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Francesco Cerrone

Genealogiadella cittadinanza

ARACNE

Copyright © MMIVARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

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ISBN 88–7999–908–7

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I edizione: ottobre 2004

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SOMMARIO

CAPITOLO PRIMO Archelogia della cittadinanza

1. Da Minosse al wánax ............................................................................... 7 2. Il mondo degli eroi. Società e poteri in Omero ...................................... 15 3. Il furore di Achille. Il basiléus e la comunità dei guerrieri ................... 21 4. L’inganno di Agamennone e la gioia dei láoi. Fenomenologia

del potere politico .................................................................................... 30 5. Dalla timé alla díke. La società arcaica di Esiodo .................................. 38 6. I miti dell’aedo e il pónos del contadino ................................................ 42 7. Le età degli uomini e la dialettica díke–h bris ...................................... 48

CAPITOLO SECONDO Dalla responsabilità civica alla partecipazione politica

L’eunómia di Solone e la riforma di Clistene

1. Conflitto sociale e legislazione draconiana ............................................ 59 2. Stásis e impegno civico. Analisi della società e responsabilità

comunitaria nella legislazione di Solone ................................................ 64 3. Il dêmos e il suo leader ............................................................................ 82 4. La riforma clistenica: i démoi e i loro abitanti ....................................... 87 5. Dall’appartenenza gentilizia alla identità civica. La dimensio-

ne comunicativa e l’ideologia della cittadinanza ................................... 95 6. Mitologie della cittadinanza: l’identità di un popolo autoctono ............ 101

CAPITOLO TERZO La cittadinanza democratica

nei simboli della tragedia eschilea

1. Dalle guerre persiane all’esautorazione dell’Areopago ........................ 111 2. L’Orestea di Eschilo e il naufragio dell’eroe ......................................... 116

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3. Le aquile e la lepre: la cittadinanza tra mondo selvaggio e ci-vilizzazione ............................................................................................... 119

4. I luoghi e i soggetti esclusi: la razza maledetta ...................................... 128 5. Mito e processo. L’assoluzione di Oreste e la forza di Peithó .............. 139 6. Indagine sull’assassinio di un tiranno ..................................................... 145

CAPITOLO QUARTO La democrazia nella città

1. Itinerari della legittimazione: formazione del consenso poli-

tico e ideologia civica nel regime democratico. ...................................... 153 2. Dove c’è il molto si trova ogni cosa: la rappresentazione delle

forme di governo nel dibattito erodoteo fra i Grandi di Persia .............. 162 3. La stásis: un mondo a testa in giù ............................................................ 172 4. Il delirio del tiranno, un leader senza futuro ........................................... 181 5. La celebrazione ideologica della cittadinanza democratica ................... 198 6. Figure dell’identità civica e della partecipazione politica nella

tragedia attica e nella prassi cittadina delle indennità............................. 207 7. Il conflitto sulla pátrios politeía, dalla crisi del 411 alla fine

della guerra del Peloponneso e oltre ........................................................ 223 8. Dissoì lógoi: il discorso dei sofisti .......................................................... 243

Capitolo primo

Archeologia della cittadinanza

1. Da Minosse al wánax

L’isola di Creta, che vigila l’accesso al seno più profondo del mar

Mediterraneo, è stata la culla della civiltà greca. Fra la fine del terzo millennio e il 1450 a.C. vi fiorirono un sistema politico–economico e una cultura che esercitarono poi un largo influsso sui regni successivi dei principi achei, sui loro culti e riti come sulle istituzioni e gli stili di vita. Situata com’era al «punto d’incontro delle principali rotte navali del Mediterraneo orientale […] base indispensabile per le comuni-cazioni dei paesi del vicino Oriente con le propaggini meridionali del-la Penisola Balcanica, con la Libia e col Mediterraneo occidentale»1, l’isola raccolse forse fermenti di culture anatoliche, e se anche non ci sono note le fasi che caratterizzarono il sorgere della minoica civiltà palaziale, fin dall’antichità ne era nota la vocazione marittima, l’orientamento verso «un uso politico e insieme economico del ma-re»2, nel senso di un dominio esercitato attraverso un attento presidio militare: una talassocrazia.

Tucidide arriva a delineare il quadro di un vero e proprio impero marittimo retto dal palazzo di Cnosso: «È Minosse il personaggio più

1 G. Pugliese Carratelli, Il mondo greco dal secondo al primo millennio a.C., in

Storia e civiltà dei Greci. Origini e sviluppo della città. Il medioevo greco, dir. da R. Bianchi Bandinelli, 1, Milano, 1979, p. 5.

