6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL...

26
ATLANTE del CIBO 1 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL SISTEMA AGRICOLO NEL PARCO NATURALE DI STUPINIGI Enrico Pomatto, Paola Gullino, Marco Devecchi, Federica Larcher – DISAFA PAESAGGIO AGRARIO MULTIFUNZIONALITA’ INTERVISTE FILIERE PRODUTTIVE L'agricoltura ha oggi un ruolo di primaria importanza nella produzione del cibo, nella conservazione dell'ambiente, delle risorse naturali e per il mantenimento della biodiversità. La nuova politica comunitaria, delineata in Agenda 2000, riconosce all'agricoltura una sua intrinseca multifunzionalità e la considera un'attività che esplica anche un ruolo ambientale, culturale e di servizio. Nelle aree naturali protette, lo sviluppo di un’agricoltura più multifunzionale e sostenibile volta alla conservazione ambientale si presenta come una sfida, un obiettivo da perseguire. Nel Parco Naturale di Stupinigi, con un’estensione di circa 1700 ettari, divenuto area protetta della Regione Piemonte dal 1992, convivono anime differenti. La Residenza Sabauda per la Caccia e le Feste edificata a partire dal 1729 su progetto di Filippo Juvarra afferente all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è stata riconosciuta nel 1997 come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO nel sito seriale “Residenze Sabaude”. Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina di Caccia e dai poderi agricoli, alcuni risalenti alla fine del Quattrocento, convivono le antiche rotte di caccia, il patrimonio naturalistico e forestale di inestimabile valore e la parte agricola (fig.1-2). In tale ambito insistono circa 30 aziende a conduzione pressoché famigliare, di cui 20 sono a vocazione agricola, spesso di dimensioni ragguardevoli e con una superficie media di circa 55 ha (alcune coprono anche più di 100 ha, altre meno di 5). Tali attività mantengono coltivati i campi, gestiscono i boschi ed in molti casi hanno sede all’interno degli antichi poderi. Con l’obiettivo di valorizzare l’agricoltura del Parco Naturale di Stupinigi, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari (DISAFA) dell’Università degli Studi di Torino ha indagato il tema legato al cibo e alle sue filiere produttive, applicando una metodologia multidisciplinare sull’area protetta che comprende tre Comuni afferenti alla Città Metropolitana di Torino: Candiolo, Orbassano e Nichelino. Nel progetto “Genius Loci Stupinigi” finanziato dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito del Bando Luoghi della Cultura 2018 e cofinanziato dall’Ente di gestione delle aree protette dei Parchi Reali della Regione Piemonte e da Camera di Commercio di Torino, il DISAFA ha portato avanti diverse attività. Per individuare le permanenze storiche è stata condotta una ricerca bibliografica sulla copiosa documentazione già pubblicata ed un’analisi storica archivistica, sia a livello paesaggistico, che relativa al parco storico del complesso di Stupinigi. Tale luogo, essendo una realtà importantissima dal punto di vista culturale e naturalistico, è sottoposto a numerosi vincoli, soprattutto relativi ai fabbricati (fig.3). Ciò pone l’agricoltura di fronte ad una sfida: com’è possibile supportare uno sviluppo sostenibile del territorio, attraverso la valorizzazione delle varie filiere? Per rispondere a tale interrogativo ed ipotizzare scenari futuri di sviluppo, si è deciso di utilizzare un approccio partecipato di tipo bottom-up attraverso la somministrazione di interviste alle attività che insistono nel Parco, al fine di comprenderne la storia, le criticità, la propensione alla multifunzionalità e le filiere dei prodotti. In tale analisi sono stati intervistati, oltre gli imprenditori agricoli, anche coloro che si occupano della trasformazione dei prodotti o che operano nel settore turistico. Sono poi state coinvolte anche alcune attività agricole che hanno sede nelle immediate vicinanze del Parco, i cui prodotti sono inseriti nelle filiere di Stupinigi. Le interviste sono state strutturate in 5 parti: la prima ha consentito di comprendere la struttura delle varie aziende, la loro storia e le prospettive future legate all’eventuale ricambio generazionale. La seconda ha messo in luce l’indirizzo produttivo, la localizzazione degli appezzamenti, eventuali problematiche legate alla fertilità dei suoli e la presenza di filari e siepi storiche. Nella terza parte si sono indagate le filiere dei prodotti, i

Transcript of 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL...

Page 1: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL SISTEMA AGRICOLO NEL PARCO NATURALE DI STUPINIGI

Enrico Pomatto, Paola Gullino, Marco Devecchi, Federica Larcher – DISAFA ● PAESAGGIO AGRARIO ● MULTIFUNZIONALITA’ ● INTERVISTE ● FILIERE PRODUTTIVE L'agricoltura ha oggi un ruolo di primaria importanza nella produzione del cibo, nella conservazione dell'ambiente, delle risorse naturali e per il mantenimento della biodiversità. La nuova politica comunitaria, delineata in Agenda 2000, riconosce all'agricoltura una sua intrinseca multifunzionalità e la considera un'attività che esplica anche un ruolo ambientale, culturale e di servizio. Nelle aree naturali protette, lo sviluppo di un’agricoltura più multifunzionale e sostenibile volta alla conservazione ambientale si presenta come una sfida, un obiettivo da perseguire. Nel Parco Naturale di Stupinigi, con un’estensione di circa 1700 ettari, divenuto area protetta della Regione Piemonte dal 1992, convivono anime differenti. La Residenza Sabauda per la Caccia e le Feste edificata a partire dal 1729 su progetto di Filippo Juvarra afferente all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è stata riconosciuta nel 1997 come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO nel sito seriale “Residenze Sabaude”. Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina di Caccia e dai poderi agricoli, alcuni risalenti alla fine del Quattrocento, convivono le antiche rotte di caccia, il patrimonio naturalistico e forestale di inestimabile valore e la parte agricola (fig.1-2). In tale ambito insistono circa 30 aziende a conduzione pressoché famigliare, di cui 20 sono a vocazione agricola, spesso di dimensioni ragguardevoli e con una superficie media di circa 55

ha (alcune coprono anche più di 100 ha, altre meno di 5). Tali attività mantengono coltivati i campi, gestiscono i boschi ed in molti casi hanno sede all’interno degli antichi poderi. Con l’obiettivo di valorizzare l’agricoltura del Parco Naturale di Stupinigi, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari (DISAFA) dell’Università degli Studi di Torino ha indagato il tema legato al cibo e alle sue filiere produttive, applicando una metodologia multidisciplinare sull’area protetta che comprende tre Comuni afferenti alla Città Metropolitana di Torino: Candiolo, Orbassano e Nichelino. Nel progetto “Genius Loci Stupinigi” finanziato dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito del Bando Luoghi della Cultura 2018 e cofinanziato dall’Ente di gestione delle aree protette dei Parchi Reali della Regione Piemonte e da Camera di Commercio di Torino, il DISAFA ha portato avanti diverse attività. Per individuare le permanenze storiche è stata condotta una ricerca bibliografica sulla copiosa documentazione già pubblicata ed un’analisi storica archivistica, sia a livello paesaggistico, che relativa al parco storico del complesso di Stupinigi. Tale luogo, essendo una realtà importantissima dal punto di vista culturale e naturalistico, è sottoposto a numerosi vincoli, soprattutto relativi ai fabbricati (fig.3). Ciò pone l’agricoltura di fronte ad una sfida: com’è possibile supportare uno sviluppo sostenibile del territorio, attraverso la valorizzazione delle varie filiere? Per rispondere a tale interrogativo ed ipotizzare scenari futuri di sviluppo, si è deciso di utilizzare un approccio partecipato di tipo bottom-up attraverso la somministrazione di interviste alle attività che insistono nel Parco, al fine di comprenderne la storia, le criticità, la propensione alla multifunzionalità e le filiere dei prodotti. In tale analisi sono stati intervistati, oltre gli imprenditori agricoli, anche coloro che si occupano della trasformazione dei prodotti o che operano nel settore turistico. Sono poi state coinvolte anche alcune attività agricole che hanno sede nelle immediate vicinanze del Parco, i cui prodotti sono inseriti nelle filiere di Stupinigi. Le interviste sono state strutturate in 5 parti: la prima ha consentito di comprendere la struttura delle varie aziende, la loro storia e le prospettive future legate all’eventuale ricambio generazionale. La seconda ha messo in luce l’indirizzo produttivo, la localizzazione degli appezzamenti, eventuali problematiche legate alla fertilità dei suoli e la presenza di filari e siepi storiche. Nella terza parte si sono indagate le filiere dei prodotti, i

Page 2: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

canali di distribuzione e l’area geografica di vendita, oltreché i sistemi di marketing e pubblicità. La quarta ha evidenziato la presenza di eventuali altre attività praticate dalle aziende in ottica di multifunzionalità. Mentre l’ultima, attraverso una serie di Yes/No questions, ha analizzato la percezione del paesaggio da parte degli intervistati e le prospettive di sviluppo futuro delle realtà aziendali. Relativamente all’analisi delle filiere, è emerso come all’interno del Parco Naturale di Stupinigi la diversificazione di prodotto sia un aspetto fortemente identitario e che il paesaggio, sintesi delle varie attività agricole, sia molto eterogeneo. Tra le principali filiere si annoverano quella dei cereali derivata dalla coltivazione dei campi, all’interno della quale vi è la filiera della farina di Stupinigi, con gli antichi grani coltivati in questa realtà, e quella della carne e del latte relativa all’allevamento. A queste si aggiungono altre filiere di nicchia relative all’elicicoltura, all’apicoltura, all’orticoltura ed alla produzione di salami di cervo e cinghiale abbattuti all’interno dell’area protetta in attuazione del piano annuale regionale. Relativamente alle aree boscate va, infine, segnalata la filiera del legno. La caratterizzazione paesaggistica del Parco, oltre che alla presenza dei fabbricati e alla diversificazione colturale, è legata ai viali ed alle siepi storiche, che oltre delineare le antiche rotte di caccia, sono elementi lineari dalla forte connotazione identitaria, in grado di fornire diverse tipologie di servizi ecosistemici (fig. 4). Dallo studio si evince, infine, che in un’area fortemente vincolata, come è il Parco Naturale di Stupinigi, è possibile supportare lo sviluppo sostenibile del territorio attraverso la multifunzionalità delle aziende agricole, la diversificazione e la trasformazione dei prodotti primari e secondari attraverso le diverse filiere legate al cibo ed al territorio.

