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IL MODELLO OLOGRAFICO DELLA MENTE ED IL MODELLO OLOGONICO DEL COSMO SABATO SCALA I risultati delle ricerche condotte da Sabato Scala sulle reti neurali e sul funzionamento del meccanismo della attenzione sono alla base del modello unitario della mente proposto nel presente lavoro per spiegare la capacità intrinsecamente previsionale della mente, il meccanismo dei sogni secondo il modello junghiano, il meccanismi ed i fenomeni che caratterizzano la meditazione e, per proporre una spiegazione al fenomeni junghiano della sinconicità Il modello neurale definito ed i principi del paradigma olografico vengono rielaborati per integrare ed estendere il modello olografico di Bohm in una nuova teoria unitaria del Cosmo. Comportamento olografico nel processo mentale A questo punto possiamo introdurre l’anello mancante che lega le osservazioni del macrocosmo reale a quelle del microcosmo mentale ed al modo in cui la mente rappresenta in se i modelli del reale. Sintetizziamo di seguito, i risultati degli studi di Karl Pribram che hanno portato alla formulazione della “Teoria Olografica della Mente” 1 . L’ipotesi di fondo è che, proprio per il rilevante potere di analisi e contemporanea sintesi della informazione che è insito nella trasformazione di Fourier, il cervello usi proprio questo metodo di rappresentazione che gli consente: da un lato di distribuire uniformemente l’informazione come in un ologramma, rendendo impossibile identificare le parti in cui essa è suddivisa e rappresentata nella rete di neuroni che compongono il nostro cervello dall’altro di sintetizzarla isolando le componenti elementari principali e scartando le altre dall’altra ancora, di sovrapporre e comparare automaticamente l’informazione memorizzando non quello che si osserva, ma le componenti elementari comuni alle 1 Una ottima e chiara sintesi dei lavori di Pribram si trova al seguente indirizzo: http://www.acsa200.net/bncgroup/jponkp/ nell’articolo di Jett Prideaux del Virginia Commonewhealt University dal titolo “Comparison between Karl Pribram’s “Holographic Brai Theory” and more conventional models of neuronal computation

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IL MODELLO OLOGRAFICO DELLA MENTE ED IL MODELLO OLOGONICO DEL COSMO

SABATO SCALA

I risultati delle ricerche condotte da Sabato Scala sulle reti neurali e sul funzionamento del meccanismo della attenzione sono alla base del modello unitario della mente proposto nel presente lavoro per spiegare la capacità

intrinsecamente previsionale della mente, il meccanismo dei sogni secondo il modello junghiano, il meccanismi ed i fenomeni che caratterizzano la

meditazione e, per proporre una spiegazione al fenomeni junghiano della sinconicità

Il modello neurale definito ed i principi del paradigma olografico vengono rielaborati per integrare ed estendere il modello olografico di Bohm in una

nuova teoria unitaria del Cosmo.

Comportamento olografico nel processo mentale

A questo punto possiamo introdurre l’anello mancante che lega le osservazioni del macrocosmo reale a quelle del microcosmo mentale ed al modo in cui la mente rappresenta in se i modelli del reale.

Sintetizziamo di seguito, i risultati degli studi di Karl Pribram che hanno portato alla formulazione della “Teoria Olografica della Mente”1.

L’ipotesi di fondo è che, proprio per il rilevante potere di analisi e contemporanea sintesi della informazione che è insito nella trasformazione di Fourier, il cervello usi proprio questo metodo di rappresentazione che gli consente:

• da un lato di distribuire uniformemente l’informazione come in un ologramma, rendendo impossibile identificare le parti in cui essa è suddivisa e rappresentata nella rete di neuroni che compongono il nostro cervello

• dall’altro di sintetizzarla isolando le componenti elementari principali e scartando le altre

• dall’altra ancora, di sovrapporre e comparare automaticamente l’informazione memorizzando non quello che si osserva, ma le componenti elementari comuni alle

1 Una ottima e chiara sintesi dei lavori di Pribram si trova al seguente indirizzo: http://www.acsa200.net/bncgroup/jponkp/ nell’articolo di Jett Prideaux del Virginia Commonewhealt University dal titolo “Comparison between Karl Pribram’s “Holographic Brai Theory” and more conventional models of neuronal computation

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diverse esperienze che, poi, ricomposte determinano la ricostruzione dell’osservato nella mente

Una serie di esperimenti condotti sui gatti e sulle scimmie 2

confermano che le celle della corteccia cerebrale rispondono non allo stimolo diretto, ma alla trasformata di Fourier dello stimolo luminoso.

Infondo, se si analizza quanto i modelli di simulazione neurale e le scienze che studiano il comportamento del cervello, ci dicono, la scoperta di Pribram ha una spiegazione quasi naturale.

Un modello di simulazione neurale è un modello matematico che, adoperato per programmare opportunamente un computer, gli consente di simulare alcuni processi elementari del cervello. Il modello cui faremo riferimento, per mostrare come l’idea di Pirbram trovi conferme nella sperimentazione, é uno dei più noti e sperimentati modelli di simulazione neurale: il Perceptrone.

La cellula nervosa é composta da un nucleo centrale che “elabora segnali” provenienti dai canalicoli di ingresso detti Dentriti e li propaga alle cellule successive attraverso canalicoli di uscita detti Assoni. Il modello di simulazione di tipo Perceptrone, sostituisce i neuroni con degli elementi logici: i Perceptroni. Il singolo Perceptrone è un oggetto estremamente semplice.

Esso è un sistema costituito da una serie di ingressi assimilabili ai Dentriti di un neurone, attraverso cui questa entità riceve segnali, o direttamente dall’esterno, o da altri Perceptroni che lo precedono e che sono ad esso collegati in una rete a strati, che emula quella dei neuroni del cervello.

Ogni segnale su ciascuno dei collegamenti di ingresso, viene moltiplicato per un valore tipico di quel collegamento detto “peso”, in pratica viene “amplificato” diversamente a seconda dell’ingresso da cui proviene il segnale.

Questo sistema serve a dare, per così dire, “più o meno importanza” alla componente elementare del segnale che agisce su quel particolare ingresso.

I segnali moltiplicati e quindi amplificati in misura del peso del rispettivo ingresso vengono sommati3.

Ora, se supponiamo di alimentare ciascuno degli ingressi del Perceptrone con le componenti armoniche di un segnale luminoso decomposto secondo Fourier e di sostituire ciascuno dei pesi con il coefficiente giusto della serie di Fourier, ciò che otteniamo è proprio la “antitrasformazione “ del segnale: in pratica il perceptrone 2 De Valois e altri, 1979

3 In realtà la somma viene, poi, passata attraverso una funzione di soglia. Qeesta è una funzione che risponde linearmente (ovvero proporzionalmente) alla somma pesata degli ingressi aolo all’interno di in un certo intervallo, dopo il quale qualunque sia il valore in ingresso si ha sempre una risposta unitaria.

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ricostruisce l’immagine decomposta del segnale che all’ingresso è suddiviso in componenti semplici, in maniera analoga alla parete interna di una camera oscura.

Volendo esprimere in forma matematica quanto abbiamo appena detto si ottiene una equazione equivalente alla (1)del capitolo

5, ovvero l’equazione del teorema di Fourier che è anche l’equazione alla base del modello olografico.

E’, quindi, dimostrato che la mente ha un comportamento intrinsecamente olografico.

Se si limitasse a questo, però, il Perceptrone opererebbe solo una ricostruzione dell’immagine non “intelligente”.

In realtà il segnale derivante dalla somma pesata degli ingressi viene fatto passare per un sistema “a soglia”.

Questo tipo di circuito fa si che il segnale di uscita del Perceptrone sia in diretta proporzione rispetto all’ingresso (tanto più alto quanto più alto è l’ingresso) solo all’interno di un certo intervallo, mentre al di sopra o al di sotto di tale intervallo, l’uscita diviene rispettivamente uguale a 0 o a 1.

In altre parole la rete è in grado di rispondere in uscita con un segnale che è un SI, un NO, o una gradazione di NI relativamente ad un segnale decomposto in parti elementari e sottoposto al suo ingresso.

Il singolo Perceptrone, quindi, da una importanza diversa a ciascuna componente elementare a seconda del peso e, quindi, a seconda della specifica specializzazione che il Perceptrone acquista relativamente a quella particolare componente elementare di segnale.

In altre parole il Perceptrone si specializza nel riconoscere alcune “caratteristiche elementari” in un segnale che gli viene sottoposto all’ingresso ed informare di ciò, se posto in una rete, i neuroni successivi.

Per i neuroni successivi l’informazione relativa al “riconoscimento” di una serie di caratteristiche verrà, a sua volta, utilizzata per “riconoscere” alcune combinazioni particolari di tali caratteristiche.

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Ogni neurone del secondo strato, si specializzerà, quindi, a rilevare alcune “associazioni e combinazioni” di caratteristiche

Si intuisce facilmente che con un numero sufficiente di strati di neuroni si può arrivare ad astrazioni ed inferenze, via via più complesse riconoscendo “regolarità” e “correlazioni” nei segnali che giungono all’ingresso della rete.

Questo processo è ciò che compone le nostre “idee” sul mondo reale che altro non solo che correlazioni ed inferenze sulla realtà dettate dalla nostra esperienza.

L’apprendimento nei modelli neurali

Coma fa, un neurone - Perceptrone, ad acquisire la capacità di discernimento che gli è propria e di nessun altro neurone –Perceptrone all’interno della rete di cui è parte?

L’attività “intelligente” del Perceptrone è assicurata da un particolare processo di apprendimento il cui scopo è fare in modo che la rete dei Perceptroni generi un modello empirico della realtà; tale modello consente al Perceptrone, di “comprendere” la realtà , di osservala e di memorizzarla nello stesso tempo.

Vediamo in sintesi, come si svolge tale processo.Il calcolo del giusto “peso” per ciascuno degli ingressi di un

Perceptrone, avviene assicurato da un meccanismo automatico di correzione basato su aggiustamenti progressivi dipendenti dall’errore che il Perceptrone commette quando, dato un ingresso sottopostogli come esempio esso risponde con una uscita diversa da quella attesa.

