70esimi notiziario - Reggio Emilia · Il lavoro di Giulia e Alessia della 4B della Scuola primaria...

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Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLVI - N. 07-08 di settembre-ottobre 2014 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia notiziario 07-08 2014 settembre- ottobre 03 editoriale Quale riforma del lavoro Fiorella Ferrarini 05 politica Intervista a Luca Vecchi Claudio Ghiretti 09 società Intervista a un agente di PS reggiano Francesca Correggi 11 70esimi 70 anni fa la “settimana” del partigiano Antonio Zambonelli 70esimi

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Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLVI - N. 07-08 di settembre-ottobre 2014 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

notiziario

07-082014settembre-ottobre03 l© editorialeQuale riforma del lavoroFiorella Ferrarini

05 l© politicaIntervista a Luca VecchiClaudio Ghiretti

09 l© societàIntervista a un agente di PS reggianoFrancesca Correggi

11 l© 70esimi 70 anni fa la “settimana” del partigianoAntonio Zambonelli

70esimi

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Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70%Periodico del Comitato Provinciale Associazione Na-zionale Partigiani d'Italia di Reggio EmiliaVia Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991C.F. 80010450353e-mail: [email protected]; [email protected] web: www.anpireggioemilia.itProprietario: Giacomo NotariDirettore: Antonio ZambonelliCaporedattore: Glauco BertaniComitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo LusuardiCollaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Angelo Bariani (fotografo), Massimo Becchi, dott. Giuliano Bedogni, dott. Carlo Menozzi, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini,

Anna Fava, Nicoletta Gemmi, Claudio Ghiretti, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli

Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2-03-1970

Settembre-ottobre 2014chiuso il 15 settembre 2014Impaginazione e grafica Glauco Bertani

Per sostenere il “Notiziario”:UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840CCP N. 3482109 intestato a:Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI

notiziario

sommario

07-082014sett-ott

Il lavoro di Giulia e Alessia della 4B della Scuola primaria

di San Polo per il progetto promosso dal Comune di San Polo in collaborazione con la

Scuola dell’infanzia “Papa Giovanni XIII”,

Scuola paritaria dell’infanzia “Mamma Mara”,

Scuola elementare “Renzo Pezzani”, Scuola media “Francesco Petrarca”

Progetto 25 aprile (1945...2013)

Liberi di sognare, Liberi di parlare,

liberi di lavorare... in Pace

Festa della Liberazione

Editoriale

03 Quale riforma del lavoro?, di F. Ferrarini

Politica04 Reggio e la cultura della memoria, intervista Luca

Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, di C. Ghiretti07 L’ANPI contro le mafie, comunicato stampa08 Brescello, Poviglio e Boretto, intervista ai rispettivi

sindaci, di A. Fava11 L’Anpi e la Costituzione, il resoconto dell’incontro

pubblico del luglio scorso, di R. Zardetto

Intermezzo10 A Case Vecchie lungo il Modolena nel ricordo del

partigiano poeta Vampa

Estero12 L’inevitabile e costante fallimento dei negoziati

israelo-palestinesi, di B. Bertolaso14 “Ai compagni del Curdistan iracheno”,

di G. Notari14 Le guerre nel mondo

Società15 “Sono sempre stato orgoglioso di mio nonno

partigiano”, intervista a un agente di PS reggiano, di F. Correggi

17 Lavoratori e aziende a Correggio, intervista a Renzo Giannoccolo, CGIL, di F. Tavernelli

Interventi19 Con quieto pacifismo, di F. Tavernelli20 Un 25 aprile dimenticabile, di R. Montanari

Cultura21 Non un maggio qualsiasi per Maria,

racconto di E. Carlotti - “l’Unità” è morta rimane la speranza della sua

resurrezione, di G. Notari

22 Antonio Soda, politica e cultura, un ricordo23 A. Soliani,“Tutto si muove, tutto si tiene”,

recensione di A. Fava

70esimi25 70 anni fa iniziava la lunga settimana del

partigiano, di A. Zambonelli26 L’esperienza degli sfollati a Codesino, di R. Martinelli

Memoria28 Sentieri partigiani 2014, di Chiara Guarnieri e

Annalisa Govi31 E’ passata anche per i luoghi della Resistenza la

Route del coraggio degli scout cattolici, di a.z.32 Quando il tenente della Wehrmacht Mueller

divenne partigiano, di A. Zambonelli 33 Vanni Luciano, vita di un uomo di montagna,

un’autobiografia - CAI “Cani sciolti” e ISTORECO sul sentiero

partigiano n. 5

Ricorrenze34 Festeggiato a Montalto Giannetto Magnanini

l’Opinione24 La riforma del Senato è davvero un attentato alla

Costituzione?, di G. Bertani

35 Lettere38 Lutti39 Anniversari43 I sostenitori

Le rubriche13 Segnali di pace, Saverio Morselli37 Primavera silenziosa, Massimo Becchi

In quarta di copertina: “Giornata d’aprile” è il titolo di questo bassorilievo su tavola di legno (cm. 75 x 105) con cui Armando Giuffredi (Montecchio, 1909-1986) vinse il primo premio per la scultura al concorso Arte e Resistenza indetto dall’ANPI reggiana all’indomani della Liberazione. L’iniziativa registrò la partecipazione di 30 artisti (pittori e scultori). Tra di loro gli allora giovanissimi Vittorio Cavicchioni, Nello Leonardi e Remo Tamagnini.

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editoriale

Il tema del lavoro “è uno degli impegni principali per l’AN-PI, tenuta alla salvaguardia delle disposizioni della Carta Co-stituzionale, tra le quali emergono quelle relative al lavoro, a partire dall’art. 1”, afferma il presidente Smuraglia nell’ultima newsletter. Nel secondo trimestre 2014 il tasso di disoccupa-zione in Italia è arrivato al 12,3 percento, in crescita di 0,2 punti percentuali su base annua; per gli uomini l’indicatore rimane stabile all’11,5 percento; per le donne sale dal 12,8 percento di un anno prima all’attuale 13,4 percento! Aumenta-no i divari territoriali, con l’indicatore pari all’8,4 percento nel Nord (+0,3 punti percentuali) e al 20,3 percento nel Mezzo-giorno (+0,5 punti), mentre rimane stabile al 10,8 percento nel Centro (dati ISTAT). La situazione è gravissima, specialmente per i giovani, il cui tasso di disoccupazione tra i 14 e i 25 anni ha superato il 40 percento. Scende ancora la produzione indu-striale a luglio, rispetto all’aumento nell’Eurozona.E’ stato firmato a metà settembre dal presidente Napolita-no il decreto Sblocca Italia, contenente “misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”: il decreto che prevede dieci miliardi per grandi opere. Questo è sicuramente un provvedimento neces-sario e urgente. Ma il vero elemento di discussione è il Jobs Act, il pacchetto delle proposte sul lavoro di Matteo Renzi. In Commissione sono state approvate alcune norme importanti, come la stretta sulla pratica illegale delle dimissioni in bianco per le donne, il potenziamento e la semplificazione dei contrat-ti di solidarietà, il contratto di ricollocamento, di cui dovrebbe beneficiare ogni disoccupato, la possibilità di cedere le ferie ai colleghi con figli ammalati. Rinviata alla seconda metà di set-tembre, invece, la discussione sull’articolo 4, quello sul rior-dino delle forme contrattuali, che riguarda il “contratto a tutele crescenti” e quindi il tema caldissimo dell’eventuale revisione dell’articolo 18, con l’ipotesi di escludere il potenziale rein-tegro dei lavoratori dopo un licenziamento per ingiusta causa (l’art. 18 era comunque già stato in parte “superato” dalla ri-forma Fornero senza per altro aver risolto nulla, visto che non sono affatto stati creati nuovi posti di lavoro!) La Camusso ha in proposito osservato che: “si è scivolati su una discussione secondo la quale bisogna ridurre i diritti per estenderli ad al-tri”! Nel Jobs Act, ha sottolineato la segretaria della CGIL, “molti titoli sono assolutamente condivisibili. Ma noi dopo i titoli vogliamo conoscere come si intendono applicare quelle

norme. Per noi il grande tema è l’inclusione dei giovani non garantiti nel mondo del lavoro”. La CGIL e la FIOM hanno programmato mobilitazioni dei lavoratori a ottobre. Sostiene Smuraglia che il dibattito sembra essersi subito orientato “nella direzione della eccessiva rigidità del sistema giuridico del lavoro” e delle difficoltà che si frappongono ai licenziamenti, e quello del “superamento” – ormai considerato certo e irreversibile – dello Statuto dei diritti dei lavoratori.Insomma, si parla soprattutto di regole, considerandole ingiu-stamente come elemento fondamentale per il rilancio delle at-tività produttive e dello sviluppo, come ha sottolineato sabato 13 settembre anche l’on. Bersani a Festareggio.Non si vuole sostenere che lo Statuto “non si tocca”, conti-nua il presidente ANPI, “perché è ovvio che le trasformazioni economico-sociali suggeriscono qualche modifica, qualche aggiustamento e qualche integrazione (è vero, infatti, che lo Statuto fu redatto pensando soprattutto al lavoro dipendente e stabile e dunque occorre inserire garanzie e tutele anche per le altre tipologie di lavori). La verità è che si parte dall’idea di un mutamento radicale della stessa filosofia dello Statuto. Mettere mano al quale, nella sostanza, è quasi come mettere mano, con disinvoltura, alla Costituzione”. Ci preoccupano le affermazioni di Mario Draghi secondo cui è giunto il momento in cui gli stati membri della UE, dopo aver rinunciato alla sovranità sui bilanci debbano “almeno in parte rinunciare anche a quella sulle politiche economiche”. Questo convincimento, neanche a dirlo, sembra abbia il pieno consen-so della Germania ma anche quello più o meno esplicito, più o meno forzato, degli altri Stati , tra cui l’Italia. L’autunno, dunque, come da diversi anni, si preannuncia caldo e non in senso meteorologico.Condividiamo pienamente le parole del presidente Smuraglia che conclude: “Dobbiamo insistere perché si torni alla ragio-ne e soprattutto ai princìpi-guida della Costituzione; puntando sullo sviluppo, sulla crescita, sulla innovazione e sulla ricerca; combattendo le distorsioni dell’economia, della concorrenza e del mercato, prodotte da cause esterne e illegali (corruzione e mafie)”. Dopo di che, nonostante il disfavore che si continua ad osten-tare nei confronti dei sindacati, varrebbe la pena di aprire con loro un confronto e col mondo giuridico una discussione, su un vero e proprio “piano” suscettibile di conciliare le esigenze dello sviluppo con le garanzie di sicurezza e di dignità che spettano, e devono spettare, alle persone che lavorano”.

Quale riforma del lavoro?

di Fiorella Ferrarini

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politicaReggio e la Cultura della MemoriaIntervIsta a Luca vecchI, sIndaco dI reggIo emILIa

Signor Sindaco, prima di entrare nel merito della nostra intervista, se l’aspettava una vittoria tanto netta alle elezioni del 25 Maggio scorso? E, secondo Lei, quanto hanno influito le ragioni locali e quanto le ragioni nazionali?Ogni candidatura elettorale e in particolare la candidatura a sindaco di una città, in una democrazia è sempre un ‘fatto col-lettivo’, è frutto di una scelta e di un lavoro collettivi. Mi è stato proposto di candidarmi, dalla mia parte politica certo, ma anche da tanti amici, simpatizzanti, da persone che non conoscevo e mi hanno espresso la loro fiducia. Un grande so-stegno, anche umano e affettivo, è venuto dai volontari del mio partito, che voglio ringraziare nuovamente anche attra-verso questo giornale. Posso dire che mi aspettavo di vincere

le elezioni e di vincerle al primo turno, come è avvenuto. Il notevole consenso nazionale raccolto dal Pd alle Europee è stato importante, ma ritengo che qui a Reggio abbiano voluto premiare i contenuti e il metodo della nostra campagna eletto-rale. Abbiamo spiegato onestamente che non tutto si può fare, che serve fare scelte nell’interesse della collettività. Gli elet-tori, non solo quelli tradizionalmente di centrosinistra, hanno capito. I reggiani sono gente tosta, per dirla con Francesco Guccini, sanno qual è ‘il sugo del sale’, cioè la sostanza della sostanza. Anche questo è ‘lavoro collettivo’.All’inizio del suo impegno come Sindaco di Reggio Emilia, ci dica qual è la cosa più importante che vorrebbe realizzare?Le cose importanti da realizzare sono certo più di una e sa-

di Claudio Ghiretti

Reggio Emilia, Sentieri Partigiani 2014. Cortile delle ex Officine Reggiane: il partigiano Ferdianando Cavazzini intervistato da Matthias Durchfeld; alla sua destra la partigiana Giacomina Castagnetti (foto Chiara Guarnieri)

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societàrebbe riduttivo parlare di una soltanto. A Reggio Emilia c’è un tema culturale, da portare avanti. Penso agli aspetti della Contemporaneità, della cultura e dell’espressione creativa a noi coeva, così ricca di fermenti e di desiderio di futuro, di speranza, di cambiamento. Penso alla valorizzazione della ri-sorsa intellettuale, artistica, creativa, nei campi dell’educazio-ne, della fotografia e delle diverse arti figurative, del teatro. La musica, per esempio è un campo vivace in città. Credo si debba fare uno sforzo ulteriore, che ritengo molto importante, sul tema della Memoria. Penso a un progetto di Cultura della Memoria che sia diffusivo, coinvolgente, agile, abbordabile anche dalle generazioni più giovani. La Memoria - sia essa storica in senso ‘classico’, ma anche dei luoghi, degli oggetti, delle storie di vita, dei significati – è un’aspirazione, anzi un bisogno impellente del nostro tempo. Abbiamo bisogno di ve-dere, toccare, riflettere, per poter capire e vedere il futuro, per poter comprendere il nostro status di cittadini; abbiamo biso-gno di identità, purché sia un’identità aperta, non esclusiva o escludente ma partecipata e quindi sempre più condivisa. Cre-do che questo possa valere senz’altro anche per la Memoria della Resistenza, che è una Memoria di libertà e democrazia, quindi molto connaturata alla nostra contemporaneità. Certo vi è anche altro di importante da realizzare, nel ‘mare grande e complesso’ di una città come la nostra. Serve lavorare sui Luoghi della Comunità, luoghi non solo fisici, ma di relazione e di crescita: i quartieri e fra questi il centro storico che è più di ogni altro il quartiere di tutti, il simbolo appunto di una me-moria identitaria; la scuola; la socialità e lo sport.Nella sua campagna elettorale, Lei ha molto insistito sulla necessità di impegnare il Comune per fronteggiare la cri-si economica e il dramma della mancanza di lavoro, ma, in concreto, cosa può fare veramente un Sindaco e con quali risorse?Il lavoro è e deve essere il nostro assillo. E’ nell’articolo 1 della Costituzione, perché è la linfa della democrazia e della dignità della persona. Dopo la crisi innescatasi nel 2008, nulla potrà essere come prima. Siamo di fronte ad un cambiamen-to strutturale. A questo mutamento epocale si può rispondere soltanto cambiando. Reggio Emilia ha dimostrato di essere un esempio in questo, dalla nascita del Primo Tricolore e della Repubblica Cispadana alla nascita del movimento cooperativo e riformista a inizio Novecento, dalla Resistenza alla rinascita della democrazia e dell’economia nel dopoguerra. Alla fine degli anni Quaranta eravamo fra le città più povere d’Italia. Ma le persone hanno dato una risposta di comunità ed hanno saputo superare le difficoltà e produrre nuove visioni e rispo-ste. E anche questa volta sarà la risposta di comunità che ci farà uscire dalla crisi. Il Comune non è un ente di promozione economica, ma credo che possa dare un contributo importante anche nella costruzione di nuovo lavoro e nuova economia. Percorrere, come stiamo facendo, la strada della sinergia tra investimenti pubblici e privati con strumenti di collaborazione che si stanno rivelando efficaci, è una risposta. Una risposta di comunità, perché chiama in causa attori e risorse importanti, e li orienta verso un obiettivo di interesse collettivo. Avviene per il centro storico, avviene per la ricerca e l’innovazione in-dustriale, avviene per la rigenerazione di diversi ambiti urbani, per la cura della comunità, per la scuola. E si traduce anche in un aiuto a chi è in difficoltà, aiuto che non è mera assistenza, ma accompagnamento a uscire dalla difficoltà, aiuto rivolto a ogni persona o famiglia a ritrovare la propria autonomia e dignità. In questo senso, il Bilancio del Comune è costruito in ogni sua parte come strumento anti-crisi, cioè strumento che vuole contribuire a favorire e governare il cambiamento.

Luca Vecchi

Non c’è dubbio che la Stazione Mediopadana del treno ad Alta Velocità rappresenti una grande opportunità per l’intero terri-torio reggiano, ma anche parmense, modenese e mantovano. Uno degli assi della sua politica, lo dico in sintesi, è quello di fare di Reggio Emilia un nodo della rete delle città europee. Che cosa dobbiamo aspettarci entro i prossimi 5 anni?Sì, la stazione Mediopadana è un’opportunità per tutti. La leg-giamo come un elemento a servizio di Reggio e delle città vicine che costituiscono quella che chiamiamo “Area vasta”, in grado di superare gli asfittici confini provinciali per creare un dialogo e una cooperazione fra territori e comunità affini. La nuova stazione, avrà, per il territorio reggiano, numero-se ricadute positive. Per esempio, nel favorire il decollo degli interventi nell’area Reggiane. Consentirà alle imprese di co-gliere al meglio l’opportunità di Expo Milano 2015. La nuova stazione porterà risorse in termini di investimenti e quindi di lavoro, ma anche in termini di capitale sociale, di cultura, di promozione della comunità. Si tratta di processi complessi e non immediati (siamo stati troppo abituati e illusi al ‘tutto e subito’), ma credo che alcuni di questi risultati si potranno vedere già nei prossimi anni. Dopo la vittoria elettorale, Lei ha proposto ai reggiani una Giunta molto rinnovata. Quattro donne e quattro uomini con poca esperienza politica alle spalle. Perché questa scelta? Qualcuno l’ha interpretata come una netta presa di distanza dalle amministrazione guidate dal suo predecessore, Delrio. E’ così?Le assessore e gli assessori sono stati scelti in base alle loro competenze ed esperienze professionali e questo è un fat-to nuovo, che segna la volontà di aprire l’Amministrazione a nuove, benefiche contaminazioni. L’esperienza politica non è assente, diciamo piuttosto che non vi sono esperienze politiche pluridecennali, come è giusto che sia. Inoltre, due assessori su otto hanno già avuto ottime esperienze politico-amministrative nella giunta precedente e quindi credo che vi

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politica

Un “tram” di SETA

sia anche un’attenzione alla continuità. Io stesso, sebbene giovane, non credo certo di essere alle prime armi della poli-tica. Non capisco quale necessità di ‘net-ta presa di distanza’ vi sia rispetto alle Amministrazioni guidate da Graziano Delrio. Mi pare un’interpretazione non fondata e alquanto forzata. Dietrologie a parte, il vero tema di un’Amministra-zione è il programma e il suo portarlo avanti, nell’interesse collettivo, sia pure nelle pesantissime ristrettezze economi-che in cui ogni Comune oggi si trova. Ed è quello che stiamo facendo.Lei punta molto sull’innovazione. Ha mes-so addirittura un assessore all’agenda digitale, ma in pratica di cosa si tratta?I contenuti dell’Agenda digitale sono scelte volte ad esempio alla digitaliz-zazione, quindi alla semplificazione, di procedure burocratiche in tema di appal-ti oppure di documenti anagrafici, così come alla partecipazione nei quartieri che può riguardare la segnalazione di bi-sogni o criticità così come la proposta di soluzioni e progetti da parte dei cittadini: da Internet alla strada, per dirla con uno slogan. Le potenzialità del digitale sono vastissime. Vogliamo continuare a lavo-rare con maggiore energia ed efficacia su questi progetti, fra l’altro strettamen-te legati alla vita nei quartieri, dopo la cancellazione, per legge, di quel punto di contatto e dialogo fra Comune e comuni-tà che erano le Circoscrizioni.Veniamo ad alcuni problemi molto sen-titi. Il trasporto pubblico a Reggio costa molto, non riesce a competere con l’au-tomobile e trasporta molti “portoghesi”. A ciò si aggiunga la divergenza fra Comu-ne e Seta. L’azienda dei trasporti chiede di aumentare il prezzo dei biglietti per non fare un buco di bilancio, il Comune dice: prima migliorate il servizio. Cosa sta succedendo?Succede che le risorse nazionali per il Trasporto pubblico locale sono state di-mezzate e Comuni ed aziende di gestione del trasporto si sono trovati ancora una volta con il cerino in mano. La solita guerra tra poveri. Nonostante queste dif-ficoltà, SETA e ACT hanno chiuso i bi-lanci in pareggio e questo è un risultato rilevante, perché anche le passività sono un costo – seppure non immediatamente percepibile – per l’intera collettività. E’ un dato che SETA abbia investito 1,5 mi-lioni di euro quest’anno per il potenzia-mento e miglioramento del proprio parco mezzi, che sono dieci in più, ma solo sul trasporto extraurbano, e che Comune e Agenzia della Mobilità stiano investendo risorse per centinaia di migliaia di euro

per la riqualificazione e il miglioramento della sicurezza delle fermate dei bus. Sul tema dei biglietti, con la consulta degli studenti, le scuole e altri attori pubblici stiamo svolgendo un programma di edu-cazione al rispetto delle regole, sia sulla sicurezza, sia sul rispetto e decoro dei mezzi, sia sul pagamento delle corse: la-vorare insieme è l’unico modo per risol-vere i problemi, spingendo lo sguardo al di là delle polemiche.Centro Storico. E’ un tema di grande com-plessità e sempre d’attualità. Vi sono ini-ziative in corso, come quella del nuovo centro commerciale e residenziale di “Palazzo Busetti ed ex Poste” che da-ranno nuovo slancio al commercio, ma come si pone la sua amministrazione di fronte al fatto che di reggiani in cen-tro ne sono rimasti pochi e gli stranieri sono ormai il 40 percento della popola-zione?Posto che essere stranieri – ma è meglio dire cittadini migranti o di origine non italiana, perché per noi è straniero solo chi non rispetta le regole – non è certa-mente un reato, né un disonore, esiste un tema di residenzialità del centro storico. Serve, ed è nostro obiettivo, costruire un dialogo con i proprietari immobiliari per costruire strategie a promozione di una nuova e più densa residenzialità nel-la città storica. Serve il coinvolgimento di attori privati in politiche e progetti di interesse pubblico, sul modello di quan-to avvenuto, su ampia scala, per palaz-zo Busetti ed ex Poste o sta avvenendo per palazzo del Carbone: interventi che introducono qualità urbana, aprono al pubblico luoghi che erano divenuti mar-ginali, offrono spazi per una residenza di-versificata e appetibile. Le nuove offerte commerciali, che fungono da attrattori a vantaggio anche del commercio al detta-

glio tradizionale, sono indubbiamente un elemento di incentivazione anche della residenzialità in centro storico. L’Am-ministrazione comunale anche in questo caso ha un ruolo di facilitazione, di pro-mozione, oltre che di attivazione di pro-getti di intervento. Serve ora una presa di coscienza, un atto di responsabilità e anche, me lo lasci dire, uno scatto di or-goglio da parte di attori non pubblici ma con un ruolo determinante nel centro sto-rico, affinché il contributo alla soluzione di criticità sia veramente efficace.Parliamo di degrado e sicurezza in città. Fino ad ora questi problemi sono stati affrontati con provvedimenti d’emer-genza come le ordinanze antialcol o con controlli straordinari da parte di Polizia e Carabinieri. Ma la delinquenza in città aumenta e contro i comportamenti inci-vili la Polizia Municipale sembra non sa-pere come affrontarli. Ha in mente azioni più efficaci e strutturali?La sicurezza è un tema centrale del pro-gramma di mandato. E’ vero che le ordi-nanze servono a fronteggiare emergenze, ma è anche vero che questi provvedimen-ti hanno indotto, con la loro sistematicità, una maggiore consapevolezza delle re-gole e hanno dato alle forze di polizia la possibilità di compiere centinaia di inter-venti mirati. L’Amministrazione ha ap-provato di recente il nuovo Regolamen-to di Polizia locale, che aggiorna, rende permanenti e mette a sistema una serie di norme di convivenza civile e decoro urbano, che incidono positivamente sulla qualità della vita e la sicurezza. Polizia di Stato, Carabinieri e Polizia municipale, coordinati nel Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, svolgono ogni giorno un lavoro importantissimo in tema di pre-sidio del territorio e di servizio di prossi-mità. Vale la pena ricordare, solo in tema

