diffusamente allevato, al presente, nel Mediterraneo

è Marsupenaeus japonicus. L’interesse nell’area per questo gambero è stata

determinata, originariamente, dalla somiglianza alla specie autoctona

Melicertus kerathurus, non adatto per allevamento; tale affinità

rappresentava un fattore importante all’epoca dell’introduzione, alla fine

degli anni ’70, quando i consumatori europei nutrivano radicate

pregiudiziali nei confronti di gamberi che fossero diversi per colore e forma

da quelli conosciuti localmente (Lumare, 1988).

I fattori che giocarono a favore dell’introduzione di M. japonicus, oltre

quello già indicato, possono essere riassunti nei seguenti punti: buon tasso

di accrescimento, resistenza alla basse temperature, rusticità intrinseca che

gli permette di sopravvivere anche per qualche giorno fuori dall’acqua,

caratteristica importante questa per la commercializzazione del prodotto,

anche su mercati distanti.

L’attuale consumatore italiano accetta gamberi di diversa provenienza e

pigmentazione, dimostrando con ciò di avere superato le molte diffidenze

esistenti in passato, anche se permangono ancora spiccate preferenze legate

alla forma e colore dell’animale.

I principali criteri dei quali si tiene conto per individuare specie di gamberi

peneidi potenzialmente valide ai fini dell’allevamento possono essere

sintetizzati nei seguenti punti:

1) livello di facilità nella riproduzione e produzione del novellame;

2) elevato tasso di accrescimento;

3) basse richieste nutrizionali;

4) alta densità di stoccaggio;

5) grande tolleranza alla salinità;

6) elevato rendimento produttivo.

Febo Lumare, 2001. Studio sulla localizzazione di aree potenzialmente idonee alla gambericoltura in provincia di Cagliari. UNIRIGA (ed), 27 luglio 2001, Lecce: 289 pp

2

Nel tenere conto dei suddetti parametri, vengono illustrati in tab. 7 vantaggi

e svantaggi dell’impiego in allevamento di alcune specie di peneidi, già

sperimentate nell’area del Mediterraneo.

Tab.7. Caratteristiche svantaggiose (in rosso) e vantaggiose (in blu) delle

principali specie di gamberi peneidi allevati nel Mediterraneo.

Tenuto conto che uno dei fattori limitanti della gambericoltura nel

Mediterraneo, maggiormente lamentato dagli operatori, è rappresentato dai

bassi rendimenti, ad una analisi sommaria dei dati sopra riportati la specie

che raccoglie più consensi appare essere Fenneropenaeus indicus, peneide

di origine indo-pacifica, che permette produzioni molto elevate.

Specie

Livello

difficoltà

riproduzione

Tasso di

accrescimento

Regime

alimentare

Densità

stoccaggio

Tolleranza

salinità

Rendimento

Marsupenaeus

japonicus

molto basso

medio

carnivoro

bassa

media

medio

Penaeus

semisulcatus

medio

medio

onnivoro

bassa

molto alta

medio

Fenneropenaeus

indicus

molto basso

basso

onnivoro

molto alta

molto alta

molto alto

Penaeus

monodon

molto alto

alto

onnivoro

molto alta

alta

alto

Litopenaeus

vannamei

basso

medio

onnivoro

molto alta

molto bassa

molto alto

3

Si riporta, ora, una rassegna analitica delle diverse specie di gamberi peneidi

utilizzabili a scopo di allevamento e/o ripopolamento nell’area presa in

esame nel presente studio. Di essi vengono presi in considerazione i vari

aspetti biologici, applicativi e le esperienze già maturate nell’area

mediterranea che, meglio di qualsiasi altra indicazione, servono a

sottolinearne l’idoneità alle pratiche colturali.

Melicertus kerathurus (Forskål, 1775)

Fig. 30. Melicertus kerathurus, la mazzancolla autoctona delle coste italiane

tanto apprezzata dai consumatori italiani.

Melicertus kerathurus (fig. 30), è il gamberone comunemente noto sui nostri

mercati con il nome di mazzancolla o gambero imperiale, specie che vive e

viene pescata lungo le coste italiane, ma con ampio areale di diffusione.

Essa è presente, infatti, in tutto il Mar Mediterraneo, ad esclusione del Mar

Nero, nel Mar Rosso nel quale è penetrata a seguito dell’apertura del Canale

di Suez, e nell’Atlantico. Ivi si estende dalle coste meridionali

dell’Inghilterra fino a quelle africane dell’Angola.

Questo gambero peneide vive in acque costiere da 5 a 50 m, su fondali

sabbiosi e misti a fango, talvolta sul detrito costiero. Da adulto è marino,

mentre gli stadi di postlarva e i giovanili possono frequentare gli ambienti a

4

bassa salinità (estuari, lagune etc.); esso è comunque caratterizzato da

spiccata eurialinità.

La colorazione è rosa grigiastra con bande trasversali marroni e margine

posteriore degli uropodi pigmentati in blu, con setole rossastre.