Per questi motivi la metodologia di analisi proposta può essere utilizzata anche in altri contesti per delineare scenari virtuosi di valorizzazione paesaggistica.

Fig. 1 - Il paesaggio agrario all’interno del Parco Naturale di Stupinigi: si notino le

coltivazioni agricole, le antiche cascine, i filari storici e la componente boschiva. (Foto

di Enrico Pomatto)

Fig. 2 – La principale rotta di caccia all’interno del Parco Naturale di Stupinigi: un landmark fortemente identitario di un paesaggio in cui coesistono le componenti storiche, agricole e naturalistiche. (Foto di Enrico Pomatto)

Page 3: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 3

Fig. 3 – Gli antichi poderi adiacenti alla Palazzina di Caccia ancora utilizzati. (Foto di Paola Gullino)

Fig. 4 – I viali alberati nel Parco: elementi lineari dalla forte connotazione identitaria. (Foto di Paola Gullino)

Page 4: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

7. ALCOL E TRADIZIONE: UNO STUDIO ESPLORATIVO SULL’EVOLUZIONE DEGLI STILI DEL BERE NELLE ZONE DI PRODUZUONE E IN QUELLE DI CONSUMO Istituto ricerca e formazione Eclectica

● ALCOL ● SUPERFICIE VITATA ● RISCHI Lo studio era volto a individuare i fattori di protezione e di rischio che connotano le zone di produzione di vino e quelle di solo consumo. A questo scopo, è stato adottato un approccio mixed-methods. I risultati delle analisi epidemiologiche mostrano che, nonostante la maggiore prevalenza di bevitori, nelle aree caratterizzate da maggiore superficie vitata (≥ 5%) i tassi di mortalità alcol-correlati, sono più bassi rispetto a quelli delle altre aree piemontesi.

Per quanto riguarda la morbosità, ovvero le diagnosi di patologie alcol correlate, le aree a superficie vitata presentano, negli uomini, tassi di ricovero inferiori a quelli piemontesi, con valori statisticamente significativi, sia per la diagnosi di dipendenza che per quella di patologie alcol correlate. Anche fra le donne i valori sono inferiori raggiungendo la significatività statistica nel periodo 2010-12.

Mortalità per cause alcol correlate e da dipendenza per area (tassi standardizzati per 100.000 abitanti). 2006-2010. Tutte le età.

Nello stesso periodo di riferimento, le aree a maggiore superficie vitata sono quelle che mostrano minori probabilità di consumo a maggior rischio (binge drinking, consumo abituale elevato, fuori pasto), con differenze anche statisticamente significative rispetto al Piemonte (sui consumatori di 18-69 anni: 26% vs 33%). Le differenze sono ancora più rilevanti tra i giovani (37% vs 51%).

Consumo a maggior rischio per età, ultimi 30 giorni. Solo consumatori. 2010-2012

I dati qualitativi evidenziano i profondi cambiamenti generazionali che hanno investito i consumi di alcolici. Rispetto agli anziani, che hanno adottato nella loro vita uno stile di consumo quotidiano e sempre uguale nel tempo, gli adulti e i giovani prediligono un consumo occasionale che varia nel tempo, adattandosi ai cambiamenti di ruolo e di gusto. Le carriere di consumo, un tempo lineari, hanno infatti iniziato a modificarsi lungo tutto l’arco di vita: il periodo giovanile rappresenta il picco degli eccessi che tendono a scomparire in età adulta. A livello generazionale si osserva anche

Page 5: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

un aumento di consapevolezza in merito ai rischi legati ai consumi alcolici: i giovani risultano più informati sui rischi del bere e li sottovalutano meno rispetto agli anziani.

Per quanto riguarda le differenze territoriali, soprattutto nelle aree vitate il consumo di bevande alcoliche, in particolare quello di vino, è sempre più inteso come esperienza culturale che per essere fruita implica un certo livello di conoscenza e delle competenze specifiche. Questo è un processo ampio, osservabile nella moltiplicazione dei corsi per sommelier e degustatori che investe tutto il territorio nazionale, ma nelle aree vitate trova la sua origine ed espressione più forte. Attraverso un consumo limitato e consapevole, il bevitore competente si distingue socialmente e funge da modello:

Prima bevevo vino, adesso degusto e bevo in modo consapevole… Se tu conosci il prodotto, ti incuriosisce, ti interessa e lo bevi in modo consapevole… Nel momento in cui cominci anche a relazionarti con persone che dicono “questo vino ha un profumo…” tu automaticamente non butti solo più giù, ma lo senti, cominci ad apprezzarlo, riduci anche le occasioni di bevuta e riduci tutto. (Donna adulta, comune vitato)

Le zone vitate e di consumo si distinguono anche per il modello di socializzazione: nei comuni vitati si evidenzia una maggiore persistenza del processo di socializzazione tradizionale, secondo cui i primi assaggi e i primi consumi avvengono in famiglia, sotto la guida di genitori attenti che trasmettono alle nuove generazioni l’importanza della qualità e della moderazione:

Poi a me il discorso del vino piace perché magari ogni tanto, a pranzo o a cena con mio padre, un bicchiere di vino lo possiamo anche bere, perché ci piace proprio un bicchiere di vino mangiando. (Giovane, comune vitato)

Inoltre, nei comuni vitati, dove il vino rappresenta una risorsa economica imprescindibile per tante famiglie, i messaggi proibizionisti o allarmisti vengono percepiti come ipocriti e suscitano aspre critiche, rischiando di rendere gli interventi di prevenzione vani o addirittura controproducenti:

L’hanno messo sulla paura, hanno mandato i Carabinieri che ci hanno detto: “Non dovete bere, vi fermiamo, vi togliamo patente e macchina”: è stato più

su quel livello lì, e a me non era piaciuto molto, perché alla fine non puoi dire “non bere”, perché io dico “la mia famiglia vive su quello”. (Giovane, comune vitato)

I risultati di questo studio, che confermano i differenti livelli di rischio che a livello europeo connotano i paesi mediterranei e quelli nordici, richiedono verifiche e replicazioni in altri contesti simili. Qualora confermati, politiche e strategie di prevenzione dovrebbero tenere conto di queste differenze:

• l’obiettivo principale delle politiche per la riduzione degli effetti negativi dell’alcol sulla salute dovrebbe essere il contrasto dei consumi a rischio, piuttosto che del bere tout court;

• gli interventi dovrebbero contrastare il diffondersi dei modelli di consumo improntati al consumo eccessivo e valorizzare i comportamenti del bere moderato e consapevole, in particolare quelli che avvengono nel contesto familiare;

• le strategie di prevenzione dovrebbero favorire i processi di autoregolazione, in particolare preservando le tradizioni legate ai processi di socializzazione in famiglia e valorizzare il ruolO educativo degli altri attori della cultura del bere moderato.

L’indagine è stata condotta dall’Università del Piemonte Orientale e dall’Istituto di Ricerca e Formazione Eclectica, referenti scientifici sono Franca Beccaria e Fabrizio Faggiano. Il gruppo di ricerca è composto da Maria Chiara Antoniotti (ASL Novara), Franca Beccaria (Eclectica), Roberto Diecidue (Osservatorio Epidemiologico delle Dipendenze - Regione Piemonte), Fabrizio Faggiano (Università del Piemonte Orientale), Alessandro Migliardi (Università del Piemonte Orientale) e Sara Rolando (Eclectica). È stata realizzata con il contributo Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, Regione Piemonte Assessorato all’Agricoltura, Comuni di Alba, Bra e Cuneo, Federalimentare, il portale di crowdfunding com-unity. Bibliografia http://www.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedalibro&Itemid=72&isbn=9788843078547

Page 6: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

8. IO & IL CIBO: IMMAGINI E PENSIERI Istituto ricerca e formazione Eclectica

● COMPORTAMENTI ALIMENTARI ● CIBO ● DISTRURBI ALIMENTARI Il rapporto con il cibo è espressione delle contraddizioni della nostra società, in termini di autocontrollo e ricerca del piacere, di esplosione di opportunità e incapacità di selezionare (Stagi, 2002; Le Breton, 2013). Digiunare e abbuffarsi, sottoporsi a diete ed esercizio fisico sono parte del progetto identitario che ha per oggetto e focus il proprio corpo e che si è diffuso soprattutto nelle fasce adolescenziali. Per comprendere i diversi modi con cui gli adolescenti si rapportano al cibo, analizzare le rappresentazioni relative all’alimentazione e individuare fattori di rischio e di protezione all’insorgenza di comportamenti alimentari poco equilibrati, a fine gennaio 2018 è stato lanciato il contest fotografico: “Io & il cibo. Immagini e pensieri”, rivolto a ragazzi piemontesi dai 14 ai 16 anni, fascia di età di esordio dei disturbi dei comportamenti alimentari. Grazie all’utilizzo della tecnica Photovoice, che prevede la combinazione di immagini e testo, i partecipanti sono stati invitati a inviare una fotografia corredata di una breve didascalia descrittiva. Il concorso si è concluso il 31 marzo 2018, con 123 fotografie presentate da ragazzi e ragazze di tutto il Piemonte. Cuneo e Torino sono le province più rappresentate, ma anche Novara, Biella e Vercelli presentano un buon livello di adesione. Un gruppo di valutazione di esperti, composto da professionisti sanitari, fotografi, giornalisti, esperti di comunicazione e rappresentanti delle Consulte provinciali studentesche, ha giudicato le immagini in base alla qualità tecnica, all’originalità e al messaggio comunicato. Ha quindi stilato una graduatoria e i primi dieci classificati sono stati premiati durante l’evento finale dell’iniziativa, che si è tenuto il 31 maggio 2018 presso il Circolo dei Lettori. Contestualmente alla proclamazione e premiazione dei