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politica

Reggio Emilia, agosto 2014. L’abbattimento del palazzo delle Poste

di Polizia municipale, che nel 2013 gli interventi svolti sono stati in totale 27.322. Di questi, per restare in tema di sicurezza e convivenza civile, 502 interventi sono stati svolti per disturbo della quiete pubblica, 560 per violazioni in materia di commer-cio, 40 in materia di prostituzione, 321 per accattonaggio, 82 per bivacchi, 52 per danneggiamenti a beni pubblici e privati, 2.712 per problematiche di relative a condizioni manutentive di parchi e arredi pubblici, 30 per spaccio di stupefacenti, 489 per furti e altri reati contro il patrimonio, 1.706 azioni di ausilio alle forze di polizia e vigili del fuoco. La Polizia municipale di Reggio Emilia è l’unica, insieme a quella di Bologna (che però è una città metropolitana a cui Reggio non può essere parago-nata) in tutta la regione Emilia-Romagna a garantire l’operati-vità su tutte le 24 ore della giornata, per tutto l’anno. Interventi di riqualificazione quali quello del piazzale parcheggio Aci e quello del Palazzo dei Musei in centro storico sono a beneficio anche della sicurezza e della convivenza civile ad esempio nel-la vicina via Secchi. La collaborazione fra Comune e comitati civici, come quello di porta Castello, ha portato, insieme con interventi come la riqualificazione e il presidio sociale del parco Cervi, esiti positivi sul piano della convivenza e della vivibilità dei luoghi pubblici della zona. Come si vede, dove c’è volontà di lavorare insieme, i nodi si sciolgono. Ancora una volta, un lavoro collettivo.Grazie Signor Sindaco e buon lavoro.Grazie

L’ANPI contro le mafieIl comunIcato stampa dell’assocIazIone partIgIanI reggIanI sulle vIcende delle penetrazIonI mafIose, oggetto dI forte dIbattIto nella nostra provIncIa e non solo

L’ANPI della provincia di Reggio Emilia considera non da oggi l’impegno contro le mafie, così come contro ogni forma di illega-lità e di sopraffazione, un modo attuale di fare Resistenza, proprio in nome dei valori scaturiti dalla vicenda storica della lotta contro il fascismo e per l’affermazione dei principi codificati nella Co-stituzione repubblicana. Proprio per questo – come segnalammo al Presidente del Tribunale dott. Caruso in due incontri nel 2012 – siamo da anni vicini ai gruppi locali come Libera con la quale da anni collaboriamo nell’ambito di progetti rivolti dalle scuole e Goel; e in varie occasioni, come ad una Festa resistente di Felina, abbiamo voluto con noi Enrico Bini, la personalità da anni tra le più impegnate nel segnalare il rischio e l’attualità delle infiltrazioni mafiose nel Reggiano. Ma ha qualche buona ragione, lo stesso dott. Caruso, quando afferma “Non mi sarei mai aspettato una situazione simile nel Reggiano. Siamo in Emilia, terra di valori civili, di par-tigiani, di Resistenza, con istituzioni ben radicate “, aggiungendo poi una considerazione che merita tutta la nostra attenzione e che dovrà essere oggetto di serie riflessioni: ”A questo punto mi è ve-nuto di pensare che rispetto al tema del contrasto alle mafie vi sia maggior impegno in una certa parte della società civile in Sicilia

che da queste parti”. Curiosamente si tratta di una considerazione emersa anche nell’incontro di mercoledì 24 u.s., nella nostra sede, tra alcuni dirigenti ANPI e Vincenzo Linarello, il Presidente del Gruppo cooperativo Goel, che da anni si batte con coraggio, in Ca-labria, nella sua Lòcride, contro la ‘ndrangheta, con successi che meriterebbero di essere meglio conosciuti , valorizzati e sostenuti. Ciò detto crediamo di poter aggiungere che il richiamo del dott. Ca-ruso alle radici resistenziali dell’identità emiliana ci conferma nella necessità di un ridefinizione del nostro legame con tali radici. Una “ridefinizione” che sia, come cerchiamo di fare anche noi come ANPI, superamento di una retorica celebrativa fine a se stessa, per una più puntuale e seria riflessione sul passato (Memoria e Storia) che ci metta in grado di far fronte, ogni giorno, alle sfide del pre-sente: quelle legate ai fenomeni mafiosi, ma anche quelle derivanti dagli sconvolgimenti che già mettono a repentaglio la convivenza tra i popoli e la pace nel mondo.Vogliamo infine esprimere il nostro vivo apprezzamento per i ragazzi di Cortocircuito per le inchieste sulla mafia a Reggio, ricordando che avemmo il piacere di ospitarli nella nostra sede quando erano all’interno del Movimento Studenti “Locomotiva”.

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Brescello, Poviglio e BorettoIntervIsta aI sIndacI marceLLo coffrInI, gIanmarIa manghI e massImo gazza

politica

Anche nella nostra provincia, lo scorso 24-25 maggio, si sono svolte le elezioni amministrative. Molti i sindaci riconfermati, alcuni nuovi con qualche comune che ha avuto una inversione di tendenza: Guastalla, per esempio, che dopo l’amministrazione degli ultimi 5 anni da parte del Centro Destra, ha vinto un Sindaco di Centro Sinistra.Anche a Poviglio, Boretto e Brescello il Centro Sinistra si è riaffermato alla guida di queste amministrazioni. Poviglio riconferman-do Sindaco Giammaria Manghi con un Consiglio molto nuovo e molto giovane e Brescello, dove il Sindaco precedente, Vezzani, che non poteva esser ricandidato perché già al secondo mandato, ha lasciato il posto a Marcello Coffrini, avvocato ed ex assessore nella Giunta precedente. Caso particolare, (ma non unico nemmeno nella nostra provincia) è stato Boretto dove la sfida non era battere gli avversari politici, ma portare a votare il 50+1degli aventi diritto: pena il commissariamento, in quanto nessun altro schieramento aveva presentato una lista da contrapporre a quella del Sindaco Massimo Gazza.Sindaci eletti con percentuali “bulgare” ai quali vanno le congratulazioni e gli auguri sinceri di un buon lavoro. A loro spetterà amministrare per i prossimi cinque anni queste comunità, in un momento non felice per gli Enti locali e con una crisi economica che non accenna a passare.A loro, l’ANPI, ha voluto rivolgere due domande che vogliono essere una fotografia del territorio delle sfide che li attendono ed un programma legato al 70°anniversario della fine della seconda guerra mondiale. 1) Un primo breve bilancio di questi 3 mesi di mandato e quali sono le emergenze principali del territorio da Lei governato?2) Il 25 aprile 2015 sarà il 70°anniversario della fine della II GM. Anniversario significativo che vedrà molti soggetti impegnati nel ricordarlo con diversi progetti e/o manifestazioni. Quali iniziative pensate di mettere in campo per ricordare tale avvenimento?

1) In questi tre mesi mi sono reso conto di quelle che possono essere intese come esigenze principali, spesso identificabili anche come emergenze, del nostro comune.In particolare credo che le istanze di aiu-to, di tipo economico, logistico e lavora-tivo, rivolte dai cittadini al comune siano il tema più delicato da trattare, sia per il loro livello quantitativo, sia per la neces-sità di capire come rispondere e quali cri-teri applicare per operare in modo equili-brato e, soprattutto, non fine a se stesso.In pratica ritengo sia sempre più impor-tante coordinare le associazioni presenti sul territorio per dirottare parte dei servi-zi (in particolare gestione del verde, della

di Anna Fava

pulizia e del decoro urbano) verso ge-stioni in economia, utilizzando cittadini senza impiego ed in attesa di nuovo im-piego, in modo da non erogare aiuti senza un contributo da parte dei soggetti aiutati.Il tutto porterebbe risparmi alle casse co-munali, ma permetterebbe anche di moti-vare i soggetti interessati con effetti po-sitivi anche sul loro futuro reinserimento lavorativo.Su tale punto stiamo lavoran-do da inizio mandato e contiamo di avere i primi riscontri entro fine anno 2014.Abbiamo dedicato parte del nostro tem-po alla cura del territorio, a 360 gradi, ritenendo fondamentale fornire una im-magine dello stesso ordinata, pulita ed efficiente, sia per i cittadini che per i numerosi turisti che fortunatamente ci visitano regolarmente.L’idea è quella per cui la crisi economica che ci affligge non debba essere un elemento demotivante, né un alibi per non fare, per cui con tale spirito stiamo affrontando la gestione del territorio e dell’ambiente che ci circonda.Successivamente all’approvazione del bilancio, a fine settembre, inizieremo a progettare la ristrutturazione interne del Comune con rimozione delle barriere ar-chitettoniche esistenti.

2) Per celebrare il prossimo 25 aprile la mia idea sarebbe quella di continuare il lavoro fatto con le scuole presenti nel nostro comune, incentivando lo sviluppo di progetti educativi e conoscitivi, per non qualificare la ricorrenza come qual-cosa di scontato e di superato; l’impegno sarà quello di iniziare da subito a valuta-

re come e cosa fare in tale ottica. Siamo disponibili a collaborare con ANPI ed a ricevere ogni suggerimento al riguardo.

Marcello Coffrini

Gianmaria Manghi

1) Direi che l’avvio di legislatura è statocaratterizzato da scelte immediate e concrete, in fluida continuità con il man-dato precedente. Subito l’attivazione del wi fi nelle aree pubbliche, poi, nel mese di luglio, la costruzione e l’approvazio-ne del bilancio di previsione 2014, in cui l’ennesimo taglio dei trasferimenti statali è stato affrontato attraverso un’ulteriore riduzione della spesa ed una politica tri-butaria all’insegna della progressività,

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contraddistinta dal principio in virtù del quale “chi più ha, più paga”. Con il mese di agosto, infine, si sono definite le con-dizioni economiche per operare, da qui a fine anno, un rilevante intervento di edi-lizia scolastica, dell’importo pari a 330 000 euro, che consentirà di agire sugli edifici di Scuola Primaria e Secondaria di primo grado, effettuando la sostitu-zione di tutti i rispettivi serramenti. Ciò garantirà un apporto assai significativo alla sicurezza di alunni ed insegnanti ed al contempo arrecherà un contributo al risparmio energetico. La scuola, dunque, al centro dell’azione amministrativa di questo avvio di legislatura, dato confer-mato anche dall’assenza di liste d’attesa al Nido ed alla Scuola d’Infanzia. Quanto

Massimo Gazza

alle emergenze del territorio, la principa-le resta quella generata dagli effetti del-la perdurante crisi economica e sociale che attanaglia l’Italia da qualche anno. La contrazione dell’offerta di lavoro, infatti, approfondisce la soglia dell’im-poverimento della popolazione, che si manifesta nel progressivo aumento degli sfratti abitativi e nella difficoltà per tante famiglie di affrontare in modo dignito-so la quotidianità e le sue incombenze. Ritengo piuttosto preoccupante questa situazione, poiché rischia di minare, nel tempo, la coesione che ha sempre con-traddistinto la nostra comunità.

2) Il 70° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale rappresenta

senza dubbio un appuntamento impor-tante, che va approcciato con grande se-rietà. Ne consegue la necessità, da parte dell’Amministrazione Comunale, di pro-cedere relativamente ad esso non in modo autarchico, bensì condividendo con l’An-pi locale e l’Istituto Comprensivo pro-poste e progetti. Anche l’Istituto Cervi, espressione diretta della nostra area geo-grafica di appartenenza e del quale il Co-mune di Poviglio è socio da lungo tempo, è un riferimento con cui interagire. Ci adopereremo, quindi, per promuovere un gruppo di lavoro partecipato con i sog-getti citati, in modo tale da programmare iniziative all’altezza della ricorrenza in oggetto, in grado di spaziare dall’oriz-zonte locale ad altri di più ampio respiro.

1) Fare un bilancio dell’amministrazione a tre mesi dal suo insediamento mi appare prematuro, tuttavia non posso non sottolineare l’alacrità con cui il gruppo si sia messo a lavorare sul settore sportivo, un punto debole del nostro comune. Altro punto su cui stiamo investendo energie e risorse è il completamento dei Ma-gazzini del Genio, il nuovo centro aggregazionale e sociale che presto vedrà l’inau-gurazione e l’apertura alla cittadinanza. Le emergenze principali del territorio che amministro sono legate alla crisi del mondo del lavoro, che se è vero che nel nostro comune rimangono buoni i livelli occupazionali, non vanno dimenticate le enormi dif-ficoltà che incontrano i giovani nell’intraprendere una carriera lavorativa. Qui concen-triamo il massimo dello sforzo.

2) Le iniziative in programma per il 70° anniversario della fine della seconda guerra mondiale sono volte alla sensibilizzazione delle giovani generazioni ai valori della democrazia e della libertà. Prioritaria è la collaborazione con l’Istituto Comprensivo al fine di raggiungere il coinvolgimento dei nostri ragazzi e renderli i protagonisti delle celebrazioni. Verrà proposto uno spettacolo prodotto e interpretato dagli stessi ragazzi sulla figura del partigiano Felice Montanari, verranno calendarizzate uscite nei luoghi della memoria e in coincidenza con il 25 aprile verrà proposto uno spettacolo teatrale sulla figura del Presidente Pertini. Il programma verrà integrato su approfondimenti sulla questione mediorientali.

politica

Le interviste qui pubblicate, domande e risposte scritte, sono state raccolte prima che scoppiasse la polemica sulle affermazioni del sindaco di Brescello Coffrini a proposito del suo concittadino Francesco Grande Aracri, inquisito e condannato per attività mafiosa. Non la ripercorreremo. Ci limitiamo solo a ricordare il nostro stupo-re nel leggere la risposta del Sindaco alla nostra prima domanda: dei problemi di infiltrazione mafiosa nel suo territorio neppure un accenno. Eppure, a esempio, un’inchiesta in “Narcomafie” del marzo 2011 di Giovanni Tizian Da don Camillo ai Grande Aracri - La ’ndrangheta spadroneggia nella pianura padana facendo di Brescello, il paese di don Camillo, la silenziosa capitale di un impero criminale, quello dei Grande Aracri, ’ndrina con le radici a Cutro - avrebbe po-tuto mettergli una pulce nell’orecchio... invece neppure la condanna di un uomo “gentilissimo, uno tranquillo” (Coffrini) lo ha allertato. Dopo l’intervista ai giovani di Cortocircuito, da cui è scoppiato “l’ambaradan”, Coffrini prova a metterci una pez-za: “Non sarei più così ingenuo nel trattare certi temi in maniera così colloquiale”. Ipse dixit. (g.b.)

(Il fascicolo in PDF è scaricabile da <http://notiziario.ossigeno.info/wpcontent/uploads/2012/01/Narcomafie_InchiestaReggioEmilia.pdf le mani nel cemento>).

Interrogativo Brescello...

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Case Vecchie lungo il Modolena nel ricordo del partigiano poeta VAMPA

Domenica 21 settembre è stato inaugurato il percorso ciclopedonale ed escursionistico che congiunge via Fratelli Cervi al vecchio borgo proletario di Case Vecchie, di Pieve Modolena. Il capogruppo PD in consiglio comunale Andrea Capelli, presente assieme all’Assessore Mirko Tutino, ne ha fatto un sintetico resoconto su Facebook. Ne stralciamo alcune righe

intermezzo

“Con più di cento persone da Buda fino alle Case Vecchie di Pieve Modolena per l’inaugurazione della Green Way nel Parco Modolena si riuniscono vecchi abitanti del-la zona, come lo storico (ANPI-Istoreco) Antonio Zambonelli nato al Guazzatoio, sua nonna materna stava in Buda, dove abita Giovanni Piccinini che ha letto ‘La Modleina’, poesia di Osvaldo Ferrari detto Vampa”. Il quale “Vampa” - aggiungiamo noi – par-tigiano della 144a Brigata Garibaldi, opera-io e poi artigiano, è stato anche, assieme al suo quasi omonimo ed amico Luigi Ferrari, uno dei maggiori poeti dialettali reggia-ni della seconda metà del Novecento. Su queste pagine abbiamo in più occasioni pubblicato sue poesie. Ebbene Vampa, che ci ha lasciato nel 2012, era nato nel 1921 ed aveva abitato per oltre trent’anni, pro-prio alle Case Vecchie, il borgo proletario avvolto come in un abbraccio da un’ ansa del torrente Modolena. E non è un caso che Osvaldo abbia dedicato proprio a quel cor-so d’acqua una delle sue più belle poesie, composta in dialetto e magistralmente tra-dotta (anzi ricreata) in italiano, come faceva abitualmente. Al termine della camminata Buda-Case Vecchie, abbiamo colto l’oc-casione per chiedere al consigliere comu-nale Andrea Capelli di condividere questa proposta: nella piazzetta del borgo venga apposta una targa in memoria di Osvaldo Ferrari “Vampa” / partigiano e poeta / can-tore di questo borgo/ e dei personaggi che l’abitarono.

Il pubblico, in bici e a piedi, all’inaugurazione; Giovanni Piccinini e, sotto, l’assessore Tutino taglia il nastro

Suggerimenti di letturaIn questo piccolo spazio abbiamo pensato di proporvi alcune recenti letture che ci hanno colpito. Nel centenario della Grande Guerra un libro da leggere che nelle sue quasi 600 pagine non ha mai un momento di “stanchezza” è “I Sonnambuli” di Christopher Clark (Laterza). Alla fine uno capisce che individuare chi ha scatenato l’inutile strage è più difficile di quel che ci hanno rac-contato. Invece con il testo di Ivonne Sherratt “I filosofi di Hitler” (Bollati Boringhieri) il lettore è introdotto nel mondo della cultura tedesca di Otto/Novecento (e anche precedente) che ha aperto la strada al nazismo e trova i nomi di quei filosofi che sono passati armi e bagnagli al servizio di Hitler. Uno per tutti: il filloso Heidegger. Ma l’autrice ci fa anche conoscere gli “SFORTUNATI” oppositori. Il tut- to documentato con approfondite schede biografiche. Per chi invece volesse fare i conti con la violenza che ha caratterizzato il secolo scor- so un libro da leggere è quello di Niall Ferguson “XX secolo, l’età del- la violenza. Una nuova interpreta-zione del Novecento”. Se amate an- che la letteratura, come intermezzo di allegerimento, vi proponiamo Murakami “1q84” (Einaudi), per sognatori inesausti. (g.b.)

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L’ANPI e la CostituzionePubblichiamo il resoconto dellla conferenza “RIFORMA DEL SENATO, LEGGE ELETTORALE, SOVRANITÀ POPOLARE” – orga-nizzata da ANPI, Associazione reggiana per la Costituzione e CGIL, svoltasi il 14 luglio al Centro insieme-Circolo ARCI

Bismantova Catellani – che ha visto la partecipazione di Rina Zardetto (Presidente dell’Associazione Reggiana per la Costituzione) del giornalista Stefano Morselli, del sen. Vannino Chiti e del prof. Massimo Villone (ordinario di Diritto

costituzionale presso l’università “Federico II” di Napoli).

Lunedì sera, 14 luglio 2014, all’incontro con Vannino Chiti ed il prof. Villone Mas-simo presso il circolo Arci, c’è stata una buona partecipazone. La sala grande con-teneva quasi 150 persone ed era piena; pre-senti c’erano esponenti dell’Anpi, Camera del Lavoro, partito democratico, SEL, Ri-fondazione comunista, Lista Tsipras, asso-ciazionismo diffuso, qualche esponente di spicco della vecchia democrazia cristiana.Non vi faccio un resoconto dettagliato della serata, però alcuni passaggi mi preme sot-tolinearli.Il professore Villone dice: capisco il calco-lo politico di Renzi, in quanto Berlusconi è in un momento di forte debolezza, perciò è più facile manovrarlo, però non si pò asso-lutamente dargli la qualifica di Padre Costi-tuente. La Costituzione serve per limitare il potere che non deve essere sbilanciato. Con queste riforme non ci sono equilibri ade-guati. Il problema del bicameralismo da af-frontare e che è ragione di ritardo è le colpa è tutta della Politica non certo della Carta.C’è il governo che mette continuamente la tagliola sulla discussione Parlamentare. Ha poi spiegato che è falsa la possibilità di ri-duzione vera dei costi con la proposta del Senato della riforma Boschi. L’obbiettivo è quello di mettere un uomo solo al comando e così come sono state pensate le riforme favoriscono il potere alla maggioranza di governo, con bassa rappresentatività Par-lamentare. Ovviamente la colpa oltre alle riforme costituzionali è da attribuirsi an-che alla legge elettorale “Italicum” definito peggio del Porcellum, perciò in base all’ul-tima sentenza della Corte, ci sono tutte le premesse di incostituzionalità anche in questa proposta. Ha condannato l’art. 81 messo in Costituzione ancora dal governo Monti, scrivendo così l’obbligo di una for-te auserità per il nostro Paese. Queste cose accadono dice perchè i Parlamenti sono de-boli; un Parlamento forte è un Parlamento rappresentativo e questa è una fase debole. Il senatore Chiti è entrato più nel merito del-le riforme portando dati, esempi e compa-razioni. Ha sottolineato il fatto che oramai i decreti legge sono stati negli ultimi anni abusati, riducendo al minimo le prerogati-ve Parlamentari. Ha proposto di dimezzare le indennità, che non ha senso che siano più onerose dello stipendio del sindaco di Roma, (tra l’altro ha ricordato che era una proposta della campagna elettorale del PD).