In buona sostanza si offrono alla rete di Perceptroni, una serie di esempi di domande e risposte in sequenza continua.

La rete, pian piano, si adatta in modo che alla fine di questo processo ripetitivo, tutte le risposte offerte dalla rete siano quelle corrette indicategli con gli esempi.

Ciò fa si che la rete neurale di Perceptroni, non solo generi un modello che risponde agli esempi che gli sono stati forniti e che, in tal modo, contiene e memorizza la sequenza domanda-risposta proposta per l’addestramento, ma esso è anche uno strumento di analisi di casi simili che non facevano parte dell’insieme di esempio offerti.

Tale fondamentale caratteristica ,che rende “intelligente” la rete viene ,detta “Capacità di Generalizzazione”.

In buona sostanza una rete istruita è in grado di ragionare per similitudini a partire dagli esempi domanda-risposta offerti e quindi, è in grado di rispondere anche a domande che non gli erano mai state rivolte prima, a patto che siano analizzabili per

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similitudine sulla base degli esempi appresi o che abbiano un qualche rapporto logico tra loro, implicito nella sequenza domanda-risposta offerta per l’apprendimento.

L’aggiustamento dei pesi dei Perceptroni è un processo, fondato sulla comparazione tra il risultato atteso e quello ottenuto, che parte dalla uscita della rete e si muove “a ritroso” via via verso l’ingresso.

A questo punto evidenziamo alcuni aspetti fondamentali del meccanismo che abbiamo esposto.

Cerchiamo di sintetizzare quanto fino ad ora esposto.La rete neurale è costituita da elementi, Perceptroni, il cui

funzionamento è di tipo olografico, nel senso che tende a rappresentare segnali suddividendoli in componenti elementari il cui “peso”, viene calcolato con un procedimento empirico ed automatico di correzione.

A questo particolare comportamento estensione del modello olografico applicato, in questo caso, per mappare la conoscenza daremo il nome, come anticipato nei precedenti capitoli, di comportamento ologenico.

Il procedimento di apprendimento di una rete neurale assicura, la memorizzazione ottimale dei segnali che possono essere decomposti in componenti elementari il cui “peso” nell’ambito della rappresentazione è assimilabile alla importanza che il singolo Perceptrone fornisce a quel ingresso, nel quadro della specializzazione che ha conseguito nel corso dell’apprendimento. Ciò assicura anche la possibilità di scartare componenti inessenziali alla rappresentazione perché, almeno per quel Perceptrone hanno “poco peso”.

Il funzionamento della rete neurale può essere assimilato ad un processo di “interferenza” tra diversi segnali. E’ questo processo che fa si che la predominanza di alcune componenti ne provochi una sorta di amplificazione e di persistenza, mentre la marginalità di altre ne provochi l’automatica scomparsa durante la fase di estrazione del modello di rappresentazione e quindi durante l’apprendimento.

Questo processo di “interferenza mentale” delle esperienze consente, come nel processo olografico, l’estrazione non solo delle componenti principali di un segnale ma, nel contempo delle caratteristiche principali della realtà osservata, in pratica ne garantisce la comprensione e contemporanea, la analisi, la sintesi e la memorizzazione.

Come una lastra olografica frantumata conserva in ogni frammento l’informazione intera di ciò che l’ologramma conteneva,

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così, la memorizzazione neurale non è locale e se la rete del nostro cervello subisce danni, anche rilevanti il risultato è una perdita di “nitidezza” di alcuni ricordi, ma non del ricordo nel suo complesso.

Il cervello è, quindi, una macchina che screma, analizza, sintetizza e genera modelli rappresentativi della realtà al suo interno, in maniera ottimale e con un unico processo.

Reti neurali multistrato e numero dei neuroni

Perché una rete neurale possa essere in grado di apprendere quando espostogli in una serie di esempi di coppie “domanda-risposta” adoperato per istruirla (Training Set) è necessario che il numero di neuroni e degli strati di neuroni interconnessi, siano sufficiente a mappare interamente il problema.

Cerchiamo di capire meglio.Prendiamo il caso di un neurone di tipo Perceptrone con 2 ingressi

e, ovviamente, una sola uscita.

Indichiamo con x1 e x2 i valori di ingresso al neurone, con y quello di uscita e rappresentiamoli su un sistema di assi come in figura. Ebbene un singolo neurone come quello preso in esame è in grado di costruire nel piano una retta la cui orientazione e posizione varia al variare dei pesi di ingresso (nella finestra ogni linea tratteggiata corrisponde all’effetto di un neurone nel piano di rappresentazione della conoscenza).

Ora consideriamo il caso degli operatori logici a due ingressi AND, OR, XOR e tabelliamo le coppie domanda risposta che devono essere utilizzate per istruire la rete:

Per la AND la tabella di istruzione è:x1 x2 Y0 0 00 1 1

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1 0 11 1 1

Per la OR la tabella di istruzione è:x1 x2 Y0 0 00 1 01 0 01 1 1

Per la XOR la tabella di istruzione è:x1 x2 Y0 0 00 1 11 0 11 1 0

Ebbene se rappresentiamo i problemi sul nostro sistema di assi e dividiamo il piano cartesiano in due parti attraverso una sola retta (ovvero quella disegnata dal neurone) è possibile verificare che con un solo neurone, e quindi con una divisione in sole due zone del piano, possiamo mappare solo i problemi di AND e di OR, ma non quello di XOR che, come mostrato in figura, richiede 2 rette e quindi 2 neuroni.

Ma, ovviamente, due neuroni avrebbero 2 uscite, uno per ciascuno e quindi è necessario collegare le due uscite, in cascata ad un successivo neurone realizzando la struttura neurale con uno strato intermedio costituito da un neurone interno che elabora le uscite dei precedenti come mostrato in figura:

E’ evidente, quindi, che per risolvere problemi complessi è necessario aggiungere uno o più strati interni in cascata e più neuroni collegati agli stessi ingressi, in modo che ciascun neurone d’ingresso pre-elabori le informazioni e si specializzi riconoscendo particolari configurazioni degli ingressi e ne segnali, successivamente, la presenza agli stati successivi di che potranno, a loro volta, elaborare questa informazione di “presenza”.

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Convergenza e meccanismo dell’attenzione

Uno dei problemi tipici che affligge una rete nella fase di apprendimento, è la possibilità che incappi in minimi locali. Cerchiamo di capire di cosa si tratta prendendo proprio l’esempio della XOR.

E’ oggettivamente difficile comprendere la logica della XOR infatti se:- ad un no + no rispondiamo NO- ad un no + si rispondiamo SI- ad un SI + no rispondiamo SICi si aspetta che ad un si + si si risponda con un SI e non con un

NO come fa l’operatore logico XOR.Infatti se si prova ad istruire la rete ci sono 50 probabilità su cento

che la rete non riesca ad apprendere la logica della XOR, ovvero che, come si dice in gergo: non converga.

In realtà la non convergenza è dovuta alla presenza di quella che potremmo qualificare come una “eccezione”, esattamente quella che ci determina la perplessità che abbiamo descritto per la XOR.

E’ proprio quando è necessario “memorizzare” eccezioni senza perdere la “logica” del ciclo di istruzioni, che la rete si trova in difficoltà.

In altri termini se istruiamo la rete con una serie di esempi domanda-risposta che nascondono una determinata logica ma aggiungiamo anche alcune eccezioni che negano quella logica, la rete troverà difficoltà a mappare queste eccezioni e ad identificarle come tali. E’ possibile che, quindi, nella fase di istruzione, la rete cada in una “crisi” che impedisce di inquadrare le eccezioni, o addirittura di apprendere (se le eccezioni sono in numero elevato).

In passato, sebbene non sia mai stato pubblicato un nostro lavoro sull’argomento, abbiamo portato a compimento una serie di sperimentazioni proposte con la Ns tesi universitaria che ai tradizionali metodi di soluzione di questo problema, ne aggiungono uno nuovo ideato ispirandosi al modello mentale umano.

Abbiamo visto che la somma degli ingressi di un perceptrone, non viene proposto subito all’uscita di esso, ma viene filtrato attraverso un funzione cosiddetta sigmoidale come quella in figura:

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Si nota subito che, con valori troppo bassi o troppo alti ci x, l’uscita P(x) varia di poco: queste regioni le abbiamo chiamate “zone di saturazione” del neurone.

In buona sostanza se l’uscita del neurone finisce in queste zone, saranno necessarie grossi sconvolgimenti dei pesi per riuscire a far uscire la rete da questa situazione di stallo.

I neuroni giunti in saturazione, non sono più in grado di apprendere e “congelano” una idea che hanno ricevuto in fase di istruzione.

Questa caratteristica può, però, essere sfruttata a nostro vantaggio. Se, infatti, facciamo in modo di orientare la rete neurale facendo apprendere prima la logica di fondo nascosta nel ciclo di istruzione e, solo successivamente, sottoponendole le eccezioni, la rete congelerà la logica in neuroni saturi ed isolerà le eccezioni come tali.

Questo effetto si può ottenere attraverso una “didattica”, ovvero proponendo gli esempi in modo opportuno oppure può essere reso automatico attraverso il metodo da noi ideato e che andiamo ad esporre.

In pratica, in questo secondo caso, dobbiamo fare in modo che la rete presti estrema “attenzione” solo ai casi che nascondono una logica mentre, almeno inizialmente, ignori quelli che la spingono in direzioni errate inquadrando questi casi come eccezioni.

Per operare questa “orientazione” è sufficiente riconoscere se, dopo ogni ciclo di istruzione alla i-ma coppia di ingressi e uscite, la risposta della rete stia migliorando, o peggiorando.

In altre parole se l’errore complessivo nelle risposte fornite dopo un determinato ciclo di istruzione è più grande, vuol dire che si sta andando in una direzione errata e che quindi, i casi che hanno determinato quella direzione devono influire meno sull’apprendimento.