vincitori, il workshop ha previsto la presentazione dei risultati dell’analisi socio-semiotica delle immagini e ha dato la possibilità ai partecipanti di confrontarsi con gli esperti sui temi dei disturbi dei comportamenti alimentari, grazie all’utilizzo di tecniche partecipate. Utilizzando la tecnica del World Café sono stati creati 8 tavoli, con il seguente mandato: “Cosa ha colpito maggiormente dei risultati presentati?”, “Cosa si può fare?”. L’analisi socio-semiotica delle fotografie ha messo in luce la pluralità dei valori d’uso del cibo per i partecipanti: conviviale, culturale, ricreativo, artistico, curativo, epicureo, problematico, consolatorio, con una prevalenza degli aspetti positivi sugli aspetti negativi. Inoltre, è emersa un diffusa consapevolezza della differenza tra cibo sano e poco sano, ma allo stesso tempo il cibo spazzatura è definito come una tentazione, alla quale si cede facilmente. I partecipanti menzionano anche la disattenzione per l’origine e le caratteristiche di ciò che si ingerisce, perché spesso si consuma cibo per noia o mentre si conducono altre attività. Al contrario, talvolta si eccede nel conteggio delle calorie e nel controllo ossessivo degli alimenti consumati. Il riferimento alle criticità, quindi, si concentra sull’anoressia, mentre non sono citate altre forme di comportamenti alimentari problematici, quali la bulimia. I risultati dell’iniziativa suggeriscono la necessità di promuovere un rapporto equilibrato con il cibo, lo sfruttamento dei valori d’uso della cultura alimentare italiana, attraverso la valorizzazione degli aspetti conviviali e culturali, al fine di prevenire condotte alimentare poco equilibrate. Mangiare insieme può essere un mezzo di socializzazione e regolazione. Dai lavori partecipati emerge inoltre la necessità di educare a un’alimentazione sana coinvolgendo le scuole, a partire dalla materna, organizzando seminari ad hoc, interventi di peer education, fornendo supporto psicologico ai singoli e alle classi, introducendo cibi genuini nelle scuole. La Regione Piemonte e la Commissione Regionale Pari Opportunità, con la collaborazione dell’Istituto di Ricerca e di Formazione Eclectica.

Page 7: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

Bibliografia https://www.facebook.com/ioeilcibocontest/ Le Breton D., (2013). L’adieu au corps. Paris, Editions Métailié. Stagi L., (2002). La società bulimica. L trasformazioni simboliche del corpo tra edonismo e autocontrollo, Milano, Franco Angeli.

Page 8: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

9. PROGETTO “NUTRIRE L’ANIMA”

Mario Caserta – Area "Progetti" - URP - AOU Città della Salute e della Scienza Camilla Cupelli – La Stampa e La Presse Maria Chiara Giorda – Dipartimento Studi Umanistici di Roma Tre e Fondazione Benvenuti in Italia ● RELIGIONI ● STRUTTURE OSPEDALIERE ● MENU ARCOBALENO Con la DGR 14 luglio 2008 n. 8-9172, la Regione Piemonte ha affidato all'AOU Città della Salute (ex AOU San Giovanni Battista) il coordinamento del progetto “Le Cure dello Spirito” per l'assistenza spirituale dei degenti ricoverati nei nosocomi piemontesi; da allora numerosi progetti sono stati condotti in tema religioso e sanitario. In ambito spirituale, il cibo riveste un’importanza fondamentale poiché è una delle componenti delle varie religioni, pensiamo, ad esempio, alle metafore (o metonimie) alimentari che queste racchiudono. Nella società multiculturale, e soprattutto nel contesto ospedaliero, in cui il bisogno di spiritualità spesso emerge in modo significativo, si rende, quindi, necessario governare le richieste degli utenti di adeguare il proprio regime dietetico alle regole religiose, che nella stragrande maggioranza dei casi, non sono note al personale sanitario e che rischiano di diventare un problema e potenziale fonte di discriminazione per l’intrinseca complessità che rappresentano. Il cibo è, infatti, un nutrimento del corpo, ma anche un sostentamento per lo spirito.

Scopo del progetto è, quindi, favorire la conoscenza delle prescrizioni alimentari delle varie religioni tra il personale sanitario e di provare a ricomporre il caleidoscopio culturale e alimentare in un’ottica di integrazione, proponendo alle Aziende Sanitarie Regionali un menu, da affiancare alla dieta libera, consumabile da tutti i degenti indipendentemente dalla religione di appartenenza: il menu arcobaleno.

Nell’ambito di uno studio realizzato nel 2016 in alcune strutture ospedaliere, è emersa un’attenzione al rapporto tra alimentazione e religione, in particolare per quanto riguarda i musulmani. La maggioranza della popolazione straniera residente a Torino è composta da rumeni e questi, essendo prevalentemente di fede ortodossa, non praticano regole alimentari specifiche o molto diverse da quelle della tradizione mediterranea. Nel caso di musulmani ed ebrei, invece, la questione va assolutamente affrontata. La domanda che ha mosso la ricerca è relativa all’opportunità e all’adeguatezza delle mense di fronte ai bisogni alimentari provenienti da culture religiose differenti. È stato rilevato che nessun ospedale prevede diete specifiche per scelte religiose, fatta eccezione per i musulmani, che hanno invece un menu a parte, ad esempio, nella Città della Salute. In altri ospedali, non è presente un menu apposito, ma è possibile modificare il menu tradizionale rendendolo adatto alla religione musulmana, con un adeguamento fatto ad personam. In molti casi le scelte possono essere accontentate in modi alternativi, secondo il giudizio di nutrizionisti e responsabili: ad esempio le persone di religione hindu possono scegliere il menu vegetariano; le persone che si considerano ebrei ortodossi – secondo alcune esperienze di medici raccolte durante la ricerca - sono solite accettare il menu musulmano per la vicinanza delle pratiche alimentari, e anche questo è un dato molto interessante: solo un ospedale riporta un caso di rifiuto per via del mancato controllo della filiera alimentare, come previsto per il cibo kasher. In questo caso, si permette di portare il cibo da casa. Colpisce l’attenzione a menu vegetariani in tutti gli ospedali (raramente anche vegani): un’attenzione diffusa per quella che è una scelta alimentare, considerata con maggiore attenzione rispetto alle singole religioni, anche per la sua compatibilità con le regole di alcune di esse. Gli obiettivi del progetto sono: > Ricognizione delle esigenze e delle pratiche esistenti in ambiente ospedaliero relative alle abitudini alimentari > Elaborazione delle schede, destinate al personale sanitario, contenenti gli alimenti vietati dalle varie religioni > Proposta di un menu multietnico/multireligioso (menu arcobaleno), da affiancare alla dieta libera, consumabile da tutti i degenti indipendentemente dalla religione di appartenenza.

Page 9: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

Il progetto prevede una prima fase di ricerca bibliografica e di consultazione dei rappresentanti religiosi per comprendere le prescrizioni alimentari delle differenti religioni incluse nel progetto regionale “Le cure dello Spirito” (Cattolici, Musulmani, Protestanti, Ortodossi, Buddhisti, Induisti ed Ebrei). Un lavoro preliminare è stato compiuto dalla fondazione Benvenuti In Italia e UvaUniversolatro nel 2014 all’interno di una ricerca sulla diversità religiosa negli ospedali di Torino e Roma, dove ampio spazio era stato dedicato al tema delle mense (cfr. http://benvenutiinitalia.it/wp-content/uploads/2016/02/Quad6_Interno-2.pdf).

Il lavoro ha sottolineato la necessità da parte del personale medico di conoscere le prescrizioni alimentari religiose al fine, dove è possibile, di poter procedere alla preparazione di diete che tengano conto delle necessità alimentari sulla base di scelte religiose o culturali, per formulare diete e terapie rispettose di tali prescrizioni.

Parallelamente tali prescrizioni saranno esaminate dagli esperti di nutrizione clinica per comprendere se, dalle stesse, possano determinarsi squilibri alimentari ed indicare eventuali regimi dietetici sostitutivi. Saranno così redatte delle schede, destinate al personale sanitario dei servizi assistenziali, contenenti le varie prescrizioni religiose e le sostituzioni alimentari possibili.

Il progetto offrirà una disamina delle pratiche alimentari religiosamente determinate, completa di alcune osservazioni relative al modo in cui tali pratiche sono importate all’interno dell’istituto sanitario, quando quest’ultimo non riesce a rispondere al bisogno con procedure specifiche. Sono numerosi i gruppi religiosi che, anche grazie agli accordi di collaborazione stipulati con gli ospedali, richiedono la possibilità di portare al proprio familiare o conoscente cibo preparato secondo le prescrizioni alimentari di riferimento.

Infatti, se si escludono i casi di mero soddisfacimento del fabbisogno nutrizionale, l’assunzione di cibo smette di rappresentare la risposta ad un bisogno esclusivamente fisiologico per abbracciare appieno la piu ampia dimensione del bisogno culturale e religioso.

Successivamente, considerato che il capitolato di gara di SCR (stazione appaltante della Regione Piemonte) prevede la possibilità in tutte le ASR di predisporre un menu per esigenze culturali e religiose, il gruppo di esperti in dietetica ed in scienze e tecnologie alimentari, formulerà una proposta di menù multietnico/multireligioso (menu arcobaleno), da affiancare alla dieta libera, consumabile da tutti i degenti indipendentemente dalla religione di appartenenza. Tale menu sarà esaminato da medici di direzione sanitaria ed esperti di igiene e sanità pubblica per poi essere trasmesso alle ASR, che potranno liberamente inserirlo in affiancamento alla dieta libera.

Infine, partendo dal presupposto che sono difficilmente quantificabili le ricadute delle azioni di integrazione culturale e di umanizzazione dei servizi pubblici, se non attraverso una misurazione del livello di soddisfazione dell’utenza, tramite indagini di customer-satisfaction mirate, è importante evidenziare che la predisposizione di un menu unico, da affiancare alla dieta libera, può costituire anche un notevole risparmio dato dal superamento dei differenti menù etico/religiosi quali il menu vegetariano, il menu halal e il menu kosher (ove presente).

