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numero 57 dicembre 2017

Seg n/A l i è u n messa g g io i n bot t i g l i a a b ba n donato a i f l u t t i ne l l onta no 1 9 94 . . I n iz ia l mente s i t ra t tava d i q uat t ro pag i net te che raccog l ieva no le voc i e i messag g i de i p r i m i vo lenteros i p ion ier i d ispost i a d espors i a l l ’esterno, spesso med iante poes ie e p icco le stor ie . Segn/A l i vuo le essere una f inestra aper ta ne l muro che d iv ide i l mondo esterno da i cos iddet t i mat t i , u na f i nest ra che d iventa u na lente d ’ i ng ra n d i mento a t t raverso l a q u a lel a fo l l i a ha l a p retesa d i racconta re l a rea l tà e d i forn i rne u na descr iz ionea l eator i a e forse scom p osta , d u n q ue v is iona r ia e ca r i ca d i s i g n i f i ca to .U n s i g n i f i ca to che s i n ut re de l v i ssuto d i ch i norma l mentenon ha voce p er es p r i mers i e p ensa s ia r i d ut t i vo a f f i d a rs i a i mecca n ism is p esso ost i l i che l a tecn ica e l a me d ic i na met tono a d is p os iz ione.Q uesta r i v i s ta è nata a l l ’ i nterno de l l ’Assoc iaz ione Arcoba leno O n l us , che è cost i t u i ta d a op erator i de l l a coop erat i va P roget to M u ret , d a vo lonta r i e d a u tent i de i ser v iz i d i sa-l u te menta le . Forn isce a i soc i l a p oss i b i l i tà d i usufr u i re d i u na formaz ione a l l avoro , d ioccas ion i cu l t u ra l i , l u d iche e soc ia l i .

I n coper t i na : “ L i nee cu r ve e ret te” La b Ca l l i g raf ia 20 17 a cu ra d i ArcoStu d io

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Direttore responsabile Franco FlorisProgetto grafico e impaginazione a cura di Arco’Studio

APPROFONDIMENTILA PAROLA CHE CURA: Eclipse di Enea Solinas

Storia di Danilo di Danilo Zito Perché non dobbiamo credergli di G. Enria

CONSUMI E SOCIETÀ: La gola di Gian Angelo Gramaglia

RUBRICHEOSSERVAZIONI COSMICHE: Spazio al futuro di Alberto Pagliero

POLITICA ESTERA: Il quaderno dei sogni di Ivana Mina de Rossi

FILOSOFIA: La percezione di Emanuele Grassi

MASSIMI SISTEMINARRATIVA: Quel fantastico giovedì di Giuseppe Di Maio

STORIA: Il Generale Robert Lee di Carlo Giorcelli

CINEMAHORROR: Il gatto dagli occhi di Giada di Sam Ael Coral

SFOTOGRAMMI: Emir Kusturica di Francesca Gabanino

IL CALEIDOSCOPIOTurno di notte di Roberto Sahih

L’inganno del silenzio di Andrea Livi

Lezione di musica di Cinzia Caiasso

Strane (particolari non) vacanze di Cesare De Chirico

Prima e dopo la cura di Giusy Zanin

POESIA(sub)Urbano di Jacopo Vespoli

Poesie di Enea Solinas, Emanuele Grassi, Marco Bacci, Claudia Savorelli, Iznado, Mario Ferrari, Giuseppe Enria, Cinzia Caiasso, Giusy Zanin, Nicola Frache

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Sommario

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L’EDITORIALE di Sandro Pesce

Da quando hanno inventato la psichiatria, siamo tutti casi clinici. Prima uno era normale o era matto. E se eri matto ti mandavano in manicomio. Poi li hanno chiusi, creando un sacco di precari. Ora, con la psichiatria, tutti hanno una pato-logia ben specifica. la specializzazione è importante. per esempio, i politici: Gen-tiloni è un depresso cronico.

La prima cosa che si sente dire dopo che pronunci il suo nome è “gentiloni chi?”. Si deprimerebbe anche Babbo Natale. Renzi sembra un castoro ipercinetico con botte di narcolessia… “80 euro! Coalizziamoci!” Il nostro sistema politico, la de-mocrazia rappresentativa, funziona così: ci sono 1000 parlamentari, eletti da noi, stipendiati da noi, che decidono per noi. I parlamentari stipendiati da noi? Sono i nostri dipendenti! Quanti, tra voi lettori, guadagnano 15000 euro al mese? Ave-te visto? La democrazia fa guadagnare i dipendenti molto di più rispetto ai dato-ri di lavoro... non lo trovate folle?!? Robe da Matti...

La nostra democrazia da’ molto potere alle donne: io ho fatto una scoperta incre-dibile... Merkel è una donna! Adesso, oltre ad Adolf Hitler, la Germania ha un al-tro capo di stato con i baffetti! La democrazia vanta le pari opportrunità: Obama è il primo presidente nero. Niente in confronto ad Adolf Hitler: Bipolare, con il Parkinson e pure Vegetariano! Prendete Steven Hawking, azzerategli il quozien-te intellettivo, dipingetelo di nero... neanche allora sarete vicini ad un Nanetto, Bipolare, con il Parkinson, Vegetariano, con il riporto e i baffetti alla Charlie Chaplin! Hitler ai suoi tempi aveva vinto le elezioni... ha un po’ barato, ma ha vinto... Renzi e Gentiloni, sono arrivati senza neanche presentarsi, una disgrazia come lo tsunami, il terremoto, o la suocera che ti bussa il giorno di natale! Il no-stro sistema politico è fuori di testa e andiamo a scomodare un Capo di Stato come Stalin: l’ esercito russo, ai tempi di Stalin, ha sconfitto i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. I tedeschi e i loro alleati, hanno invaso la Russia, e i russi indietreggiavano. I tedeschi avanzavano e i russi indietreggiavano. I tede-schi non sapevano più a chi sparare e si son ritirati: i russi li hanno inseguiti fino a Berlino. Stalin è stato un innovatore: si è inventato lo stalking... altro che mala-to di mente! Non aveva neanche facebook!

Salvini è l’ unico dei politici italiani che assomiglia ad un dittatore, ha un merito: la Robe di Kappa era sull’orlo del fallimento e lui gli ha commissionato le felpe con il nome di tutti i comuni d’italia, le regioni, le province, le statali… ha salvato un’azienda con le sue felpe. Portate pazienza, è rimasto traumatizzato: gli hanno sempre impedito di avere tante maglie, di essere al centro dell’ attenzione e di salire sulle ruspe! La forma di Governo più sana: l’ Antico Egitto dei Faraoni... il Faraone rappresenta Dio.

Questo è un Governo come Dio Comanda!!! La nostra società è uno psicopeni-tenziario a cielo aperto. Un manicomio vive grazie all’ esigenza dei matti di avere un posto dove stare... e nel grande psicopenitenziario attuale...I matti siamo noi!!!

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ECLIPSE LA CRISI E LA TESTIMONIANZA

Quanto segue è l’unico testo che vorrei por-re sulle pagine di Segn/Ali prima di pren-dere un anno sabbatico in questo denso 2018 che si affaccia nel prossimo futuro. Quest’ultimo anno, lo dico senza fron-zoli, ho avuto una crisi psicotica, a ca-vallo tra inverno e primavera. Proba-bilmente una ricaduta violenta e assai concentrata (che si è andata manife-stando ed esplicitando nel volgere di poche settimane) rispetto ad un feno-meno che ho sempre definito di mia sponta con la metafora dell’implosione. Sulle cause esogene ed endogene, sul-le molte e diverse situazioni e coinvolgi-menti che ho intessuto, attraversato e mi hanno attraversato non mi soffermo, per rispetto e onestà. Preferisco focalizza-re l’attenzione sul momento esistenziale così come mi si è presentato, quale soglia e spartiacque. Nella sua “forma”, la cri-si si è caratterizzata da un estremo sen-so di sprofondamento e svuotamento, tale da ingenerare una sorta di fusione tra la propriocezione interna e la perce-zione del mondo esterno, fino all’annul-lamento reciproco, accompagnato da fenomeni cosiddetti dispercettivi o al-lucinatori, peraltro proprio negli istanti liminari sospesi tra il sonno e la veglia.In seguito, dopo lo spavento governa-to con strategie divergenti ed impulsi-ve (scriverne e descriverne il fenome-no sul diario, dando ad esso una prima distanza e una prima significazione a parole) i sintomi più forti sono stati poi prontamente sedati dall’assunzione, per diversi giorni, del farmaco che dopo oltre tre anni di graduale scalo (accor-data e accompagnata dal mio medico) avevo dismesso completamente - a oltre

dodici anni dall’inizio della terapia stessa. Certamente la strenua e forsennata for-za di volontà è stata nell’ultimo anno messa alla prova e definitivamente se-gnata da una serie di eventi che vanno sedimentandosi man mano. Al di là del-la critica o autocritica che potrei ricono-scere o valutare a mente più fredda, su come personalmente ho vissuto gestito o cogestito in prima persona e in maniera pressoché autonoma le molte implicazio-ni di queste variabili impazzite (pur col supporto, la vicinanza e l’aiuto di varie persone – medici e figure terapeutiche, o la discreta e rispettosa presenza e ac-coglienza dei soci di Arcobaleno – e più ancora di tutte le altre persone che mi sono state vicine, senza sottovalutare o sminuire di senso, quanto piuttosto vo-lendo sottolineare le risorse umane quasi invisibili e la complessità esistenziale, so-ciale ed emozionale ciascuno vive, specie se la non facile condizione di fragilità ne ha intensificato sensibilità e caparbietà. Così come pure nella complice condi-visione oltre che di idee e riflessioni, di stati d’animo, talvolta compresenti pur nella loro estrema antinomia (un po’ come testimonia il calendario di Arcoba-leno 2018). Desiderio e panico, fiducia e disprezzo, meraviglia e orrore, ango-scia e liberazione, presenza e assenza, ingratitudine e riconoscenza, morte e rinascita. Alcune di queste antino-mie le ho prese in prestito dal calenda-rio. Altre sono aggiunte più personali. In molti potranno aver percepito od intu-ito dal loro parziale e relativo punto di vi-sta ciò che accadeva e stavo vivendo, nel pur imprevedibile e misterioso corso delle esistenze, delle relazioni e degli accidenti.