Ha parlato anche lui degli squilibri che que-sta legge elettorale (ricordiamolo già votata e passata alla Camera dei Deputati) è estre-mamente squlibrata, non solo per il Parla-mento ma avrebbe ricadute forti anche sulle regioni che porterebbe ogni regione a trat-tare per la composizione del proprio consi-glio con leggi regionali diverse.La forte diminuzioni di organismi di garan-zia con l’introduzione della legge elettorale e la cancellazione del senato elettivo.Problema di autonomia dei magistrati; sul conflitto di interessi non ha saputo rispon-dere perchè non aveva ancora avuto tempo di guardare gli ultimi ritocchi che avevano fatto alla proposta su questo determinato punto prima di portarla in Commissione. Certo in questo modo i cittadini contano meno. Ha rimarcato il fatto che nel nostro Paese diversamente dalla Francia, non c’è una legge sui poveri e che sono diventati, fra giovani e non solo, il 44 percento nel Paese con una concentrazione del 60 per-cento al Sud.Il pubblico al quale abbiamo deciso volutamente di lascire spazio è inter-venuto con domande puntuali, precise, pre-occupato ma con forte desiderio di capire. Anche da parte di alcuni fans del governo Renzi, che proprio per come è stata impo-

stato il dibattito, hanno ascoltato con forte interesse senza reazioni, prendendo atto dello stato dell’arte. Alla domanda rivolta a Chiti: “Se non cam-bia la proposta di riforma e rimane sostan-zialmente così lei la vota? La risposta è sta-ta: “Non si tratta di andare contro il governo Renzi, si tratta di rispondere all’art. 67 della nostra carta, ed in tutta e profonda coscien-za non posso votarlo, proprio per le pesanti ricadute che avrebbe sul nostro sistema de-mocratico”.Ho informato il pubblico in sala e lo stesso Chiti della lettera inviata quella mattina a tutti i senatori (al quale ne ho data una co-pia) e del presidio che dal 15 ci sarebbe sta-to a Roma con le associazioni romane e la Rete per la Costituzione. I due relatori sono rimasti contenti in particolare il senatore Chiti che, riaccompagnandolo in albergo a Bologna, ci ha detto che era contento di come si era sviluppata la serata ed ha rin-graziato molto gli organizzatori anche per la alta partecipazione. Ovviamente anche lui in questa fase difficile ha bisogno di sen-tire un supporto psicologico.

Rina ZardettoAssociazione reggiana per la Costituzione

Da sinistra: Massimo Villone, Stefano Morselli, Vannino Chiti e Rina Zardetto

politica

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Quando il governo israeliano, durante gli ultimi negozia-ti, condotti con una crescente intransigenza di Netanyahu, tanto da riconfermare ufficialmente e in presenza di “sba-lorditi” emissari statunitensi, l’intenzione del suo governo di prolungare sine die il controllo della Cisgiordania, ci si è trovati di fronte all’ennesimo fallimento di ogni accordo.Il presidente palestinese Mahmoud Abbas si è visto costret-to a mettere fine alle divisioni interne, che indebolivano fortemente la causa palestinese, proponendo di dare vita ad un governo unico con Hamas.Il 23 aprile scorso è stato siglato un accordo per la creazio-ne di un governo di tecnici, presieduto da Abbas, per indire, entro un semestre, elezioni legislative e presidenziali.La profonda delusione delle autorità israeliane nei riguar-di del succitato accordo, accentuata dalle dichiarazioni di Obama, che attraverso il dipartimento di Stato prometteva una forte disponibilità, da parte del Governo americano, a collaborare con il nuovo governo palestinese, ha provoca-to, in primis, l’ennesima rottura dei negoziati in corso e un urgente convocazione del Consiglio di sicurezza israeliano. Uri Ariel, ministro nazionalista di Tel Aviv, trascinato dal profondo odio nei riguardi dei vicini plestinesi, non si è trattenuto, emettendo un duro comunicato, nel quale accu-sava Abu Mazen di avere costituito un governo terroristico, assieme agli assassini di Hamas.Secondo attenti analisti politici, si sono originati in quel momento gli estremi per andare molto al di là dalla rottura dei negoziati, innescando la ricerca di motivazioni, che po-tessero “giustificare” lo scatenarsi di un conflitto militare.Infatti la barbara uccisione dei tre seminaristi ebrei e del giovane palestinese, sono state le mosse studiate e messe in atto, da parte di forze ben individuabili, per attivare l’atte-so innesco e scatenare l’ennesimo massacro condotto con aerei, missili, carri armati, quarantamilia riservisti, mandati ad invadere con la forza più brutale uno Stato indipendente come Gaza, i cui difensori, pur combattendo per la loro Pa-tria, sono risultati praticamente disarmati di fronte ai missi-li ed ai possenti carri armati dell’esercito ebraico.La logica dei comandanti delle forze di terra è stata quella di fare terra bruciata, eliminare preventivamente chiunque si muovesse, fossero essi donne o bambini, eliminare prefe-

L’inevitabile e costante fallimento dei negoziati israelo-palestinesiestero

di Bruno Bertolaso

ribilmente i terroristi di 5/6 anni per non lasciarli crescere, distruggere ogni struttura per l’infanzia, come l’asilo Um el Nasser, costruito col contributo della Ong milanese “Vento di Terra”, ora ridotto a poche misere macerie.La feroce logica dei nazisti del 10 x 1 è stata qui ribaltata a 30-40-50 x 1... Gli insegnanti sono stati largamente su-perati!Gli estremismi si sono confrontati da ambedue le parti, an-che se la feroce risposta ai razzi palestinesi, quasi fuochi simbolici, hanno dato origine a una risposta così violenta e cruenta, tanto da scandalizzare anche i cinici alleati ame-ricani, i quali, chiudendo gli occhi e la coscienza, hanno balbettato attraverso John Kerry “... la guerra è difficile. Difendiamo il diritto di Israele a fare quello che sta facen-do!...” .Il mondo, Italia compresa, ha mantenuto una posizione di quasi passività, decisamente incomprensibile, mentre Isra-ele radeva a tappeto interi quartieri popolari densamente popolati come quello di Sajaya, attuando azioni militari, che non potevano essere considerate un diritto alla difesa, né giustificate in nome della lotta al terrorismo.Considerazioni come “crimine di guerra”, “genocidio”, “delitto contro l’umanità” sono state solamente quelle di Abbas e di alcuni Stati arabi, con in testa l’Egitto, divenuto poi l’importante fautore degli accordi di tregua “illimitata” del 26 agosto, mentre la Merkel si era limitata ad annullare gli aiuti finanziari promessi ad Israele, per l’acquisto, da parte dello stesso, di sottomarini nucleari prodotti in Ger-mania. L’adesione, richiesta da Abu Masen e Hamas alla Corte pe-nale internazionale dell’Aja, col fine di perseguire legal-mente Israele per crimini di guerra, non potrà, un lontano domani, fare giustizia dei massacri umani e delle distruzio-ni civili di Gaza Il previsto, come prassi ormai usuale, fallimento dei nego-ziati per una vera e duratura Pace è indubbiamente dovuto, oltre al potere acquisito dalle forze più estreme dei due Sta-ti, anche al non rispetto delle risoluzioni dell’ONU n° 242 e n° 338 che, non si comprende come, Israele stia tranquil-lamente ignorando da anni, non mettendo fine al ritiro delle truppe occupanti e non restituendo l’integrità territoriale ai Territori palestinesi illegittimamente occupati.Bisogna riportare le parti al tavolo del negoziato di Pace, con il convincimento che non esistono alternative alla stes-sa, anche per i più inguaribili estremisti. Non si può auspicare e nemmeno pensare, di poter cancel-lare un intero popolo e annientare con la forza i legittimi diritti alla sua autodeterminazione.

Netanyahu, Obama e Abu Mazen

Scorcio del muro in costruzione nel villaggio di Sawahreh

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“FERMARE, NON BOMBARDARE”www.segnalidipace.wordpress.com esteroSegnali di pace/

di Saverio Morselli

Le parole di Bashar Matti Warda, arcivescovo di Erbil (Kur-distan iracheno) descrivono a perfezione i tempi che stiamo vi-vendo: da un lato l’assenza di una fruttuosa della mediazione diplomatica, dall’altro la guerra come estrema ma inevitabile soluzione. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi non era mai accaduto che si sviluppassero tanti conflitti di così grande gravi-tà. O, quanto meno, non contemporaneamente e non così media-ticamente mostrati. Il nuovo ordine mondiale, spesso propagan-dato dall’Occidente come nobile obiettivo delle “guerre giuste”, ha mostrato tutto il suo vero volto, fatto di aree di influenza e alleanze strategiche, di profitti e interessi economici, di sfrutta-mento delle risorse e conseguente mantenimento delle povertà. Un ordine cinicamente basato su ciò che conviene fare in un particolare momento storico ed economico. Per il dopo si vedrà, forse. E nell’attesa di questo “dopo”, le crisi si incancreniscono, si accentuano, evolvono, addirittura mutano fisionomia, creano mostri, si diffondono ed esplodono lasciando sul terreno morte e sofferenza. Mettendo in moto esodi e migrazioni di dimensioni epocali, o alimentando fughe di massa dalla disperazione come quelle a cui abbiamo assistito di recente nel Mediterraneo.Criticità e conflittualità irrisolte continuano ad essere affrontate con una sorta di esibizione di “buona volontà”, un invito alle parti alla moderazione, attraverso la amplificata “missione” di-plomatica del mediatore di turno. Nessuna autocritica, nessun cambio di rotta nelle politiche internazionali, nessuna messa in discussione delle politiche di riarmo che, guarda un po’, lo stesso Occidente “serio e responsabile” di frequente favorisce e finanzia. Fino alla conclusione scontata, quella che l’arcivesco-vo di Erbil enuncia in preda allo sconforto: che guerra sia. Ov-viamente, umanitaria. Che altro si vuole? Che le “anime belle”, i pacifisti se ne facciano una ragione, in mancanza di soluzioni politiche e negoziate la parola va data alle armi. Non è stato forse fatto tutto il possibile per scongiurare la guerra? Ebbene no, non è stato fatto tutto il possibile.Ciò che è accaduto recentemente a Gaza è insieme terribile e vergognoso: occorreva forse il brutale omicidio dei tre giovani israeliani per accorgersi che la Striscia è dal 2005 una polverie-ra alimentata dal blocco militare delle frontiere terrestri aeree e marittime operato da Israele? Una prigione a cielo aperto in cui convivono centinaia di migliaia di persone che costringe la popolazione a vivere come topi in gabbia che è diventata lo spaventoso brodo di coltura del delirio di Hamas? Occorrevano altre migliaia di morti per ricordarci che la questione israelo/palestinese è irrisolta dal 1948? Può forse sorprendere che in Libia, eliminato Gheddafi e ridistribuite tra gli stati della coali-zione dei “volenterosi” le risorse petrolifere, domini il caos cau-sato dalle milizie delle più diverse provenienze che si affrontano per il controllo del potere? Dopo aver contribuito attivamente alla distruzione del Paese cosa ha fatto la cosiddetta Comuni-tà internazionale per pacificarlo? E ancora in Siria, dove una guerra civile di tre anni e centinaia di migliaia di vittime non ha concesso neppure una pausa umanitaria, può meravigliare che la feroce rivincita sunnita abbia abbracciato la causa prima di Al Qaeda e ora dell’ISIS? Quell’ISIS che occupa ormai gran

- Temo che non ci siano alternative in questo momento a un’azione militare, la situazione è ormai fuori controllo e da parte della comunità internazionale c’è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo -

parte dell’Iraq e che rispolvera termini come Califfato, Sharia, “infedele”, che uccide deporta converte taglia teste e che ora tutti guardano con incredulità, paura ed orrore, come se venisse da un altro pianeta e non fosse, viceversa, il frutto avvelenato di una politica di emarginazione e di umiliazione riservata ai Sunniti nel dopo Saddam, che il governo iracheno ha messo in atto con la pressione e la complicità di chi di fatto ha occupato il Paese sino al 2012. E che dire, infine, della crisi in Ucraina dove, la dissoluzione del Paese si è trasformata in una guerra civile tra separatisti e lealisti che in realtà copre la contrappo-sizione di interessi strategici ed economici di Russia e NATO? Quale azione diplomatica è possibile nel momento in cui coloro che rivendicano il compito di comporre il conflitto dichiarano apertamente da che parte stanno? “Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Ci voleva l’intervento di Papa Francesco per riportare una svo-gliata opinione pubblica a fare i conti con la guerra diffusa. E ci volevano le sue parole per riaffermare il principio che la guerra non si risolve con la guerra: “Dove c’è un aggressione ingiusta è lecito fermare l’aggressore. Fermare, non bombardare. E una sola nazione non può giudicare come si ferma l’aggressione”.Pur senza pronunciarne il nome, il riferimento è preciso e si chiama ONU. Quell’ONU che ha da tempo abdicato al suo ruo-lo originario di intermediazione diplomatica a favore del sempre più di frequente disinvolto protagonismo dei singoli Stati e della UE.“Fermare, non bombardare”, ha detto Papa Francesco. E in que-ste parole ci sta tutto il senso di una proposta pacifista che non si limiti ad illustrare le responsabilità delle politiche di guerra, le cause della povertà e delle disuguaglianze, la vergogna del commercio di armamenti per poi raccogliere i cocci dei conflit-ti nella pur sacrosanta solidarietà alle popolazioni martoriate e nella meritoria raccolta di aiuti economici e di medicinali. Una proposta che si sporchi le mani con la guerra quando questa è iniziata e si impegni a fermarla con azioni che è giusto defini-re di “polizia internazionale”, sia essa, come è auspicabile, di interposizione disarmata e nonviolenta o, ove non sia possibile, anche armata, ma mai con l’obiettivo di prendere parte al con-flitto. Che ci piaccia o no, solo una ONU riformata in senso de-mocratico e svincolata dall’antistorico diritto di veto può farlo. Chi altro?

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estero

America del SudColombiaCominciata come rivolta contadina negli anni 60 ha portato alla nascita delle FARC e a una lotta spietata fra guerriglieri, esercito, popolazione locale, narcotrafficanti. I morti sono stimati fra i 50 e i 200.000.AfricaLibiaIl 17 febbraio (2012) insorgeva Bengasi, uno degli episodi della Pri-mavera araba, intesa come rivolta contro i regimi corrotti e assassi-ni. Quello di Gheddafi era forse il peggiore. Oggi, con le immagini dell’aeroporto di Tripoli distrutto in mano alle milizie islamiste, la Ci-renaica proclamata “Emirato di Barqa” e dominata dalla branca locale di Al Qaeda, la guerra entra nella fase più difficile. Sud SudanFra il 1983 e il 2003 la guerra civile sudanese ha fatto due milioni di morti. Da bagno di sangue è nato il Sudan del Sud. Nel dicembre 2013 è però esplosa la lotta interetnica fra l’etnia Dinka del presidente Salva Kiir e quella Nuer del vicepresidente Riek Machar.MaliStato debole, infiltrato dagli islamisti, precipita nel caos quando colon-ne di jihadisti si trasferiscono dalla Libia con il loro bottino di arma-menti moderni e distruggono le forze armate regolari. Deve intervenire la Francia, con i 4 mila uomini della missione Serval.NigeriaI Boko Haram, fondati nel 2002, hanno trasformato il Nord del paese in un campo di battaglia: le vittime fra il 2009 e il 2014 sono stimate fra i 5 e 12 mila. Il rapimento di quasi 300 studentesse ad aprile ha sollevato indignazione mondiale.Repubblica CentrafricanaLa presa della capitale Bangui, nel marzo 2013, da parte dei ribelli Se-leka ha risvegliato la comunità internazionale. A settembre partirà una missione di peace keeping guidata dall’Unione europea.SomaliaIn Somalia si combatte dalla metà degli anni Ottanta. L’ultima fase del conflitto è caratterizzata dall’ascesa della branca qaedista degli Shaba-ab, dell’intervento dell’Unione africana e del Kenya.EuropaUcrainaLa rivoluzione di piazza Maidan l’ha riportata nell’orbita europea ma Mosca ha aiutato la rivolta dei ribelli filorussi dell’Est e si è annessa la Crimea. La guerra è nella sua fase più sanguinosa: 1000 morti nelle ultime tre settimane fra Lugansk e Donetesk.

Medio OrienteStriscia di GazaL’operazione “Protective Edge”, scattata l’8 luglio, innescata dal rapi-mento e dall’uccisione da parte di estremisti palestinesi di tre studenti ebrei in Cisgiordania, è un capitolodelle guerre arabo-palestinesi co-minciate nel 1948. Duemila i morti palestinesi (700 miliziani di Ha-mas) 4 civili e 64 militari quelli israeliani.SiriaIl conflitto più sanguinoso in corso è la somma di quattro. Nato come rivolta contro il regime di Bashar al Assad nel marzo 2011, si è tra-sformato in uno scontro etnico fra sciiti (alawiti) e sunniti. Ha visto l’intervento degli hezbollah libanesi, jihadisti dai paesi come l’Arabia, serivizi segreti turchi. E ha segnato l’esplosione del fenomeno Isis.IraqLe deposizione di Saddam Hussein nel 2003 si è trascinata dietro un’in-surrezione sunnita contro il nuovo potere sciita appoggiato dall’Occi-dente (ma anche dall’Iran) con l’infiltrarsi di cellule di al Qaeda. Le truppe americane hanno tenuto premuto il coperchio sulla pentola. Con il ritiro l’equilibrio si è rotto rapidamente. Lo Stato islamico dell’Iraq (e poi della Siria, Isis) fondato da Al Baghdadi nello stesso anno, nasce qui.AfghanistanQuando nell’autunno del 2001 comincia la guerra al terrore con la mis-sione americana Enduring Freedom, il paese arrivava da un quarto di secolo di guerra civile, invasione sovietica, follia talebana che avevav-no fatto a seconda delle stime fra i 2 e i 3 milioni di morti. In 13 anni se ne sono aggiunti, secondo le stime basse, altri 70 mila, compresi quasi 4 mila soldati occidentali.

Sud est asiaticoBirmaniaFin dall’indipendenza dall’impero britannico la Birmania, oggi Myan-mar, ha conosciuto una serie di colpi di stato e repressioni che hanno causato 200 mila vittime in 66 anni. Oggi le tensioni maggiori sono nei confronti della minoranza Karen.

FilippineNell’insurrezione del Moro national liberation front si è innestata la branca locale di Al Qaeda guidata da Abu Sayyaf. Il paese è a maggio-ranza cattolica e dal 1898 nell’orbita degli Stati Uniti.

(Fonte “La Stampa”, 25 agosto 2014)

Giacomo Notari: “Ai compagni del Curdistan iracheno”- Pubblichiamo la lettera dell’ANPI di Reggio Emilia, del 18 luglio scorso, a firma del presidente Giacomo Notari indirizzata ai combattenti curdi,

impegnati contro contro gli estremisti sciiti dell’Isis. In queste ore sono partiti i primi raid dei caccia francesi in Iraq, contro le postazioni dell’Isis; nei prossimi giorni le attenzioni del mondo saranno invece rivolte sull’Assemblea generale delle Nazioni Unite che affronterà il tema del coordinamento

internazionale della battaglia al Califfato. Mentre scriviamo non conosciamo ancora gli sviluppi.

Ai compagni del Curdistan irachenoCarissimi compagni, lasciate che il presidente e tutti gli iscritti all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Reggio Emi-lia possano esprimere innanzi tutto il dispiacere per non essere riusciti a incontrarvi in Italia, causa assurde norme burocrati-che evidenziate a suo tempo al viceministro degli Affari Italiani Lapo Pistelli con lettera che non ha mai ricevuto risposta alcuna.Ora ci giungono notizie davvero preoccupanti sulla situazione interna all’Iraq, e soprattutto degli scontri tra voi partigiani, l’Isil degli estremisti sunniti e le milizie sciite; apprendiamo che nel nord l’esercito ha ceduto all’avanzata dei jihadisti e che continuano le infiltrazioni di al-Qaeda e di altri gruppi radicali che mirano al petrolio. Leggiamo che l’Iraq non è più una na-zione, diviso com’è su tutto e che nel Kurdistan nel corso degli scontri siete riusciti a impadronirvi di Kirkuk, la storica capitale abbandonata dall’esercito regolare, la Gerusalemme irachena. Speriamo che questo non abbia comportato gravi perdite uma-ne. Immaginiamo con dolore la situazione che state vivendo con

le vostre famiglie per mantenere la legittima autonomia mentre le forze islamiste avanzano verso Baghdad.Rammentiamo in parallelo la lotta di Liberazione dei nostri par-tigiani nel corso della seconda guerra mondiale, gli eccidi di civili innocenti, il dolore e l’impegno di tante donne; proprio nel 2014 e nel 2015 commemoriamo i settantesimi della Resistenza e della Liberazione.Vi esprimiamo tutta la nostra vicinanza condividendo il senso delle vostre lotte.Vi porgiamo i nostri più sentiti auguri di pace nel vostro mar-toriato paese sperando nella piena realizzazione dei diritti fon-damentali cui legittimamente aspirate e nella piena autonomia del Kurdistan.Vi chiediamo inoltre di darci, se potete, notizie che ci rassicurino.

Il PresidenteGiacomo Notari

Le guerre nel mondo, un terzo millennio senza pace

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società

I tuoi nonni sono stati entrambi partigiani ed anche dopo la fine della guerra la tua famiglia ha avuto una coscienza civile e politica molto forte. Cosa ha lasciato in te e nella tua educa-zione questa loro esperienza?Mi hanno raccontato ed insegnato tanto, valori che cerco di por-tare con me nella vita ed anche nello svolgere il mio lavoro, dove cerco di essere un uomo prima di tutto. Sono cresciuto con il mito di mio nonno. “Sii un uomo e non un generale”, mi dice-va. Sono sempre stato molto orgoglioso di lui. Nei suoi racconti di partigiano ometteva molti dettagli, in particolare sulla batta-glia della Sparavalle. Quell’episodio deve avergli lasciato molte ferite, non amava parlarne, ma ogni anno cercava di partecipare alla commemorazione. Mia nonna raccontava forse un po’ di più, ma più che della resistenza armata, mi parlava volentieri di quando lei e il nonno si sono conosciuti, su in montagna. La loro esperienza mi ha fatto tante volte pensare a come sono cre-sciuto, al mio essere fortunato, alla gioventù spensierata, al mio avere tutto. Noi a 18 anni giocavamo a calcio, mentre loro ave-vano un mitra in mano e si sono innamorati durante una guerra.Nel tuo lavoro hai molti colleghi che non sono di Reggio e che vengono da altre parti d’Italia. Ti capita che ti chiedano della tua famiglia, dei tuoi nonni partigiani e del rapporto che qui in Emilia abbiamo con la memoria?A volte, mentre sono di servizio in centro a Reggio, le persone mi fermano per parlare, perché conoscevano mio nonno e sape-vano cosa aveva fatto. Una volta mi è capitato addirittura che una signora in via Roma si mettesse a piangere parlando di lui e della guerra ed anche il collega che era con me si è commosso, rendendosi conto di quello che significava per “noi” aver cono-sciuto i partigiani. Altri invece tendono ad essere un po’ frenati, soprattutto forse quelli che vengono dai reparti mobili, proba-bilmente pensando che se indossi una divisa alcune questioni legate a una certa cultura politica vadano lasciate a distanza.Come mai hai deciso di fare il poliziotto? E cosa dicevano i tuoi nonni del tuo lavoro?Ho deciso di rimanere a fare il poliziotto dopo il servizio mili-

“Sono sempre stato orgoglioso di mio nonno partigiano”

Intervista a un agente della Polizia di Stato di Reggio Emilia

“Un pomeriggio afoso di luglio

nella sede dell’ANPI di Reggio

e due chiacchiere con un

poliziotto della nostra città.