Inizio del progetto: Maggio 2019 Fine del progetto: Maggio 2020

Page 10: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 3

MAG 2019

LUG 2019

SET 2019

NOV 2019

GEN 2020

MAR 2020

MAG 2020

INIZIO PROGETTO E COSTITUZIONE GRUPPO DI RICERCA

RICERCA BIBLIOGRAFICA

CONFRONTO CON I RAPPRESENTANTI RELIGIOSI

CONFRONTO CON GLI ESPERTI

REDAZIONE DELLE SCHEDE ALIMENTARI

ELABORAZIONE DEL MENU’ ARCOBALENO

CONCLUSIONE DEL PROGETTO E TRASMISSIONE ALLE ASR

Page 11: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

10. NOI SIAMO CIÒ CHE (NON) MANGIAMO Bruno Iannaccone – Università degli Studi di Torino

● CIBO ● CULTURA RELIGIOSA La storia dell’uomo e delle civiltà è indissolubilmente legata all’alimentazione. Crescita demografica, guerre e rivoluzioni, sono strettamente connesse in rapporti di causalità e consequenzialità alla scarsità o abbondanza di cibo (Harris,1992). Le modalità di sussistenza alimentare, produzione, trasformazione e consumo di cibo, hanno permesso di mettere in luce le forme storiche di adattamento dei gruppi umani all’ambiente. Con lo svilupparsi della tecnica, la stanzialità e la conoscenza territoriale, la mobilità di persone e saperi, il cibo da naturale, consumato così come l’ambiente lo fornisce, è diventato elemento culturale, cioè modificato dalla cultura del gruppo che agisce su di esso (Montanari, 2004). Il primo agente di questa trasformazione è sicuramente il fuoco, che ha permesso la cottura e quindi lo sviluppo di tecniche di preparazione del cibo, in seguito la formazione di agglomerati stanziali e l’addomesticamento di piante e animali hanno incentivato non solo la sperimentazione di un infinita varietà di nuove pietanze ma anche, grazie allo sviluppo di tecniche di conservazione, la produzione di surplus, eccedenza che ha reso possibile lo scambio di risorse alimentari anche tra aree geografiche molto distanti tra loro (Livi Bacci, 1998). L’uomo non si nutre degli stessi cibi in tutte le culture. La predilezione verso alcuni cibi e il rifiuto di altri, pur essendo questi potenzialmente commestibili, ha un’origine culturale. Ogni cultura ha un codice di condotta alimentare che privilegia determinati alimenti e ne vieta o rende indesiderabili altri. Esso è determinato dalle componenti geografiche, ambientali, economiche, storiche e nutrizionali che caratterizzano la cultura stessa. Se si evita di considerare i casi in cui

è la mera sussistenza a dettare ciò che si deve mangiare, il cibo cessa di essere un bisogno fisiologico e diventa una necessità culturale. La gastronomia è una metafora (Giorda, Hejazi, 2015) che rinvia, oggi più che mai, a identità plurime, a luoghi vicini e lontani, a scambi di oggetti e saperi e incontri tra uomini e abitudini. Gastronomia significa anche migrazioni. Fin dalla prima rivoluzione agricola (10.000 anni fa) lo spostamento di uomini, piante e animali da un’area ad un’altra ha rappresentato una costante delle dinamiche sociali, culturali ed economiche delle popolazioni, al punto che per gli storici e gli archeologi dell’alimentazione non è facile distinguere con precisione le aree di domesticazione di una specie da quelle nelle quali essa è stata introdotta in periodi successivi (Pettenati G., Toldo A., 2018). Nelle nostre città non è difficile trovare ingredienti originari delle zone più distanti o poter mangiare ad un ristorante etnico. Le appartenenze sono sempre più sradicate, i confini tra culture più labili e il cibo, in quanto elemento primario per eccellenza, è da sempre strettamente connesso all’uomo e ai suoi movimenti. Le culture, così come le abitudini, che siano esse alimentari o meno, cambiano nel tempo, si muovono e si trasformano, come e insieme alle persone. Non stupisce se stupirebbe se oggi ad occuparsi di UNA parte considerevole degli allevamenti di bovini in Italia siano persone sikh- indiane o che in Germania il piatto maggiormente consumato sia il Kebab.

L’atto di alimentarsi è, per gli esseri umani, un comportamento sociale che ha per scopo l’autorealizzazione e la socializzazione dell’individuo grazie al rispetto di norme morali e giuridiche che perseguono lo scopo di rafforzare il senso di appartenenza ad un gruppo attraverso la condivisione di modelli etici legati alla scelta di cosa mangiare e bere, alle modalità di preparazione e consumo. Nel contesto dei sistemi culturali e religiosi umani l’alimentazione è investita da un’importanza non comune, di fatto non esiste religione o confessione che non definisca, in modi più o meno puntuali, regole, obblighi o tabù in riferimento al rapporto tra il fedele e il cibo di cui si nutre (Giorda, Hejazi, 2015). Le religioni considerano il cibo un dono del divino e/o della natura, sottolineando così la consapevolezza del nutrirsi, a non dare per scontata la disponibilità del cibo e a non ridurre i pasti a una successione di gesti

Page 12: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

automatici. Numerose sono le azioni di lode, benedizione, ringraziamento e preghiera sul cibo e per il cibo. Il digiuno Tra le pratiche alimentari che accomunano diverse religioni troviamo, nelle loro specificità, l’invito all’astinenza e al digiuno. I tabù alimentari sono presenti presso la maggior parte delle popolazioni, a cominciare dai popoli indigeni. Essi possono essere di durata limitata o durare tutta la vita, essere limitati a certi cibi o implicare un digiuno radicale. Importanti occasioni per attivare i divieti temporanei possono essere situazioni particolari come le feste, i riti di iniziazione, quelli di sepoltura, altre situazioni liminali come la gravidanza (Filoramo, 2014). Nell’ambito di queste regole comportamentali rientrano anche le pratiche di astinenza e di digiuno, che possono essere articolate, motivate e presentate in modi diversissimi, ma rispondono in genere a una tipica logica sacrificale, oltre che di preparazione ascetica. Il digiuno per come è inteso in molte culture religiose rafforza i legami di appartenenza. Chi digiuna per motivi religiosi lo fa per seguire regole comuni; anche fisicamente, il digiuno avviene negli stessi tempi e con le stesse modalità (Giorda, Hejazi 2015). Accanto a forme collettive di astinenza esiste poi, nelle più diverse tradizioni religiose, il digiuno come via di perfezione. Il cristianesimo è ricco di esempi da questo punto di vista. Per esempio, la figura centrale del Cristianesimo, Gesù, si prepara all’annuncio del Regno con un digiuno di 40 giorni nel deserto, stabilendo così un “modello” che sarà poi fatto proprio dai Padri del deserto nel IV secolo e da numerosi gruppi di asceti a seguire. L’idea soggiacente non è soltanto quella della rinuncia come sacrificio, ma anche come esercizio ascetico, allenamento della propria volontà (Filoramo, 2014). Si digiuna, in alcuni casi, perché i cibi sacri sono interdetti, oppure alcuni cibi sono contaminati e reputati impuri in modo permanente o, ancora, perché in alcuni periodi particolari il corpo va purificato da essi; in ogni caso, chi si astiene e chi digiuna non lo fa “contro la divinità”. Astinenza e digiuno sono strumenti, vie, occasioni per incontrare la dimensione del divino. Come il consumo di cibo, anche la rinuncia a esso ha un valore sacrale e comunitario: è incontro con altri uomini e incontro con l’extra-umano. Alcune religioni si prefiggono lo scopo di elevare l’uomo

mostrandogli la superiorità di un mondo di rinuncia ai piaceri terreni: in quest’ottica anche il digiuno diviene una modalità attraverso la quale incontrare il divino (Giorda, Hejazi 2015). Si digiuna in tempi e modi ritualmente e normativamente determinati perché in questo modo il credente dimostra di saper rinunciare a uno dei beni maggiori che Dio o il dio gli ha donato. Si digiuna individualmente, ma anche collettivamente, come insegna il caso del Ramadan islamico (Filoramo 2014). Il digiuno obbligatorio nel mese di ramadan, il nono mese dell’anno lunare, mobile secondo il calendario occidentale, è senz’altro una pratica assai dura, ma il digiuno in altri periodi è limitato da regole altrettanto severe ad impedire eccessi di ascetismo. Nell’Islam, se ogni eccesso è guardato con severità, anche l’eccesso di privazioni non è lecito. In quanto periodo di purificazione, esso impone al credente di astenersi da ogni cibo e bevanda (e dal fumo) dall’alba al tramonto per tutti i trenta giorni della sua durata. Dopo il calar del sole, l’uso ha consacrato di rinviare la preghiera per non tormentare colui che astenendosi dal cibo ha già manifestato la sua riverenza a Dio, e si rompe il digiuno in allegria, con gli amici e i familiari, con cibi speciali e raffinati. Ciò ingenera in tutti i paesi usi e tradizioni di preparazione di cene particolarmente elaborate e “compensative” del sacrificio (Francesca, 2013). La fine del mese è occasione dell’îd aI-fitr, una delle feste più importanti dell’anno. Per tre giorni ci si scambiano visite e regali, si indossano abiti nuovi, si approntano cibi particolari, che variano da regione a regione.

Page 13: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 3

Bibliografia: Filoramo G. 2014, Il cibo è sacro.La dieta come viatico per la salvezza, Reset (https://www.reset.it/articolo/filoramo-rapporto-cibo-religioni) Giorda, M.C., Hejazi S., (a cura di), 2015, Nutrire l’anima. Religioni in cucina, Torino, Effatà Editrice Francesca E., 2013, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma, Carrocci Editore Harris M., 1992, Buono da mangiare. Enigmi del gusto e consuetudini alimentari, Torino, Einaudi. Livi Bacci M., 1998, Storia minima della popolazione del mondo, Bologna, Il Mulino. Montanari, M., 2004, Il cibo come cultura, Roma, Laterza. Pettenati G. Toldo A., 2018, Il cibo tra azione locale e sistemi globali. Spunti per una geografia dello sviluppo, Milano, FrancoAngeli Editore

Page 14: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

11. MOSCHEE APERTE E “IFTAR STREET”

Luca Bossi – Università degli Studi di Torino Maria Chiara Giorda – Dipartimento Studi Umanistici di Roma Tre e Fondazione Benvenuti in Italia

● ISLAM ● MOSCHEE APERTE ● CONDIVISIONE Dal 2014, a partire dal quartiere di San Salvario per poi allargarsi, negli ultimi tre anni, alle strade, piazze e luoghi antistanti tutte le moschee, vi è una sera di Ramadan a Torino in cui musulmani e non musulmani si ritrovano per festeggiare la rottura del digiuno e mangiare assieme. L’evento, chiamato “Iftar street”, fu ideato da un gruppo di ragazzi musulmani in stretta collaborazione con la moschea di via Saluzzo e la chiesa cattolica di piazza Saluzzo. Oggi è uno dei momenti più attesi durante la manifestazione di “Moschee aperte”, la domenica in cui i luoghi di culto musulmani si aprono all’esterno per presentarsi, per aggregare interesse, per sperimentare nuove modalità di cittadinanza visibile. Da informale qual è nato, ad opera di un piccolo gruppo di volontari e rivolto a qualche decina di persone di ogni età, l’evento pubblico si è trasformato in un appuntamento per migliaia di residenti: 2.000 i pasti serviti in via Saluzzo, dove tutto ebbe inizio, e 10.000 tra tutte le moschee della città. Che cosa succede all’Iftar street? Tutto il cibo è offerto da cuochi volontari: dai numerosi locali storici di Torino, i cui gestori frequentano o conoscono le moschee, alle donne che preparano a casa i piatti delle tradizioni egiziana, marocchina, pakistana, tunisina, somala.