Fin dai primi anni ’70 è stato oggetto, in Italia, di studi sulla maturazione

sessuale e riproduzione in cattività (Lumare et al., 1971; Lumare, 1979;

Lumare, 1979 a; Lumare, 1971). Ne è stato tentato l’allevamento, ma con

risultati poco soddisfacenti. In prove effettuate presso un impianto del

meridione, è stata raggiunta una taglia media finale di 7,6 g in 118 giorni, da

giugno ai primi di ottobre, con una densità iniziale di stoccaggio pari 10

esemplari/m2 e somministrando cibo fresco (sarde e mitili; Lumare 1981 a).

In prove di accrescimento effettuate in saline della Spagna (salinità = 32 -

46‰, T =12,5-26°C; Rodriguez, 1981) è stata raggiunto il peso medio finale

di 29,7 g, in 17 mesi. E ciò dopo una prima fase di allevamento alla densità

di stoccaggio di 8,3 esemplari/m2 (primo anno) ed una successiva (secondo

anno), con alimentazione naturale, alla densità di 0,1 esemplari/m2.

Al lungo periodo richiesto per raggiungere la taglia di mercato in

allevamento si aggiunge un altro elemento negativo rappresentato dalla

scarsa resistenza alle basse temperature; infatti, questo peneide decede

quando la temperatura dell’acqua scende a circa +6°C, precludendone la

possibilità di svernamento nei bacini, almeno nelle aree centro -

settentrionali italiane.

In Sardegna, ed in particolar modo nella provincia di Cagliari, dati i valori

termici invernali, la specie sopravvive senza problemi allo svernamento, per

cui il suo impiego può ben prefigurarsi in interventi di ripopolamento in

stagni e lagune, oltre che in mare.

La fattibilità di tale operazione è resa, peraltro, possibile dalla facilità con la

quale questo gambero può essere indotto alla maturazione sessuale ed alla

riproduzione in cattività, consentendo la produzione di elevati numeri di

novellame, con alte percentuali di recupero e costi di produzione

relativamente bassi.

5

In merito agli interventi di ripopolamento in mare, l’operazione è facilitata

dalle abitudini di vita stanziale dell’animale che ne consentono la cattura

nell’area di 10-20 km dalla zona di semina, anche dopo un anno dal suo

rilascio. Ciò è importante in quanto assicura il recupero del prodotto nella

stessa zona di semina da parte dello stesso soggetto che ha affrontato le

spese dell’operazione, sia che si tratti di pubblico che di privato. L’impiego

di questo gambero per ripopolamento presenta, perciò, un buon vantaggio,

anche rispetto a molte specie nectoniche ugualmente riproducibili con le

tecniche dell’acquacoltura, in quanto si può prefigurare come una forma

qualsiasi di investimento alla quale deve corrispondere un profitto; ovvero

non solamente una operazione a fini sociali, ma con le dovute ricadute

tipiche delle imprese commerciali (Lumare, 2001).

Tale strategia può essere particolarmente interessante per alcune regioni

meridionali italiane, tenuto conto delle quotazioni molto elevate raggiunte

dalla specie sui mercati; recentemente, nel mese di giugno 2001, è stato

registrato sul mercato di Mazara del Vallo un prezzo al dettaglio di questo

peneide di ben 120.000 Lit./kg.

Marsupenaeus japonicus (Bate, 1888)

Fig. 31. Esemplari del gamberone giapponese, Marsupenaeus japonicus, dalla

tipica livrea a bande (kuruma in giapponese), e molto simile alla specie autoctona

mediterranea, Melicertus kerathurus, nota con il nome di mazzancolla.

6

Questo gambero (fig. 31) è uno dei peneidi a più ampio areale di

distribuzione, essendo diffuso in tutto il settore indo-pacifico, dal Giappone

-del quale è originario- alle coste settentrionali e nord orientali

dell’Australia, fino alle Isole Figi; ad ovest si estende dalle Filippine,

Malesia ed India fino alle coste sud orientali dell’Africa e, verso nord nel

Mar Rosso. Attraverso il Canale di Suez è penetrato nel Mediterraneo

orientale dove si è stabilizzato con popolazioni consistenti lungo le coste di

Egitto, Israele, Libano, Siria e Turchia meridionale.

La specie raggiunge facilmente la maturazione sessuale in cattività, anche

senza dover ricorrere ad ablazione del peduncolo oculare, sebbene tale

tecnica permetta un totale controllo ai fini della pianificazione della

produzione di uova e larve; pertanto essa riveste importanza fondamentale

nella produzione commerciale di novellame sui grandi numeri.

Questo peneide è carnivoro e, quindi, ha elevate esigenze nutrizionali, che

non vengono completamente soddisfatte dalle diete composte,

comunemente commercializzate in Europa, per cui i rendimenti risultano

relativamente bassi (dai 250 kg / ha, in estensivo, ai circa 800 kg/ha in semi-

estensivo). Il mangime, attualmente impiegato a titolo di integrazione

dietetica (Indice di Conversione Alimentare[ICA] pari a 1,2), ha un costo

che oscilla intorno alle 3.000 Lit./kg.