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Ad ogni modo, ritengo che oltre che una sosta e la riflessione s/costante di una incoscienza intrinseca a certi stati di coscienza poco chiari, poco comunicabili poco compresi e com-prensibili nell’immediato, la metafo-ra del cammino più volte sfruttata – come su Segn/Ali n. 55 – conti-nuerà ad accompagnarmi inossida-bile, anche se ultimamente, per for-za di cose in modo viepiù inquieto. Potrei anche definire questa esperien-za una transitoria eclisse di me stes-so, che ho vissuto e dalla quale non mi sottraggo dal dare testimonianza, anche come messaggio di libertà, vi-talità e passione nonostante si pos-sano attraversare dei momenti bui. Buon 2018 a tutti! « there’s no dark side of the moon, really… matter of fact it’s all dark»

Enea Solinas

Oltre a queste situazioni e supporti, non posso negare il bagaglio acquisito nel tempo da chi ha precedentemente rac-contato e ri-velato le proprie esperienze analoghe e i cui racconti non mi hanno abbandonato, nel ricordo e nel costan-te e più volte rievocato e imprevedibile esercizio della cura di sé. Che quando fa quel che può, fa quel che deve, accom-pagnandosi, senza demoralizzarsi, fin dove è tollerabile o appunto è possibile. Di certo, alcuni istanti li serberò tra i meno piacevoli, e spero di non ritrovarli, né di rimanere impressionato e contorto in un ricordo inconcusso e parzialmen-te eluso per tacito riserbo o trasfigura-zione estetica (che pure aiuta e dà sen-so, ma rimane evanescente – è il suo pregio e al tempo stesso il suo limite). Simpaticamente ermetico penso lo rimar-rò ancora, ma per contro questa breve testimonianza e riflessione che voglio condividere mi dà nuova fiducia e slan-cio e fissa nero su bianco alcuni termini.

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STORIA DI DANILOcon il caso dell’ incidente.Sono allergico a tre sostanze e ho fatto i test e fino al 2002 mi sono curato.Sono andato in due ambulatori per cura-re i problemi mentali con diagnosi di sin-drome ansioso-depressiva, nel 2005 in un ambulatorio in cui ho fatto colloqui e nel 2006 in un altro ambulatorio in cui ho fat-to colloqui e mi hanno prescritto farmaci e nel 2015 sono rientrato nell’ambulato-rio in cui ero andato nel 2005.Quando ho capito il funzionamento degli ambulatori volevo andare in un determi-nato ambulatorio di sanità privata per-ché capivo che si poteva guarire al 100% e nel 2006 in un ambulatorio mi hanno prescritto un farmaco e ho avuto dei pro-blemi e i miei genitori hanno manifesta-to la contrarietà ai farmaci per la cura dei problemi mentali e non hanno capito che con i farmaci si può curare e guarire e de-vono essere prescritti in modo corretto per far guarire il paziente e non hanno capito che nell’ambulatorio in cui ero an-dato nel 2006 non mi avevano prescritto i farmaci in modo corretto per farmi gua-rire. Nel 2009 sono stato riconosciuto in-valido civile al 50%.Dalla fine di settembre 2016 ho avuto dei problemi di salute dovuto alle radiazioni di telefonino, smartphone e computer:ca-tarro giallo, verde, marrone; mal di pan-cia, diarrea e cacca nel sangue, problemi respiratori, problemi alle mani con il con-tatto al telefonino, febbre, sudorazione e stanchezza.Ho preso alcuni accorgimenti:contrasta-re i problemi, non usare e allontanarmi da telefonini, smartphone e computer e prima di tale periodo c’erano stati episodi meno gravi. Sono andato a fare i controlli al pronto soccorso di un ospedale di To-rino sud e risultava che avevo pochi pro-

Ho preso il diploma di tre e cinque anni in elettronica in una scuola superiore IPSIA di Torino sud.Sono stato promosso quasi tutti gli anni alle superiori perché ero il cocco della mamma di un insegnante che ha diffuso la tendenza agli altri insegnanti ed è rima-sto il valore nel tempo. In quarta e quin-ta superiore sono stato promosso perché sono capitato in una classe in cui si sono impuntati gli studenti per il diploma.Ho fatto le scuole elementari e medie e ho subito pochi maltrattamenti invece alle superiori sono stato quasi sempre maltrattato.Maltrattamenti subiti alle superiori:schia-vismo, percosse, rottura del materiale, lesioni, nascondere e frugare il materia-le, prese in giro, esclusione dalla classe, scherzi, minacce, offese, discriminazione.Operato della scuola:negligenza e difesa agli studenti. Operato mio e dei paren-ti:ero ignorante io e i parenti sul bullismo e non mi rendevo conto e l’ho saputo nel 2007 e poi mi sono ulteriormente infor-mato e nel 2013 ho informato i parenti.Quando frequentavo le superiori i paren-ti erano impotenti per l’ignoranza sul bul-lismo e facevano tante parole e zero fatti.I parenti hanno fatto interventi inutili sul bullismo.Ho provato con tre ragazze in Calabria e con due a Torino e ad aprile 1996 mi sono arreso perché non ottenevo risultati.Bisogni amorosi:no matrimonio, no figli, si fidanzamento. L’amore rimane un biso-gno non soddisfatto.Dopo un rimprovero mi sono ferito a un polso con il vetro e mi hanno operato.Ho avuto un incidente stradale a settem-bre 1998 e ho avuto una frattura a una caviglia, ferite vicino le labbra, rottura di un dente e spostamento di due vertebre e fino a luglio 2002 sono andato avanti

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STORIA DI DANILOblemi. Ho subito dei maltrattamenti dai parenti negli anni 80 pochi, all’inizio de-gli anni 90 abbastanza pochi e molti tra la fine degli anni 90 e gli inizi degli anni 2000 e dal 2006 in poi pochi.Tipi di maltrattamenti:prese in giro, ne-gare i maltrattamenti, contentezza nel maltrattare e stupore quando avveniva-no fuori dalla parentela.Quando andavo in Calabria per le ferie subivo maltrattamenti e dal 2002 al 2008 ho cercato di evitare i maltrattamenti an-dando in Sicilia invece della Calabria.Nel 1998 e 1999 ho fatto le visite militari e sono stato riconosciuto militesente.Ho lavorato a maggio 2003 come opera-io un giorno in una fabbrica di Chivasso che si occupava di idroguida e aria condi-zionata. Ho lavorato a giugno 2003 come operaio per quattro giorni in un’impresa di pulizie che operava in una fabbrica.Ho lavorato come cantierista dai Vigili in ufficio per due periodi, il primo periodo da gennaio a maggio 2005 e il secondo da dicembre 2006 a giugno 2007.Ho lavorato come bidello in una scuola elementare per due periodi di una setti-mana, il primo periodo a novembre 2014 e il secondo a gennaio 2017.Lavoro come tirocinante da ottobre 2015 in un’associazione che si occupa di soste-gno alle persone che hanno usufruito o usufruiscono di un servizio di salute men-tale e finirò a maggio 2018.Ho subito maltrattamenti nel periodo all’impresa di pulizie e nei periodi di can-tierato. Nonostante ho fatto due periodi di cantierato e un periodo in un’associa-zione in cui ho lavorato un po’ di mesi il problema della disoccupazione a lungo termine non si è risolto e sono destinato per tutta la vita a fare quasi sempre disoc-cupazione e ho pensato di chiedere una

pensione per risolvere il problema della disoccupazione.Le aziende non mi chiamano a lavo-rare perché ho un profilo lavorativo negativo cioè ho fatto poche espe-rienze lavorative, sono senza pa-tente e non sono automunito, sono vecchio per il lavoro e ho molti pro-blemi di salute.Ho frequentato l’autoscuola da set-tembre 2003 a marzo 2005 e ho fat-to lezioni ed esami di teoria e di gui-da. Esami: teoria il primo bocciato e il secondo promosso e la guida tre esami bocciato.Non mi sono più iscritto all’auto-scuola per non essere più bocciato agli esami anche se avevo pensato di prendermi la patente d’invalidità dove avevo più probabilità nel con-seguire la patente.

Danilo Zito

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PERCHE’ NON DOBBIAMO CREDERGLIUna decisione su Francesco Petrarca

Ritornare sopra una vita passata è attuale quantomeno per l’ingerenza che questa esercita sopra il presente. L’influenza che Francesco Petrarca ha prodotto sopra la letteratura italiana è cosa nota al grande pubblico come al fruitore medio. La pacata lezione della sua poesia rifulge oltre il campo letterario fino a raggiunge-re la prassi. Ci si trova così a rileggere una vasta produzione in sonetti per lo più e in prosa che prima di colpire per l’abile e monotona consonanza con il proprio af-faccendarsi, riflette un prototipo di prassi vitale che evade dal campo letterario per trasferirsi accanto alla sempre varia e mu-tevole, libera percezione della vita. Libero pensatore, vate pluridecorato, scaltro cortigiano, sa di essere nell’orbita di quel pugno di uomini che determine-ranno il corso della cultura umana. Abile e conscio fino al punto di dissimulare la propria posizione, guadagnata grazie a sotterfugi degni di un personaggio scal-trito, gioca col ruolo da lui stesso lettera-riamente creato e agisce alla luce dei po-tenti dai quali reclama a bassa voce, ma con operosità subdola e quiescente, l’uni-ca cosa cui per valga la pena impegnarsi, la gloria poetica e il successo. Francesco il vate è in balia di una donna, Laura, della quale si è addirittura giunti a dubitare della esistenza storica, e della proiezione ideale che questo nome riser-va alle stirpi che si sono accodate a lui per la ricerca della celebrità secolare, la glo-ria poetica, il Lauro. È sconveniente e poco ossequioso di una tradizione critica consolidata proporre una lettura dell’opera di Francesco Pe-trarca che fuoriesca dai limiti del lettera-rio per investire la sua vita nel colmo della

prassi quotidiana. Crediamo fermamente che la poesia abbia a che fare con l’azio-ne come ogni prodotto umano, perché in quel campo e solo in quello si trova l’e-splicazione della propria sostanza. Francesco Petrarca detesta l’azione po-eticamente in quanto è afflitto per sua stessa ammissione da accidia. Questa malattia spirituale non ci risulta essere annoverata e annoverabile tra i disturbi della sfera psichica e redigibile all’interno di questo orizzonte. È più che altro una manifestazione dell’indole del poeta che si trova a viverla per sorte avversa e, cre-diamo noi, per scelta propria. L’accidia è infatti una malinconia peren-ne che infastidisce fino a indebolire croni-camente la capacità di agire e di portare sul piano dell’azione la variopinta quali-tà dei sentimenti che animano una vita. Lo stato della percezione della vita come del suo corso è mutato dal sentire que-sta gravità sulle spalle di chi è tenuto a portare la croce dell’esitazione perpetua come dell’estinzione della sana capacità