Così preparato, il cibo viene suddiviso da centinaia di volontari che allestiscono i tavoli, assemblano i vassoi, gestiscono le stoviglie, accolgono i commensali e distribuiscono i pasti, fino alla pulizia finale. Il comune di Torino, attraverso il Tavolo di rappresentanza delle associazioni islamiche, contribuisce all’evento garantendo assistenza amministrativa e logistica: dal passaggio in ogni moschea di rappresentanti della Città istituzionale, della Prefettura e della Diocesi cattolica, al coordinamento della Polizia municipale, sino alla distribuzione di sedie, tavoli e transenne per allestire le varie locations delle cene. L’Iftar street è anzi tutto un momento di condivisione: una parte della popolazione di Torino, accomunata da una credenza (l’islam) e una pratica (il Ramadan), condivide con altri cittadini una parte della propria composita identità di torinesi musulmani, rendendo pubblico e visibile uno dei momenti simbolicamente più importanti del loro tempo quotidiano durante il mese di astensione e purificazione: il momento della rottura del digiuno, ovvero quella della festa. La commensalità è un fatto concreto: centinaia di donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini attendono il tramonto in silenzio, chiacchierando o ascoltando gli interventi organizzati per preparare la serata. Dopo la preghiera, tutti mangiano i cibi provenienti da tradizioni culturali e geografiche differenti: dal cous cous ai felafel, al riso byriani, alle pakora, alle kofta, all’hummus. La festa è percepita come un momento di eccezionale condivisione che attira amici, amici di amici, sconosciuti e curiosi, non solo dalla città ama anche dalla provincia. Di fatto, si tratta della più grande manifestazione culinaria organizzata nello spazio pubblico delle piazze e delle vie torinesi (Bossi, 2019). La possibilità di unirsi a vicini e sconosciuti, d’incontrarsi e conoscersi, di assaggiare preparazioni diverse e trascorrere del tempo insieme, attira musulmani e non in una cena collettiva, diffusa, che trasforma la percezione dello spazio urbano in uno spazio collettivo, comune. Le strade e le piazze, così, da spazio di transito diventano luogo di dono e condivisione: una forma alternativa di socialità che attira migliaia di residenti. Tutto all’insegna della sostenibilità: la raccolta dei rifiuti è differenziata, sebbene vi sia pochissimo spreco e nessun tipo di avanzo: tutto è consumato, dal primo dattero all’ultimo dolcetto.

Page 15: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

La giornata inizia alla mattina, all’alba: le strade devono essere rese pedonali, transennate e i tavoli e le sedie montati; ai gazebo il cibo arriva nei vassoi mono-persona per permetterne la distribuzione tempestiva sia a chi si siederà sia a chi resterà in piedi o consumerà il pasto per strada. Nella sola via e piazza Saluzzo mangiano 2.000 persone, di cui 600 sedute a tavola. Nel 2019 i centri islamici che hanno organizzato IFTAR street, per un totale di 10.000 pasti, sono stati:

1. Moschea Al-Hidaya

piazza Cattaneo 18;

2. Moschea Ikhlas

Strada delle Cacce 14;

3. Moschea Mohammed VI

via Genova 268;

4. Moschea Baretti

via Giuseppe Baretti 31;

5. Moschea Omar Ibn al Khattab

via Saluzzo 18;

6. Moschea Sunna

via Cottolengo 4;

7. Moschea La Pace

corso Giulio Cesare 6;

8. Moschea Dar As-Salam

via S. Giovanni Battista La Salle 15;

9. Moschea Taiba

via Chivasso 10;

10. Moschea Mecca

via Botticelli 104;

11. Moschea Takwa

via Sansovino 5;

12. Moschea Loqman

corso Regina Margherita 160;

13. Centro Tohid

corso Emilia 32

Page 16: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 3

Page 17: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 4

Bibliografia Bossi, L. (2019). Le moschee: spazio della violenza o luogo della comunità?. Bombardieri, M., Giorda, M. & Hejazi S. (Eds.) Capire l’islam: mito o realtà?. Brescia: Morcelliana, 237-264

Page 18: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

12. CIBO E ICT. IL DIGITALE E LE

PRATICHE ALTERNATIVE DI CONSUMO Samantha Cenere, Giovanni Tosco – Università degli Studi di Torino ● ICT ● APP ● PIATTAFORMA ● FOOD SHARING Il legame fra cibo e nuove tecnologie si va ormai situando all’interno sia del dibattito accademico sia delle politiche pubbliche come uno dei più rilevanti focus di analisi e di azione. Siti di e-commerce, piattaforme per la distribuzione di cibo pronto, sensori utilizzati per favorire la tracciabilità dei prodotti si affiancano all’impiego delle ICT (Information and Communication Technologies) come strumento di supporto alle politiche locali sul cibo o alla creazione di Alternative Food Networks (AFN). Così come diversi sono gli ambiti di applicazione delle ICT nel settore del cibo, altrettanti sono gli esiti e le sfide frutto di questo connubio. Da alcuni anni ormai non soltanto le ICT hanno permesso di implementare la distribuzione del cibo, offrendo un sopporto alla logistica che consente di incrementarne l’efficienza, ma si sono anche andate diffondendo soluzioni innovative nell’ambito della tracciabilità alimentare, rendendo la sicurezza alimentare un obiettivo maggiormente perseguibile (Dansero et al., 2013). In particolare, la diffusione di un’ampia gamma di soluzioni tecnologiche come la RFID (Radio Frequency IDentification), i QR Code ed altre soluzioni legate all’IoT (Internet of Things, ovvero Internet delle cose) ha consentito, da un lato, di incorporare contenuto informativo all’interno dei prodotti, permettendo al consumatore di effettuare scelte più consapevoli, dall’altro, di rendere più efficiente la gestione delle scorte e il mantenimento delle condizione

di conservazione ottimali per gli alimenti freschi, tracciarne gli spostamenti o automatizzarne le fasi di carico o consegna. La capacità di queste tecnologie di ottimizzare i processi di distribuzione del cibo ha fatto sì che l’uso delle ICT si estendesse dalla GDO (Grande distribuzione organizzata) alle reti alternative del cibo (AFN – Alternative Food Networks) e analoghe pratiche di promozione di un consumo consapevole, sostenibile e a filiera corta. Tuttavia, è importante sottolineare come l’applicazione delle ICT nelle diverse fasi di produzione, distribuzione e consumo di cibo e all’interno dei molteplici ecosistemi di pratiche che ad esse si connettono (iniziative dal basso e/o politiche a sostegno di nuovi sistemi locali del cibo, GDO e commercio, nuove pratiche legate al consumo di pasti pronti) non debba essere letta soltanto come un fattore innovativo ma anche come generatore di nuove geografie del cibo. In particolare, è possibile individuare quattro diversi ambiti di applicazione delle ICT nel molteplice ecosistema delle politiche e/o delle pratiche legate a produzione, distribuzione e consumo di cibo: ambito logistico e tracciabilità dei prodotti; azioni virtuose di contrasto allo spreco (fra le quali, pratiche di food sharing e di acquisto solidale); piattaforme, siti e app destinate al food delivery e variamente connesse al variegato panorama della sharing economy (nella sua accezione di economia delle piattaforme); e, infine, utilizzo di ICT in progetti di mappatura di pratiche e attori che si muovono all’interno del sistema locale del cibo. L’identificazione di questi quattro (seppur non esaustivi) ambiti di applicazione permette inoltre di apprezzare ancora una volta la complessità degli attori coinvolti, individuandone le specificità di azione distinguendo le modalità attraverso cui fanno leva sulle molteplici possibilità offerte dal digitale per portare avanti finalità differenti. Se, per esempio, la GDO o i colossi internazionali del food delivery (Foodora, Deliveroo, Ubereats, etc.) sfruttano le potenzialità di Internet per offrire al consumatore strumenti di acquisto di cibo e/o pasti pronti che fanno leva sul risparmio di tempo e sulla comodità del servizio, GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e GAC (Gruppi di Acquisto Collettivo) adottano soluzioni digitali in supporto alla creazione di relazioni solidali e alla promozione di un consumo critico, sostenibile e rispettoso dell’ambiente. In merito a quest’ultimo punto, Torino e la sua area metropolitana si rivelano un terreno particolarmente fertile per quanto riguarda l’uso o la possibile implementazione di questi strumenti. Pertanto, il presente

Page 19: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 2

contributo mira, nella prima parte, a inquadrare il fenomeno, illustrando le diverse modalità, potenzialità e sfide poste dalla diffusione delle ICT come strumento fondamentale intorno al quale articolare differenti pratiche alternative legate al cibo. La seconda parte si focalizza, invece, sul caso di Torino, offrendo una panoramica delle prime esperienze maturate nell’ambito.