Questo gambero rimane vivo all’asciutto per oltre 48 ore, in condizioni di

umidità e temperatura controllate, per cui può essere esportato anche su

mercati molto distanti dalle zone di produzione.

Principali requisiti ambientali per l’allevamento sono: salinità da 5 a 50 ‰

(ottimale 20- 35 ‰) e temperatura da 16 a 32 C° (ottimale 26 - 29 C°).

La specie, tipicamente di clima temperato, può sopportare abbassamenti dei

valori termici, purché graduali, fino a +2, +3 C° (Shigueno, 1975).

Questo peneide è stato introdotto in Europa a scopo di allevamento fin dagli

anni ’70 ed attualmente rappresenta la specie maggiormente allevata in

Mediterraneo. Le forme di gambericoltura nelle quali trova applicazione

vanno dai modelli di estensivo, caratterizzati da bassi rendimenti ( 150-300

7

kg/ha in 3-4 mesi; vallicoltura veneta, le “marais” francesi, gli “esteros”

spagnoli) a quelli intensivi i cui rendimenti oscillano da 2,5 a 3,5 t/ha /anno

(in Spagna, con l’impiego di alimento costituito esclusivamente da scarto

della pesca, con eventuali integrazioni di krill; Lumare, 2001 ).

In Giappone, dove questa specie è particolarmente apprezzata, essa viene

allevata ad alte densità di stoccaggio, con produzioni che variano da 3 a 10

t/ha/anno e con una media di 5 t/ha /anno (Fast, 1992). In tal caso vengono

impiegati mangimi autosufficienti molto sofisticati il cui costo risulta, in

genere, elevato (anche oltre 10 $ USA/kg). Tenuto conto dell’indice di

conversione alimentare (ICA) pari a circa 2, il prodotto raggiunge in

Giappone dei costi di produzione molto elevati che, tuttavia, vengono

ampiamente compensati dall’elevata quotazione di mercato (circa 70 $

USA/kg ed oltre) del gambero vivo in certe epoche dell’anno. Tale elevata

quotazione ha favorito lo sviluppo di numerose iniziative di allevamento del

gambero giapponese in paesi esteri (Taiwan, Cina, Australia, ma anche

nell’area del Mediterraneo, con Spagna e Turchia) per la vendita in

Giappone del prodotto vivo, ibernato e spedito a secco, secondo sofisticate

tecniche.

Questo peneide viene consumato, preferibilmente, alla taglia compresa tra

18 e 35 g, sebbene possa raggiungere un peso massimo superiore a 100 g

(lunghezza totale massima di 225 mm nelle femmine e di 190 mm nei

maschi; Grey et al., 1983; Holthuis, 1980).

In Italia questa specie viene allevata in Veneto, Puglia e Sardegna. Molti

studi e ricerche sui modelli di accrescimento di questa specie sono stati

svolti nel Veneto (Lumare 1988; 1998; Lumare et al.,1986; 1987; 1995;

1999; 2000), caratterizzato tuttavia da clima temperato freddo (3-4 mesi

disponibili per l’accrescimento), e quindi non congeniale alla specie, ma

favorito dalla lunga tradizione nell’allevamento estensivo del pesce

(vallicoltura) e dalla presenza di vasti areali confinati di acque salmastre

gestibili anche per allevamento di peneidi.

Gli studi hanno consentito di sviluppare in questa area -non certo favorevole

climaticamente al gambero- un modello di gambericoltura semi-estensiva

8

basato sui seguenti criteri:1) fertilizzazione dell’invaso in fase di

preparazione ricorrendo a concimi organici (circa 700 kg di pollina secca in

pellet per ha); 2) risparmio dei costi energetici mediante la riduzione del

ricambio idrico (0,9% giornaliero del volume totale di acqua contenuto

nell’invaso). Ciò permette, anche, di riciclare il detrito organico all’interno

del bacino da allevamento e, quindi, di incrementare la produzione della rete

trofica a vantaggio della dieta naturale dei gamberi; 3) somministrazione,

solo dopo il tramonto, di mangimi composti di basso costo (circa 3.000

Lit./kg, ma con stabilità in acqua intorno a 30 minuti) a titolo integrativo

della dieta naturale e pari a non oltre il 60% della richiesta nutrizionale dei

gamberi; 4) mantenimento della torbidità di origine biologica (prodotta da

fitoplancton e zooplancton); 5) azioni di equilibrio ambientale mediante

fitodepurazione endogena, sostenuta dalle alghe unicellulari, e

stabilizzazione dell’ossigeno disciolto attraverso la fotosintesi clorofilliana,

durante il giorno, e con l’impiego di aeratori (almeno in numero di tre per

una potenza complessiva di circa 6 Hp/ha) durante la notte; 6) sfoltimento

della popolazione allevata nel periodo finale di accrescimento, quando la

curva di crescita corporea dei gamberi tende ad appiattirsi, mediante pesca

selettiva (bertovelli con maglia da 23 mm); questa rende possibile la cattura

degli esemplari di maggiore taglia (oltre circa 23 g), sfruttando il

dimorfismo sessuale legato appunto alla diversa pezzatura. Ciò consente il

recupero di una prima parte della popolazione in allevamento, pari a poco

più del 40 %, ed ha gli scopi sia di riequilibrare la capacità portante

dell’ecosistema con la richiesta alimentare che di abbattere il cannibalismo.