Dalla storia della sua

famiglia, al suo lavoro,

alla sua visione

del mondo di oggi”.

di Francesca Correggi

tare. Erano passati tanti anni da fatti che hanno ferito il nostro paese, come il luglio del 1960 per citarne uno particolarmente forte per Reggio, e per mio nonno il mio lavoro non è mai stato un problema, sapeva che gli scelbini erano un’altra cosa! Era un lavoro sicuro, che ti dava una sicurezza economica per lo meno. Lui mi diceva sempre “comportati da uomo, usa la tua testa e non farti portare sulla cattiva strada dagli altri”. E su questo ave-va ragione, è quello che ho sempre cercato di fare. Mia nonna invece si preoccupava forse un po’ di più per la mia incolumità, temeva fosse pericoloso per me.Da cittadino, e non solo da poliziotto, come vedi il rapporto tra le persone e la polizia? Non trovi che in Italia, dove ce l’abbia-mo un po’ con tutti, con le istituzioni, con i politici… ci sia anche un po’ di pregiudizio anche nei confronti della polizia e dell’au-torità in generale?Sì, è vero, c’è molto pregiudizio. Spesso il cittadino, preso dal nervosismo del momento o dalla situazione esasperata e dalla crisi in cui viviamo, vede in te la figura che difende il sistema, un sistema di politici corrotti e istituzioni che non funzionano. Nel mio ruolo, invece, di poliziotto di quartiere vivo quotidia-namente in mezzo alla gente e ricevo, insieme ai miei colleghi, molta stima dagli abitanti di certe zone di Reggio, dai commer-cianti del centro, dagli anziani che spesso non si sentono sicuri. Reggio è una città in cui si vive bene, ma anche qui si fa fatica a debellare la microcriminalità. Malgrado i continui tagli di per-sonale, che ad esempio hanno portato i poliziotti a presidio del centro storico da otto a quattro unità, noi facciamo del nostro meglio e le persone questo lo sentono.A Reggio abbiamo alcune zone “calde”: via Secchi, via Sessi, la zona del teatro municipale, via Turri. Come vedi queste situa-zioni?Secondo me la situazione in via Nacchi, in zona musei civici, è molto migliorata grazie soprattutto alla nuova illuminazione. Di certo, passare da soli di notte, magari d’inverno, in quella zona o tra via Sessi e via Secchi non è il massimo. Via Turri vive certamente una situazione particolare, la zona abitata dagli

Una parata dei reparti di polizia

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immigrati è diventata oggi il vero quartiere popolare di Reggio. Non ci sono molte città in Italia i cui i quartieri limitrofi alla stazione sono particolarmente belli o tranquilli! Però non man-cano iniziative per renderla vivace, i progetti per l’integrazione, la presenza degli avvocati di strada. In ogni caso, Reggio non vive oggi situazioni più pericolose o diverse da altre città, anzi.Potresti commentare alcuni fatti che hanno coinvolto la polizia e sono diventati dei casi a livello nazionale? Dai fatti del G8 a Genova al caso Aldrovandi, alla solidarietà coi forconi alcuni mesi fa a Torino.Per il caso Aldrovandi mi vergogno profondamente. Può ca-pitare che ci siano delle colluttazioni anche violente in caso ti trovi a dover gestire soggetti particolarmente agitati, ma nulla può giustificare quanto accaduto a Ferrara e chi ha sbagliato è giusto che paghi, come pagherebbe un qualsiasi cittadino che ammazza una persona. Pure a Genova sono state alzate troppo le mani, senza dubbio, ed è stato fatto mettendo sullo stesso piano e colpendo con la stessa forza chi aveva distrutto la città, i gior-nalisti o i manifestanti pacifici che erano semplicemente andati a dormire in una scuola. Non va fatta di tutta l’erba un fascio tra i manifestanti, come tra i poliziotti. La scena di Torino in cui i poliziotti si tolgono il casco davanti ai “forconi” invece mi ha fatto commuovere, forse me lo sarei tolto anch’io per dare un segno di vicinanza a chi manifestava in modo pacifico e civile per rivendicazioni in cui, alla fine, molti in Italia si identificano. Credo che durante le manifestazioni sa-rebbe importante non riconoscersi reciprocamente come nemici da combattere. Poi in manifestazione bisogna esserci, basta un niente per far scattare dei meccanismi che nessuna delle parti vuole. E la scena in cui, in Val di Susa, un manifestante insulta un ca-rabiniere dandogli della pecorella? Che effetto ti ha fatto?Trovo che il collega sia stato molto bravo e molto professionale, era un ragazzo molto giovane e mi sono meravigliato della sua capacità di non rispondere alla provocazione. Cosa pensi della proposta di mettere un codice identificativo sulle divise?Temo sia un’arma a doppio taglio. Mi sta bene che venga messo un codice, magari sui caschi quando si va in manifestazione, ma non il nome. Mettere il nome sulla divisa credo possa ledere la privacy, il nostro è un mestiere molto delicato.Da quando fai il poliziotto hai imparato a conoscere una parte più “cattiva” della nostra società, da allora guardi il mondo in

modo diverso?Io sono per indole una persona ottimista e buona, ma in effetti da quando faccio il poliziotto sono diventato più diffidente. So bene che la Reggio in cui viviamo oggi non è più quella degli anni settanta. Mia mamma lascia sempre la borsetta in macchina, io non lo fa-rei mai. Sono una persona sensibile, ma devo dire che più che i cadaveri, gli incidenti o i feriti, mi fanno effetto le truffe, soprat-tutto nei confronti degli anziani, perché non sopporto i soprusi sui più deboli.Ci racconti un episodio che ti ha lasciato qualcosa in partico-lare, un episodio della tua carriera dopo il quale non ti sei più sentito lo stesso?Mi ricordo di una sera del ’96, un inseguimento a una macchina rubata. Per la prima volta in vita mia, pur non credendo, mi sono fatto il segno della croce. Da Masone siamo riusciti a prenderli solo a Calerno, dopo chilometri di sportellate, colpi di pistola e un ferito tra i carabinieri. Quei minuti mi hanno fatto seriamente pensare a certe cose e al valore della mia vita. Se tornassi indietro comunque rifarei questo lavoro e forse farei anche qualche anno in più di volante, ma quando ho chiesto di essere spostato era perché mia nonna non stava bene, l ’ho fatto un po’ anche per lei...”.

Luglio 2001, La scuola Diaz di Genova dopo l’assalto della polizia Torino 2013, Durante la manifestazione dei “forconi” alcuni poliziotti su tologono il casco

Reggio Emilia 2013. Piazza Martiri del 7 luglio vista da via Secchi

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società

In Provincia di Reggio Emilia, il numero delle lavoratrici e dei lavoratori interessati agli ammortizzatori sociali resta al di sopra delle 10.000/12.000 unità da quasi tre anni. Abbiamo verificato una consistente diminuzione del ricorso alla Cassa integrazione ordinaria, ma con il contestuale ri-corso per centinaia di lavoratori alla Cassa integrazione straordinaria e ai Contratti di solidarietà. Ore autorizzate: rispetto al periodo gennaio/giugno 2013 diminuiscono del 63,1% le ore di Cassa integrazione ordinaria mentre aumentano del 10,9% per le Casse straordinarie e i Contratti di solidarietà. Settori interessati: delle 3.977.716 di ore autorizzate il 61,6% è stato utilizzato nell’Industria, il 14,1% nel settore dell’edi-lizia e il 12,8% nel settore del commercio.Licenziamenti collettivi: a giugno 2014, dall’inizio della crisi (2008), sono 261 le aziende che hanno attivato procedure di mobilità per 4.605 lavoratori (+ 674 rispetto a dicembre 2013). Il 17,3% delle aziende ha invece cessato l’attività produttiva collocando i lavoratori in mobilità. la situazione nel distretto di Correggio è in linea Con questa tendenza: Con 117 aziende e 2.722 lavoratriCi e lavoratori Coinvolti nell’utilizzo dei vari armortizzatori soCiali.

Quali sono le prospettive per i lavoratori e le aziende del territorio?Diminuisce cassa integrazione ordinaria; aumentano cassa integrazione straordina-ria, contratti di solidarietà e mobilità.Da questi dati, si comprende che le prospet-tive sono tra le peggiori.La situazione emiliana è paragonabile ad altre o ha una sua peculiarità?In termini quantitativi, dove c’è più in-dustria e sevizi, la situazione è più grave;

in termini qualitativi, i settori più colpiti, nel distretto correggese, sono l’edilizia, il tessile, il settore della plastica e gomma, la grafica e una parte della metalmecca-nica.Come inserire e dove i lavoratori in cas-sa integrazione?Tramite i centri per l’impiego è importan-te riqualificare chi resta senza lavoro tra-mite corsi di formazione mirati a coprire quelle richieste che provengono dalle aziende che non hanno subito contrazioni di mercato o sono in fase di espansione.Cosa possono fare le amministrazioni locali?In questa fase è difficile anche per le am-ministrazioni locali intervenire a soste-gno di chi perde il lavoro. A loro abbiamo sempre chiesto, in particolare in occasio-ne della definizione dei bilanci preventi-vi, di istituire un Fondo di sostegno per le persone in difficoltà, nel senso più ampio del termine, pertanto anche per coloro che, perdendo il lavoro, portano tutta la famiglia in una situazione critica.Il sindacato è ancora visto come riferi-mento?Il sindacato è ancora un punto di riferi-mento. Purtroppo, però, la contrattazione collettiva, in questa fase, è sostanzial-

Lavoratori e aziende a Correggio Intervista a Renzo Giannoccolo

coordinatore CGIL-Correggiodi Fabrizio Tavernelli

Renzo Giannoccolo

mente impostata a difesa dei posti di lavoro e le nostre sedi sono sempre più affollate di persone che chiedono servizi e assistenza per le varie pratiche (disoc-cupazione, cassa integrazione, mobilità, assegni familiari) e procedure tipo falli-menti e concordati. Servono azioni concrete da parte del Go-verno a favore di lavoratori dipendenti, pensionati, precari, esodati e per tutti co-loro che hanno bisogno di un sostegno al reddito (tra le priorità: ammortizzatori sociali in deroga). Se non si sblocca il contratto naziona-le dei pubblici dipendenti (ma dov’è il grasso che cola?), se non si investe nella scuola, se non si eliminano le ingiustizie introdotte dalla legge Fornero, se non si salvaguarda il territorio (sempre più de-vastato,) se non si inizia una vera lotta all’evasione, dalla quale si possono rica-vare le risorse per fare ricerca, innovazio-ne e abbassare le imposte per lavoratori e pensionati, il Paese non crescerà per anni, forse, per decenni.Aggiungerei, per concludere, che dob-biamo avere, tutti, una cura particolare per la nostra Costituzione, quale bene comune da difendere ma, soprattutto, da applicare.Credo, però, che il Governo abbia imboc-cato il verso sbagliato.

LA CRISI IN PROVINCIA E NEL DISTRETTO DI CORREGGIO

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societàNel dettaglio:

CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA 28 aziende e 761 lavoratori coinvolti

CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA

4 aziende e 814 lavoratori

CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ 12 aziende e 582 lavoratori

MOBILITA’

8 aziende e 258 lavoratori

CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA IN DEROGA

46 aziende e 223 lavoratori

CAMPAGNOLA 6 aziende e 29 lavoratori

CORREGGIO 15 aziende e 66 lavoratori

FABBRICO 4 aziende e 20 lavoratori

RIO SALICETO 10 aziende e 43 lavoratori

ROLO 6 aziende e 38 lavoratori

SAN MARTINO5 aziende e 27 lavoratori

CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA IN DEROGA

19 aziende e 84 lavoratori

CAMPAGNOLA 4 aziende e 14 lavoratori

CORREGGIO 9 aziende e 46 lavoratori

FABBRICO 1 azienda e 6 lavoratori

RIO SALICETO 1 azienda e 8 lavoratori

ROLO 1 azienda e 1 lavoratore

SAN MARTINO 3 aziende e 9 lavoratori

10 settembre 2014Il comune di Reggio ha incontrato le

Associazioni della Terra dei fuochi

Le rappresentanti delle Associazioni della Terra dei fuochi sono state ospiti di Reggio il 10 e l’11 settembre. Il 10 settembre in Sala del Tricolore erano presenti: Marzia Caccioppoli e Antonella Cecere, madri di bambini morti a causa di tumori provocati dal grave degrado ambientale provocato dall’interramento dei rifiuti tossici operato dalla camorra in un patto scellerato con imprese del Nord Italia. Queste donne hanno avuto la forza di tra-sformare il dolore in impegno per affer-mare il diritto di tutti i bambini alla vita e alla salute costituendo l’Associazione: “Noi genitori di Tutti”. Erano altresì presenti: Ciro Scocca (pre-sidente) e Anna de Vita (portavoce) per l’Associazione RES di Castel Volturno. RES è impegnata con varie iniziative nel-la promozione della cultura della legalità, per la tutela e valorizzazione dell’am-biente e per l’educazione alla cittadinan-za attiva. La mattina del 10 le citate as-sociazioni hanno avuto anche un intenso scambio di idee con il “Forum delle don-

Sala del Tricolore: Anna de Vita, Ciro Scocca, Eletta Bertani, Mirko Tutino, Vera Romiti, Mar-zia Caccioppoli e Antonella Cecere

ne della Provincia” e con la sua presiden-te Vera Romiti. La serata dell’11 settembre sono state ospiti di FestaReggio in una affollata ini-ziativa alla Tenda Centrale, sensibilizzan-do i presenti sulla drammatica situazione esistente nella zona tra Caserta e Napoli, presentando video a testimonianza e in-vitando all’impegno di tutti a sostegno della loro battaglia. Rosi Bindi ha concluso l’iniziativa sot-tolineando il valore nazionale dell’impe-gno contro le mafie e per la rinascita eco-nomica, sociale e civile del Sud, senza la quale non è pensabile che l’Italia riesca ad uscire dalla crisi e a realizzare un vero e autentico rinnovamento. Con la visita degli amici della associazio-ni anticamorra nella nostra città lo scam-bio con la Terra dei fuochi, raccontato anche sull’ultimo numero del Notiziario (giugno/luglio 2014) da Eletta Bertani a seguito di una diretta esperienza in quella realtà, ha compiuto un primo passo in un percorso che auspichiamo possa conti-nuare ed evolvere.

L’ANPI Provinciale ringrazia:L’artista reggiano ATTILIO BRAGLIA per la donazione alla sezione “Cittadina” di n. 1 opera dedicata a Dorina Storchi “Lina” e la disponibilità di n. 2 opere per la mostra d’arte 70° della Resistenza che si terrà in collaborazione con Istoreco e Art Resistance Shoah.

Il sig. MARIO PECA per la donazione di n. 20 volumi “ANTIFASCISTI NEL CASELLARIO POLITICO CENTRALE” della moglie fu Maura Ferrari, figlia secondogenita di DIDIMO FERRARI “Eros”, commissario politico delle formazioni partigiane della provincia di Reggio Emilia e primo presidente dell’ANPI provinciale del dopoguerra.Il Sig. MARIO BONILAURI per il deposito a disposizione di studiosi e interessati di n. 5 volumi “IL PIONIERE” anni 1952-1955.

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In merito all’articolo apparso sul notiziario di Giugno-Luglio sul controverso 25 Aprile a Reggio Emilia volevo provare ad ampliare e guardare sotto un’altra luce le domande e le perples-sità espresse da Glauco. Credo che il notiziario possa essere un luogo in cui si possano mettere a confronto diverse idee, diverse visioni, diversi approcci in merito al nostro essere dentro a que-sta composita associazione. Specifico a Glauco (con il quale ho condiviso esperienze, progetti e naturalmente una amicizia che giunge sino ad oggi) che questo mio scritto nasce dal continuo farmi altrettante domande , dal mio assoluto credo nel dubbio in ogni frangente e in ogni situazione. Non mi sento ne movimen-tista, ne radicale ma nemmeno riformista, ufficiale-ufficioso, governativo. Diciamo che frequento tutti questi ambiti, osser-vo, discuto, mi emoziono o mi rattristo e come prima cosa mi chiedo quale sia il mio ruolo nell’anpi (aldilà della “ufficiale” carica di presidente Anpi di Correggio). Soprattutto mi chiedo cosa sarà e cosa ne sarà dell’anpi una volta che se ne sarà anda-to anche l’ultimo partigiano. Cosa è meglio, cosa sarà meglio? L’antifascismo “militante” o l’antifascismo “assopito”? L’anti-fascismo che scende in piazza o l’antifascismo che accetta tutti indiscriminatamente sui propri palchi a celebrare la Resistenza in nome della pacificazione? Naturalmente tutto questo coinvol-ge temi e storie che attraversano da decenni la sinistra italiana e che io non sono in grado di affrontare con totale competenza. Una dialettica accesa che ha come punto focale l’evoluzione dei partiti, il ruolo delle amministrazioni, la politica parlamentare ed extraparlamentare, gli scontri fratricidi nella sinistra, la cultura giovanile. Veniamo quindi all’azione “bellicosa” dei ragazzi di Aq16 contro la Lega. Devo dire che con sempre più leggerezza le nostre amministrazioni cedono spazi e occasioni per manife-stazioni che nulla hanno a che spartire con gli ideali nati dalla Resistenza e dalla Costituzione italiana. Cosa ancora più grave é fare coincidere queste manifestazioni nello stesso giorno o in-vitare rappresentanti politici di forze razziste e intolleranti alle celebrazioni partigiane. Non è il caso di Reggio, gli spazi erano differenti, gli ambiti distanti, le motivazioni diverse. Forse non è stato un buon servizio fatto alla Resistenza la bagarre di protesta contro la Lega di Aq16 ma temo che nemmeno la sonnacchiosa e di nuovo retorica, asettica manifestazione in cui sfilano i poli-tici locali sia un buon servizio alla Resistenza. Devo dire inoltre

interventiL’articolo di Glauco Bertani “Reggio Emilia 2014. Un 25 Aprile di-menticabile? aq16 e Lega rovinano la festa”, pubblicato sul numero scorso del Notiziario, ha suscitato alcune osservazioni da parte di Fabrizio Tavernelli e Rino Montanari che volentieri pubblichiamo

che posso capire la presa di distanza di Glauco dai facinorosi da centro sociale ma non mi ha convinto del tutto lo stile, la forma con cui è stato scritto l’articolo. Tutti quei virgolettati negativi adottati nei confronti dei manifestanti mi sono sembrati eccessi-vi e mi hanno riportato alla mente altri virgolettati adottati spes-so sui media ufficiali nei confronti di manifestanti di altre cause (No-global, No-Tav, Comitati etc). Purtroppo devo constatare che sempre più, queste prese di distanza sono coincidenti alle esternazioni e prese di distanza di organi di informazione “rifor-misti”, del nuovo corso democratico, oppure dall’altro lato (?) gravitanti nell’area del centro-destra. Il problema è che nell’an-pi, volenti o no, sono confluiti tanti giovani non più inquadrabili soltanto nei partiti tradizionali, anzi in un certo modo, al calo degli iscritti nei partiti sono coincisi nuovi iscritti antifascisti nella nostra associazione. Cosa fare con questi iscritti un po’ turbolenti? Metterli da parte? Azzittirli con le buone o le cat-tive? Vai a spiegare loro che ci vuole disciplina di partito, che servono strategie politiche, che ogni impeto va smorzato. Non mi pare proprio che i partigiani abbiano trasmesso tutta questa organizzazione, quietezza, temperanza di sentimenti. Sembra a volte e la sensazione si riaffaccia con scadenza (non ultima la querelle, di cui ahimè a livello locale, sono stato interprete sulla non adesione nazionale alla manifestazione in difesa del-la costituzione) che sia in atto un tentativo di “normalizzazio-ne” dell’anpi. Un tentativo di rendere innocua l’associazione e le diverse visioni. Confrontandomi con altri giovani di anpi sparse per l’italia ho condiviso questa inquietudine, per molti iscritti di altre sezioni la presa di posizione dall’alto dell’anpi sulla manifestazione è apparsa inconcepibile. Il rumore, il cla-more, le azioni sconclusionate, le proteste sopra le righe danno argomentazioni al nemico certo, ma forse sono più letali per il futuro della nostra associazione il silenzio dell’era degli inciuci, la normalità delle grandi coalizioni, il contenimento sociale del dissenso. Non è inquietante per un antifascista l’indifferenza? Il disinteressarsi ipocrita dei tradimenti della morale, dell’etica re-sistenziale? Non è un tema del nostro territorio un tempo virtuo-so “Il Tradimento” di valori sorti dopo la Liberazione? Nessuno vuole mettere in discussione la possibilità per tutti di esprimere le proprie idee, anche quelle più controverse e reazionarie, altra cosa è pensare che dare spazio a forze di nuovo stampo fasci-sta non provochi reazioni. Perchè, passando al caso specifico, è inutile negare che la Lega continui a fare del razzismo la propria bandiera. Certo quei “trecento rivoluzionari” (uso i virgolettati dell’articolo di Glauco) hanno fatto un bel casino antidecoroso ma gli altri che hanno permesso nel giorno del 25 aprile una iniziativa della Lega, come li possiamo virgolettare? E quelli che si mettono il cuore in pace partecipando alla celebrazione pacificatoria del 25 aprile e poi si rintanano in un amorfo, in-dolore, neutrale silenzio? Il 25 Aprile dovrebbe diventare festa condivisa da tutti gli italiani, spurgata di zone oscure, settarismi ecc., ma a me continua a fare un certo senso vedere i palchetti su cui si fa la retorica della Lotta di Liberazione presi d’assalto da qualsiasi politico in cerca di vetrine o lavacri di identità perse

Con inquieto pacifismodi Fabrizio Tavernelli

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o peggio ancora da esponenti che poi nel resto dei giorni sbef-feggia la costituzione o si pone su posizioni illiberali, razziste. Capita, sempre più spesso. Come si fa allora a starsene in si-lenzio, composti, dentro le righe? Vai a spiegare ai giovinastri turbolenti che i partigiani risposero al fascismo senza rumoreg-giare, senza estremismi, senza moto d’animo. Difficile. Dal mio punto di vista il futuro dell’anpi non sarà mai violento, soverchiante e credo neppure “militante” ma allo stesso modo non sarà carico di “empatia”, “condivisione”, “etica” se si tra-sformerà o tornerà ed essere noiosa, innocua, asettica ufficialità. Se la nostra paura sarà quella di dare in pasto al “nemico” ar-gomenti per screditare, saremo allora condannati ad un innocuo immobilismo. Non oseremo più nulla, nemmeno un tono di voce un po’ più alto per paura di attacchi strumentali. I partigiani si chiedevano sempre se ad una loro azione, ci sarebbe stata una controreazio-ne? Sì chiedevano sempre se il loro operato era particolarmente intelligente, mirato, privo di rischi? Spesso era l’urgenza dell’azione, l’impeto che a volte non sa-

rebbe stato troppo centrato, lucido, razionale, anzi foriero di er-rori ma spinto dalla coscienza e perchè no, dalla rabbia e dalla ribellione. Stiamo dunque avvicinando o piuttosto allontanando i giovani “ribelli”? Certo sappiamo che le strategie comunicati-ve impongono di non dare in mano ai media il modo di rovinare i nostri baluardi ma quale direzione stiamo indicando ai giovani per rispondere ad una passività dilagante? E’ difficile pensare a “ortodossie”, linee programmatiche con-divise, moderatismo quando poi la costituzione viene stravolta insieme al rappresentante supremo del fascismo culturale ita-liano, per lo più pregiudicato o ancora peggio con una forza, la Lega, che ha come obiettivo il disgregamento egoistico del paese. Detto questo, non mi vedrete coinvolto in tafferugli con le forze dell’ordine o a rovesciare i banchetti di forze politiche avversa-rie (episodi da cui prendere le distanze, a Correggio in occasione di ERA lo abbiamo fatto) ma allo stesso tempo ho un po’ paura di una amorfa e rassicurante accettazione di spazi e convivenze politiche un po’ troppo disinvolte. Con Inquieto Pacifismo...