Cibo e ICT: un legame in continua evoluzione

I contesti urbani rappresentano un terreno fertile per il sorgere di un’ampia gamma di nuove pratiche variamente mediate dall’uso di Internet e del digitale. Le città costituiscono innanzitutto un nodo cruciale sul quale intervenire nel momento in cui si miri a migliorare il sistema del cibo, alla luce dell’ingente consumo di risorse riscontrabile nei contesti urbani. Se questo già può essere sufficiente per considerare il legame fra cibo e città un binomio di primaria importanza in qualsiasi politica che riguardi il cibo, la rilevanza di questa prospettiva territoriale emerge ancor di più se si considera come i centri urbani siano anche nodi di flussi di produzione, distribuzione, consumo e smaltimento di prodotti alimentari (cfr. Davies & Evans, 2018). Inoltre, nel momento in cui si indaga il connubio cibo e ICT, è importante sottolineare come il cibo non soltanto rivesta un evidente valore nutrizionale ed economico ma sia anche profondamente imbevuto di rilevanza simbolica e culturale. Intorno al cibo, infatti, si vanno a costruire identità individuali, collettive e dei luoghi; identità che la mediazione del digitale può contribuire a ridefinire. Negli ultimi anni, nel tentativo di rendere più efficiente, equo e sostenibile il sistema del cibo, le tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) sono venute a costituire un importante supporto a pratiche già esistenti o hanno permesso di svilupparne di nuove (Choi & Graham, 2014). Lungi dall’essere strumenti la cui applicazione restituisce sempre un esito positivo, le ICT riconfigurano complessi sistemi socio-tecnici, il cui funzionamento necessita di essere analizzato nella loro eterogeneità e specificità, per evitare di cadere in facili quanto rischiose visioni ottimiste e deterministiche. In particolare, è importante sottolineare come le diverse piattaforme non soltanto siano legate a iniziative e finalità di vario genere ma siano anche profondamente intrecciate a soggetti, valori, geografie, temporalità e relazioni diverse e complesse.

Tali specificità non possono essere scisse dalla configurazione della piattaforma stessa ed è fondamentale tenerle in considerazione nel momento in cui si vogliano sfruttare le potenzialità delle ICT per agire sul sistema del cibo e/o sulle pratiche; infatti, l’aspetto tecnico della piattaforma è intimamente intrecciato con quello sociale, dal momento che la specifica struttura di una piattaforma preclude e/o abilita solo determinate azioni e, di conseguenza, il venire in essere solo di alcuni valori, pratiche, geografie e soggettività. Che si tratti di piattaforme ad uso commerciale o altre legate a forme di attivismo digitale o altre ancora finalizzate al consumo consapevole e responsabile, ognuno di questi strumenti struttura profondamente i modi di essere consumatore, cittadino, attivista, etc. (cfr. Schneider et al., 2018). Sia che si tratti di food delivery e di piattaforme di e-commerce da un lato, sia che si tratti di pratiche virtuose di foodsharing, Internet, il digitale e in particolare le piattaforme del Web 2.0 sembrano agire principalmente nella direzione di una riconfigurazione delle pratiche di consumo di cibo, sia individuali che collettive. All’interno di queste macro-aree, è possibile inoltre individuare diversi esiti prodotti dall’applicazione delle ICT al consumo di cibo: disintermediazione dello scambio; ridefinizione della produzione di conoscenza sui prodotti alimentari; riconnessione con la produzione; costruzione di valore; risignificazione del cibo. A loro volta, questi esiti possono essere inquadrati all’interno di una categorizzazione ancora più generale, che distingue pratiche individuali e collettive, dimensione sociale/relazionale da un lato e dimensione economica dall’altra. Sebbene il caso più evidente di legame fra digitale e cibo sia costituito dal recente sorgere del fenomeno del food delivery (e le questioni emerse in particolare in merito alla ridefinizione concettuale e giuridica di che cosa sia da considerarsi “lavoro”), le iniziative portate avanti da attori ben diversi dai big player del mercato dei pasti pronti a domicilio costituiscono un esempio altrettanto interessante di applicazione delle ICT alle pratiche di consumo alimentare. Queste pratiche rappresentano un oggetto di analisi ed intervento particolarmente rilevante, offrendo uno spaccato della costruzione di nuove economie urbane del cibo. Le ICT sono qui viste come elemento di nuovi sistemi socio-tecnici che, da un lato, costruiscono nuove geografie del cibo, dall’altro, fanno emergere insieme a queste processi di valorizzazione e rivalorizzazione alternativi,

Page 20: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 3

attraverso cui il cibo, circolando fra online e off-line, acquista nuovi valori d’uso e di scambio (Weymes & Davies, 2019). Di seguito, particolare attenzione verrà dunque posta a quelle iniziative che coniugano ICT e cibo, da un lato, nella direzione della promozione di un consumo consapevole, di gruppi di acquisto e della filiera corta; dall’altro, in relazione al contrasto allo spreco e al recupero delle eccedenze alimentari.

Iniziative presenti nel contesto di Torino e del Piemonte

Il Piemonte e la città di Torino vantano una tradizione enogastronomica di eccellenza secolare; non sorprende dunque che questo contesto si sia dimostrato fin da subito particolarmente reattivo alle potenzialità offerte dalle ICT nel settore. Pertanto, è possibile tracciare un percorso che parte dai primi riconoscimenti istituzionali del potenziale costituito dall’applicazione delle ICT alle varie pratiche legate al cibo e approda alle più recente e diversificate iniziative nell’ambito. Di seguito, quindi, si ripercorreranno brevemente le prime esperienze dell’uso di ICT, per poi dedicare maggiore attenzione ad iniziative che vedono l’applicazione di queste tecnologie, da un lato, a supporto di gruppi di acquisto e della promozione della filiera corta; dall’altro, in un’ottica di implementazione delle pratiche di contrasto allo spreco e di recupero delle eccedenze alimentari. Le potenzialità offerte dall’introduzione delle ICT nelle pratiche alimentari sono state riconosciute fin da subito dagli attori impegnati sui temi del cibo e nella food policy a livello metropolitano: tale riconoscimento è stato istituzionalizzato nel Terzo piano strategico della Città di Torino – Torino Metropoli 2025. A questo primo passo istituzionale si vanno ad aggiungere i 150 milioni di euro messi a disposizione dai fondi europei per implementare l’assetto digitale della città di Torino, nell’ambito del Piano Operativo Metropolitano. Tra le prime esperienze in ordine cronologico è opportuno ricordare quelle di Want-Eat e Tacatì (cfr. Dansero et al., 2013). Il primo è un social network nato nel 2010 nel contesto torinese, grazie alla collaborazione tra l’Università degli studi di Torino, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo e Telecom Italia; l’intento era quello di promuovere le eccellenze enogastronomiche locali, in particolare quelle impegnate nei temi della sostenibilità ambientale, grazie allo scambio di informazioni

tra i vari utenti. La seconda è una piattaforma di e-commerce nata nel 2012 in territorio astigiano – ma che ha attraversato una fase di incubazione al Politecnico di Torino - su iniziativa dei ricercatori Stefano Cravero e Giulia Valente, con l’intento di mantenere in connessione i piccoli bottegai, illustrando loro le potenzialità della rete digitale di creare reti sociali e di valorizzare il tessuto alimentare della zona.

Acquisto condiviso e promozione della filiera corta

Oltre alle ben note app dedicate al food delivery che stanno trasformando il business della vendita di pasti pronti in contesti urbani, l’utilizzo di questo tipo di tecnologia si è andato diffondendo anche all’interno di pratiche alternative di produzione, distribuzione e consumo di cibo. Numerose nuove piattaforme vengono sviluppate con l’idea di riproporre il contatto diretto tra produttori e acquirenti. In questo ambito è possibile individuare diverse esperienze torinesi che si focalizzano sui temi della sostenibilità e sul sostegno alla produzione locale e alla filiera corta. In particolare, le ICT vanno qui ad innestarsi su pratiche già esistenti di consumo critico e consapevole, come quelle dei ben noti GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e GAC (Gruppi di Acquisto Condiviso). I GAS e i GAC presenti nell’area di Torino rappresentano una realtà in forte sviluppo (si veda la scheda ad essi dedicata nel Primo Rapporto dell’Atlante del Cibo 2017). La Rete GAS Torino, incaricata di fare da tramite fra i vari gruppi GAS presenti sul territorio, nel gennaio 2019 è stata invitata ad aderire alla piattaforma Open Food Network: nata in Australia nel 2012 come piattaforma open source e no profit, e sviluppata da un team di ricerca internazionale, Open Food Network funge da collettore per far incontrare produttori, distributori e consumatori. In questo modo, la piattaforma crea un vero e proprio mercato alternativo. In questo modo, è possibile individuare su un’unica piattaforma diversi rivenditori e produttori, superando la frammentazione generata dall’avere diverse realtà (gruppi di acquisto e non solo) a fare da tramite nella creazione di un sistema locale del cibo. La governance del sistema pone la sfida maggiore, in quanto non tutte le piattaforme dei GAS sono costantemente aggiornate (alcune sono ferme da anni), e non viene utilizzato un singolo software, sebbene si stia lavorando per uniformarli. In generale comunque è stato dimostrato interesse per

Page 21: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 4

l’utilizzo della piattaforma e alcuni gruppi hanno deciso di aderirvi in via sperimentale. Se finora si è parlato di strumenti informatici a supporto di pre-esistenti esperienze di acquisto solidale o collettivo, quest’ultimo ha trovato nelle piattaforme online una infrastruttura che ridisegna le pratiche di disintermediazione dell’acquisto di beni alimentari. L’alveare che dice sì è un network della filiera corta nato nel 2015; tra i suoi principi fondamentali vi sono la qualità della produzione, l’armonizzazione della logistica tra prossimità e sostenibilità, il contatto diretto tra consumatori e produttori locali, il commercio equo. L’idea degli alveari nasce in Francia nel 2011. Il progetto viene lanciato in Italia da Eugenio Sapora, che nel 2014 apre il primo alveare in un bar del quartiere torinese di Mirafiori, dopo aver conosciuto un’esperienza analoga in Francia. Da Torino gli alveari si sono diffusi in poco tempo a Roma, Bergamo, Firenze, Milano e Trieste, e oggi sono presenti in almeno metà delle regioni italiane. Viene escluso ogni rivenditore e ogni intermediario. L’80% del prezzo del cibo, acquistato va direttamente al produttore, che stabilisce il prezzo, un 10% va all’Alveare stesso come gestore della piattaforma, il restante 10% va al gestore del singolo alveare, che si occupa di incontrare e conoscere i produttori, assaggiando i loro prodotti, e organizzare il proprio gruppo di acquisto, aiutando venditori e acquirenti a iscriversi alla piattaforma. Le distribuzioni dell’Alveare avvengono settimanalmente in un luogo prestabilito e sono l’occasione per i membri di incontrarsi tra loro e con i produttori. Attraverso questa iniziativa emerge la potenzialità della Rete nel disintermediare lo scambio, connettendo produttore e consumatore e utilizzando la piattaforma come unico canale di distribuzione. In questo modo, non soltanto è possibile per i consumatori programmare i propri acquisti da casa, ma anche aumentare la propria consapevolezza in merito ai prodotti alimentari che consumano. La piattaforma, infatti, fa leva sulla diffusione di informazioni dettagliate legate a prodotti e produttori, conoscenza che va poi a perfezionarsi al momento del ritiro del prodotto presso il punto di raccolta. Inoltre, a differenza di GAS e GAC, l’Alveare ha una natura più commerciale e meno solidale: sebbene entrambe le esperienze mirino a promuovere la filiera corta e a riconnettere produttori e consumatori, creando al contempo momenti di socialità, l’Alveare rende possibile acquistare anche saltuariamente, cosa che non caratterizza GAS e GAC.