Adottando questi accorgimenti è stato possibile conseguire i seguenti

risultati: tasso di recupero finale della popolazione del 91,3%, peso corporeo

medio finale di circa 24 g, ICA di 1,04 e rendimento di 852,4 kg per ha, in

110 giorni (accrescimento settimanale della massa corporea pari a 1,5 g).

Il rendimento potrebbe essere migliorato nel caso si disponga per

l’allevamento di un arco maggiore di tempo. Nella Sardegna meridionale, in

cui il clima temperato caldo permette un accrescimento pieno di non meno

di 6 mesi, adottando circa le stesse tecniche messe in atto nel clima

9

temperato freddo della costa nord orientale italiana, la taglia media finale

raggiunge 38,5 g. Anche se la sopravvivenza può risultare minore

(dell’80%) a causa del maggiore arco di tempo di crescita, si può

conseguire un rendimento finale di 1.219 kg/ha.

Circa l’allevamento intensivo di Marsupenaeus japonicus si potrebbe

concludere che, ricorrendo a mangime specifico, ma molto costoso,

importato dal Giappone, questo incrementa notevolmente il costo di

produzione del prodotto, rendendolo non proponibile sul mercato

mediterraneo. Infatti, tale operazione potrebbe essere giustificabile solo nel

caso si voglia commercializzare il prodotto vivo, ibernato e spedito a secco

sul mercato giapponese, dove può raggiungere una quotazione di oltre 70

US $/kg.

Tale scelta implica, tuttavia, grossi rischi legati al trasferimento della merce

che potrebbero essere superati ottimizzando tale fase in modo da assicurare

la vendita del prodotto sui mercati principali del Giappone entro e non oltre

le 40 ore dal momento della preparazione per la spedizione.

Il modello di allevamento estensivo (rendimenti 400-800 kg/ha in 3-4 mesi

di allevamento), gestito ricorrendo al potenziamento trofico dell’ecosistema

da allevamento, e con eventuali integrazioni a base di diete prodotte

localmente, può trovare una buona base di applicazione nel clima temperato

freddo o moderato delle regioni italiane settentrionali e centrali. Ciò

consente di ottenere comunque un prodotto a prezzi altamente competitivi

per il mercato italiano e mediterraneo.

Nell’Italia meridionale, e maggiormente nella provincia di Cagliari che gode

di uno dei clima più privilegiati a livello nazionale per l’allevamento dei

gamberi, si presentano almeno due possibilità. Una è quella di sviluppare

una gambericoltura semi-intensiva basata sul peneide giapponese, adottando

i criteri di cui si è detto, a costi di produzione competitivi, con i rendimenti

indicati in precedenza (1.219 kg/ha) ed anche migliorabili, malgrado il

grave problema legato alla indisponibilità di mangimi realmente

autosufficienti sul mercato europeo e mediterraneo.

10

L’altra alternativa potrebbe essere, invece, l’allevamento intensivo di specie

molto meno esigenti sotto il profilo trofico, meno fossorie del gambero

giapponese e la cui riproduzione non presenti difficoltà (ad esempio,

Fenneropenaeus indicus).

Penaeus semisulcatus De Haan, 1844 E’ specie tipicamente tropicale, con area di distribuzione nel settore indo-

pacifico da dove -attraverso il Canale di Suez- si è diffusa sulle coste di

Egitto, Israele, Libano, Siria e Turchia meridionale.

La pigmentazione può essere molto simile a quella di Penaeus monodon, dal

quale si differenzia, tuttavia, per una attenuazione della componente

cromatica scura a favore di quella rossastra, a bande, sul corpo e sulle

appendici. Gli esemplari rinvenibili nel Mediterraneo orientale, invece,

presentano una pigmentazione chiara, con una leggera marcatura delle

bande in grigio ed appendici rosate (fig. 32).

La specie raggiunge, in natura, buone pezzature ( peso massimo intorno ai

130 g; lunghezza totale 228 mm nelle femmine e 180 mm nei maschi;

Holthuis, 1980)

In colture commerciali, svolte recentemente in Turchia, la specie ha

raggiunto la taglia finale di circa 20 g in 3 mesi, con densità di 2 - 4 es . m 2,

con recuperi variabili dal 50 al 95 %.

Questa specie viene allevata con successo anche in impianti commerciali

egiziani (Lumare, 2001).

La specie, in quanto predilige ambienti a salinità relativamente elevata per

accrescersi e riprodursi (campo di variabilità ottimale tra 38 e 41‰; Browdy

et al., 1986; Lumare et al; 1997) può risultare interessante per l’allevamento

nell’area mediterranea e per quella meridionale, in particolare; il fatto poi

che sia una delle specie maggiormente allevate in Egitto conferma tale

caratteristica.