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E, quindi, un po’ come se ci girasse la manopola della attenzione accelerando la correzione dei pesi quando la direzione di apprendimento è giusta e riducendo la velocità quando la direzione è sbagliata.

Ebbene, questo meccanismo, che ho denominato “della Attenzione”, consente di portare sempre la rete fuori dalle situazioni di minimo locale, ma nel contempo consente alla rete di portare subito in saturazione e quindi congelare, la logica di fondo del ciclo di istruzione, pur senza ignorare le eccezioni che verranno, per così dire, memorizzate “cerchiandole” senza determinare alcuno “traviamento” della rete.

Una rete istruita adottando questo meccanismo, apprende molto prima di reti che non lo adottano, ma riesce anche a generalizzare, ovvero ad applicare in maniera ottimale, la logica che ha appreso.

Questo meccanismo ha, però, un problema: alla fine del ciclo di istruzione, la rete è “molto più convinta” di una rete tradizionale, tanto convinta che difficilmente si riuscirà a negare la logica che ha acquisito se non sottoponendola ad un ciclo di istruzione completamente privo di logica.

Conseguenze del meccanismo dell’attenzione

A nostro avviso i difetti del meccanismo dell’attenzione ora descritto, possono chiarire alcuni difetti tipici della mente quali quella della difficoltà di apprendimento in persone anziane.

Quando una sezione della nostra mente è stata istruita applicando un meccanismo o una didattica fondata sull’attenzione, tende a portare in saturazione determinate “idee” e “logiche”e quindi a fare in modo che un determinato gruppo di neuroni “congeli” specifici gruppi di idee e logiche.

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I nuovi neuroni che si aggiungono alla rete originaria con la crescita della massa celebrale o a causa della progressiva attivazione di neuroni ancora non utilizzati, porta, a nostro avviso, al supermento della distribuzione uniforme della informazione nel cervello e quindi ad un superamento della diffusione perfettamente ologenica delle idee nella mente, sia in parte sostituita da una localizzazione fisica di particolari idee e funzioni in determinate aree.

Quando, però, il cervello non produce più, o non attiva più, nuovi neuroni, la mente invecchia e diventa incapace di recepire nuovi concetti poiché questi vengono inquadrarli tentando di innestarli nelle logiche e nei modelli che si sono congelati con l’esperienza.

La mente saturata ed invecchiata (ovvero che non produce o attiva neuroni nuovi) tenderà, quindi, a mappare le “Novità” empiriche come eccezioni.

Con il crescere del numero di eccezioni legate alla incapacità di modificare modelli, comportamenti e logiche congelatisi per effetto della saturazione dei neuroni, il cervello non può che subire sempre più gravi situazioni di stress e generare sintomi depressivi connessi alla incapacità crescente di accettare il mondo esterno e le sue regole incomprensibili perché viste come eccezioni ad un modello consolidato.

Non ci soffermiamo su tutte le infinite conseguenze che queste brevi osservazioni possono determinare, ma nella sezione dedicata alle nuove medicine, torneremo su questo specifico tema in relazione alla coincidenza tra questo modello neurale e quello proposto dalla Nuova Medicina Germanica di Hamer.

Concludiamo, per ora, l’argomento segnalando a puto titolo di esempio, alcuni suggerimenti per una migliore didattica che sono conseguenza naturale del modello proposto ed in particolare: il miglior rendimento di una formazione “per esempi” e non “per nozioni” e la raccomandazione di non esagerare con gli stimoli della attenzione con il solo scopo di accelerare l’apprendimento.

La capacità previsionale della mente

Abbiamo descritto il processo di aggiustamento dei pesi parlando di comparazione tra risultato atteso e risultato ottenuto dalla rete di Perceptroni, ma chi fornisce al cervello il risultato atteso per ciascuna esperienza ed in che modo?

La risposta alla singola esperienza, adottata per istruire inl nostro cervello, non può che essere la stessa esperienza che si intende memorizzare.

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In pratica nel processo della esperienza umana, il risultato atteso in uscita è il medesimo che arriva in ingresso alla rete dei neuroni della nostra mente: ma come è possibile ciò? La rete, infatti, dovrebbe memorizzare da qualche parte ed in qualche modo, il risultato atteso compararlo con quello che si ottiene viene proposto all’ingresso di essa.

Questo, però, non è possibile visto che la funzione della rete è proprio quella di memorizzare oltre che analizzare la realtà, in pratica saremmo di fronte ad un circolo vizioso: per memorizzare dobbiamo memorizzare.

Nella soluzione di questo problema c’è e, a nostro avviso, l’elemento che rende davvero straordinario questo meccanismo offrendogli la innata capacità di percepire ologenicamente il mutamento della realtà nel tempo.

Non essendo possibile immagazzinare l’esperienza da comparare con quella sottoposta all’ingresso, il segnale deve necessariamente sollecitare la rete contemporaneamente, sia in ingresso in uscita.

Essendo, però, necessario un certo tempo per l’elaborazione con il conseguente “l’aggiustamento dei pesi” (vedi descrizione del perceptrone nei paragrafi precedenti), il segnale che la rete si ritrova in uscita (risposta), dopo l’aggiustamento non sarà lo stesso che era stato utilizzato per l’aggiustamento, ma proverrà da una osservazione di un istante successivo della realtà.

Una prova di ciò sta, ad esempio, nella caratteristica della percezione visiva umana, sfruttata nel processo cinematografico. Se si fanno sovrapporre velocemente, i fotogrammi di un film, ad una velocità superiore a 25 elementi al secondo, il cervello non è più in grado di percepire la discontinuità ed effettuerà una interpolazione tra le immagini dei fotogrammi percependo, in tal modo, il movimento.

In buona sostanza, se il fotogramma numero 1 giunge in ingresso alla rete e, contemporaneamente, in uscita ad essa, quando il cervello avrà corretto i pesi e ricalcolerà l’uscita in risposta al fotogramma 1, si troverà di fronte ad il fotogramma successivo, ovvero il numero 2.

Costatata la differenza tra la risposta che la rete offre sottoposta allo stimolo connesso al fotogramma 1, ed il fotogramma 2, che appare in uscita a causa del ritardo impiegato per l’elaborazione, la rete dei neuroni del cervello riattiva la correzione dei pesi per correggere l’errore.

Così facendo, però, si trova ad agire non più spinta dallo stimolo legato al fotogramma 1 ma a quello legato al fotogramma 3 che,

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nel frattempo, è pervenuto in ingresso ad essa. Il ciclo si ripete all’infinito almeno fino a quando non ci addormentiamo.

Questo processo determina una capacità straordinaria del cervello: quella di analizzare i segnali nello spazio e, contemporaneamente, la loro evoluzione nel tempo nello stesso momento in cui vengono memorizzati e sintetizzati, nelle componenti principali fino a quelle via via in quelle meno importanti, con il procedimento di trasformazione olografica che abbiamo descritto in precedenza.

Il cervello, secondo questa visione del processo mentale, analizza la realtà e le sue mutazioni, come un processo periodico identificandone le similitudini e quindi gli elementi che permangono come caratteristiche delle diverse esperienze sia nello spazio che nel tempo, tutto ciò elaborando un unico modello descrittivo secondo un processo ologenico.

In pratica il cervello ,oltre che una macchina che memorizza la realtà mentre la analizza e la sintetizza attraverso la decomposizione per parti gerarchicamente rilevanti, compie un ulteriore processo di analisi e sintesi delle mutazioni nel tempo ed elabora, anche in questo caso, una decomposizione per parti gerarchicamente rilevanti delle mutazioni.

Il cervello è, quindi, una macchina intrinsecamente previsionale in grado di applicare la sintesi delle evoluzioni nel tempo delle diverse esperienze reali, intuendo le leggi che ne governano il cambiamento.

Le Meditazione analizzata attraverso il modello ologenico

Il modello mentale della realtà, costruito dalla nostra mente e distribuito nella rete di neuroni che la costituiscono, se fosse interamente e globalmente percepito, ovvero reso cosciente, fornirebbe una visione ed una “comprensione globale“ (ologenica) della realtà come un insieme unico ed intimamente connesso di spazio e tempo.

Questa percezione del mondo come una unità interconnessa, può essere avvertita a livello non cosciente, poiché la interconnessione non è spiegabile razionalmente ma é una sensazione che si sviluppa proprio per il modo in cui la mente individua ed estrae le componenti elementari della realtà memorizzando l’esperienza come interconnessione e combinazione di esse.

Questa “sensazione” di unità della realtà, sebbene percepibile solo come una sorta di intuizione inconscia, può essere risalire a livello conscio attraverso la meditazione.

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La percezione conscia della realtà è, invece, data dalla “osservazione” del modello mentale della realtà relativamente ad alcuni specifici aspetti che sono quelli su cui, di volta in volta la mente si sofferma per dare risposte e quindi agire nel mondo, in base agli eventi contingenti.

In buona sostanza la mente non sfrutta il modello mentale della realtà direttamente, ma “antitrasforma” e quindi “ricostruisce” le risposte ad alcuni problemi che l’esperienza pone, applicando al modello le specifiche relative domande.

E’ qui la sostanziale differenza tra la forma di “comprensione” che si può ottenere in meditazione e quella che invece è resa tangibile a livello cosciente nel funzionamento normale della mente.

Nella meditazione il modello viene percepito senza applicare ad esso ingressi per ottenere uscite: è il modello mentale che guarda a se stesso senza interferenze.

Nel ragionamento conscio, invece, il modello viene semplicemente applicato ad un problema specifico ricavando risposte specifiche.

Volendo riprendere la metafora già adottata, nel ragionamento conscio ogni esperienza ci propone solo uno specifico aspetto della unità mentale della realtà percepita dalla nostra mente, ed è, quindi come se stessimo guardando pochi pesci nell’acquario della realtà attraverso milioni di telecamere: ciò ce li fa percepire come milioni di pesci distinti.

Ma torniamo sulla meditazione.Un esempio tipico che può esser adoperato per illustrare cosa

realmente sia un ologramma e quali sono le sue caratteristiche, è il pensare ad un proiettore di diapositive privato della lente dell’obiettivo.