In linea con questi obiettivi di disintermediazione dello scambio, Agrifoodie è una piattaforma e-commerce per la vendita di prodotti alimentari, il cui scopo è favorire il contatto diretto tra consumatori e produttori locali. Maurizio Previati, ideatore del progetto, ha realizzato la piattaforma allo scopo di ovviare al problema della perdita di profitto a carico dei produttori dovuta alla intermediazione nella vendita. Vincitrice nel 2015 del progetto europeo denominato FRACTALS, studiato per favorire lo sviluppo di ICT e app a sostegno dell’agricoltura nell’Unione Europea, Agrifoodie inizia la sua attività di e-market place con quattro aziende agricole affiliate; negli anni successivi la piattaforma viene implementata ulteriormente a livello di software e di rete, e oggi si possono contare più di 50 aziende affiliate in tutto il Piemonte. Il lavoro di Agrifoodie si svolge attraverso la promozione e la costituzione di gruppi di acquisto tra gli utenti denominati Agriteam: ogni Agriteam è composto da un numero compreso tra 5 e 20 Agriplayers, vale a dire i singoli utenti iscritti alla piattaforma, coordinati da un Agricoach, che si occupa di impostare l’ordine complessivo e il punto di consegna della spesa; spetta all’Agricoach il compito di rapportarsi coi produttori e gli utenti del suo team, che conoscerà personalmente al momento della consegna. Ogni Agricoach deve poter mettere a disposizione un luogo di consegna accessibile almeno una/due volte a settimana. Ciascun Agricoach, inoltre, riceve una formazione specifica a cura di Agrifoodie sui compiti e le responsabilità a lui affidate prima di diventare operativo. Sempre Agrifoodie si occupa di elargire un riconoscimento periodico all’Agricoach che corrisponde al 10% del valore degli ordini gestiti. In questo modo, la piattaforma ricalca la pratica già diffusa dei gruppi di acquisto solidale (GAS), mediandone la costituzione attraverso un nuovo strumento tecnologico che ne ridefinisce forma e pratiche. Il sistema della recensione dei prodotti ricorda quello utilizzato dalle principali piattaforme business di acquisto di prodotti o servizi: solo chi ha effettivamente acquistato può recensire, al fine di evitare forme scorrette di valutazione. Ad oggi, nell’area metropolitana torinese, si registrano mille iscrizioni alla piattaforma, con circa duecento acquirenti, tra settimanali e mensili, e dieci gruppi d’acquisto. Contemporaneamente alle difficoltà a farsi conoscere a livello locale, Agrifoodie sembra invece godere di ampia credibilità a livello europeo: grazie alla collaborazione con EIT Food e con l’Università di Torino, la piattaforma è stata selezionata dall’UE come Rising Food Star. Le prospettive future dell’app

Page 22: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 5

e della piattaforma includono ulteriori implementazioni del software per aiutare i produttori a utilizzare la piattaforma, e la sua diffusione verso Lombardia, Veneto, Lazio ed altri paesi europei nei prossimi anni. La logica di disintermediazione è presente anche in piattaforme rivolte ai singoli consumatori. Cortilia è una piattaforma sviluppata da Marco Porcaro che consente al consumatore di effettuare la spesa online e allo stesso tempo di conoscere meglio i produttori. Pur coprendo una vasta gamma di prodotti alimentari, l’app è specializzata nella vendita di frutta e verdura. Prodotti e produttori vengono selezionati in base a criteri di tracciabilità, sicurezza e sostenibilità, nella valorizzazione della produzione locale e dei principi della filiera corta, assieme alla garanzia della freschezza e genuinità. I consumatori effettuano la propria spesa online selezionando i prodotti desiderati e completando così la “cassa”, cioè il box della lista della spesa, la quale viene spedita direttamente all’ordinante. Il servizio di Cortilia è attivo nelle città di Milano, Torino, Bologna, Modena, Novara, Lodi, Piacenza, Pavia, Monza, Como, Varese, Bergamo e Brescia, mentre l’app è già stata scaricata da più di 50 000 utenti. Nel 2018 Cortilia ha vinto il premio Netcomm E-commerce Award per la categoria “food and beverage” grazie ai meriti di innovazione tecnologica e di rapporto col cliente. Pur non essendo nata nel contesto torinese, vi è approdata tramite il “corridoio astigiano”, arrivando dalla Lombardia, ed oggi è in forte crescita in quest’area.

Pratiche di contrasto allo spreco e recupero delle eccedenze

Sebbene le iniziative illustrate nella sezione precedente mirino a promuovere stili di consumo più consapevoli e, di conseguenza, anche a ridurre la quantità di prodotti alimentari acquistati ed andati persi, non è possibile ignorare il problema dello spreco di cibo. A questo proposito, diverse esperienze di applicazione delle ICT alla gestione del recupero delle eccedenze o delle pratiche di contrasto allo spreco si sono sviluppate e diffuse nel contesto torinese. Come analizzato nell’ambito della Indagine sulle pratiche di contrasto alla povertà e allo spreco alimentare di Torino sviluppata all’interno dell’Atlante del cibo 2018, uno dei nodi cruciali in cui soluzioni ICT-based possono intervenire nella gestione delle eccedenze alimentari e contrasto allo spreco è individuabile nei negozi al dettaglio, come avviene nel caso di Last Minute Sotto Casa. Startup nata nel 2014

all’interno di un progetto del Politecnico di Torino da un’idea di Francesco Ardito, coadiuvato da Massimo Ivul, oggi la piattaforma dispone di una app - inizialmente attivata in via sperimentale solo nel quartiere di Santa Rita - per recuperare il pane invenduto dai negozi, con l’obiettivo di ridurre lo spreco alimentare, in un’ottica di economia collaborativa. Nell’area metropolitana di Torino sono circa 300 gli esercizi commerciali già iscritti alla piattaforma, mentre, a livello nazionale, si sono registrati già più di 50 000 utenti. Nel 2016 l’app si è diffusa anche nella vicina Milano, arrivando nel frattempo a recuperare più di una tonnellata di cibo al mese a Torino, e da due e mezzo a tre in tutto il paese. Nel momento in cui il cibo fresco in scadenza rischia di rimanere invenduto o di essere buttato, la piattaforma consente al commerciante di inserire l’offerta di tale alimento a prezzo scontato sulla app; il consumatore può rintracciare l’inserzione sulla mappa e procedere all’acquisto del prodotto in loco dopo aver bloccato l’offerta, che quindi sarà visibile solo a chi ha deciso di seguirla in precedenza. In questo modo il commerciante non perde il proprio investimento ed evita di dover buttare la merce, mentre il cliente riesce a fare un acquisto più economico e soprattutto sostenibile, riducendo lo spreco alimentare. La segnalazione dell’offerta è mirata a intercettare i possibili acquirenti sulla base della prossimità geografica, data la deperibilità del prodotto. Last Minute Sotto Casa ha già ottenuto diversi riconoscimenti; in particolare, nel 2015 è risultata vincitrice dell’Healty Food consumers Communication Award, concorso indetto dall’associazione di consumatori Altroconsumo che premia le migliori campagne di comunicazione in tema di alimentazione sostenibile. L’app UBO – Una Buona Occasione nasce nel 2015 dalla collaborazione tra le regioni Piemonte e Val d’Aosta, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Val d’Aosta, il Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino, e con il supporto di Università di Torino, Slow Food e Last Minute Market. L’iniziativa si inserisce in un progetto di contrasto allo spreco finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico. Gli sprechi alimentari colpiscono tutta la filiera alimentare, ma gli ideatori di UBO hanno deciso di intervenire direttamente su quelli attribuibili al consumatore finale. Gli ideatori della piattaforma mirano infatti ad accrescere la consapevolezza sugli sprechi del cibo, far conoscere i benefici derivanti dalla loro riduzione, incoraggiare i comportamenti che li riducono e fornire gli strumenti che li agevolano.

Page 23: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 6

Target di riferimento sono i consumatori e, in particolare, i giovani, raggiunti attraverso strategie di comunicazione che prevedono l’utilizzo del sito web, di una app, di YouTube, dei social media, e non ultimo del coinvolgimento diretto, specialmente in scuole e università. Il lavoro di UBO insiste in particolare sulla scadenza dei prodotti, raccomandando ai consumatori di porre attenzione alle etichette e modificare le proprie abitudini. La app di UBO fornisce inoltre consigli in materia di cibo e spesa, consentendo di compilare la propria lista della spesa virtuale in modo più consapevole. La sezione dedicata alle ricette viene costantemente implementata: inserendo gli alimenti che non si vogliono sprecare, il database si occupa di cercare la ricetta più adatta. Non ultimo, l’app fornisce indicazioni sulle varie tecniche di conservazione del cibo, in particolare quello fresco, come frutta, verdura, carne e latticini, per minimizzare il rischio di guasti. MyFoody è una startup nata grazie all’iniziativa di Francesco Giberti a Milano nel 2013, il cui obiettivo, in modo simile a Last Minute Sotto Casa, è la lotta agli sprechi alimentari, anche se in particolare quelli derivanti dalla GDO. Sulla piattaforma – e sull’app ad essa associata – gli utenti possono, per ogni punto vendita aderente, individuare i prodotti alimentari in offerta prossimi alla data di scadenza ma ancora perfettamente commestibili. Grazie a questi acquisti, le persone possono risparmiare anche fino al 50% rispetto al prezzo originale, e contribuiscono alla riduzione degli sprechi. Tra le catene affiliate in tutta Italia alla piattaforma, vi sono Coop, U2 e Sigma. L’attività di MyFoody la vede anche impegnata nel sostegno di alcuni progetti di diritto all’accesso al cibo sicuro, in cui collabora con varie onlus tra cui Arca, City Angels e Comunità di Sant’Egidio. Too good to go è un’app nata in Danimarca a partire dal 2015, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi alimentari. Analogamente a MyFoody, la piattaforma punta sulla vendita a prezzi ribassati di prodotti da ristoranti, supermercati, bar – ed altri punti vendita – in prossimità della data di scadenza. Già attivata in più di 10 paesi europei, nel maggio 2019 la piattaforma è sbarcata in Italia a Milano e a Torino. I principali partner italiani sono Exki, Carrefour Italia e Eataly. Geolocalizzandosi sull’app, gli acquirenti possono verificare le offerte presenti nei punti vendita aderenti e recarsi a ritirare di persona le “Magic Box”, borse e cestini a sorpresa in cui sono riposte le selezioni di prodotti e piatti freschi ancora commestibili – la scadenza imporrebbe di buttarli il giorno successivo. A