11

In Italia questa specie è stata oggetto di prove di allevamento su scala

commerciale e di confronto con Marsupenaeus japonicus, nell’area della

vallicoltura veneta (clima temperato freddo).

Fig. 32. Esemplare di Penaeus semisulcatus, specie caratterizzata da rapido

accrescimento e molto apprezzata sui mercati del Mediterraneo sud orientale, dove

viene allevata e costituisce, anche, oggetto di pesca in mare.

In un primo test Penaeus semisulcatus, allevato nello stesso bacino con il

gambero giapponese -quindi nelle identiche condizioni ambientali e

gestionali- in semi-estensivo (densità di stoccaggio pari a 2,8 es. /m2), ha

raggiunto dopo 78 giorni di coltura il peso medio di 21,6 g, contro i 13,1 g

della seconda specie. In tal caso esso ha, quindi, evidenziato una

performance di accrescimento superiore al gambero giapponese del 65%

(recupero totale dei due peneidi pari all’81,4%; ICA pari a 1,6; Lumare et

al., 1999) .

In una seconda prova di confronto tra le due specie (Lumare et al., 2001),

condotta in doppio ed in bacini separati, ma con gli stessi parametri

12

gestionali, il peso medio finale di P. semisulcatus è risultato maggiore

rispetto al gambero giapponese (18,1 g contro 16,1g,) così come anche sia la

percentuale di recupero (76,5% contro 52,7%) che il rendimento (563,1

kg/ha contro 386 kg/ha), in circa 103 giorni di allevamento.

Queste prove sull’accrescimento di P. semisulcatus, sono state considerate

molto soddisfacenti, sebbene sia da ritenere che, -essendo state svolte sulla

costa nord orientale italiana, caratterizzata da bassa salinità (22 –33 ‰)- la

specie, notoriamente con preferenza per valori alini decisamente più elevati,

non abbia potuto esprimere il meglio delle proprie potenzialità di

accrescimento.

Alla luce delle esperienze svolte e degli elementi acquisiti, nonché delle

caratteristiche biologiche e morfologiche, la specie potrebbe trovare una

collocazione molto interessante nella gambericoltura della Sardegna,

notoriamente carente di risorse idriche dolci o ipoaline. Sarebbe perciò

fortemente raccomandabile che di detta specie venisse svolta ivi una

adeguata sperimentazione sull’accrescimento ad orientamento produttivo,

per verificarne la rispondenza alle specifiche condizioni ambientali.

Fenneropenaeus indicus (Milne Edwards, 1837)

Specie (fig. 33) originaria dell’Oceano Indiano, ha la sua distribuzione

geografica dal Mar Rosso e sud Africa all’Asia sud orientale, e dalle

Filippine fino all’Australia nord orientale; essa rappresenta nella regione

anche una delle specie più importanti dal punto di vista della pesca

commerciale. E’ considerata in India la più importante specie dal punto di

vista economico e quella maggiormente allevata in estensivo nel sud est

asiatico ed in policoltura con il riso nella zona di Kerala.

Questo peneide da un certo tempo sta sollevando l’interesse degli allevatori

per il fatto che tollera condizioni della qualità dell’acqua anche scadenti,

meglio che Penaeus monodon. Esso può, inoltre, crescere a densità molto

13

elevate, in virtù delle abitudini di vita poco fossorie; infine, è facilmente

reperibile in natura, nelle aree di naturale distribuzione geografica.

Al contrario di molti altri peneidi da allevamento questa specie raggiunge

regolarmente la maturità sessuale nei bacini da allevamento e sopporta

valori elevati di salinità.

Fig. 33. Fenneropenaeus indicus, peneide allevato nell’Isola di Cipro e

caratterizzato da alta tolleranza nei confronti della salinità; esso è dotato di

grande capacità di segregazione e, pertanto, consente elevati rendimenti in

allevamento. Tali aspetti ed altri positivi sono da considerare molto interessanti

per la gambericoltura in Sardegna e nell’Italia meridionale, in genere.

Non raggiunge pezzature elevate: il peso massimo registrato in allevamento

è di circa 50 g; in letteratura vengono riportati valori di lunghezza totale pari

a 230 mm nelle femmine e a 190 mm nei maschi.

Questa specie viene allevata con successo a Cipro, dove permette di

raggiungere rendimenti ampiamente superiori a 10 t per ha (Lumare, 2001),

fino a 35 t per ha all’anno, con densità media di stoccaggio superiore a 150

esemplari/m2.

Le condizioni climatiche favorevoli esistenti sul territorio di Cagliari (con

almeno 6 mesi pieni per l’accrescimento) e la scarsità di acque dovrebbero

14

favorire l’adozione di questa specie che potrebbe consentire rendimenti, pur

con una stima prudenziale, ben maggiori di 5 t/ha.

Le informazioni reperibili in letteratura sull’allevamento di Fenneropenaeus

indicus in generale, ed a Cipro in particolare, sono pressoché inesistenti.

Sarebbe fortemente raccomandabile una sperimentazione a carattere

applicativo sulle potenzialità dell’allevamento di questo peneide in

Sardegna.