In questo caso, l’assenza della lente non consente più la separazione dei singoli raggi di luce che attraversano la pellicola della diapositiva.

In presenza della lente, infatti, ogni raggio viene separato ed inviato nella direzione coerente al punto della diapositiva da cui è stato emesso, in tal modo, sul telo di proiezione si ottiene una immagine identica ma in gradita della diapositiva.

Se eliminiamo la lente tutti i raggi provenienti dai diversi i punti della diapositiva, si sommano ed interferiscono sul ogni singolo punto del telo, facendo si che su ogni punto convergano le informazioni di tutta la diapositiva.

Ciò che si ottiene è una macchia di luce, ed è singolare notare come, proprio la “coscienza” di questa macchia di luce istantanea in

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cui si trova la spiegazione di tutto, sia la più comune delle “visioni” che si ottengono in meditazione.

Meditare è, quindi, la capacità di osservare il modello mentale del mondo senza lente, rendendo conscia la “comprensione globale“ (ologenica) della realtà.

Gli effetti sono delle vere e proprie impressioni di “Ologramma” che sono percepite tipicamente, come i macchie di luce multicolore e suoni celestiali. Nelle macchie e nei suoni si “osservano” tutte le relazioni mentali inerenti la realtà in un singolo istante.

Anche i metodi tipici cui si perviene allo stato idoneo alla meditazione, sono spiegabili da questo punto di vista.

Infatti, chi pratica meditazione deve, prima di tutto, liberarsi di ogni legame con il mondo per entrare in contatto diretto con il suo modello mentale del mondo.

Questi non deve, in pratica, sottoporre ingressi alla rete neurale della sua mente, e non deve forzare pensieri; egli deve liberare la mente da ogni pensiero “particolare” che è frutto della osservazione del mondo, se si vuole, con una particolare “lente” e da una particolare direzione o punto di vista.La meditazione è, quindi, un porsi in “ascolto” cosciente del proprio subconscio intendendo con questo termine l’essenza ologenica ed interconnessa del modello empirico della realtà che la nostra mente si è costruito con l’esperienza.

Un modello schematico per la mente

Abbiamo descritto i motivi che impediscono all’uomo di adoperare direttamente la sua “visione ologenica” del mondo con tutti i vantaggi che l’intuizione totalizzante e previsionale, che ne deriva, comporterebbe. Approfondiremo ora, il tema adoperando alcuni modelli funzionali che mostrano come la mente, descritta fino ad ora come una massa unitaria ed indistinta di neuroni unitario, si suddivide.

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Un primo modello schematico può essere quello qui proposto. La visione oculare consente una prima trasformazione della

informazione (secondo Fourier) attraverso i neuroni della corteccia. Un secondo strato di neuroni organizza le informazioni del mondo esterno che gli arrivano dalla corteccia, creando empiricamente un modello ologenico che chiameremo Microcosmo.

A valle di questo, uno strato finale di neuroni si effettua l’analisi vera e propria, estraendo regole di comportamento e previsionali ed osservando, quindi, non il mondo reale ma una immagine di esso filtrata attraverso la lente del Microcosmo.

Un secondo modello che offre una spiegazione alla funzione ed alla esistenza stessa dell’inconscio è il seguente:

Come si è visto in precedenza, al di sopra di una certa soglia specifica, il neurone si comporta come se congelasse i contenuti appresi: in questo stato l’informazione congelata non è più modificabile, ma viene utilizzata così com’è senza possibilità di assimilare ulteriori esperienze.

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Questa serie di idee congelate viene via via isolata in un’area della mente a minore “Livello energetico”, dove la correzione non avviene più, perché non ha neppure senso tentarla.

In quella stessa zona dovrebbero essere contenuti neuroni simili, ovvero quelli in cui sono “incise” le informazioni istintive che la natura “registra” direttamente nella mente e che, parimenti, non possono essere modificate e non si giovano della esperienza.

Possiamo supporre che questa intelligenza arcaica, sia contenuta direttamente nel “progetto costruttivo” del DNA. Il compito di questo strato è offrire risposte immediate e fisiche a stimoli esterni, sui quali non è possibile, né necessario ragionare, ma occorre agire tempestivamente per evitare danni irreparabili all’organismo, come, ad esempio, la reazione istintiva al contatto con una superficie rovente.

Dal punto di vista dello schema precedente, e tenendo conto che il cervello genera in continuazione neuroni, é chiaro che questo strato duplice di neuroni, in parte “Preregistrato”, ed in altra parte attivo fin dalla primissima infanzia, é il più vicino ai neuroni che contengono il modello microcosmico del mondo e, quindi, anche il più vecchio.

Su questo strato, come in una cipolla, si addensano nel tempo gli strati neurali successivi man mano che si producono e si attivano nuovi neuroni.

La zona descritta registra le primissime esperienze e quindi condensa le prime certezze saturandosi per prima e congelando regole statiche che fungeranno da barriera fisica e mentale tra il microcosmo e il livello analitico della nostra mente (vedi modello precedente).

In pratica, rispetto al modello precedente, il Microcosmo ed il livello Analitico vengono separati da un ulteriore duplice strato: l’Istinto e le Regole (strato infantile ed adolescenziale della mente)

A nostro avviso è proprio “l’attenzione”, ovvero la capacità di osservazione critica e correzione, che distingue la sezione conscia da quella inconscia della nostra mente.

La minore sensibilità o coscienza dell’esistenza di quest’area, dovuto alla minore “attenzione” che la mente dedica ad essa, ne fa, automaticamente, un “cestino” in cui riversare ciò che non si desidera o ci infastidisce, vedere o sapere.

Quest’area, però, è solo in apparenza non suscettibile di “Modifiche” e quindi di apprendimento, poiché, se è vero che gli stimoli esterni non modificano i pensieri congelati finiti in questo cestino intermedio Istinto-Regole, è pur vero che se ci getto parti della mia personalità rappresentate da neuroni NON saturi, esse

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continuano a crescere e ad evolversi. assorbendo tutti gli stimoli che arrivano dall’esterno . Il motivo di questa plasmabilità ed attività di queste parti è dovuta proprio al fatto che si tratta sezioni neurali giovani e poco sfruttate in quanto immediatamente accantonate sotto il livello di coscienza.

E’ probabile che queste parti della personalità gettate nel cestino dell’inconscio, stante il modello a tre strati prima definito, finiscano nel calderone Istinto-Regole a diretto contatto con il microcosmo essendo, il processo di separazione della coscienza, condotto per lo più, nella prima infanzia ed adolescenza.

Questi neuroni non saturi, che contengono parti della nostra personalità non gradite, insieme al relativo carico di paure, ansie, problemi e dolori, sono a diretto contatto con il microcosmo.

E’ da questo contatto, e dal fatto che quest’area non è avvertita dalla psiche conscia, che deriva una visione distorta della realtà.

In pratica, la nostra visione del mondo, ovvero della immagine del mondo che è nel Microcosmo mentale, non è più oggettiva ma diviene patologica e distorta dal complesso delle personalità rigettate.

In quest’area non esiste una “analisi”, ma la mente resta puramente ologenica e di conseguenza il modello del mondo, noi stessi e tutto ciò che ci circonda, insieme alle nostre esigenze passioni desideri, in particolare quelli delle personalità rigettate, sono un coagulo unico ed ologenico che non può non sortire un effetti spesso disastrosi sulla vita quotidiana visto che questa parte della mente, da un lato non è controllata e controllabile dal Io conscio, ma dall’altro è la nostra unica finestra sul mondo.

Le radici dell’auto inganno

Abbiamo mostrato che la mente agisce e ragiona in funzione non di ciò che osserva direttamente nel mondo reale, ma della immagine del mondo reale che riceve attraverso il microcosmo mentale costituente il modello empirico della realtà.

Questa limitazione, che ha fatto ipotizzare in diverse filosofie, specialmente orientali, la impossibilità di conoscere la realtà è, solo apparente, poiché se il microcosmo fosse in rapporto diretto solo con il mondo esterno e non subisse le interferenze inconsce, offrirebbe una immagine fedele di esso, un po’ come se si guardasse il mondo attraverso una telecamera.

Lo sguardo attraverso la telecamera non sarebbe la realtà ma una fedele immagine di essa necessaria perché qualcosa di profondamente diverso dalla realtà, come la mente, possa “osservarla”: In questi termini il Microcosmo neurale costituisce

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quello che si è soliti chiamare, con uno dei tanti neologismi tecnologici moderni, una “interfaccia”.

Abbiamo, però, visto che la cultura, l’educazione, la società imprimono nell’individuo una serie di regole e di atteggiamenti comportamentali e morali che inducono in lui, una selezione tra le parti della propria personalità che si adeguano a queste regole e modelli e quelle che, invece, si allontanano da tali schemi e vanno rigettati.

Avevamo illustrato nel capitolo 4 la teoria junghiana secondo cui, in tutti gli uomini si forma, ad un certo punto, una parte della psiche che viene riconosciuta come estranea, demoniaca, mostruosa, a tale parte Jung da il nome di Ombra.

Il modello che abbiamo illustrato spiega come si forma tale “parte nera” della psiche, ma mostra anche che questa parte non è indipendente o ininfluente ai fini della nostra crescita, ma, anzi, essendo collocata nel medesimo contenitore in cui c’è il nostro modello del mondo, influenza in maniera spesso catastrofica, la nostra visione oggettiva della realtà e, purtroppo, anche le reazioni fisiologiche generando, a nostro avviso, la maggior parte delle patologie di natura autogena. Parleremo di questo aspetto nel capitolo dedicato alle nuove medicine.

E’ esattamente questo l’inganno provocato dalla nostra visione distorta del mondo, di cui parlano le discipline e filosofie che abbiamo affrontato nei primi quattro capitoli di questo volume.