2 D. Musti, Storia greca, Roma–Bari, 19955, p. 49.

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antico del quale sappiamo, per tradizione orale, che ebbe una flotta ed estese il suo impero su gran parte dell’attuale mare greco e dominò le Cicladi e fu primo colonizzatore della gran parte di esse, dopo aver cacciato i Cari e installato come capi i propri figli. Com’è ovvio tenta-va nei limiti del possibile di eliminare la pirateria dai mari, per incre-mentare le proprie entrate». E ancora: «Col sorgere della flotta di Mi-nosse, le relazioni marittime divennero più intense: questi, infatti, sni-dò gran parte dei pirati dalle isole e di queste colonizzò la maggior parte»3. Se anche le ricerche archeologiche più recenti, che pure testi-moniano una larga influenza culturale minoica sulle isole dell’Egeo, non sembrano confermare l’ipotesi tucididea dell’impero marittimo, ipotesi che dovrebbe “recedere” dallo statuto di verità storica per as-sumere quello del mito4, è però certo che quell’influenza si esercitò sulle coste della penisola greca e raggiunse così genti che, provenendo dal nord, si erano installate in quella regione, genti che parlavano una lingua di tipo indoeuropeo che è alle radici del greco antico.

I palazzi minoici si diffusero dapprima sulle coste meridionali di Creta, poi anche su quelle settentrionali, ed erano costituiti, oltre che dalle abitazioni del principe e della sua corte e dagli ambienti destinati al culto, da un ricco apparato di depositi di derrate alimentari, di armi, di prodotti artigianali e di scambi commerciali. Attorno al palazzo sorgevano numerose abitazioni in vario modo legate alla reggia, desti-nate a coloro che esercitavano funzioni connesse alle attività econo-miche che a essa facevano capo e in alcuni casi, come Cnosso e Mal-lia, si svilupparono sino a diventare vere e proprie città. Naturalmente, sistemi economico–politici di tal specie esigevano anche una comples-sa organizzazione amministrativa, che non mancò di avvalersi di un sistema di scrittura, cosiddetta lineare A, tuttora indecifrata. Può esse-re forse interessante notare che alcuni esemplari sono giunti sino a noi

3 Tucidide, rispettivamente I, 4 e I, 8, 2. 4 C. Baurain, Minos et la thalassocratie minoenne. Réflexions historiographi-

ques sur la naissance d’un mythe, in Aegaeum, VII (1991), pp. 255 ss. Nello stesso senso G. Touchais, L’Egeo prima dei Micenei, in I greci. 2 Una storia greca I. For-mazione, Torino, 1996, p. 67. Si noti, tuttavia, che Tucidide, in perfetta coerenza con le linee del suo metodo d’indagine storiografica (I, 22, 2) avverte subito che le noti-zie concernenti Minosse e il suo regno gli sono pervenute per tradizione orale, sic-ché il lettore è già avvertito sulla loro modesta attendibilità.

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su tavolette d’argilla che recavano registrazioni contabili dell’ammini-strazione palaziale, tavolette che si sono conservate perché cotte negli incendi delle reggie. Gli eventi che posero fine, distruggendola com-pletamente, alla civiltà minoica, sono gli stessi che ne hanno conserva-to, dopo quattromila anni, frammenti ancora misteriosi e per noi quasi del tutto muti.

Non altrettanto può, fortunatamente, dirsi per le tavolette redatte in lineare B, decifrate dall’architetto inglese Michael Ventris nel 1952–535, e rinvenute nei siti palaziali di Cnosso, a Creta, e in quelli continentali di Pilo (soprattutto) ma anche di Micene, Tirinto e Tebe. Lo stesso tipo di scrittura è attestata anche in iscrizioni su vasi e si-gilli. Queste iscrizioni, assieme agli scavi condotti in numerose loca-lità, dal Peloponneso alla Beozia, dall’Attica a Creta, testimoniano che verso la metà del XV secolo il dominio miceneo si sovrappose, sulla stessa isola di Creta, all’eredità della civiltà minoica e si diffuse sulla penisola greca, prima egemonizzata dalla potenza della regalità minoica.