Penaeus monodon Fabricius, 1798 Viene chiamato comunemente anche gambero tigre gigante per la notevole

taglia che raggiunge e per le bande verticali (fig. 34) che percorrono i

segmenti addominali. Questa specie domina la produzione in quasi tutti i

paesi asiatici, eccetto Giappone e Cina, ed a livello mondiale costituisce il

56% della produzione di gamberi peneidi da allevamento (Shrimp News,

2000).

La specie, assente in natura nel Mediterraneo, è originaria dell’Oceano

Indiano e dell’Oceano Pacifico sud occidentale, con estensione dal

Giappone all’Australia, e rappresenta -tra i peneidi allevati- quello che

raggiunge la taglia maggiore (363 mm) ed ha il più elevato tasso di

accrescimento.

Questo gambero è abbastanza tollerante alla salinità elevata, ma presenta

l’inconveniente di una scarsa reperibilità dei riproduttori in natura; a ciò si

aggiunga che la riproduzione in cattività è abbastanza difficoltosa e la

sopravvivenza delle post-larve negli schiuditoi è piuttosto bassa (dal 20 al

30 %).

Esso è, infine, molto suscettibile a due delle più letali patologie di origine

virale che affliggono i peneidi: la malattia della “testa gialla” e quella della

“macchia bianca (WSVS)”.

Penaeus monodon è stato oggetto di sperimentazione su scala commerciale

in Italia ed in particolare nell’area del nord Adriatico (clima temperato

freddo) con prove di allevamento intensivo ed estensivo.

15

Fig. 34. Esemplari del gambero tigre nero, Penaeus monodon, caratterizzato da

elevatissimo tasso di accrescimento, il cui allevamento sulle coste mediterranee è

reso difficoltoso dai problemi legati alla riproduzione in cattività e dalle gravi

patologie alle quali è soggetto.

Nel primo caso, impostando la densità di semina a 9,1 es./m2 (stadio iniziale

PL41, corrispondente ad un peso medio di 0,142 g) e ricorrendo a diete di

tipo commerciale a basso costo, è stato ottenuto un rendimento di 1.208

kg/ha in 71 giorni di accrescimento (dalla data di semina a quella di inizio

delle operazioni di pesca), un recupero del 73,8%, una taglia media finale di

17,9 g (accrescimento medio ponderale di 1,8 g/settimana) ed un valore ICA

pari a 1,17 ( Lumare et al., 1993).

Nella prova di allevamento a bassa densità di stoccaggio (1,14 esemplari/m2

allo stadio di PL38 corrispondente ad un peso medio di 0,06 g) è stato

ottenuto un rendimento di 570 kg/ha in 87 giorni di allevamento con un

recupero del 95,2%, una taglia media finale di 54,8 g ed un accrescimento

ponderale medio settimanale di 4,4 g. L’allevamento, in questo caso, è stato

condotto fertilizzando il fondo del bacino in fase di preparazione ed

16

integrando la dieta naturale con piccoli quantitativi di mangime composto

commerciale (ICA pari a 0,11).

Un’altro test di allevamento condotto a densità di stoccaggio intermedia

(3,95 esemplari/m2) ha fornito, dopo 87 giorni di allevamento (con

somministrazione di fertilizzante organico e mangime composto

commerciale), un rendimento di 852 kg/ha con recupero del 91,3%, peso

medio finale di 21,8 g, accrescimento ponderale settimanale di 4,4 g ed ICA

pari a 1,04 (Lumare et al. 1995).

Le prove di allevamento intensivo già svolte su questa specie nel nord

Italia, su un periodo di 10 settimane, consentono di ipotizzare un

prolungamento dell’allevamento ad almeno 5 mesi nell’area di Cagliari; ciò

dovrebbe portare la taglia finale, stimando sempre lo stesso accrescimento

medio già indicato di 1,8 g per settimana, a 38 g, con un rendimento pari a

2.500 kg/ha (Lumare, 1998).

La taglia minima della prima riproduzione (80-100 g) raggiungibile in non

meno di 8 mesi di accrescimento, a temperature favorevoli, e la difficoltà

nell’ottenimento del novellame in schiuditoio da animali tenuti in cattività,

lasciano come unica alternativa, nel caso si volesse adottare la specie per

attività di gambericoltura produttiva, quella di importare larve e post-larve.

Le patologie virali alle quali il peneide è particolarmente sensibile e la

mancanza di certezze circa sia l’immunità da malattie dei ceppi riproduttori

che l’efficacia dei controlli sanitari sulle larve sconsigliano, per ora,

l’adozione di questa specie in allevamenti commerciali in Sardegna.