Re-impossessarsi e riconoscere le parti perdute della propria psiche portandole a livello conscio, ci consente di estrarle e separarle dal modello mentale della realtà (microcosmo) facendo in modo che esse non influenzino il nostro giudizio obbiettivo e che ci facciano vedere la realtà per quello che è e non attraverso il modello patologico che ne vien fuori quando una parte incontrollata e patologica della psiche si mescola con esso. Di qui si ci rende conto della importanza di quella fase iniziale che l’alchimia, ad esempio, chiama Nigredo, ovvero quella che Jung chiamava “integrazione dell’Ombra”.

Senza questo primo passo non si può disporre di una visione oggettiva del mondo. Ecco, quindi, il perché l’alchimia imponeva, prima di affrontare ‘Opus, il totale superamento di questa fase di “Putrefazione” ovvero riconoscimento, dissolvimento e ricomposizione della parte nera della nostra psiche gettata nel cestino dell’Inconscio.

Se anche una sola parte di “nerezza” rimanesse libera di operare, essa potrebbe tranquillamente crescere e continuare ad influenzare

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la visione oggettiva del mondo, cosa tanto più grave quanto più l’alchimista ritiene oggettiva una visione che, in realtà, non lo é.

E’, quindi, chiaro perché l’alchimia non può prescindere da questo processo di purificazione ed integrazione totale dell’Io ben descritta dal motto alchemico “Solve ed Coagula”, senza la quale l’alchimista misurerebbe ed osserverebbe una realtà distorta dal proprio Ego influenzando le sue operazioni sulla materia (la parte chimica dell’attività alchimistica).

Mezzi per riconoscere ed integrare l’Ombra: i sogni

Se l’inconscio rimanesse sempre dietro il “velo di Maja” ovvero dietro il velo di ciò che è sotto il dominio della coscienza, non avremmo alcuna possibilità di recuperare le parti della psiche che progressivamente vi gettiamo. Fortunatamente esiste un momento della giornata in cui l’inconscio opera in maniera palese e visibile alla psiche conscia e questa può osservare, ricordare e, per fortuna ancora, non influenzare ciò che viene osservato: questo momento è il sogno.

Prima di poter analizzare cosa accade durante i sogni è necessario formulare un modello che spieghi, in base a quanto fino ad ora esposto, come funziona e perché esiste il sonno ed in particolare il sogno.

Il sonno, per sua stessa natura, è un intervallo temporale di riposo che, quindi, deve necessariamente essere basato su una riduzione del livello di energia impiegato per le normali attività.

A nostro avviso questa riduzione riguarda anche la “coesione” tra le diverse sezioni della mente, questa riduzione della coesione intesa come ridotto transito di segnali di interscambio tra le diverse aree della mente fa in modo che la mente si “frantumi” in parti separate ed indipendenti che, però, essendo il cervello ologenico, diventano, come per una lastra frantumata, ovvero immagini sfocate della medesima mente.

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L’attività che, a nostro avviso, costa maggiormente in termini energetici è la “tenuta della coscienza” ovvero del livello di attenzione.

Il calo del livello di attenzione ed il confinamento di esso in un area ridotta della mente, fa si che i frammenti di mente liberatisi, divengano produttori indipendenti di risposte in apparenza caotiche ma che in realtà sono richiami di esperienze passate.

E come se. Durante le ore di sonno, lo strato Regole –Istinto - Personalità rigettate – Microcosmo, si arricchisse di ulteriori strati del cervello conscio, temporaneamente liberatesi e passate sotto il libello di coscienza.

Se, quindi, le parti separate della mente contengono un modello completo ed equivalente di tutte le nostre esperienze e se ciascuna di loro inizia a produrre immagini del passato, tali immagini, da un lato vengono percepite dalla parte ancora conscia della psiche, dall’altra fungono da stimoli per l’attivazione di altre parti passive ed indipendenti della mente che contribuiscono a creare il mondo virtuale che viviamo nei sogni.In pratica nei sogni il modello del nostro microcosmo si attiva autonomamente, ma in base a cosa?

I motore di tutte le azioni è il desiderio e quindi una domanda che richiede una risposta.

Può trattarsi di una desiderio insoddisfatto durante il giorno, ed in questo caso vi è un moto di compensazione, o anche di una vera e propria richiesta della soluzione ad un problema della vita reale che ci affligge. Se il grado di separazione tra psiche nera e psiche conscia è elevato, il sonno non può che essere un sonno di sola compensazione, poiché le tensioni create dalla divisione in noi stessi necessitano di una soluzione.

Se, l’uomo, è riuscito ad operare la Nigredo alchemica, ovvero il processo di integrazione con l’Ombra, può muovere l’inconscio

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perché operi nel risolvere specifiche problematiche di ordine non psicologico ma razionale. Ci si potrebbe chiedere perché gli eventi che viviamo nei sogni non sono semplici richiami di situazioni vissute, ma paiono essere frutto di esperienze del tutto nuove o con sfumature solo vagamente similitudini al nostro passato.

La risposta a questa domanda è semplice: l’esperienza, come abbiamo detto, non è registrata nella mente, come un filo sequenziale unico di eventi temporali, ma essa è decomposta in parti elementari che si mescolano per similitudine, a tutte le esperienze passate.

Quando parte uno stimolo onirico, per empatia, una parte specifica del cervello che meglio rappresenta quello stimolo, attiva parti elementari delle nostre esperienze passate che mappano quella situazione. Si attivano, quindi, percorsi basati unicamente su similitudini e su cambi di stati d’animo che via via nascono nel sonno e che danno vita alla scena che viene sottoposta alla parte ancora cosciente della psiche.

E nell’interscambio tra le parti inconsce che costruiscono il mondo reattivo virtuale e le reazioni della parte conscia, che si sviluppa una soluzione onirica al problema o al desiderio con cui ci si era addormentati. A questo punto appare anche chiaro perché non riusciamo a ricordare i sogni.

Al momento del risveglio le parti prima separate, tornano ad unirsi, e ciò che era stato memorizzato come esperienza nell’area conscia rimasta attiva, si dissolve all’interno dei neuroni che costituivano le parti indipendenti facendo sfuggire la possibilità di ricordare ciò che abbiamo sognato sebbene, però, esperienze oniriche “forti” possano rimanere attive a livello latente. Sono queste esperienze che spesso ci danno l’idea di aver “già vissuto” quel particolare momento o quella particolare esperienza che, pure, si è presentata nella realtà come un evento non prevedibile.

Esistono, quindi, due soli modi di poter ricordare un sogno:a) L’eccesso di intensità riattiva la parte cosciente che, al

risveglio rimane impressionata e ricorda l’esperienza oniricab) Nello stato di dormiveglia si è ricostruito e fissato il ricordo

nel momento stesso il cui le parti inconsce separate tornavano in contatto con la parte conscia. In tal modo il ricordo viene fissato gradatamente e ciclicamente in tutta la mente ritornata cosciente e non si dissolve se non in parte.

Perché, però possa avvenire un discreto ricordo della esperienza onirica, è necessario che nello stato di dormiveglia, si ripercorra velocemente a ritroso dall’ultimo ricordo e senza risvegliarsi del

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tutto, ciò che è avvenuto nel sogno così che esso venga passato dalla parte inconscia a quella conscia.

Interpretazione dei sogni

Sebbene l’interpretazione dei sogni da parte di una persona estranea al sognatore, come indicato nel capitolo 4, sia in larga massima una attività difficile ma non proibitiva è anche vero che la interconnessione intima e personalissima tra gli elementi di similitudine delle varie esperienze, che costituisce e costruisce il linguaggio simbolico primario del sogno, è e sarà sempre ignota all’analista: cerchiamo, infatti, di spiegare il perché di ciò. Durante il sogno, l’inconscio ha necessità di mostrate all’Io conscio eventi, problemi e parti della sua psiche che, però, se riconosciute direttamente, verrebbero immediatamente allontanate provocando una reazione di rigetto ed il risveglio.

Se una interpretazione corretta del sogno può far uscire allo scoperto una parte della psiche rimasta occultata nel’Inconscio, è anche vero che la rivelazione di una associazione interpretativa portata a livello conscio, brucia quel simbolo e la possibilità, per l’Inconscio, di riutilizzarlo.

Se, infatti, l’Inconscio lo utilizzasse nel senso da noi compreso consciamente, renderebbe noto al conscio che sta tentando di operare su quella specifica parte della psiche e ciò porterebbe automaticamente al risveglio, poiché renderebbe il senso del sogno palese allo stesso sognatore aggirando la funzione del sogno stesso.

Ecco, quindi, che il terapista deve essere cosciente che non esiste e non potrà mai esistere un metro interpretativo univoco, stabile, omnicomprensivo ed immutabile. Non è possibile, insomma, insegnare all’inconscio un linguaggio, salvo non lo si faccia in modo “subliminale” ovvero attraverso messaggi che non vengono percepiti dal Io conscio.

Inutile, poi, aggiungere che un terapista che non abbia effettuato prima di tutto su di se la Nigredo e l’abbia portata a completo compimento, non può e non dovrebbe operare interpretazioni dei sogni che, irrimediabilmente, finirebbero per portarlo a leggere in maniera distorta, messaggi che parlano delle turbe di cui egli stesso è affetto.

L’agire subdolo dell’Inconscio potrebbe giocare su questa incapacità interpretativa del terapista e batterlo sul suo stesso terreno, adoperando simboli da lui mal interpretarti, per celare ancor di più il problema specifico al pazienta. Paradossalmente, in questo caso, il terapista non diviene la soluzione al problema ma la principale causa del suo acuirsi.

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Il collegamento tra le turbe psichiche profonde e le reazioni psicofisiologiche indotte, teorizzate da Hamer e sulle quali torneremo in seguito, che potrebbero scatenare malattie gravi e talora irreversibili, dovrebbe imporre all’analista, una prudenza estrema e, soprattutto, la capacità di rinunciare alla sua attività o richiedere una collaborazione nelle interpretazioni, quando sa di essere preda di una qualche patologia psichica anche minimale.