Il palazzo miceneo — a differenza di quello minoico, che era «per così dire spalancato sull’ambiente circostante e sulla città»6 in cui si collocava — era costituito da una vera e propria fortezza, circondato com’era da solide muraglie, ma la capacità espansiva e commerciale dei principi micenei non fu per questo minore di quella cretese, e si e-stese certo sul Mediterraneo orientale e sulle coste anatoliche, ma non trascurò neppure il suo versante occidentale, dalla Sicilia e dall’Italia meridionale e centrale (Sardegna inclusa) fino alla lontana penisola iberica e all’Africa, e alle loro coste atlantiche7.

5 Per i testi delle iscrizioni vedi M. Ventris, J. Chadwick, Documents in Myce-

naean Greek, a cura di J. Chadwick, Cambridge, 19732. La vicenda della decifrazio-ne da parte di Ventris è poi ripercorsa da Chadwick — un dialettologo che per primo si era convinto della veracità e della straordinaria importanza della scoperta, che di-mostrava l’esistenza di un dialetto greco secoli prima della documentazione sino ad allora disponibile — in un libro appassionante che è stato tradotto in italiano: Linea-re B. L’enigma della scrittura micenea, Torino, 1977.

6 Così G. Touchais, op. cit., p. 62. 7 Vedi, sul punto, il saggio di L. Vagnetti, Espansione e diffusione dei Micenei,

in I Greci, cit., pp. 133 ss.

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Storici e archeologi non sono concordi nel definire le cause del-l’ascesa e del successo dei regni micenei8, come della caduta dei dina-sti cretesi, ma sembra ragionevole ipotizzare che «le esperienze più vi-tali dei popoli egei e greci si integrarono e si perfezionarono»9, e in ef-fetti sono davvero numerose le intersezioni fra le due culture, che pos-sono riconoscersi nel culto e nei riti, ad esempio, ma anche nella strut-tura amministrativa e nella contabilità di palazzo, nella stessa vertica-lizzazione del potere e nell’organizzazione militare. I centri palaziali micenei erano il cuore di un territorio più esteso sul quale riuscirono a esercitare il loro predominio, territorio che, almeno nel caso di Pilo, per il quale si dispone di fonti testuali (le famose tavolette) e di reperti archeologici più significativi, era diviso in due provincie, ciascuna delle quali si articolava in otto distretti, che erano guidati da un ufficiale distrettuale, il ko–re–te10. Ma il cuore, e il vertice al tempo stesso, della struttura politica e sociale micenea era il wa–na–ka, il wánax, signore del palazzo e di tutto il territorio a esso assoggettato, la cui leadership era non solo politica, economica e militare, ma anche religiosa, tanto da far ritenere che il modello della regalità micenea, per il tramite di quella minoica, abbia subito l’influsso delle più anti-che monarchie orientali. Il termine [ , ánax o wánax, può ancora trovarsi nei poemi omerici, senza però conservare una precisa conno-tazione funzionale: j , anássein, regnare, è proprio dell’uomo come del dio ma quest’ultimo, al di là di ogni qualificazione istituzio-nale, non potrà che essere ánax, sovrano: la suggestione della figura del monarca miceneo, ormai scomparsa da quasi cinque secoli, conti-nuava a esercitare i suoi effetti sul mondo di Omero.

8 Le teorie dei “cavalieri predoni”, dell’immigrazione e dell’invasione e di un

processo di sviluppo economico graduale, sono analizzate e discusse da W.D. Nie-meier, Nascita e sviluppo del mondo miceneo, in I Greci, cit., pp. 84 ss., che insiste sul ruolo strategico della Grecia micenea, cerniera fra il commercio marittimo dap-prima monopolizzato dai centri palaziali minoici, e quello terrestre con l’Europa continentale: vedi p. 87.

9 G. Pugliese Carratelli, op. cit., p. 11. 10 Cfr. W.D. Niemeier, La struttura territoriale della Grecia micenea, in F.

Prontera, (a cura di), Geografia storica della Grecia antica, Roma–Bari, 1991, pp. 126 ss., nonché Id., Nascita, cit., pp. 97 ss.