Litopenaeus vannamei (Boone, 1931)

Questo peneide è tipico della fascia tropicale e subtropicale dell’Oceano

Pacifico e presenta un areale di distribuzione che si estende dalle coste del

Messico a quelle del Perù. Fa parte del gruppo dei “gamberi bianchi”

americani (fig. 35) e rappresenta una delle specie più importanti per la

gambericoltura in Messico, Panama, Ecuador, Colombia, Venezuela,

17

Hawaii (dove è stata introdotta) ed altri paesi dello stesso areale. Esso è

stato introdotto anche nel Mediterraneo, in Grecia ed in Israele

Fig. 35. Litopenaeus vannamei, peneide molto interessante per gli elevati

rendimenti ottenibili, ma con possibili problemi di accettazione da parte del

grande pubblico a causa della pigmentazione bianca, inusuale per i gamberi del

mediterraneo. Vive in acque costiere da 0 a 72 m, su fondi fangosi, con preferenza per le

acque marine da parte degli adulti e per quelle di estuario da parte delle

post-larve e giovanili.

La taglia massima è di 230 mm e la specie è caratterizzata da abitudini di

vita non fossorie.

Esso preferisce acque non molto salate ed esprime il miglior tasso di

accrescimento a 25 ‰; i valori limiti possono essere compresi tra il 5 ‰ ed

il 45 ‰ (Tseng, 1988).

La specie appartiene al gruppo di peneidi con thelycum aperto e la

maturazione sessuale può essere indotta con il metodo di ablazione

unilaterale del peduncolo oculare o, naturalmente, in allevamento

controllato ed in vasche. L’accoppiamento avviene dalle tra le 14.00 e 15.00

18

dello stesso giorno in cui la femmina deporrà le uova, dopo il tramonto; il

maschio dopo una breve fase di corteggiamento si accoppia facendo aderire

la spermatofora, costituita da una massa mucillaginosa ricoperta da una

guaina e contenente gli spermatozoi, alla superficie ventrale della femmina,

tra il terzo ed il quinto paio di pereiopodi.

In media una femmina emette in cattività tra 50.000 e 300.000 uova e si può

riprodurre in ambiente controllato da 9 a 10 volte. La percentuale di

schiusa è mediamente del 50 %, in condizioni controllate di temperatura

(29-30 °C) e di salinità (20-30 ‰); la sopravvivenza del novellame è in

genere elevata oscillando dal 50 al 60 % ( Treece and Fox, 1993).

La riproduzione in cattività di questa specie è certamente più agevole di

Penaeus monodon, ma non così facile come Marsupenaeus japonicus.

Attualmente gli operatori del Centro America hanno a disposizione per le

attività produttive ceppi di riproduttori mantenuti in cattività, in alcuni casi

anche da circa 30 anni, indenni dalle temibili patologie virali o addirittura

patogeno-resistenti (World Shrimp Farming, 2001).

La specie utilizza bene mangimi a basso contenuto proteico (meno del

30%) e ciò ne facilita l’allevamento con l’uso di diete commerciali di basso

costo.

Questo peneide accetta elevate densità di stoccaggio (anche intorno a 100

es. / m2) che permettono rendimenti superiori a 3 t /ha in 3-3,5 mesi, con

temperature medie di 23,5-25,7 °C, percentuali di sopravvivenza tra 85 e

95% ed ICA di circa 1,7-2,6. Purtroppo le taglie finali, in tali condizioni non

sono molto elevate oscillando da 14,6 g a 17,8 g (Wyban and Sweeney,

1991).

Prove sperimentali di allevamento in piccoli bacini condotte nella Carolina

del Sud (USA) hanno permesso di effettuare raccolti di più di 12 t/ha

(Sandifer et al., 1988). Allevamenti di questo gambero in bacini di ridotte

dimensioni (0,2 ha), in impianti commerciali, hanno consentito raccolti

intorno a 5 t/ha, ma le prospettive fanno sperare in rendimenti di almeno 10

t/ha per raccolto ( Fast, 1992).

19

Altri tentativi sono stati effettuati adottando densità di stoccaggio di 45, 75 e

100 es. / m2 in bacini da 0,03 - 0,2 ha. Mantenendo un ricambio idrico

mediamente del 61% al giorno e con ICA tra 2,0 e 2,2, sono stati ottenuti

rendimenti tra 9 e 16 t/ha, in un periodo di 80-88 giorni. Stimando di poter

effettuare almeno 3,7 raccolti all’anno, la produzione potrebbe variare tra

34,2 e 60,5 t/ha per anno (Fast, 1992a).

Per la produzione commerciale si cerca, in genere, un compromesso tra i

vari fattori seminando a densità di 10-13 es. / m2; ciò consente rendimenti di

circa 1.600 kg/ha, con peso finale di 17 - 20 g, in periodi di 4 -7 mesi

(Tseng, 1988), e con la possibilità, in aree tropicali, di ottenere più di un

raccolto all’anno.

Questa specie potrebbe essere interessante per la gambericoltura in

Sardegna in ordine sia agli elevati rendimenti ottenibili che alla disponibilità

di ceppi indenni dalle principali patologie virali, nonché alla bassa richiesta

proteica nella dieta. Rappresenta invece una forte limitazione l’esigenza

della specie per le basse salinità dell’acqua ai fini del buon accrescimento;

ciò ne circoscrive la possibile adozione a quelle poche zone che dispongono

di fonti di acqua dolce o a bassa salinità.