E’, quindi, evidente che la ricerca del senso dei propri sogni non può che essere una attività che ciascuno deve compiere da solo nella sua personalissima ricerca del risveglio della psiche.Il suggerimento esterno del terapista, se discreto e mirato, può tornare utile come torna sicuramente di massima utilità lo scambio comunitario delle esperienze oniriche ed il tentativo collettivo di interpretazione, specie quando l’analista si pone non come giudice ma come suggeritore delle interpretazioni altrui. A nostro avviso,anzi, la sola forma di interpretazione che ha un risultato positivo sul singolo è quella collettiva che, mantenendo il senso critico del confronto non polarizza l’inconscio su associazioni precostituite consentendo l’autoinganno.

Spesso, infatti, ciò che non si vede da soli in se stessi potrebbe essere visto da altri, ma la presenza di molteplici sensi interpretativi al medesimo sogno, consente all’Io una selezione critica ed autonoma della propria interpretazione garantendo un avvicinamento progressivo al problema con l’estrazione progressiva di elementi inconsci per la integrazione conscia di essi.

Integrazione dell’Ombra e Nigredo: percorsi errati

Nei precedenti paragrafi abbiamo sempre fatto riferimento alla “Integrazione dell’Ombra” e mai ad un semplice riconoscimento del Nero per “domarlo”.

Questa differenza, tutt’altro che sottile, distingue molti pseudo percorsi alchemici, dall’alchimia del modello Junghiano.

La Nigredo non é, come spesso erroneamente si pensa, una lotta senza quartiere agli istinti ed alle sensazioni per reprimerle, ma è, paradossalmente, l’esatto contrario.

Non è possibile affrontare e dominare ciò che non si conosce, anzi lo stesso “dominare le passioni” è un richiamo diretto al “desiderio di dominio” che, come illustrato nel primo paragrafo, esasperato porta ad una esaltazione dell’Ego e quindi a perseguire l’esatto contrario dell’obbiettivo che con la “putrefazione” e “Purificazione” insita nella Nigredo, si intende perseguire.

La Nigredo è l’incontro con i propri mostri inconsci. Essi sono mostri in quanto esaltano ciò che non desideriamo essere e

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riteniamo “Male”, ed, inoltre, sono inconsci in quanto li abbiamo relegati in quest’area rifiutando di conoscerli.

In realtà nulla che esiste in natura è “Male” o “Bene”, ma lo diviene se non la si conosce e non se ne comprende la funzione. Il Nero, quindi, non va negato o allontanato con una operazione di santificazione esasperata tesa a fare violenza e dominare l’Inconscio, al contrario il Nero o l’Ombra junghiana, va progressivamente “sentito”, conosciuto, avvicinato ed integrato. L’analisi dei sogni è un ottimo strumento per porre mano a quest’opera complessa, alla fine della quale il risultato deve essere quello di portare l’Ombra a livello conscio e quindi imparare a “sentire” i moti che da essa provengono e a separarli da ciò che ci proviene dal Microcosmo.

Il fine ultimo della Nigredo, se correttamente perseguito, è la possibilità di una visione oggettiva del mondo attraverso il modello microcosmico mentale, e non “disturbata” dalle passioni e pulsioni dell’Ombra.

Mezzi e metodi per pervenire alla Albedo

Abbiamo analizzato il tema della integrazione dell’Ombra, ma non ancora quello della integrazione con l’Animus/Anima ovvero la Albedo e Rubedo alchemiche.

La nostra analisi, a questo punto, diverge dalla interpretazione junghiana della alchimia e si richiama direttamente alle possibilità aperte dal modello mentale che abbiamo proposto.

A valle della Nigredo possiamo disporre di un potentissimo strumento di analisi del mondo: il microcosmo mentale che è immagine del mondo esterno. Tale immagine, però, non è solo un filtro che mappa ciò che avviene all’esterno, ma è un modello intrinsecamente previsionale del mondo. In buona sostanza l’esperienza fa si che in questo modello asettico del mondo (ed è asettico davvero se non “sporcato” dalle interferenze dell’Ombra), sia il mondo stesso e possa essere stimolato mentalmente per prevedere il funzionamento del mondo esterno.

L’Intuizione risiede nella capacità di interagire con il modello mentale microcosmico ponendogli domande ed aspettando le risposte “intuitive” che da esso vengono. L’intuizione altro non è se non la “visione” di una verità improvvisa, ed in apparenza stimolata senza che vi sia alcun processo logico ed analitico a monte di essa.

L’Intuizione, caratteristica spesso e non a torto, qualificata come intrinsecamente femminile, porta alla capacità di “sentire” la verità ovvero sentire ciò che accade all’esterno e le verità del mondo esterno, prima che esse accadano.

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In quanto processo irrazionale ma istintivo, l’intuizione è il vero oggetto della Albedo ovvero dell’Opus Lunare o Opera al Bianco secondo il modello della alchimia medievale.

Cosa significa questo dal punto di vista iniziatico ed alchemico?Una volta che si ha a disposizione un microcosmo purificato da

interferenze mentali, non perché tali interferenze non vi siano, ma perché vengono sentite e distinte da esso consentendo una visione oggettiva ed asettica, siamo pronti a leggere ed interagire con esso.

Ancora una volta il modello di interazione da apprendere, è una vera e propria integrazione e fusione della mente conscia con il microcosmo.

Questa integrazione è basata interamente su un “sentire” il microcosmo senza che la parte analitica abbia interferenza in questa attività.

L’Alchimia descrive questo processo come estrazione dell’anima maschile dall’androgino sterile prima ottenuto, e fissazione dell’anima femminile. L’anima femminile è, come Jung ben espone specie nelle sue ultime opere, l’archetipo primo della Terra ovvero del mondo e della esperienza.. Non potendo, come abbiamo mostrato, osservare direttamente il modo ma solo attraverso il Microcosmo: la forma fisica che ospita l’archetipo della Terra, della Luna, della Regina e così via, non può che essere il Microcosmo stesso.

Se con il termine “anima maschile” intendiamo l’Io conscio ed analitico”, l’estrazione e marginalizzazione di questa parte della psiche ha un chiaro significato: è necessario mettere da parte la propria volontà di “analizzare” il microcosmo imparando ad agire con mentalità “femminile” ovvero “sentendo” il Microcosmo che è rappresentazione della Terra e del Mondo esterno.

L’interazione “femminile” con il microcosmo consiste nella capacità di integrazione ed assimilazione della mente conscia al microcosmo stesso. Integrare, però, il modello empirico del mondo che è nella nostra stessa mente, vuol dire imparare a sentirsi tutt’uno con quel modello, ovvero, tutt’uno con il mondo.

Il processo che porta alla Albedo è una assimilazione del microcosmo e del mondo che rappresenta, per empatia. Lo scopo di questo processo è imparare ad armonizzare il proprio pensiero conscio con le “vibrazioni” del modello microcosmico neurale del mondo.

Spesso sentiamo parlare di “empatia” “sintonia con le vibrazioni del Cosmo”, ed altro ancora, per descrivere questo momento fondamentale di sintonia con il Creato che, come si vede, ha un suo corrispondente nella fisica della mente e nel processo alchemico.

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Il termine “sintonia di vibrazioni” non è affatto casuale poiché, non lo dimentichiamo, la rete neurale esplica null’altro che una composizione in serie di Fourier di componenti vibrazionali elementari. “Sentire” il microcosmo, vuol dire imparare a formulare domande al nostro modello del mondo e a “sentire” le risposte via via imparando a “sintonizzarsi” con le frequenze dei fenomeni naturali.

Una regolarizzazione dei ritmi di vita con i ritmi della natura è il miglior modo possibile per facilitare lo stimolo di quegli archetipi che fanno entrare in vibrazione il microcosmo mentale e che, trovando “sintonia” con le parti separate della psiche conscia, possono penetrare e, con il tempo e l’esperienza, consentire un dialogo diretto tra microcosmo inconscio e psiche conscia.

Il fine ultimo della Albedo è, quindi, assimilare il microcosmo all’Io conscio, ovvero rendere conscio ciò che è inconscio.

Questa attività non consiste solo in una estensione fisica della psiche conscia al substrato microcosmico, ma è una attivazione di sintonia tra i neuroni della psiche conscia a quelli del microcosmo inconscio.

La psiche conscia impara a “risuonare” con il microcosmo inconscio e quindi con tutto il Mondo esterno che esso rappresenta.

Il processo di sintonizzazione con il microcosmo mentale e quindi con il mondo esterno a noi, è un processo empatico puramente femminile fatto di “sentire” e quindi di sentimenti.

Non a caso il sentimento tirato spesso in gioco per indicare questa perfetta empatia, è l’Amore. E’, infatti, recuperando questa passione dagli strumenti della Nigredo purificati, che si può giungere alla perfetta empatia e sintonia con il Cosmo attraverso il microcosmo, ed al dialogo diretto tra Psiche conscia e Inconscio microcosmico e quindi con il Creato. Non è questo l’unico sentimento che va recuperato dopo la purificazione della Nigredo, ma vanno recuperati tutti i moti dell’animo, ovvero le vibrazioni che ora, però, devono essere integrate perfettamente con il microcosmo e non governarlo distorcendolo.

Tutti i sentimenti, privati degli appellativi “buono” e “cattivo”, divengono una volta purificati dalla Nigredo, l’energia vibrazionale portante che assicura la perfetta empatia e la capacità di “sentire” il microcosmo. I sentimenti “putrefatti” nella Nigredo e purificati, vengono “ricoagulati” (secondo il gergo alchemico) destinandoli a questa nuova impresa, se la purificazione connessa alla “integrazione dell’Ombra” non è avvenuta correttamente e pienamente, l’Albedo è destinata a fallire perché essa non è possibile se non condotta al “femminile” ovvero “sentendo” e quindi

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facendo uso di una versione evoluta della nostra sensibilità dissolta nella Nigredo e ri-coagulata per servire all’Albedo

L’albedo che trasforma l’Uomo donandogli la Veggenza è solo una delle due parti “magiche” dell’Opus. I suoi frutti sono sogni rivelazioni, flash intuitivi, premonizioni, ecc…, ma si tratta di “magia” al femminile.