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Il wánax non è dunque «sostanzialmente un rappresentante della comunità» del a`µ , dâmos, un primus inter pares che non doveva allontanarsi molto dal ruolo e dalla figura di un capo stirpe11: la sua posizione di dominio, nel quadro di un’economia agricola nella quale la struttura politico–sociale del palazzo svolgeva una funzione regola-tiva e di distribuzione delle risorse e delle attività necessarie alla co-munità, doveva invece essere decisamente di spicco, coerentemente con l’impianto fortemente centralizzato e burocratizzato del sistema economico–sociale. È vero che i documenti in lineare B attestano l’esistenza di una ke–ro–si–ja, di una sorta di gruppo di anziani, forse un consiglio, che ricorda l’espressione , gerusía, il consiglio dei , gérontes, termine che appartiene al lessico politico dell’età arcaica e classica. Ma, anche ad ammettere che si fosse tratta-to di vero e proprio consiglio, è certo che non si raccoglieva attorno al wánax, ma al qa–si–re–u ( , basiléus) una figura che, nel mondo miceneo, esercitava una leadership locale su singoli dámoi: nulla a che vedere con la funzione regale che al basiléus viene ricono-

11 Così invece F. Gschnitzer, Storia sociale dell’antica Grecia (1981), trad. it.,

Bologna, 1988, p. 30, il quale giunge a queste conclusioni dall’interpretazione di una tavoletta rinvenuta a Pilo, dalla quale ricava che ciascun dámos, ogni comunità di villaggio, possiede la maggior parte della terra, poiché tanto il re che altri dignitari di corte o locali ricevono in appannaggio, per l’esercizio delle loro funzioni, un te–me–no, un µ , témenos, un campo coltivato le cui dimensioni possono variare a se-conda del titolare del témenos (il wánax, secondo la ricordata tavoletta, ne ottiene uno che è tre volte più grande di quelli assegnati ad altri dignitari). Dunque, anche il wánax, come gli altri funzionari, non sarebbe svincolato dalle comunità di villaggio ma dovrebbe al contrario considerarsi come espressione di queste, e ciò testimonie-rebbe una sostanziale continuità fra le regalità micenee e quelle omeriche: vedi an-che Id., . Ein terminologischer Beitrag zur Frühgeschichte des König-stums bei den Griechen, in Festschrift fur L. C. Franz, Innsbruck, 1965, pp. 99 ss. Contra, vedi P. Carlier, La Royauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg, 1984, pp. 44 ss.; più brevemente Id., Regalità micenee e regalità doriche, in D. Musti (a cura di ), Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo (1985), Roma–Bari, 1991, pp. 330 s. La relativa modestia del témenos e delle altre prerogative riconosciute al wá-nax conserva probabilmente l’impronta della situazione esistente nel contesto delle regalità prepalaziali. Sul wánax come monarca che esercita un potere assoluto vedi M. Lejeune, A propos de la titulature de Midas, in Mémoires de Philologie Mycé-nienne, Troisième Série, Roma, 1972, p. 333.

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sciuta già dai poemi omerici, funzione propriamente connessa con la guida di una determinata comunità politica12.

Molti dubbi avvolgono il ruolo, la posizione sociale dell’aristo-crazia nel mondo miceneo. Certo, doveva trattarsi di capi militari, che combattevano a piedi, armati di una lancia e di una corta spada, che si difendevano dai colpi portati dal nemico con l’enorme scudo a torre e che giungevano sul luogo dello scontro a bordo di carri da guerra, già impiegati dai guerrieri minoici13. I , laói, o lawói (ra–wo), devono probabilmente contrapporsi ai µ , dámioi, per indicare, nel mondo miceneo e ancora in quello omerico, da un lato l’aristocrazia guerriera e dall’altro contadini e artigiani che vivevano nei dámoi o démoi, nei villaggi assoggettati al potere palaziale14. I primi avevano un coman-dante militare, il ra–wa–ke–ta (lawaghétas), anch’egli, si direbbe, sot-

12 Il ruolo del sovrano miceneo, dal punto di vista economico–politico, religioso

e militare, si riflette con maggior chiarezza nella configurazione architettonica del palazzo che lo ospitava, che nella documentazione offerta dalle tavolette in lineare B: vedi K. Kilian, The Emergence of the Wanax Ideology in the Mycenaean Palaces, in Oxford Journal of Archaeology, III (1988), pp. 291 ss. Si pensi soltanto alla funzione del fastoso µ , mégaron, luogo di rappresentanza del wánax, con le sue quattro colonne e il focolare centrale, il trono del sovrano, spesso accompagnato da decorazioni parietali che rappresentavano scene di caccia e di guerra (a Pilo an-che grifoni). Si tratta di tutta una simbologia aristocratica che testimoniava e corroborava l’autorità del wánax.