In ogni caso sarebbe opportuno poter valutare se ai fini del rendimento

finale non abbiano maggiore peso una buona densità di stoccaggio e

l’utilizzo di diete commerciali a basso costo, piuttosto che gli effetti delle

alte salinità delle acque, aspetto ricorrente della realtà ambientale sarda.

Altre specie

Nel gruppo di peneidi potenzialmente allevabili nel Mediterraneo, per

esperienze già svolte o per affinità con i gamberi dei quali si è già detto,

meritano un accenno alcune altre specie che riportiamo di seguito.

Fenneropenaeus chinensis (Osbeck, 1765) Di questo gambero (fig. 36) è stato effettuato in Italia un unico tentativo di

allevamento, nelle valli da pesca del nord Italia, con esito positivo.

20

La temperatura minima di riproduzione viene indicata intorno ai 13 °C

(Liao and Chien,1990), mentre quella ottimale di accrescimento oscilla tra

18 e 25 °C, anche se questo peneide può crescere bene intorno ai 30 °C

(mostra segni di insofferenza oltre i 33 °C e la minima soglia termica di

sopravvivenza si colloca a 3 °C; Liao and Chien, 1990). Si adatta ad un

ampio spettro di salinità che varia dal 2 al 40 ‰ (Yang, 1990), con un

campo di variabilità ottimale tra 26 e 31 ‰ (Kim,1990). La massima

lunghezza totale varia da 180 mm nelle femmine a 150 mm nei maschi

(Holthuis, 1980), con peso medio delle riproduttrici, in natura, intorno a 76

g (Rho, 1990). Matura spontaneamente anche nei bacini esterni di

stoccaggio (Qingyin et al., 1995) ed il suo allevamento è relativamente

semplice. Uno svantaggio è rappresentato dal fatto che la specie manifesta

elevate esigenze nutrizionali nei confronti delle proteine (40-60 %),

superiori a quelle di P. monodon, ma comunque inferiori a quelle di M.

japonicus (50-65%; AAVV., 1990).

Fig. 36. Il gamberone cinese Fenneropenaeus chinensis, che presenta interessanti

possibilità di allevamento in quanto, adattandosi a temperature anche poco

elevate, potrebbe avere una stagione di accrescimento molto lunga in Sardegna.

21

Altro aspetto negativo è rappresentato dal più basso contenuto in carne

(56%) rispetto ad altre specie (61% in P. monodon e 63% in L. vannamei).

Fenneropenaeus merguiensis (De Mann, 1888)

Questo peneide (fig. 37) è originario dell’Oceano Indiano ed è diffuso

dall’Oman alla costa occidentale dell’Australia e del sud est dell’Asia, e

dalle Filippine alle coste orientali dall’Australia. Esso rappresenta in

quest’area una specie molto importante ai fini della pesca. La taglia

massima nelle femmine risulta di 240 mm e nei maschi di 200 mm.

Questo peneide viene ampiamente impiegato a scopo di allevamento in

forme estensive di gambericoltura ed ha caratteri biologici e

comportamentali in allevamento molto simili a Fenneropenaeus indicus.

E’ una specie poco fossoria ed ha il grande vantaggio di lasciarsi facilmente

catturare nelle camere da pesca dei bacini da allevamento con il flusso di

scarico dell’acqua in uscita.

Fig. 37 . Fenneropenaeus merguiensis, gambero asiatico con caratteristiche simili

a F. indicus, ma con il vantaggio di un più elevato tasso di accrescimento.

22

Non risulta, in base a dati ufficiali, che siano state effettuate prove di

allevamento di questa specie nel Mediterraneo.

Litopenaeus stylirostris (Stimpson, 1874)

La distribuzione geografica di questo peneide (fig. 38) si estende lungo la

costa del Pacifico del Sud America ed America centrale, ovvero dal Perù al

Messico.

Similmente a Litopenaeus vannamei appartiene al gruppo dei gamberi

bianchi americani ed è caratterizzato, come del resto il precedente, da

thelycum aperto.

Ad un esame generico appare molto simile al vannamei e se ne differenzia,

ad un esame macroscopico, per avere il rostro accentuatamente esteso oltre

l’articolo basale delle antennule.

Fig. 38. Litopenaeus stylirostris, altro gambero bianco americano, a thelycum

aperto, simile a L. vannamei, ma con il vantaggio di essere caratterizzato da un

tasso maggiore di accrescimento.

23

In passato l’allevamento di questa specie era molto diffuso, ma in seguito ad

una patologia virale (IHHN; Infectious Hypodermal and Hematopoietic

Necrosis) alla quale L. vannamei risultò indenne, esso venne abbandonato

per questo secondo. Tuttavia, attraverso selezione di ceppi, è stato possibile

ottenere popolazioni resistenti al virus.

Oggi L. stylirostris viene riutilizzato diffusamente in allevamento in quanto

cresce più rapidamente del vannamei pur presentando le stesse esigenze

colturali.

Attualmente il novellame dei due gamberi viene commercializzato ed

allevato insieme, senza alcuna distinzione tra le due specie; ciò lascia

supporre che i lotti importati nell’area del Mediterraneo come vannamei

possano, in realtà, essere costituiti dalle due specie.