La componente Magica donata dal completamento dell’Opera al Bianco o Albedo, ha una motivazione, ora, del tutto comprensibile poiché “integrare” il microcosmo, vuol dire “integrare” il cosmo e vibrare all’unisono con esso. Essendo, il microcosmo mentale una macchina intrinsecamente previsionale, la Preveggenza e l’Intuizione di frammenti di verità, è il conseguente frutto di questa parte del processo alchemico.

Mezzi e metodi per pervenire alla Rubedo

Cosa manca alla magia dell’Albedo per essere perfetta?Ciò che manca è la capacità di analisi, ovvero la capacità

maschile di estrapolare regole e comportamenti e quindi “comprendere” il comportamento del microcosmo purificato nella Nigredo ed integrato nella Albero, al fine di modificare il proprio agire in maniera razionale e coerente con il “sentimento” del Cosmo.

Si tratta, quindi, di un recupero della capacità maschile di analisi delle informazioni che vengono dal microcosmo depurato dalle interferenze dell’inconscio. A valle di tale processo, la psiche in sintonia perfetta con il microcosmo e con il Cosmo potrà:

a) Porre domande dirette al Cosmo attraverso il microcosmo mentale

b) Sentire le risposte dirette e veritiere del Cosmoc) Analizzare le risposte e comprendere le regole che le hanno

generate e che nel microcosmo restano inespresseCos’è quest’uomo nuovo, sintonizzato con il Creato e conscio delle sue regole, anticipatore ed analizzatore di esse se non un Dio sulla terra?Eppure questo modello manca ancora di una possibilità confermata da alcuni studi condotti dalla Università di Princeton. Il pensiero, specie se collettivo, sembra in grado di interferire con la realtà, lasciando intuire che, come ritenevano gli alchimisti, l’uomo uscito dal processo della Rubedo possa, attraverso un ulteriore passo, acquisire la capacità di trasmutazione diretta della materia attraverso l’azione esercitata con il pensiero.

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La sincronicità

Fu Jung spesso il primo a percepire la intima connessione tra alcune apparenti coincidenze e il materiale onirico che, con la sua esperienza, aveva vastamente indagato.

Attese diversi anni prima di tentare la coraggiosa impresa di pubblicare l’affascinante ipotesi connessa alla possibilità premonitiva se non addirittura attiva nella modifica della realtà, posseduta dall’Inconscio.

Jung cercò fornì dati oggettivi e misurabili sul fenomeno da lui battezzato “sincronicità”, ovvero una sorta di sincronia acasuale (non mossa dal principio di causa – effetto), atemporale ed aspaziale (ovvero indipendente dallo spazio e dal tempo, da lui verificata svariate volte, in maniera diretta ed indiretta, nel corso della sua esperienza come analista.Cercò di suggerire anche possibili spiegazioni al fenomeno centrate sulle caratteristiche dell’Inconscio Collettivo, ma non trovò una risposta soddisfacente. Vedremo, nei paragrafi successivi, come la interazione tra il modello Neurale Ologenico e quello Ologenico Cosmico possano offrire, combinati, una risposta soddisfacente.

La teoria sintropica di Luigi Fantappiè

Accanto alla ipotesi sincronica di Jung un’altra importante e parallela intuizione fu quella del matematico Luigi Fantappiè che, seppure indipendentemente da Jung, sebrò dare un modello di risposta possibile alla ipotesi junghiana. Cerchiamo di comprendere su cosa si basa l’analisi di Fantappiè.

La equazione relativistica del bilancio energetico energia-momento-massa, ammette sia soluzioni positive che negative della energia e ciò porta a dire che il principio di "conservazione", sempre valido ("Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma"), può avere soluzione anche con sistemi energetici negativi ovvero antientropici, o meglio, con sistemi che non tendono naturalmente al minimo della energia ed al massimo disordine, ma al massimo della energia ed al minimo disordine: quindi con sistemi auto-organizzanti (vedi, ad esempio, i sistemi viventi).

In forma metafisica potremmo anche dire che al Caos (solitamente connesso all Male), si contrappone un sistema organizzante e razionale (solitamente connesso al Bene), che inverte il principio di causa ed effetto. In buona sostanza gli effetti che osserviamo oggi, possono avere cause nel futuro e quindi cose in apparenza non correlate (caotiche oggi), con il passare del tempo, convergono verso una causa nel futuro e quindi il divenire del mondo ha componenti finalistiche.

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L’universo ologonico è totalmente Karmico: la teoria sintropica di Fantappiè come conseguenza del paradigma ologonico

Il comportamento entropico delle entità non biologiche (tendenza alla minima energia ed al massimo disordine) é esattamente contrario alla tendenza che riscontriamo nelle strutture biologiche, che organizzano energia traendone ordine e strutture sempre più complesse.

La teoria di Fantappiè é una interessante ed assai elegante risposta a questa osservazione oggettiva. Proviamo ad applicare il paradigma ologonico, non o solo alle variabili spaziali, ma anche al tempo .

Supponendo uniforme il flusso del tempo, se si considera tutto interferenza di vibrazioni elementari e quindi di informazioni, il "ritardo" nella informazione e la interferenza della informazione stessa con quella ritardata, fa divenire il sistema complessivo una enorme interferenza spazio-temporale, ovvero lo trasforma in una sorta di "ologramma temporale" e quindi fa in modo che il passato sia "amalgamato" al presente.

In sintesi possiamo leggere memorie del passato in ogni intervallo di tempo per quanto sia esso piccolo.

Cerchiamo di chiarire il concetto con un esempio ritornando alla lastra olografica. Supponiamo che su essa non ci sia impressa solo una immagine statica tridimensionale, ma un intera sequenza di un film. Ebbene se rompo la lastra, l’intera sequenza rimane, sebbene sfocata, in ogni frammento della lastra e quindi ogni frammento contiene passato presente e futuro della sequenza cinematografica in esso impressa.

Infatti, le dimensioni dell'intervallo di osservazione, modificano la “risoluzione” ma mantengono le componenti principali, poiché agiscono sulle componenti del segnale secondo Fourier, da quelle meno importanti a quelle via via più importanti conservando comunque il cuore della informazione per quanto piccolo sia il frammento.

Su questo principio potrebbe essere basato, a nostro avviso, ed ammesso che sia mai esistito, il leggendario Cronovisore di padre Maria Ernetti ovvero quella macchina che era in grado di catturare eventi del passato e riproporre filmati e voci sfocate.

Vi è, però, un'altra conseguenza automatica del paradigma olografico: i ricorsi storici. Infatti il paradigma olografico presuppone la realtà come composizione di interferenze e quindi somma di vibrazioni elementari, ovvero di segnali periodici.

Il risultato, cioè, è periodico e ciò comporta il ripetersi ciclico della storia, considerato come un unico gigantesco ologramma

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spazio temporale, sempre pari a se stessa come un enorme segnale collettivo interferente. Non potremmo applicare Fourier, infatti, se il segnale complessivo, ovvero la Storia dell’Universo, non avesse un principio ed una fine e non si ripetesse all’infinito.

Se si vuole, il paradigma olografico stesso é, per sua natura, intrinsecamente e totalmente Karmico, ovvero il destino scrive in modo inesorabile il futuro ed alla fine dei tempi tutto si ripete immutato.

L’etere elastico alla base del comportamento Karmico dell’Universo

Se il risultato della composizione temporale complessiva (o segnale interferente complessivo) è, quindi, periodico e si ripete nel tempo, una interferenza con il medesimo segnale ritardato, provocherebbe il ripercuotersi di eventi futuri nel presente oltre che di elementi passati nel presente.

Cerchiamo di comprendere meglio questo concetto.Ciò che transita all'istante t0 si somma a ciò che transita a quello

successivo t1 al tempo t1. All'istante t2, però, si avrebbe la somma di ciò che accade in

quell’istante con ciò che è accaduto i t1 che a sua volta portava memoria di ciò che era accaduto in t0. Iterando il ragionamento si comprende quanto detto in merito alla conservazione della memoria del passato in qualunque intervallo di tempo per quanto piccolo.

Ora, però, ad un certo punto, il periodo (storia del mondo) finisce, ed il periodo successivo (ripetersi di tutta la storia), ovvero il primo istante del nuovo periodo, interferirà con l’ultimo istante del periodo precedente.

In buona sostanza il primo istante del futuro avrà memoria di tutto il periodo precedente e quindi con esso di tutto il passato..

Ma il periodo precedente è una copia integrale di tutto ciò che sta per accadere e che accadrà durante questo nuovo ciclo, e quindi il primo istante non contiene solo il passato ma tutto il futuro del nuovo periodo.

Da qui si deduce che ogni istante successivo avrà memoria non solo del passato ma anche del futuro tutto ciò determina meccanismi automaticamente sintropici e finalistici.

Grazie a questo effetto, il periodo successivo della storia dell’Universo, non potrebbe essere pari al periodo precedente perché, interferendo con tutta la storia di esso, lo modifica. Secondo questo modello, quindi, l’evoluzione della storia dell’Universo, sebbene si ripete alla fine dei tempi, ricomincia con una marcia in

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più “la memoria di tutto ciò che è successo nel periodo storico precedente”.

Cosa, però, sarebbe necessario avere per questo effetto "linea di ritardo"? Un etere massimamente elastico ma comunque non istantaneamente deformabile, ovvero un etere che mantiene memoria del transito.

Riassumendo, se l'universo é ologonico e se l'etere esiste ed è perfettamente elastico, la teoria di Fantappiè è una conseguenza stessa del paradigma ologonico.

Il modello cosmologico neurale: la mente di Dio

Abbiamo mostrato come il paradigma olografico, per sua stessa natura, è rigidamente Karmico ovvero per la natura stessa del teorema su cui si fonda, ovvero Fourier, porta ad affermare che il segnale spazio-temporale complessivo che rappresenta tutto l'Universo e nel contempo tutta la sua storia, é periodico e, quindi ,si ripete identico a se stesso dopo ogni ciclo o periodo.