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PERCHE’ NON DOBBIAMO CREDERGLIUna decisione su Francesco Petrarca

di agire fino a mutare il proprio destino in fatti da condividere e di cui esser lieti autori. Francesco Petrarca, il cui vero patroni-mico fu Petracco, mutò il proprio nome pur di latinizzarlo - in base ad una usata abitudine del tempo a stringere legame coi classici latini - e renderlo eufonico. In questo gesto leggiamo prima che un fervente interesse per la cultura classica una attitudine a mutare, pur di piacere a sé e soprattutto agli altri, qualcosa che denota la propria storia, il proprio corso terreno, il vivido legame con società sul-la base di un riconoscimento immedia-to, il nome. Questa azione denota ferale e rapace volontà di porsi come altro da sé. Il dolo-roso motivo guida della accidia sembra essere accantonato per un barluman-te istante, quanto basta per cambiare nome e diventare qualcosa di meglio. L’azione è compiuta con destrezza im-placabile e definire il risultato brillante è sminuirlo nell’esito, tant’è che il pub-blico lo conosce per questo audace stra-tagemma. L’accidia dorme e consegna al sonno pure il malcapitato utente nel proprio patire. L’accidia è sorella di vita e perso-nificata alla stregua di Laura come Fie-ra, Amante, Donna Fatale. Il vissuto re-gna devastato da questa incapacità di volere chiaramente che tuttavia si mani-festa nettamente quando vi è l’esigen-za di porsi in luce positiva per qualche ragione, come la verosimiglianza dello studioso di lettere classiche che indora la propria culla vivente, il nome, per ra-gioni di apparenza, ignorando l’appar-

tenenza che questa denota. È tale la poesia da stancare l’occhio inge-nuo come lo scaltro lettore che china il capo annoiato o entusiasta dopo le pri-me forme poetiche ma sempre lusingato di avere incontrato tanta parola nel pro-prio giorno, e soprattutto di essere lega-to di viva devozione ad uno dei pionieri del canto italiano. L’accidia è il dono segreto di Francesco Petrarca. Viverla è impossibile, subirla una vocazione. Rivenderla, a caro prezzo, un mestiere. Non è il mestiere di vivere che impone un camuffamento ma la in-gorda volontà di ottenere gloria poetica. Trascuriamo perché non possiamo cono-scere le cause di un così abissale disagio emotivo che ingenera bisogni smodati e fraudolenti. Ma si pretende da un con-teso padre dell’umanesimo italiano uno status di magistrale veridicità che impo-ne senza mezzi termini la trasparenza a se stesso prima del lungo salto del donar-si agli altri, seppur anche solo - ma così non è - letterariamente. Fissare una strategia significativa all’in-terno del Canzoniere è impossibile. Se vi si entra si è persa la partita. Bisogna osser-varlo dall’esterno. L’interno è l’agile per-sistenza del danno di un cuore che pla-sma la propria condizione per riversarla sopra gli altri, cercati, a quali si confessa per ottenere in cambio una venerazione che lo pone su di un piano superumano. Eppure questa persistente nebbia che permea tutto il seguitare dell’opera vie-ne da pochi riconosciuta e smantellarla al fine di ottenere un chiaro pensiero ci vede pionieri. Stare all’esterno e avverti-re l’odore acre della volontà torbida che

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li nel Canzoniere, opera sua somma. È l’idea di donna a fulminare il cuore del Vate. Impiallacciata e rimasticata per pa-gine incolori che parlano del desiderio di essere venerato del proprio autore più che di Lei in quanto persona. Un primo sforzo colossale oltre l’accidia è stato fatto da Francesco Petrarca: il dire di Lei, di Laura. Come una dieresi che muta il valore della vocale, però, ci si di-mentica presto dell’ingerenza e ci si ap-piattisce sopra al significato della parola. Lei è vittima di un assassinio dimenticato o mai voluto vedere dalla critica del Vate. Ossequiosa, questa, fino all’abbecedario accoglimento di ogni particella in cerca di nucleo della funestante alchimia del tosco. Eppure la prima persona a perire fra le “vacche nere” degli assoluti petrarche-schi è proprio Laura. Lei è tale da diven-tare insieme al desiderio di Gloria il mo-vente di tanta produzione. Un macabro rituale impone l’osservanza per il culto di Laura e dell’anima che lo ha partorito e contiene. Ma lei è defunta letterariamen-te e spiritualmente nell’opera, depressa fino a demarcare, col suo porsi, la linea della violenza subita. Francesco Petrarca esibisce il vascello dell’anima sua depre-dato dalla sua stessa cieca volontà di ap-parire. Molto si potrebbe disquisire e raccontare di Laura, ma sarebbe fare il suo gioco. Ci basterà avere sollevato il punto per cui un omicidio letterario viene innalzato a stendardo della poesia italiana senza ri-conoscere che il cuore e la mente stan-chi che lo hanno prodotto e conservano dentro di sé come un valore, ottengono pregio e fama nei secoli, noi speriamo solo fino a queste volutamente mordaci e veraci decisioni.

Giuseppe Enria

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acceca le menti è il prezzo da pagare per dire una parola che muti il consenso in di-stacco, che sprofondi il contesto pacato e interiormente struggente oltre i para-dossi delle finte ricerca e sofferenza. L’e-sterno del Canzoniere non è il non aver compreso il luogo della celebrazione di una vita poetica. È l’unico stratagemma veridico che ci si impone pur di non ca-dere nella ragnatela del soffrire secondo leggi che abbiamo codificato, per le ra-gioni che abbiamo avversato. La parola deve essere servizio alle Verità e al prossimo e non fervente simulacro di autocelebrazione, rivenduta al prezzo di mentire sopra la sua effettiva valen-za, come se si trattasse di una confessio-ne accorata e dolorosa, che non è tale. L’esterno del Canzoniere è pionierismo dell’antiparola poetica foggiata per fini strumentali. Il suo interno è la rivincita del camuffamento sopra il veridico ten-tativo di donare la propria vicenda a chi potrebbe utilizzarla per fare luce sul re-ale tormento che può attraversare una vita. La pensiamo, una vita, come attra-versata più che staticamente oppressa come è in Petrarca, perché se di dolore si parla, c’è pure gioia e speranza e lot-ta che guidano al suo superamento. Re-stare dentro al Canzoniere è plagiarsi di una pericolosa antinomia nascosta da palpebre chiuse ad arte per consacrare la sofferenza vera ad un chinastro che ammorba fino a insterilire l’euristica ed il superamento della quotidiana afflizione della scelta e del dolore in cui anche una vita felice può incappare.Laura appare prima di essere. Come Fran-cesco Petrarca, il suo autore, è tinteggia-ta con scaltra abilità secondo i pennelli e i colori di chi ha occhi per guardare ma non cuore per donarsi. Lei resta sospesa nel vuoto della demen-za del suo autore. Francesco Petrarca osa paragonare Laura ad una Fiera che causa sofferenze indicibili, ma redigibi-

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La cucina spaziale

LA GOLA Viaggio nel paradiso dei ghiottoni

Infatti altro non avveniva sulle aree pa-gane se non la macellazione e cottura degli animali sacrificati?! (dei quali si ci-bavano i fedeli consumatori). Di questa antichissima e quasi magica trasforma-zione, per cui pezzetti del mondo (gli alimenti, al pari dell’acqua che bevia-mo e dell’aria che respiriamo) entrano in noi e diventano parte di noi stessi, restano le gioie del palato, tra i princi-pali piaceri della vita. Piaceri terreni per l’appunto. E ben presto la Chiesa catto-lica annoverò la Gola nei Sette Peccati Capitali ai pari dell’Ira e della Superbia.

Ironicamente lo fece nel medioevo in un tempo in cui a mangiare a crepapelle, oltre ai nobili e ai ricchi erano proprio i preti...!In quest’ultimo periodo la Chiesa, sem-pre attenta al vento che tira, ha sdoga-nato questo peccato veniale o anco-ra meno: (meglio peccare di gola che di qualcos’altro, insomma!). E proprio ai giorni nostri è comparso un nuovo tipo di feticismo/vouyerismo del cibo, il cosiddetto “Food-porn”. Si tratta, in tempo di selfie selvaggio, di fotografa-re col telefonino al ristorante, le varie portate che arrivano sulla nostra tavo-la. Per poi postare le foto sui vari social.

A tal punto di perversione sono arriva-ti alcuni, mentre la maggioranza della gente comune è disorientata da mille in-formazioni contraddittorie e non solo a proposito del cibo.

Gian Angelo Gramaglia

“ Noi siamo quello che mangiamo”.Cosi’ recita in questi giorni lo slogan pubblici-tario in televisione di una nota marca di prodotti derivati dalla soia. Tanto è veri-tiero lo slogan quanto è ingannevole la pubblicità in questione che, sullo sfondo di una natura incontaminata, con tan-to di famigliola sorridente e felice, spac-cia una nutrizione a base di soia come naturale e salutare. Basti sottolineare come la produzione mondiale di soia sia in larga parte costituita da “OGM” (Or-ganismi geneticamente modificati). Con tutti gli interrogativi non risolti da par-te degli scienziati sugli effetti a lungo termine del consumo di simili alimenti.

Mai come in questi anni si e’ parlato tan-to di cibo, di diete, di anoressia e bulimia e di cucina. Vale qui il discorso a propo-sito del sesso : “Più se ne parla e meno se ne fa”. Di cucina pratica a casa no-stra intendo. Ed ecco allora che assistia-mo alla proliferazione in tv di program-mi tipo Master Chef e ogni trasmissione che si rispetti non manca del suo angolo riservato ai fornelli. E mentre noi ci limi-tiamo al massimo a riscaldare nel forno a microonde piatti già pronti e surgelati, sullo schermo appare il cuoco, gran sa-cerdote del Rito, che sa trasformare gli ingredienti in favolose leccornie. Fin dal tempo in cui l’homo erectus inizio’ a pa-droneggiare il fuoco, nacque questa fi-gura, che presto si sdoppio’ in quella di cuciniere e in quella di sciamano – stre-gone addetto ai sacrifici alla/e Divinità.