seconda dell’acquisto, per l’acquirente è possibile risparmiare fino al 70% del prezzo originale. Inoltre, per ogni “Magic Box” venduta viene preventivato un risparmio di emissioni di CO2 pari a 2 Kg. Recentemente, l’Agenzia per lo Sviluppo Locale San Salvario Onlus ha lanciato il progetto Celocelo Food. Nato come “costola” del progetto Celocelo, l’iniziativa mira a mettere in contatto chi offre prodotti alimentari che altrimenti diventerebbero rifiuto con persone in situazioni di indigenza. Presentato a giugno 2019 alla Casa del Quartiere di San Salvario insieme ai partner Equoevento e cooperativa Stranaidea e alla Compagnia di San Paolo, che supporta l’iniziativa (cfr. scheda Fatto per Bene 2018), Celocelo Food mira a costruire reti di prossimità che recuperino, redistribuiscano e reimmettano prodotti alimentari all’interno di circuiti virtuosi. Al momento, hanno aderito al progetto diversi esercenti del quartiere San Salvario e i prodotti recuperati verranno poi consegnati alle Case di ospitalità notturna. Officina Informatica Libera ha predisposto la piattaforma sulla quale domanda e offerta di beni si incontreranno, offrendo una risposta tecnologica alla necessità di organizzare in modo efficiente gli attori coinvolti nella lotta allo spreco alimentare. In particolare, l’utilizzo di una piattaforma è pensato, da un lato, per ovviare al problema della gestione del magazzino e, dall’altro, per offrire cibo di qualità, fresco e vario ai beneficiari dell’intervento.

Page 24: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 7

Bibliografia Choi, H., & Graham, M. (2014). Urban food futures: ICTs and opportunities. Futures (Oxford), 62(Part B), 151-154. Dansero, E., Testa, C., Toldo, A. (2013). Verso la smart city, partendo dal cibo. In Santangelo, M., Aru, S., Pollio A., a cura di. Smart city. Ibridazioni, innovazioni e inerzie nelle città contemporanee. Carocci editore, pp. 135-149. Davies, A., & Evans, D. (2019). Urban food sharing: Emerging geographies of production, consumption and exchange. Geoforum, 99, 154-159. Schneider, T., Eli, K., Dolan, C., & Ulijaszek, S., a cura di. (2018). Digital food activism. Routledge. Weymes, M., & Davies, A. R. (2019). [Re] Valuing Surplus: Transitions, technologies and tensions in redistributing prepared food in San Francisco. Geoforum, 99, 160-169.

Page 25: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

13. PERCORSO DI ACCOMPAGNAMENTO “VERSO UN

SISTEMA INTEGRATO E

TERRITORIALIZZATO DELLA FILIERA

DEL RECUPERO/REDISTRIBUZIONE DI

ECCEDENZE ALIMENTARI” Anna Paola Quaglia – Università degli Studi di Torino ● FATTO PER BENE ● RECUPERO ● ECCEDENZE ALIMENTARI ● SOLIDARIETÀ SOCIALE

L’Atlante del Cibo di Torino Metropolitana, coerentemente con l’indagine condotta nel 2018 (inserire link alla pagina interna dell’Atlante relativa a FxB 2018), ha curato un percorso di accompagnamento, rivolto ai vincitori del bando Fatto per Bene 2018, con l’obiettivo di stimolare una riflessione collettiva, a partire dai singoli progetti, nel senso dello sviluppo di una visione sistemica e territorializzata della filiera del recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari. La prima giornata, i cui esiti sono stati qui analizzati, ha voluto proporre una riflessione sul senso e nel merito di due concetti chiave del bando Fatto per Bene 2018: il sistema territoriale e la rete. Invitando, in modo esplicito, i partecipanti a distanziarsi dalle retoriche di rete e sistema territoriale, abbiamo chiesto loro – dotandoli di carte e di penne – di rappresentarsi e di rappresentare la percezione del territorio in cui operano, la rete dei soggetti partner e la natura dei legami che uniscono, appunto, ciascun nodo, e infine, di identificare le risorse a disposizione, o da ricercare, per realizzare il progetto. Questo è stato fatto proponendo esercizi di auto-analisi utili a mettere “nero su bianco” le criticità, i punti di

forza e le zone “grigie” di ciascuna progettualità e, più in generale, al fine di stimolare una modalità di riflessione critica che accompagnasse i partecipanti per tutta la durata del progetto. L’adozione di un simile approccio teorico-metodologico così focalizzato sulla pratica e sulla rappresentazione della stessa è stato funzionale all’individuazione di alcune questioni dirimenti, differenti per natura (es. relazionali, organizzative, logistiche, esogene o endogene) e per ciascuna progettualità, che avrebbero potuto incidere, in modo importante, nella pratica. A partire dall’esposizione critica da parte degli stessi partecipanti del workshop, si è avuta dunque la possibilità di “mettere a fuoco” alcuni nodi e indirizzi di lavoro, che sarebbero poi stati eventualmente meglio approfonditi durante il percorso individuale curato dalla Cooperativa Labins. La seconda giornata ha avuto l’obiettivo di esporre i partecipanti a una serie di esperienze progettuali che approfondissero, in particolare, aspetti legati ai materiali e alle competenze: logistica e condivisione delle infrastrutture, accordi di partenariato e politiche, normativa di riferimento e problematiche applicative. A questo scopo, gli esperti invitati a condividere la propria esperienza sono stati Marco Malfatto (RICIBO, Genova), Annamaria Canton e Stefano Mercandino (rispettivamente, Agenzia Farmaceutica Municipalizzata e Gruppo Serenissima Spa, parte del Tavolo del recupero di Vercelli), Anna Lisa Ferraris (Ministero della Salute UVAC, Torino) e Andrea Calori (Està, Milano). L’ultima giornata ha affrontato alcune questioni etiche e morali relative a pratiche che abbiamo concettualizzato come pratiche di cura. Questo è stato fatto attraverso un’introduzione di natura teorica sul tema, ispirata alle geografie femministe, a cui è seguito l’intervento di Antonella Barillà (Ministero della Salute, UVAC, Torino) che ha portato all’attenzione del pubblico un’esperienza di comunità in attività di recupero/redistribuzione in Valle d’Aosta. Da un punto di vista metodologico, abbiamo principalmente adottato l’approccio proprio della Social Practice Theory. Estratto da relazione finale curata insieme a Cooperativa Labins, relativa al percorso di accompagnamento.

Page 26: 6. STUDIO E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DEL CIBO: IL ...atlantedelcibo.it/wp-content/uploads/2019/06/SCHEDE.pdf · Insieme alla parte architettonica, rappresentata dalla Palazzina

ATLANTE del CIBO 1

14. PROGETTO DAL CIBO SI IMPARA! Alessia Toldo – Università degli Studi di Torino ● MENSE ● EDUCAZIONE ALIMENTARE ● SALUTE ● SICUREZZA ● SOSTENIBILITÀ Dal cibo si impara!” è un progetto di educazione alimentare promosso dal Comune di Torino, a cui l’Atlante partecipa in relazione ai temi della sostenibilità. Il progetto, parte integrante del protocollo d’intesa tra la Città di Torino, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte del M.I.U.R., l’Azienda Sanitaria Locale Città di Torino, L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte Liguria e Valle d’Aosta e la Camera di Commercio di Torino è rivolto agli insegnanti delle scuole primarie torinesi. L’obiettivo è formare e informare i docenti tramite un percorso di educazione alimentare che affronti il cibo nelle sue varie dimensioni (salute, ambiente e territorio, cultura, …) fornendo loro gli strumenti per riprodurlo nelle proprie scuole, sia in classe – attraverso l’attività didattica – sia durante il momento del pasto. La proposta nasce dall’esigenza di supportare le conoscenze in campo alimentare degli insegnanti, che spesso si trovano ad affrontare situazioni complesse, senza possedere adeguati strumenti. Il programma affronta infatti il tema complesso del cibo da più punti di vista e, con l’apporto di competenze interdisciplinari, tratta aspetti molto diversi, che vanno dai comportamenti, gli stili di vita e il benessere – con un focus sul contenimento dell’obesità infantile, la prevenzione sanitaria, la sicurezza alimentare, l’informazione sulle esigenze nutrizionali e l’etichettatura; dalla storia e geografia raccontate attraverso il cibo, ai temi attuali della sostenibilità e del cambiamento climatico, con l’educazione al consumo, la consapevolezza del rapporto fra cibo e territorio, la conoscenza delle filiere alimentari e il loro impatto sull’ambiente, il diritto di tutti a partecipare alle scelte alimentari e a valorizzare il proprio territorio.

Il percorso si articola in incontri plenari e momenti partecipati (attraverso la tecnica del word cafè) per garantire la coproduzione della conoscenza e delle attività pratiche da avviare nelle classi. Infatti, l’output principale, oltre a una maggiore sensibilità degli insegnanti rispetto a questi temi, è una pubblicazione – distribuita dal Comune in maniera capillare – che raccoglie le attività in una sorta di vademecum a cui ciascun insegnante potrà attingere per costruire un percorso personalizzato di educazione alimentare per la propria classe.

Figure 1 e 2 – L’ultimo incontro del progetto: i lavori realizzati dai bambini e la riunione finale con gli esperti. Foto di Silvia Prelz .