Un 25 Aprile dimenticabile?di Rino Montanari

Quando, sull’ultimo numero del Notiziario, ho visto un arti-colo sulla manifestazione del 25 Aprile 2014 a Reggio Emilia, sono andato subito a leggerlo nella speranza di trovare riscontro ai sentimenti e alle sensazioni vissute ed elaborate dentro di me in quella travagliata e triste giornata. Sono rimasto molto delu-so dalle argomentazioni e da ciò che ha catturato l’attenzione dell’autore (aq16, Lega, euro, rivoluzionari) e che riempie il 99 percento del suo articolo. Solo nelle ultime tre righe Bertani si fa la domanda chiave: “perché autorizzare due manifestazioni di quel tipo?”. Per andare all’origine del problema occorrerebbe porsi una domanda diversa: “chi e perchè ha autorizzato una manifestazione della Lega il 25 Aprile nel pieno centro di Reg-gio Emilia in concomitanza con la festa della Liberazione?”. L’evento scatenante è questo! Reggio è una città che si è merita-ta e che continua a meritarsi una giornata di festa completamen-te dedicata ai valori della Resistenza. Ogni angolo della città ha una lapide, una pietra di inciampo, un monumento, un cippo che ricorda quella lotta, quei valori, quei caduti. E’ una giornata in cui la nostra città non può essere divisa con null’altro, lo dobbia-mo a chi ci ha regalato queste Istituzioni e questa democrazia. La Lega è libera di poter fare le manifestazioni che crede, ma si deve mettere in fila... e, certamente, il 25 aprile Reggio Emilia è già occupata (da almeno 68 anni ed io spero che continui). Le Istituzioni preposte che hanno permesso questa “fortuita so-vrapposizione” credo debbano riflettere sulla decisione presa, le

Istituzioni democratiche (Comune, Provincia, ecc...) dovevano far valere con maggior forza la loro opposizione. L’ANPI stessa doveva mobilitarsi molto di più di quanto non ha fatto. Stupisce il silenzio di tanti che dovrebbero rappresen-tare le Istituzioni nate dalla Resistenza. Stupisce la velocità di svolgimento della manifestazione ufficiale. Stupisce che nes-suno dal palco abbia criticato l’evento organizzato dalla Lega. Stupisce che la stampa e le televisioni locali abbiano trattato questa questione in modo estremamente superficiale (una cosa assolutamente normale). Spiace che gli unici ad alzare la voce e a denunciare questa “concomitanza” sia stato un gruppo di un centinaio di giovani subito bollati come autonomi, i “soliti casinisti”, “fascisti rossi” (Salvini)...Un centinaio di giovani contro cui erano schierati centinaia di forze dell’ordine (Polizia Municipale compresa) organizzate e ben equipaggiate che hanno isolato Piazza del Monte e le vie limitrofe, il cuore di Reggio: una vera sconfitta per la città nel giorno della Liberazione. Poi ognuno può mantenere la propria idea sui “rivoluzionari” di aq16. Ma ciò che maggiormente mi spaventa è una città silente, che lascia passare inosservato anche questo affronto e che si sta avviando ad una sempre crescente indifferenza.

interventi

In alto: un momento della manifestazione organizzata da aq16 e, sotto, un particolare di quella delle istiztuzioni (foto Angelo Bariani)

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culturaNon un maggio

qualsiasi per Maria

Guardo le nuvole riflesse nella bacinella d’acqua che ho riem-pito per lavarmi i capelli. Per un attimo mi incanto ad osservare dentro questo cerchio poco profondo di ferro, nel mentre cado-no le gocce dalle punte, che fanno ondeggiare questa specie di dipinto liquido. Poi le nuvole le scruto davvero, spalancando gli occhi al cielo. E’ una mattina di primavera. Oggi il cielo sembra ancor più im-menso. Poche nuvole color latte fresco spezzano in modo irre-golare l’azzurro. I miei ricci, ancora bagnati, hanno reso umida la parte del vestito che copre la schiena. Li tengo raccolti per un po’, chinandomi, e li strizzo per far uscire le ultime gocce d’acqua. Il sole scalda parecchio, pochi minuti e la testa torna asciutta. Il campo che scende sotto casa possiede verde e fiori in abbondan-za, è vestito dai modi della natura e da migliaia di insetti. Il posto in cui stiamo sostando è delizioso, pare estraneo alle vicende degli ultimi mesi eppure ne è stato colpito duramente: i proprietari della casa sono stati portati via, uccisi forse, il bestia-me pure è stato sottratto ai suoi padroni. Doveva trattarsi di una famiglia numerosa, il casolare è grande, seppur comprende la stalla e il fienile che presi insieme occupano due terzi dell’intera struttura; c’era anche un’orto, ma al suo interno non è rimasta che terra ed erbacce. “Che fai, ti abbronzi?”, mi dice Sergio affacciato ad una finestra dell’abitazione. “Mi sono lavata i capelli, aspettavo al sole che si asciugassero. Questo posto è splendido, non trovi?”, gli rispondo. “Sì, è molto bello, è un peccato rimanerci così poco”. Sergio è un ragazzo poco più grande di me, i suoi atteggiamenti sono sicuri e impostati, ma il suo viso rivela ancora una cer-ta tenerezza da fanciullo. Sta ancora lì affacciato, mi guarda e sorride. Io fingo di non considerarlo, mi metto a posto la cami-cietta, la gonna. Mi sento osservata. Raggiungo Aldo e Cesare

che stanno seduti sull’erba riparati dall’ombra di due querce enormi. Aldo pochi giorni fa durante uno scontro con un gruppo di tedeschi ha subito un colpo al braccio, per fortuna solamente sfiorato. “Come va il braccio?”, gli domando. “Sento dolore ma il bruciore è passato. Domani mattina ripar-tiamo, questa zona è da troppo tempo lasciata a se stessa, questa quiete non mi da tranquillità. I fascisti possono capitare in ogni momento”. Nel dire ciò Aldo si sistema la fasciatura e scruta l’orizzonte come un cane da guardia che allunga il muso verso possibili pe-ricoli. Lui è un uomo dall’apparenza severa, è esigente e rispet-toso. Inizialmente fu molto diffidente e contario riguardo alla mia presenza nella formazione; per lui questa è una questione maschile, strettamente legata ai muscoli e al coraggio, ma un muscolo lui a momenti lo perdeva senza il mio intervento al suo braccio ferito. Poi devo dire che non disprezza affatto ciò che preparo loro da mangiare, quando si hanno gli ingredienti per cucinare qualcosa o quando la situazione lo permette. Quando spiega ai compagni le future mosse, i prossimi movi-menti, sembra che non mi prenda nemmeno in considerazione, come se preferisse lasciarmi sul posto, in mano ai fascisti. Non me la prendo più di tanto, non c’è tempo per attaccarsi a queste leggerezze, intorno a noi c’è allerta, occorre utilizzare le energie mentali e fisiche per salvarsi la pelle. E’ sera. Abbiamo mangiato poco, le scorte scarseggiano e le ra-zioni di cibo assomigliano a quelle di certe bestie selvatiche, in mano al destino. Può capitare di trovare gente generosa, e da queste parti è frequente, come accade di incontrare gente spa-ventata, e di questi tempi il perché lo si intuisce facilmente. Ci sono giunte voci di interi paesi bruciati, persone sterminate per presunti aiuti a noi partigiani.

Io ti racconto... vite partigiane. Giovani che raccontano giovani - un’anticipazione?

di Elia Carlotti

Mi chiamo Elia Carlotti, studente universitario di 21 anni, vivo a Bibbiano. Sono il nipote di Remo Bonazzi (par-tigiano “Andrea”) e di Enore Melioli, sorella di Ave Melioli, Medaglia d’argento per la Resistenza. I racconti e le vicende che mi sono venuti incontro in tutti questi anni attraverso testimonianze dirette o indirette, hanno dato energia sufficiente alla scrittura di questo testo, frutto, in larga misura, della mia fantasia.

“l’UNITA” E’ MORTA RIMANE LA SPERANZA DELLA SUA RESURREZIONE

Novant’anni giusti dopo la sua fondazione ad opera di Anto-nio Gramsci, “l’Unità” ha cessato di esistere, ma occorre spe-rare nella sua resurrezione. Anche perché quel giornale rimase in vita, e clandestinamente diffuso, perfino durante il ventennio fascista.“ Noi veniamo da lontano – diceva Togliatti – e andremo lon-tano”. La vita di quelli della mia generazione, dall’immedia-to post liberazione, è stata costantemente accompagnata da un giornale che aveva quel nome : “l’Unità”.“Stiamo uniti perché il cammino è difficile”, ci dicevamo. E dif-

di Giacomo Notari

ficile il cammino lo fu anche nell’Italia nata da quella Resisten-za alla quale molti di noi avevamo partecipato.Ai tempi di Scelba il mio paese, Marmoreto, sull’Appennino, contava circa trecento anime. Una sessantina erano giovani e donne aderenti al Partito comunista. A quel partito io mi ero iscritto già durante il partigianato.Da Milano ogni giorno arrivava il pacco del quotidiano di Gramsci e a turni, alcuni di noi, lo portavamo alle famiglie. Ecco perché oggi ci sentiamo orfani, pensando a quei primi anni del dopoguerra che non furono una passeggiata, anche se uffi-

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culturacialmente eravamo nel Paese delle libertà costituzionali, com-presa la libertà di pensiero a mezzo stampa… Basti un episodio per avere idea delle difficoltà che incontrammo.Capitò che uno dei nostri attivisti, nell’era scelbiana, scrisse a mano un manife-stino annunciando che avevamo raccolto una certa cifra a soste-gno appunto de “l’Unità”. Capitò anche che un benpensante avvertì i Carabinieri di Colla-gna di questo infame reato. Nel giro di poche ore una camionetta dell’Arma era a Marmore-to, davanti a casa del colpevole, Corrado Coli, classe 1928. Gli legarono le mani e lo portarono nel carcere di San Tommaso, a Reggio.Noi, in paese, pensavamo di vederlo tornare nel giro di pochi giorni. Invece non fu così. Sicché, dopo una settimana dall’ar-resto di Corrado mi attivai, andai a Reggio con la corriera e mi presentai alla portineria del carcere.Il funzionario incaricato mi spiegò che Coli non poteva uscire perché doveva pagare vitto e alloggio per il suo “soggiorno” in San Tommaso.Tornai a casa con la solita corriera. Come cellula del Pci (intitolata a mio fratello Giuseppe, caduto partigiano) organizzammo una sottoscrizione tra la borgata di Marmoreto e il paese di Busana, raccogliendo la cifra necessaria. Di quei tempi i soldi non abbondavano. Molti paesani erano an-dati nelle miniere del Belgio e vigeva ancora un’agricoltura di sopravvivenza. Per finire tornai alla portineria del carcere, pagai il conto, e as-sieme al prigioniero liberato comprammo due biglietti per tor-nare a casa.Questo ex prigioniero vive tuttora, a pochi passi da casa mia. Fin che “l’Unità” è uscita è andato ogni giorno all’edicola, a Busana, acquistando il nostro giornale anche per me. Compreso l’ultimo numero, che conservo, nella speranza della resurrezione. Perché crediamo che di quel giornale ce ne sia an-cora bisogno.

Con la scomparsa di Antonio Soda noi dell’ANPI perdiamo un amico che abbiamo avuto spesso al nostro fianco, con la sua grande competenza di giurista e lo spirito di sincero democratico, nell’azione a difesa dei valori della Resistenza su cui si fonda la Costituzione Repubblicana. E’ in corso una riforma della Costituzione piuttosto radicale: trasformare il Senato, disegnato dai costituenti nel secondo dopoguerra, in Senato delle autonomie”. Così scrivevamo il giorno in cui apprendemmo della morte dell’onorevole Soda. Noi lo vorremmo ricordare proponendo le domande che gli avevamo sotto-posto alcuni mesi fa per il Notiziario di luglio: “se la malattia me lo consente rispondo volentieri”, ci disse. Purtroppo le cose sono andate tragicamente.

“Nel testo base del governo l’obiettivo è abolire il bicamera-lismo perfetto, le indennità, il voto di fiducia, il voto sul bilan-cio. Inoltre, usiamo il condizionale, prevederebbe l’elezione dei senatori sia tra i consiglieri regionali sia in un listino a parte in cui sarebbero indicati i nuovi senatori che i cittadini devo eleggere.– Andrea Pertici, ordinario di Diritto costituizionale all’Uni-versità di Pisa, firmatario insieme a Civati di un progetto di riforma costituzionale profondamente diverso da quello pre-sentato dal governo, sostiene che cosi il Senato diverrebbe non una seconda Camera ma una Camera secondaria. Anche il senatore Chiti è firmatario di un progetto di revisione costitu-zionale lontano da quello del governo e più prossimo a quello di Civati. In questi ultimi due progetti il Senato perderebbe il suo attuale ruolo ma non la funzione di seconda Camera. Che ne pensa?

– In questo stagione di riforme anche il Titolo V della Costitu-zione, già riformato in fretta e furia nel 2001, è di nuovo oggetto di attenzione riformatrice. Infatti – oltre ai numerosi contenziosi apertisi fra Stato e regioni su materie in cui non si capisce bene di chi sia la competenza – con la riforma del 2001, le regioni “hanno visto crescere in tutti i campi la loro autonomia orga-nizzativa e di spesa senza che di pari passo crescesse la loro autonomia fiscale, ma contemporaneamente non era impegnate a recuperare quel denaro che non era loro”. Quindi… – Secondo lei il progetto di riforma della legge elettorale, il cosiddetto Italicum, è costituzionale? In merito ci sono pareri contrastanti...”.

Questa la scheda di presentazione che aveva-mo preparato: Antonio Soda è nato a Melfi il 28 gennaio 1943. Coniugato con la reg-giana Carla Ferrari, risiedeva a Reggio Emilia da oltre trent’anni. Ha

Antonio Soda: politica e cultura

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cultura

Prodi: “Tutto si muove, tutto si tiene” è un misto di spiritualità e laicità...

il nuovo libro di Albertina Soliani

Il profumo di biancheria pulita. Di quella asciugata al sole in estate. Ecco. È la prima sensazione che ho avuto leggendo “Tutto si muove, tutto si tiene” di Albertina Soliani (ed. Diabasis). E già questo potrebbe bastare per dire che il libro è piacevole. Poi, leggen-dolo, la ensazione seconda è stata quella di intraprendere un viaggio. Nel tempo e nello spazio. Che ha avuto inizio nella campagna di Boretto, via Goleto, zanzare in estate e nebbia in inverno che l’ha vista bambina. Poi Parma, la musica di Verdi come colonna sonora, gli studi superiori e l’insegnamento; Roma, la città eterna ed il Parlamento, l’im-pegno politico e la Costituzione. Infine Ran-goon, Birmania, terra bellissima e coraggio-sa, affamata di libertà e diritti civili, come Aung Sun Shu Khi, che attendeva Albertina nella sua casa e con la quale ha stretto una bella amicizia. Amiche. E tra amiche ci si va a trovare a vicenda. Quindi Parma. Nella sua Emilia. Nella terra di Verdi. Perché tutto si muove, tutto si tiene. Romano Prodi, nella prefazione al libro, scrive che “gli ideali che Albertina ha perseguito e gli obiettivi che ha raggiunto sono il risultato di fatica, di semplicità, e di assoluta coerenza rispetto ai propri principi”. “Tutto si muove, tutto si tiene” è un misto di spiritualità e laicità. Vangelo e Costituzione. Il tutto condito dall’intelligenza e dalla tenacia di una donna. Che non ha avuto paura delle difficoltà. Che ha creduto fortemente in quello che

di Anna Fava

faceva. Che ha ascoltato la sua vita e quella degli altri e che agli altri ha dedicato il suo impegno. Perché questo libro, che vuole es-sere “quasi un bilancio per la generazione che viene” diventa un atto d’amore verso le nuove generazioni. Quelle che oggi sono così bistrattate, con poche speranze e tante difficoltà. Nell’aprile scorso ho avuto il pia-cere di ascoltarla nella sala civica di Povi-glio. Ero di ritorno da un viaggio a Napoli. Lì, casualmente avevo incontrato i ragazzi che si occupano di ridar dignità e splendore al Rione Sanità. Giovani coraggiosi, intra-prendenti, che hanno ridato vita alle bellez-ze artistiche in questo quartiere, con la vo-glia di strapparlo, faticosamente, pezzo per pezzo, alla malavita. Confesso l’emozione e la mia commozione nell’ascoltare la guida che mi aveva accompagnato alla scoperta di questa realtà. E confesso la stessa emozione un paio di sere dopo, nelle parole di Alberti-

na Soliani. Perché il confronto, per me, è stato inevitabile. Due generazioni, lo stesso impegno. La stessa voglia di lottare. La medesima voglia di cambiare. Cambiare per migliorare. Per se stessi, per la comunità locale, per gli altri. In nome di quei valo-ri, così belli e non scontati che stanno sia nel Vangelo che nella nostra Costituzione. E in quel profumo di biancheria pulita, così intenso e così buono, che accompagna la vita e la politica più bella.

due figlie.Entrato giovanissimo in Magistratura nel 1968, ha svolto a Reggio Emilia funzioni di giudice istruttore, di giudice di sorveglianza, di giudice del lavoro e di giudice del dibattimento. E’ stato quindi consigliere presso la Corte di Appello di Bologna. No-minato magistrato di cassazione, con la candidatura, nel 1994, nella lista dei Progressisti, ha preferito dare le dimissioni dall’ordine giudi-ziario per dedicarsi in piena libertà allo svolgimento dell’attività poli-tico-parlamentare. E’ stato membro della Commissione Affari Costitu-zionali e del Comitato dei Servizi di Sicurezza nella XII Legislatura.Si è quindi iscritto nell’albo degli avvocati patrocinanti in Cassazione. Eletto deputato nelle liste dell’Ulivo, nel 1996, ha ricoperto la carica di responsabile del gruppo dei Democratici di Sinistra-Ulivo nella Com-missione Affari Costituzionali e Interni della Camera. Componente della Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali, ha parte-cipato attivamente ai lavori per il progetto di superamento della crisi istituzionale italiana. Antonio Soda ha contribuito alla formulazione di numerose proposte di legge diventate leggi dello Stato: fra queste, la legge costituzionale sull’autonomia statutaria delle regioni e sull’elezione diretta del Pre-sidente della Regione, la legge costituzionale sul giusto processo, la legge costituzionale sull’ordinamento federale della Repubblica, la legge sul cosiddetto pacchetto sicurezza, la legge sulle associazioni di promozione sociale, la legge sulla cremazione.E’ strato presidente dell’istituto musicale “A. Peri” di Reggio Emilia.

Sulle questioni della demo-crazia ha scritto “Ripensia-mo la Costituzione”, Editori Riuniti, è anche autore di saggi giuridici fra i quali, da ultimo, Le riforme istituzionali: la transizione incompiuta (1993-2000) Ordinamen-to comunitario e diritto nazionale.E’ stato eletto deputato nel-la nelle legislature XII, XIII XIV Legislatura, quest’ulti-ma dal 4 giugno 2001 al 27 aprile 2006.Nel note iniziali abbiamo scritto di averlo avuto spesso al nostro fianco. Vogliamo solo ricordare due articoli/intervista pubblicati sui nn. del Notiziario di set/ott e dic/1994 il primo La lotta politica passa fra opulenza e miseria e Come rivivi-talizzare il centro storico di Reggio?.

Antonio Soda: politica e cultura

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l’opinioneLa riforma del Senato è davveroun attentato alla democrazia?

di Glauco Bertani

Terracini mentre firma la Costituzione

ta che la classe politica da di sé a un’opinione pubblica che si reputa migliore, cosa di cui dubito leggermente. Nella riforma presentata dal governo Renzi il Senato assume funzioni diverse dalla Camera e sarà formato da rappresentati eletti dalle Regioni, da alcuni sindaci e da personalità nominate dal Presidente della repubblica per un totale di cento membri. Dall’8 agosto scorso, giorno in cui è stata approvata a Palazzo Madama al giorno in cui sarà effettivamente operante, di tempo ne passerà di sicuro parecchio, tuttavia anche se per qualcuno i problemi sono sem-pre altri, la ricaduta di fiducia su una nuova classe politica che appare decisa a rompere una certa prassi consolidata non può che far bene alla democrazia (che non mi pare in pericolo). Se è demagogia lo dirà un tempo non troppo lungo, ma ora a me pare prevalente in questa giovane compagine governativa lo sforzo di sanare il gap fra governati e governanti. L’opposizione alla riforma ha gridato alla dittatura, chiaramente un’iperbole lingui-stica, senza valutare il fatto che la democrazia è, sì, rispetto delle minoranze ma non è la “prevaricazione della minoranze sulla maggioranza. No, questa è dittatura”, Terracini docet.

“[Onorevole Umberto Terracini], che cosa si potrebbe escogitare per rendere più snello e rapido il lavoro del parlamento?Abolire una delle due Camere.Faccio finta di non aver sentito e torno a chiederti: per snellire l’iter parlamentare delle leggi non si potrebbe, per esempio, aumentare i casi per i quali sono previste sedute in comune di Camera e Senato?I costituenti esclusero espressamente la possibilità di istituziona-lizzare un’assemblea nazionale che fosse la somma delle due as-semblee già esistenti […] Solo in casi particolari i due rami del parlamento possono essere convocati in seduta comune.Non si potrebbe aggiungere a questi casi quelli delle dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio e della votazione su mozioni di fiducia o di sfiducia al governo?[…] Ma il problema non è quello di risparmiare tempo solo in oc-casioni eccezionali […] No, il problema è molto più vasto e inve-ste la funzionalità del parlamento in ogni suo atto quotidiano […] L’unico modo per riuscire nello scopo è sopprimere una delle due Camere.

Bene: e quale delle due Camere sopprimeresti?Ma il Senato naturalmente. Per tradizione è stata sempre la meno rappresentativa. E oggi, nonostante che anch’essa venga eletta di-rettamente dal popolo, scaturisce da una base elettorale più limitata di quella della Camera.