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La cucina spaziale

SPAZIO AL FUTURO di Alberto Pagliero

Nella cucina spaziale di Samantha Cri-stoforetti, astronauta dell’ ESA (l’agen-zia spaziale europea), all’interno della navicella ISS i cibi hanno un periodo di mantenimento tra i 18 e i 24 mesi. Hanno un ridotto contenuto di sodio e non sono soggetti alla forza di gravi-tà. Immaginatevi di stare in una cucina dove i cibi gravitano nell’aria e in ogni momento potete afferrare una zollet-ta di zucchero o un biscotto. L’acqua invece viene trattenuta in sacchetti dotati di cannucce. Durante le prime missioni nello spazio gli astronauti si cibavano di carote, pollo, prosciutto, manzo e tonno. La digeribilità dei cibi è una questione delicata perché l’in-testino degli astronauti si dilata a cau-sa dell’assenza di gravità. Le bevande erano disidratate e si usavano molti succhi misti, come l’uva e il pompelmo. I primi contenitori per il cibo si chia-mavano Spoon Bowl ed erano fatti di plastica. Sulla stazione orbitante ame-ricana Skylab venne portato un conge-latore e un tavolo da cucina. Per le mis-sioni del programma americano Space Shuttle, considerando la loro lunghez-za di percorrenza, furono rese disponi-bili confezioni innovative e flessibili in sostituzione di quelle rigide prima in dotazione. A bordo della stazione spa-ziale ISS l’acqua fresca viene riciclata a bordo e i cibi spaziali sono severamen-te analizzati secondo procedimenti studiati dai ricercatori. Sono prodotti refrigerati, termostabilizzati, ionizzati e disidratati tra i quali la piadina, che si conserva a lungo e fa poche briciole, lo yogurt, perché ricco di calcio,

la salsa piccante, le noccioline, i gambe-retti, la zuppa di legumi, che agisce sui cambiamenti fisiologici dati dalle lunghe percorrenze. I cibi da evitare nello spazio sono i cracker, le bibite gassate, il gelato, la pizza, le patatine fritte. I cibi del futuro degli astronauti saranno sempre più preparati in modo da otti-mizzare lo spazio della cambusa e la va-rietà dietetica spaziale. Anche in anima-zione sospesa il cibo sarà molto limitato, programmato da un computer, come in 2001 Odissea nello spazio di Kubrik. Se io fossi un astronauta farei attenzione a trattenere il cibo più vicino a me e bade-rei molto alla qualità degli alimenti, ma più di tutto andrei alla scoperta dei cibi di pianeti extrasolari che potrebbero essere appetitosi per gli alieni (oltre al succo di fragola e i topi) come per gli umani.

LA GOLA Viaggio nel paradiso dei ghiottoni

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CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO DEI MIGRANTI

IL QUADERNO DEI SOGNI di Ivana Mina De Rossi

Pinerolo, 30/11/2017La lingua batte dove il dente duole, per cui ritornerò, magari annoiandovi, sull’argomento dei migranti. Questi ra-gazzi, perché di solito, di ragazzi (maschi e femmine) si tratta, partono da situazio-ni estremamente precarie e pericolose ma, spesso, qui non trovano l’accoglien-za e la tranquillità che sono venuti, dopo disagi e pericoli, a cercare mentre, inve-ce, spesso trovano delle pessime condi-zioni. Condizioni quasi sempre precarie perché impostate su interventi di emer-genza che, a parte qualche ultima ecce-zione (SPRAR), non hanno una visione del futuro di queste persone anzi, que-sta visione viene osteggiata e sabotata da forze politiche e sociali che, stimolan-do la precarietà, la spostano poi, anche, a danno dei cittadini italiani. Precarietà voluta che parte dall’abitare e si sposta sul lavoro rendendo più ricattabili eco-nomicamente e socialmente le persone che vengono nel nostro paese, provo-cando un diffuso malessere sia sociale che sanitario (sia fisico che psicosomati-co) principalmente sui migranti ma an-che sui cittadini italiani. La precarietà è una legge uguale per TUTTI quelli che vengono nel nostro paese per oggetti-ve difficoltà di vita NORMALE nel loro. Fino ad ora i migranti sono su un piano di parità INGIUSTA per quanto riguar-da i controlli legali dei loro diritti, il ri-lascio dei permessi e il controllo legale dell’ottemperanza dello svolgersi delle loro attività lavorative sociali e abita-tive alla legislazione vigente da ritardi

SCANDALOSI da parte dello stato italiano dovuto certamente al fatto che dipendia-mo da leggi di ispirazione destro- fascista dei governi Berlusconi. Questa è una vi-sione miope e ignorante della situazione. I 120mila migranti (circa) che arrivano in Italia annualmente coprono a malapena la differenza tra i defunti italiani e i nati italiani che formano uno scarto deficita-rio superiore alla cifra degli immigrati; con la differenza che , scusate il cinismo, i deceduti sono per la maggior parte an-ziani malati e pensionati che gravano sull’economia del sistema sociale mentre gli immigrati sono giovani, sani e robusti (la selezione, FEROCE, avviene durante i viaggi che intraprendono per venire qui) che potrebbero validamente implemen-tare la nostra economia se inseriti in un contesto sociale e lavorativo legittimo a norma di leggi che sono da cambiare per-ché sono CONTRO TUTTI i cittadini italia-ni che si vedono privati da leggi di destra dei basilari DIRITTI COSTITUZIONALI, in-giustizie che poi si riversano sugli immi-grati. Bisogna precisare che attualmente gli immigrati regolarizzati e legalmente inseriti nel tessuto produttivo italiano fruttano, all’anno (non lo dico io ma Tito Boeri), al nostro stato 7 MLD di contributi INPS che probabilmente resteranno qui perché chi li versa aspira a tornare, prima o poi, nel suo Paese e spesso con questi Paesi non ci sono accordi bilaterali che regolino i contributi pensionistici. Inoltre gli immigrati regolarizzati contribuiscono (lo dice la Corte dei Conti nel suo bilancio annuale) a incrementare il PIL italiano

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Non per niente la Merkel, al corrente di questo fatto, ha accolto in Germa-nia 800mila siriani con un alto livello di scolarizzazione da inserire nei posti di lavoro vacanti che si verranno a creare nei prossimi anni.Con l’alta denatalità europea nella prossima generazione mancheranno 50 milioni di persone in Europa. i mi-granti potrebbero sopperire a questa mancanza portando gioventù e benes-sere economico e ad un ripiegamento sociale su se stessi che nel mondo glo-bale di oggi, con le sfide che ci aspetta-no con la Cina, la Russia, l’India, l’Africa e i paesi emergenti rischiano di schiac-ciarci e cancellarci da futuro. Come ve-dete ho fatto un discorso molto cinico e pragmatico, senza parlare dei diritti umani, di fratellanza tra i popoli e di responsabilità per i comportamenti neocolonialisti che vengono usati so-prattutto in Africa. Pertanto ribadisco, accogliere i migranti in modo organiz-zato come si comincia, in nuce, a fare con lo SPRAR non è stupido buonismo ma intelligente investimento nel futu-ro. Meditate, gente meditate.

dell’8% annuo. ALTRO CHE PESARE SUL-LE NOSTRE SPALLE!!!!L’Italia è miope e con questo atteggia-mento di respingimento ci rimette anche economicamente! Potremmo chiedere all’Europa di dare a noi italiani i 6MLD che incoraggiano la dittatura di Erdo-gan in Turchia per bloccare gli immigrati (soprattutto siriani) e organizzare un’ac-coglienza educativa usando le caserme lasciate libere dall’esercito e ancora in valido stato abitativo e gestionale. Qui si potrebbero accogliere i migranti, far se-guire loro dei corsi di formazione di italia-no o della lingua del Paese europeo dove vorrebbero andare a vivere e lavorare; corsi di diritto per far conoscere loro le re-gole legali dell’UE, corsi di formazione al lavoro in base alle tabelle fornite dall’UE dei lavori disponibili su tutto il territorio europeo. Le persone più informate san-no che nei prossimi 5 anni in Europa si creeranno 8 milioni di posti di lavoro che resteranno scoperti per mancanza di personale preparato da inserire nelle op-portunità lavorative che si formeranno nell’industria 4.0 con conseguente perdi-ta economica per l’Europa.

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QUEL FANTASTICO GIOVEDI’

Opera del 1954 del californiano John Steinbeck, Quel fantastico giovedì è il ter-zo capitolo di quella che si può definire la trilogia di Cannery Row (Vicolo Cannery) di cui fanno parte Pian della Tortilla e, per l’appunto, Vicolo Cannery, in cui ritro-viamo la “piccola umanità” tanto cara a Steinbeck, protagonista di gran parte dei suoi scritti. Anche qui, come nei due libri precedenti, ritroviamo Mack e la sua ban-da di scapigliati paisanos i quali, tra diva-gazioni filosofiche sull’esistenza e piccoli imbrogli per rimediare un gallone di vino scadente, popolano la piana di Monte-rey, nella penisola di California, luoghi d’infanzia dello scrittore a lui estrema-mente cari, come si evince dalle poetiche descrizioni della baia e del promontorio.Uno degli scenari principe di Stein-beck, il mare, tanto da diventare esso stesso quasi un protagonista della sto-ria assieme al Cannery Row ed ai suoi abitanti i quali, mi viene da pensare, ri-cevono un tale spazio all’interno del romanzo e tale è la loro funzione all’in-terno dell’intreccio da non poter essere definiti tout-court delle figure compri-marie ma alla stregua di co-protagonisti. All’inizio della narrazione l’autore fa un po’ l’appello dei protagonisti per bocca di Mack e dei “ragazzi”, confermando i “ve-terani” dei suoi racconti e introducendo-ne di nuovi, ognuno con la sua storia e fa fare lo stesso alla voce narrante man mano che la narrazione procede. E così ci ritroviamo in una lunga panoramica descrittiva delle attività commerciali che costellano il vicolo e dei loro titolari i quali, come detto, avranno un loro ruolo all’interno della vicenda. La vicenda non

risulta subito evidente; dopo i discorsi di Mack e soci, che si ritrovano a casa dopo la fine della seconda guerra mondiale, il pretesto per un gallone di vino li porta al vecchio spaccio gestito dal cinese Lee Chong ricordando poi all’ultimo momen-to che il vecchio rivenditore cinese se n’è andato, vendendo negozio e mercan-zia a un nuovo proprietario e facendo rotta verso la Polinesia e i mari del sud.