13 Cfr. M. Lejeune, La civilisation mycénienne et la guerre, in J.P. Vernant (a cura di), Problèmes de la guerre en Grèce ancienne, Paris, 1968, pp. 31 ss. Vernant, nell’introduzione al suddetto volume (poi ripubblicata con il titolo La guerra delle città, in Id., Mito e società nell’antica Grecia (1974), trad. it., Torino, 1981, pp. 41 ss.) sottolinea la difficoltà di esprimersi sulla questione se fra l’universo guerriero miceneo e quello omerico ci sia continuità o frattura, se è vero che da un lato quell’universo costituiva «a un tempo l’oggetto immediato del poema e uno sfondo storico, che molti secoli di tradizione orale allontanano dall’autore»; e dall’altro che dal tessuto epico traspare una molteplicità di piani, nella lingua come nell’armamento, nelle modalità dello scontro e nello «statuto sociale e psicologico del guerriero» (p. 41).

14 Vedi G. Pugliese Carratelli, op. cit., p. 17; A. Mele, Elementi formativi degli ethne greci e assetti politico– sociali, in Storia e civiltà, vol. cit., pp. 68 ss., e spec. 70, il quale sottolinea come sia il concetto di laós, che quello di rawaketa, come conduttore del laós, sembrano rinviare ad una sfera di attività economiche — agrico-le, artigianali, etc. — che non sono connesse direttamente alla terra del dámos ma all’opposto appaiono controllate direttamente dall’amministrazione palaziale.

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toposto al signore del palazzo, sicché non potrebbe immaginarsi una struttura diarchica del sistema politico miceneo, con il wánax leader politico in tempo di pace e il lawaghétas capo militare e supremo co-mandante in tempo di guerra15.

Resta comunque aperta la questione del rapporto di quest’aristo-crazia con il potere palaziale da un lato e con l’articolazione dei poteri locali dall’altro, come non è chiaro quale sia stato il ruolo dei suoi com-ponenti come soggetti titolari di proprietà fondiarie. Naturalmente, se si ritiene che la sua posizione sociale e politica fosse interamente assog-gettata al potere del despota, si tenderà a concludere che il sistema mi-ceneo assomigliò alle società dell’Oriente antico e magari alle “regalità idrauliche” della Mesopotamia; se invece si tende ad attribuire all’aristocrazia micenea un ruolo subordinato (al) ma non totalmente schiacciato dal wánax, allora potrà emergere una considerazione dell’assetto peculiare della regalità micenea: non del tutto assimilabile a quelle orientali per il profilo, che sembrerebbe più dimesso se confron-tato con queste ultime. Ma neppure omologabile alle successive regalità omeriche e arcaiche, caratterizzate dalla presenza di un vero e proprio consiglio e di un’assemblea e dall’assenza di un’amministrazione così potente e capillare come quella caratteristica dei centri palaziali16.

Detto questo, non sembra necessario spendere ancora molte parole per chiarire come sia il mondo minoico che quello miceneo siano so-stanzialmente estranei ai sistemi politici delle , póleis del perio-do arcaico e classico, come è evidente che nell’ambito di quei contesti più antichi non si affacciò il tema del senso della cittadinanza: non c’era una pólis, non c’erano neppure , polítai, cittadini. Solo, nei villaggi sottoposti al potere accentrato del palazzo, già allora co-minciavano ad articolarsi, come abbiamo visto, ruoli e autorità locali, i basiléwes e i consigli di anziani, che poi — profondamente trasformati — ritroveremo nella pólis arcaica. Capi delle comunità e consigli lo-cali, l’antica organizzazione delle comunità a regime patriarcale, si so-stituirono, dopo il loro crollo, alle strutture politico–amministrative dei regni micenei.

15 Così D. Musti, Storia greca, cit., p. 54. Vedi anche supra, nota 11. 16 Su questi problemi vedi ancora P. Carlier, La Royauté, cit., pp. 44–134.

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Può essere allora interessante riflettere sulla peculiare qua-lificazione professionale del qa–si–re–u miceneo, così come emerge dall’esame condotto sulle tavolette in lineare B dei palazzi di Cnosso, Pilo e Tebe17. Il vecchio basiléus degli antichi regni dominati dal wá-nax era sostanzialmente un capo–operaio, un artigiano che si occupava specialmente della lavorazione dei metalli e di costruzione di mobili (ma i mobili micenei erano decorati con metalli). Certo, può apparire un paradosso che proprio un’attività artigianale, tanto disprezzata dai circoli aristocratici del periodo arcaico (né è il prototipo Efesto, di cui tutti gli altri dei possono ridere apertamente18), appaia qui come stret-tamente collegata alla genealogia delle aristocrazie arcaiche, alla loro origine e discendenza. Ma il paradosso è solo apparente. Louis Godart scrive che «dopo la caduta dei regni e dei palazzi micenei, colui che, nei villaggi e nelle piccole comunità rurali, era in grado di lavorare i metalli (magari per fabbricare delle armi) deve aver goduto di un no-tevole prestigio […]. In un mondo abbandonato a sé stesso, la forza e la téchne di chi sa dominare la natura e ricavare dalla terra le armi che potranno difendere la comunità sono sufficienti per promuoverlo da semplice capo di una corporazione di fabbri a re di una comunità»19.