Per via della differenza d’età degli elettori e degli eleggibili?Appunto”.Le motivazioni, come si vede, alla base dell’eliminazione del bicameralismo perfetto sono diverse da quelle che oggi spingono per la differenziazione dei compiti di Camera e Senato. Uguali invece le ragioni funzionali: rendere più snello e rapido il lavoro del Parlamento, per evitare, come ricorda Danilo Morini, la de-cretazione d’urgenza, vera metastasi di un sistema democratico. Non è, però, la fregola delle citazioni che mi ha suggerito di riportare questo passo della lunga intervista su “Come nacque la Costituzione” che il partigiano Pasquale Balsamo fece, nel lonta-no 1977, a Terracini comunista, antifascista lungamente incarce-rato, partigiano, membro della Commissione dei 18 e presidente dell’Assemblea costituente, ma è la laicità con cui affronta un problema complesso come la possibile revisione costituzionale. Recentemente Mauro Bortolani, dell’Associazione per la difesa della Costituzione, ha scritto, in risposta a Danilo Morini, soste-nitore della riforma in corso, che il pericolo sia l’eccessivo peso che – congiuntamente a una legge elettorale che premierebbe i maggior partiti – verrebbe ad assumere l’esecutivo, con il con-seguente sbilanciamento degli equilibri dei poteri dello Stato, già descritti da Montesquieu. “Ci rendiamo tutti conto – scrive Bortolani – che un tale rischio può essere ‘mortale’ per la demo-crazia, se un populista-demagogo ben più pericoloso di Renzi, riuscisse a conquistare il favore popolare”.Nel testo della carta nata dalla Resistenza, Terracini, invece, avrebbe fatto radicalmente a meno del Senato e siamo nel 1977, gli anni Settanta furono, come tanti ricorderanno, anni piuttosto turbolenti. Ma il problema della snellezza dell’iter legislativo è un problema che l’ormai vecchio esponente del PCI pone con decisione. E oggi, credo, che il maggior pericolo per la democra-zia non stia tanto nella preoccupazione sollevata da Bortolani, e da altri esponenti politici compresi diversi “compagni” di partito di Renzi, ma piuttosto nell’immagine di immobilità privilegia-

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70esimi70 ANNI FA INIZIAVA

LA LUNGA SETTIMANA DEL PARTIGIANOCol contributo decisivo e mai abbastanza valorizzato di centinaia di donne

Uno degli aspetti di straordinario valo-re della lotta di liberazione nel Reggiano fu la cosiddetta “Settimana del Partigia-no” che, in teoria, avrebbe dovuto durare dall’11 al 18 ottobre 1944, ma che in real-tà si protrasse fino a tutto dicembre ed ol-tre, coinvolgendo in particolare centinaia di donne di tutta la provincia. Lo scopo era quello di sovvenire alle esigenze di vestiario e di alimentazione dei partigia-ni in montagna, alleviando anche così il peso sopportato dalla popolazione mon-tanara. Alla realizzazione dell’iniziativa, oltre ai Gruppi di difesa della Donna, par-teciparono anche i sappisti della pianura e il Fronte della gioventù. Prima si trattò di far conoscere alla popolazione l’ini-ziativa, mediante la ripetuta affissione notturna di appositi volantini in tutta la pianura, poi di raccogliere presso le fami-glie alimenti, vestiario e quanto serviva al sostentamento delle formazioni.Nonostante le condizioni economiche difficili per tutta la popolazione, determi-nata dalle ristrettezze connesse alla situa-zione bellica, i risultati furono di eccezio-nale importanza.Il peso maggiore della raccolta, casa per casa, toccò ai Gruppi di difesa della don-na. Centinaia di organizzate, nei dintorni di Reggio e in tutto il resto della pianu-ra e della pedecollina, si mobilitarono allo scopo.Merita di ricordare l’esempio di Zelina Rossi, Anna, mezzadra di Ba-gnolo, che fu una protagonista della or-

di Antonio Zambonelli

Volantino di lancio della “settimana”

ganizzazione dei GdD tra Bagnolo, Cor-reggio, San Martino in Rio e Rubiera. Ci ha lasciato un importante fondo cartaceo relativo alla sua attività. In un rapporto del 12.12.44 leggiamo “Settore Budrio. Le organizzate hanno ultimato i guanti e stanno preparando i pacchi natalizi […] S. Martino. Ho riunito le responsabili del settore […] hanno ultimato quel po’ di guanti che hanno potuto fare dato che in generale sono tutte operaie e molto po-vere”. In un rapporto che Anna riceve da Greta leggiamo che anche a Bagnolo “si sta ultimando la confezione dei guanti e anche dei pacchi per i nostri garibaldini, i nostri fratelli che sono in montagna sotto i rigori del freddo”.Come avvenissero i trasporti verso la montagna ce lo racconta per esempio Ce-sare Soragni, all’epoca abitante a Marmi-rolo: ”I compagni partigiani di sotto della Via Emilia, cioè di Castellazzo, Gazzata, San Faustino, avevano il compito di re-alizzare la raccolta di viveri, indumenti, guanti. Io e il mio amico Pippo Bertani e la staffetta Nanda Lasagni, da Marmiro-lo, che sta a sud della Via Emilia, porta-vamo la roba al primo posto di blocco, a Viano, passando da Gavasseto, Sabbione e Pratissolo. Il materiale era trasportato, nottetempo, da un birocciaio con una biga. La staffetta stava davanti in bici-cletta. Noi due seguivamo il carro pronti a intervenire in caso di necessità: io ave-vo soltanto una rivoltella a tamburo. Una

volta, qualche giorno prima del Natale ‘44 avvertiti dalla staffetta che stavamo per imbatterci in una colonna tedesca in transito sulla strada per Scandiano – era-no circa le 4 del mattino – facemmo mar-cia indietro e ricoverammo la biga sotto il portico di contadini amici. La notte successiva ritornammo sul posto e ripar-timmo col prezioso carico verso Viano”.Carmen Altare, impegnata come la sorel-la Cosetta nei GdD di Castelnovo Sotto, sottolinea, in una sua testimonianza, che non vanno dimenticate “per tutto il loro contributo, anche le modestissime donne casalinghe [...] fecero tutto il possibile per trovare indumenti, viveri. Il risultato fu molto buono . Ricordo che le donne avevano tirato fuori la lana dai loro ma-terassi, filato, fatto guanti […] Furono raccolti anche molti medicinali . Andava-mo da medici e farmacisti della zona che collaboravano con noi. Ne mettemmo in-sieme scatoloni: bende, cotone, bottiglie di alcool. Consegnavamo il tutto ad Olga Lini impiegata alla Cantina sociale, che era di Correggio….lei provvedeva all’in-vio del materiale a destinazione”. A metà dicembre venne lanciata, in conti-nuità con la “settimana”, la campagna per il Natale del Partigiano e furono ancora i GdD a mobilitare centinaia di donne per confezionare i pacchi dono contenenti vestiario, viveri, dolci e un biglietto di auguri. E fu ancora mediante l’Intenden-za delle SAP che i pacchi vennero fatti arrivare in montagna. Per esempio verso il 20 l’intendente Athos, del sotto setto-re Fellegara-Arceto, provvide con alcuni uomini a trasportare i pacchi “che per la maggior parte erano provenienti dalla Bassa reggiana e dal settore di Rubiera” (Istoreco, busta 16/A).Dai primi di gennaio del ‘45, con la ri-strutturazione delle SAP provinciali in due brigate (76.a e 77.a), la 5.a zona (Scandiano e comuni limitrofi) diventò 1. battaglione della 76.a con una regolare Intendenza che provvedeva all’approv-vigionamento della montagna essendo rimasta libera la via che da Scandiano portava a Baiso e oltre.Quasi ogni giorno – scrive Laerte Ragni – squadre di SAP scortavano ogni genere di vettovagliamento dalla zona di Rubiera a quella di Viano sfidando mille pericoli ed eludendo la vigilanza tedesca. Quintali di merci passarono per quel corridoio a mezzo di colonne di carri con la collabo-

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razione dei contadini locali nonostante il disturbo continuo degli aerei e delle pat-tuglie nemiche.Il partigiano rubierese Dante Ognibene ricordava che molta roba veniva imma-gazzinata a casa sua e che il burro veniva fuso e trasportato dentro a damigiane. Lo stesso Ognibene ed altri, aggiungono che talvolta la merce veniva trasportata verso la montagna con un camioncino condotto dal cosiddetto “bandito Valenti”, singola-re personaggio che nel febbraio ‘45, con eccezionale sangue freddo, riuscì anche a portare in salvo Otello Montanari feri-to in combattimento a San Maurizio, da Villa Bagno fino in montagna, di gior-no, passando indenne anche in mezzo ai tedeschi. La vicenda della settimana del partigiano, iniziata 70 anni or sono e continuata fino a dicembre ’44, ebbe un’importanza decisiva per far sì che i distaccamenti partigiani della montagna potessero continuare la lotta nonostan-te il proclama Alexander con cui, 13 novembre ’44, erano stati invitati a tor-narsene a casa in attesa della primavera e della ripresa dell’avanzata alleata dal Sud. Dalla Bassa, per esempio da Campa-gnola, Fabbrico, ecc. il materiale raccolto veniva trasportato, naturalmente sempre di notte, lungo la via Beviera, all’epoca strada bianca immersa nella campagna, fino a Bagnolo e poi Pratofontana, dove

c’era un posto tappa diretto da Giovanni Ferretti, Corradi. Lì avveniva in genere il cambio delle staffette e si provvedeva a far proseguire il materiale.Continuando con un altro esempio: anche in tutto il comune “rivierasco” di Gualtie-ri venne organizzata una raccolta straor-dinaria per la “settimana”. “A Pieve Sali-ceto, ricordava Anna Tirelli, siamo andati con un carretto trainato da un cavallo. Lo abbiamo riempito di salumi, formaggio e farina donati dai contadini. Il 29 novem-bre l’Intendenza del IV distaccamento SAP manda in montagna il seguente materiale: tute 520, camicie 350, paia di scarpe 150, giubbe 80, coperte 650, burro kg. 50, formaggio kg. 150, pasta kg. 40, sale kg. 200, carne kg. 30. Parte dei ge-neri indicati erano stati sottratti, con un colpo di mano, al maggiore tedesco che comandava la Organizzazione Todt di Guastalla”.Restando alla zona Ovest del Reggiano, apprendiamo che a Cavriago, dove ope-rava una forte ed estesa organizzazione dei GdD “l’attività più impegnativa era costituita, oltre che da riunioni politiche con rappresentanti del Pci e del FdG, “dal lavoro di raccolta, confezione e spedizio-ne di pacchi (medicinali, sigarette, viveri, indumenti, generi di comfort) alle forma-zioni di montagna”. In particolare, nel paese rosso ma anche dossettiano, anche

“alcune donne cattoliche (Silvia Rigattie-ri, Anna Magnani e altre) partecipavano al lavoro dei GdD, e raccoglievano esse stesse sia le quote sociali sia i generi da inviare ai partigiani. I gruppi dei vari rio-ni [Pratonera, Cristo, San Nicolò, Castel-lina, Borghetto] erano incaricati di racco-gliere [...] i singoli generi, che venivano ammassati nel fienile di Armando Ferra-ri Bedini. Qui si riunivano le donne per confezionare i pacchi, che poi venivano portati a casa della Burani, dove passava-no a ritirarli gli incaricati dell’intendenza partigiana” (CAVANDOLI, Cavriago an-tifascista, p.198) .Fu un vera e propria gara di solidarietà che riguardò non solo il Reggiano ma anche varie zone dell’Italia settentrio-nale e che si avvalse del contributo de-cisivo e mai abbastanza valorizzato, di tante donne. Sul n.10 di “Noi Donne”, periodico clandestino dei GdD (e nel dopoguerra dell’UDI), pubblicato e diffuso nel Nord Italia, si traccia un bilancio di quella “lunga settimana”, dove si legge che “chi batte il record di questa gara di solidarie-tà patriottica e di affetto è Reggio Emi-lia e provincia, dove la somma raccolta raggiunge il milione, senza contare una quantità imponente di materiale vario che si può valutare per una somma due volte superiore”.

70esimi

70° anniversario dell’incendio di Toano

L’esperienza degli sfollati a Codesinodi Renzo Martinelli

Settanta anni fa Codesino era un ca-solare isolato a valle di Toano, quasi a picco sul torrente Dolo, raggiungibile solo attraverso sentieri e carraie.All’inizio di agosto del 1944 era di-ventato rifugio di gente fuggita in tutta fretta dal paese con poche cose essenziali: coperte, masserizie e ... mucche, prezioso capitale per i con-tadini di allora. Quasi tutti i toanesi erano sfollati al diffondersi della voce che stavano so-praggiungendo i tedeschi in azione di rappresaglia antipartigiana. Molti cercarono scampo proprio a Codesino.Gli sfollati pensavano agli eccidi ed alle devastazioni compiute nel mese di marzo in località poco distanti: Mon-chio, Susano, Costrignano, Savoniero, Cervarolo. Erano sgomenti. L’unica loro speranza era che i tedeschi non si sarebbero spinti fino a quello sperduto casolare. Erano tanti, troppi per essere ospitati tutti in casa. Eppure sperimen-tarono un’accoglienza straordinaria da parte delle famiglie Cappucci che vi abitavano. I vecchi, le donne ed i bam-

bini trovarono alloggio nelle camere, nei corridoi, nelle cantine, negli sgabuzzini; gli uomini nelle stalle e nei fienili, ma molti di questi ultimi preferirono trascor-rere le notti nei fossi, nelle boscaglie del-la Mattina o – come scrisse padre Mario Cappucci del luogo, recentemente scom-parso – nelle tane del Mandariaccio, le quali “abituale dimora delle volpi, sono divenute casa per gli sfollati”. Il cibo non fu fatto mancare. Era costituito dal pane che i Cappucci sfornavano ogni giorno, dal latte di cui vi era abbondanza e dal formaggio fatto in casa.Ricordava padre Mario: “Nel corridoio del piano terreno della casa le pentole sono piene di latte a disposizione di tutti e le donne sono indaffarate a fare il for-maggio. Pane e formaggio saranno l’ali-mento di tutti”. Da quella sperduta loca-lità il 5 agosto gli sfollati videro nubi di fumo levarsi dal paese in fiamme e dalla cima del Castello: delle loro case, delle chiese, del municipio non sarebbero ri-masti che cumuli di macerie. A distanza di settanta anni, sabato 2 ago-sto gli “Amici dei borghi toanesi” ed i Cappucci del luogo (figli e nipoti di co-loro che concessero generosa ospitalità ai

fuggiaschi) hanno organizzato, con il pa-trocinio del comune di Toano e della pro loco, un incontro rievocativo, seguito da merenda sul prato, “per riassaporare quei sentimenti di amicizia e di solidarietà che resero eccezionale l’esperienza degli sfollati a Codesino”, con accompagna-mento di canti della tradizione popolare.La cerimonia, guidata con elegante brio da Mario Ferrari (Presidente della CRI di Toano), si è articolata in una serie di bre-vi ma significativi interventi da parte del Sindaco prof. Vincenzo Volpi, del Presi-dente dei Borghi Toanesi arch. Elisabetta Vendramin, dei cugini Alessandro e Ca-millo Cappucci, nonché della dottoressa Mirta Grossi titolare di un B&B nelle vi-cinanze, grande estimatrice della vallata. E’ proseguita con la benedizione del cip-po da parte del parroco don Graziano Gi-gli e gli onori resi dalle insegne di CRI, ANPI, ANA, REDUCI. Trombettiere Damiano Ceresoli. La ricorrenza dell’in-cendio di Toano è stata poi ufficialmente commemorata il giorno successivo, do-menica 3 agosto, con una santa Messa celebrata nell’antica Pieve di Santa Maria in Castello da don Graziano Gigli, ac-compagnata dai canti della corale S. Roc-co di Gusciola diretta dal maestro Pier Alberto Bernabei. Ai lati del presbiterio rendevano onore i labari dei Comuni di Toano, Montefiorino e Prignano oltre alle insegne dell’ANPI (presente Giacomo Notari), dell’ANA e della CRI di Toano.

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Sabato 6 settembre si è svolta la com-memorazione della fucilazione avvenuta a Gavasseto il 3 settembre 1944 di Giu-seppe e Gino Vecchi. Nell’occasione si sono ricordati insie-me, anche se morirono in circostanze di-verse perchè vittime della stessa mano: il nazifascismo, e anche perchè ama-rono e servirono la libertà con la stessa convinzione. Giovanni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi, caduto in combattimento il 24 novembre 1944 e Onesto che fu richia-mato allo scoppio della seconda guerra mondiale e che risultò disperso sul fronte russo nel 1943. Dissero no alla dittatura, alla privazione di libertà e dignità umana, all’odio, che li colpì tremendamente, ma non li sconfisse.La sezione cittadina Dorina Storchi “Lina”, in collaborazione con CGIL SPI e il contributo di UNIPOL ha effettuato la ristampa del libretto “I F.LLI VECCHI: una famiglia contadina nella resistenza”. Si è ritenuto doveroso continuare sulla strada delle pubblicazioni dedicate a fi-gure eroiche della nostra terra, occasio-ne importante per riflettere sulla pagina più buia della nostra storia e sugli eventi che hanno segnato la fine del fascismo e dell’occupazione nazista. Una pagina di storia che nelle nostre scuole viene studiata in modo superficia-le e in tarda età, mentre dovrebbe essere proprio la Scuola il luogo dell’appren-dimento, dell’inclusività, del rispetto, dell’apertura, della pluralità delle idee politiche e delle culture. La scuola è il luogo che dovrebbe garan-tire l’uguaglianza e la libertà di pensiero; la scuola è l’antitesi del fascismo. Per

Gavasseto 6 settembre

Anpi e Spi-Cgil nel settantesimo del sacrificio dei fratelli Vecchi

di Anna Ferrari

A sinistra il corteo; a destra Antonio Zambonelli durante la commemorazione; alle sue spalle il Sindaco, di fronte Luciano Cattini e sullo sfondo Anna Ferrari

questo l’insegnamento degli avvenimenti della nostra storia è indispensabile affin-ché non sembri una pagina lontana dai nostri giorni.Alle 10 presso la chiesa di Gavasseto si è svolta la funzione religiosa. Un corteo si è poi formato con le bandiere dell’ANPI provinciale, della sezione Cittadina “Do-rina Storchi Lina”, della sezione di Villa Ospizio, dello SPI-CGIL, fino al cippo davanti al quale si è svolta la cerimonia con l’intervento del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi e dello storico e se-gretario dell’ANPI Antonio Zambonelli. Luca Vecchi, per la prima volta nella ter-ra dei suoi antenati in veste di Sindaco, ha affermato che il ricordo della morte dei quattro fratelli Vecchi fa parte della sua memoria familiare e della sua forma-zione umana, cominciando dai racconti della nonna paterna, oggi 95enne, vedova di Onesto, disperso sul fronte russo dal 1943 (quando il papà di Luca aveva due anni).Ha poi sottolineato come il ricordo della Resistenza,della solidarietà popolare at-torno ai partigiani, frutto di una radicata tradizione di solidarismo, debba oggi e in futuro costituire un valore fondante e da mantenere vivo di fronte alle nuove diffi-cili sfide che ci attendono. Concludeva infine ponendosi la domanda di come mantener viva in futuro le me-morie delle lotte dei sacrifici che fondano la nostra identità di Paese democratico .Zambonelli, collegandosi alle parole di Vecchi, richiamava i vari interventi che da anni vanno svolgendo, nelle scuole e altrove, l’ANPI e lo SPI-CGIL in colla-borazione con ISTORECO, proprio sui temi della Memoria e del suo impatto col

presente. Rivolgendosi al Sindaco, segna-lava come sia necessario che nella città e nel territorio venga reso anche “leggibi-le” (con targhe e “pietre d’inciampo”) lo spessore della storia del Novecento, dalle radici di un solidarismo che fu soprattutto socialista e che passò come fiume carsico sotto la scure del fascismo, remergendo in una intesa col cattolicesimo sociale, e non solo, nella lotta di Liberazione.In sostanza dalla commemorazione del 6 settembre è emerso, ancora una volta, che queste celebrazioni debbono aiutarci a saper cogliere la grande eredità che la resistenza ci ha lasciato. Significa ribadire i valori della Costi-tuzione repubblicana nel contesto di un’Europa che sia operatrice di pace e impegnata affinché i deboli e gli “ultimi” abbiano una vita degna di essere vissuta.

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memoria- Sentieri Partig

Un venerdì mattina Matthias mi ha chiesto di partecipare ai “Sentieri Partigiani”, documentando il viaggio organizzato da Istoreco con foto e resoconti giornalieri. Da subito mi ha in-curiosito e mi ha fatto molto piacere ricevere questa proposta, forse perché mio nonno, nato nel 1931, durante la seconda guer-ra mondiale è stato staffetta partigiana e mi ha raccontato della guerra tante volte.Così giovedì 11 settembre 2014 siamo partiti in pullman da Reggio Emilia. Il nostro albergo a Busana era una ex colonia fascista e poi sede del Comando tedesco in montagna. Mentre marciavo su quei sentieri in salita e in discesa pensavo a quanto sarebbe stato faticoso e doloroso percorrerli con le armi in spalla, la neve, la disperazione di aver perso amici fratelli e parenti, la fame, l’incertezza di riuscire ad arrivare alla meta sani e salvi. E la consapevolezza di vivere la propria giovinezza durante una guerra cercando, con tutte le forze, di “debellarla”.Alla fine di ogni camminata ci aspettava sempre il racconto di un partigiano, e questo era il principale motivo per cui duran-te la camminata cercavo di “non mollare” nonostante la fatica. Giacomo Notari “Willi” il primo giorno ci ha accolti, insieme alla moglie, nel cortile di casa sua a Marmoreto di Busana. Lì ha raccontato alcuni episodi della guerra e di come non ci si potesse fermare davanti a nulla, pochi giorni dopo la morte del fratello, infatti, dovette distribuire volantini in paese. Alla fine dopo averci offerto da bere e i suoi deliziosi lamponi molto or-goglioso ci ha mostrato il suo orto.Il giorno seguente, venerdì 12 settembre, Giacomo ci aspettava al faro di Ligonchio, monumento eretto in ricordo dei caduti del-la prima guerra mondiale. Willi ha ricordato di come durante la Resistenza gli consegnarono un mitra, che gli fece «compagnia fino alla fine della guerra», e della sua vita politica prima come consigliere comunale di minoranza del PCI, poi di maggioranza ed infine della sua carriera da sindaco di Ligonchio. Nella di-scesa dal monte Giacomo ci ha illustrato alcune caratteristiche dei funghi che “incontravamo” durante il percorso; infatti lui, nonostante i suoi 86 anni va ancora a raccogliere i funghi sulla sua montagna. In seguito, raggiunto il Passo Pradarena, abbiamo camminato fino a Presa Alta attraverso il crinale arrivando alla centrale elettrica di Ligonchio. Lì ci aspettavano Giacomo e l’attuale sindaco di Ligonchio Giorgio Pregheffi,figlio della staffetta par-tigiana “Bianca”. Giacomo ha spiegato come durante la guerra, sulle montagne di Reggio e Modena fosse nata la Repubblica di Montefiorino, in cui, alle votazioni, avevano partecipato anche le donne. Un episodio che mi ha fatto sorridere e riflettere molto è stato quando Giacomo ha detto di avere ricevuto, una sera, quattro pezzi di cioccolato da un soldato americano. I suoi piani erano di mangiare un quadretto ogni sera, così da avere energie per la notte ma «… poi la notte l’ho finito perché c’era bisogno

di zuccheri, son cose da ridere ma son vere».Il 13 settembre arrivati a Poiano di Villa Minozzo, alla casa di “don Carlo” accolti da Giovanna Quadreri, “Libertà”, e dalla figlia di Laura Quadreri ,“Foresta”, due sorelle che hanno mi-litato nella Resistenza, come staffette e infermiere. Con loro, Enrico Bini e Sara Manfredini, sindaco e assessore di Castel-novo Monti.Giovanna ha raccontato come da staffetta teneva i contatti per il suo distaccamento, facendo moltissimi chilometri in montagna, andando però ogni sera a mangiare a casa dei genitori rassicu-randoli sulle condizioni della sorella Laura. Libertà a sedici anni dovette andare in bicicletta fino a Cento di Ferrara per portare vestiti ad alcuni ragazzi, e poi spiegato di aver «riportato a casa» i suoi fratelli. Giovanna non è in nessuna foto del suo distac-camento perché «non ci sono mai nelle foto io, mi han fatto sempre correre».Camminando con sindaco e assessore abbiamo guadato il Sec-chia, fino ad arrivare a Vologno di Castelnovo Monti. Lì abbia-mo reso omaggio alla tomba di Foresta con un racconto da parte della figlia e un ringraziamento del sindaco. Per concludere ab-biamo cantato tutti insieme “Bella Ciao”. Poco più giù, in un parcheggio, ci aspettava Francesco Bertac-chini “Volpe” mentre alle sue spalle svettava la Pietra di Bi-smantova. Volpe ha raccontato come, insieme all’amico Arman-do “Pancio”, ha deciso di diventare partigiano. Subito, per un breve periodo, sono stati partigiani a Corniglio di Parma, abi-tando a casa di un signore che forniva loro «ogni ben di Dio» da mangiare. Pancio però decise di trasferirsi sulle montagne reggiane, in un distaccamento di partigiani comunisti, e Volpe lo seguì. Alla sera ci siamo ritrovati tutti a cena al “Catomes Tot” a Reg-gio Emilia dove, essendo arrivata con un po’ di anticipo, ho avu-to il piacere e l’onore di essere invitata da Volpe a sentire alcuni divertenti aneddoti della vita da partigiano. Ha raccontato che, a suo dire, «teneva su di morale » del suo distaccamento con delle «cantate» spesso riguardanti la mamma, che lo «immagi-navano» molto perché «a quell’età lì, stare tanto lontano dalla mamma in guerra non era facile». La 21esima edizione di “Sentieri Partigiani” si è conclusa do-menica 14 settembre, anche giornata europea della Cultura Ebraica. Abbiamo visitato la Sinagoga di Reggio Emilia ed in seguito siamo andati alla ex Prefettura per sentire la testimonianza di Giacomina Castagnetti. Lì Giacomina ha spiegato che lei non capiva «da che parte stare», perché a scuola leggeva “il Duce ha sempre ragione” e a casa sentiva il fratello essere totalmente contrario alla guerra. Ha deciso di diventare antifascista quando un suo fratello fu torturato e incarcerato a Castelfranco Emilia, ed anche perché le sue amiche non la andavano più a trovare