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Qui Steinbeck crea il gancio per la pre-sentazione del nuovo proprietario del-lo spaccio, Josè Maria, un messicano, il quale riceve immediatamente la dovuta presentazione dall’autore che gli dedica un intero capitolo: Vita e opere di Josè. Mi viene subito da dire che questa serie di racconti, diversamente da altri capo-lavori dell’autore (vedi “Uomini e topi” o “Furore”), è estremamente scanzonata, umoristica e riesce a trattare con levità anche gli argomenti più drammatici: il capitoletto sulla vita e opere di Josè, così come le sue successive vicissitudini, sono descritte in maniera tale da strappare più di un sorriso. Steinbeck fa divertire con un umorismo da pochi che il lettore di questo libro non saprà non riconosce-re. Altro punto cruciale del vicolo, oltre al casotto dove risiedono i paisanos, è il bordello “Bear Flag” con la sua tenutaria Fauna e il colorito gruppo delle “ragazze”.Tra le persone citate nelle presentazioni appare il già noto volto di Doc, biologo marino e medico condotto all’occorren-za, nei confronti del quale Mack e soci sprecheranno parecchio fiato e buone intenzioni. Doc è un po’ la mosca bianca del vicolo, è onesto, ha un lavoro miste-rioso e interessante, legge buoni libri e ascolta musica colta, è generoso, sempre disponibile (anche a “farsi scroccare” un dollaro) e umile. Dimenticavo, è anche un gran bevitore di birra e whisky “Old tennis shoes” (parodia dell’Old Tennes-see) e per tali ragioni amatissimo dalla comunità. L’intenzione di far “qualcosa di buono” per lui saranno il motore del-la vicenda e lo scopo dell’azione. Se ho parlato di co-protagonisti, Doc è il pro-tagonista effettivo assieme a Suzi, una ragazzina scapestrata la quale fa il suo arrivo in città in una bella giornata di sole e che per tirare a campare andrà a bussare alla porta del “Bear Flag”. A que-sto punto la presentazione è completa, gli attori sono in scena e la vicenda si

muove sul perno delle macchinazioni dei “ragazzi” i quali, riuniti in assem-blea plenaria assieme alle prostitute ad un thè, studiano un sistema per far felice Doc il quale, a loro giudizio, al ri-torno dalla guerra non sembra più es-sere in sé: seppur sempre disponibile a chiacchiere e bevute qualcosa in lui sembra però essersi spento. Lo stesso Doc, alle prese col desolante ritorno all’ovile, ha le medesime considera-zioni su di sé e anche dopo aver risi-stemato lo sconquasso in cui è cadu-to il suo laboratorio non riesce a dare un senso alla sua insoddisfazione; lo vedremo perduto in cerca di qualco-sa all’apparenza indefinibile e pazza-mente auto-impegolato in un proget-to di studio sui polpi marini per il quale necessita di un nuovo, costosissimo microscopio. Quando Suzi farà il suo ingresso alla porta di Doc, con tutto quanto di disastroso ne conseguirà, i “cospiratori” del vicolo avranno l’i-dea che cercavano. Da qui la “mac-chinazione” di una festa in costume che dovrà vedere coinvolti Doc e Suzi, che costituirà il culmine di una corte “pilotata”, di dolci sorprese per i due protagonisti e di lacrime di delusione almeno fino a quel fantastico giovedì in cui tutto avrà una felice risoluzione.Insomma posso felicemente dire che l’amore è il filo e il movente di questo racconto ma che comprende non solo l’amore di un uomo per una donna, in esso infatti sono racchiuse tutte le qua-lità del bene: la generosità, l’amicizia, il sostegno della comunità e del sem-plice singolo. L’amore per la Natura e dalla Natura (che sembra avvolgere la storia in un dolce abbraccio). Il meravi-glioso e universale amore per la Vita.

Giuseppe Di Maio

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QUEL FANTASTICO GIOVEDI’

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IL GENERALE ROBERT LEE

Il generale Robert Edward Lee , fu figlio di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. Si distinse nella guerra degli Stati Uniti contro il Messico. Fu anche un progettatore e costruttore di porti e strutture fortificate. Egli, pur essendo contro la schiavitù, andò a combattere per la confederazione sudista, perché avendo il proprio stato aderito a tale confederazione, non se la sentì di mettersi contro la sua stessa patria.Ad un suo parente che aveva optato per l’unione, lui scrisse di obbedire alla propria coscienza. Anche lui aveva dei negri che lavoravano sotto di lui, ma li rese liberi.A proposito di tale guerra, bisogna dire che la questione della schiavitù non ne fu l’unica causa, anzi questa fu introdotta a guerra già iniziata.Vi furono anche altre questioni che incisero.Innanzitutto bisogna specificare che non tutti i proprietari agricoli del sud avevano schiavi sotto di loro. Vi era anche, nel sud degli Stati Uniti, un forte scontento per la politica del parlamento centrale, che favoriva nettamente gli Stati del Nord, i quali erano generalmente industriali, contro gli Stati del Sud che avevano invece una forte impostazione agricola. Il parlamento centrale aveva, ad esempio, alzato i dazi sulle importazioni industriali, per limitare la concorrenza europea su tali prodotti. Il sud invece aveva bisogno che fossero bassi, perché aveva il bisogno del contrario.Quando, finita la guerra di secessione, gli proposero di continuare con la guerriglia, fu lui a dire di no.Diceva anche che tale guerra fu la più grande stupidata che si potesse fare.Quando tento l’invasione del nord,

impose precise regole di comportamento civile ai suoi soldati. E quando dovette trattare la resa di Appomattox, gli unionisti, memori di tale cosa, non lo presero prigioniero, e ai soldati della sua armata, fu permesso di andare tranquillamente a casa.Finita tale guerra ando a fare il rettore dell’universita di Lexington, in Virginia.Quando il generale Ulisses Simpson- Grant, comandante generale delle armate unioniste, divenne presidente degli Stati Uniti, era lui che segretamente auspicò trattati per il rafforzamento dell’Unione. Mori nel 1878.

Carlo Giorgelli.

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Molti anni fa dovevo assoluta-mente passare un esame che non potevo più procrastinare.Il tema era la Repubblica di Platone. Il professore, secondo me per stroncarmi, mi chiese la teoria quivi esposta, della re-lazione tra i modi musicali e le emozioni. Secondo Platone il modo dorico era per così dire bellico mentre il modo frigio era lirico e sentimentale. Dove vidi brillare gli occhi del professore fu quando dissi che i nomi dei modi greci non sono quelli che attribuiamo noi nella musica moderna. Non riuscivo ad attribuire i miei senti-menti ai modi che Platone descriveva. In-dubbiamente, c’è stato un cambiamento di relazione tra i modi e le emozioni ad essi collegate. Ma ciò di cui voglio parlare è una cosa apparentata. L’arbitrarietà dei sentimenti che noi attribuiamo alla mu-sica. Io personalmente trovo molto coin-volgenti i complicati giochi armonici del-la Sacre du Primtemps di Igor Stravinsky che è stato uno dei massimi esponenti del novecento rispetto alla relatività dei rapporti tra armonia e sentimento. Ep-pure io lo trovo puro color bianco. Altri autori stabiliscono un rapporto fisso tra questi due termini, come i romantici e i post-romantici. Questo tema arrovella ancora oggi i filosofi della musica perché è indubbio che certi accordi hanno effetti “emotivi” diversi da altri. Ciò non toglie che ciascuno di noi attribuisce memorie, emozioni, etc diverse dagli altri per ogni pezzo. Peter Kivy nel suo Filosofia della Musica accenna a ciò e ad altri proble-mi passando da chi attribuisce un valore quasi narrativo a certe composizioni a chi come i formalisti vedono nella musica

una concatenazione di elementi di un linguaggio a sé che non troverebbe ri-scontri nella prassi verbale e testuale. Uno degli esponenti di questa corren-te in questo libro deve però ammettere la valanga di emozioni e sentimenti che gli ha causato la Nona di Beethoven. Dal novecento in avanti osserviamo un altro campo estetico che si inserisce in questo dibattitto. L’utilizzo di suoni am-bientali o provenienti da sorgenti sonore altre rispetto agli strumenti classici apre una dimensione d’ascolto diversa che si sovrappone alle teorie classiche del for-malismo o del romanticismo. Si aprono orizzonti e anche campi sonori sempre nuovi che stimolano in maniera secon-do me soggettiva l’emozione sia in ter-mini catartici che di gioco delle regole.

LA PERCEZIONE di Emanuele Grassi

Musica ed emozioni

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IL GATTO DAGLI OCCHI DI GIADA

Per questa sua opera prima, il regista ve-neto Antonio Bido ci propone un thriller fortemente debitore verso Dario Argento, ma che tutto sommato, nonostante questa influenza così palese, si lascia vedere con interesse.Personalmente, un altro regista che mi è venuto in mente guardando il film è Pupi Avati per le ambientazioni molto “padane” della seconda parte girata nella bella città di Padova.L’influenza argentiana si ravvisa già nel ti-tolo del film: Il Gatto dagli Occhi di Giada, che non può non ricordare i titoli “anima-leschi” delle prime pellicole del regista ro-mano (mi riferisco a L’Uccello dalle Piume di Cristallo, o a Quattro Mosche di Velluto Grigio).Anche il cast rivela di essere stato scelto con molta cura: accanto al protagonista, il grande attore teatrale Corrado Pani, vedia-mo difatti sfilare ottimi caratteristi come il “pasoliniano” Franco Citti e un’altra vec-chia diva del nostro glorioso teatro, Bianca Toccafondi (seppure in un ruolo più margi-nale) A far da curioso contraltare al carisma del protagonista, vi è poi il ruolo della sua fi-danzata braccata dal killer, Paola Tedesco , attrice certo più nota per la sua avvenenza che per le doti recitative.

La trama vede una serie di misteriosi omici-di su cui il protagonista decide di indagare quando scopre che la sua fidanzata rischia di trovarsi nel mezzo della spirale delittuo-sa; a un certo punto tutto sembra risolto e il responsabile, impersonato da Franco Cit-ti, individuato (un ex galeotto che ha deci-so di vendicarsi della giuria popolare che un tempo lo condannò), ma in realtà non è così e bisognerà risalire a un sordido fatto

di deportazione avvenuto tra le amene colline padovane in tempo di guerra per afferrare la sorprendente soluzione.Un altro elemento “argentiano” lo si ravvisa poi nell’esecuzione dei delitti, che sono tutti accompagnati peculiar-mente da una certa musica d’atmosfe-ra sia come preambolo che durante lo svolgimento dell’assassinio e lo stesso Bido confesserà poi che questa partico-larità gli è stata suggerita proprio dalla visione di Profondo Rosso…

Dopo questo promettente esordio, An-tonio Bido girerà ancora un interessan-te thriller l’anno dopo, Solamente Nero, ambientato tra le cupe brume venezia-ne, prima di smettere per un po’ di tem-po di fare cinema, per poi tornare dedi-candosi però a tutt’altro genere.Peccato, perché come si usa dire, “il ra-gazzo prometteva bene”.