Se anche, però, non fosse questa la “verità” storica e se questo col-legamento fra l’emergere delle regalità omeriche e arcaiche e l’esercizio di , téchnai, da parte degli antichi basiléwes micenei fosse desti-tuito di ogni fondamento, resta il valore simbolico della genealogia ipo-tizzata. Se è vero, infatti, che le attività artigianali esercitate professio-nalmente erano considerate indegne per un aristocratico, la maestria nell’esercizio delle téchnai manuali rientra senz’altro nel bagaglio cul-

17 L’analisi delle attestazioni e i relativi risultati interpretativi sono di L. Godart,

La caduta dei regni micenei a Creta e l’invasione dorica, in D. Musti (a cura di), Le origini, cit., pp. 189 ss.

18 Iliade, I, 595–600. Efesto sconsiglia la madre Era di scontrarsi apertamente con l’onnipotente Zeus. Lui comunque non potrà proteggerla, già una volta ci si era provato ed era stato scagliato giù dall’Olimpo, arrivando a terra più morto che vivo! «Così disse; sorrise la dea dalla bianche braccia, Era, / e, sorridendo, prese dal figlio la coppa; / a tutti gli altri dei, l’uno dopo l’altro, a destra, / versava il nettare dolce, mescendolo dal cratere: / irrefrenabile scoppiò il riso tra gli dei beati, / quando vide-ro Efesto dimenarsi affannato per la sala» (trad. di G. Cerri, Milano, 1996).

19 L. Godart, op. cit., p. 192.

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turale dell’élite. Associata a tale esercizio c’è la µ , métis, «parola dai molti significati, la cui area semantica include intelligenza pratica, ingegnosità e scaltrezza»20. Con questo, però, siamo approdati ormai lontano nel tempo dai regni micenei, in pieno arcaismo.

2. Il mondo degli eroi. Società e poteri in Omero

Dalla ricerca archeologica e dalle evidenze epigrafiche all’epica

eroica. È ben vero che Iliade e Odissea non sono libri di storia21, e che sarebbe sicuramente una forzatura leggervi la descrizione di una civil-tà, quella micenea, o quella arcaica o ancora quella dell’era interme-dia, quasi quattro secoli bui dei quali quasi nulla è giunto sino a noi. C’è però un lessico politico nei poemi omerici, un’ideologia sociale che è particolarmente interessante per noi: non siamo ancora, è vero, nell’universo della cittadinanza, la cultura della pólis non è ancora at-tuale, ma l’importanza della vita politica nei canti di Omero è enorme: quando Odisseo e i suoi compagni arrivano nella terra dei Ciclopi, su-bito definiti «ingiusti e violenti»22, il loro mondo, che è un mondo in cui non si lavora la terra, non si semina né ara e tutto nasce spontane-amente, è descritto così nel poema:

non hanno assembleee che deliberano, né norme comuni, ma degli eccelsi monti vivono sopra le cime in grotte profonde; fa legge ciascuno ai figli e alle donne, e l’uno dell’altro non cura23.

20 Così B. Fehr, Kouroi e Korai. Formule e tipi dell’arte arcaica come espres-

sione di valori, in I Greci, vol. cit., p. 790. 21 Così titola il suo libro F. Hampl, Die Ilias ist kein Geschichtesbuch, In-

nsbruck, 1960. 22 Odissea, IX, 106 (nella trad. di R. Calzecchi Onesti, Torino, 1963): -

e µ , hyperfíaloi e athemístoi, prepotenti e senza leggi, senza µ , témistes, regole consuetudinarie destinate a disciplinare i rapporti fra gli appartenen-ti ad una determinata comunità. Si veda, al contrario, la caratterizzazione che della comunità dei Ciclopi fa il poeta infra, nel testo.

23 Od., IX, 112–115. L’assenza di misura e di giustizia fra i Ciclopi è specchio del loro animo ingiusto, malvagio, come testimonia la vicenda di Polifemo: vedi IX, 189, 215, etc.