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iani 2014 - di Chiara Guarnieri e Annalisa Govi

memoria

essendo la sua famiglia antifascista.Giacomina ci ha accolti nel cortile della ex Prefettura poiché, lì, l’8 febbraio del ’45 ci fu una manifestazione di donne, a cui lei partecipò, per chiedere al Prefetto del grano per i propri figli. Giacomina ricorda che per la Liberazione, lei andò in casa e aprì tutte le finestre per poter far entrare la luce e l’aria, poiché durante la Resistenza bisognava tenere le finestre sempre chiuse per evitare di essere bombardati e per il coprifuoco.In seguito ci siamo spostati alle Reggiane, dove abbiamo ascoltato la testimonianza dell’ex operaio Fernando Cavazzini “Toni”. Toni, addetto a far saltare i ponti con altri 11 parti-giani, ha ricordato di quando, dopo aver assistito all’eccidio delle Reggiane del 28 luglio 1943, disse: «Basta! Da oggi sono partigiano!». Abbiamo concluso la giornata con il Pranzo di Brigata, in com-pagnia dei partigiani, presso il cortile di Istoreco, cantando can-zoni insieme al Coro Selvatico.Mi ha fatto davvero molto piacere partecipare a questo evento, poiché, ho imparato dai racconti in prima persona dei partigiani quanto fosse dura la Resistenza e quanti sacrifici umani ed emo-tivi abbia comportato. Ho studiato la storia della Resistenza a scuola e pensavo, in-genuamente, di conoscerla, invece mi sbagliavo. Poiché anche solo percorrere i Sentieri dei partigiani fa davvero immaginare la forza e il coraggio che serviva in tempo di guerra. I partigiani che hanno raccontato le loro vicende, in questi gior-ni, durante la Resistenza avevano più o meno l’età che ho io adesso, spesso erano anche più giovani. Così ho cercato di pen-sare se fosse capitato a me di trovarmi in mezzo ad una guerra, di dover combattere sulle montagne o in città, di dover abbando-nare famiglia e amici senza la certezza di poter tornare a casa e con la paura di perdere persone care e di rischiare la propria vita. Questo mi ha fatto davvero comprendere quanto sia grande il debito che ancora oggi abbiamo nei confronti dei partigiani, del-la loro lotta di Resistenza. Questa esperienza mi ha lasciato una traccia forte di riconoscen-za come non mi era mai successo con le molte letture fatte sui libri e sui manuali scolastici. Infine vorrei presentarmi: sono una studentessa in “Marketing e organizzazione d’impresa” dell’Università di Modena e Reggio

-Ho studiato la storia della Resistenza a scuola e pensavo, ingenuamente, di conoscerla, invece mi sbagliavo. Poiché anche solo percorrere i Sentieri dei par-

tigiani fa davvero immaginare la forza e il coraggio che serviva in tempo di guerra…-

Nell’ordine: - partigiano sentinella, 1945- alla centrale per la testimonianza di Giacomo “Willi” Notari e con il sindaco di Ligonchio Giorgio Pregheffi- sotto la Pietra di Bismantova testimonianza di Francesco “Volpe” Bertacchini- alla casa di Don Carlo per la testimonianza di Giovanna “Libertà” Quadreri, con la figlia di Laura Quadreri e il sindaco di Castelnovo Monti Enrico BiniNell’altra pagina:- Domenica Secchi: la donna sul muro(foto di Chiara Guarnieri e Matthias Durchfeld)

Emilia, conosco Istoreco da alcuni anni perché nel 2010 ho avu-to la grande fortuna di partecipare con il Liceo Moro al “Viaggio della Memoria” ad Auschwitz-Birkenau e per me effettuare lo stage qui voleva dire donare qualcosa di mio a questa organizza-zione, ma ancora una volta sono io ad aver ricevuto tanto. (c.g)

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memoriaLa donna sul muroUna storia di fratellanza tra le macerie delle Officine

E’ domenica 14 settembre. ISTORECO ha deciso di conclu-dere la 21° edizione dei Sentieri Partigiani in città con la testi-monianza di Fernando Cavazzini alle Officine Metalmeccani-che Reggiane. Centocinquanta persone si muovono all’interno di un paesaggio surreale. L’abbandono, le macerie, i vuoti e il silenzio accompagnano il corteo mentre si avvicina al cancello dove Cavazzini racconterà gli eventi del 28 luglio1943. Il ri-cordo della raffiche del mitragliatore sugli operai fa piangere Cavazzini oggi così come allora. Cavazzini ha cominciato dopo quegli spari la sua vita di ribelle, il suo Rifiuto. Durante il rac-conto è come se vedesse, tra i ruderi abbandonati della fabbrica, le nove persone uccise dai bersaglieri dell’esercito italiano. Non è facile per noi ora immaginare migliaia di operai sotto il sole che si avvicinano ai cancelli e chiedono di uscire per mani-festare la loro voglia di vivere, insieme al desiderio che la guerra e la fame finiscano. “Non vogliamo lavorare per la guerra!”, urlavano durante la manifestazione, opponendosi con coraggio alla produzione di morte della propria stessa fabbrica. Otto anni dopo, il trattore R60 darà una risposta a quelle urla, uscendo trionfante dalle Officine Reggiane.Mi guardo attorno e provo ad immaginare le “Schiere d’eroi umili ed offesi” che cantano il più lungo esperimento di autoge-stione operaia in Italia. Nella canzone di Rivetti (delle Reggiane “R60” è stata scritta nel 1951. Il testo è di Rivetti e la Musica di Isernia) il nuovo modello di trattore è una “bandiera di pace e di libertà”, mentre si celebra la “grande e gloriosa” classe operaia che “alle Reggiane lotta con valor”.Nel silenzio di oggi osservo stupita le finestre sfondate, le boc-che aperte e affamate degli enormi capannoni e penso alla cate-na solidale tra i cittadini e gli operai, allo slancio politico e alla vita culturale nati in quei 18 mesi proprio qui. Il gigante maestoso delle Officine Reggiane oggi è irricono-scibile: lasciato a marcire nel degrado, mentre nuove forme di umanità si nascondono tra i capannoni insieme ai fantasmi di una grande storia. Una fila di panni stesi, una pentola appoggiata su un cumulo di sassi, qualche faccia che si sporge per un mo-mento a vedere cosa ci fa lì tanta gente “perbene”. Non è il sole dell’avvenire a dipingere la sua luce qui oggi, ma le ombre silenziose di un passato dimenticato e di un presente “indesiderato”.Ogni 28 luglio fino a qualche anno fa, si veniva proprio dove siamo ora, vicino al cancello che dà su via Agosti, per ricorda-re gli operai uccisi dall’esercito nel 1943. Le autorità cittadine

e un prete parlavano a fianco della lapide scritta in memoria dell’eccidio.Ora tutto è stato rimosso. Un patrimonio di memorie lentamen-te distorto, spostato e abbandonato per dare spazio alla civiltà chiassosa delle notti rosa. Le uniche impronte di vita che infe-stano ancora il sonno di queste macerie sono i graffiti. Non si tratta solo di figure irriverenti e colorate appostate tra i muri, ma di vere e proprie sfide all’oblio, segni di nuove obiezioni.Un’enorme e dolcissima Domenica Secchi vestita di bianco guarda dall’alto di un muro un orizzonte lontano, e sorride a un futuro a cui io do le spalle. L’ha dipinta uno di questi giovani ribelli urbani, un graffitista che una volta abbiamo incontrato. Il giovane artista, colpito dal-la storia dell’eccidio del 1943, decide mesi fa di ritrarre Dome-nica Secchi sul muro della costruzione ora abbandonata in cui la donna aveva tentato di ripararsi per sfuggire agli spari dei Bersaglieri. Il ragazzo conosce la storia di questa giovane operaia uccisa all’ottavo mese di gravidanza. Decide così di rimettere il viso di questa donna dove il suo ricordo è stato cancellato, cioè nel luogo autentico della strage. Al centro del muro c’è una nicchia con una piccola Madonna, che il ragazzo lascia all’altezza del ventre della figura dipinta, come per rappresentare il bambino che Domenica Secchi porta-va in grembo. Mentre il graffitista dipinge il murales, si accorge che qualcuno lo sta osservando a distanza. Si volta e vede un uomo dalla pelle e dagli occhi scuri fermo dietro di lui. Il graf-fitista gli parla, racconta al nuovo venuto la storia di Domenica Secchi. Gli dice della sua idea che quella donna fosse una specie di santa. L’uomo è attento e sembra incuriosito da questa forma di arte così democratica da essere lì anche per lui. Dice di essere mu-sulmano. Il graffitista gli chiede se nella sua religione esistano i santi. Gli dice che secondo lui, quando si prega, si dovrebbero ringraziare persone come Domenica Secchi. Poi i due si saluta-no e si separano. Qualche tempo dopo, il graffitista intravede una figura che gli si avvicina tra le macerie delle Officine. Non ricorda bene…forse si sono già incontrati? L’uomo ha qualcosa di familiare e gli rivolge la parola:“ L’ho fatto, sai?” dice con serietà.“Come? Scusa?...” Il graffitista comincia lentamente a mettere a fuoco i ricordi.“Ho pregato per quella donna che mi hai detto. Venerdì scorso sono andato alla Moschea e ho detto la preghiera per lei”. Ora anch’io guardo e ringrazio la donna mora che sorride là in alto sul muro. Non so come si siano salutati l’uomo e il graffi-tista. Non so dove siano andati, benché mi piaccia considerarli come eredi del popolo storico delle Reggiane. La felicità più grande è tuttavia quella di sapere che si siano spartiti un piccolo pezzo della nostra flebile memoria e che la storia di Fernando Cavazzini sia ora in così buone mani. (a.g.)

Sentieri Partigiani 2014

“Approfitto di questo piccolo spazio per ringraziare Steffen e Matthias, ma soprat-tutto Daniela “Dax” Campani che mi ha ac-compagnato con tanta disponibilità ovunque dovessi andare, GRAZIE

Francesco “Volpe” Bertacchini”

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E’ passata anche per i luoghi della Resistenza la Route del coraggio

degli scout cattolici

Ciro Torre, studente di UNIMORE, capo scout del gruppo Reggio Emilia 4, si è rivolto all’ANPI nel giugno scorso, per es-sere aiutato a far incontrare con un partigiano o partigiana il suo gruppo e altri due provenienti da Genova e da Battipaglia. Que-sto per ascoltare, dalla testimonianza di un resistente, cosa possa voler dire coraggio, dato che al “coraggio” era appunto dedicata la marcia attraverso l’Italia di circa 30.000 scout cattolici dell’ AGESCI (età 16-21 anni). Obiettivo finale il Parco nazionale di San Rossore per la discussione e l’approvazione di un docu-mento guida rivolto alle istituzioni politiche e religiose. Come ANPI ci siamo attivati e il 5 agosto, dopo una marcia partita da Puianello, il gruppo di una sessantina di giovani e ragazze ha raggiunto la Pietra di Bismantova scendendo poi a Castelnovo Monti dove, nel tardo pomeriggio, ha incontrato, davanti al Mo-numento alla donna nella Resistenza, la partigiana Giacomina Castagnetti. Da segnalare che un altro gruppo ha raggiunto la borgata di Cervarolo, luogo della strage nazifascista del mar-zo 1944, per capire cosa c’è dietro le lapidi che ricordano sof-ferenze ed eroismi della lotta di liberazione. A San Rossore le migliaia di scout, dopo vari dibattiti e incontri, compreso quelli con autorità come l’ex scout Renzi e Papa Francesco, hanno approvato la Carta con cui si impegnano “ad essere testimoni di un amore autentico e universale portando avanti valori di non discriminazione e di accoglienza...per sconfiggere l’indifferen-za, lottare contro l’omertà e per la legalità … farsi portavoce presso le istituzioni civili ed ecclesiastiche di una generazione che vuole essere protagonista di un cambiamento della società”.

E citiamo solo pochi brandelli di un testo – La Carta del Co-raggio - assai ampio e approfondito e che tocca i temi più vari, compresi quelli definiti “sensibili”. E lo fanno appunto con coraggio, chiedendo per esempio, da giovani cattolici, che “la Chiesa rivaluti omosessualità, convivenza e divorzio”. (a.z.)

Castelnovo ne’ Monti. Gli scout all’ascolto di Giacomina con il monu-mento alle donne partigiane sullo sfondo.Sotto un bella immagine di Giacomina Castagnetti

LE FOTO

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Quando il tenente della WehrmachtWerner Mueller divenne partigiano

Sono passati più di 35 anni da quando scovai, leggendo il Dia-rio del distaccamento SAP “Nino Rinaldi”, la vicenda del te-nente della Wehrmacht Werner Mueller diventato partigiano a San Donnino di Casalgrande. Ne resi conto nel libro “L’ova lunéina”, pubblicato nel 1980. Vi si legge del quasi incredi-bile gentlemen’s agreement realizzato, dall’agosto 1944 al gennaio 1945, tra il comando partigiano di San Donnino ed il sunnominato tenenete, che comandava il presidio germanico (una quarantina di soldati) insediatosi il 21 agosto ‘44 nel Parco Spalletti. Da quella data, e per alcuni giorni, il locale distaccamento SAP si trovò nell’impossibilità di operare poiché ogni notte i soldati pattugliavano le strade.Ma pochi giorni dopo il suo arrivo, il tenente Mueller venne avvicinato da un sapista lo-cale che, fingendo di volere fornire amichevoli informazioni, avvertì il tenenete che la zona era pericolosa in quanto inten-samente battuta dai partigiani e che dunque non sarebbe stato prudente esporre a rischi mortali dei soldati durante la notte. Tornando dal colloquio, che avrebbe potuto essere per lui molto rischioso, il partigiano riferì di avere avuto l’impres-

sione che il tenenete fosse un antinazista. Comunque la sera stessa né la pattuglia, né le due sentinelle davanti al Parco en-trarono in servizio e la cosa si protrasse per tutto il 1944. Ciò che favorì molto la possibilità di mantenere aperto ed agibile il “corridoio” che da Rubiera, Via San Donnino raggiungeva Scandiano e le colline. Corridoio attraverso il quale transitò diverse notti molto materiale che nell’autunno-inverno del ’44 raggiunse le formazioni dell’Appennino.Il 4 novembre si ebbe un imprevisto incidente tra un gruppo di sapisti e sentinelle tedesche inaspettatamente uscite dal parco Spalletti: ci fu un berve scambio di colpi d’arma da fuoco ma senza conseguenze cruente. Il giorno appresso il te-nente Mueller spiegò ad emissari partigiani che le sentinelle erano uscite senza suo ordine e che averebbe fatto rispettare ai suoi sottoposti, come per il passato, la consegna di starsene chiusi durante la notte. Il 3 gennaio ’45, essendo ormai troppo rischiosa la sua po-sizione, Mueller diserta e si aggrega ai partigiani col nome di battaglia “Italo”. Qui si fermavano le mie conoscenze al riguardo, conoscenze basate esclusivamente sul citato Dia-rio del distaccamento “Nino Rinaldi” (in ISTORECO, Busta 76.a SAP, cartella 5a Zona). Ma le cose hanno avuto uno svi-luppo ulteriore nell’estate appena trascorsa, quando l’amico Giglio Mazzi, il partigiano “Alì”, mi ha trasmesso la seguen-te mail: “ti invio la foto e la scheda personale dell’ufficiale tedesco Werner Mueller, ricavata dallo schedario ANPI di Casalgrande […] risulta che la sua attività di collaboratore coi Sapisti del 1° Btg della 76a Brigata SAP ebbe inizio il 13.01.45 . Cioé poche settimane dopo la nostra azione [forse l’incidente del 4.11?. N.d.R.] di disarmo del Presidio tedesco alloggiato nelle scuole elementari di San Donnino. Questo avvalora quanto da te affermato nella tua Ova lunéina e con-ferma le supposizioni da me espresse nell’apposito capitolo della mia autobiografia [inèdita.NdR] circa la sua presunta avversità ad Hitler ed al suo dannato regime nazista”.La scheda alla quale “Alì” fa riferimento e che mi ha inviato in fotocopia, è poi una di quelle (originali in ISTORECO) degli iscritti all’ANPI di Reggio tra fine 1945 e 1946.Ne ricaviamo che Werner, figlio di Otto, era nato l’11 luglio 1909 (dunque 105 anni fa...) a Rumsdorf [Sassonia-Anhalt, ex DDR] che era sposato,che viene riconosciuto partigiano dal 13.01.45, nome di battaglia Italo e che dopo la Libera-zione abitava a San Donnino e lavorava presso Algeri Nino.Quale sia stato poi il suo destino successivo merita di essere approfondito. Siccome era sposato è possibile abbia lasciato dei figli sulle tracce dei quali sarebbe opportuno mettersi. Così come si potrebbero avere utili notizie dai familiari di Nino Algeri.Segnalo che l’instancabile Alì si è già messo in contatto con Silvana Taglini, Assessore alla cultura di Casalgrande “per saperne di più e per valutare se ci fosse spazio per una comu-ne iniziartiva nell’ambito del 7O°”.Rimaniamo in attesa degli sviluppi.

di Antonio Zambonelli

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Vanni Luciano, vita di un uomo della montagna

Vi racconto un po’ della mia vita vissuta. Sono nato a Ramiseto nel 1926 da Gabrielli Elena di Canova di Ramiseto, di famiglia contadina, e da mio padre Vanni Umber-to abruzzese commerciante. Era venuto in Emilia, girava per i paesi a piedi con una valigia ed un fagotto. A Canova ha cono-sciuto mia madre e si sono sposati, hanno avuto due figli: Gina, nata nel 1923, ed io nel 1926. I miei genitori erano poveri ma onesti. Ricordo la mia infanzia come un’in-fanzia piacevole. Ho frequentato la scuola fino alla quinta elementare. Dall’età di otto anni, finite le ore di scuola, andavo dai miei nonni, li aiutavo in campagna e portavo le mucche al pascolo. All’età di 13 anni i miei genitori mi hanno mandato a imparare da falegname da Cecconi Renato, che ricor-do volentieri. Vi sono stato fino alla primavera del 1944. Nel 1943 cade il fascismo e ci fu la repubblica di Salò. Io avevo 18 anni. Si sentiva parlare di partigiani alla macchia e mi sono subito arruolato. Ero contrario al nazifascismo. Sono andato alla Scalucchia di Succiso dove c’era il comandante “Eros” (Didimo Ferrari, NdR). Ho operato in quella zona fino al rastrellamento di luglio da parte dei tedeschi. Poi sono stato assegnato al distaccamento “Don Pasquino”, co-mandante “William” [Massimiliano Villa, NdR]. Siamo stati un mese a Legoreccio in comune di Vetto, poi siamo passati nel parmense nel comune di Neviano e nel comune di Traversetolo fino a novembre quando ci fu un grosso rastrellamento. Ci fu una grossa battaglia, abbiamo avuto dei morti, non pote-vamo competere con l’esercito tedesco. Ci siamo sbadati e poi ci siamo riorganizzati. lo sono stato assegnato con un gruppo di otto partigiani al Sole di Vetto. Avevamo un magazzino dove raccoglievamo viveri, vestiario, medicinali. Tanta di questa roba, con cui rifornivamo i diversi distaccamen-ti, veniva dalla pianura. Sono rimasto fino alla Liberazione al

Sole di Vetto. Finita la guerra sono tornato a lavorare dal mio vecchio principale fino al 1952, poi io ed un mio collega Giovanni Dughetti ci siamo messi a lavo-rare in proprio. Dopo due anni il mio socio si è fatta la casa e il laboratorio ed io ho continuato da solo con tre operai. Lì vicino dove lavoravo abitava una ragazza quarta di dieci figli. Ci siamo innamorati e ci siamo sposati. Abbiamo comprato la casa dove abitavamo, l’abbiamo ristrutturata, abbiamo rin-novato il negozio, che avevamo. Avevo smesso di fare il falegname per ragioni di salute. Il sindaco Bombardi mi disse che cercavano un sub agente di assicurazione per la compagnia UNIPOL. Io accettai. L’ho fatto per vent’anni con profitto per me e per UNIPOL.