Sam Ael Coral

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Unza unza time- Kusturica in guerra contro l’idiocrazia Titolo difficile. Perché se non sapete chi è sto tipo, che robe ha fatto, che robe fa…basta andare in rete e di informazio-ni ne avrete. Ben di più anche forse di quelle che ne ha lui, di se stesso. Certo non mi ci metto a fare un Bignami. La-voro tra l’altro impegnativo, ma poco interessante. Tanto per inquadrarlo, un regista, uno scrittore, un musicista, un artista profondamente impegnato nel politico, nato nella Sarajevo degli anni 50 da patriarcale famiglia ortodossa, naturalizzato serbo. Poi mette in note-vole soggezione provare a raccontare le istanze di un rappresentante della de-stra ultranazionalista serba.

Lavoro tra l’atro impegnativo, sicura-mente interessante, se fatto da qualcu-no che ne le abbia competenze, e che io assolutamente non ho. Tosti sono, i figli della terra dei Balcani, terra di violenze inferte e subite, dove la rabbia si evol-ve in ferocia, il sangue chiede vendetta, il confine è un sacro limite invalicabile che costantemente viene valicato. Allo-ra forse non conviene, buon senso inse-gna, entrare in quelle casa senza alzare bandiera bianca. O almeno bussare. Di-chiarando che torto o ragione non sono due parole univoche.

Lo straniero, l’ospite, l’invasore. L’entra-re in casa d’altri per prenderne posses-so. Il difendere la propria soglia a costo della vita dei propri figli, delle proprie donne. L’impossibilità di pensare uno stare insieme nella differenza.

Un momento di sospensione mi fa chie-dere se abbiamo anche noi dei Balcani nella nostra anima….A scuotere sentimenti in una situazio-ne socialmente congelata nella Jugo-slavia degli anni 70-80 arrivano stimoli dall’estero, la musica dei Clash, dei Sex Pistols. Kusturica inizia a tessere una rete fitta di collaborazioni. E già qui. Per definirci abbiamo bisogno di in-contrare l’altro. Va a Praga a studiare cinematografia. Il suo lavoro di diplo-ma, “Guernica” si intitola. Un fil rouge che si dipana tra guerre in Europa, fuo-ri dall’Europa. Da Picasso, in poi, uniti contro la guerra. Cercando di dimostra-re il proprio antieuropeismo andando ad abitare a Parigi e il proprio antiame-ricanismo andando a New York. Incontra e si lega ad Abdulah Sidran, scrittore, poeta bosniaco con cui lavo-ra per anni e anni. Sidran, che sta dalla parte della vita : “ Anche quando viene umiliato, disumanizzato, trasformato in uno straccio, l’uomo, con quel suo penoso grido di lamento, resta parte della vita”.

Insieme vincono il Leone d’oro a Vene-zia nel 1981. Ora i due non vanno più d’accordo. Questo è.Gira con Joe Strummer, Iggy Pop. Sra-dicato dalla sua terra, nomade zigano cerca l’energia dal palco, dal pubblico in carne ed ossa. Anche l’Italia assu-me l’aura di una Terra Promessa, nelle sue prime opere (vedi “Ti ricordi Dolly Bell?”), ritorna quasi ossessivamente

SFOTOGRAMMI di Francesca Gabanino

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la presenza di Celentano. Ventiquattro-mila baci. Poi Goran Bregovic, anche lui nato a Sarajevo. Anche lui determinato a far risuonare gli sfrenati ritmi gitani ol-tre confine. Sfidando anche lo spettato-re più pigro a tener fermi i piedi con la colonna sonora di Underground. Poi le posizioni millimetricamente cam-biano. Tu sei un po’ più integralista, tu sei troppo contaminato… insomma, nel 1999 il nostro ritorna della posizione di “chi fa da sé fa per tre” e si crea una sua orchestra, The No Smoking Orche-stra. Unza unza time. Fino in Cina. Mi-gliaia…milioni (non sai mai quanti sono) di cinesi a scatenarsi sotto il palco. Unza unza time. Onomatopeicamente intra-ducibile.

Rivendica il diritto degli artisti, dei mu-sicisti, di non essere censurati. Quelli che si ricollegano, tengono vive le pro-prie radici. Nel 2004 viene premiato per il suo impegno educativo in Serbia. Ri-chiama alla memoria dei giovani Ivo Andric, indipendentista, premio Nobel per la letteratura nel 1964. Parimenti, dichiara la necessità di censurare, quelli sì, quelli che si esibiscono a New York, a Washington. Dove sono state preparate tante guerre, a casa di questi americani che da anni seminano caos nel mondo. Siamo globalmente inquinati dalla pro-duzione della Monsanto, che nulla ha di naturale. Putin ha fatto bene a interdire gli OGM e a cercare di rivitalizzare l’agri-coltura russa. E’ un uomo che difende la cultura del suo paese. E per questo può essere considerato un eroe.

Di fronte alla pressione massiva della complessa industrializzazione militare americana, la posizione di Putin è supe-riore (?). Ed in Ucraina assistiamo, com’è stato in Jugoslavia, ai risultati della pres-sione occidentale (?).

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Siamo in regime di IDIOCRAZIA. La ri-sposta? La ALTERMONDIALIZZAZIONE. Se la ricostruisce lui la sua Sarajevo di-strutta. Beh, certo lui che può. Kusten-dorf, un villaggio di legno. In Serbia. Dal set cinematografico di “La vita è un miracolo” , etimologicamente proprio “villaggio di Kusturica”. Un villaggio vero, dove c’è tutto, dove lui andrebbe a ristorarsi per sfuggire all’estenuante vita di artista impegnato.

Forse un artista che si è lasciato un po’ troppo ispirare dall’idea di “The Truman Show”. Ci ha messo proprio dentro di tutto. Artigiani, cani, galline, maiali…e lo tiene aperto al pubblico.

Sfugge il senso di autenticità, in tutto questo preservare la propria identità, demonizzando ogni sorta di contamina-zione. Per far vedere al turista (ad un serbo gliene fa un baffo): questi siamo noi. Noi? O meglio: questo sono io? In ogni caso, ottiene anche un premio Eu-ropeo per l’architettura. Questo è.

Però c’è un’immagine. L’immagine del lattaio che caracollante attraversa quo-tidianamente i campi di battaglia ca-valcando il suo asino, sfuggendo al tiro incrociato dei fronti opposti accolga un sogno di libertà, una folle idea poetica del novello Trinità, dell’amore tra un uomo e la sua donna che si oppongo-no con un ombrello alla devastazione dell’uomo armato. Nasce da un suo rac-conto. Diventa un film nel 2016. Lungo la Via Lattea. Un inno alla natura, agli animali. Il controcanto del serpente e del falco pellegrino all’impazzimento degli uomini. Oche che sguazzano nel sangue di un maiale sgozzato.

Sono simpatiche le oche. Hanno presen-za scenica. Questo è.

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TURNO DI NOTTE

Mi ero svegliato vedendo la miseria del mio corpo.Ero scioccato, perchè quella folle guerra? Da anni combattevo contro tutto e tutti, senza sapere nè capire se erano dalla mia parte o meno. Mi alzai facendo leva sulla mia arma e mi guardai intorno.Il campo di battaglia era devastante: droni distrutti, un sacco di morti uccisi con le mie mani e navi da guerra abbattute. Passai oltre una casa che ancora bruciava, si anche gli innocenti dovevano patire quello che avevo patito io. Passandomi una mano sulla faccia sentivo le rughe del mio volto, ero stato in-gannato! Mi era stata promessa l’immortali-tà ma se questo era il prezzo da pagare forse non era proprio il caso... Eternamente vecchio! Per cui decisi che mi sarei vendicato su colo-ro che mi avevano ridotto in quello stato.Ero stato catturato di notte durante il mio turno di guardia quando era troppo buio per notarli.Dolore, sudore, sangue e poi il siero spe-rimentale che mi rese un mostro. Dovevo essere la macchina da combattimento vin-cente per il mio paese. “Sarai il salvatore!” mi dicevano e gli credevo entusiasta di quello che mi era successo. La guerra durava da più di un secolo e non smisi mai di combattere.Poi la stanchezza! Sempre stanco, dolori dappertutto ma per quanto mi sparassero mi rialzavo sempre! Dopo l’ennesimo massacro mi portarono a casa in trionfo. “Guardate è James Archer! L’immortale che ha ucciso i nostri nemici”. Mi diedero donne bellissime, alcool e siga-rette a volontà. Mi sentivo un dio in mezzo ai mortali. Poi compresi che un’arma umana non sa fare altro e una nuova nazione aveva dichiara-to guerra. Stupidi mortali! Ma combattere di nuovo non mi andava per nulla e allora quelli che credevo alleati mi ripudiarono.24

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Così scappai, gli anni passavano e l’im-possibilità di morire mi dava sui nervi anche perchè ogni ferita era un dolo-re allucinante. Un vecchio immortale su un pianeta rovinato dai contrasti di religione e dalla ignoranza. Ma non an-dranno lontano! Combatterò, ucciderò, strangolerò, sparerò a tutti e tutto. Que-sto pianeta merita un giudizio. Cam-minando per chissà quanti chilometri trovai il mio nuovo bersaglio: un’altra città da distruggere. La mia arma era un semplice fucile a pompa, era sempre stato il mio compagno da quando decisi di vendicarmi del mondo. La città in cui ero entrato mostrava i segni del conflit-to e personalmente non me ne importa-va più nulla. “Forza James” mi dicevo in testa quasi come un mantra.Un missile poi mi prese in pieno petto e sentivo di nuovo dolore!

Ero a terra lontano dal mio fidato com-pagno ma ero ancora integro. Con odio aprì gli occhi e mi trovai davanti una de-cina di soldati che mi guardavano: “oh mio dio, allora non erano bugie”, sus-surrò uno di loro al suo capo squadra. Lanciarono un fumogeno e si disperse-ro, quando le mie prede usavano questi espedienti mi faceva solo aumentare la voglia di uccidere. Poveri vigliacchi san-no contro chi hanno a che fare!Con un sforzo supremo ero in piedi, con i vestiti bruciati e con l’odioso effetto di lacrimazione degli occhi. Non piangevo mai da quando avevo deciso di distrug-gere l’umanità.“Venite fuori! Per quanto ci proviate a scappare vi troverò” dissi urlando uscen-do dal cratere formato dal razzo. Barcol-lai ancora con le lacrime e con il dolore della mia immortalità, presi il mio com-pagno e sparai un colpo in aria e con fa-tica resistetti al rinculo tipico della mia arma.Il fumo si era diradatto ma sentivo at-torno a me urla e ordini militari, anche questa città assaggerà la mia furia no-nostante la fatica e il dolore.