Abbiamo anche mostrato come l'ipotesi sintropica ovvero l'inversione del principio causa effetto (nel futuro le cause di effetti presenti nell'oggi e quindi il comportamento finalistico della materia biologica, contrapposto a quello entropico della materia non biologica) elaborato dal matematico Luigi Fantappiè sia nella natura stessa dell'Universo Ologonico, a patto che vi sia una sovrapposizione o interferenza temporale oltre che spaziale dei segnali elementari (se si vuole gli archetipi originari o lettere del Verbo di Dio), che compongono il tutto universale.

Perché ciò accada, però, é necessaria una "linea di ritardo" ovvero un mezzo che permei tutto lo spazio vuoto e che risponda "memorizzando" gli stimoli, in modo che ogni istante offra un segnale che é interferenza con quello precedente ritardato, che a sua volta porta memoria dell’istante precedente ed in cascata, quindi, di tutto il passato.

Come si è affermato, essendo il segnale complessivo periodico, nel segnale interferente attuale c'è, non solo il passato ma anche il futuro e quindi la "direzione finalistica", ovvero sintropica e anticausale, oltre che quella entropica causale.

In buona sostanza un etere perfettamente elastico che funge da linea di ritardo rende la teoria sintropica una conseguenza del paradigma olografico.

Questo modello congelato e ripetitivo ciclico della Cosmologia e della cosmogenesi é però rappresentabile in altro modo, senza modifiche sostanziali, sostituendo all'etere, un modello neurale di rappresentazione del Cosmo.

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Per capirlo dobbiamo soffermarci su che cosa afferma il teorema di Fourier e quindi entrare nel cuore matematico del modello ologonico.

Ebbene secondo Fourier ogni segnale periodico (ripetitivo), comunque complesso, può essere rappresentato come somma di segnali semplici (ovvero oscillazioni elementari), che hanno un periodo (durata del pezzo che si ripete sempre identico), multiplo di quello di base (il periodo del segnale originario).

Questi segnali elementari, prima di essere sommati vanno pesati, ovvero ogni sinusoide viene moltiplicata per un valore che ne amplifica o riduce l'effetto complessivo sul segnale finale.

Ora, questo oggetto può essere descritto, o utilizzando segnali reali fatti interferire fisicamente, o sostituendo tutto con un oggetto (sistema) che si comporta nello stesso modo: un neurone.

Ripetiamo, in estrema sintesi, come funziona un neurone nel modello Perceptrone descritto nei precedenti capitoli.

Il neurone, almeno secondo il modello denominato Perceptrone, é un oggetto con N ingressi ed una sola uscita, che può valere 0 o 1, o tutte le frazioni intermedie; in pratica una uscita che può essere vista come un "SI" uno "NO", o tutte le gradazioni possibili di "NI".

Se all'ingresso singolo del neurone supponiamo venga imposta per convenzione una particolare sinusoide elementare, e se l'ampiezza di questa sinusoide equivale al peso, ovvero il moltiplicatore che applichiamo a quel particolare ingresso, si ha che ogni ingresso equivale ad una componente elementare secondo Fourier del segnale finale.

Il neurone, infatti, non fa altro che, come una serie di Fourier, sommare gli ingressi, che per convenzione supponiamo rispondere a particolari sinusoidi elementari, e fornire in uscita un "si ho riconosciuto" quel particolare segnale, oppure "no non ho riconosciuto" quel particolare segnale, o ancora "forse ho riconosciuto con una probabilità di...", oppure "forse non l'ho riconosciuto con una probabilità di...".

In buona sostanza, un singolo neurone può rappresentare secondo Fourier qualsiasi segnale e divenire, esso stesso, un "rivelatore" di un particolari segnali complessi, o della presenza delle componenti principali di un segnale complesso.

In pratica non solo un neurone memorizza il segnale, ma visto che risponde anche con dei "forse", é in grado di elaborare, e quindi riprodurre, una risposta anche basandosi su similitudini, ovvero, é in grado di riconoscere segnali simili perché ne riconosce alcune delle componenti elementari semplici.

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Se combiniamo questo neurone facendolo diventare uno degli ingressi ad un neurone successivo, e colleghiamo ai rimanenti ingressi del un successivo neurone le uscite altrettanti neuroni precedenti, si ha che detto neurone risponde non più al segnale originario ma a quello "filtrato" dalla "mente neurale" precedente.

Se sostituiamo, quindi, i segnali reali nell'etere e quindi l'etere stesso, ad una rete di neuroni (che metafisicamente potremmo identificare con la mente di Dio), otteniamo un risultato del tutto compatibile con il paradigma olografico, ovvero un modello mentale del Cosmo.

Questa sostituzione, in apparenza complessa ma pur sempre non invasiva e distruttiva del modello, comporta la possibilità di soluzioni "non Karmiche" alla cosmologia e cosmogenesi.

Infatti la “Mente di Dio” panteistica che viene fuori da questo modello bruniano evoluto, può essere corto-circuitata su se stessa come accade per l’uomo durante lo stato onirico.

E' possibile, cioè, eliminare del tutto la necessità di una azione esterna scatenante del pensiero, ma si può supporre che il cervello di Dio produca immagini nella sezione mentale inconscia (una rete neurale che risponde agli stimoli che essa stessa crea) e risponda, a livello conscio (mente conscia di Dio), osservando, non una realtà effettiva, ma una costruzione via via autoorganizzante realizzata dal suo inconscio cosmico.

Questa teoria la ritroviamo nella cosmogenesi di alcune filosofie antiche come, ad esempio, la gnosi cristiana di Valentino, che presenta una rappresentazione mitologica del modello cosmologico olografico panteistico e neurale appena descritto.

Ma andiamo oltre. E' evidente che se la risposta complessiva non é più il risultato di

una azione su una superficie elastica passiva come l'etere, ma è generata dalla autoinduzione di una componente neurale che é l’inconscio di Dio, non vi può esser più ripetizione ciclica della storia.

Infatti alla interferenza semplice (somma pura) si è sostituito un circuito a "soglia", ovvero un circuito consapevole in cui man mano i pesi (component moltiplicative), cambiano poiché la “Mente di Dio“ apprende e “ragiona” su ciò che essa stessa genera e quindi organizza, man mano, ciò che in origine era segnale caotico.

Cerchiamo di chiarire meglio.Nella trasformata di Fourier i coefficienti moltiplicativi sono fissi e

mappano un solo segnale.Nel neurone i coefficienti si "adattano" al cambiare del segnale.

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Quello che cambia, quindi, é che, con l'evolversi della mente, i neuroni si adattano ad un particolare segnale (prodotto da altri neuroni) e, con il tempo, i segnali da questi prodotti, che dal nostro punto di vista sono entità reali su cui la mente riflette, cambiano nel tempo.

Tutto ciò fa si che la realtà, cui l'Io conscio di Dio risponde, cambia dinamicamente e si finalizza.

Ecco, quindi, che l’inconscio di Dio diviene la realtà stessa in analogia nel mito della Sophia gnostica.

Nel subconscio, i neuroni sostituiscono le entità reali, ed il subconscio stesso non é mai uguale a se stesso perché evolve ologonicamente.

Ma non é finita qui. Se supponiamo che le pulsioni, ovvero i desideri o le passioni, muovano l’inconscio di Dio al pari di quelle umane che muovono l’inconscio dell'uomo (come ipotizzato dal moltiplicarsi delle divinità nella teologia greca), la mente-etere-pensante inconscia, diviene un Universo in cui le creazioni "mentali" sono generate dalle passioni.

Tutto questo vuol dire che tutta la realtà é un mix di archetipi e simboli con cui l’inconscio di Dio, ovvero il Demiurgo gnostico, parla all'io conscio di Dio, ovvero al Padre gnostico.

Ecco perché gli gnostici invitano l'Uomo ad osservare la natura, non per quella che è, ma come un archetipo gigantesco da interpretare. Se si interpreta l'archetipo, si sa cosa realmente desidera l’inconscio di Dio, e ci si può sintonizzare con esso: ovvero divenire coscienti.

Ora, se la mente dell'Uomo é solo una immagine archetipica prodotta come evoluzione del pensiero divino, e se essa é parte, non dell'Io inconscio neurale demiurgico, ma é immagine dell'Io conscio di Dio, ogni uomo e la sua mente, é una immagine mentale nella mente Dio, ovvero è una immagine distribuita uniformemente nella mente di Dio ma concentrata, per la parte principale, in alcuni neuroni di questa mente che danno vita alla coscienza del singolo.

Il Padre originario del modello gnostico cristiano di Valentino, é la somma interagente di tutte le menti che man mano prendono coscienza ciascuna, che la realtà non é altro che parte (quella inconscia) della stessa mente di Dio che pensa.

Quindi il Padre e una parte dell'Etere neurale che pensa, leggendo la realtà prodotta dalla parte Inconscia della mente di Dio stesso, ovvero il Demiurgo gnostico.

In altre parole, un pezzo conscio della mente di Dio legge l'altra metà inconscia della mente di Dio ed insieme costituiscono il totale

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dell’ Abisso-Etere-Mente neurale, volendo adottare una terminologia pseudo-gnostica

In questa ipotesi ogni frammento della mente di Dio, che prende coscienza di questo status, si appropria di una parte dell'Inconscio e nel contempo diviene conscia di se stessa.

L'Uomo, come entità pensiero della mente di Dio Padre, é una immagine che é essa stessa archetipo ovvero pensiero e mente al contempo.

Il Pleroma gnostico, ovvero l'unione con il Padre, non é altro che la presa di coscienza collettiva della non separazione tra le entità pensanti, ma nel contempo la presa di coscienza che la realtà é illusoria.

La Realtà è una matrice - pensiero frutto della parte Inconscia di Dio.Il modello Cosmologico globale che è stato proposto non é solo un modello filosofico ma é anche matematicamente sviluppabile e definisce, altresì, gli elementi primordiali per comprendere tutto il reale attraverso un insieme unico di equazioni ispirate al modello neurale.