Nel 1970 abbiamo avuto una figlia. Era molto bella e brava. Ci ha dato solo soddisfazioni. Ha frequentato le scuole fino al diploma magistrale, poi ha preferito lavorare come sub agente di assicurazione per la compagnia UNIPOL. Dopo un anno è stata assunta come impiegata dalla stessa Com-pagnia prima a Scandiano, poi a Cavriago, poi a Castelnovo ne’ Monti. In quel periodo ha conosciuto Marco del Sole di Vetto bravo e lavoratore figlio di bravi genitori. Nel 1995 si sono sposati e ci hanno dato due bei nipoti, che noi abbiamo aiuato ad allevare. I genitori lavoravano e noicon sod-disfazione abbiamo dato loro una mano. Tuttora stiamo dando una mano, perché sia i genitori che i nipoti meritano e ci vogliono bene. Tornando al 1944, io ero partigia-no con il nome di “Lupo”. Mi sono iscritto al PCI e dopo la Liberazione sono sempre stato attivo e ho fatto sempre parte della segreteria comunale del partito. Fatto il tesseramento, io con i miei organizzavamo le feste dell’Unità. Sono volontario nel servizio di ambulanza. Sono tuttora, che scrivo, segretario comunale dell’ANPI. (2012)

un’autobiografia

CAI “Cani sciolti” e ISTORECOsul sentiero partigiano n. 5, La Bettola/Vezzano s/CLa primavera scorsa si è rinnovato l’annuale appuntamento della sottosezione CAI “Cani Sciolti” di Cavriago con i sentieri partigiani. I soci CAI frequentano assiduamente e con piacere l’Appennino di cui conoscono storia, leggende, cronache passa-te e recenti, ma ripercorrere sentieri e onorare luoghi che sono stati teatro della nostra Resistenza è un’emozione particolare, oltre che un dovere civile.Eravamo in 24 domenica 18 maggio davanti al monumento alle vittime della rappresaglia nazifascista della Bettola. Ci piace sottolineare con soddisfazione che, accanto ad alcuni soci che si accostano per la prima volta a questa esperienza, ci sono altri che hanno mancato nessun appuntamento. Abbiamo sempre il contributo prezioso del nostro amico e socio Fabio Dolci che, in questa occasione ci aiuta a prendere coscienza dell’alto prezzo

pagato dalla popolazione civile alla guerra.Prima di incamminarci, Fabio racconta quanto è avvenuto nella notte di San Giovanni 1944 in questo luogo di grande rilevanza strategica per il controllo della SS63.All’azione partigiana di sabotaggio del ponte, per altro fallita, seguì uno scontro con una pattuglia tedesca che lasciò sul terre-no tre morti. Anche i partigiani ebbero tre vittime. La reazione tedesca fu feroce: un reparto scese nella notte, attaccò la locanda posta in prossimità del ponte e Casa Prati uccidendo 32 civili.Mentre i piedi si muovono le parole di Fabio risuonano nella mente di ognuno e intanto gli occhi si riempiono dei bei paesag-gi appenninici. Pranziamo al Mulino del Tasso che ci rattrista per lo stato di abbandono in cui lo troviamo.Riprendiamo le conversazioni al Monte delle Tane dove una la-

Vanni nel 1945

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pide ricorda vittime partigiane, tra questi il comandante Dino Meglioli “Giuda”, persona già nota a quelli di noi che hanno ascoltato la testimonianza della sorella nel corso di una prece-dente esperienza sul sentiero n.3. Qui Fabio ci illustra la strategia delle Operazioni Wallenstein che misero a ferro e fuoco la montagna a ulteriore dimostra-

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Un’agape fraterna di post-comunisti (quasi tutti) attorno a Giannetto Magnanini

zione che la popolazione civile, senza l’appoggio della quale non sarebbe stato possibile condurre la lotta partigiana, va an-noverata tra le vittime di guerra. Dopo la camminata alla Casa Cantoniera di Casina abbiamo consumato insieme una gustosa merenda dandoci appuntamento per l’anno prossimo su un nuo-vo sentiero.

Organizzata dall’impagabile Vanni Orlandini, persona sensi-bile quant’altre mai alle relazioni di amicizia e al loro mante-nimento nel tempo, si è realizzata una piacevole rimpatriata di post-comunisti (quasi tutti), il 18 luglio u.s., nella trattoria da Venturi, a Montalto di Vezzano. Eravamo una trentina di per-sone attorno al nostro Giannetto Magnanini, l’ex operaio e par-tigiano sapista della Lombardini Motori che a 90 anni suonati continua a porre domande su quella storia del movimento ope-raio e antifascista reggiano al quale ha dedicato varie pubbli-cazioni dopo decenni di vita politica e amministrativa vissuta a vari livelli: a fianco del giovane Enrico Berlinguer ai tempi della F.M.G.D. (Federaz. Mondiale Giov. Democratica), consigliere della Regione Emilia-Romagna , dirigente ANPI, Presidente ACT, Presidente di Istoreco. il pranzo voleva essere anche un

festeggiamento, sia pure tardi-vo, per i 90 anni di Giannetto, compiuti nell’ottobre 2013. Siccome questo Notiziario esce in ottobre, ne approfittiamo per un affettuoso augurio nella ri-correnza del 91°: BUON COMPLEANNO GIANNETTO!Nella foto a sinistra: l’intero grup-po dei commensali in una foto mal riuscita ma unica testimonianza della comunità raccoltasi attorno a Giannetto il 18 luglio 2014Sotto: Magnanini e alcuni commen-sali in attesa che il piatto si riempia. Alla sua sinistra: Vincenzo Bertoli-ni, Franco Riccò, Roberto Scardova, Vanni Orlandini (in piedi)

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LettereLa lettera che segue ci è stata recapitata dall’Autrice, la signora Natalia Zhylyuk, che vive in Italia da 15 anni e scrive ab-bastanza correttamente nella nostra lin-gua. Dalle sue parole emerge una appas-sionata quanto parziale perorazione pro identità nazionale ucraina e una vibrante accusa contro la Russia. Un tempo ucraini e russi ci apparivano come un unico popolo. Ricordate quello spot TV dell’astronauta sovietico lan-ciato nello spazio prima dell’89 e atter-rato dopo, a URSS implosa? “Sono in Russia?”, chiede alla contadina. “Niet, Ucraina” risponde quella. “Beh, sempre Russia, sempre URSS...”, dice il cosmo-nauta. “Niet Rossija! Ukraina!!!”, ribat-te arrabbiandosi la contadina.Una rabbia ancora più forte in questa lettera, dove con la ricapitolazione di se-coli di devastazioni subite dall’Ucraina si salta a pie’ pari l’occupazione nazista, le stragi che l’accompagnarono, lo ster-minio degli ebrei, Babi Yar, il collabora-zionismo ucraino proprio nella persecu-zione degli ebrei. La lettera ci è tornata in mano dopo esse-re rimasta tra altre carte per diverso tem-po. Non reca la data in cui è stata scritta ma un numero di cellulare: abbiamo tele-fonato alla signora Zhylyuk, realizzando quanto segue: col suo appassionato te-sto, scritto nell’aprile scorso, la signora ha inteso replicare all’articolo di Bruno Bertolaso apparso sul “Notiziario” n. 4, 2013, Ucraina una rivolta tinta di nero.Rileggendo il testo del nostro collabora-

tore va rilevato che esso è caratterizzato da una visione non parziale né manichea tesa invece a cogliere la complessità del rapporto russo-ucraino, segnalando che in “una rivolta popolare... contro il si-stema di potere corrotto del presidente V. Yanukovich” si sono inseriti “movimenti di estrema destra”, e che la situazione [già nell’aprile scorso in atto] poteva determinare “grave rischio per la Pace”. Come si sta del resto purtroppo puntual-mente verificando proprio mentre sten-diamo questa nota. (a.z.)

Onorevole redazione!Mi chiamo Natalia Zhylyuk. Sono una ucraina, lavoro in Italia da circa 15 anni [...]. Il mio dovere di ucraina difendere la mia patria in questo articolo per aiutare a [in]formare l’opinione pubblica italiana [….]. Le notizie che arrivano dall’Ucrai-na, purtroppo spesso brutte e tragiche. Ma il lettore italiano deve sapere la verità diversa che influenza la propaganda russa e succhia sangue nel mio popolo piu’ di 300 anni della nostra storia. Schiaccia con uno stivale militare il no-stro Paese perché è unica sfortuna essere un cancello tra Europa e Russia. Obietti-vo della Russia di tutti i secoli distrugge-re e sterminare la nostra patria.[...] Se fate caso leggere la nostra storia vera, non inventata dai russi, troverete stragi terribili di zar Pietro I e Caterina II che hanno sterminato tutta la grande regione Zaporishka Sich tagliando le teste a tutti i kasaki e poi mettendoli [le teste] sulle piazze.

Il periodo tragico cominciando da Lenin e poi Stalin sono anni di violenze, torture repressioni, morte di fame sintetico [in sintesi?]: 1932-1933 hanno sterminato 10 milioni di ucraini, interi paesi. Poi morte di fame 1947.In tutto lungo periodo storico sovietico “fratellanza” della Russia ha “regalato” sulle nostre terre 12 [centrali] nucleari e hanno nascosto l’esplosione di Chernobil [per] un periodo lungo, non salvando il popolo, soprattutto donne e bambini e ad-dirittura ci hanno così costretti a parteci-pare alla festa del 1° maggio sulle piazze di Kiev.[Nel] periodo di 23 anni della nostra indi-pendenza la Russia ha usato il suo potere per avere governi con orientamento rus-so, facendo la sua “politica fraterna” in tutti questi anni.In tutti questi secoli la Russia ha proibito parlare e insegnare nelle scuole come lin-gua ufficiale la nostra lingua ucraina 11 volte!!! Adesso il mio popolo combatte contro la dittatura e la criminalità di Ya-nukovich [fuggito n Russia a fine febbra-io 2014. NdR], criminale con precedenti penali e con aiuto di Putin quattro anni il suo governo ci anno [ci ha] distrutto quasi tutto l’esercito ucraino infiltrando agenti russi del FSB [l’ex KGB sovietico] e ha messo il popolo in povertà distruggendo l’economia e mettendo il mio paese sotto dittatura criminale.Ucraina combatte per la libertà e demo-crazia e dopo un parto sanguinoso e dolo-roso nasce una nuova Ucraina.

Sul numero precedente del “Notiziario” compariva la lettera di protesta indiriz-zata da Fiorella Ferrarini a Concita De Gregorio per lo spazio dalla stessa De Gregorio dato a Giampaolo Pansa e alla sua ennesima “controstoria della resi-stenza” nella comunque bella trasmis-sione Pane quotidiano. Uno spazio che Pansa ha occupato ed usato a piacimen-to senza che la De Gregorio abbia voluto adeguatamente interloquire arginando l’ arrogante supponenza dell’ospite. Due nostri lettori hanno scritto in merito a Fiorella. Pubblichiamo di seguito la let-tera di Gianni Giannocolo e stralci di quella di Emidia Cappellini, che fu gio-vanissima staffetta partigiana a Bagnolo, da anni residente a Modena. Emidia, la partigana Marusca, non solo è da anni una nostra fedele e attenta lettrice, ma ha anche pubblicato, sulle nostre pagine, qualche sua poesia e una testimonianza di vita vissuta.

Gentilissima Fiorella,mi permetto di darti del tu, certamente sei molto più giovane. Io vengo da lontano.

Vengo dalla Resistenza di 70 anni fa. [...]Il motivo che mi spinge aa scriverti è la tua contestazione della trasmissione Pane quotidiano di RAI 3 del primo marzo con-dotta da Concita De Gregorio. Confesso che non ho mai visto questa trasmissione, né conosco la presentatrice. Colgo nel tuo articolo l’indignazione sull’intervista al sig. Pansa. E’ da anni che questo scrittore infama la resistenza con la sua mania di revisione che dobbiamo semplicemente chiama-re.....Comprendo la tua rabbia, che uni-sco alla mia. Questa notizia ha rinnovato la mia indignazione, perché da anni tro-vo insopportabile la volgare caparbietà nell’offendere e insultare chi ha fatto la resistenza. Le pubblicazioni di Pansa sono un oltrag-gio verso i valori della Resistenza, una continua offesa contro i partigiani che l’hanno vissuta e sofferta, per i pochi an-cora rimasti, ed ancor più per coloro che per la libertà (anche di tipi come Pansa) hanno dato la vita.

Emidia Cappellini

Cara Fiorella,anch’io sono stato alquanto turbato per il metodo usato dalla De Gregorio nel condurre il colloquio con Pansa. A que-ste pinzillacchere (come diceva Totò) non ci fa caso più nessuno cara Fiorella. Occorre, su questioni come quella sulla “guerra civile”, non soltanto una certa preparazione, ma anche una spiccata sen-sibilità su un problema che continua a far discutere molte persone, tra le quali, mol-te ancora, oggi condividono le posizioni di Pansa. Bada bene, non mi riferisco ai fascisti, ai neo fascisti o a personale di destra che continuano a ritenere la inter-pretazione di Pansa sulla “guerra civile” la più corretta, no cara Fiorella, tu avrai certamente un sussulto quando tenderai l’orecchio e noterai quanti ancora, anche tra vecchi partigiani, condividono le idee di Pansa. Il quale scrive, straripa su tutte le TV nazionali e locali riproponendo stanca-mente, ma metodicamente, quasi scienti-ficamente il suo verbo e nessuno più ci fa caso.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

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Se ritieni di inviarmi il tuo indirizzo, ti farò recapitare il mio ultimo lavoro: “Re-sistenza: guerra civile o guerra giusta? Il carattere della Guerra di Liberazione contro il nazifascismo”. Un libro mol-to documentato, che mi è costato molto lavoro per le mie ricerche nell’Archivio Militare di Friburgo (Germania), in quel-lo dell’Ufficio Storico dello Stato Mag-giore dell’Esercito (Roma), di alcuni Ar-chivi di Stato e Comunali. È un libro che fa discutere perché ricono-sco di aver usato toni duri nei confronti di Pansa e di Pavone. A Pavone, non mi permetterei mai di disconoscere il grande valore dello storico che io rispetto, però il suo lavoro su “Una guerra civile” non può essere condiviso. Recentemente in una intervista rilasciata al “Manifesto” Pavone, consapevole di aver lasciato

con il suo libro molti dubbi tra i lettori, ha dichiarato che il titolo del libro lo ha suggerito Foà. E ancora non possiamo essere d’accordo con Pavone, perché è il contenuto del li-bro che non può essere condiviso.Il problema, Fiorella, non soltanto quello del coinvolgimento di Smuraglia in un colloquio con la De Gregorio che è sem-pre utile, anche se Smuraglia, in più di una occasione ha contrastato l’dea della guerra civile. Tutti i Presidenti dell’ANPI da “Bulow” a Smuraglia l’hanno contra-stata. Il problema di fondo , invece, è coin-volgere le organizzazioni orizzontali dell’ANPI in questa battaglia, si è pro-prio una battaglia, per evitare che si con-tinuasse a gettare fango sulla Resistenza.In questo senso ho una certa esperienza

e posso dirti che quando sono stato invi-tato dall’ANPI di Pordenone, di Mirano, di Avellino, di Lecce, oppure da qualche Istituto di scuola superiore e si é dibattu-to il tanto discusso problema della “guer-ra civile” alla fine sono stati soltanto in pochi che se ne sono usciti storcendo il naso.Il problema fa profondamente affrontato per evitare, tra l’altro, che con la storia della “guerra civile”, si continui a equi-parare i partigiani ai repubblichini. Noi abbiamo combattuto nella Resistenza so-prattutto contro l’invasore nazista, tanto il fascismo, contrariamente a quel che ritengono alcuni benpensanti, non era più un pericolo per l’Italia.Saluti cordiali e continui pure la tua battaglia.

Gianni Giannoccolo

Lettere

Le ceneri dei partigiani Capponi e Bentivegna disperse nel Tevere

Carla Capponi e Rosario Bentivegna, eroi della Resistenza romana, combattenti contro il nazifascismo, hanno attraversato Roma per l’ultima volta, nella giornata di lunedì 22 settembre, trasportati dalle acque del Tevere, la loro ultima dimora. La figlia Elena, infatti, non avendo ottenuto il permesso di seppellirli in 80 centimetri di terra nel Cimitero Acattolico come desiderato dai genitori, ha rispettato la loro volontà di avere disperse le ceneri, come ultima ipotesi, nel fiume sacro ai romani diventato la loro tomba. Chiunque potrà portare dei fiori di campo, i preferiti da Carla, in ogni parte del fiume.

Alcuni partecipanti aelle celebrazioni del 70° dell’ANPI a Roma, nel giugno scorso, esibiscono un cartello di protesta perché “Carla Capponi e Rosario Bentivegna possano riposare nel cimitero a-cattolico” alla Piramide. Permesso mai concesso (foto Glauco Bertani)

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Primavera silenziosa/

Le concessione per le acque minerali in l’Emilia-Romagna

di Massimo Becchi

E’questa l’impietosa sintesi di un recentissimo rapporto di lu-glio realizzato da Legambiente e Altreconomia sulla gestione delle concessioni per le acque minerali, quelle che comunemen-te ci troviamo sulla nostra tavola.L’acqua in bottiglia non conosce crisi. Nel 2012 i consumi sono addirittura cresciuti rispetto all’anno precedente, passando a 192 litri d’acqua minerale per abitante. Più di una bottiglietta da mezzo litro al giorno a testa – nell’80 percento dei casi di pla-stica – che conferma il primato europeo del nostro Paese: 12,4 miliardi di litri imbottigliati, per un giro d’affari da 2,3 miliardi di euro in mano a 156 società e 296 diversi marchi. Un’attività che ha un grande impatto ambientale. Per soddisfare l’incomprensibile sete di acqua minerale degli italiani vengono infatti utilizzate oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica da 1,5 litri, per un totale di più di 450 mila tonnella-te di petrolio utilizzate e oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse. Impatti importanti che garantiscono elevatissimi pro-fitti esclusivamente alle società che gestiscono questo business, agevolate da canoni a macchia di leopardo e sempre estrema-mente vantaggiosi.All’industria delle acque minerali, in quasi tutte le regioni italia-ne, vengono richiesti importi ridicoli, e spesso senza prendere in considerazione i volumi emunti o imbottigliati. Una vera e propria regalia di un bene pubblico che appartiene a tutti i cittadini.L’Emilia-Romagna è tra le regioni bocciate: la nostra regione adotta infatti un criterio di calcolo dei canoni di concessione basato esclusivamente sugli ettari dati in concessione, e non prevede un calcolo anche in base alle portate derivate. Sono 1.083 gli ettari in regione, dati in concessione alle aziende imbottigliatrici, e solo 21,28 gli euro richiesti dall’amministra-zione regionale per ogni ettaro di concessione: un canone leg-germente aumentato rispetto ai 18,69 euro per ettaro che veni-vano richiesti nel 2011, ma ancora troppo basso.La legge regionale del 1988 che regola i canoni di concessio-ne non è stata mai aggiornata rispetto all’intervento del 2006 della Conferenza Stato-Regioni: cercando di regolamentare il settore dell’acqua in bottiglia attraverso un documento di indi-rizzo, otto anni fa si proponeva di uniformare i canoni su tutto il territorio nazionale, prevedendo l’obbligo di introdurre una tariffazione sia in base agli ettari dati in concessione che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando come cifre di riferi-mento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per metro cubo imbottigliato. Indicazione che è stata seguita da diverse Regioni, ma non dalla nostra.Situazione peraltro in contrasto anche con la necessità di ridur-re i rifiuti o con le azioni virtuose attuate in molti comuni per promuovere l’acqua di rete, depurata a caro prezzo, tramite le

casette dell’acqua.In un momento di scarsità di risorse economiche unito alla co-stante pressione sulle risorse naturali, il teman di avere una più giusta fiscalità ambientale è una questione di primaria impor-tanza e non più rinviabile. E’ necessario un approccio più co-raggioso nell’usare la leva economica per ridurre le pressioni ambientali sull’acqua, sul suolo, nelle cave. In questo caso la questione dei canoni è paradigmatica. E’neces-sario ribadire con forza alcuni principi condivisi: l’acqua è una risorsa limitata; l’acqua è un bene comune; chi inquina paga. Tre principi fondamentali che dovrebbero portare la nostra Re-gione alla revisione dei canoni di concessione, che ancora oggi risultano invece incredibilmente bassi. Questi canoni, oltre che avvantaggiare aziende il cui interes-se cozza con la tutela della risorsa e dell’ambiente, pongono l’Emilia Romagna come fanalino di coda a livello nazionale. Una tariffazione più equa potrebbe infatti contribuire a disin-centivare il consumo di acqua in bottiglia (con tutto ciò che questo comporta in termini di produzione di plastica e di CO2 per il loro trasporto) e a dotare la nostra regione di introiti da reinvestire sul territorio per la difesa idraulica, la manutenzione e la riqualificazione fluviale. L’acqua in bottiglia viene mediamente venduta a un prezzo di 0,26 euro al litro, mentre alle Regioni le aziende imbottigliatrici pagano in media 1 euro ogni 1000 litri, ovvero un millesimo di euro per litro imbottigliato, con ampi margini di guadagno. Quello che gli italiani vanno a pagare, infatti, è rappresentato per più del 90 percento dai costi della bottiglia, dei trasporti e della pubblicità, unito ovviamente all’enorme guadagno dell’azienda in questione, e solo per l’1 percento dall’effettivo costo dell’acqua.

Un’indagine sui canoni di concessione per le acque minerali dimostra come l’Emilia-Romagna sia molto arretrata, con una legge datata e i ca-

noni calcolati sugli ettari e non sui quantitativi prelevati.Svendiamo un bene prezioso con uno scarsissimo ritorno economico per la Regione. Necessaria una diversa fiscalità ambientale per tutelare le ri-

sorse e promuovere i comportamenti virtuosi.

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In occasione del 7O° della Liberazione, 25 Aprile 2015, l’ANPI dI ReggIo emIlIA e ISToReCo

stanno organizzando una mostra d’arte collettiva sul tema della Resistenza.La mostra sarà curata da Elisabetta Del Monte, da Salvatore Trapani, i due critici d’ar-

te di Istoreco in seno al quale coordinano il progetto ARS (Art Resistance Shoah), e da una rappresentanza della nostra Associazione.Una delle sezioni in mostra avrà il fine di raccontare la Resistenza attraverso l’opera dei partigiani stessi. Come hanno

rappresentato il momento della lotta, degli ideali, del coraggio contro l’invasore nazi-sta e i fascisti al loro fianco questi giovani artisti e partigiani? La Resistenza è il momento di vitale importanza per la Democrazia nel nostro Paese, per la sua Storia, che se è stato accompagnato da un guizzo artistico, anche documentario di alcuni partigiani, potrebbe fornire chiavi culturali e di lettura molto interessanti alprogetto che ci ap-prestiamo a sviluppare con questa mostra del 2015. Siamo dunque in cerca di opere d’ar-te, che forse puoi avere anche tu a casa o ricordare della loro esistenza presso quel-la di amici e parenti. Le opere prestate, saranno trattate con estrema cura e rispetto e

restituite ai legittimi proprietari a chiusura d’esposizione.

Ti chiediamo, di aiutarci in questa ricerca di opere, sculture, immagini; di allertare se lo ritieni la tua rete di conoscenze, per aiutarci a dare luce e onore a opere che altrimenti

continueranno a restare al chiuso di mura domestiche. Ripopoleremo così quel bacino di memorie che ci apprestiamo a onorare nel 70° giubileo della Liberazione, con questa mostra destinata a diventare - anche grazie al tuo aiuto -

un grande momento nel flusso del ricordo.

Ti ringraziamo per l’attenzione, sperando nel tuo aiuto

70° della Liberazione 25 Aprile 2015, l’ANPI di Reggio Emilia e ISTORECO

organizzano una mostra d’arte collettiva sul tema della Resistenza

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