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Era una città piccola per fortuna, ma sicura-mente aveva ancora qualche bunker con al-tri innocenti sopravvissuti ai bombardamen-ti. “Per favore vattene” urlava una voce dietro di me, gli sparai a bruciapello e presi i suoi vestiti dato che i miei si erano bruciati poco prima. “Signori e signore sono James Archer e tutto quello che sapete di me e anche peg-gio di quello che vi hanno raccontato...” L’eco della mia voce si era sentito: mi trovai di nuovo a terra preso a calci, pugni e colpi-to dalle loro armi e ogni volta il dolore era sempre più intenso. Sparai nel mucchio, non avranno vita facile con me e i due corpi a terra lo dimostrarono.Ma oramai ero stato catturato da quelli che si erano salvati e mi trascinarono verso la loro base. Come un grande attore simulai una perdita di coscienza mentre tenevo ancora stretto a me il mio compagno.Era la mia tipica tattica che avevo studiato con l’esperienza sui campi di guerra: farmi catturare e poi trovare qualche esplosivo per far saltare in aria, me compreso, l’intera città.“Cosa dobbiamo fare con lui Colonello? Gli abbiamo sparato con un lanciarazzi di ulti-ma generazione e con orrore abbiamo sco-perto che le voci su Archer erano vere”“Questo figlio di puttana era un eroe nella mia nazione, ma non capisco perchè si sia ridotto così. Avevo dieci anni quando scam-pai alla sua furia e ora è privo di sensi davan-ti a me”La discussione continuò ancora e decisi di aprire gli occhi “Buonasera Colonello Edgar come sta? Mi da molto dispiacere non aver-la ancora uccisa. Se dovete condannarmi a morte fatelo subito, vorrei solo che mi fosse concesso una domanda e un ultimo deside-rio”.Il Colonello Edgar fece cenno ai suoi compa-gni d’armi di allontarnarsi da me: “Esaudirò la tua richiesta ma sappi che ho trovato il metodo per renderti innucuo, anzi ti dirò sei diventato un vero salvatore per questo pia-neta. Tutta la Terra ti odia Archer e l’umani-tà intera si è unita contro di te”.

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Non ebbi paura in quella situazione ma non ero uno stupido, il Colonello Edgar aveva salvato parecchie vite umane e si interes-sava a me quasi in maniera morbosa. Era la mia nemesi!Del resto lo avevo creato io quell’odio nei miei confronti “Sa bene che sono indistrutti-bile ma allo stesso tempo ho rispetto per lei, prima di diventare quello che sono combat-tevo per la tua nazione. In te scorre lo stesso sangue e ora vorrei esporre la mia doman-da”. Ci fissammo negli occhi per un istante. “Quanti siete rimasti? Voglio i dati precisi”.Edagar fece un ghigno diabolico e replicò “Più di quanti pensi Archer ma i danni che hai fatto sono terribilmente ingenti e ho compreso il tuo modus operandi. Sei stan-co, vecchio e inutile. La guerra contro di te finirà oggi... NON CI SONO ESPLOSIVI IN QUESTA BASE!”Mi aveva fregato! Per ironia della sorte un mortale aveva deciso di affrontare me. Una persona della mia stessa patria avrebbe dav-vero posto fine al mio giudizio?“I dati” sussurai con calma “voglio sapere quanti siete rimasti”Dopo un’ora di attesa mi comunicarono quello che volevo sapere, c’era ancora mol-to da fare e non potevo perdere altro tempo ma dovevo comunque liberarmi in qualche modo. “Sei soddisfatto Archer? Ti rendi conto di quanto sia folle la tua vendetta? Non puoi più combattere, tra non molto l’astronave sarà pronta e ti abbandoneremo nello spa-zio. Questo piano è stato studiato da me in persona James. Anche gli eroi e i malvagi periscono, tu non sarai l’eccezione”.Dopo più di un secolo ebbi paura! Era il pia-no migliore in effetti per fermarmi ma non persi la calma.“Allora come ultimo desiderio voglio che mi sia permesso un accendino e poter smonta-re il mio fucile”Mentre trattavo con Edgar una voce inter-ruppe la nostra conversazione “Siamo pron-ti per il trasporto del prigioniero noto come Archer James il distruttore attendiamo con-ferma”.

“Cosa ci vuoi fare? Un esplosivo? Non ti sarà concessa la polvere da sparo” disse il Colo-nello.“Allora non siete un uomo d’onore come pensavo, sangue del mio sangue che non mi concede neanche un saluto al mio unico compagno. Abbiate pietà sono un povero vecchio”Alle mie parole Edgar sputò per terra “Ti ver-rà concesso solo l’accendino, il fucile verrà portato sulla tua astronave e almeno non sa-rai solo lassù. E’il massimo che ti posso con-cedere”.

La voce marziale ed elettronica della tra-smisssione dell’astronave gracchiò “Colo-nello le nazioni unite stanno firmando un trattato di pace mondiale appena avrà ab-bandonato il prigioniero nello spazio, vuole davvero perdere tempo per un semplice de-siderio?” “Un attimo ancora! Ecco il mio accendino, grandissimo figlio di puttana!” Presi al volo quello che volevo e ci giocai senza accenderlo: “Lei conosce le onde ra-dio Colonello Edgar? Forse no dato che sie-te abituati a tutta quella tecnologia dei com-puter e ormai sono sono in disuso da molto tempo. Ci ho lavorato tra un massacro e l’altro. Del resto sono stato istruito per com-battere e forse questa sarà la mia penultima battaglia. Ha paura? Lo vedo come si osser-va, mi teme e mi odia”

“Oh no...” aveva perso la speranza e aveva capito, fu un attimo e il mio pollice scattò attivando la bomba che per anni avevo pre-parato. Di nuovo dolore, sangue e odore di morte. Avevo battuto il mio peggior nemico. Ma non potevo festeggiare ero ancora una volta vivo! Un povero vecchio ero diventato e lo sarei sempre stato. Mentre attraversavo il fuoco scatenato nella base militare sorrisi vedendo la mia astronave distrutta. “Forza James” pensai per l’ennesima volta, quando sarò solo forse troverò la pace...

Roberto Sahih

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L’ INGANNO DEL SILENZIO

Arrivò quel giorno che il silenzio si mise a lavorare Tanto da destare l’attenzione del suono che, avendolo visto così impegnato,lo volle provocare: “Ehi tu, laggiù di sotto, ti stai preparando la festa silenziosa ?”Il silenzio fece cenno di non essere disturbato mostrando proprio la bara chestava costruendo cercando di abbellirla e renderla sempre più attraente come opera di un grande ingegno artistico. Così il suono riunì tutto il suo repertorio hard rock per cercare di disturbareil lavoro subdolo del suo antagonista ma così facendo si attuò il fatidico inganno perché il silenzio intontito da tutto questo baccano scivolò cadendo proprio in quella bara.Il suono non poteva certo immaginare che il silenzio aveva studiato attentamente il modo per eliminarlo definitivamente . Infatti laddove c’è un “silenzio di tomba” non potrà certo esistere alcun tipo di suono !

Andrea Livi

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LEZIONE DI MUSICA

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LEZIONE DI MUSICA

C’era una volta in Italia, un gruppo di persone politiche al governo che, amanti della musica decisero di inserire nella scuola, per le classi che sono frequentate dagli alunni tra i sei e i tredici anni di eta’, la lezione perfetta di musica.

Essa veniva svolta una volta alla settimana nel pomeriggio per due ore, ed era suddivisa in due parti, una parte teorica in cui si apprendevano nozioni di storia della musica e degli strumenti musicali, e si imparava a leggere il pentagram-ma, e una parte pratica in cui prendeva corpo il coro. Imparare a conoscere il nome degli stru-menti, il loro suono e il loro uso,e la lettura del-le note e il loro suono,aveva reso gli alunni più partecipi nella vita quotidiana in cui,i suoni e i rumori si alternano di continuo.

Alla lezione,pure i meno talentuosi erano inte-ressati a scoprire quello che per la musica,come si dice ascoltata a orecchio risultava essere,un segreto che andava disvelandosi. Riuscivano a tradurre in note persino il rumore del tempo-rale, poter decifrare i suoni li rendeva molto attenti, spingendoli fino a definire i suoni che scorrono durante il giorno nelle pubblicità, oppure inseriti nei cellulari o nei giochi.

Tutti partecipavano volentieri per immergersi nel mondo del suono e della musica. Gli inse-gnanti ne andavano orgogliosi, avevano così potuto avvicinare gli alunni alla realtà quoti-diana.

Una buona lezione di musica è come una buo-na lezione di qualsiasi altra materia scolastica, se poi serve a nutrire le coscienze, quello che prima era ignorato adesso era dello studio e trovava la sua comprensione.

Dal coro e quindi dal canto, pure i meno into-nati ne traevano giovamento, poiche’ si ritro-vavano a comunicare cantando, e ci si sentiva più vicini tra tutti, non solo per distinguere i prodotti del grande campo musicale e del suo-no e della loro applicazione, ma generando ca-lore umano con divertimento e metodo.

Ed e’ cosi’ che da allora ad oggi , con la lezione perfetta di musica, crescono tutti più contenti.

Cinzia Caiasso

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Le mie vacanze sono state particolari invece di partire per andare a trovare mio zio al paese è di nuovo tornato lui dalle sue vacanze è stato strano essere in vacan-za senza partire sentire odori e profumi del paese ma essendo rimasto a casa e le piantine che avevo preso i semi nell’ultima vacanza e seminato nuovamente alcune sono nate altre non ci sono riuscite a crescere e a fare i semi anche nel mio balcone ci sono i fiori Bianchi i fiori Gialli i fiori Viola scuro non sono nati i fiori Blu e Gialli i fiori Blu e Rossi i fiori Blu i fiori Viola e Rossi e altre tonalità e colori che non ricordo purtroppo giù al paese le piante le hanno tirate via tutte quindi si devono cercare i semi nei paesi vicini proverò alle prossime vacanze a trovarli negli altri paesi cosi potrò averli nel balcone che è un po’ come essere giù al paese e mi ricordano i miei nonni che li avevano vicino casa (e vedere le vacanze dall’altro punto di vista di chi rimane ma rimanendo in qualche modo parte anche se in modo diverso) cercando di riposarmi ma probabilmente non lo so fare o fatto una serie di cose aiutando mio fratello a controllare una per una le monete della sua collezione quelle in più me le sono prese anche se ce ne sono di meno anche perché ci sono anche altri che le mettono nel salvadanaio, le ho portate in banca mi sono fatto una tredicesima con gli spiccioli e aiutando anche mio zio ad accompagnarlo per andare a sistemare tut-te le sue cose burocratiche tra banca, posta e compagnie varie per le bollette e così facendo divento consapevole di saper fare cose che non credevo possibile anche se questo può spaventarmi e nello stesso tempo mi fa star bene. Sono alla ricerca di me stesso ma non mi trovo forse perché io non ero quello che ricordavo prima ma sono quello che sono adesso anche perché sono e sto cambiando in continuazione ma alcune cose sono rimaste uguali.

Cesare De Chirico

STRANE (PARTICOLARI NON)

VACANZE

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STRANE (PARTICOLARI NON)

VACANZE

PRIMA E DOPO LA CURALe muse “Klimtiane” dello Stato consigliano la puntura a vita. Così non ricorderò mai niente. Dove sto andando?La schizofrenia è troppo fantastica per essere creduta intuitiva. So cosa voglio ma non ce l’ho. Si avvicina il tempo dell’iniezione. Vado da una puntura all’altra senza combinare nien-te.Non la vorrei proprio più fare, non è più terapia, ho capito a sufficienza che il rovescio della medaglia è una vita attiva. So di stare male se mi confronto. Ciò che non ho fatto nella vita mi pesa per il trascinarsi della vita stessa. Sono un debole ma Dio mi ha dato anche visione di una forma pura, tersa come il dovere di trasmettere col cuore aperto. E lì mi frego perché pare che io stia male. Dopo la puntura mi immergo negli occhi della popolazione di San Salvario. Qualche volta alla fermata del 18 mi chiedono se mi sento bene e io non ho parole. E’ un sottile equilibrio quello che mi da la gente, anche se non ho spazio come cittadina. La psichiatria è come un paese dove se sei debole ti fanno il depot. A certi “carusi” bastano 10 gocce la sera oppure certi altri li lasciano a vomitarti addosso la loro blanda o inesistente terapia. Mi fermo qui a lamentarmi della troppa dose di antipsicotico. Sicuramente la chiusura auti-stica non me la cura, nè ho smesso di prendere la passiflora melissa e papavero. Ha un nome terribile la schizofrenia che ti sbalza fuori dal gioco sociale. Il mio ego vergina-le mi impone di essere rigida. Sia io Musa o abbia osato ad una Matria Potestà che non fosse Patria rieccomi a non dare me stessa al tempo che scorre. Mi raccolgo in preghiera. Quando il CSM chiude alle cinque, a Los Angeles è l’alba e i resti della notte vanno a dormi-re dopo colazione (la mia testa nell’alba del Pacifico).

Giusy Zanin

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RIPASSO

L’altra voltauno sguardo sfuggitosenza fissa dimoraè passato.Oggi ripasso.Ché la prima volta ero distrattoe non ti ho vistobenein faccia, bene come ti muovi,Distratto dai tanti boh che mi porto nella testa.Aspetto.Poi ripasso, di nuovo: se capisco, sennò ripasserò;prima o poi qualche cosa di te imparerò.

Torino, 24.3.17, 9:50

RICONNESSIONE

Domani che faccio?A parte battere la mia foto segnaletica in un cimitero elettro-nico tante facce tante volti tutti noti tutto fisso tutto passanessun marmo da toccaree con quale odore?E tu?Andiamo a sentire il profumo delle nostre ombre.E della pelle, della fisica.E parlarci, senz’anestesia.

Torino, 24 marzo 2017, 10:32

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(sub)URBANO di Jacopo Vespoli

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(sub)URBANO di Jacopo Vespoli LE COSE VERE

Le cose vere, no? la pioggia battente, la tosse irrompente, la febbre scuotente

come ho fatto a dimenticarle mentre mi bagno senza l’ombrello

ma non vi preoccupate non ho la tosse non ho la febbre

sono solo scioccoe intirizzito, sotto i muscoli,

sotto una faccia serenamente imbronciata (ho il broncio, dicono)

e con questo vorrei ancora

curare le malattie con la tosse la febbre semeiotiche e radiologie, interne, guarda, ascolta

(ausculta),a qualcuno piove dentro

piovono le “cose vere” , che ammalano.Cerco di capire:

sono dipendente dalle mie sindromi d’astinenza.

Torino, 6 novembre 2017, 17.46

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CodiceComunicazioneContaminazione

InfezioneViaggio

TravaglioSbaglio

Sbadiglio, insonne mi vaglio,

Studente veemente demente asino raglio.Mi fumo il cervello.

Non capisco, guardo, se capisco non parloItaliano.

Non sono sano.Peno.

Taccio quasi serenoQuando giro per Torino.

Troppo lontanoInvano

Sognata incubata haldolescenza programmata:Bell’inculata.

Mi sono fatto, da solo, male.Pare.

Dare, baciare testare dire, decodificare,Disinfettare,

Decontaminare;Detrarre, dedurre, dichiarare:

S’è fatta na certa e vado a dormire.

“CODICE ROTTO”Torino, l’una e 27, 10 giugno 2017 e c’ho sete, e bevo.

(sub)URBANO di Jacopo Vespoli

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(sub)URBANO di Jacopo Vespoli

UN FILO TRA CIELO E TERRA

Se cerchi un cuorePrendi il mio

Pur che come cucita,

dal dolore l’angoscia,non ti faccia

vacillare

distendi le tue insicurezzequando mi ami

io cucirò la camicia dolente

e come un aquiloneovvero qualcosa tra cielo

e terra.

Claudia Savorelli

TRE ENDECASILLABI

Un verde più maturo nelle foglieGli alberi oscillano al vento

Creando infiniti giochi d’ombre.

Emanuele Grassi

GIOVANE ROSA

Sinistro il canto del gallomentre cadono fiori bianchi

dall’alto oleandro.Ma porpora è la giovane rosa

e quasi attendi una salvezza naturale.

Emanuele Grassi

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PIETRA LIGURE

Risuona il muto precipizio di un grave che nell’acque

è abbandonato e la sua storia profana

è il fondo scosceso. Da me è dipeso il tuo stallo sopra una spiaggia

che da bambini ingolfava il mare sopra i pini inermi

per non sedermi alla venuta colossale del tuo ammanco. Ora, per orride profondità divelli il cuore che ti segue

per quei sinistri luoghi. Infondo al mare riposi

e accanto ad una Croce abbondi tu, terra, cospirata

al sangue che ha reso eterno l’uomo come una briciola che aspira

a far di sé frastuono. Per gorghi hai spinto te nel fondo,

come una lesta freccia hai ricusato il sonno

che sopra ad una piaggia infanti menano con mano

alle onde che si appressano d’intorno.Così, sol io, parecchio il tuo percorso basso,

che fertile la gente agogna come il verace passo.

Giuseppe Enria

Il respiro trasparenteDelle stelle nell’ etica

Del mattinoQuanta luce

Possiamo sopportareTanto vivremo

Mario Ferrari

Abbracciare inginocchiatoSulla religione l’ incerto

Purificarsi della colpaE

Lineare percepireLa quotidiana coerenza

Con il dialetticoVibrare del sorriso

Mario Ferrari

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UN SOGNO

Sono scalza e cammino per strada in via Sacchi dopo via Pastrengo.Qualcuno ha buttato i miei vestiti in un cesso pubblico e li raccolgo per lavarli perché non ne ho altri. Ho un amico dottore all’ospedale e mi tenta perché non sento più niente per il CSM.

Sortir du diableet des patrons.

Ciel qui parle,pas moi et toi

toujour dans la NationNi le bien, ni le mal

mais la rue...

Giusy Zanin

L’ ORA

Passa pure, passi su tutto e tutti.Passi con il tempo tuo eterno sovrano,

passi pure dove non sei ricca di frutti e come se niente fosse.

Oppure, passi velocemente tanto che non sembra tu sia venuta,

oppure rallenti talmente tanto che sembra tu non voglia andare via.

Sei pure la solita ora, oppure sei consumata

fino agli sgoccioli.Quando passi da me , sei bella soltanto

quando stai con il mio cuore ma tu sinceramente

sei compagna dei tuoi minuti, secondi, primi e non ti curi d’ altro vieni e torni sei la prima e l’ultima,

sei sempre tu come ferma con i tuoi orologi funzionanti,

e con il nostro sole.

Cinzia Caiasso

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Baci e abbracci Non basteranno

Per un cuore di pietra troppo fattoDe duro catrameMa si può iniziare

Come De Gregori FrancescoCon Lucio

Contro l’oppressore C’èun fiume che sta in mezzo

L’altezza di un’invasioneCirca un metro e novantotto

Di alberi infestanti e lucciole tonaliA quanto riguardo e a quanto ricordoA chi si crede a volte in così tanti fiati

La tua dolce veritàBisbigli d’amore, bisbiglio amore per favore

L’arcangelo Gabriele porta una Ferrariin un semitono di incertezza

Disegna le curve con Beethoven E chiede 10 soldi

Per acquistare il rilassamento sonoroDi intervalli dell’anima senza tempo

Comprati un diapason e capirai tutto

Marco Bacci e Iznado

QUELLO CHE ACCADE

Spesso vedo davanti a meimmagini che si muovono

a volte sono uominiesplosioni, risate, macchine

Molte volte mi sdraioe chiudo gli occhie invento storie

che mi ricordano le altrema quasi sempre non riesco

a fare nientesono immerso nel doloreSono momenti in cui la

mia testa sente,ascolto dei rumori

il collo si comprime, ho la sensazione di pensareche non riusciro’ a superare

questo momento se noncombattendo o facendo del male

a qualcunoParlarne e’ gia’ tanto

sono anni che mi porto dentro il male che un giorno o l’altro finira’

in questa sua forma e si evolvera’ perche’l’odio e la sopraffazione

non finiranno mai, neanchese una donna mi mentisse

dicendo di amarmi

Nicola Frache

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STOFFA

Bisogna averne di stoffa

per fare bene le cose.

Non basta uno scatto. Eppure mi par davvero

di vedere, in questo scatto,tanta roba.

DALL’INFINITO ISTANTEFoto di Raffaella Dal Toso Poesie di Enea Solinas

INVERNO

L’Inverno porta con séle orme di numerosi cammini,

che si possono vederein questa patina soffice e lieve

a terra posata, come fosse neve.Una patina bella,

su cui anch’io vado camminando:altro non è se non il mondo.

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Voci note e meno note, colori e musiche dallo spazio psichedelico che in noi ed è tra noi, nuovi ascolti e ascoltatori, nell’orario domenicale su cui ci affac-ciamo quest’anno: un pomeriggio folle e militante, un thé alla Normalina a base di diritti di cittadinanza, cultura mista e varia, divertissment assortiti, dubbi e riflessioni, parole e silenzi poetici o ipotetici.

Segn/Ali Radio è in onda tutte le domeniche alle 17.30 su Radio Beckwith e sul network nazionale delle radio della salute mentale Larghe Vedute.

Ascolta e scarica i podcast su http://rbe.it/segnaliradio/e sul sito http://larghevedute.radioohm.it/

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